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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VI
50.
Martedì 18 settembre 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Conte Gianfranco, Presidente ... 3

Audizione del Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 5291, recante «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita» (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Conte Gianfranco, Presidente ... 3 6 9 12 14 18
Causi Marco (PD) ... 9 10
Comaroli Silvana Andreina (LNP) ... 9 14
Lapecorella Fabrizia, Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze ... 3 6 10 13 14 18
Pagano Alessandro (PdL) ... 10
Ventucci Cosimo (PdL) ... 11

Audizione del Direttore dell'Agenzia delle dogane, nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 5291, recante «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita» (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Conte Gianfranco, Presidente ... 19 20 21 25 26 27 28 29 34 35 36
Ventucci Cosimo, Presidente ... 27 33 34 37
Aronica Alessandro, Direttore della Direzione centrale personale e organizzazione dell'Agenzia delle dogane ... 29 34 35 36
Causi Marco (PD) ... 25
Pagano Alessandro (PdL) ... 26 29 31 32
Peleggi Giuseppe, Direttore dell'Agenzia delle dogane ... 19 20 21 26 28 29 31 32 33 34 36

ALLEGATI:
Allegato 1: Documentazione consegnata dal Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze ... 38
Allegato 2: Documentazione consegnata dal Direttore dell'Agenzia delle dogane ... 55
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

[Avanti]
COMMISSIONE VI
FINANZE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 18 settembre 2012


Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO CONTE

La seduta comincia alle 10,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 5291, recante «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita».

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 5291, recante «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita».
La professoressa Lapecorella è accompagnata dal dottor Giovanni D'Avanzo, direttore della direzione studi e ricerche economico-fiscali, dalla dottoressa Maria Teresa Monteduro, dirigente presso la stessa direzione, e dal dottor Luca Miele, dirigente presso la direzione legislazione tributaria.
Do la parola alla professoressa Lapecorella.

FABRIZIA LAPECORELLA, Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze. Signor presidente, onorevoli deputati, intervengo in questo ciclo di audizioni sulla delega fiscale ben consapevole che i vertici di altre strutture dell'amministrazione finanziaria, già ascoltati dalla Commissione, hanno avuto modo di approfondire alcuni temi specifici affrontati dal disegno di legge delega n. 5291. Dunque, il mio obiettivo, oggi, è quello di inquadrare il provvedimento nell'ambito dell'azione di governo iniziata con il decreto-legge n. 201 del 2011, e provare, altresì, a indicarvi le prospettive che potrebbero derivare dall'approvazione del provvedimento.
Il disegno di legge delega in materia fiscale porta avanti in maniera molto netta e chiara la strategia impostata con il menzionato decreto-legge n. 201 del 2011, prevedendo interventi strutturali, su specifici aspetti di tax design e di tax administration, finalizzati a correggere alcuni aspetti critici del sistema fiscale italiano, per renderlo più equo e orientato alla crescita economica.
Questo è un aspetto che va chiarito. La lettura degli atti relativi al dibattito svoltosi presso codesta Commissione mi ha dato modo di rilevare come vi sia un certo margine di confusione, collegato al fatto che era stato depositato in Parlamento, dal precedente Governo, un disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale. Il disegno di legge delega in discussione non ha, al contrario del precedente, alcuna


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ambizione di intervenire per riformare il sistema tributario, ma si pone l'obiettivo di prevedere interventi specifici di natura strutturale, al fine di modificare in maniera stabile, nel medio periodo, alcuni aspetti del sistema tributario, di orientare quest'ultimo alla crescita economica e di assicurarne sempre di più l'equità.
In particolare, il disegno di legge delega intende: consolidare il percorso di risanamento finanziario attraverso azioni di razionalizzazione del sistema; continuare a operare secondo la logica dell'utilizzo prudente della leva fiscale, per ristabilire condizioni di crescita più robuste nel medio e lungo periodo; rafforzare ulteriormente la lotta all'evasione e all'elusione fiscale e rivedere la tassazione - in particolare, quella concernente le imprese -, in funzione della crescita, dell'internazionalizzazione e della fiscalità ambientale. Sono questi gli ambiti specifici di intervento di cui si occupa il disegno di legge delega.
Per riepilogare il contesto dal quale partiamo, vorrei ricordare che l'azione di riequilibrio dei conti pubblici per il triennio 2012-2014 è stata sviluppata in fasi successive. La strategia del Governo aveva tre obiettivi prioritari: il consolidamento fiscale, la crescita e l'equità. Le misure più importanti adottate con il decreto-legge cosiddetto «Salva Italia» sono, a mio avviso, l'incremento della tassazione patrimoniale sugli immobili, l'incremento della tassazione sui consumi e l'incremento delle accise con un «contenuto» ambientale, l'introduzione della misura di aiuto alla crescita economica (ACE) e gli interventi di riduzione del costo del lavoro, attraverso specifiche disposizioni relative alla deducibilità dell'IRAP.
I punti qualificanti del disegno di legge delega, rispetto al quadro delineato dal «Salva Italia», sono essenzialmente tre.
In primo luogo, esso interviene per assicurare l'equità e la razionalità del sistema fiscale, prevedendo la revisione del catasto dei fabbricati, la stima e il monitoraggio dell'evasione fiscale, il monitoraggio e il riordino delle tax expenditures, ossia delle disposizioni che determinano erosione della base imponibile dei diversi tributi, o del gettito dei diversi tributi.
In secondo luogo, il disegno di legge delega prevede misure collegate al contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale, essenzialmente finalizzate ad assicurare una maggiore certezza del diritto e a migliorare i rapporti tra il fisco e i contribuenti.
Nello specifico, il disegno di legge delega il Governo ad introdurre il principio generale del divieto dell'abuso del diritto, nonché a prevedere misure di semplificazione e di revisione dell'intero sistema sanzionatorio e l'introduzione della cosiddetta enhanced relationship tra il fisco e i contribuenti, largamente raccomandata da organismi internazionali, tra i quali, in particolare, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).
In terzo luogo, il disegno di legge delega prevede interventi in materia di tassazione delle imprese in funzione della crescita e della competitività internazionale. Più specificamente, sono previsti l'introduzione di un nuovo regime di tassazione del reddito d'impresa, l'imposta sul reddito d'impresa (cosiddetta IRI), interventi di razionalizzazione dell'IVA e dell'IRAP, interventi in materia di fiscalità ambientale e in materia di giochi pubblici.
Il disegno di legge delega è stato oggetto di un approfondito esame da parte di una delegazione del Fondo monetario internazionale, che è stata a Roma, su invito del Governo, dal 12 al 26 luglio (è insolito, per un'organizzazione internazionale, dedicare un periodo così lungo all'esame di un unico provvedimento di un Paese). La missione tecnica del Fondo monetario internazionale, estremamente qualificata e guidata dal professor Michael Keen, del Dipartimento affari fiscali del Fondo medesimo, ha lavorato con grande intensità, incontrando tutte le strutture di vertice, tutte le strutture tecniche dell'amministrazione finanziaria e le parti sociali. La missione si è conclusa con la redazione di un rapporto, ancora in bozza, che sarà pubblicato a breve, nelle lingue inglese e italiano.
La delegazione ha concluso la sua missione incontrando il Presidente del Consiglio,


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professor Monti, il Ministro dell'economia e delle finanze, professor Grilli, e il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, dottor Ceriani.
La delegazione del Fondo monetario internazionale ha espresso una valutazione complessiva estremamente positiva sugli interventi previsti dal disegno di legge delega. Il provvedimento è stato valutato come un passo importante in diverse direzioni positive. I tecnici del Fondo hanno concluso la loro analisi del nostro sistema fiscale, e degli interventi previsti nel disegno di legge, indicando, tra questi, quelli che potevano avere carattere prioritario. Li cito nell'ordine: revisione del catasto; misure in materia di certezza del diritto e miglioramento delle relazioni tra fisco e contribuenti; nuova tassazione del reddito di impresa (IRI).
Mi soffermerei adesso, brevemente, proprio sulle tre aree di intervento che sono state indicate come prioritarie dal Fondo monetario internazionale, provando a chiarire le ragioni per cui si ritiene importante l'adozione dei decreti legislativi attuativi in tali settori.
La revisione del catasto dei fabbricati è, ovviamente, finalizzata a migliorare l'equità e l'efficienza del prelievo sugli immobili. Perché è necessario migliorare l'equità del prelievo sugli immobili? Sappiamo tutti che le rendite catastali sono state rivalutate, da ultimo, nel 1990 e che, attualmente, esse non risultano congrue rispetto al valore di mercato degli immobili.
Il decreto-legge n. 201 del 2011, dovendo intervenire con urgenza, ha compiuto una scelta pragmatica, non in grado di correggere le sperequazioni collegate al differenziale tra le rendite catastali e i valori di mercato. In particolare, con il decreto-legge si è intervenuti ampliando la base imponibile dell'imposta patrimoniale sugli immobili, dell'imposta municipale propria, in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, agendo essenzialmente su un incremento dei coefficienti catastali.
Si è poi intervenuti anche aumentando le aliquote delle imposte, ma ciò che non ha corretto le sperequazioni territoriali dei differenziali tra rendite e valori di mercato è l'incremento uniforme della base imponibile, l'unico tipo di intervento concepibile nel limitato tempo a disposizione del Governo.
È proprio per questo motivo che, già all'indomani dell'approvazione del cosiddetto «Salva Italia», è stata immediatamente dichiarata la volontà di intervenire con una revisione del sistema catastale. La riforma del sistema catastale è un'operazione estremamente ambiziosa, che il Governo intende portare avanti favorendo la collaborazione tra i comuni e l'Agenzia del territorio.
Le ragioni che hanno indotto a intervenire sulla tassazione immobiliare, nel momento in cui era forte l'esigenza di consolidare ulteriormente i saldi di finanza pubblica, alla fine dello scorso anno, sono ben note: esse sono collegate al livello relativamente basso della tassazione immobiliare in Italia rispetto a quella di altri Paesi, per lo meno di quelli membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).
In Italia, la tassazione immobiliare raggiunge lo 0,6 per cento, mentre nel Regno Unito tocca il 3,5, negli Stati Uniti il 3,1 e in Francia il 2,4 (la media dei Paesi dell'OCSE è dell'1,1 per cento).
Il valore complessivamente basso della pressione fiscale sugli immobili in Italia ha indotto il Governo a intervenire in questo ambito, con la consapevolezza che un aumento della pressione fiscale nel settore immobiliare poteva essere utile per conseguire anche obiettivi redistributivi. Infatti, dalle analisi svolte dal Dipartimento delle finanze in collaborazione con l'Agenzia del territorio, e dall'integrazione delle banche dati catastali con quelle delle dichiarazioni dei redditi, emerge una fotografia della distribuzione della ricchezza nel nostro Paese che giustifica un simile intervento. In particolare, emerge dall'analisi congiunta delle dichiarazioni dei redditi e delle proprietà immobiliari che il reddito disponibile è molto meno concentrato della ricchezza immobiliare totale, e


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che quest'ultima è molto meno concentrata della ricchezza immobiliare rappresentata dalle abitazioni principali.

PRESIDENTE. Nel documento che ha consegnato alla Commissione è specificato, a piè di pagina, che le percentuali cui ha fatto riferimento in precedenza sono calcolate senza tenere conto delle imposte sui trasferimenti di proprietà e di altre tasse non ricorrenti. Se queste fossero incluse nel calcolo, cosa succederebbe?

FABRIZIA LAPECORELLA, Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze. Si tratta di un'osservazione importante. Ne parleremo più diffusamente quando commenteremo l'aspetto dell'invarianza di gettito.
Le percentuali della pressione fiscale immobiliare, riportate nel grafico a pagina 8 del documento che ho consegnato, si riferiscono alle imposte patrimoniali. Le recurrent property taxes sono, infatti, le imposte patrimoniali. Ho utilizzato la suddetta rappresentazione per giustificare quanto è stato fatto alla fine del 2011: dovendo reperire entrate per rimettere in ordine i saldi di finanza pubblica, un ambito di intervento ovvio è sembrato quello della tassazione patrimoniale immobiliare, ossia quello dell'IMU.
L'intervento compiuto, che è stato mirato ad aumentare la base imponibile, assoggettando a tassazione anche la prima casa, risponde anche a una finalità di perequazione del reddito, nel momento in cui si tiene conto del fatto che la ricchezza immobiliare totale è molto meno concentrata della ricchezza immobiliare rappresentata dalle abitazioni principali.
Tale tipo di intervento sembrava, per un verso, allineare il nostro livello di pressione fiscale sugli immobili, generato da imposte patrimoniali, con i valori delle medie internazionali e, per un altro verso, correggere alcune sperequazioni nella distribuzione del reddito e della ricchezza.
Vengo al tema delle imposte sui trasferimenti immobiliari, richiamato dal presidente.
La riforma del catasto, di cui vi ha parlato diffusamente la dottoressa Alemanno, sarà finalizzata alla perequazione effettiva dei differenziali delle rendite tra immobili situati in diversi territori urbani, assicurerà la redistribuzione del carico tributario in modo coerente con il valore dell'immobile e sarà realizzata a invarianza di gettito.
Ciò significa che la pressione fiscale aumenterà per alcuni contribuenti e diminuirà per altri. La pressione fiscale potrebbe anche aumentare per tutti i contribuenti in maniera differenziata. In tal caso, l'invarianza di gettito, che è riferita al comparto intero della tassazione sugli immobili, sarà assicurata da interventi sulle aliquote. Si tratterà sia delle aliquote dell'imposta patrimoniale, sia, in maniera probabilmente più importante, delle aliquote delle imposte sui trasferimenti degli immobili, con l'ulteriore vantaggio di ridurre alcune distorsioni del mercato immobiliare e, quindi, di recuperare efficienza in tale mercato.
Il secondo ambito di intervento indicato come prioritario dagli esperti del Fondo monetario internazionale è quello della tassazione del reddito di impresa, che dovrebbe essere rivista in funzione della crescita delle imprese e dell'aumento della loro competitività internazionale.
Il disegno di legge delega, in particolare, persegue la neutralità del sistema tributario rispetto alle scelte dei contribuenti, correggendo alcune distorsioni esistenti.
Richiamerò adesso, nel dettaglio, il meccanismo di tassazione prefigurato dal disegno di legge.
Essenzialmente, si intende assoggettare a un'imposta unica, con la stessa aliquota prevista per la tassazione delle società di capitali, i redditi di impresa e di lavoro autonomo. In questo modo, si assicura la neutralità fiscale rispetto alla scelta della forma giuridica dell'impresa. Il meccanismo di tassazione prevede la deducibilità dalla base imponibile del reddito di impresa, che dovrebbe essere assoggettato all'aliquota uniforme dell'imposta societaria, della parte del reddito medesimo imputabile all'imprenditore o al socio che presta la sua opera nella società.


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Tale remunerazione, deducibile dal reddito d'impresa, diviene assoggettabile, invece, all'imposta personale sul reddito delle persone fisiche. In questa maniera, si consegue anche un miglioramento dell'equità orizzontale. Si tratta di un reddito che, in effetti, può essere considerato come un reddito da lavoro, alla stessa stregua degli altri redditi da lavoro, normalmente assoggettati all'imposta personale sul reddito progressiva.
L'applicazione della predetta forma di tassazione uniforme, riguardante anche i soggetti diversi dalle società, incentiva la capitalizzazione delle imprese: il mantenimento degli utili all'interno di esse comporta un risparmio d'imposta, poiché l'aliquota uniforme dell'imposta societaria è generalmente inferiore all'aliquota marginale massima dell'imposta personale. L'incentivo favorirebbe ulteriormente la patrimonializzazione delle imprese rispetto a quanto già previsto con l'introduzione dell'aiuto alla crescita economica, introdotto con il decreto-legge cosiddetto «Salva Italia». Ricordo, in proposito, che la denominazione della misura da ultimo indicata, introdotta dal decreto-legge n. 201 del 2011, rende in italiano, con espressione secondo me efficace, la locuzione inglese Allowance for Corporate Equity.
Si introduce, quindi, un regime di deducibilità volto a favorire la patrimonializzazione delle imprese, unanimemente riconosciuto come uno dei fattori più importanti per promuovere la crescita del nostro sistema produttivo.
I principi e criteri direttivi di cui all'articolo 11 del disegno di legge prevedono anche nuove modalità di calcolo della base imponibile, in un'ottica di semplificazione e di razionalizzazione.
La disposizione in materia di imposizione sui redditi di impresa è piuttosto semplice, ma molto importante. Credo, signor presidente, che vi darà tanto da lavorare e da riflettere. In tale disposizione si fa riferimento, tra l'altro, all'istituzione di regimi che prevedano il pagamento forfetario di un'unica imposta. Ciò fa ragionevolmente presumere che, nella predisposizione dei decreti delegati, si troveranno modalità di trattamento delle imprese coerenti con le loro diverse dimensioni. Leggendo il testo del disegno di legge delega, appare ragionevole aspettarsi una razionalizzazione dei regimi forfetari per le imprese di piccole dimensioni, mentre l'applicazione del nuovo regime dovrebbe essere riservata alle imprese di più grandi dimensioni. Si tratterà di decidere come definire le modalità applicative e come assicurare la coerenza tra i regimi forfetari attualmente esistenti - il regime dei nuovi minimi, il regime per le nuove iniziative produttive e quello storico per le imprese in contabilità semplificata -, attraverso una tassazione diversa del reddito di impresa.
Il terzo ambito di intervento indicato dagli esperti del Fondo internazionale riguarda la certezza del diritto e il contrasto all'elusione e all'evasione fiscale, nonché il miglioramento dei rapporti tra fisco e contribuenti.
Si ritiene prioritario assicurare maggiore certezza del diritto. Occorre rimediare ai numerosi interventi stratificati - susseguitisi nel tempo con scarsa coerenza -, i quali hanno prodotto una conseguenza deleteria per il funzionamento del sistema fiscale: la mancanza di certezza, da parte dei contribuenti, in merito all'applicazione delle regole tributarie. La certezza del diritto è ritenuta non soltanto un fattore essenziale per la competitività, ma anche un elemento essenziale affinché le imprese effettuino in maniera corretta le proprie scelte di investimento.
Quando si pensa alla competizione tra ordinamenti diversi, si considerano, di solito, le caratteristiche dei sistemi tributari, collegate alle caratteristiche strutturali delle imposte (determinazione della base imponibile e definizione delle aliquote). Per stabilire quale sistema tributario sia più attrattivo rispetto a un altro, si confrontano entità e definizioni sofisticate - quali aliquote effettive marginali o aliquote effettive medie -, perdendo di vista, tuttavia, il fatto che alcune caratteristiche complessive dell'ordinamento possono giocare un ruolo altrettanto importante nella localizzazione delle attività produttive.


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È questa, fondamentalmente, l'idea che ha spinto gli esperti del Fondo monetario internazionale a individuare nella maggiore certezza del diritto una delle esigenze da soddisfare prioritariamente, per perseguire gli obiettivi del consolidamento dei saldi di finanza pubblica e della crescita del sistema economico italiano.
Il disegno di legge delega introduce una definizione generale di abuso del diritto, riferendola a tutti i tributi e prevedendo adeguate garanzie procedimentali. L'ambito in cui si deve operare presenta un'estrema complessità. Sappiamo, in particolare, quanto sia difficile recepire in una norma un concetto tanto complesso e sfuggente come quello dell'abuso del diritto, ma anche quanto sia importante, per le nostre imprese, avere certezza delle conseguenze anche fiscali delle scelte economiche da compiere.
I principi e criteri direttivi previsti dal disegno di legge delega si caratterizzano per il fatto che il concetto di abuso del diritto che si intende introdurre nel nostro sistema tributario in sostituzione delle attuali disposizioni antielusive, è esteso a tutti i tributi non armonizzati, ponendo a carico dell'amministrazione l'onere della prova del disegno abusivo e a carico del contribuente, invece, l'onere di allegare l'esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti, non marginali, che giustifichino il ricorso agli strumenti giuridici utilizzati. Inoltre, sono previste adeguate garanzie procedimentali volte a garantire un efficace contraddittorio tra amministrazione finanziaria e contribuente in ogni fase del procedimento di accertamento e in ogni stato e grado del giudizio tributario.
L'idea, anche in questo caso, è proprio quella di favorire le scelte delle imprese che possono essere positive per la crescita economica.
Dell'argomento ha parlato in molte occasioni il Sottosegretario Ceriani. Da economista, credo si tratti di un aspetto molto importante. Esprime una profonda verità, che ha, peraltro, un chiaro senso economico, l'affermazione secondo la quale le scelte produttive o di investimento delle imprese possono essere compiute in maniera efficiente anche in condizioni di rischio, laddove si intenda fare riferimento, con tale locuzione, a eventi non noti, ai quali è possibile, tuttavia, assegnare una probabilità di verificazione. L'assunzione del rischio è, infatti, un elemento essenziale dell'attività imprenditoriale, e la remunerazione dell'imprenditore comprende anche quella per l'assunzione del rischio.
Altra questione sono, invece, le scelte in condizioni di incertezza, condizionate da eventi di cui non si conosce la probabilità. In questi casi, sono altamente probabili scelte produttive o di investimento non ottimali, scelte di non investire o di investire in altri luoghi, di localizzare attività produttive in Paesi e in contesti economici i cui ordinamenti garantiscano maggiore certezza.
Sempre nell'ottica di aumentare la certezza del diritto, il disegno di legge delega migliora i rapporti tra l'amministrazione finanziaria e i contribuenti, seguendo le raccomandazioni dell'OCSE sulla enhanced relationship.
Vorrei spendere due parole su questo concetto. Si tratta di cambiare radicalmente il rapporto tra il fisco e le grandi imprese, le quali sono normalmente dotate di sistemi di controllo interno di diverso tipo. L'idea è quella di rendere obbligatorio, per i grandi contribuenti, l'inserimento nei controlli interni anche di sistemi di controllo del rischio fiscale. Questi dovrebbero essere validati dall'amministrazione finanziaria, che diventerebbe consapevole delle scelte delle imprese. L'adozione condivisa di un modello di controllo del rischio fiscale potrebbe essere accompagnata dall'offerta ai grandi contribuenti di effettivi e misurabili vantaggi, in termini di diminuzione dei costi di adempimento, di riduzione delle sanzioni e di miglioramento del rapporto con l'amministrazione, che sarebbe basato sulla correttezza e sulla lealtà.
Quello descritto non è uno schema teorico, ma un sistema che è stato adottato con successo in altri ordinamenti. Esso è stato monitorato e diffuso, in particolare,


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in Olanda e nel Regno Unito. Esistono, dunque, modelli concreti ai quali il legislatore nazionale potrebbe ispirarsi. Si tratta di un sistema che ridisegnerebbe il sistema delle relazioni tra fisco e contribuenti di grandi dimensioni.
Occorrerebbe intervenire, parallelamente, sulla relazione tra fisco e contribuenti di minori dimensioni. In tale ambito, il disegno di legge delega prevede che siano migliorati e razionalizzati gli attuali meccanismi di tutoraggio.
Il provvedimento incoraggia il legislatore ad adottare ulteriori provvedimenti di semplificazione e di razionalizzazione, riducendo anche l'impatto dell'accertamento sull'attività economica dei contribuenti.

PRESIDENTE. Professoressa, poiché il tempo è tiranno, suggerirei ai colleghi di fare riferimento, per quanto riguarda tax expenditure, tax gap e tassazione ambientale, alla relazione da lei consegnata.
Do quindi la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. La relazione è molto chiara e, pertanto, sarà sicuramente di ausilio alla Commissione.
Una delle disposizioni del disegno di legge delega riguarda la revisione dell'imposizione sui redditi di impresa. Non so, tuttavia, fino a che punto le previsioni recate dal provvedimento possano effettivamente fornire un aiuto alle imprese, soprattutto a quelle piccole e medie.
Dobbiamo considerare, infatti, che sono in numero sempre maggiore le piccole e medie imprese costrette a cessare l'attività a causa della tassazione troppo elevata e dell'enorme peso degli adempimenti burocratici. Per molte aziende, l'alternativa è cessare l'attività oppure trasferirla all'estero, e neanche gli interventi da lei illustrati, professoressa, sembrano sufficienti a evitare tale esito.
Perché non si riesce a concepire un sistema che riduca veramente la tassazione e gli oneri burocratici? Eppure, tanti altri Paesi europei lo fanno.
Prendendo ad esempio la tassazione immobiliare, si constata che la nostra è la più bassa nel contesto europeo. Perché, allora, non ci adeguiamo al resto d'Europa anche per quanto riguarda la tassazione delle imprese?
Alcuni servizi televisivi hanno mostrato come in Svizzera, ad esempio, la burocrazia sia veramente limitata rispetto alla nostra.
Passo alla seconda domanda. Abbiamo ascoltato in audizione i rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, i quali hanno evidenziato come sia possibile ridurre la tassazione sulle imprese. Attraverso la riduzione della spesa pubblica, ad esempio, è possibile recuperare ben 70 miliardi di euro.
Cosa ne pensa lei, che è sicuramente esperta in questo campo?

MARCO CAUSI. La mia prima domanda, professoressa, è ispirata dai coefficienti di Gini indicati nella nona pagina della sua pregevole relazione, riferiti alla concentrazione della ricchezza immobiliare in Italia.
Il grafico mostra, in particolare, che la ricchezza immobiliare totale è più concentrata del reddito disponibile e, inoltre, che la ricchezza immobiliare rappresentata dalle abitazioni principali è più concentrata di quella totale.
Lei sa benissimo, però, e questo è un tema da considerare, che ci sono molti proprietari di abitazione, in Italia, appartenenti ai decili di reddito più bassi. Almeno nei primi decili e, secondo alcuni, anche nel terzo, l'effetto della tassazione patrimoniale sulla prima casa è regressivo. Da questo punto di vista, le pongo una domanda tecnica: è possibile pensare a una riforma del sistema della detrazione che tenga conto di tale problema? Evidentemente, la detrazione fissa di 200 euro, uguale per tutti, non tiene conto del fatto che le detrazioni dovrebbero essere concentrate soprattutto sui decili più bassi di reddito. Se può, le chiedo di fornirci un'opinione in merito.
Passo al secondo punto.
La tassazione patrimoniale è uno degli argomenti del giorno, anche se non riguarda,


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a stretto rigore, il disegno di legge delega di cui ci stiamo occupando. Lei avrà sicuramente avuto modo di leggere un recente scritto del professor Longobardi, il quale propone di far evolvere l'IMU verso il modello inglese. Anche a tale proposito vorrei un suo parere.

FABRIZIA LAPECORELLA, Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze. Si tratta di uno scritto del mio maestro, onorevole Causi.

MARCO CAUSI. Ho sollevato la questione del modello inglese per l'IMU anche per stimolare la Commissione a discuterne.
Infine, passo al terzo punto. L'articolo 4 del disegno di legge delega riguarda il riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale (vengono in considerazione le cosiddette tax expenditures).
Tuttavia, se il predetto riordino fosse compiuto non attraverso la delega, ma, ad esempio, mediante un provvedimento d'urgenza, contestualmente a un ripensamento in merito all'aumento dell'IVA, non avrebbe, in fondo, lo stesso effetto? Se, da un lato, non incrementassimo l'aliquota IVA di un punto e, dall'altro, aumentassimo tutte le imposte indirette e le accise, riducendo l'erosione fiscale, non faremmo, più o meno, la stessa operazione?

ALESSANDRO PAGANO. Professoressa Lapecorella, rivolgo innanzitutto un ringraziamento a lei e a tutto il Dipartimento.
Ho preso molti appunti mentre lei svolgeva la relazione, ma adesso ritengo sia meglio concentrarsi su una sola questione. In particolare, avrei piacere di sentire un suo parere, professoressa, in merito alla revisione del catasto dei fabbricati.
Molti parlano del disegno di legge in discussione come se si trattasse di una riforma epocale del sistema fiscale. Invece, lo si può considerare, al massimo, come un intervento di manutenzione straordinaria, concentrato soprattutto su due elementi: il riordino dell'erosione fiscale e la revisione, secondo una logica di equità, del catasto dei fabbricati.
Poiché non mi sembra di poter rilevare altri spunti di riflessione straordinari - nel senso, proprio e nobile del termine, di «fuori dall'ordinario» - il mio giudizio coincide con quello che lei, professoressa, ha testé illustrato.
Con riferimento alle due problematiche evidenziate, vorrei avere il suo illuminato parere, da studiosa della materia, in merito a un dato che appare assolutamente incontrovertibile da un punto di vista statistico e demografico.
La revisione del catasto dei fabbricati - o, meglio, la rivalutazione delle rendite - è stata presentata come necessaria all'interno di una logica di equità. Anch'io la penso così. Ci sono zone territoriali, all'interno delle stesse città, che registrano differenziazioni assolutamente non giustificate, retaggio di anni precedenti. Tuttavia, molti esprimono la preoccupazione che, alla fine, la revisione sia il pretesto per introdurre una forma di tassazione supplementare, una patrimoniale nascosta.
Anche lei, professoressa, ha giustamente rilevato come la tassazione immobiliare risulti nettamente meno favorevole per lo Stato e, quindi, automaticamente più vantaggiosa per il contribuente, rispetto ad altri Paesi.
Non si tiene conto, però, di alcuni elementi che mi accingo a elencare.
In primo luogo, esiste, nel nostro Paese, un numero di unità immobiliari superiore alle esigenze reali. Ne sono state costruite moltissime, negli anni Settanta e Ottanta, anche grazie alle rimesse degli emigrati, perché tutti erano convinti che gli immobili fossero l'investimento per eccellenza. Il risultato è che abbiamo, oggi, una quantità di unità immobiliari superiore alle esigenze del Paese, nel quale non c'è crescita demografica. Ciò si traduce, quindi, in fattore di sottosviluppo (sa bene, professoressa, che l'aumento della popolazione genera elementi virtuosi di crescita economica).
Aumenta sempre di più, invece, l'età media della popolazione.


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È evidente che le transazioni immobiliari saranno sempre di meno in una situazione caratterizzata da quantità di immobili superiore a quella necessaria, offerta sperequata, età media che riduce il numero di transazioni, emigrazioni qualificate sempre più numerose. Non abbiamo neanche l'intelligenza di trattenere i nostri «cervelli», i quali, espatriando, non investono nel nostro Paese. Abbiamo, invece, una straordinaria capacità di attrarre, a differenza degli Stati Uniti, ad esempio, immigrati che non possono investire in immobili.
Ove si tenga conto di questi fattori sociologici e demografici, che non sono di poco conto, la pretesa di rendere le rendite catastali congrue rispetto al valore di mercato degli immobili, come si afferma nella relazione, avrà un esito che non è difficile immaginare: le posso assicurare, professoressa, che ci troveremo di fronte a un pesante crollo del mercato immobiliare. L'obiettivo è quello di adeguare le rendite ai valori di mercato; invece, avremo immobili i cui valori scenderanno ben al di sotto di quelli cui si ha riguardo dal punto vista tecnico.
Come vede, professoressa, la mia preoccupazione è seria.
Peraltro, l'80 per cento degli immobili è costituito da abitazioni principali, perché noi italiani abbiamo avuto la straordinaria capacità, o virtù, di investire nella casa. Ciò significa che rischiamo di realizzare, nel medio-lungo periodo, anche un'ingiustizia sociale.
Chiedo, in merito, il suo illuminato parere, non soltanto da direttore generale del Dipartimento delle finanze, ma anche da studiosa e da docente.
Se non ci sforziamo di capire quali effetti produrrà, nei prossimi dieci o venti anni, la revisione del catasto dei fabbricati, così come impostata, rischiamo di appesantire oltre misura la tassazione sugli immobili, di ritrovarci con un settore immobiliare annichilito dal punto di vista economico e di generare anche inaccettabili ingiustizie sociali. Auguri!...

COSIMO VENTUCCI. Ringrazio la professoressa Lapecorella.
Il planning è stato illustrato in maniera molto chiara, anche se, leggendo velocemente il documento consegnato alla Commissione, suscita qualche dubbio la frequente reiterazione delle parole «evasione» (che si legge otto volte) e «tassazione» (che compare quattordici volte). Mi auguro che dagli interventi in tali due ambiti possano scaturire vantaggi per i contribuenti, dal momento che sia lei, sia il dottor Befera avete posto l'accento sulla necessità di favorire un rapporto più aperto - e anche più cordiale, oserei affermare, se non fosse inappropriato riferire tale aggettivo a un'entità che non ha sentimenti - tra Stato e contribuenti.
Tuttavia, proprio da questo punto di vista, ho la sensazione che la strada da percorrere sia ancora molto lunga. In proposito, voglio citare un episodio che riguarda la mia famiglia. Mia madre ha una badante, la quale deve rinnovare il permesso di soggiorno. In questi casi, la prima operazione da compiere è effettuare un versamento di 6 euro per diritti di segreteria. Quindi, bisogna recarsi presso un ufficio postale per versare la predetta somma, previa compilazione di un bollettino a tre sezioni. Poi, si deve andare in tabaccheria per acquistare una marca da bollo da euro 14,62. Inoltre, bisogna procurarsi, presso il catasto, una pianta dell'appartamento, in base alla quale un tecnico deve attestare l'idoneità dell'alloggio. Nel caso specifico di mia madre, il comune obietta che lo spazio dedicato alla badante deve essere di almeno 28 metri quadrati, mentre mia madre ha indicato, nella documentazione, 26 metri quadrati, a fronte dei 60 complessivi dell'appartamento.
A proposito di adempimenti troppo complessi, le pare normale che, per consentire a una badante di rinnovare il permesso di soggiorno, una famiglia debba svolgere tutte le attività che ho elencato?
Ampliando il discorso al fisco, posso limitarmi a richiamare le considerazioni svolte dall'onorevole Causi a proposito


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delle detrazioni per i ceti più deboli, tra i quali le persone che, a 96 anni, vivono con meno di 1.000 euro al mese.
Nella sua qualità di direttore generale del Dipartimento delle finanze, cui competono funzioni di indirizzo e controllo nei confronti delle Agenzie fiscali, ha la possibilità, professoressa, di intervenire su questi aspetti della vita sociale?

PRESIDENTE. Desidero rivolgerle anch'io alcune domande, professoressa Lapecorella. Mi scuserà se esse riguarderanno anche temi che non sono stati trattati nella relazione.
Lei ha dato molto risalto alla missione in Italia del Fondo monetario internazionale e alle valutazioni espresse da tale organismo sul disegno di legge delega in discussione. Ora ci aspettiamo che anche l'ONU, la NATO e qualcun altro ci fornisca indicazioni sugli interventi da intraprendere nei prossimi anni in materia fiscale: la piacevolezza di un soggiorno a Roma, nel mese di luglio, costituisce anche uno stimolo a venire in visita...
A parte le battute, alcuni argomenti oggetto del disegno di legge delega non sono stati affrontati nella relazione per ragioni di tempo.
Il primo è il riordino del contenzioso tributario, tema non di poco conto. Credo che bisognerebbe affrontare seriamente i problemi della giustizia tributaria, anche perché ho l'impressione che gli ultimi interventi del Governo rischino di aggravarli. Mi riferisco soprattutto al progressivo smantellamento del Dipartimento delle finanze - è una mia idea; poi, lei mi dirà cosa ne pensa -, rilevabile anche nella cervellotica scelta di far transitare tutto ciò che concerne le risorse umane attraverso la Direzione del tesoro.
Insomma, mi pare che ci sia una scarsa concentrazione, diciamo così, rispetto ai temi della giustizia tributaria.
Mi piacerebbe sapere, ad esempio, a che punto sia la procedura per il reclutamento di 960 nuovi giudici.
Inoltre, una volta appreso, in occasione delle audizioni svolte, che i contribuenti risultano vittoriosi in circa il 40 per cento dei giudizi davanti alle commissioni tributarie, avevamo suggerito di procedere a una rilevazione dei motivi che determinano, per l'amministrazione finanziaria, una percentuale così alta di soccombenza, anche al fine di correggere, eventualmente, gli errori più ricorrenti commessi in fase di accertamento.
A che punto è tale attività? Vi siete formati un'idea delle questioni che gli organi di giustizia tributaria risolvono più spesso a scapito dell'amministrazione?
Per quanto riguarda il rapporto tra fisco e contribuenti, credo sia opportuno cominciare a ragionare in maniera più approfondita anche sui temi della giustizia tributaria.
L'ostinazione di alcuni dirigenti dell'Agenzia delle entrate, i quali, anche quando si avvedono di aver preso una topica, tendono a coltivare le controversie fino all'ultimo grado di giudizio, arreca un serio disturbo alle imprese, le quali, anche quando ottengono una pronuncia di accoglimento del ricorso, sono comunque costrette a sopportare gli oneri connessi al patrocinio legale, dal momento che le spese di giudizio sono quasi sempre compensate dal giudice. Credo che questo sia un problema da affrontare seriamente. Se il contribuente è costretto a servirsi di professionisti per difendersi in giudizio, e vince la causa, non si capisce perché non debba ottenere, oltre alla sentenza favorevole, anche il rimborso delle spese sopportate per far dichiarare illegittimo o infondato un accertamento.
L'altra questione che vorrei affrontare riguarda le convenzioni stipulate con le agenzie fiscali. Penso che anche le convenzioni possano formare oggetto di una robusta attività di spending review. È chiaro che rivedere i contratti di servizio con le agenzie fiscali potrebbe essere una buona strada per ridurne l'impatto economico.
Con il dottor Befera abbiamo affrontato anche la questione dell'aggio percepito dagli agenti della riscossione. Pur essendo accessorio, il tema deve essere affrontato.


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Voglio soffermarmi, però, su un aspetto. Terminata quella in corso, svolgeremo l'audizione del direttore dell'Agenzia delle dogane. Poiché il Dipartimento delle finanze si occupa delle convenzioni con le Agenzie fiscali, desidero sottoporle la particolare situazione dell'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, di cui è stata disposta l'incorporazione nell'Agenzia delle dogane.
Il fatto è che il bilancio dell'AAMS presenta qualche particolarità: costituendo appendice dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, esso viene parificato dalla Corte dei Conti e approvato dalle Camere con il Rendiconto generale dello Stato.
In seguito all'incorporazione, tutte le attività dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, la quale ha un bilancio di tipo pubblicistico, confluiranno all'interno di un'agenzia che ha un bilancio di tipo civilistico. Cosa succederà? Le entrate relative alla gestione dei giochi affluiranno direttamente allo Stato?
Inoltre, l'AAMS ha un costo di esercizio valutabile intorno ai 300 milioni di euro annui. Poiché lo Stato potrà finanziare fino al 50 per cento di tale costo, saremo costretti a reperire 150 milioni di euro per coprire il corrispondente saldo negativo.
Il fantomatico risparmio che deriverebbe dall'incorporazione è quantificabile nei termini che ho esposto? È corretto ipotizzare che il Governo dovrà reperire, in fase di assestamento, 150 milioni di euro da destinare al bilancio dell'Agenzia delle dogane, peraltro in assenza di una convenzione tra l'Agenzia medesima e il Ministero? Non le sembra che la tempistica e le attuali ristrettezze di bilancio non permettano tali operazioni? Non credo che 150 milioni di euro siano una somma facilmente reperibile nel bilancio dello Stato.
Passo a un'altra questione.
Il personale dell'Agenzia delle dogane gode di un trattamento economico migliore rispetto a quello dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. D'altra parte, bisogna considerare che è a carico del Ministero la quota delle spese per il personale dell'AAMS proveniente dalle soppresse direzioni provinciali del Tesoro. Al di là dei contenziosi che la predetta sperequazione potrà generare una volta realizzata l'incorporazione, non ritiene, professoressa, che la somma necessaria per attuare un livellamento retributivo - da me calcolata, approssimativamente, intorno ai 10 milioni di euro - debba essere considerata nel costo complessivo dell'operazione?
Il suo parere è importante, anche perché il Dipartimento si occupa delle convenzioni con le agenzie fiscali. A mio avviso, il tema dovrebbe essere approfondito in maniera adeguata, prima che si proceda di gran corsa verso un'incorporazione che - credo di interpretare il pensiero di molti colleghi - lascia alquanto perplessi.
Do la parola alla dottoressa Lapecorella per la replica.

FABRIZIA LAPECORELLA, Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze. Signor presidente, proverò a rispondere, seguendo l'ordine degli interventi, sia alle domande concernenti il disegno di legge delega, sia a quelle, più insidiose, riguardanti la riorganizzazione dell'amministrazione finanziaria.
Onorevole Comaroli, l'obiettivo del disegno di legge delega è quello di intervenire sulla tassazione delle imprese per favorirne la crescita e la competitività a livello internazionale.
L'idea sottesa all'istituzione della nuova imposta, che graverebbe sulle imprese oggi assoggettate all'imposta personale e progressiva, è senz'altro quella di ridurre il carico fiscale. Infatti, l'imposta sarebbe applicata al reddito di impresa che possiamo definire «puro», cioè diminuito della parte che può essere imputata all'imprenditore o al socio come remunerazione del lavoro da essi prestato nell'impresa. Tale reddito sarebbe uniformemente assoggettato all'aliquota applicata alle società di capitali, pari al 27,5 per cento e, quindi, ben più bassa dell'aliquota marginale media IRPEF, attualmente applicata,


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secondo un meccanismo progressivo, alle attività imprenditoriali organizzate in forma diversa da quella societaria.
Quello che si intende fare è lasciare assoggettata all'imposta personale progressiva soltanto la parte del reddito di impresa imputabile a remunerazione del lavoro prestato dal socio o dall'imprenditore e assoggettare, invece, a un'aliquota uniforme il reddito di impresa vero e proprio, col risultato di una riduzione della pressione fiscale.
Contestualmente - è questa la sfida per il Parlamento, che sarà chiamato a esprimere il proprio parere sugli schemi dei decreti legislativi di attuazione della delega - bisognerà procedere anche nell'altra direzione indicata dall'articolo 11 del disegno di legge: la revisione dei regimi forfetari. Quelli vigenti sono piuttosto vantaggiosi, ma sono troppo numerosi e, probabilmente, potrebbero essere più efficaci se fossero razionalizzati.
Allo stato, vige un regime per le nuove iniziative produttive dedicato alle persone fisiche, cioè agli imprenditori che pagano l'IRPEF, ai quali è concesso di pagare un'imposta sostitutiva dell'IRPEF progressiva e delle relative addizionali. L'aliquota dell'imposta sostitutiva è del 10 per cento, applicabile, in caso di avvio di un'attività produttiva effettivamente nuova, per un periodo massimo di tre periodi di imposta.
C'è, inoltre, il nuovo regime dei contribuenti minimi, modificato da una delle manovre estive dell'anno scorso. Il trattamento tributario è ancora più vantaggioso: si paga un'imposta sostitutiva dell'IRPEF e dell'IRAP, con l'aliquota del 5 per cento. Ne possono usufruire i soggetti di età inferiore a 35 anni, per cinque anni o, comunque, fino al compimento di tale età. In altre parole, un trentaduenne che entra in tale regime, può godere per cinque anni della predetta aliquota agevolata del 5 per cento.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Per capire meglio, di quanto si ridurrà la tassazione delle imprese in seguito all'attuazione della delega?

FABRIZIA LAPECORELLA, Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze. Non è scritto a quanto ammonterà la riduzione, ma è evidente il vantaggio che si può conseguire passando da una tassazione progressiva a una proporzionale. Tra parentesi, la tassazione proporzionale è relativamente più efficiente della tassazione progressiva, perché l'effetto distorsivo di un'imposta aumenta con il crescere delle aliquote marginali.
Complessivamente, la razionalizzazione dei regimi in discussione può produrre significativi risparmi. Probabilmente, essa dovrà, o potrà, essere utilmente accompagnata da una revisione dei regimi agevolativi attualmente previsti per le imprese, indicati nella Relazione finale del gruppo di lavoro che si è occupato, nel 2011, delle tax expenditures.
A me sembra che ci siano tutti gli elementi per intervenire in maniera specifica, efficace e vantaggiosa sulla determinazione del reddito di impresa, in particolare delle imprese piccole e medie, nel rispetto del principio di neutralità finanziaria, come richiesto dal disegno di legge delega.
Con riferimento alla questione delle tax expenditures e dell'aliquota IVA, credo che la formulazione dell'articolo 4 del disegno di legge consenta al legislatore delegato di affrontarla in entrambi i modi considerati.

PRESIDENTE. Cosa dice il Fondo monetario internazionale a proposito delle tax expenditures?

FABRIZIA LAPECORELLA, Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze. Il Fondo monetario internazionale apprezza.
Voglio evidenziare che il disegno di legge delega rappresenta, sotto questo profilo, un'evoluzione di disposizioni esistenti. Infatti, l'articolo 21, comma 11, lettera a), della legge n. 196 del 2009 (legge di contabilità e finanza pubblica) già prevede che nella nota integrativa di cui deve essere corredato ciascuno stato di previsione dell'entrata si debbano specificare, tra l'altro,


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gli effetti connessi alle disposizioni normative vigenti, con separata indicazione di quelle introdotte nell'esercizio, recanti esenzioni o riduzioni del prelievo obbligatorio, con l'indicazione della natura delle agevolazioni, dei soggetti e delle categorie dei beneficiari e degli obiettivi perseguiti.
Sulla base di tale disposizione, il gruppo di lavoro guidato dal Sottosegretari Ceriani, che si è occupato, su incarico del Ministro Tremonti, dell'erosione fiscale, ha tenuto conto di una nozione ampia di agevolazione fiscale, nella quale è stata ricondotta qualsivoglia ipotesi di deviazione legale dai principi generali dell'imposizione fiscale in grado di determinare un'erosione della base imponibile.
Il disegno di legge delega conferma che la questione è importante. Non bisogna dimenticare che un così ampio lavoro di ricognizione delle tax expenditures e di ricostruzione dell'erosione fiscale non era mai stato compiuto in Italia. Stiamo facendo riferimento, quindi, a un'iniziativa nuova, che l'articolo 4 del disegno di legge colloca all'interno della procedura di bilancio.
Presumibilmente, ciò comporterà una modificazione della legge n. 196 del 2009, volta a consentire al Parlamento di scegliere con maggiore consapevolezza quali «spese fiscali» mantenere e quali abolire.
L'articolo 4, comma 1, del disegno di legge prevede l'eventuale istituzione di una commissione di esperti. Credo sia una scelta ragionevole, trattandosi di una materia estremamente complessa.
La razionalizzazione dell'area dell'erosione fiscale è senz'altro da attuare. La Relazione finale del gruppo guidato dal Sottosegretario Ceriani è uno strumento di lavoro prezioso: non tanto perché indica i miliardi di euro che si potrebbero risparmiare mediante l'eliminazione delle singole spese, quanto perché, associando a ciascuna di tali spese un codice di classificazione, fornisce un'indicazione di massima circa le sue finalità (e mi dispiace che di ciò nessuno abbia ancora parlato).
Al tavolo del gruppo di lavoro si sono seduti, tra gli altri, trentadue specialisti di fisco, provenienti dalla società civile e dalle associazioni, con i quali è stata concordata l'assegnazione a ogni singola misura dell'anzidetto codice, in base al quale il legislatore potrà formarsi un'idea non soltanto della manovrabilità delle singole spese, ma anche degli effetti di un'eventuale soppressione, riduzione o riformulazione.
Ad esempio, uno dei codici indica che la misura garantisce il rispetto di principi di rilevanza costituzionale, un altro che essa garantisce la compatibilità con l'ordinamento comunitario e il rispetto di accordi internazionali. Sia pure in maniera elegante, la Relazione indica, attraverso i codici, anche le spese che, essendo frutto di pressioni e stratificazioni varie, potrebbero essere eliminate dal sistema senza provocare sconquassi e, anzi, conferendo ad esso, presumibilmente, maggiore efficienza.
È stato svolto davvero un grande lavoro.
Il processo di monitoraggio, eventualmente guidato da un gruppo di esperti, e l'incorporazione dello stesso nell'ambito della procedura di bilancio sono aspetti molto qualificanti, sui quali vale la pena di puntare per ottenere risultati positivi.
Per quanto riguarda le considerazioni dell'onorevole Causi in merito alle curve di Lorenz e agli indici di concentrazione di cui alla nona pagina della relazione, è vero che l'incremento della tassazione patrimoniale, e l'assoggettamento alla tassazione della prima casa, può avere effetti molto pesanti sui proprietari di prime abitazioni compresi nei primi tre decili della distribuzione del reddito. È sicuramente un'idea quella di rivedere il sistema della detrazione, che adesso è uniforme.
Credo, onorevole Causi, che la revisione del catasto dei fabbricati potrà produrre una significativa correzione degli effetti perversi che colpiscono proprio i soggetti appartenenti alle fasce più basse della distribuzione del reddito.
Uno dei modi più efficaci per spiegare quanto è importante la predetta revisione è quello di evidenziare, ad esempio, che l'immobile situato in piazza Navona rientra nella categoria delle abitazioni popolari,


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mentre un appartamento di 100 metri quadrati in via dei Ciclamini, a Centocelle, costruito dieci anni fa, rientra nella categoria delle abitazioni civili ed ha, pertanto, una rendita catastale molto più alta del primo.
L'operazione che si intende compiere - rispondo all'onorevole Pagano - consiste non nell'equiparare i valori catastali a quelli di mercato, ma nel ridurre proporzionalmente, e in maniera congrua, il differenziale attualmente esistente tra le rendite catastali e i valori patrimoniali di mercato delle unità immobiliari.
Con il decreto-legge cosiddetto «Salva Italia», disponendo l'aumento uniforme delle rendite catastali, il Governo ha preso come termine di riferimento un valore che esprimeva l'evidenziato squilibrio - l'ultimo aggiornamento è stato effettuato nel 1990 -, potenziandolo: se si aumentano uniformemente le rendite catastali di tutti gli immobili, si incrementa l'effetto di sperequazione alle stesse connesso.
Ciò che si intende fare è ridurre il differenziale tra rendite e valori di mercato, in maniera coerente sul territorio nazionale. La combinazione di una revisione delle rendite e di un'eventuale revisione della detrazione (commisurata al reddito) dovrebbe porre rimedio al segnalato problema distributivo.
Per quanto riguarda l'idea, lanciata dal professor Longobardi, di escludere dalla base imponibile dell'IMU gli immobili di impresa, per assoggettarli a un'imposta patrimoniale erariale, essa è mutuata dal sistema inglese ed è solida dal punto di vista economico, perché evita la cosiddetta esportazione dell'imposta. Credo che la proposta, già allo studio della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, sia anche oggetto di una seria valutazione da parte del Governo.
Del resto, com'è stato ripetutamente sottolineato, l'intervento effettuato sull'IMU con il «Salva Italia» ha avuto carattere emergenziale, e gli effetti prodotti dall'introduzione del prelievo saranno attentamente valutati nel 2012. Come la Commissione sa, il Dipartimento sta puntualmente monitorando il gettito, cercando di ricostruire, tra l'altro, come e da quali immobili esso sia generato. Credo che una riflessione più generale sull'IMU potrebbe consentire di correggere la distorsione evidente di un'imposta locale che è attribuita anche all'erario.
Le domande che mi ha rivolto l'onorevole Pagano sono molto complesse. Una riflessione articolata come quella da lei svolta, onorevole, contiene sicuramente molte verità, per quanto riguarda, in particolare, la distribuzione della proprietà immobiliare e il funzionamento del mercato immobiliare, in collegamento con fattori di ordine demografico e sociologico.
All'inizio della relazione, ho sottolineato che la revisione del catasto dei fabbricati sarà realizzata a invarianza del gettito complessivo derivante dalla tassazione immobiliare, ragionevolmente operando sulle aliquote dell'imposta patrimoniale. E poiché l'obiettivo della neutralità, ossia dell'invarianza di gettito, è pensato rispetto all'intero comparto immobiliare, si dovrà e si potrà intervenire anche sulle aliquote delle imposte sui trasferimenti. Ciò è molto importante, onorevole Pagano, perché potrebbe correggere alcuni tra i meccanismi distorsivi che lei rappresentava.
In generale, le imposte sui trasferimenti degli immobili sono alte e distorsive. Ridurre l'aliquota di tali imposte genera efficienza e fa funzionare meglio il mercato. Questo può essere un risultato desiderabile. In questo senso, la revisione degli estimi catastali porterà guadagni sul piano dell'equità e su quello dell'efficienza.
Passo alle domande del vicepresidente Ventucci, il quale ci ha raccontato una storia raccapricciante, che appartiene, purtroppo, alla realtà quotidiana. Ciò che è scritto a proposito di semplificazione nel provvedimento di cui stiamo discutendo non è una novità assoluta: sono anni che sentiamo parlare dell'argomento.
Sappiamo tutti che la riduzione dei costi di adempimento - nel caso di specie, degli obblighi fiscali - è un fattore strategico di miglioramento del sistema. Esiste una genuina determinazione a perseguire tale obiettivo. Posso aggiungere soltanto


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che l'amministrazione finanziaria, allo scopo di migliorare la vita dei contribuenti e il loro rapporto con il fisco, ha impegnato notevoli risorse umane e finanziarie, soprattutto negli ultimi anni, per rendere più efficienti i servizi telematici.
È un lavoro cui è stato impresso un forte impulso soltanto in questa legislatura e che, probabilmente, non ha ancora generato completamente i suoi frutti. Tuttavia, siamo andati avanti. Ho avuto occasione di rappresentare ai vostri colleghi della Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria i passi in avanti compiuti nel processo di integrazione delle banche dati fiscali e, in parte, anche contributive. Esistono, insomma, gli strumenti per realizzare un mondo migliore, se così mi posso esprimere, ma dobbiamo ancora lavorare - noi e voi - per conseguire tale risultato.
Signor presidente, concludo con le domande relative alla riorganizzazione del MEF.
Tra quelle che ha posto, l'ultima è la più complessa. Preciso subito che non ho una risposta da darle. Posso affermare, però, che la gestione dei profili amministrativi e contabili connessi alle incorporazioni dell'Agenzia del territorio nell'Agenzia delle entrate, nonché dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato nell'Agenzia delle dogane, è all'esame dei tecnici del Dipartimento delle finanze.
In particolare, la direzione impegnata in tale attività è quella che cura la predisposizione delle convenzioni tra il Ministero e i direttori delle agenzie e della Ragioneria generale dello Stato. Sono molteplici gli ispettorati della Ragioneria generale dello Stato coinvolti - tra questi, l'Ispettorato generale del bilancio, l'Ispettorato generale di finanza e l'Ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e analisi dei costi del lavoro pubblico -, perché è ben chiaro che i problemi tecnici da affrontare e risolvere sono di diverso ordine.
Le riunioni tecniche sono state avviate tempestivamente e, allo stato, posso riferire che i problemi sono emersi. Bisognerà trovare le modalità tecnicamente corrette sia per attuare le disposizioni recate dal decreto-legge n. 95 del 2012, sia per affrontare le ricadute sui saldi di finanza pubblica che esse potrebbero determinare.
L'unica rassicurazione che posso fornire alla Commissione è che c'è un grosso impegno da parte delle strutture tecniche dell'amministrazione. Può anche darsi che, per risolvere eventuali difficoltà, occorra assumere scelte politiche importanti.
Sono felice che abbia fatto un riferimento alle convenzioni, signor presidente, non perché il mio Dipartimento ha tra i sui compiti istituzionali quello di supportare il Ministro dell'economia e delle finanze nella definizione dei provvedimenti che disciplinano l'interazione tra il Ministero e le agenzie fiscali, ma perché credo che sia importante, in particolare in questa fase della vita delle amministrazioni centrali, ricordare la questione.
Credo nel modello delle agenzie fiscali. Il mio convincimento personale è che tale evoluzione organizzativa abbia generato indubbi vantaggi per tutti. L'efficienza delle diverse strutture è migliorata, e molto può ancora essere fatto.
Il modello agenziale nasce per gestire un rapporto in cui un soggetto, il vertice politico, delega il potere decisionale a un altro soggetto, il direttore dell'Agenzia delle entrate, in una posizione asimmetrica, cioè senza avere tutte le informazioni necessarie per controllare esattamente le scelte compiute dal gestore. In simili circostanze, si disegna un meccanismo di incentivi finanziari, che dovrebbero produrre l'allineamento di obiettivi potenzialmente in conflitto. In altre parole, uno schema di incentivi appropriato dovrebbe assicurare al vertice politico che il direttore dell'agenzia fiscale perseguirà gli obiettivi definiti a livello politico nel migliore dei modi. Non mi considerate folle: questo è ciò che sostiene la teoria economica dell'organizzazione, ed è su questi principi che si fonda l'intero modello agenziale. Si tratta di un modello che ha poco più di un decennio di vita e che può essere sicuramente migliorato.


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Come lei ha ricordato, signor presidente, i rapporti tra il Ministero e le agenzie fiscali sono disciplinati dalla convenzione, che rappresenta uno strumento - flessibile, controllabile, verificabile e, soprattutto, trasparente - per realizzare, annualmente, una spending review. Lo strumento andrebbe potenziato. Posso assicurare che sono state avviate, a livello amministrativo, tutte le attività per conseguire tale obiettivo. Probabilmente, è necessario anche un forte impulso politico. Lo strumento dovrebbe essere supportato, proprio per le sue potenzialità sotto il profilo del controllo delle risorse del bilancio statale e delle agenzie fiscali.

PRESIDENTE. L'uso del condizionale è dovuto al fatto che queste operazioni non sono state compiute?

FABRIZIA LAPECORELLA, Direttore del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze. Le convenzioni si stipulano ogni anno, e sono state stipulate anche quest'anno: prima dell'estate, il Ministro dell'economia e delle finanze ha firmato le convenzioni che regolano i rapporti con le quattro agenzie fiscali. Ogni convenzione è stipulata sulla base dell'implementazione originaria del modello agenziale.
Forse, sarebbe stata utile la previsione, nell'ambito della spending review, di una norma volta ad assicurare un'evoluzione più stringente dello strumento convenzionale - sotto il profilo del controllo delle risorse utilizzate dalle agenzie -, rivedendo le variabili e gli indicatori ai quali è collegata la corresponsione delle risorse medesime. Si tratta di un aspetto molto importante, al quale stiamo lavorando. Tuttavia, la prospettata evoluzione presuppone scelte politiche importanti.
Non posso rispondere ad alcune delle domande da lei poste, signor presidente, perché, allo stato, la Direzione della giustizia tributaria, con tutte le sue competenze e il suo assetto organizzativo, è stata trasferita al Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi del MEF.
Si prevede che alcune competenze tornino ad essere attribuite, in futuro, al Dipartimento delle finanze, in particolare quelle concernenti il monitoraggio e l'analisi del contenzioso, riconducibili alla funzione di supporto alla policy tributaria, che il Dipartimento ha come missione istituzionale.
Allo stato, però, la situazione non è questa. L'articolo 4, comma 6, del decreto-legge n. 87 del 2012 ha disposto, con effetto dal 27 giugno scorso, il trasferimento della Direzione per la giustizia tributaria a un altro dipartimento del MEF. Di conseguenza, le informazioni circa la fase di svolgimento della procedura per il reclutamento di 960 giudici tributari potrà fornirle il direttore del Dipartimento dell'amministrazione generale dei servizi e del personale. Lo stesso vale per lo stato del contenzioso.
Mi auguro sinceramente che la situazione attuale sia una sorta di limbo. Ritengo inconcepibile che le funzioni in materia di giustizia tributaria, o alcune tra esse, possano essere esercitate all'esterno del Dipartimento delle finanze. Si tratta, infatti, di un ingrediente essenziale, di un supporto alla nostra policy, come abbiamo già avuto modo di rimarcare in alcune audizioni.

PRESIDENTE. Ringraziamo la professoressa Lapecorella, anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1).
Non abbiamo il tempo, adesso, per svolgere audizioni specifiche su quest'ultimo tema, ma sarà il caso, magari dopo l'esame del disegno di legge delega, di chiedere informazioni sull'operatività della giustizia tributaria alla dottoressa Baffi, direttore del Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi del Ministero dell'economia e delle finanze.
Dichiaro conclusa l'audizione.


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Audizione del Direttore dell'Agenzia delle dogane, nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 5291, recante «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita».

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Direttore dell'Agenzia delle dogane, nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 5291, recante «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita».
Informo i colleghi che il nostro ospite ha consegnato alla Commissione una ponderosa relazione di ben 63 pagine, che è a disposizione di chi voglia consultarla. Immagino che essa dia conto della situazione attuale dell'Agenzia delle dogane.
Do la parola al dottor Peleggi.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Lasciamo agli atti un documento che illustra lo stato dell'arte dell'Agenzia, ovvero della produttività dei settori di cui ci occupiamo, nonché gli andamenti riferiti ai vari settori.
Consegno, inoltre, un documento più puntuale, ma meno sostanzioso (di sole tre pagine), riguardante l'articolo 14 del disegno di legge delega.
L'altro documento è di contenuto più generale e può soddisfare eventuali curiosità. Riteniamo di avere sempre da imparare molto da un confronto con la Commissione, che può aiutarci a migliorare.

PRESIDENTE. Rispetto all'ultima audizione, in occasione della quale ci illustrò tutto lo strumentario - anche musicale... - dell'Agenzia delle dogane, sono sopravvenuti fatti che potrebbe aiutarci a comprendere meglio, al di là della questione della fiscalità ambientale, che sicuramente è di nostro interesse?

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Di novità e innovazioni ce ne sono molte.
L'occasione è buona per invitare la Commissione a visitare la sala analisi dell'Agenzia, che qualcuno avrà già avuto modo di vedere in televisione. È stato trasmesso, una settimana fa, un programma interessante, Sirene, nel corso del quale è stato spiegato come la sala analisi dell'Agenzia delle dogane sia riuscita a individuare da Roma, anche attraverso i nostri laboratori chimici, una nuova formula di smart drug, ovvero di droga, che veniva distribuita a basso costo come profumante per la casa.
Attraverso un'attività di indagine condotta con i ROS, e alcune intercettazioni, l'Agenzia è riuscita a cogliere momenti particolari della vita di questo Paese: i commercianti italiani delle smart drug, il cui commercio avveniva anche attraverso distributori operanti 24 ore su 24, a costo basso - una bustina di smart drug, da fumare, di certo non da usare come deodorante per la casa, costava 20 euro -, raccomandavano di riprodurre sulla bustina le immagini più idonee ad adescare meglio i nostri figli adolescenti. È stata un'indagine un po' particolare, che è stata documentata mediante filmati. Alcune immagini sono state trasmesse dalla televisione.
In altri casi, invece, la nostra sala conquista una diversa ribalta. Basta leggere l'ultima relazione del procuratore nazionale antimafia, laddove si sostiene che uno dei più moderni sistemi di intelligence internazionale sviluppati negli ultimi anni in Italia è proprio quello dell'Agenzia delle dogane.
Vi inviterei, dunque, a visitare la nostra sala mentre si svolgono le varie attività. Avrete modo di visualizzare il commercio mercantile mondiale in tempo reale. Vedrete l'immagine del globo con alcuni puntini, e vi mostreremo come si ottiene, cliccando su uno qualsiasi di essi, il relativo punto nave (ciascun puntino rappresenta, infatti, una nave). Dopo di che, lavoreremo sul tragitto storico della nave: se è diretta verso l'Italia, consulteremo il manifesto merci e risaliremo allo storico dei container trasportati. Comprenderete,


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in tal modo, che tipo di operazione abbiamo messo in piedi negli ultimi anni.
Al suo interno, la sala è gestita da giovani laureati in statistica, ciascuno con esperienze un po' particolari, che analizzano i traffici per individuare eventuali devianze e situazioni non coerenti. L'antifrode centrale, attrezzata con questa sala, ha numerose indagini in corso, soprattutto per conto della Direzione nazionale antimafia, ma anche di alcune direzioni distrettuali. C'è una forte collaborazione, come risulta dai sequestri effettuati, con la DDA di Reggio Calabria, ed è molto intensa l'attività che abbiamo svolto negli ultimi due anni sul porto di Gioia Tauro.
Con la sala in funzione, siamo passati da 4.000 chili di stupefacenti sequestrati tre anni fa ai 7.000 chili dell'anno scorso. Di questi, 4.000 sono di cocaina pura, che corrispondono a 20.000 chili allo spaccio. Considerando che il prezzo della cocaina allo spaccio è di 50 euro al grammo, credo che, sequestrando 4.000 chili di sostanza pura, abbiamo provocato un bel danno ai signori della criminalità organizzata. È evidente che non pensiamo di avere rintracciato tutto il commercio di droga; credo, tuttavia, che abbiamo messo in piedi un'attività utile anche sotto questo profilo.
Un'altra attività che è andata fortemente crescendo è quella relativa al traffico dei rifiuti. Anche in questo caso abbiamo messo insieme una buona analisi dei flussi e delle loro incoerenze commerciali. Stiamo svolgendo un'attività intensa, cui non ha mancato di dare risalto la stampa, per la tutela dell'olio extravergine d'oliva. Sono stati eseguiti importanti sequestri anche presso grandi ditte distributrici italiane, le quali commerciavano come olio extravergine italiano un prodotto che non era tale.
Stiamo lavorando su molti fronti. È evidente che in diversi casi, come per la tutela della mozzarella o del prosciutto, stiamo lavorando molto sul fronte extratributario. Si è notevolmente ridotto il fenomeno dell'ingresso nei porti italiani di merci contraffatte. Sette od otto anni fa si parlava di Napoli come del principale punto d'ingresso di prodotti contraffatti; oggi, invece, i porti di ingresso della contraffazione non sono quelli italiani.
Resta il problema creato dalla dimensione di tali traffici. Noi riusciamo a sequestrare il 30 per cento del contraffatto sequestrato in tutta la Comunità europea. La Cina è il più grande produttore di merci contraffatte. In Italia, l'importazione cinese è pari all'8 per cento della quota comunitaria, ma i nostri sequestri rappresentano il 30 per cento del totale della Comunità. Stiamo fornendo, quindi, una dimostrazione di maggiore efficienza. I cinesi non si accaniscono - diciamo così - nel tentativo di sbarcare merci contraffatte nei nostri porti, poiché sanno che la nostra dogana è quella più efficiente.
Abbiamo testimonianze e prove, grazie alle numerose indagini condotte, che i porti del Nord Europa sono, in realtà, meno controllati sotto questo profilo: forse, perché la loro vocazione doganale va più verso il transito veloce che non verso la tutela delle imprese manifatturiere. L'Italia, invece, ha ancora un po' di produzione manifatturiera. Siamo, a detta di tutti, il secondo Paese europeo, dopo la Germania, che ancora produce merci e prodotti buoni.
Compito della dogana non è attuare il protezionismo di storica memoria, ma svolgere un'attività a metà strada tra la difesa del consumatore e quella della piccola e media impresa, che va comunque tutelata rispetto a un prodotto sostitutivo non di pari qualità. Su questo punto dobbiamo essere chiari.

PRESIDENTE. Venendo al disegno di legge delega, cosa ci può riferire?

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Tornando alla materia più strettamente fiscale, l'articolo 14 del disegno di legge delega prevede la possibilità di introdurre l'emissione di CO2 nell'ambito dei criteri per strutturare l'aliquota delle accise sui prodotti energetici.
Il testo che mi accingo a leggere chiarisce sia l'assetto da cui siamo partiti, nel dibattito conseguente alla direttiva


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2003/96/CE, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, sia l'evoluzione successiva, in leggero miglioramento rispetto ai forti blocchi registrati all'inizio, attraverso le diverse presidenze semestrali succedutesi.
Dimenticavo: poiché ho invitato la Commissione a visitare la sala analisi dell'Agenzia, le sarei grato, signor presidente, se potesse fornirmi una risposta già oggi. Sarò felicissimo di accogliervi.

PRESIDENTE. Potremo prendere una decisione al riguardo non appena avremo terminato l'esame del disegno di legge delega.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Posso rendere più accattivante l'invito anticipandovi che, per due o tre ore, avrete la sensazione di essere in un film. Vi mostreremo indagini divertenti ed altre che non vi aspettereste di vedere, evitando, comunque, di far trapelare informazioni che, al momento, non possono essere rivelate. Vedrete che, pur rimanendo all'interno della sala, salterete in un secondo da una parte all'altra del mondo, dallo spillo all'elefante. Vi garantisco che sarà un'esperienza molto interessante.

PRESIDENTE. Chiameremo la missione Minority Report...

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. C'è anche Mission Impossible... Quella che vi propongo, invece, è una mission possibile. Stiamo utilizzando bene la nostra sala di analisi, e i risultati ci confortano.
Riprendendo il tema della fiscalità ambientale, in coerenza con gli obiettivi strategici dell'Unione europea in materia ambientale ed energetica e con le previsioni contenute nella proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2003/96/CE, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità (DTE), l'articolo 14 del disegno di legge delega il Governo a introdurre nuove forme di fiscalità volte a garantire l'equilibrio ambientale, nonché a rivedere la disciplina delle accise.
In particolare, in linea con la menzionata proposta di direttiva, si prevede che la tassazione tenga conto delle emissioni di CO2 dei prodotti energetici, fermo restando che i settori sottoposti a disciplina dello scambio delle quote di emissione (il sistema ETS) siano tenuti indenni dalla quota di tassazione afferente la componente CO2. Le entrate afferenti l'introduzione della tassazione della CO2 saranno destinate prioritariamente all'incentivazione delle fonti di energie rinnovabili e agli interventi volti alla tutela dell'ambiente. I decreti legislativi di attuazione della disposizione in parola entreranno in vigore in coerenza con le disposizioni di recepimento della emananda direttiva.
In relazione alla proposta di direttiva che modifica la DTE, va evidenziato che tale proposta è stata presentata dalla Commissione agli Stati membri nell'aprile del 2011. Con la suddetta proposta, la Commissione ha inteso allineare le disposizioni della direttiva agli obiettivi che l'Unione europea si è data in materia di energia e di cambiamenti climatici, in adesione alle richieste del Consiglio europeo del marzo 2008.
In particolare, la Commissione intende introdurre due distinti pilastri per la tassazione dei prodotti energetici, uno legato alla componente relativa all'emissione di CO2 (aliquota per tonnellata di CO2 emessa) e l'altro relativo alla componente energetica (aliquota per Gj), in modo tale che i livelli di imposizione riflettano le emissioni di CO2 e il potere calorifico netto in modo uniforme per le diverse fonti di energia.
Tuttavia, i valori di emissione riguardanti il contenuto energetico vengono individuati dalla direttiva non espressamente, ma attraverso il richiamo di direttive e decisioni assunte a livello comunitario in campo ambientale.
La Commissione ha, altresì, proposto: che gli Stati membri, nel fissare i livelli minimi di tassazione nazionale, riproducano il rapporto esistente tra i livelli


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minimi di imposizione fissati nella medesima, il cosiddetto principio di proporzionalità; un'esenzione obbligatoria della tassazione legata alla CO2 per le attività che rientrano nel sistema di scambio di quote di emissione, per evitare sovrapposizioni tra i due strumenti; l'abolizione della possibilità concessa agli Stati membri di applicare un trattamento fiscale distinto per il gasolio professionale; l'introduzione di un credito di imposta relativo alla tassazione legata alla CO2 per gli impianti appartenenti a settori considerati esposti a rischio significativo di rilocalizzazione del carbonio; che le esenzioni obbligatorie o facoltative per i settori non compresi nel sistema ETS vengano limitate alla sola componente energetica, rivedendo, tra l'altro, alcune delle misure agevolative oggi consentite, tra cui la possibilità di concedere solo fino al 2023 esenzioni o riduzioni per il gas naturale o il GPL usati come carburanti; di modificare l'attuale possibilità di applicare un livello di tassazione fino a zero ai prodotti energetici utilizzati nei lavori agricoli, limitando tale facoltà alla sola componente energetica e a condizione che i beneficiari vengano soggetti a meccanismi che aumentano il rendimento energetico.
Nel testo proposto dalla Commissione viene indicata la data del 1o gennaio 2013 come decorrenza per l'applicazione delle disposizioni da parte degli Stati membri. Invero, la proposta è stata discussa dal gruppo questioni fiscali del Consiglio sotto le Presidenze ungherese (due riunioni), polacca (tre riunioni), danese (sei riunioni) e, da ultimo, cipriota (con due riunioni fino a oggi). Da più parti sono state avanzate obiezioni in ordine alla struttura della tassazione, al principio di proporzionalità, agli inevitabili incrementi delle aliquote minime, all'impatto sul sistema delle agevolazioni vigenti.
Da ultimo, la presidenza cipriota ha elaborato un testo di compromesso relativo ai primi dodici articoli della proposta, che tiene conto delle discussioni fin qui svolte e, soprattutto, delle intese raggiunte nel corso del dibattito di orientamento del Consiglio Ecofin del 22 giugno 2012 in ordine ai principi cui si dovrà ispirare la proposta di revisione della DTE.
In particolare, nella predetta sede è stato confermato che i livelli minimi di tassazione previsti nella nuova direttiva dovranno tener conto sia del contenuto energetico dei prodotti, sia delle emissioni di CO2 degli stessi, fermo restando che gli Stati membri manterranno completa flessibilità nel determinare la struttura della tassazione nazionale. Questo non è un aspetto da poco, perché imporre una tassazione minima sulla componente relativa alle emissioni di CO2 e sul contenuto energetico differenziato avrebbe significato spiazzare il sistema italiano. Infatti, noi usiamo gas e non energia nucleare, la quale ha un'emissione di CO2 nulla. L'imposizione di una tassazione minima avrebbe alterato ancora di più il differenziale di costo energetico della nostra produzione rispetto a quella di altri Paesi. Per questo motivo, ci siamo adoperati a difendere l'idea dei due criteri: la Commissione deve stabilire un minimo unitario, ma il compito di determinare il valore dell'una e dell'altra componente, all'interno del minimo, deve essere rimesso alla sovranità nazionale. Ciò ci consente di mantenere, senza aggravi, un sistema in cui a livello industriale viene usato il gas naturale. Immaginate cosa succederebbe se fosse imposto un minimo di 10 euro per tonnellata di CO2 emessa. Avremmo un notevole aggravio, che non riguarderebbe, invece, i Paesi che utilizzano energia nucleare. Sembrano questioni tecniche, ma alla fine, in pochissimo tempo, le scelte operate si ripercuotono sul costo marginale dei prodotti.
Inoltre, si è convenuto sull'eliminazione del principio di proporzionalità, previsto nell'originaria proposta della Commissione.
Conseguentemente, nel testo di compromesso, presentato nella riunione del gruppo questioni fiscali tenutesi in data 7 settembre 2012, la Presidenza cipriota ha proposto: che siano fissati espressamente i limiti minimi di tassazione unitari, stabilendo, contestualmente, che tali livelli sono


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determinati in base a due componenti di riferimento, una relativa alle emissioni di CO2, l'altra relativa al potere energetico dei singoli prodotti, i cui valori sono parimenti indicati nelle tabelle allegate al documento di compromesso (allo stato, comunque, a titolo indicativo); che gli Stati membri siano liberi di esprimere i livelli di tassazione nazionali in un'unica aliquota o in tassazioni separate, nel rispetto dei livelli minimi specificati nella direttiva; il superamento del principio di proporzionalità; la conferma di applicare aliquote di imposte differenziate, nel rispetto dei livelli minimi, nelle fattispecie previste dalla direttiva 2003/96/CE, tra cui gli usi del trasporto pubblico locale di passeggeri (nel quale non sarebbero più compresi i taxi), delle Forze armate e delle ambulanze, superando la limitazione, proposta dalla Commissione, del riferimento alla sola componente energetica; la possibilità, per gli Stati membri, di prevedere un'apposita aliquota per il gasolio commerciale, ancorando, tuttavia, tale facoltà a condizioni che la delegazione italiana non ha ritenuto potersi pienamente condividere (un passo, comunque, è già stato compiuto: esisterà un'aliquota per il gasolio commerciale).
Il nostro sistema non contempla l'aliquota differenziata, ma un sistema di rimborso equivalente. Rispetto a quello dell'aliquota differenziata, esso espone a minori rischi ed è più mirato. Dovremmo riuscire a ottenere qualche risultato anche sull'equivalenza, essendo arrivati a porre la premessa che esisterà un gasolio professionale con aliquota propria.
Per quanto concerne i valori, sia delle future aliquote minime sia delle loro componenti, essi sono stati riportati nel compromesso a titolo indicativo e, pertanto, ogni valutazione, al momento, appare inopportuna.
Il predetto testo, esaminato, come riferito, dal gruppo questioni fiscali del Consiglio lo scorso 7 settembre 2012, ha riscosso, in linea generale, positivi apprezzamenti, ferme restando le riserve tecniche formulate anche da parte italiana su specifici punti, le quali dovranno necessariamente essere oggetto di ulteriori analisi.
Analogamente, oggetto di analisi dovranno essere i restanti articoli della proposta, su cui si attende necessariamente un testo di compromesso.
In ogni caso, la Presidenza cipriota ha già formulato in un apposito documento alcune opzioni per individuare il sistema di tassazione in relazione ai prodotti utilizzati in impianti rientranti nel sistema ETS. Tuttavia, tali opzioni necessitano di ulteriori specificazioni per poter essere valutate. Ci sono, poi, alcune questioni aperte: le agevolazioni agricole, quelle per la pesca e tutte le altre materie che hanno a che fare con questo tipo di tassazione devono ancora essere discusse. Abbiamo, per ora, soltanto l'impianto base.
In conclusione, merita di essere ricordato che la carbon tax, intesa come tassazione delle emissioni di CO2 provenienti dai prodotti energetici, non è nuova all'esperienza italiana.
Già con la legge n. 448 del 1998 (collegato alla legge finanziaria per il 1999) il legislatore italiano aveva proceduto a rimodulare le aliquote di accisa sugli oli minerali, tenendo conto anche delle emissioni di CO2 determinate da ciascun prodotto energetico. In questo modo, erano state individuate le «aliquote obiettivo» che sarebbero dovute entrare in vigore nel 2005. Tali aliquote, da un lato, rispondevano all'esigenza di permanere nel sistema di armonizzazione a livello dell'Unione europea delle accise gravanti sui combustibili fossili, applicando criteri allora stabiliti dalla cosiddetta «proposta di direttiva Monti» sui prodotti energetici; dall'altro, miravano a disincentivare l'uso dei combustibili ad alto contenuto di carbonio e a favorire quelli a basso contenuto, al fine di attuare, in Italia, una nuova politica fiscale, finalizzata a premiare i comportamenti virtuosi in relazione al loro impatto ambientale.
Questa esperienza non poté essere portata a compimento, in quanto gli incrementi del petrolio greggio, che ebbero inizio al principio del 1999 e che causarono notevoli rialzi dei prodotti petroliferi, non consentirono di adottare gli incrementi intermedi delle aliquote di accisa


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(con cadenza annuale, nell'ambito di una certa forcella), previsti per il raggiungimento delle «aliquote obiettivo». Solo il primo step fu realizzato, attraverso l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 gennaio 1999.
Ricordo che il prezzo del petrolio, pari a 11 dollari al barile il 15 gennaio 1999, era già arrivato a 33 dollari al barile alla fine di novembre dello stesso anno.
La carbon tax «italiana» aveva avuto la fortuna di entrare sulla scena in uno dei momenti particolarissimi degli ultimi venti anni, quando il prezzo del petrolio greggio al barile era a un livello minimo, poi triplicato, invece, nel giro di dieci mesi.
L'obiettivo fissato nel 1998 era stato mutuato dal vecchio Piano Delors, in cui si tassava di più l'energia e si finanziavano, quindi, riduzioni del costo del lavoro: si detassava il lavoro attraverso la tassazione dell'energia. Per la prima volta era stato introdotto un elemento di novità, un criterio di tutela ambientale nella determinazione dell'accisa.
Questo ci consente di sgombrare il campo da quella che può essere considerata una vecchia leggenda metropolitana, riproposta tutti i giorni anche in televisione, cui nessuno riesce a replicare in modo adeguato.
Si sostiene, in particolare, che siano ancora applicate le accise introdotte per finanziare la guerra in Africa e altri costi. Si tratta di una baggianata! Le accise furono completamente azzerate e ridisegnate nel 1998, quando fu attuata una ristrutturazione totale della materia. In tale occasione fu introdotta l'accisa sul carbone e sul pet-coke, che non esisteva in Italia. Il carbone è uno dei prodotti più inquinanti: la combustione di un chilogrammo di carbone produce 4 chili di CO2; quella del pet-coke 3,8 chili. Questi due prodotti erano molto utilizzati, ma non tassati.
Il nuovo sistema di accise, entrato in vigore nel 1999, era basato su una proporzionalità diretta con l'emissione di CO2 del singolo prodotto ed era legato, in modo diretto e proporzionale, con il potere calorico, secondo quanto previsto dalla cosiddetta «direttiva Monti» (noi avevamo compiuto un passo in più, combinando tale criterio con quello dell'emissione di CO2).
Poiché i prodotti erano agganciati alla stessa «zattera», non si poteva lavorare sulla singola accisa: o si muoveva tutta la «zattera» - con incrementi più pesanti per il prodotto più inquinante e meno pesanti per quello meno inquinante e più efficiente in termini di resa calorica -, o non si poteva operare.
Il percorso tracciato si sviluppava in una dimensione temporale di cinque anni. Fermo restando il prezzo del petrolio (purtroppo, questo subì un'impennata immediata, che ci costrinse ad adottare i necessari correttivi già alla fine dell'anno), l'obiettivo era quello di modificare attraverso la variazione di prezzo, indotta da quella dell'accisa, le scelte di consumo, orientandole verso i prodotti che generavano, nella combustione, una minore quantità di CO2 e che erano energicamente più efficienti.
Erano programmati, nel corso del quinquennio, alcuni step successivi. Invece, la forte impennata del prezzo del petrolio, di cui ho già detto, ha demolito tutta la costruzione.
Questo effetto si è verificato per due motivi. In primo luogo, agganciare tutte le accise a un'unica «zattera», da muovere unitariamente, restringeva la manovrabilità del sistema. In secondo luogo, occorre considerare, da un lato, la capacità delle accise di produrre un effetto immediato sulle entrate, in termini di cassa (per questo motivo, esse sono una componente estremamente importante delle entrate) e, dall'altro, l'antico vizio di coprire le spese impreviste incrementando le accise. Ricordo che per anni, durante la missione in Bosnia, è stato necessario reperire 300 miliardi attraverso la benzina verde. Funzionava in questo modo.
Mettere tutto sulla stessa «zattera» e immaginare che si potesse programmare, attraverso la componente fiscale del prezzo, una politica di utilizzo dei combustibili e, insieme, di educazione dei consumatori sotto l'aspetto ambientale,


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era, probabilmente, un passo un po' troppo rapido, anche in considerazione dell'importanza delle accise nel sistema e della necessità di manovrarle anche a breve per fare cassa.
Non va sottaciuto, d'altra parte, che l'iniziativa, all'epoca, consentì di ridurre, e bene, il costo del lavoro: alcuni oneri contributivi minori - ricordo, ad esempio, il contributo ENAOLI - poterono essere soppressi, nel 1999, proprio in connessione con l'introduzione della carbon tax. Il costo del lavoro fu ridotto di un punto, attraverso l'eliminazione di un certo numero di oneri contributivi.
Il Piano Delors funzionava, ma, come tutti i piani concepiti da grandi sognatori, si basava sull'esistenza di un sogno condiviso. Se la politica che ho ricordato fosse stata maggiormente condivisa a livello comunitario, avrebbe funzionato anche meglio.
Invece, come ho evidenziato in precedenza, all'originaria proposta di direttiva non era sottesa l'idea di unire. Essa discriminava il nostro Paese, che non ha scelto il nucleare come componente di produzione energetica: la penalizzazione del metano, attraverso la componente relativa all'emissione di CO2, avrebbe rappresentato un problema per l'Italia. Ora siamo riusciti, dopo diverse riunioni, a elaborare una posizione comune e, in particolare, a ottenere la flessibilità nella determinazione della struttura della tassazione nazionale (unica aliquota o tassazioni separate) e il superamento del criterio di proporzionalità.
Dobbiamo ancora chiudere la questione dell'autotrasporto e delle altre agevolazioni: pesca e agricoltura non sono temi semplici, ma ci sono Paesi piuttosto forti che possono darci una mano.

PRESIDENTE. Sì, ma hanno il nucleare. Credo che nessuno voglia fare regali alla Francia.
Avevo dimenticato di ricordare, in apertura dell'audizione, che sono presenti per l'Agenzia, oltre al direttore Peleggi, il dottor Pasquale Di Maio, della direzione centrale affari giuridici e contenzioso, il dottor Alessandro Aronica, della direzione centrale personale e organizzazione e il dottor Walter De Santis, della direzione centrale gestione tributi e rapporto con gli utenti.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARCO CAUSI. Direttore, la ringrazio per l'esposizione e anche per la documentazione molto dettagliata che ci ha consegnato. Ho da rivolgerle tre domande.
La prima riguarda i tempi. Se capisco bene, la Commissione europea ha proposto di modificare la direttiva 2003/96/CE, a cui fa riferimento l'articolo 14 del disegno di legge delega. Lei ci illustrato in modo molto dettagliato tutte le relative dinamiche. Quali sono, secondo lei, i tempi per l'attuazione della delega in relazione alla nuova direttiva? Se i decreti delegati fossero adottati prima dell'approvazione della nuova direttiva, tutto il lavoro potrebbe risultare inutile.
In secondo luogo, vorrei sapere come la riforma della fiscalità ambientale, anche alla luce della nuova direttiva, si incroci con il lavoro da svolgere, ai sensi dell'articolo 4 del disegno di legge delega, sulle tax expenditures. Lei ha accennato al tema alla fine dell'intervento, ma varrebbe la pena di approfondirlo.
La terza domanda affronta, invece, un argomento che lei non ha trattato, legittimamente e giustamente, ma che la Commissione ha bisogno di capire un po' meglio. Si tratta di alcune scelte organizzative che coinvolgono il vostro comparto, in merito alle quali ci occorrono alcune informazioni. Non le chiedo, naturalmente, di esprimere opinioni, ma di informarci.
Come lei sa, in questa Commissione, abbiamo espresso molti dubbi, approvando una risoluzione all'unanimità, sul progetto di incorporazione che interessa alcune agenzie fiscali.
Per lavorare bene su questo fronte, dobbiamo sapere se all'incorporazione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, che in questo momento state


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organizzando, seguendo le direttrici normative, siano connessi costi, segnatamente per quanto riguarda l'assetto retributivo del personale, essendo diversi, sotto tale profilo, i parametri dell'Agenzia delle dogane rispetto a quelli dell'AAMS.
Inoltre, le chiedo di spiegarci bene - nessuno l'ha fatto finora, ma noi ci fidiamo molto di lei - la questione delle compatibilità di bilancio. Essendo voi un'Agenzia, avete un regime di bilancio diverso da quello dell'AAMS, che è strutturalmente incardinata all'interno del Ministero dell'economia e delle finanze. L'unificazione dei due bilanci crea qualche difficoltà? Forse, lei è la persona giusta per rispondere a tale domanda.

PRESIDENTE. Noto con piacere, onorevole Causi, il suo interesse per Giochi senza frontiere...

ALESSANDRO PAGANO. La ringrazio, direttore.
Come sa meglio di me, il disegno di legge delega punta molto sul contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale. Da questo punto di vista, è chiaro che l'Agenzia da lei guidata gioca un ruolo importante.
A proposito dell'evasione fiscale, che è un mio pallino, bisogna insistere molto sulle azioni da intraprendere - mi riferisco, ovviamente, a quelle appartenenti alla vostra mission - con riferimento alla sottofatturazione dei prodotti che giungono da alcune parti del mondo. Alludo a uno Stato, in particolare, che in questo momento è la seconda potenza economica mondiale. Ebbene, esiste una disposizione che potrebbe consentire un contrasto efficace di tale fenomeno: l'articolo 35, comma 35, del decreto-legge n. 223 del 2006.
Ho apprezzato l'entusiasmo con il quale ha descritto il centro operativo dell'Agenzia, a proposito del quale il presidente ha richiamato la famosa pellicola Minority Report. Verremo sicuramente a visitarlo. È chiaro che le attività compiute nel predetto centro rispondono alla finalità di individuare tutte le forme di evasione.
Nel caso specifico della sottofatturazione, se i dati in mio possesso sono veri, e penso che lo siano, avete accertato e riscosso, nell'ultimo anno, 9 milioni di euro, cioè nulla. Avere una strumentazione tecnologicamente all'avanguardia e poi ottenere questo risultato...

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Manca un pezzo.

ALESSANDRO PAGANO. In sede di replica potrà fornirmi i dati completi.
Il mio compito è quello di formulare domande, per capire come funzionano le cose. Penso sia inutile avere una tecnologia all'avanguardia, che ci consente di compiere esercizi come quelli che lei ha descritto, se poi non raggiungiamo l'obiettivo.
Mi domando, a questo punto, posto che i numeri siano quelli che ho indicato, se non sia meglio applicare una tassazione forfetaria: piuttosto che spendere risorse per investimenti tecnologici, applichiamo un euro a prodotto che entra e guadagneremo molto di più.
Peraltro, secondo le informazioni in mio possesso, nel centro operativo, o sala analisi, ci sarebbe un'eccessiva concentrazione di risorse umane, senz'altro qualificate, mentre sarebbero poche, invece, quelle destinate ad attività di front office.
Ancora, noi sappiamo bene che la Cina sta investendo molto sulla logistica. Da questo punto di vista, non siamo altrettanto attrezzati.
Perché, allora, trattandosi di un problema più di organizzazione che di normativa, non viene esercitati controlli sui depositi presso i porti e gli aeroporti, magari con la collaborazione della Guardia di finanza? Guardando alla questione della sottofatturazione dal punto di vista logistico, sembra ovvio che i depositi utilizzati a tal fine siano nei pressi dei centri che ricevono le merci. Esiste una forma di controllo analitica e specifica su questo segmento? Quante verifiche eseguite sui depositi situati presso i centri logistici di smistamento della merce che proviene dall'estero?
Sono convintissimo che l'azione di contrasto dell'evasione abbia consentito di


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ottenere notevoli risultati, ma esclusivamente nei confronti dei contribuenti italiani.
Il fenomeno della sottofatturazione produce un'evasione stimabile in diversi miliardi di euro. Ritengo, quindi, che l'Agenzia delle dogane debba svolgere una riflessione in merito.
Mi fermo qui, direttore, anche perché vedo che lei è ansioso di rispondere alle mie domande.
Avrei da porle, comunque, altri quesiti, ovviamente nella logica della costruzione, non della critica fine a se stessa.

COSIMO VENTUCCI. Direttore, mi complimento con tutta l'amministrazione delle dogane, perché si tratta di un comparto che conosco come le mie tasche. Anche il documento da lei consegnato alla Commissione - di più di 60 pagine - dimostra la quantità e la qualità del lavoro che svolgete. In esso sono evidenziati la complessità operativa, l'intensità dei traffici, gli interventi realizzati e i risultati conseguiti nei campi del contrasto alla contraffazione e ai traffici illeciti, nonché dei controlli valutari e sulle spedizioni postali.
Per quanto riguarda l'articolo 14 del disegno di legge delega, prendo atto, ma lo so già da tempo, che finalmente qualcuno sa difendere i nostri interessi a Bruxelles, almeno nel settore doganale. So perfettamente quanto si adopera l'Agenzia per contrastare le «furberie» (mi sia consentito definirle in questo modo) di alcuni Paesi, che lei conosce perfettamente, rispetto all'impatto del sistema di controllo italiano.
Al di là di ciò che sostiene il collega Pagano - credo che il suo suggerimento non tenga conto dei fatti -, e al di là dell'attività ispettiva e di controllo che eseguite, il popolo italiano, i cittadini, gli operatori, si trovano ad avere a che fare con i carabinieri, la Guardia di Finanza, la Polizia, i vigili urbani, gli ispettori dell'Agenzia delle entrate, dell'INPS e dell'INAIL, i vigili del fuoco e via discorrendo: siamo accerchiati da un sistema molto articolato di controlli. Così stando le cose, o siamo tutti delinquenti, oppure tutta la società paga le conseguenze dell'attività illecita posta in essere da alcuni delinquenti. Nel caso dell'Agenzia delle dogane, ad esempio, c'è un direttore regionale il quale, attraverso le proprie circolari, fa strame delle norme e degli atti approvati dal Parlamento.
Con riferimento all'articolo 14 del disegno di legge delega, speriamo bene...
Non ho altro da aggiungere, se non auspicare che a Bruxelles possano essere pienamente condivise le proposte formulate anche dalla delegazione italiana. Si è già fatto un passo in avanti. Non possiamo stare sempre attaccati alla giacca di potenze più forti di noi.
Vorrei soltanto accennare, in maniera pragmatica, a una situazione che riguarda il cosiddetto quotidiano, al quale i cittadini sono più interessati. Penso che quella riguardante i retroporti sia un'ottima scelta. Un servizio generalizzato esteso a tutto l'arco delle 24 ore riesce a soddisfare tutte le esigenze, comprese quelle concernenti i controlli e la migliore gestione del flusso dei traffici. Dobbiamo registrare, d'altra parte, alcune lamentele relative alle sanzioni. Da questo punto di vista, vengono in considerazione, da un lato, il lavoro che lei sta già svolgendo con riferimento all'articolo 303 del testo unico delle leggi doganali e, dall'altro, quello che dovremo compiere sull'articolo 8 del disegno di legge delega fiscale, in materia di revisione del sistema sanzionatorio.

PRESIDENTE. Direttore, non le porrò domande.
Mi è parso di capire che, forse, sarebbe opportuno sopprimere, in attesa di tempi migliori, l'articolo 14 del disegno di legge delega. Le problematiche che tale disposizione sottende dovrebbero indurci a pensare che, talvolta, essere i primi della classe non è conveniente, per il nostro Paese, né dal punto di vista finanziario, né sotto il profilo sociale.
L'onorevole Causi ha già sollevato l'argomento Giochi senza frontiere.... In questi giorni, ho avuto modo di sentire i direttori interessati. Poiché sembra che ci siano


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costi non previsti, ci farebbe comodo avere informazioni aggiornate.
Do la parola al nostro ospite per la replica.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Cominciando dalle domande poste dall'onorevole Causi, nella proposta di direttiva presentata dalla Commissione europea è indicata, come decorrenza per l'applicazione delle disposizioni da parte degli Stati membri, la data del 1o gennaio 2013.
Nell'analisi dei singoli articoli, si è arrivati ad accordi che non riguardano neanche la metà dell'intera direttiva: credo ne manchino sedici, a fronte dei dodici già considerati. Poiché non si tratta di questioni di semplice soluzione, non so se riusciremo a chiudere i lavori prima che abbia termine la Presidenza cipriota. Slitterà, dunque, anche il termine indicato dalla Commissione.
È evidente che ha poco senso, probabilmente, giocare d'anticipo e varare una normativa nazionale in materia di fiscalità ambientale, quando non sono ancora noti i principi cui si conformerà la revisione della direttiva 2003/96/CE. Nel contesto dell'articolo 14 del disegno di legge delega, appare certamente come una nota stonata la previsione del predetto termine del 1o gennaio 2013. Comunque, noi eravamo pronti ad agire.
Non so, a questo punto, quali saranno i tempi.
È stato comunque importante, per noi, rendervi un'informativa su come si sta procedendo in sede europea e, soprattutto, rendervi edotti del fatto che siamo riusciti, in questa fase del dibattito, a modificare un'impostazione iniziale che avrebbe sicuramente danneggiato il nostro Paese.

PRESIDENTE. Quando avete incontrato la delegazione del Fondo monetario internazionale, tra le priorità è stata indicata anche la carbon tax? Conosciamo già la risposta...

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Sì, si è parlato della carbon tax.
Dal Protocollo di Kyoto in poi, la tassazione relativa alle emissioni di CO2 è una materia alla quale si interessa non soltanto il Fondo monetario internazionale, ma l'intero mondo.
La settimana scorsa, un'università statunitense ha stimato che Manhattan sarà sott'acqua nel 2050. Stanno tornando di moda gli studi che prevedono il surriscaldamento legato alle emissioni di CO2. Su questo punto, gli indirizzi sono molto complessi.
Poiché un articolo del disegno di legge delega si occupa dell'argomento, era naturale che il Fondo monetario ci ascoltasse in merito. Noi abbiamo rappresentato la situazione esattamente come stiamo facendo in questa sede.
Se poi mi chiede, signor presidente, quali sono i criteri per strutturare un'accisa moderna sui prodotti energetici, rispondo che, a mio avviso, sono i due che ho già indicato. In virtù di tali criteri, si possono azzerare le accise, qualunque cosa succeda? La mia risposta è negativa. Occorre trovare una combinazione di criteri che consenta di effettuare una revisione a costo zero, anche perché l'accisa rappresenta ancora il 7-8 per cento delle entrate da tributi.
Chiarito ciò, è vero che si può strutturare l'accisa in senso più moderno. È altrettanto vero che dobbiamo vigilare affinché non si adottino, in sede europea, criteri che ci danneggerebbero (come sembrava che stesse avvenendo).
Avendo riguardo alla problematica delle tax expenditure, e al valore complessivo delle agevolazioni in agricoltura, dovremo fare riferimento alle soluzioni che saranno definite a livello comunitario in materia di agevolazioni consentite e dovremo anche stare attenti a come si comportano gli altri Paesi. Si tratta di un settore in cui c'è concorrenza. L'agricoltura, nel nostro caso, deve essere comunque sostenuta. Stiamo parlando, tra l'altro, dell'unico comparto economico che non delocalizza.
Ipotizziamo che uno chieda al dottor Peleggi, non come direttore delle Dogane, ma come imprenditore, dove collocherebbe


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un'azienda, per sé o per un suo figlio. Ebbene, egli potrebbe ragionare nel modo seguente: mi piacerebbe che i miei operai avessero tre giorni di ferie all'anno, lavorassero diciotto ore al giorno e percepissero una retribuzione di 119 euro al mese. Poiché mi hanno detto che in Cina avviene così, allora prendo la mia impresa e la trasferisco in Cina.
Con l'agricoltura, questo ragionamento non si può fare. La nostra terra e i nostri prodotti agricoli non possono essere delocalizzati. Possiamo deindustrializzarci e possiamo seguire il mercato verso la schiavitù, come è avvenuto in altri settori, perché così va il mondo; possiamo tornare alla ricerca dell'operaio a 119 euro al mese, che non ha ferie e osserva un orario bestiale; possiamo passare dal regno delle leggi umane a quello delle cose - la politica e la filosofia li qualificano - e considerare anche l'uomo soltanto un fattore di produzione, al pari di una cosa.
Scusatemi: stavo divagando.

PRESIDENTE. La sua era una divagazione molto interessante: credo che abbia colpito i presenti...

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Tornando alla materia di cui ci stiamo occupando, vedrei bene un'iniziativa imprenditoriale di un mio figlio nell'agricoltura italiana: prima di farlo diventare un numero, ragionerei su ciò che fanno, ad esempio, i francesi e i tedeschi.
Dei tempi abbiamo parlato.
Metterei in collegamento le tax expenditures con il tema della carbon tax, perché, magari, la Francia condurrà una battaglia per l'aliquota zero. A quel punto, noi che faremo? Premesso che l'accisa applicata al gasolio per uso agricolo è pari al 22 per cento dell'aliquota normale, e che quella applicata alla benzina è pari al 49 per cento, noi che faremo? Combatteremo la battaglia insieme alla Francia, per avere la possibilità di accedere a un livello di agevolazione zero, senza poi usarla?
Tra il regno delle leggi umane e quello delle cose c'è, come ho detto divagando, la politica, la quale ci fornirà un indirizzo, valutando la questione in base alle informazioni di cui disporrà. Il mio compito è quello di dare le informazioni. personalmente, aspiro al mondo delle leggi umane, nel quale ha posto anche la democrazia, piuttosto che al regno delle cose. Sono stato proprio banale, ma sono sicuro che avete capito.
Rispetto all'audizione odierna, che verte sul disegno di legge delega, quella dei costi connessi all'incorporazione dell'AAMS nelle Dogane è una questione di nicchia. Proveremo a non nicchiare.
Ho visto che le domande rivolte a me oggi sono state poste già in altre audizioni. Credo che sia meglio attrezzato per rispondere il mio direttore del personale e dell'organizzazione, al quale cederei la parola con il suo permesso, signor presidente.

PRESIDENTE. Prego, dottor Aronica.

ALESSANDRO ARONICA, Direttore della Direzione centrale personale e organizzazione dell'Agenzia delle dogane. Rispondo anche alla sollecitazione che veniva dall'onorevole Pagano, perché mi offre la possibilità di essere organico, ma comunque sintetico nell'esposizione.
Mi pare che l'onorevole Pagano abbia chiesto se esista uno squilibrio tra le forze impegnate a livello centrale e gli addetti impegnati nelle attività operative.

ALESSANDRO PAGANO. La questione principale da me sollevata è un'altra: poiché i dati in mio possesso mostrano un limitato recupero dell'evasione, sorge il dubbio che la causa di ciò sia da individuare in un problema di organizzazione.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Lascerei da parte, allora, per riprenderlo alla fine, il tema dell'utilizzazione del personale.
Quanto alla sottofatturazione, l'entrata da accertamenti riferiti a tale ipotesi di frode è quella da lei indicata, onorevole Pagano. Tuttavia, propongo di osservare il grafico a pagina 22 del primo documento


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che ho consegnato. Per agevolarne la comprensione, devo premettere che siamo stati i primi, nell'ambito comunitario e dell'Organizzazione mondiale delle dogane, a porre il problema della sottofatturazione, ovvero dell'entrata nella Comunità europea, a un valore estremamente basso, e ovviamente falso, di prodotti provenienti soprattutto dalla Cina. Il fenomeno ha coinvolto, poi, molti altri Paesi.
In seguito a quella che possiamo definire la campagna contro la sottofatturazione, da noi condotta a livello internazionale, siamo riusciti a ottenere l'elezione del dottor Giuseppe Favale, attuale direttore delle relazioni internazionali dell'Agenzia, a direttore della Direzione per le questioni tariffarie e commerciali (Tariff and Trade Affairs Directorate) dell'Organizzazione mondiale delle dogane. L'OMD ha tre direttori, e dal 1952 l'Italia non aveva mai occupato un posto di direzione.
Proprio in materia di sottofatturazione, essendo il dazio, in altri Paesi meno sviluppati, una parte importante delle entrate tributarie, tutti gli Stati si sono sensibilizzati e, quindi, ci hanno seguiti.
Gli atti comprovano che abbiamo combattuto aspramente il fenomeno della sottofatturazione. Posso citare, ad esempio, l'operazione «Crime 3», che ci ha visti collaborare con la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Una parte della criminalità organizzata ha agito nel settore, utilizzando la sottofatturazione in combinazione con la contraffazione, presso i porti di Gioia Tauro e Napoli.
Adesso possiamo fare un po' di conti. A quanto entrava il tessile cinese in Italia nel 2005? A 5,29 euro. A quanto entra oggi? A 19,55 euro. Nei documenti che ho consegnato alla Commissione in occasione di una precedente audizione, un grafico è dedicato al confronto con gli altri Paesi europei. Noi eravamo il Paese che partiva da un livello basso, anche se non il più basso, e che ha compiuto il più netto recupero sul valore della merce presentata.
Facciamo un esercizio molto semplice. Prendiamo le quantità del 2011, e vediamo quanta IVA e quanti dazi avrebbero prodotto se non avessimo compiuto un certo tipo di attività sul valore dell'entrata del tessile cinese in Italia, ovverosia se, anziché entrare, come oggi, a 19,55 euro, le merci fossero entrate a 5,29. Non è certamente impossibile che ciò accada: la Repubblica Ceca sta sdoganando a 2 euro al chilogrammo. Ciò significa che altre dogane comunitarie stanno sdoganando - a un decimo del valore - la stessa merce di origine cinese che sta entrando in Italia. Basta eseguire un semplice conteggio per accorgersi che il recupero di evasione da attribuire all'Agenzia delle dogane, considerando soltanto i capitoli 61 e 62 (cioè, tessile e borse), è di circa 4 miliardi di euro dal 2005 al 2011, ai quali vanno aggiunti quelli relativi a tutti gli altri prodotti.
Obietterà, onorevole Pagano, che tali introiti non derivano da attività di accertamento diretto. Tuttavia, bisogna considerare che la disposizione approvata nel 2006 ci ha consentito di svolgere 10.000 controlli ogni anno. Sarebbe grave se oggi, dopo 10.000 controlli all'anno, scoprissimo ancora un miliardo di evasione: ciò starebbe a testimoniare il mancato adeguamento degli importatori all'entrata e, di conseguenza, la scarsa qualità del lavoro svolto dall'Agenzia a monte.
Adesso che abbiamo il valore di entrata più alto tra i Paesi comunitari, compresi Germania e Olanda, rispetto ai quali siamo un euro sopra, come facciamo a pensare che questo sia un settore connotato da forte evasione? È evidente che adesso si lavora sul marginale. Il controllo, poiché la deterrenza ha funzionato, coglierà soltanto piccole fasce.
Non sostengo che, in Italia, il fenomeno della sottofatturazione sia stato debellato, ma che esso è stato fortemente ed efficacemente combattuto negli ultimi anni. Se facciamo il confronto con gli altri Paesi, vediamo che la differenza è impressionante, com'è dimostrato dal fatto che l'OLAF non sta ponendo più il problema all'Italia.
Da due o tre anni sto spiegando che non siamo disposti a perdere traffico. La Slovacchia, insieme alla Repubblica Ceca,


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sdogana il tessile cinese in quantità pari a quella sdoganata nei porti italiani. Eppure, la Slovacchia e la Repubblica Ceca non hanno porti: le merci entrano in transito dai porti del Nord Europa.
Dopo il primo incontro che ho avuto con lui, nel corso del quale gli ho illustrato la situazione della sottofatturazione in Europa, il Presidente Monti si è attivato con la Germania e con l'OLAF.
Questo è uno dei settori in cui i controlli sono stati svolti, e anche bene. L'Italia è stata la prima a introdurre il monitoraggio del valore al chilogrammo dei prodotti e a trasmetterlo all'OLAF, utilizzando i dati Eurostat.

ALESSANDRO PAGANO. Ho notato con quanta passione ha trattato l'argomento, e mi fa molto piacere. Devo riconoscere che i risultati ottenuti sono notevoli. Anche le strategie internazionali non sono affatto inappropriate, soprattutto per quanto riguarda il controllo dei porti del Nord Europa.
Tuttavia, gli studi econometrici effettuati in materia offrono la possibilità di svolgere qualche considerazione ulteriore.
Dal 2004 al 2007 il prezzo delle materie prime - mi riferisco al tessile - è aumentato di tre volte. Inoltre, dal 2007 al 2011, le statistiche più prudenti indicano che esso è almeno raddoppiato. Tirando le somme, il predetto prezzo è cresciuto nove volte rispetto al dato del 2004. Nello stesso periodo, in Cina, il costo del lavoro è triplicato.
Per quanto i successi siano stati notevoli, devo riconoscerlo, siamo ancora ben lontani, quindi, dall'obiettivo di debellare il fenomeno della sottofatturazione dei prodotti provenienti dalla Cina, che ci danneggia dal punto di vista erariale e commerciale.
Se vuole che le dica che è stato bravo, direttore, lo faccio, ma il danno che l'Italia continua a subire in questo segmento di mercato è significativo. Occorre intervenite in maniera concreta e pesante, perché le cifre che ho indicato sono briciole.
C'è, poi, la strategia complessiva a livello internazionale. È chiaro che le politiche internazionali non dipendono soltanto da noi. Monti doveva intervenire, e si è attivato. Inoltre, essere riusciti a far eleggere un direttore italiano tra i vertici dell'Organizzazione mondiale delle dogane è stato un grande risultato.
Tuttavia, dobbiamo fare anche la nostra parte. Da questo punto di vista, l'azione è assolutamente inadeguata - la mia non vuole essere una critica malevola - rispetto alla mole di evasione esistente e ai danni commerciali ed erariali che essa provoca al nostro Paese.
Il lavoro svolto va bene, ma le cifre da esporre, la prossima volta, devono essere di altra consistenza. Se vuole, direttore, farò svolgere uno studio econometrico più preciso. Potremmo anche affermare, ad esempio, che il valore dovrebbe essere quattro o cinque volte superiore a 19,55.
Quanto è stato fatto è certamente incoraggiante: è un buon inizio, ma l'evasione è tantissima, e chi ci perde, in tutto ciò, è la nostra economia. Lo ribadisco soltanto per far sì che, la prossima volta, quando discuteremo di nuovo dell'argomento, non ci attribuiamo la medaglia d'oro.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Accetto, ovviamente, l'osservazione.
L'econometria è una mia grande passione. Pur dilettandomi di tale materia, vorrei evidenziare che il valore da noi contestato all'importatore deve essere supportato, poi, davanti a un magistrato. Per svolgere questo compito in maniera efficace, abbiamo elaborato alcune schede, insieme alle associazioni dei produttori di Confindustria e di Confcommercio, partendo dai dati che ci forniscono i nostri delocalizzatori di tessile.
Onorevole Pagano, lei afferma che la materia prima è aumentata. Tuttavia, è estremamente difficile comprendere, ad esempio, l'andamento della materia prima «cotone in fiocchi» (ho già effettuato uno studio econometrico).
Il problema serio è che, nel diritto comunitario, come sa bene l'onorevole Ventucci, che conosce la materia meglio di


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me, non possiamo imporre un valore normale, come possiamo fare, invece, per l'IVA interna. A livello comunitario, la regola è che il valore è quello dichiarato dall'importatore. Non si deve dimenticare che il più smart, come si dice oggi, può comprare, in seconda battuta, una merce di risulta o uno scarto di lavorazione.
Ipotizzi, inoltre, che il tessile cinese potrebbe entrare a 60 euro al chilogrammo. Sa quante T-shirt ci sono in un chilogrammo? Tre. Allora, lei comprerebbe tre T-shirt di cotone a 60 euro? Lei ha in mente tre camicette di Prada, che arrivano dalla Cina, forse, a 50 euro. Quello di 19,55 è, però, un valore medio. Facciamo l'esempio dei calzini, provenienti dalla città cinese che produce solo quelli. Se un calzino costa mezzo centesimo, e in un chilo non ce ne sono tantissimi, non arriviamo a 60 euro.
Ammettiamo che uno studio econometrico ci faccia avvicinare, anziché a 19,55, che è il valore più alto a livello comunitario oggi, a qualcosa di simile a 60. Se la stessa merce e lo stesso quantitativo sono sdoganati in Germania a 17, in Slovacchia a 3, nella Repubblica Ceca a 2, e anche tutti gli altri Paesi stanno sotto la nostra soglia (compresa l'Inghilterra, che è una grande importatrice di abbigliamento cinese), come presento il lavoro econometrico in questione davanti a un magistrato?
Altra cosa è fare riferimento ai dati forniti dai nostri delocalizzatori, attraverso le associazioni. Essi indicano che un chilogrammo di cotone in fiocchi costa 2,20 euro. È evidente che, quando la Repubblica Ceca sdogana le T-shirt di cotone a 2 euro c'è una frode, perché il cotone in fiocchi, cioè non lavorato, non filato, costa di più. Loro possono replicare, però, che non si tratta di cotone americano o dell'Azerbaijan.
Dovete capire che la nostra T-shirt può fare il giro del mondo. Supponiamo che io compri il cotone e produca la maglietta. Il cotone arriva sul posto, viene filato, lavorato e lavato, dopo di che va tracciato con la macchina e si realizza la maglietta, che viene rifinita, piegata, stirata, imballata, assicurata e messa sul container. A quanto torna da noi?
In relazione a tutti questi processi, abbiamo prodotto alcune schede da presentare ai magistrati, ma non sempre riusciamo a vincere, perché secondo il diritto comunitario, come ho già detto, il valore è quello indicato dall'importatore.
Si può anche decidere di rivolgersi agli uffici doganali cinesi, per ottenere informazioni, attraverso la mutua assistenza, circa il prezzo fatturato. Tuttavia, onorevole Pagano, quante migliaia di richieste pensa che possiamo presentare alle dogane cinesi, ottenendo risposta in tempi brevi? Questa sarebbe la fase accertativa.
Invece, l'operazione che è possibile compiere, e che abbiamo compiuto, è quella di alzare il livello dei controlli, effettuandone 10.000, ogni anno, solo per la sottofatturazione.
In base alla disposizione introdotta nel 2006, possiamo chiedere agli operatori di fornire dati e documenti relativi a tutti i costi che formano il valore dichiarato per l'importazione e, in caso di inottemperanza, applicare una sanzione che va da 5.000 a 10.000 euro.

ALESSANDRO PAGANO. Quanto al suggerimento che vi fornivo io?

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Sullo studio econometrico?

ALESSANDRO PAGANO. No, sui controlli nei depositi, che risultano essere nulli.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. So che lei ha un suggeritore, onorevole Pagano, il quale, però, non riscontra i dati.
Nella precedente audizione abbiamo discusso diffusamente proprio dei depositi. La soffiata che ha ricevuto non coglie nel segno.

ALESSANDRO PAGANO. Da chi potremmo avere le informazioni?


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GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Dalle istituzioni preposte.
Alcuni mesi fa abbiamo affrontato la questione dei depositi fiscali ai fini IVA. Siamo venuti in Commissione con i dati sui controlli effettuati, e abbiamo anche illustrato qualche caso che abbiamo affrontato nel corso del 2011. All'audizione ha partecipato anche il direttore interregionale delle dogane per la Campania e la Calabria.
A Napoli, più di 1.300 società avevano effettuato operazioni nel 2010 utilizzando il regime 45. Con il meccanismo della garanzia abbiamo impresso una stretta e siamo riusciti a limitare un fenomeno che aveva una chiara connotazione fraudolenta. Infatti, sono sparite, nel giro di pochi mesi, quasi 1.000 società che gestivano depositi IVA nel territorio della provincia di Napoli. Il 90 per cento era in mano a importatori cinesi. La questione, dunque, era stata affrontata.
La Commissione ha apportato al sistema alcune pregevoli correzioni.

COSIMO VENTUCCI. Eppure, eravamo stati aspramente criticati da una parte della stampa specializzata.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Perché era disinformata.
In realtà, come ho già detto, l'effetto è stato che, solo nella provincia di Napoli, sono sparite 1.000 società cinesi, su un totale di circa 1.350, che non gestivano in modo corretto i depositi.
È ancora in corso un ampio dibattito sul tema del deposito virtuale.
Bisogna considerare che abbiamo due sistemi. La dogana è comunitaria e le regole sono comunitarie. Tuttavia, accanto a un sistema che, passionalmente, tende a un tipo di controllo militare, esiste una dogana del Nord, un modello che possiamo chiamare olandese, in cui si parla di deposito virtuale, che non utilizza le nostre regole.
C'è, poi, il diritto comunitario, che, invece, prevede cinque o sei tipologie di depositi. Chi desidera che l'Italia adotti il modello di deposito virtuale, si riferisce, in realtà, al deposito doganale di tipo E, che non è proprio un deposito di tipo virtuale e che in Italia esiste già: ad esempio, a Monfalcone. In quella città, il porto è tutto interno a una data attività produttiva e, quindi, l'entrata e la collocazione della merce non deve essere necessariamente puntuale, come avviene nel deposito di tipo C.
Esistono, quindi, modelli molto più laschi di quelli italiani.
Dall'altra parte, la tendenza sarebbe quella di aumentare il livello dei controlli. Da questo punto di vista, però, se i controlli non sono dosati con saggezza, si rischia di favorire la logistica dei Paesi che non li eseguono.
Non sostengo che nel sistema doganale italiano sia effettuato il massimo dei controlli e con la massima efficienza. Posso affermare, tuttavia, che dal paragone con le dogane degli altri Paesi comunitari, quella italiana si dimostra come una tra le più efficienti. Non dobbiamo, però, farci prendere la mano, perché potremmo perdere traffico: nel PIL ci sono anche la logistica e l'attività portuale, anche se, a volte, è difficile comprenderlo.
Di recente, è stato approvato dal Senato, e trasmesso alla Camera, un provvedimento che riforma la legislazione in materia portuale. Ebbene, l'articolo 12 del provvedimento introduce nella legge n. 84 del 1994, sui sistemi logistico-portuali, l'articolo 11-bis, il cui comma 3 stabilisce che nei terminali retroportuali cui fa riferimento il sistema logistico-portuale, il servizio doganale è svolto dalla medesima articolazione territoriale dell'amministrazione competente che esercita il servizio nei porti di riferimento.
Sembra banale, ma si consideri che molte società hanno la logistica a Piacenza o a Torino. Conseguentemente, queste società vogliono entrare a Genova e a La Spezia e sdoganare a Piacenza o a Torino. Se le obblighiamo a sdoganare sul posto, dopo due giorni vanno a Barcellona.
Noi cerchiamo di seguire tutto, ma non possiamo esimerci dal far notare come


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talune iniziative rischino, a volte, di essere controproducenti. Porre il controllo sul posto comporterà che la merce tornerà da noi, ma non sarà più prodotta in Italia, e non farà neanche vivere i nostri porti: perderemo anche l'altro pezzo. Adesso effettuiamo sdoganamento e controllo nel centro logistico in Italia, e ciò dà un po' di occupazione, che perderemo se decideremo di cambiare sistema.
Dobbiamo stare attenti. Dobbiamo ragionare. Dobbiamo lavorare seguendo l'angusto sentiero che si sviluppa tra controllo, sicurezza del prodotto e sicurezza del consumatore, ma dobbiamo anche garantire la sopravvivenza del tessuto economico.

PRESIDENTE. Poiché abbiamo superato già di mezz'ora l'orario programmato, la inviterei a concludere rapidamente, direttore.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Un ultimo argomento estremamente interessante riguarda il servizio «h 24». Noi l'avevamo proposto, e alcuni porti già lo svolgono. Tuttavia, la normativa nazionale prevede il servizio «h 24» per viaggiatori, container vuoti e merci in transito, non per le merci da sdoganare. Andrebbe colmata questa lacuna. Poi, però, avrò il problema di trovare il personale per effettuare la turnazione «h 24».

COSIMO VENTUCCI. Signor presidente, vorrei ricordare che, durante un incontro con una delegazione della Commissione Bilancio della Camera dei deputati del Parlamento della Repubblica Ceca, abbiamo fatto presente ai nostri ospiti che alcune calzature provenienti dalla Cina vengono sdoganate, nella Repubblica Ceca, a 2 euro al paio. Un deputato esperto di questioni doganali ci ha candidamente risposto che la merce in questione, non avendo loro scali marittimi nazionali, viene dal porto di Amburgo...

PRESIDENTE. Il dottor Aronica deve rispondere all'onorevole Pagano in merito ai costi della riorganizzazione.

ALESSANDRO ARONICA, Direttore della Direzione centrale personale e organizzazione dell'Agenzia delle dogane. Fornirò, innanzitutto, alcune informazioni utili per sapere come gestiamo l'organizzazione in divenire.
Nell'ambito di un percorso di razionalizzazione organizzativa intrapreso già da qualche anno, l'Agenzia ha elaborato, alla fine del 2008, un piano di riordino che ha comportato - nel rispetto, frattanto, dei vincoli di cui al decreto-legge n. 112 del 2008 - una riduzione del 20 per cento delle posizioni dirigenziali al centro. Di recente, abbiamo soppresso una posizione per creare un ufficio a Milano, dove c'era un volume di traffico che esigeva tale modificazione.
La riforma progettata alla fine del 2008 ha introdotto a livello delle nostre direzioni territoriali, nell'occasione accorpate e ridotte a dieci, una struttura organizzativa interessante, il distretto, presso la quale sono concentrate tutte le funzioni di supporto che prima erano a carico anche degli uffici operativi. Si tratta di un'innovazione concepita proprio per liberare risorse a favore dell'operatività, per massimizzare la nostra capacità operativa, a parità di condizioni.
Per rispondere alle domande poste dall'onorevole Causi e dal presidente, sono da distinguere nettamente due aspetti: quello delle riduzioni di spesa, previste anche per l'Agenzia delle dogane, e quello degli eventuali costi o benefici che possono derivare dall'incorporazione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato nell'Agenzia delle dogane.
Per quanto riguarda le riduzioni di spesa disposte dal decreto-legge n. 95 del 2012, l'Agenzia ha già comunicato, su richiesta del capo di gabinetto del Ministro dell'economia e delle finanze, un'ipotesi di rideterminazione delle dotazioni organiche sia del personale delle aree, sia del personale dirigenziale.
Per il personale appartenente alle aree, si profila una riduzione da 11.040 a 10.020 unità, ed è escluso, per rimanere alle


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informazioni essenziali, che si preveda la permanenza di posizioni soprannumerarie.
Gli effettivi, incluse le acquisizioni in corso, fatte salve dalle disposizioni vigenti, sono intorno alle 9.700 unità e, quindi, al di sotto della dotazione rideterminata in base ai tagli.
Anche la riduzione che si profila per i dirigenti non generali lascia la dotazione organica al di sopra degli effettivi in forza.
Per quanto riguarda i dirigenti generali, invece, si profila una riduzione di cinque uffici, che costringerà a una nuova revisione organizzativa, dal momento che, attualmente, gli uffici dell'Agenzia di questo livello sono 22 e dovranno diventare 17.
Il menzionato decreto-legge fornisce indicazioni anche sul modo in cui si dovranno riorganizzare le strutture. Nel caso dell'incorporazione, si fa riferimento, e per noi è quasi ovvio, all'accorpamento delle direzioni generali che svolgono compiti analoghi. Altre indicazioni non sono obbligatorie. Alcune non si adattano perfettamente alla struttura dell'Agenzia delle dogane, perché la nostra dislocazione sul territorio è connessa alla distribuzione dei traffici, non già alla popolazione residente.
Per quanto riguarda le altre indicazioni contenute nell'articolo 23-quinquies del decreto-legge, non abbiamo responsabilità dirigenziali generali a livello infraregionale.
Sostanzialmente, siamo già allineati alla nuova normativa sotto quasi tutti gli aspetti organizzativi.
Passando alle dinamiche finanziarie associate al fatto in sé dell'incorporazione, l'articolo 23-quater, comma 3, del decreto-legge prevede che con decreti di natura non regolamentare del Ministro, da adottare entro il 31 dicembre 2012, saranno trasferite le risorse umane, strumentali e finanziarie degli enti incorporati e saranno adottate le misure eventualmente occorrenti per garantire la neutralità finanziaria dell'incorporazione per il bilancio dello Stato.
Naturalmente, siamo in attesa di queste misure, per acclarare definitivamente alcune questioni.
Nell'attesa, credo che possiamo fornire alcune informazioni che la Commissione aveva richiesto anche in precedenti audizioni.
Prima che intervenisse il decreto-legge n. 95 del 2012, se avessimo dovuto ipotizzare un passaggio di personale, quale quello che si profila in base alle norme vigenti, tra l'Amministrazione dei monopoli e l'Agenzia delle dogane, avremmo certamente pensato che ciò avrebbe comportato un costo.
Tale costo deriva dal fatto che l'indennità di amministrazione, una voce specifica della retribuzione, è diversa fra le due Amministrazioni.
Più specificamente, al netto degli oneri riflessi, la differenza è di 178 euro per un dipendente di seconda area, livello F6, e arriva a un massimo di 390 euro per un dipendente di terza area, livello F4.

PRESIDENTE. Risponde al vero che, considerando tutti i dipendenti, il costo aggiuntivo si aggirerebbe intorno ai 10 milioni di euro?

ALESSANDRO ARONICA, Direttore della Direzione centrale personale e organizzazione dell'Agenzia delle dogane. Sì.
I dati che ho riferito rendono l'idea della forchetta tra un minimo e un massimo per due tipologie di dipendenti. Tenendo conto della predetta differenza e delle unità di personale che transiterebbe dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato all'Agenzia delle dogane, si ottiene, al lordo degli oneri riflessi, un importo complessivo di poco superiore ai 10 milioni di euro annui, anche al lordo delle imposte che si recuperano, pari a circa 1,5 milioni di euro.
Il decreto-legge prevede, tuttavia, che i dipendenti mantengano l'inquadramento previdenziale di provenienza e il trattamento economico fondamentale e accessorio corrisposto al momento dell'inquadramento. Sembra, quindi, che l'attuazione di quanto disposto dall'articolo 23-quater non dovrebbe comportare gli oneri che abbiamo approssimativamente calcolato.


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Naturalmente, questo aspetto sarà, io penso, oggetto di valutazione e di chiarimenti successivi, perché un trattamento economico diversificato può comunque costituire, in astratto, un punto di criticità. Stiamo parlando, infatti, di integrazione tra strutture e tra dipendenti che svolgeranno, in futuro, funzioni fortemente omogenee. È oggettivamente difficile pensare che possa resistere a un eventuale contenzioso seriale una situazione nella quale una parte soltanto dei dipendenti rimanga segregata in uno status diverso, ricevendo un'indennità di amministrazione inferiore.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda le difficoltà di armonizzazione dei bilanci?

ALESSANDRO ARONICA, Direttore della Direzione centrale personale e organizzazione dell'Agenzia delle dogane. Su questo punto tornerà il direttore.
Da questo punto di vista, quanto più si integrano le strutture, tanto più quella indicata potrebbe essere una criticità. Se le strutture non si integrano, le considerazioni da fare sono diverse.
Stiamo lavorando con l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato anche per cercare di capire se dall'incorporazione potranno derivare economie e risparmi.
Credo che si possano conseguire significative economie già individuando le funzioni omogenee, le macrofunzioni, cioè le funzioni di supporto che riguardano il personale e l'amministrazione, replicando ciò che abbiamo fatto noi negli ultimi anni. In base alle prime stime che abbiamo effettuato, abbiamo calcolato 200-250 anni-uomo.

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. In sintesi, il ragionamento è che, per compensare l'eventuale costo, basterebbe spostare in un settore, da servizi che possono essere svolti insieme, 250 persone (ad esempio, noi realizziamo maggiori diritti accertati di 1,2 miliardi all'anno nel settore dei controlli di plafond). C'è un problema, forse, di sfasamento, ma alcune economie possono emergere anche da un'operazione di incorporazione. È evidente che tutto è fattibile.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE COSIMO VENTUCCI

GIUSEPPE PELEGGI, Direttore dell'Agenzia delle dogane. Riguardo al bilancio, ci troviamo di fronte a una situazione in cui, da una parte, c'è l'Agenzia delle dogane, la quale ha un bilancio civilistico e, dall'altra, l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, il cui bilancio costituisce un'appendice dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze e, in quanto tale, è assoggettato alla disciplina della contabilità pubblica.
Stiamo tenendo riunioni tecniche con il Dipartimento delle finanze e la Ragioneria generale dello Stato. Alcune difficoltà sono dovute al modo in cui è scritta la norma. La chiusura del nostro bilancio è prevista per la fine di novembre, e ciò rappresenta già un elemento di complessità per l'AAMS. Non so se si possa risolvere. Stiamo sviscerando tutte le questioni, ma la loro soluzione non è semplice: la chiusura di un bilancio pubblico in corso d'anno è, di per sé, un'operazione non semplice da realizzare.
Un altro problema deriva dal fatto che una delle componenti del bilancio dell'AAMS attiene alla gestione degli introiti dei giochi e del pagamento delle vincite.
Messo a confronto con quello dell'Agenzia, che è un bilancio piuttosto semplice, con spese per il personale e investimenti, e con uno stanziamento proveniente all'inizio dell'anno dal bilancio dello Stato, quello dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato è senza dubbio più complesso, sotto tutti i punti di vista. Basti pensare che il bilancio dell'Agenzia delle dogane vale 600 milioni di euro, quello dell'AAMS 16 miliardi di euro.
Come coniugare i due bilanci? Stiamo studiando l'ipotesi di un travaso della sola parte concernente le attività da gestire con


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le ordinarie procedure di spesa, facendo affluire a una contabilità speciale i flussi finanziari relativi alla gestione dei giochi. Non vi sono alternative: il travaso diretto anche della gestione dei giochi comporterebbe la necessità di istituire in un bilancio civilistico un fondo per rischi e oneri di importo spropositato. Prevedere un fondo per rischi e oneri di 16 miliardi di euro, a fronte di un bilancio di 600 milioni di euro, significherebbe, praticamente, commissariare l'Agenzia delle dogane dal prossimo 1o gennaio.
Comunque, la questione dovrà essere necessariamente risolta. Analoghe difficoltà non incontrerà, invece, l'Agenzia delle entrate, in quanto vengono in considerazione due sistemi speculari, anche dal punto di vista contabile.
Insomma, stiamo affrontando anche i problemi tecnici riguardanti i bilanci, come vi avrà riferito il direttore generale del Dipartimento delle finanze, dottoressa Lapecorella. Abbiamo già dedicato al tema alcune riunioni, e andremo avanti sulla strada tracciata.

PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Peleggi, il dottor Aronica, il dottor De Santis e il dottor Di Maio per aver partecipato all'audizione, che ci ha consentito di chiarire molti aspetti delle questioni trattate, e autorizzo la pubblicazione della documentazione consegnata alla Commissione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13,45.

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