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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione VII
6.
Martedì 24 giugno 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Aprea Valentina, Presidente ... 2

Seguito dell'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Aprea Valentina, Presidente ... 2 8 12 13 18 20
Capitanio Santolini Luisa (UdC) ... 8
Ciocchetti Luciano (UdC) ... 13 16 18
De Pasquale Rosa (PD) ... 8 12
Frassinetti Paola (PdL) ... 13
Palmieri Antonio (PdL) ... 2
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 24 giugno 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VALENTINA APREA

La seduta comincia alle 10,10.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Mariastella Gelmini, sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Do la parola all'onorevole Palmieri sull'ordine dei lavori.

ANTONIO PALMIERI. Signor presidente, buongiorno a lei e al Ministro. Vorrei capire, a scanso di equivoci, come si intende lavorare oggi e nei prossimi giorni.

PRESIDENTE. Per i prossimi giorni non so dirle.

ANTONIO PALMIERI. Oggi?

PRESIDENTE. Questa mattina - mi limito ai lavori di questa mattina - avviamo il dibattito che sospenderemo quando il Presidente avrà dato il preavviso delle imminenti votazioni in aula. Non possiamo saperlo, onorevole Palmieri. Siamo in un momento particolarmente delicato: neanche i lavori dell'Aula sono per il momento programmati in modo definitivo.
Prendo subito la parola in quanto iscritta a parlare.
Ministro Gelmini, comincio con una constatazione. Lei è Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, come è stata Letizia Moratti nella XIV Legislatura. Purtroppo, la nuova ed efficace organizzazione in un unico ministero, il MIUR, che aveva consentito di creare e valorizzare l'intera filiera della conoscenza al servizio della persona, delle famiglie e della società nella scorsa legislatura, è stata sacrificata dal Governo Prodi sull'altare della lottizzazione partitica.
Con lei ora torniamo, con qualche ostacolo di natura giuridica e regolamentare, a poter considerare le due strutture ministeriali, l'istruzione e l'università, come sinergiche e funzionali.
La conoscenza, in tutte le fasi della vita, in tutti i luoghi deputati all'apprendimento - scuola, università e ricerca - è una risorsa strategica per lo sviluppo economico, la coesione sociale e l'educazione permanente, in coerenza con gli obiettivi dell'Agenda di Lisbona del 2000.
Nel rivolgerle gli auguri più sinceri di un proficuo lavoro, manifesto la condivisione per aver espresso l'intenzione di agire prioritariamente per rimettere lo studente, la persona, al centro del processo educativo.
L'opinione pubblica percepisce, purtroppo, la scuola come un organismo al servizio dei docenti, della burocrazia e


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delle corporazioni, e non, come dovrebbe essere, come un'istituzione al servizio degli studenti e delle famiglie, che sappia soddisfare le esigenze di apprendimento delle singole persone e della società nel suo insieme, secondo le norme generali sull'istruzione previste dalla nostra Costituzione.
Nella sua relazione lei ha richiamato più volte princìpi come il merito, l'efficienza e una sana competizione tra le scuole, sempre più autonome. Siamo fermamente convinti che questa sia la direzione da prendere.
Ci toccherà, tuttavia, correre più di prima per recuperare il tempo perduto. Il nostro sistema scolastico, nonostante i grandi e generosi progetti di riforma delle ultime legislature, è sostanzialmente ancora immutato.
Confido che il nuovo clima di collaborazione tra le forze politiche consenta di affrontare e risolvere i problemi più urgenti, a partire dalla qualità della formazione dei nostri ragazzi. Non possiamo ignorare che nella scuola italiana i tassi di dispersione sono drammaticamente elevati e i livelli di apprendimento, al contrario, particolarmente bassi.
Alcuni passi avanti nella cultura politica diffusa sono stati compiuti. L'ideologia dell'egualitarismo della sinistra viene oggi riconosciuta dallo stesso Partito Democratico come superata. La questione del merito è stata per decenni demonizzata proprio in nome dell'egualitarismo. Così pure la differenziazione dei percorsi, etichettata sbrigativamente come disuguaglianza e considerata reazionaria in nome di una pretesa equità, secondo cui occorreva dare a tutti la stessa scuola, per lo stesso numero di anni, con la stessa struttura organizzativa, senza tenere conto della diversità delle domande di educazione, oggi è un fatto superato.
È superata anche l'idea di avere una scuola tutta rigorosamente statale, come se lo Stato fosse di per sé garanzia di qualità: un'eredità del 1968, mai superata, che è sopravvissuta a se stessa, che ha contribuito a diffondere una cultura permissiva, distruggendo qualunque forma di disciplina e che oggi, a quaranta anni di distanza, mostra tutti i suoi limiti ed è giustamente messa in mora da una nuova cultura riformista, anche a sinistra, di cui prendiamo atto con grande soddisfazione.
Idee come la pari dignità dei diversi percorsi dei licei, degli istituti tecnici, dell'istruzione e formazione professionale delle regioni o dell'articolazione più libera e differenziata dei piani di studio, in funzione delle esigenze personali e territoriali, unite alla necessità di un funzionale e sistematico servizio di valutazione, non sono oggi, infatti, più combattute dal Partito Democratico.
In questo senso, credo che la strada sia ormai definita per tutti. Come lei, signor Ministro, ha giustamente ricordato nel suo discorso, il 1o settembre 2009 deve rappresentare l'inizio del cambiamento del modo di fare scuola, e non più solo nel fare nuove leggi sulla scuola.
In questa logica, vorrei richiamare alla sua attenzione alcune priorità per rendere la nostra scuola, nell'arco della legislatura, un'istituzione moderna, adeguata ed efficace. Innanzitutto, la necessità di cambiare il modello di governance del sistema. Scontiamo ancora l'eredità di una pervasiva presenza dello Stato, che si pone come gestore e non come garante nel processo educativo e che ha imposto il primato della burocrazia sull'educazione.
Al contrario, abbiamo bisogno di una governance del sistema capace di dare risposte alla società della conoscenza, al nuovo concetto di educazione intesa come educazione permanente - long-life learning e long-life education - alle sfide della globalizzazione e, prima ancora, alla sfida europea per soddisfare la domanda di libertà delle famiglie e degli studenti e la domanda di autodeterminazione delle scuole (sussidiarietà e autonomia).
La richiesta di avere uno Stato che svolga un'azione più di guida e di controllo che di gestione è comune alla maggior parte dei Paesi europei. Lo slogan di questo processo potrebbe diventare anche per noi quello di Blair: lo Stato from provider to commissioner. Una delle leve per attuare questo cambiamento è sicuramente


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la decentralizzazione, anche grazie al Titolo V della II Parte della Costituzione.
Dentro questo processo deve trovare la giusta risposta la sfida di riallocare le risorse finanziarie destinate all'istruzione, partendo dalla libertà di scelta delle famiglie, secondo il principio che le risorse governative seguono l'alunno (fair funding follows the pupil, dicono gli inglesi) e devono poter essere superiori per gli alunni che hanno più bisogno (disabili, stranieri) anziché essere standardizzate.
La seconda emergenza, richiamata opportunamente nella sua relazione, riguarda la mobilità sociale. La nostra scuola, di massa dagli anni Sessanta, è diventata un'istituzione di adattamento sociale. Come sulla scala mobile, la posizione delle persone sui gradini della scala rimane sempre la stessa anche se la scala sale; anzi, chi sta in basso viene ulteriormente penalizzato perché deve investire di più in educazione per ottenere gli stessi risultati.
La scolarizzazione di massa ha prodotto l'impressione di una crescita sociale, mentre in realtà c'è stato sì un innalzamento, ma tra i gruppi sociali, la posizione relativa è rimasta pressoché immobile, come ci ha ricordato ultimamente il rapporto OCSE.
Immobilismo sociale, rigidità dei percorsi, alti tassi di abbandono scolastico e formativo, lunga transizione al lavoro:
i giovani, anziché rafforzarsi attraverso il sistema, ne escono mortificati e il Paese, anziché svilupparlo, svaluta il suo capitale umano.
Per superare la scala mobile e favorire la mobilità sociale e l'investimento nel capitale umano valgono le strategie che rimandano ad autonomia e semplificazione dei percorsi: più libertà di apprendimento per gli studenti, piani di studio personalizzati, flessibilità nel tempo scuola, flessibilità nelle materie di apprendimento, opzioni di ingresso e di uscita - gli anticipi, signor Ministro - orientamento continuo, sistema dei crediti e reversibilità delle scelte, valorizzazione dei percorsi misti e raccordo tra scuola e istruzione di terzo livello, in cui la mancanza di un'alternativa all'università costituisce ancora una grave lacuna da colmare al più presto con intese e accordi con le regioni in sede di Conferenza unificata Stato-regioni.
Occorrono anche più flessibilità nei percorsi di formazione dai 3 ai 21 anni, diritto-dovere fino ai 18 anni, pluralità dei percorsi e dei soggetti formativi, modalità, durate e luoghi diversificati dell'apprendimento, alternanza scuola-lavoro, apprendistato per il diritto-dovere, apprendistato professionalizzante. Il raccordo con il mondo del lavoro, signor Ministro, è stato colpevolmente trascurato dall'impianto storico della nostra scuola.
Tra le priorità - lei lo ha riconosciuto - c'è per questo anche il rilancio dell'istruzione tecnica e tecnologica. Noi la sosteniamo in questo. È soltanto di qualche giorno fa l'ultimo appello della Confindustria, sul Il Sole 24 Ore in cui veniva posto l'accento sull'urgenza di riformare gli istituti tecnici per mettere a disposizione delle imprese tecnici con competenze avanzate. Anche in questo caso sarà fondamentale il dialogo con le regioni e la volontà di ripensare in termini innovativi e competitivi percorsi di studio, seguendo le indicazioni del decreto legislativo n. 226 del 2005, richiamato peraltro dalla legge n. 40 del Governo Prodi.
Non v'è dubbio che la revisione dei percorsi di studio dovrà innanzitutto partire dal «tempo scuola». Libero da ogni vincolo esterno di efficacia, il «tempo scuola» è aumentato nell'arco di vent'anni secondo obiettivi e criteri dettati via via dalle pressioni corporative e dalle esigenze astratte dell'organizzazione enciclopedica del sapere, non dell'apprendere, quasi che quantità e qualità debbano coincidere.
Che i nostri piani di studio debbano essere resi più essenziali ormai è un dato di fatto. I rapporti OCSE - Education at a Glance - lo evidenziano da diversi anni, collocandoci nella zona rossa delle graduatorie per l'elevato numero di ore di insegnamento e un rapporto molto basso studenti-insegnanti. Eppure, andare di più a scuola non coincide con imparare di più.


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Le performance dei quindicenni nelle principali discipline (lettura, matematica e scienze) rilevate dalle indagini PISA, come anche lei ha evidenziato con la dovuta preoccupazione, risultano ben inferiori alla media OCSE.
Questo dato mette in luce, come mostrano i rapporti internazionali, gli evidenti problemi di efficacia ed efficienza delle scelte di spesa, tra l'altro ribadite e confermate anche dal Libro bianco del Governo Prodi.
Se le cose stanno così, non solo sarà difficile raggiungere gli obiettivi di Lisbona, signor Ministro, ma diventa impensabile competere con l'impero di «Cindia», secondo la felice espressione di Federico Rampini riferita a Cina e India, che comprende 3,5 miliardi di persone, molto più giovani di noi, che lavorano più di noi, che studiano più di noi e che progettano il futuro con sofisticate tecnologie, a partire dall'età di 21 anni.
Non si tratta più solo di importare cervelli da questi Paesi per utilizzarli nei nostri sistemi produttivi (non so se avete seguito, ieri sera, la trasmissione di Piero Angela, che ha centrato benissimo tutti questi temi). Shangai ha una business school bilingue (cinese e inglese) che comincia ad attrarre quanto Harvard. Gli studenti cinesi vincono regolarmente le gare mondiali di matematica, scienze e fisica. La città di Bangalore, nell'India meridionale, è il centro di una nuova Silicon Valley.
Le estenuanti discussioni sugli aspetti delle riforme, in Italia, hanno tenuto bloccata, di fatto, la scuola dal 1997 ed hanno finito col distogliere la nostra attenzione dalla necessità di tenere il passo con il resto del mondo, che, al contrario, investe nella costruzione del proprio capitale umano per far crescere lo sviluppo e mantenere la propria competitività.
Ormai la strada delle sfide è in salita ed è globale. Ecco perché è necessario procedere velocemente - questo Governo lo farà, e lo farà con il nostro sostegno - ma anche prevedere una dieta che consenta di ridurre la dilatazione eccessiva e insostenibile dei costi e degli effetti poco lusinghieri dei percorsi di studio.
D'altra parte, l'alta percentuale di alunni bocciati e con giudizio sospeso fino a settembre, che rasentano complessivamente il 50 per cento della popolazione scolastica, conferma che il sistema sta andando al collasso. Certo, di fronte all'insuccesso scolastico, il primo riflesso che scatta è semplice: occorre bocciare, magari dopo aver tentato un recupero. È ciò che ha previsto l'ultima «operazione serietà» dell'ex Ministro Fioroni.
Voglio essere molto chiara. Signor Ministro, si può anche tornare - anzi, si deve tornare - a prevedere verifiche autunnali (gli esami di riparazione) e introdurre severi sbarramenti biennali per impedire il trascinamento dei debiti scolastici, come prevede il decreto n. 226 del 2005. Tuttavia, anche quando avremo fatto tutto questo, non avremo ancora dato risposte ad alcune domande cruciali: cosa sta all'origine di questa situazione? Perché e quando nascono i debiti formativi? O, se vogliamo dirla in due parole, perché a scuola si impara sempre meno?
Il lungo dibattito che si è svolto in questo anno scolastico tra gli esperti e gli opinionisti e, soprattutto, i confronti comparativi con i sistemi educativi più efficaci ci consentono di individuare almeno quattro ragioni. Nuovamente, e prima di tutto, il carico orario e le materie insegnate, che sono troppe: da un minimo di undici fino a un massimo di ventitre, a seconda degli indirizzi di scuola. C'è poco tempo per tutte; i ragazzi imparano quasi nulla di quasi tutto.
In secondo luogo, le materie hanno, al cospetto della valutazione, tutte la stessa importanza. In altri Paesi, coerentemente con la logica del core curriculum, il curriculum essenziale si distingue tra poche discipline fondamentali da certificare rigorosamente e discipline da validare.
La terza ragione è che non tutti gli insegnanti sono adeguatamente preparati all'insegnamento, non da oggi, ma da sempre. Prendiamo la matematica: solo il 20 per cento degli insegnanti delle medie è


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laureato in matematica. Laurea a parte, di nessuno viene verificata l'abilità di insegnare, non c'è valutazione.
Non esistono più standard e indicatori pubblici condivisi per valutare gli apprendimenti. Con la fine dei programmi gentiliani è crollato anche il paradigma valutativo condiviso e non è ancora stato sostituito da un diverso tipo di valutazione. Il risultato è l'anarchia valutativa totale. La scuola non è più in grado di dire alle famiglie e al Paese la verità circa il livello effettivo dell'apprendimento degli studenti.
Questo succede e continuerà a succedere fino a quando non si avrà il coraggio di rimuovere gli ostacoli organizzativi e non si introdurranno semplificazioni basate su percorsi personalizzati di acquisizione delle competenze-chiave e certificazioni esterne di stampo europeo che spostino la verifica dei livelli di apprendimento dal valore legale del titolo di studio alle reali conoscenze, abilità e competenze conseguite in uscita. Succederà soprattutto fino a quando non si comincerà a valutare, accanto all'apprendimento, anche la qualità dell'insegnamento, che ad esso è strettamente connessa.
Ecco perché, signor Ministro, partendo dal prossimo piano di riqualificazione della spesa pubblica, che lei si accinge ad attuare e noi a sostenere, occorre perseguire con tempestività l'innovazione degli obiettivi e l'esplicitazione degli standard di apprendimento, con l'accorpamento delle discipline, secondo la logica del curriculum essenziale, nel rispetto delle otto competenze-chiave europee, il miglioramento delle competenze fondamentali che continuano a costituire la base di ogni apprendimento successivo (è il punto debole dell'apprendimento dei nostri ragazzi), la modernizzazione delle competenze, la comparabilità, trasparenza, trasferibilità e riconoscimento delle competenze e degli apprendimenti secondo i livelli europei.
Ad ogni modo, non ci potrà essere nessuna qualità del processo educativo senza un adeguato sistema di valutazione. Nonostante l'istituzione, nella XIV legislatura, del Servizio nazionale di valutazione presso l'INVALSI, il nostro sistema educativo è tuttora privo di strumenti di rilevamento che forniscano indicazioni e valutazioni sull'efficacia degli investimenti pubblici e delle scelte didattiche. Dati e parametri sono giunti puntualmente e drammaticamente dalle rilevazioni e dai confronti europei e internazionali.
Abbiamo un bisogno urgente di una lente di ingrandimento per vedere dentro il sistema. E questo lo può fare solo l'INVALSI, che va per questo potenziato nei suoi organismi tecnici e nelle risorse investite. Lei, signor Ministro, ha sicuramente esposto questa preoccupazione e questa volontà.
Ci si chiede, però, se gli attacchi di cui l'istituto è al centro in questi giorni non siano frutto anche di un rifiuto a che la valutazione divenga sistematica e basata sulla professionalità.
In particolare, vanno fissate, già a partire dalla prossima direttiva triennale, alcune scadenze di certificazione esterna dei livelli di apprendimento con metodologie di derivazione internazionale - abbiamo a disposizione gli item dell'OCSE-PISA - per radicare la cultura della valutazione e della responsabilità nelle scuole e monitorare costantemente la qualità degli apprendimenti in uscita, commisurati a quelli all'ingresso, anche allo scopo di supportare le situazioni deboli.
Allo stato attuale, la legge prevede che i test sugli apprendimenti degli studenti siano effettuati nelle classi iniziali e finali di ogni ciclo di studio, così da rendere possibile la valutazione del valore aggiunto fornito da ogni scuola in termini di accrescimento delle conoscenze degli alunni.
In particolare, nella scorsa legislatura la maggioranza di centrosinistra, che ha stabilito queste fasi di rilevazione, recependo peraltro una nostra proposta, ha indicato le classi da sottoporre a verifica nella seconda e quinta della scuola primaria, prima e terza classe della scuola secondaria di primo grado, seconda e quinta classe della scuola secondaria di secondo grado.


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È opportuno che l'INVALSI proceda ad adempiere questo mandato nel più breve tempo possibile, garantendo l'assoluto rigore scientifico nella somministrazione delle prove. Per rispondere a queste esigenze, e facendo tesoro delle esperienze di valutazione condotte nella XIV legislatura, è necessario procedere alla messa a regime del sistema.
Sarebbe auspicabile che si cominciasse nell'anno 2008-2009 coinvolgendo le scuole primarie, per allargare poi la somministrazione a tutte le scuole secondarie di primo grado, per finire alla scuola secondaria di secondo grado nel 2010-2011.
Questi tempi consentono di rispondere a tre esigenze. La prima riguarda il fatto che i processi di apprendimento sono, per loro natura, cumulativi e perciò gli interventi sono tanto più efficaci quanto più intervengono nei primi anni della vita scolastica.
La seconda esigenza richiede la necessità di tener conto di tutte le indagini di apprendimento che coinvolgono le nostre scuole per evitare inutili sovrapposizioni. A tale riguardo, mi lasci dire che provo particolare soddisfazione per il fatto che, il 18 giugno 2008, gli alunni delle terze classi delle scuole secondarie di primo grado sono stati tutti sottoposti ad una valutazione - d'intesa con la maggioranza della scorsa legislatura - di italiano e matematica (stiamo parlando della prova nazionale degli esami di terza media). Questo è stato un fatto assolutamente epocale, che ha determinato una svolta, ed è stato deciso d'intesa tra maggioranza e opposizione nella scorsa legislatura. Credo che partendo da queste intese si possa procedere.
La terza esigenza è quella di fornire all'INVALSI il tempo necessario al completamento della sua strutturazione interna, per un adeguato rafforzamento delle strutture logistiche e di ricerca. So che questa, signor Ministro, è una delle sue prime preoccupazioni, quindi confidiamo in quello che lei farà immediatamente.
Sarebbe inoltre il caso, signor Ministro, di indire una seconda Conferenza nazionale sugli apprendimenti di base, coinvolgendo adeguatamente l'INVALSI e l'Agenzia per l'autonomia di Firenze, per fare un bilancio sulle dieci proposte discusse e approvate dal mondo della scuola nella prima conferenza, che si svolse il 9-10 febbraio 2005 per riflettere sui dati OCSE-PISA 2003.
Molti dei limiti della nostra offerta didattica erano stati già allora evidenziati, ma trattandosi di carenze strutturali e di interventi pluriennali di formazione e di qualificazione professionale è necessario elaborare nuovi piani di intervento.
Poiché i dati OCSE-PISA evidenziano problemi anche rispetto all'eccellenza, le propongo, signor Ministro, di promuovere azioni straordinarie per riconoscere e valorizzare i talenti - so essere questo un tema a lei molto caro - e le eccellenze degli studenti presenti in ogni scuola, prevedendo incentivi per le scuole e per i docenti che raggiungeranno questi obiettivi in percentuali significative.
Inoltre, poiché il futuro della scuola passa attraverso docenti più qualificati e più giovani, occorre porre le basi per una formazione iniziale e un reclutamento di qualità. Con il decreto n. 227 del 2005 avevamo posto i presupposti per preparare i nuovi docenti: corsi universitari finalizzati all'insegnamento, attività di tirocinio presso le scuole, ma anche percorsi di formazione iniziale abilitanti e successivo accesso attraverso il superamento di prove selettive e l'iscrizione ad albi regionali (iscrizione che, dopo un anno di praticantato, deve poter divenire requisito necessario per partecipare al concorso indetto dalle scuole autonome per l'assunzione).
Va inoltre prevista e incentivata la formazione continua degli insegnanti, la valorizzazione della professionalità, anche attraverso una maggiore valorizzazione dell'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'autonomia scolastica, che, creata nella scorsa legislatura in sostituzione degli istituti di ricerca, deve ancora trovare una propria mission, ma che è pronta a giocare un ruolo importante, avendo peraltro una


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consolidata esperienza, per lo sviluppo della scuola italiana e le politiche di innovazione anche in una prospettiva internazionale.
In mancanza di un'adeguata formazione e di riconoscimenti in termini di carriera e di retribuzione - tema che lei sicuramente ha rilanciato e noi sosteniamo - e, in una parola, in mancanza di un consolidamento professionale, è difficile pensare di riuscire ad attrarre, formare e trattenere giovani insegnanti per favorire un ricambio generazionale. I migliori studenti delle lauree magistrali devono poter tornare a considerare l'insegnamento un'occasione di realizzazione personale e professionale entrando in ruolo da giovani.
Infine, occorre intervenire tempestivamente per modificare gli organi di governo degli istituti, tuttora disciplinati dai decreti delegati del 1974. L'autonomia degli istituti va rafforzata eliminando vincoli burocratici e centralistici, riconoscendo maggiore libertà e responsabilità alle scuole, anche dal punto di vista finanziario. Occorre introdurre l'autonomia statutaria e organismi snelli di autogoverno dell'istituzione scolastica. Deve essere garantita per le scuole la possibilità di coinvolgere soggetti pubblici e privati della società civile disposti a scommettere sui processi di innovazione e modernizzazione della scuola - nel rispetto del principio di sussidiarietà introdotto dalla riforma costituzionale del Titolo V del 2001 - e di potersi trasformare persino in fondazioni.
Questi ultimi aspetti di riforma dell'impianto scolastico - stato giuridico dei docenti e governance delle scuole - sono particolarmente delicati e richiedono una condivisione ampia in Parlamento e nel Paese. È per questo che, d'intesa con le forze di opposizione e ci auguriamo anche con la sua piena condivisione, questa Commissione ha previsto di avviare prossimamente l'esame di due proposte di legge, una di maggioranza di cui sono prima firmataria (C. 953) ed una di opposizione (primo firmatario l'onorevole De Torre), per convergere verso un testo in cui ci si possa riconoscere tutti, ovviamente dopo aver esperito un percorso approfondito di ascolto e di confronto con i soggetti interessati.
Ho introdotto tutti questi temi indicandoli come alcune delle priorità per la sua azione di governo. Molto altro ci sarebbe da discutere ancora, ma ci saranno sicuramente altre occasioni di confronto per farlo e altri colleghi della maggioranza interverranno su questo tema.
Augurandole nuovamente buon lavoro, cara Mariastella Gelmini, le confermo, da presidente di questa Commissione, la piena disponibilità a lavorare insieme, nel rispetto delle prerogative del Parlamento. Buon lavoro.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Signor presidente, intervengo sull'ordine dei lavori. Siccome sono le 10,30 e alle 11,00 dobbiamo tornare in aula, vorrei sapere come si intende procedere.

PRESIDENTE. Avevo già risposto all'onorevole Palmieri.

LUISA CAPITANIO SANTOLINI. Quando continuerà l'audizione? Non credo che in mezz'ora possiamo esaurire gli interventi.

PRESIDENTE. Sospenderemo l'audizione per partecipare ai lavori dell'Aula. Al momento non siamo in grado di prevedere quando sarà possibile proseguire; vedremo quali saranno gli impegni dell'Assemblea e del Governo. Se dovessimo votare la fiducia, onorevole, dovremmo interrompere la nostra attività. È inutile, dunque, azzardare qualsiasi previsione. Dobbiamo navigare a vista.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ROSA DE PASQUALE. Signor Ministro, la ringrazio per la relazione che ci ha illustrato. Lei ci ha esposto i princìpi e i metodi di un piano di legislatura per la nostra scuola. Ora, mi chiedo, qual è il ruolo e quali sono gli obiettivi della scuola nella nostra società? Non basta sapere il


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come, che già per alcuni aspetti può essere condiviso e per altri no, ma soprattutto il dove vogliamo arrivare. Credo che questa sia oggi una domanda fondamentale con la quale dobbiamo tutti noi confrontarci, al fine di trovare una strada condivisa.
Ora, da donna che nella scuola e per la scuola vive e lavora da più di 27 anni, con grande passione, mi permetto di tratteggiare una risposta al quesito sopra posto. La scuola oggi deve avere il ruolo e l'obiettivo di aiutare le nuove generazioni ad inserirsi nella società, in continuità attiva e propositiva - cittadinanza attiva - grazie ad un'educazione che istruisce, nel solco delle esperienze maturate da chi è venuto prima di loro, per migliorare e far crescere il bene comune, che è al tempo stesso il bene della persona e della comunità.
Tutto ciò non solo al fine di una crescita sociale, ma anche al fine di una crescita culturale e personale, durante tutto l'arco della vita. È anche per questo, signor Ministro, che mi è risultato alquanto stonato il suo discutere con noi della scuola primaria e secondaria - lei ci ha detto che avremmo parlato della scuola primaria, forse pensando di ricomprendere tutto? - omettendo, come se non facesse parte integrante del nostro sistema di istruzione, di ricordare la scuola dell'infanzia. La scuola dell'infanzia, comprensiva in via sperimentale delle «sezioni primavera», rappresenta la partenza dalla quale prende avvio la vita sociale condivisa dalle nuove generazioni, che così in tenera età possono più facilmente essere indirizzate ed educate a un'istruzione di cittadinanza attiva e consapevole, che contribuisce allo sviluppo effettivo, psicomotorio e sociale del bambino.
Inoltre, in un più ampio piano di reale parità di lavoro tra uomo e donna, è la scuola dell'infanzia che, unitamente agli asili-nido, con il qualificato personale docente e non docente, consente alle famiglie il raggiungimento di una migliore qualità della vita.
Ciò premesso, prima di portare il mio, nostro contributo nel merito, vorrei evidenziare la profonda difficoltà in cui versa la scuola italiana, per rispondere alla quale, a mio avviso, innanzitutto occorre un'azione che, da un lato, renda protagonisti veri i soggetti che operano nell'ambito scolastico e, dall'altro, riporti al centro della nostra società, come anche lei diceva, in maniera costruttiva, l'imprescindibile e importante ruolo dell'istruzione.
Tenere in considerazione questo duplice aspetto significa orientare sempre e comunque qualsiasi idea e soluzione verso un cammino positivo, che favorisca nel contempo la crescita della persona e della comunità, in cui il «noi» sia conseguenza di un rapporto corretto.
Coerentemente a quanto premesso, parto dai soggetti protagonisti, in primo luogo dalle strutture al servizio della nostra scuola, e le chiedo di conoscere quali sono gli intendimenti suoi, signor Ministro, rispetto ai compiti da mantenere in capo agli uffici amministrativi a livello provinciale, gli uffici scolastici provinciali, e a livello regionale, gli uffici scolastici regionali, considerata anche l'estrema esiguità organica di detti uffici, compreso l'organico dei dirigenti di seconda fascia (non ce ne sono quasi più), anche rispetto al supporto nei confronti delle istituzioni scolastiche autonome. In particolare, le chiedo quali compiti rimarranno in capo agli uffici statali rispetto agli uffici regionali, provinciali e comunali, in caso di compiuta applicazione del Titolo V della Costituzione.
Lei, signor Ministro, ha posto al centro della sua relazione l'autonomia scolastica e ha parlato di semplificazione e chiarezza. Allora mi chiedo (e qui mi scuso, ma faccio inevitabilmente riferimento alla mia esperienza): cosa dovranno e potranno decidere le scuole? Cosa potranno e dovranno decidere gli uffici scolastici provinciali? Cosa dovranno e potranno decidere gli uffici scolastici regionali? Cosa dovranno e potranno decidere le regioni, le province, i comuni?
Vorrei riprendere un discorso affrontato nella seduta precedente, relativamente a una questione che secondo me diventa sempre più urgente. È vero, l'autonomia scolastica c'è, ma va coordinata. Ad esempio,


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nel caso delle prove che ci saranno in moltissime scuole a settembre, considerando che molti insegnanti sono stati trasferiti, hanno cambiato scuola, in base all'autonomia scolastica ogni dirigente scolastico potrà decidere di chiedere ai suoi insegnanti di iniziare con il collegio nella nuova scuola, mentre quegli insegnanti saranno impegnati nelle prove nella scuola in cui hanno precedentemente precedente lavorato, per poi partecipare al consiglio di classe in modo regolare. Diversamente andremmo incontro a ricorsi.
È indispensabile, proprio perché c'è l'autonomia scolastica, che dal centro arrivi l'indicazione che gli insegnanti trasferiti dovranno prestare servizio nelle scuole precedenti fino ad esaurimento delle prove e fino al completamento dei conseguenti collegi di valutazione.
Restando sempre al discorso delle diverse competenze, come lei sa, ora sono gli enti locali a decidere gli accorpamenti delle scuole, le soppressioni e così via, mentre gli organici vengono conferiti dagli uffici scolastici regionali. Moltissime volte si verifica che decisioni assunte dagli enti locali non possono essere onorate perché non ci sono organici. Naturalmente, questo è un aspetto - di piena applicazione del Titolo V della Costituzione, a nostro parere - che va regolamentato.
Non vi può essere, inoltre, vera ed efficace autonomia se non vissuta e costruita in forma sinergica e di costruttiva solidarietà fra le istituzioni scolastiche - spesso parliamo di autonomia, ma sul campo ci si rende conto di quanto sia importante che le istituzioni abbiano delle sinergie fra loro - che vanno a incidere sullo stesso territorio, che può essere il piccolo il quartiere o il comune, quindi più comuni su una stessa area territoriale, sino alla provincia.
Mi spiego con un esempio. Ho avuto contatti, diverse volte, con scuole nelle quali non era uso accogliere ragazzi diversamente abili o ragazzi stranieri, perché si formavano classi di venticinque alunni tutti italiani e senza handicap, e magari la scuola accanto si trovava in grosse difficoltà proprio perché doveva accoglierne diversi.
È vero, l'autonomia è una grandissima risorsa, ma va vissuta in senso sinergico. In questo senso, riporto l'esperienza che stiamo vivendo in provincia di Firenze della formazione di poli funzionali sul territorio, dove le scuole si coordinano per svolgere diverse attività, finanche il reclutamento di personale a tempo determinato. Si può pensare, in questo caso, di fare formazione utile per più istituzioni scolastiche. Insomma, c'è una sinergia reale.
Con riferimento al corpo docente, innanzitutto richiamo l'urgenza di provvedere a varare una normativa che, a modifica dell'esistente, consenta il reclutamento del personale insegnante in modo che vengano salvaguardate alcune priorità.
In primo luogo, il superamento della precarietà per la categoria degli insegnanti. Depositeremo un progetto di legge che completa quello sulla governance citato dalla presidente, al fine di cercare di superare la precarietà, che nella scuola - più che in altri ambiti lavorativi - è un elemento disastroso.
In secondo luogo, la formazione continua e obbligatoria in tutto l'arco della vita lavorativa, che si alterni tra quella in presenza e quella di attuazione sperimentale nella classe con i ragazzi, una formazione che affianchi e sostenga i nostri insegnanti.
Inoltre, occorre dare spazio alla creazione, da parte delle scuole, di un ambiente professionale in cui si possano comunicare e discutere, con metodo seminariale, esperienze positive, difficoltà, proposte, senza prevedere obbligatoriamente la presenza di esperti. Oltre ai temi di carattere disciplinare e metodologico, dovrebbe essere dato particolare rilievo al profilo educativo del rapporto docente-allievo.
Altra priorità è la valutazione costante dell'operato dei docenti e la possibilità di allontanamento, in tempi certi e veloci, dalla classe nel caso si ravvisino problemi accertati nelle modalità di insegnamento e


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qualora l'insegnante stesso non sia in grado di continuare in modo proficuo ed equilibrato la propria attività.
Di contro, occorre introdurre premialità per il merito e l'impegno dimostrato, per la cui valutazione potranno anche concorrere i risultati conseguiti dai propri alunni come effettiva maggiore istruzione.
Al momento del reclutamento, occorre introdurre la valutazione non solo della preparazione culturale dei futuri insegnanti, ma anche della loro idoneità e attitudine a educare istruendo, educere la vera, completa e sviluppata personalità di ogni persona a loro affidata.
Infine, richiamandomi alla sua più volte citata intenzione di aumentare gli stipendi al personale insegnante, mi pare di poter affermare che risulta più che doveroso portare le retribuzioni e le ore di attività dei docenti a livello di quelle europee, in una completa rivisitazione del ruolo professionale e sociale dei nostri insegnanti.
Tuttavia, poiché - come lei stessa afferma - non disponiamo di risorse economiche illimitate, anzi dobbiamo compiere un grande sforzo di riqualificazione della spesa pubblica, e poiché i conti dello Stato e la situazione economica internazionale impongono un piano triennale di contenimento della spesa pubblica nel settore scuola, dove troverà le risorse per un così considerevole aumento stipendiale? Mi auguro non riducendo l'organico dei docenti, né aumentando il numero degli alunni per classe, né azzerando il tempo pieno nella scuola primaria, ma distraendo piuttosto le necessarie risorse da altri settori e riducendo realmente la spesa pubblica laddove vi siano sprechi e privilegi.
Con riferimento al rapporto con i nostri ragazzi, occorre valutare l'introduzione di nuovi metodi didattici che consentano un più costruttivo - permettetemi, come dicono i ragazzi - meno barboso e partecipe approccio alle materie di insegnamento. Occorre individuare modalità che non solo rendano consci i nostri ragazzi del senso e dell'utilità dell'istruzione e della cultura, ma anche li portino alla consapevolezza di essere cittadini attivi, costruttori della loro comunità sul territorio, in modo che come protagonisti consapevoli del loro essere cittadini dell'oggi e non del domani, possano trovare nuovi spunti e nuove motivazioni per intraprendere e portare brillantemente a termine un percorso scolastico condiviso. Questa, secondo me, sarebbe una soluzione anche contro il bullismo che, in fondo, seppure in modo negativo, è un'esigenza di protagonismo.
Occorre altresì ripristinare l'insegnamento dell'educazione civica come materia autonoma, non solo trasversale, che affronti in particolare, attraverso lezioni concrete e articolate, temi quali la legalità e la cittadinanza attiva, iniziando da uno studio attento e fattivo della nostra Costituzione.
Dobbiamo dare corso alla più volte annunciata riforma della scuola secondaria, in continuità con quanto già intrapreso in materia dal Ministro Fioroni. Come lei stessa mette in evidenza, infatti, la nostra scuola primaria è tra le migliori in Europa, ma nel tempo è stata nei programmi e nell'impianto rivisitata.
Occorre trovare una valida soluzione al precariato nella scuola. Infatti, non solo lo status di precario demotiva i docenti, ma a causa degli elevatissimi costi - le nostre scuole con i finanziamenti ordinari non giungono a coprire le supplenze nemmeno per metà anno scolastico - molto spesso i ragazzi delle classi dove sono assenti gli insegnanti vengono mandati a casa (nel caso di alunni maggiorenni) oppure vengono suddivisi in altre classi, con la logica conseguenza di una impossibilità di apprendimento, tanto per gli alunni in trasferta, quanto per gli alunni della classe ospitante.
Per questo motivo ritengo indispensabile, al fine di garantire un buon livello di istruzione per tutta la classe, tale da non lasciare indietro nessuno, formare classi non numerose e attente alla variegata e diversa esigenza dei ragazzi. A tal proposito ho appreso questa mattina - può darsi che siano soltanto invenzioni della stampa - dell'intenzione di aumentare il


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rapporto tra alunni e docenti per classe nonché di aumentare i tagli già previsti dal precedente Governo (sebbene fossero stati molto ben ponderati, andando ad incidere soltanto sull'organico funzionale). Io penso che la scuola non possa sopportare altri tagli; lo sostengo in quanto ho vissuto e lavorato a lungo nella scuola.
Per quanto riguarda le famiglie, sottolineo che considero la famiglia la sede naturale per lo sviluppo della persona umana e segnatamente per l'educazione dei giovani ai valori fondamentali della convivenza civile. La scuola è e deve essere una prosecuzione dell'educare. Per questo motivo occorre celermente agire attraverso una costruttiva modifica della normativa relativa agli organi collegiali e più ampiamente attraverso la crescita della partecipazione dei genitori e delle componenti sociali nell'ambito delle istituzioni scolastiche stesse. In relazione a questo argomento abbiamo già depositato, negli ultimi giorni, un progetto di legge.
Un altro aspetto determinante per le famiglie, che già pesantemente vivono le conseguenze della crisi economica, riguarda il costo annuale relativo ai libri di testo. Occorre urgentemente provvedere a riordinare la materia, cercando soluzioni che consentano, innanzitutto, che i libri di testo, attraverso un serio accordo tra il Governo e gli editori, al quale dare adeguata pubblicità, presentino costi ridotti, per esempio attraverso un uso di carta riciclata, sulla falsariga comunque delle edizioni economiche, e vengano mantenuti nella stessa forma grafica e di contenuto per almeno cinque anni, con eventuali piccoli inserti di aggiornamento a costi limitati. In secondo luogo, occorre incentivare il mercato dell'usato e, per alcune tipologie di materie, dare la possibilità agli insegnanti, insieme con gli alunni, di redigere dei libri attraverso l'ausilio di Internet.
In conseguenza, occorre rideterminare il budget annuo fissato per i consigli di classe, tenendo conto delle nuove materie «curricolari» introdotte con le ultime riforme, così che i consigli di classe possano scegliere i libri effettivamente necessari, mantenendo sostenibile la spesa per le famiglie.
Per ora tralascio, riservandomi di trattarla in altro momento ed in modo più approfondito, tutta la problematica del sistema di valutazione degli alunni, del legame tra comportamento o condotta e valutazione legata al rendimento scolastico.
Inoltre, ritengo fondamentale dare seguito a forme di continuità tra la scuola secondaria di primo grado e il biennio di obbligo scolastico: iniziare a sperimentare forme di interazione in poli tecnico-professionali, dove venga dato molto spazio all'attività laboratoriale, profondamente legati al territorio e alle sue esigenze e sperimentazioni, che stimolino innovazione ed offerte di diverse attività anche lavorative, legate al territorio.
In conclusione, come agire per riportare al centro della nostra società il ruolo dell'istruzione e, di conseguenza, della scuola? Ritengo che occorra puntare tutto l'intervento - composto di diversi aspetti, come sopra evidenziato - sulla riscoperta della coscienza e della consapevolezza da parte di tutti di essere cittadini sovrani, che vivono insieme sullo stesso territorio, dove ciascuno può e deve essere protagonista in prima persona del progresso personale, della propria comunità e del Paese, esprimendo l'eccellenza che è propria di ognuno.
Noi in questo senso vediamo l'eccellenza e il merito: ciascuno dà il massimo che può dare. Certamente gli interventi sopra descritti possono contribuire a dare una parziale risposta, ma sicuramente devono essere accompagnati da un forte e costruttivo impegno da parte del Governo.

PRESIDENTE. Onorevole, la prego di concludere.

ROSA DE PASQUALE. Concludo ribadendo la necessità di non aumentare il numero di ragazzi per classi. Con le ultime circolari, ad esempio, si prevede l'insegnante di sostegno solo in presenza di ragazzi con un handicap. Invece, accanto


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ai diversamente abili, possono esserci ragazzi anche con gravi problemi psicologici o familiari, possono esserci stranieri con problemi di lingua. Quella della lingua, peraltro, è una tematica rispetto alla quale bisogna individuare una soluzione.

PAOLA FRASSINETTI. Signor Ministro, fermo restando che molte cose sono già state anticipate dalla presidente Aprea, vorrei ringraziarla perché, oltre a fornirci una relazione compiuta e articolata, è riuscita ad aggredire alcuni problemi con grande realismo. Di questo dobbiamo ringraziarla tutti.
Articolerò brevemente il mio intervento, partendo da un dato che lei ha molto ben evidenziato nella sua relazione, sul quale siamo d'accordo tutti: è necessario rimettere al centro la persona e analizzare l'emergenza educativa che indubbiamente esiste.
La responsabilità di tale emergenza è sia della famiglia, sia dell'istituzione scuola. Nel caso della famiglia, a mio avviso, c'è stata un'indubbia trasformazione: oggi la famiglia pensa più alla promozione che alla formazione degli studenti ed è diventata iperprotettiva. Mentre un tempo la famiglia aveva sicuramente un ruolo diverso e stava, comunque, dalla parte dell'istituzione, oggi accompagna il proprio figlio dall'avvocato per presentare ricorso al TAR quando il ragazzo...

LUCIANO CIOCCHETTI. Mi scusi, presidente, faccio osservare che sono intervenuti due deputati del PdL e due del PD, e neanche uno dell'UDC...

PRESIDENTE. Avrà la parola subito dopo, onorevole.

LUCIANO CIOCCHETTI. Avrei dovuto parlare prima!

PRESIDENTE. Deve considerare la diversa consistenza numerica dei gruppi. In ogni caso, il presidente le darà la parola una volta concluso l'intervento dell'onorevole Frassinetti (Commenti).
Prego, onorevole Frassinetti.

PAOLA FRASSINETTI. Come dicevo, a mio avviso la crisi nasce dalla famiglia e dalla scuola.
È indubbio che ormai la scuola non ha più la funzione di ascensore sociale, ma è basata su un'eguaglianza che provoca ineguaglianza. Sul Sessantotto ho una posizione che va un po' in controtendenza rispetto a quella del mio partito. Non tutti i mali vengono dal Sessantotto. Il Sessantotto è nato anche perché c'era una classe di insegnanti vuota, una sorta di baronia che ha fatto sì che gli studenti non vedessero più riconosciute alcune loro esigenze. Va detto, però, che quantomeno nel primo Sessantotto gli studenti erano molto preparati. L'idea di un branco di somari che non volevano studiare va esaminata da un punto di vista critico diverso. Infatti, soprattutto all'inizio di quel periodo, nelle assemblee alcuni studenti mettevano in crisi i professori su alcune dinamiche interpretative e didattiche. Pur non essendo questo il tema odierno, ho ritenuto opportuno fare questa puntualizzazione.
Vi è un dato emergenziale che viene fuori dall'indagine OCSE-PISA. In una logica di apprendimento permanente e di successo formativo, a mio avviso, è impensabile promuovere solo percorsi lunghi, come la quinquennalità degli istituti professionali di recente prevista, perché questo espone maggiormente al rischio della dispersione scolastica. A chi, invece, sceglie i percorsi triennali va riconosciuta la possibilità di ulteriori opportunità formative dopo il conseguimento della qualifica. È importante il dato sperimentale degli istituti professionali triennali, anche per non creare delle sovrapposizioni.
Per quanto riguarda l'indagine OCSE, è indubbio che le scuole elementari sono considerate qualitativamente migliori. E questo, a mio avviso, non avviene a caso, ma perché la riforma Moratti ha avuto il tempo di realizzarsi con i suoi strumenti, quale il portfolio delle competenze e il piano di studi personalizzato.
Esiste un problema che riguarda la scuola media inferiore, che secondo me è l'anello debole della catena. Infatti, se c'è una impreparazione totale nel secondo


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ciclo delle superiori, molto deriva dal fatto che la scuola media inferiore non ha più una sua connotazione: è una scuola elementare un po' più difficile o una scuola superiore un po' più facile? Essa deve avere, invece, soprattutto nell'ultimo anno, una funzione di anello, di preparazione, con una sua qualifica ben precisa.
Per porre rimedio a questa situazione di emergenza, a mio avviso, occorre intervenire in due direzioni: la riqualificazione del corpo docente, come è già stato sostenuto anche nei precedenti interventi, e la regolamentazione nell'ambito delle competenze statali e regionali.
È apprezzabile, signor Ministro, la sua intenzione di aumentare lo stipendio dei nostri insegnanti, che è uno tra i più bassi d'Europa. Questo aumento, però, deve essere legato al merito e alla qualità dell'impegno. Quindi, la riqualificazione della professione docente non deve andare verso il basso; attualmente abbiamo una situazione che vede un modello uniforme impiegatizio che soggiace a un patto implicito: bassi salari a fronte di una facilità di reclutamento e nessuna verifica.
Su questo scellerato patto si è formata, a mio avviso, la dequalificazione del corpo docente. È evidente che non si può parlare di merito in assenza di una valutazione e, a catena, se l'insegnante non sa trasmettere il piacere dell'apprendimento all'alunno, quest'ultimo è demotivato e si verificano anche situazioni di dispersione scolastica.
Lo sviluppo della funzione docente non è un problema tecnico, ma è un problema politico, sociale e culturale. Attraverso un nuovo stato giuridico, occorrerebbe dare ai docenti prospettive di carriera attualmente inesistenti. Ad esempio, si potrebbero prospettare tre livelli: junior, senior e ricercatore, quest'ultimo come elemento di raccordo tra università e scuola. Secondo me, è indubbio che il docente non può abbandonare l'università, ma periodicamente potrebbe tornarci per studiare, ricercare e produrre intellettualmente.
Se un insegnante scrive un libro sulla sua materia, questo merito deve essergli riconosciuto, mentre attualmente un insegnante che scrive un libro di letteratura francese non ha alcun merito.
I Paesi con i migliori risultati scolastici sono quelli che operano una rigorosa selezione dei candidati alla docenza.
Evidenzio anch'io il problema della valutazione, che è molto importante. È auspicabile il ritorno per tutti all'etica del proprio ruolo e del proprio lavoro, che è una dimensione importante dell'etica civile in cui il lavoratore è inteso come costruttore e non come consumatore.
In un punto molto importante della sua relazione lei avverte la necessità di semplificazione e di chiarezza. Le diamo atto di aver avuto l'intelligenza di sintetizzare la cosiddetta riforma Moratti con altri provvedimenti e altre norme, eliminando quell'intasamento di regolamenti spesso incomprensibili che piombano sulla scuola mettendola in difficoltà. Il nodo da affrontare con urgenza è la riforma del Titolo V relativamente all'avvio del secondo ciclo (l'alternanza scuola-lavoro, il diritto-dovere fino a 18 anni e via dicendo).
La piena attuazione di questi decreti comporta la necessità di chiarire il quadro ordinamentale con un piano di semplificazione che metta in ordine gli indirizzi e le specializzazioni degli attuali percorsi. Il problema è che se non si arriva a un accordo condiviso, come quello sottoscritto nel 2003 in Conferenza Stato-regioni per la definizione dei percorsi triennali di istruzione e formazione, ciascuna regione potrà liberamente interpretare questa norma in modo completamente differente, anche limitando la libertà di scelta delle famiglie.
Abbiamo visto quel che è accaduto in Lombardia: la regione, contrariamente a Toscana ed Emilia-Romagna, ha approvato la legge regionale n. 19 del 2007 sul sistema educativo, in perfetta coerenza con la legge n. 53 del 2003, con l'obiettivo di disegnare un sistema educativo unitario che sapesse coniugare l'offerta pubblica di istruzione e formazione e la domanda sociale del mercato del lavoro.


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È indubbio che, in presenza di un sistema confuso, nel quale l'istruzione tecnica viene sostanzialmente degradata e collocata in una sorta di limbo, non abbiamo l'opportunità di fare scelte precise: da una parte i licei, dall'altra gli istituti tecnici, per cui chi vuole intraprendere la formazione professionale deve fare i corsi triennali, con la possibilità di avere un'occupazione.
Avviandomi alla conclusione, signor Ministro, interpreto la sua scuola con tre parole: libertà, identità e solidarietà, tre termini a me molto cari. Vedo la scuola della libertà soprattutto nella libertà delle famiglie di scegliere a quale tipo di scuola mandare i propri figli. Basta, quindi, con la sterile contrapposizione tra scuola pubblica e paritaria. Cito un fatto personale: quando andavo nella scuola pubblica, siccome spesso non volevano farmi entrare a scuola per motivi politici, i miei volevano mandarmi dalle suore; ho opposto una resistenza incredibile per rimanere nella scuola pubblica - dunque nessuno più di me difende la scuola pubblica - minacciandoli di smettere di studiare, nonostante quello che in quegli anni accadeva a me e a tanti altri studenti.
Fermo restando che la scuola pubblica va sicuramente difesa, è necessario che vi sia una competizione agonistica tra le scuole per raggiungere l'eccellenza. Questa è la scuola della libertà.
La scuola dell'identità mi è molto cara. Premetto che per me l'identità è un dato dinamico, non statico. È evidente, come dimostra la mia idea di scuola per l'integrazione degli stranieri, che la scuola dell'identità deve difendere la lingua italiana. Grazie, signor Ministro, per aver aggiunto finalmente questa benedetta quarta «i»: «impresa», «internet» e «inglese» non erano sufficienti per una tradizione scolastica come quella italiana. Sono importanti la letteratura, la grammatica e la sintassi, come aveva detto anche il Ministro Fioroni. Penso che su questo siamo tutti d'accordo.
Per quanto riguarda la lingua latina - c'è stato un dibattito in questo senso - lo studio del latino non deve essere abolito o ridotto ad un insegnamento residuale, laddove previsto; credo infatti che rappresenti una grande scuola di formazione e una disciplina mentale. Non è vero che il nostro linguaggio scientifico è legato solo all'inglese; lo diciamo per una sudditanza nei confronti del mondo americano, ma non è sicuramente così.
Sono pienamente d'accordo con il professor Cardini quando afferma che «quando una disciplina viene derubricata, a poco a poco finisce per sparire. È inutile aggirare o negare le difficoltà traducendo in pillole una struttura linguistica rigorosissima, di estrema bellezza e armonia interna, magari sostituendo lo studio della lingua con notiziole su come vivevano o mangiavano gli antichi romani». Lo stesso vale, a mio avviso, per la filosofia, che è una materia molto importante per la formazione critica degli studenti.
Passo quindi al tema della solidarietà, la terza ma probabilmente la più importante delle tre parole che ho individuato per riassumere il suo programma. Solidarietà significa attenzione agli studenti disabili, ma ricordo che lo scorso Governo ha previsto tagli al numero degli insegnanti di sostegno. È necessario, peraltro, differenziare le disabilità. Quella degli studenti affetti da sordità, ad esempio, è una questione a sé.
È necessario prevedere borse di studio per gli studenti meritevoli e bisognosi, che devono avere le stesse condizioni di partenza degli altri. Non devono essere le condizioni economiche a fare andare avanti gli studenti eccellenti.
Un aspetto al quale tengo molto è l'integrazione degli studenti stranieri. A mio avviso, senza una vera integrazione degli studenti stranieri che parte dal mondo della scuola, non si può affrontare il discorso della sicurezza, che si ripercuote in altri ambiti. Noi dobbiamo promuovere l'apprendimento strutturato della lingua italiana e assicurare agli studenti degli strumenti idonei per affrontare il lavoro e la società. C'è stata un'intercultura, una scuola «fai da te» che si è risolta in uno spreco di risorse, con progetti folcloristici, dalla cucina multietnica


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alla danza. Non è così che si integrano gli studenti stranieri. La scommessa si vince a scuola, investendo risorse su banalissimi corsi di lingua italiana L2 per gli stranieri, usando metodi analoghi a quelli che gli italiani usano per imparare le lingue straniere, formando gli insegnanti di lingua italiana con metodi audiovisivi, prevedendo corsi di lingua italiana per i ragazzi stranieri all'interno dell'orario scolastico, ma separati, agevolando l'uso di libri di testo graduati per gli stranieri e potenziando l'insegnamento di materie importantissime come la storia dell'arte, l'educazione civica e lo sport.
Attraverso l'amore per le opere d'arte - e in Italia ce ne sono tantissime - lo studente può amare la propria patria, quindi non dividersi etnicamente per motivi di religione, ma sentirsi italiano a tutti gli effetti. A Brescia è stato condotto un esperimento di questo genere: stranieri che abitano a Brescia da tanto tempo sono stati portati a fare il giro della città, con risultati molto interessanti.
Quando ho sostenuto l'esame di maturità, una traccia recava una frase di don Milani: «La lingua rende uguali gli uomini». Devo dire che tutti andammo fuori traccia, perché non era un problema sentito come adesso. Oggi dico che don Milani aveva ragione. Gli stranieri della scuola di oggi sono simili - posso dirlo, tanto la collega Goisis è assente! - ai ragazzi delle campagne che parlavano solo il dialetto e non potevano affrontare in modo efficace la scuola.
L'ultimo punto legato alla solidarietà riguarda l'edilizia scolastica. Sono stata assessore all'edilizia scolastica nella provincia di Milano e le dico, signor Ministro, che in questo ambito le province hanno una funzione. Andrò in controtendenza, ma devo dire che sull'edilizia scolastica per le scuole superiori le province hanno una competenza importante. L'edilizia scolastica, soprattutto per quanto riguarda l'adeguamento normativo e la messa a norma degli edifici, è fondamentale. Occorre meno burocrazia, meno ricerca del certificato di agibilità e più ricerca della sicurezza, quella vera.
Bisogna modificare il sistema delle imprese che vincono gli appalti senza avere la possibilità di portare avanti i lavori e lasciano le scuole completamente in balia degli avvocati. Penso che occorra intervenire, anche sulla legge Merloni, perché non è possibile che tante scuole non vengano terminate.
Personalmente, più che per campus e progetti ex novo, opterei per la ristrutturazione di scuole già esistenti, anche per un discorso di economia di spesa.
In conclusione, la ringrazio, signor Ministro, per il bellissimo dibattito che è scaturito da questa relazione, e anche per avermi offerto l'opportunità di fare qualche battuta culturale su Gramsci. Il giornale del mio partito ha riportato una mia dichiarazione secondo la quale, tutto sommato, Gramsci è gentiliano. Forse si trattava di una forzatura, ma rammento che negli anni Ottanta la nuova destra veniva chiamata gramscismo di destra, vale a dire attuazione della metapolitica nella politica. Perdonatemi questo excursus, ma ogni tanto in Parlamento possiamo dialogare a questi livelli.
Torno all'alleanza sulla scuola, che è uno dei primi punti del suo intervento, ma credo debba essere - e non è demagogia - il nostro vademecum per riuscire ad aiutarla in questo difficile compito che l'attende. Lei ha iniziato con il piede giusto e noi siamo qui per aiutarla.

LUCIANO CIOCCHETTI. Voglio soltanto ricordare che la prassi repubblicana, nelle Commissioni, prevede l'alternanza degli interventi, in caso di audizione, tra i gruppi parlamentari, al di là del numero dei loro componenti. Credo sia giusto continuare con questa prassi - mi scuso per l'intemperanza di prima, non è mio uso - anche perché, per quanto voi lo vogliate, non esiste ancora il bipartitismo, e l'Unione di Centro rappresenta una forza di opposizione all'interno di questo Parlamento, non omologata alle altre opposizioni.
Signor Ministro, la ringrazio per la sua relazione. Ci sono molti spunti importanti su cui riflettere e spero che, nel corso


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della legislatura, possano consentire di approfondire una delle questioni centrali per il futuro del nostro Paese. Credo che quello dell'educazione e del sistema scolastico sia il tema centrale che riguarda il futuro dell'Italia.
Siamo di fronte - dobbiamo dirlo con grande coraggio e serietà - a un grande problema di emergenza educativa nel nostro Paese. L'impreparazione dei nostri studenti nei confronti degli studenti degli altri Paesi europei è nota a tutti. Molti colleghi, in maniera dotta, anche perché provengono direttamente dall'esperienza scolastica, hanno parlato delle materie curricolari che, sicuramente, devono continuare a essere architrave dello studio dei nostri studenti, ma credo che abbiamo alcune emergenze che non possono essere messe da parte.
Quella della conoscenza di altre lingue, ad esempio, è un'emergenza vera, che mette in grande difficoltà i nostri studenti quando si confrontano con gli altri Paesi europei e non soltanto con gli altri studenti dei Paesi europei. Parliamo tutti di Europa e di globalizzazione, ma da questo punto di vista noi abbiamo un'emergenza vera, perché la nostra scuola non prepara - in alcun grado - allo studio e alla conoscenza seria di lingue diverse dall'italiano, al contrario di quello che avviene in altri Paesi, anche molto più indietro di noi in tanti settori. Non credo che si tratti di un problema culturale o di identità nostra; piuttosto credo che si tratti di far comprendere agli studenti che è necessario, per il loro futuro e per il nostro Paese, essere in grado di conversare in altre lingue (in particolare in inglese, ma anche in altre lingue che stanno prendendo piede in tutto il mondo).
C'è un problema di emergenza educativa legata alla differenza enorme esistente tra regione e regione, tra città e città, tra nord, centro e sud, relativamente alla possibilità di apprendere e di usufruire di un sistema scolastico-educativo valido, dalle strutture al personale, al percorso educativo offerto. Questo è un problema drammatico che segna una grande spaccatura, che va recuperata se davvero vogliamo ricostruire il Paese.
Nella sua relazione lei, signor Ministro, ha sottolineato questo aspetto. Credo che questa debba diventare per tutti una priorità, che non può essere affrontata soltanto con dichiarazioni, ma con il coraggio di unire questo Paese sulla base di alcuni elementi di identità forte. Sicuramente il sistema scolastico deve essere un punto centrale di identità.
Quanto al merito, la nostra scuola e il nostro Paese purtroppo non conoscono questa parola. Lei ne ha parlato lungamente nella sua relazione ed io credo che anche questo sia un tema centrale che riguarda l'emergenza educativa del nostro Paese. Non esiste il riconoscimento del merito tra il personale docente, né all'interno dei criteri di valutazione adottati nei concorsi per l'arruolamento del personale docente all'interno della nostra scuola. Non esiste merito - o esiste in maniera molto limitata - nella valutazione degli studenti.
Negli ultimi tempi, poi, i diversi istituti si fanno concorrenza, attraverso un'attività di comunicazione, per attrarre più studenti. Personalmente credo che questo sia un sistema sbagliato. Occorre fare una grande scommessa sul merito, ma a tal fine servono strumenti di valutazione oggettiva che in Italia non esistono.
L'INVALSI, che poteva essere un punto di riferimento per fare questo salto in avanti, non è stato in grado di farlo. Credo che occorra compiere un grande lavoro per far sì che l'INVALSI diventi uno strumento di valutazione oggettiva. Dobbiamo pensare anche a un meccanismo di test oggettivi per la valutazione dell'attività didattica. Il merito deve diventare la parola d'ordine da introdurre in ogni ragionamento sul sistema scolastico italiano.
Sono perfettamente d'accordo sul fatto che gli stipendi dei docenti italiani sono assolutamente scandalosi in rapporto al ruolo fondamentale che essi svolgono. Anche in questo, peraltro, siamo tra gli ultimi Paesi della Comunità europea. Credo che questo sistema debba essere rivisto nel suo


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complesso, mettendo al centro il merito anche rispetto al miglioramento degli stipendi del personale docente della scuola.

PRESIDENTE. Informo i colleghi che in aula è stato dato il termine di preavviso per le votazioni.
Prego, collega Ciocchetti.

LUCIANO CIOCCHETTI. Bisogna affrontare, nell'ambito di questa emergenza educativa, anche la vicenda, la cui responsabilità ogni Governo preferisce trasferire su quello successivo, della precarietà continua degli insegnanti. Credo che la legislatura corrente debba cercare di risolvere definitivamente questo problema.
Una scuola dell'eccellenza, una scuola di qualità non si può reggere sulla precarietà. Un conto è stabilire criteri di valutazione oggettiva, altro è andare avanti sulla strada della precarietà, che non costituisce un problema solo per i docenti precari, ma soprattutto per gli studenti, che in molte scuole si trovano a dover cambiare, durante l'anno scolastico, sei o sette professori per ogni materia.
Credo che questo sia assolutamente indecente e che non si possa più andare avanti in questo modo. Questa è una realtà che conosce bene chi ha figli che frequentano scuole sia primarie che secondarie, compresi istituti e licei normalmente considerati di serie A. Occorre individuare un meccanismo che risolva questo problema.
Si parla sempre di tagli di risorse finanziarie, ma io credo che in un Paese normale bisognerebbe evitare i tagli - o almeno prevederli in maniera limitata e selettiva - in settori che rappresentano delle priorità. Sicuramente il sistema scolastico è uno di questi settori, poiché ad esso è legato il futuro di un Paese. Gli altri Stati spendono molto di più - e forse anche meglio - di ciò che spendiamo noi in questo settore.
Bisogna inoltre introdurre un meccanismo di formazione continua dei docenti, come è stato per i medici (sebbene, a mio avviso, in maniera sbagliata). Certo, i medici si occupano della salute dei cittadini, ma i docenti svolgono un lavoro che riguarda il futuro di ogni singolo cittadino di questo Paese. Non si può pensare che, per svolgere questo lavoro, sia sufficiente conseguire la laurea o superare un concorso, salvo poi lasciare la formazione continua alla singola responsabilità di ogni docente. Credo che questo in un Paese normale rappresenti una follia.
Il nostro è un sistema pubblico di istruzione nel quale convivono scuole statali e paritarie gestite da privati. Questo è il modello scolastico di un Paese in cui la differenza non è data da chi gestisce o da chi è proprietario delle scuole, ma dal servizio pubblico offerto alle famiglie e ai cittadini. Ciò che conta è salvaguardare la libertà di scelta delle famiglie: non importa se attraverso il credito d'imposta o il buono scuola, purché si definisca con i fatti questa libertà di scelta. Ciò deve avvenire attraverso una possibilità vera, che consenta finalmente di uscire dall'ideologismo che ha caratterizzato in questi cinquant'anni il nostro Paese e che ha creato contrapposizione continua tra scuola pubblica e scuola privata. Occorre, invece, costruire un sistema equilibrato, considerando che il 90 per cento delle scuole sono pubbliche, di proprietà dello Stato. Il problema, quindi, non è scardinare un sistema, ma consentire alle famiglie di scegliere in maniera libera, e non solo in rapporto al censo.
Quella della scuola secondaria di secondo grado credo sia, tra le tante, l'emergenza vera che esiste nel nostro Paese. Come lei ha ricordato, infatti, sicuramente abbiamo una scuola primaria di eccellenza. Dobbiamo chiederci se la questione è legata alla nostra cultura, alla nostra identità, alla nostra arretratezza, oppure al sistema di insegnamento. Se nella scuola primaria riusciamo a costruire un percorso positivo, cosa succede nel prosieguo degli studi?
Credo che dobbiamo tener conto del tentativo, messo in atto negli anni Settanta-Ottanta, di «liceizzare» tutto il sistema scolastico, creando una scuola di serie A, una di serie B e una di serie C, una scuola in cui non viene offerta a tutti la possibilità


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di partire dallo stesso livello e di sviluppare, al di là dell'origine familiare, le proprie capacità.
A mio avviso, dobbiamo creare una scuola secondaria di secondo grado tutta di serie A. Credo sia una scelta fondamentale per rispondere ai problemi reali del Paese. Dobbiamo compiere uno sforzo per attrarre studenti verso gli studi tecnici e professionali. Diversamente fra qualche anno saremo costretti ad assumere dall'estero tecnici e professionisti di una serie di materie rispetto alle quali nel nostro Paese non esiste un'adeguata formazione. Di questo, invece, ha bisogno l'Italia ed hanno bisogno anche i nostri ragazzi, i quali devono imparare che, per trovare lavoro, non si possono compiere soltanto alcune scelte.
Bisogna rafforzare l'integrazione scolastica per i disabili. Inoltre, è importante considerare che per alcune disabilità non è possibile cambiare insegnante di sostegno ogni sei mesi. Il problema è avviare un sistema che, uscendo dalla sperimentazione e diventando definitivo, offra un percorso in grado di dare veramente una possibilità di integrazione e di pari opportunità.
Quanto a problemi come il disagio giovanile, il bullismo, la violenza, la tossicodipendenza, occorre creare rapporti nuovi tra scuola, famiglia e società. Le regole di convivenza e di rispetto vanno insegnate e portate avanti con un lavoro congiunto delle famiglie e della scuola sin dai primi anni dell'insegnamento.
Credo che il voto di condotta debba tornare ad essere determinante per il giudizio finale di passaggio all'anno successivo. L'abbiamo già detto nei due anni precedenti, attraverso lo strumento del question time, al Ministro Fioroni, il quale ha risposto che, tramite atti amministrativi, avrebbe cercato di affrontare e trovare una soluzione a tale questione. A mio parere, è necessario un segnale forte da questo punto di vista.
Bisogna parimenti prevedere la reintroduzione dell'educazione civica all'interno delle attività della scuola. A tal riguardo, abbiamo presentato una proposta di legge - C. 1118 - volta ad evidenziare questa necessità. Ricordo che, nella passata legislatura, la Camera ha approvato un nostro ordine del giorno relativo alla reintroduzione dell'educazione civica tra le materie scolastiche.
Con riferimento agli immigrati, condivido tutto quello che ha detto l'onorevole Frassinetti e non aggiungo altro. Credo che la lingua, la cultura e l'identità di un Paese debbano diventare lo strumento dell'integrazione.
Abbiamo presentato la proposta di legge C. 1102 sule disposizioni generali di indirizzo per l'innovazione del sistema educativo. Credo che tale proposta - unitamente alle iniziative del Governo, delle altre forze politiche di maggioranza e di opposizione - possa contribuire a delineare un percorso volto a definire, almeno per un lasso di tempo adeguato per un Paese normale, le regole del sistema scolastico. Occorre evitare che vengano modificate ogni legislatura; questo significherebbe spaccare un Paese, mentre è necessario trovare, almeno su alcune regole, una condivisione che vada al di là delle maggioranze pro tempore. Credo che questa proposta di legge sia un utile contributo rispetto a questa necessità.
Bisogna inoltre aumentare la partecipazione e il ruolo delle famiglie negli organi di governo della scuola.
L'ultima questione che pongo riguarda un tema che, nel nostro Paese, è sempre stato considerato «sbagliato» - tant'è che non ne ha parlato nessuno - e poco attinente alle problematiche della scuola. Certo, contano di più materie come il latino e l'italiano, ma credo che il rapporto tra sport e scuola sia assolutamente fondamentale. È una grande quaestio mai risolta e, probabilmente, mai affrontata seriamente in Italia. Il nostro modello sportivo non si regge sull'attività scolastica, bensì sulle società sportive.
Credo che occorra compiere un grande sforzo per integrare questa opportunità. Una volta c'erano i giochi studenteschi, i giochi della gioventù, una serie di attività che, comunque, anche se in maniera non organica, svolgevano una grande funzione.


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Signor Ministro, in alcune parti del Paese dove non esiste un'impiantistica sportiva o è scarsa, dove ci sono poche società sportive, chi se non la scuola deve supplire a questa carenza? Lo sport significa rispettare le regole, rispettare l'avversario, accettare le sconfitte, cosa importante nella vita. Nell'augurarle buon lavoro, sottolineo che il gruppo dell'Unione di Centro farà un'opposizione responsabile, costruttiva e repubblicana. Intendo dire che voteremo senza problemi i provvedimenti del Governo che riterremo giusti. Riteniamo che in questo momento il Paese abbia bisogno di una grande rivoluzione repubblicana, in cui il buonsenso comune prevalga su tutti gli interessi di parte.

PRESIDENTE. In relazione alle richieste di intervento pervenute, avverto che l'ufficio di presidenza ha deciso di non limitare gli interventi nel corso delle audizioni dei ministri, affidando ai capigruppo il compito di ricercare gli equilibri più consoni. Crediamo infatti che sia molto importante favorire un dibattito pieno e completo, garantendo sempre e comunque tutti i gruppi rappresentati.
Essendo imminenti le votazioni in aula, dobbiamo congedarci dal Ministro. Valuteremo in base alle sue disponibilità e all'organizzazione dei nostri lavori quando sarà possibile proseguire il seguito dell'audizione.
Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 11,30.

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