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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione X
7.
Giovedì 7 ottobre 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Vignali Raffaello, Presidente ... 3

Audizione del vicedirettore generale della Banca d'Italia, Anna Maria Tarantola, in relazione agli effetti derivanti dall'entrata in vigore del nuovo Accordo Basilea 3 sull'erogazione del credito da parte del sistema bancario nei confronti delle imprese (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Vignali Raffaello, Presidente ... 3 11 14 17 18 19
Gava Antonio (PdL) ... 13 17
Lulli Andrea (PD) ... 12 16
Maggioni Marco (LNP) ... 11
Tarantola Anna Maria, Vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 3 14 16 17 18 19
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.

COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 7 ottobre 2010


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE RAFFAELLO VIGNALI

La seduta comincia alle 14,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del vicedirettore generale della Banca d'Italia, Anna Maria Tarantola, in relazione agli effetti derivanti dall'entrata in vigore del nuovo Accordo Basilea 3 sull'erogazione del credito da parte del sistema bancario nei confronti delle imprese.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del vicedirettore generale della Banca d'Italia, Anna Maria Tarantola, in relazione agli effetti derivanti dall'entrata in vigore del nuovo Accordo Basilea 3 sull'erogazione del credito da parte del sistema bancario nei confronti delle imprese.
Do la parola al vicedirettore generale Tarantola per lo svolgimento della relazione.

ANNA MARIA TARANTOLA, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Ringrazio dell'invito rivolto alla Banca d'Italia a partecipare a questo ciclo di audizioni sugli effetti derivanti dall'entrata in vigore del nuovo accordo Basilea 3 sul finanziamento alle imprese.
La crisi che a partire dal 2007 ha colpito il sistema finanziario internazionale ha generato effetti dirompenti sull'economia di tutti i principali Paesi. La risposta delle autorità è stata molto rapida e intensa, prima con misure di emergenza, poi con l'avvio di un articolato processo di riforma della regolamentazione bancaria e finanziaria.
Le autorità politiche sono state molto rapide nel muoversi, i Capi di Stato e di Governo dei Paesi del G20 hanno dato mandato al Financial Stability Board di formulare specifiche raccomandazioni, che i comitati tecnici hanno poi tradotto in proposte concrete di revisione degli standard internazionali. Si è quindi trattato di un movimento sia rapido, sia concertato: si sono mossi le autorità politiche, le autorità di supervisione e i comitati tecnici.
Il Comitato di Basilea ha elaborato un'articolata proposta di revisione delle regole per le banche, con l'obiettivo di prevenire l'eccessiva assunzione di rischi da parte degli operatori, promuovere un terreno di gioco davvero uniforme e rendere il sistema finanziario più solido e prudente nei prossimi anni.
Il processo di riforma è prossimo alla conclusione. Lo scorso settembre, il Governatore e i capi delle autorità di vigilanza del G20 hanno approvato le proposte del Comitato di Basilea, che saranno sottoposte al vaglio dei Capi di Stato e di Governo agli inizi di novembre.
Sugli aspetti della riforma rimasti ancora aperti, quali l'introduzione di regole specifiche per le banche sistemicamente


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rilevanti, il Financial Stability Board emanerà entro l'anno ulteriori raccomandazioni.
Le nuove regole sono state oggetto di un'ampia consultazione con l'industria bancaria ed entreranno in vigore all'inizio del 2013, ma è anche previsto un lungo periodo transitorio, in modo da favorire un graduale adeguamento delle strategie operative delle banche ed evitare ricadute sulla ripresa economica.
Passerò in rassegna i principali contenuti delle nuove regole e poi mi soffermerò, come richiesto dalla presidenza della Commissione, sul possibile impatto sulle banche e sulle imprese italiane.
Desidero delineare quindi gli obiettivi di questa articolata riforma. La portata globale della crisi ha richiesto alle autorità una risposta fortemente coordinata a livello internazionale, per delineare regole e prassi omogenee ed evitare che, come purtroppo è avvenuto, l'assunzione eccessiva di rischi in giurisdizione con sistemi di vigilanza poco rigorosi si scaricasse anche su sistemi come quello italiano basati su modelli di business meno rischiosi e su una più incisiva azione di controllo da parte delle autorità.
La riforma proposta dal Comitato di Basilea richiede alle banche di detenere più capitale di migliore qualità. Sin dall'inizio della crisi è stato chiaro come anche intermediari formalmente rispettosi dei requisiti di capitale obbligatori non fossero in grado di coprire le perdite, perché molti degli strumenti di capitale che venivano utilizzati non erano di sufficiente qualità. Si tratta cioè di quegli strumenti di capitale che quando le cose non vanno bene non sono più capitale!
La definizione regolamentare di capitale ha infatti perso il suo valore come benchmark per valutare l'adeguatezza patrimoniale di una banca. Gli operatori di mercato, gli analisti fanno già riferimento a definizioni molto più severe di quelle in vigore.
Un secondo, non meno importante obiettivo è quello di disegnare norme che riducano la cosiddetta prociclicità del settore finanziario, che contribuiscano cioè a contenere la crescita eccessiva del credito nei periodi di espansione economica e assicurino che le banche abbiano sufficienti risorse per affrontare le fasi negative del ciclo. Specifici strumenti dovranno limitare l'eccessiva espansione della leva finanziaria nei bilanci delle banche nelle fasi di espansione economica.
La crisi ha anche smentito la generalizzata convinzione che qualsiasi esigenza di liquidità potesse essere fronteggiata grazie a mercati finanziari ben sviluppati e integrati. I soli presìdi patrimoniali invece non sono sufficienti, soprattutto in condizioni di stress, a garantire la stabilità degli intermediari e del sistema nel suo complesso, e devono quindi essere affiancati da specifiche regole sulla liquidità.
La Banca d'Italia, ha svolto un grande lavoro a partire fin dal settembre 2007 per cercare agli albori della crisi di fare in modo che le banche fossero attrezzate con sufficienti buffer di liquidità.
Le autorità pubbliche si sono trovate a dover intervenire con risorse ingenti, per evitare il fallimento di operatori cosiddetti «grandi e complessi», che possono generare ripercussioni sistemiche. In alcuni Paesi sono stati realizzati interventi molto consistenti.
Per evitare di mettere nuovamente a rischio le risorse dei contribuenti, è essenziale limitare il più possibile sia la probabilità che istituzioni sistemicamente rilevanti falliscano, sia l'impatto che il loro fallimento potrebbe avere sul resto del sistema finanziario e sull'economia nel suo complesso. Occorrono quindi regole omogenee o comunque armonizzate per quanto riguarda la gestione della crisi.
Per quanto riguarda le principali caratteristiche delle nuove regole, il patrimonio rimane presidio essenziale nella regolamentazione prudenziale. Livelli di capitale adeguati ed elevata qualità aumentano la capacità degli intermediari di assorbire le perdite e affrontare future crisi, garantiscono che queste banche siano in grado di sfruttare l'opportunità di crescita e di sostenere famiglie e imprese anche in momenti difficili, accrescono la fiducia degli investitori e dei risparmiatori.


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Nelle proposte del Comitato di Basilea il rafforzamento patrimoniale viene perseguito soprattutto attraverso requisiti più stringenti in termini di strumenti di elevata qualità patrimoniale. Proprio strumenti di qualità non «buona» sono stati uno dei problemi da affrontare.
L'intervento più importante riguarda il common equity, il capitale di primissima qualità, che per una società per azioni è il capitale più le riserve di utili. Il requisito di capitale complessivo rimane infatti l'8 per cento, mentre in termini di common equity è stato fissato al 4,5 per cento. Oggi, non c'è una regola specifica di common equity, ma possiamo dire che esso rappresenta circa il 2 per cento, pur non essendo obbligatorio. Si passa quindi da un 2 a un 4,5 per cento.
Per gli altri strumenti di qualità primaria il requisito sale dal 4 al 6 per cento. Dal common equity, inoltre, saranno dedotte attività immateriali ed altre poste dell'attivo di non agevole realizzo secondo criteri più rigorosi che in passato. I nuovi livelli di questi requisiti dovranno essere raggiunti gradualmente entro il 2015 e le deduzioni saranno introdotte con gradualità e diverranno pienamente operative soltanto a partire dal 2018.
La Banca d'Italia ha condiviso l'orientamento di particolare rigore sulla qualità degli strumenti del capitale, che le banche potranno utilizzare. Durante il negoziato, abbiamo suggerito però modifiche di aspetti che consideravamo ingiustificati sul piano economico e suscettibili di produrre effetti distorsivi per le banche italiane.
Ciò è avvenuto, ad esempio, nel caso del trattamento delle imposte differite attive, delle partecipazioni in società di assicurazioni e degli interessi di minoranza. Ricordo che il regime fiscale esistente nel nostro Paese ha limiti molto stringenti alla deducibilità fiscale delle svalutazioni e delle perdite su crediti. Questo genera ingenti ammontari di attività per imposte anticipate.
La proposta originaria del Comitato di Basilea, che prevedeva la totale deduzione di queste poste immateriali dal capitale delle banche, avrebbe creato un serio svantaggio competitivo rispetto a banche di Paesi nei quali i sistemi finanziari sono meno restrittivi del nostro. Anche per le partecipazioni assicurative il documento iniziale di consultazione prevedeva la deduzione integrale dal patrimonio delle banche. Questo avrebbe spinto le banche italiane a modificare profondamente i loro modelli di business integrati «bancassurance», che sono ben sviluppati e non hanno determinato seri problemi nel corso della crisi, e avrebbe quindi comportato un impatto non indifferente in termini di revisione del loro modello di business.
La proposta finale del Comitato di Basilea attenua molto questi effetti, perché prevede che le attività per imposte anticipate e le partecipazioni rilevanti in assicurazioni siano dedotte soltanto per la parte che eccede una certa soglia. Si tratta di una deduzione non globale, ma parziale, quindi di un miglioramento rispetto alla formulazione originaria. Anche la proposta di dedurre integralmente gli interessi di terzi in società comprese nei gruppi bancari è stata rivista, alleviando il peso della riforma per banche organizzate nella struttura di gruppo articolata.
Il Comitato di Basilea ha poi proposto modifiche per aumentare la capacità dei requisiti patrimoniali di catturare i rischi di mercato e di controparte. Questo è un altro aspetto molto importante, che nei commenti non viene sufficientemente rilevato.
Durante la crisi, è risultato evidente che le scelte regolamentari operate in passato, unite a un'attività di controllo poco attenta e non sempre incisiva in alcuni Paesi, hanno condotto a una sottostima dei rischi effettivi di operazioni e strumenti finanziari complessi.
Le nuove regole invece sono più rigorose e prevedono che alcuni parametri chiave per il calcolo di questi requisiti, quali il valore a rischio e le correlazioni tra attività, siano calcolati in modo più rigoroso, tenendo conto anche di condizioni di stress. Ciò significa che per le banche che hanno sviluppato molto tale


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tipo di attività, questa diversa modalità di calcolo dei requisiti avrà un impatto piuttosto consistente e rilevante.
Durante la crisi è emerso chiaramente come numerose banche, che rispettavano ampiamente i requisiti patrimoniali, avessero in realtà sviluppato nella fase di euforia del ciclo economico una leva finanziaria molto elevata, soprattutto attraverso attività fuori bilancio.
In linea con le richieste del G20, il Comitato di Basilea ha proposto di introdurre un requisito minimo di capitale in termini di Tier 1 pari al 3 per cento, che le banche dovranno detenere rispetto al totale dell'attivo non ponderato per il rischio (leverage ratio). Credo che questo requisito graverà meno pesantemente sulle nostre banche, perché le banche italiane operano con una leva tradizionalmente più contenuta nel confronto internazionale.
Nella costruzione di questo indicatore il Comitato di Basilea ha tenuto presente la necessità che esso non si presti a facili arbitraggi regolamentari e catturi dunque tutte le attività di una banca, bilancio e fuori bilancio (il grosso problema consisteva nel fatto che, nei paesi nei quali il leverage ratio era in vigore, quelle fuori bilancio non venivano toccate) e che sia neutrale rispetto alle diverse regole contabili ancora vigenti nelle diverse giurisdizioni. In Europa e negli Stati Uniti abbiamo, infatti, regole contabili ancora non totalmente armonizzate.
Anche per il leverage ratio è prevista un'entrata in vigore graduale, per verificarne sul campo gli effetti e poter eventualmente introdurre i necessari correttivi. Esso sarà inizialmente un indicatore, che le autorità terranno sotto osservazione e diventerà, invece, una regola prudenziale vincolante per le banche a partire dal 2018.
Il Comitato di Basilea ha poi previsto una serie di misure finalizzate a ridurre la prociclicità. Sto toccando gli aspetti che si ritiene siano di maggiore interesse. Ci si chiede se il sistema di Basilea 3 colpisca più le banche italiane che le banche di investimento, ma non sembrerebbe da come è stato strutturato, perché va a colpire soprattutto l'area finanza. Un'altra critica avanzata è che le regole di Basilea siano procicliche, mentre invece diverse misure contenute nel pacchetto di Basilea 3 hanno proprio il compito di ridurre la prociclicità. Le analizzeremo molto rapidamente senza entrare troppo nel dettaglio.
La prima misura prevede che le banche siano dotate di un «cuscinetto» di conservazione del capitale al di sopra dei limiti regolamentari. Il common equity sarà il 4,5, mentre un altro 2,5 per cento di common equity in rapporto all'attivo e rischio dovrà sommarsi a questo. Ciò è finalizzato ad assorbire le perdite nei periodi di crisi finanziaria ed economica.
Se una banca non rispettasse questo requisito, dovrebbe ricostituire questo buffer attraverso la non distribuzione degli utili o il non pagamento di bonus. Questo possiede quindi una forte valenza di deterrente. È inoltre prevista l'introduzione di un ulteriore buffer, destinato a garantire che le banche accumulino risorse patrimoniali nelle fasi favorevoli del ciclo, quando il rischio si accumula nei bilanci, per essere utilizzato quando le condizioni si deteriorano e il rischio si materializza. Questo strumento potrà raggiungere un massimo del 2,5 per cento in termini di capitale di qualità primaria. Non si sa ancora se sarà in termini di common equity o di altri strumenti con elevata capacità di assorbimento delle perdite. La richiesta di questo capitale aggiuntivo sarà determinata in base ad accordi e criteri concordati a livello internazionale e annunciati al mercato, ma le autorità nazionali conserverebbero un margine di discrezionalità per l'effettiva attivazione dello strumento. La decisione di consentire alle banche di utilizzare il buffer sarebbe, invece, interamente lasciata al giudizio delle autorità nazionali, anche se nell'Unione europea questo ruolo potrebbe anche essere affidato alla nuova autorità che si sta costituendo per fronteggiare il rischio sistemico.
Un'ultima misura cerca di contenere le fluttuazioni di requisito minimo per le


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banche che adottano modelli interni. Gli altri buffer descritti sono applicati a tutte le banche, mentre questo riguarda una modalità di calcolo del requisito minimo che si applica solo alle banche che adottano i cosiddetti modelli interni.
Se le misure di rischio riflettono il deterioramento della qualità del credito in un orizzonte non sufficientemente lungo, i requisiti patrimoniali potrebbero aumentare proprio nei periodi di recessione. Questa è la preoccupazione che aleggia oggi, perché, se le banche attraverso i modelli interni determinano il requisito di capitale in relazione ai risultati dei bilanci del 2009 che sono stati particolarmente negativi, è ovvio che il requisito sale molto, perché la rischiosità di quelle imprese in base ai risultati di bilancio è molto cresciuta.
Questo rappresenta uno dei limiti di Basilea 2 che è opportuno rimuovere; nel pacchetto di proposte è prevista la possibilità di attenuazione di questo effetto.
Per quanto riguarda il rischio di liquidità, il Comitato di Basilea ha prodotto due regole. La prima richiede che le banche mantengano uno stock di risorse liquide (attivo liquido) che consenta di superare una fase di stress della durata di trenta giorni senza dover ricorrere al mercato o al rifinanziamento presso la Banca centrale.
La seconda è di più lungo periodo e risponde all'esigenza di evitare che si determinino squilibri strutturali nella composizione delle passività e delle attività di bilancio. Analogamente ai ratio patrimoniali, anche per gli indicatori di liquidità è previsto un periodo transitorio. Dopo un'iniziale fase di osservazione, l'indicatore a breve entrerà in vigore nel 2015 e quello strutturale nel 2018.
Il Financial Stability Board e il Comitato di Basilea si sono mossi avendo ben presenti due necessità: da un lato, assicurare una riforma rigorosa, capace di promuovere un sistema finanziario più stabile, dall'altro, minimizzare le potenziali ricadute negative della riforma sulla crescita economica, soprattutto in una fase di ripresa ancora incerta come l'attuale.
Le proposte di riforma rese note lo scorso settembre hanno suscitato sul mercato diverse reazioni. Banche e imprese lamentano un eccessiva severità del nuovo framework: le banche preoccupate del costo associato a più elevati requisiti di capitale, le imprese preoccupate delle possibili ricadute sul finanziamento degli investimenti e dunque sulla ripresa economica. Tuttavia, alcuni osservatori economici e analisti hanno considerato invece le proposte non sufficientemente incisive. Cito per esempio, per dire come siano diverse le opinioni manifestate sulle stesse proposte, una formulazione usata dal Financial Times che ha dichiarato che la montagna ha partorito un topolino. Si sostiene che le nuove regole non comporterebbero un effettivo miglioramento della solidità patrimoniale delle banche, in quanto le banche avrebbero già i mezzi patrimoniali in linea con i nuovi requisiti. Andiamo a vedere cosa è stato fatto per capire chi ha ragione tra queste due posizioni così contrastanti.
Nei mesi scorsi, le autorità hanno condotto una serie di analisi volte a stimare il possibile impatto della riforma sulla crescita economica. Le analisi sono state condotte con riferimento ai Paesi del G20 e hanno stimato sia i costi di breve e medio periodo, sia i benefici netti di lungo periodo.
In merito ai costi della transizione, l'analisi si è concentrata sui prossimi otto anni. Per tutti i Paesi considerati nel campione è stato calcolato l'impatto che la regolamentazione avrebbe sulla crescita economica attraverso il canale di trasmissione dei tassi di interesse. Per alcuni Paesi soltanto - non per tutti - e tra questi è compresa l'Italia è stato calcolato anche l'impatto di fattori non di prezzo, cioè del razionamento del credito.
I risultati indicano che un aumento di 1 punto percentuale nel rapporto di capitalizzazione realizzato in un arco temporale di quattro anni si rifletterebbe in un tasso di crescita annua del PIL inferiore di circa 0,04 per cento nei prossimi


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quattro o cinque anni, rispetto a quello che si sarebbe determinato senza la riforma.
Per quanto concerne i Paesi per cui si è calcolato anche l'effetto del razionamento del credito, è emerso che questo effetto è molto importante, anche se la valutazione quantitativa è piuttosto incerta e molto difficile. Sulla base delle ipotesi fatte emerge però che, se si tiene conto dell'effetto di razionamento insieme con quello di prezzo, l'aumento di 1 punto percentuale del rapporto di capitalizzazione, realizzato in un arco temporale di quattro anni, si rifletterebbe in un tasso di crescita del PIL inferiore a quello che si sarebbe realizzato senza la riforma, in un range che oscilla tra 0,08 e 0,12, quindi dallo 0,04, se si aggiunge l'effetto razionamento, ha una certa rilevanza. Andando poi a vedere l'effetto dei due requisiti di liquidità emerge che il tasso di crescita annua del PIL si ridurrebbe di un ulteriore 0,02 per cento.
Per il nostro Paese le analisi delle ricadute della riforma prudenziale sono state condotte utilizzando il modello econometrico trimestrale della Banca d'Italia. I risultati di questa analisi rientrano nelle cifre prima citate, che riguardavano l'intero campione dei Paesi G20.
Analizzando gli effetti solo per il nostro Paese, vediamo che un aumento di 1 punto percentuale del rapporto di capitalizzazione realizzato in un arco temporale di quattro anni produrrebbe, nei prossimi quattro o cinque anni, un tasso di crescita annua del PIL inferiore a quello che si sarebbe determinato senza la riforma dello 0,1 per cento. Questo calcolo è stato fatto tenendo conto sia dell'effetto prezzo che dell'effetto quantità, quindi si confronta con il range tra 0,08 e 0,12. Ci poniamo dunque esattamente in linea con quello che succederebbe in tutti gli altri Paesi. La stessa situazione si rileva verificando l'impatto dei nuovi requisiti di liquidità, perché siamo in linea con la media.
Le analisi condotte hanno stimato anche i costi e i benefici di medio e lungo periodo, che tengono conto di come l'insieme del pacchetto delle riforme sia volto a garantire un sistema finanziario più stabile. La maggiore solidità del sistema finanziario indotto dalla riforma ridurrebbe sostanzialmente la probabilità di crisi finanziarie e quindi delle connesse, importanti ricadute negative sulla crescita economica. Nei due anni di maggiore impatto della crisi, 2008 e 2009, il PIL italiano è sceso di oltre il 6 per cento. Avere un sistema più solido e più stabile può avere un impatto dello 0,1 considerando il costo di transizione, ma evita di avere cadute. In base alle analisi condotte dal Servizio studi, anche la ripresa dopo cadute di questo livello è molto più lenta, quindi il periodo di recupero di una caduta di 6 punti è molto più lungo.
Dopo aver analizzato gli impatti sull'economia del Paese nel suo complesso, cioè sul prodotto interno lordo, andiamo ad analizzare a livello microeconomico il possibile impatto sulle banche e sulle imprese.
Parallelamente alle analisi macroeconomiche, il Comitato di Basilea ha condotto un articolato studio di impatto per valutare i possibili effetti delle nuove regole sui bilanci delle banche. La Banca d'Italia ha partecipato all'indagine coinvolgendo un ampio numero di intermediari italiani. Siamo state tra le banche centrali che hanno coinvolto il maggior numero di banche, pari a circa il 75 per cento del totale dell'attivo. I risultati quindi sono assai significativi perché rappresentano una buona fetta del sistema bancario italiano.
Sulla base dei risultati dell'esercizio, l'impatto della riforma sulle banche dei principali Paesi sarà rilevante. I livelli di capitale dovranno crescere e strumenti di qualità inferiore dovranno essere sostituiti con strumenti patrimoniali più costosi perché di migliore qualità. Gli aggiustamenti avverranno tuttavia in un lungo orizzonte temporale, e la valutazione degli effetti sulle banche deve tenere conto anche dei flussi di reddito che in questo periodo potranno alimentare i patrimoni.
Anche per le banche italiane, soprattutto per quelle di maggiore dimensione,


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l'impatto non sarà trascurabile. Esse mostrano attualmente livelli medi di patrimonializzazione meno elevati nel confronto internazionale, pienamente capienti rispetto ai limiti regolamentari, come abbiamo avuto modo di dire in più occasioni, giacché hanno superato anche la prova dello stress test. Nel confronto internazionale, però, ci collochiamo nella fascia medio, medio-bassa non nel range migliore, anche perché molte banche straniere hanno avuto sostanziosi aiuti da parte dei Governi, aiuti pubblici che le nostre banche non hanno avuto, quindi il confronto non è proprio uguale! Tuttavia, per attenuare ciò che ho detto, cioè che l'impatto non sarà trascurabile - che è vero - per qualificarlo meglio, aggiungo che la qualità complessivamente «buona» del capitale delle nostre banche - le nostre banche hanno una qualità buona -, il basso grado di leva finanziaria e la prevalenza di un modello di business tradizionale, legato al finanziamento dell'economia reale dovrebbero rendere meno oneroso - non che non vi sia - l'allineamento ai nuovi requisiti.
L'introduzione del leverage ratio e l'inasprimento delle ponderazioni per i rischi di mercato e di controparte riguardano soprattutto attività in titoli e in derivati - che sono stati al centro della crisi finanziaria -, e penalizzeranno quindi in misura relativamente minore i modelli di business più orientati all'intermediazione tradizionale e i comparti al dettaglio che sono caratteristici delle nostre banche commerciali rispetto a quelli più incentrati sulla finanza.
Secondo calcoli preliminari che tengono conto anche di una stima della futura capacità di reddito delle banche, le banche italiane saranno in grado di muovere verso livelli di patrimonio più elevati con gradualità, continuando ad assicurare il necessario sostegno alle imprese. Dovranno ovviamente evitare di arrivare all'ultimo momento e utilizzare questa fase di transizione per potersi allineare nel tempo ai nuovi requisiti.
Per quanto riguarda gli standard sulla liquidità, le proposte del Comitato di Basilea hanno tenuto conto di molte osservazioni sollevate durante la consultazione. Rimane, tuttavia, chiara la necessità che le banche italiane proseguano nel rafforzare le scorte di attività prontamente liquidabili.
Gli effetti della riforma sul sistema produttivo italiano potranno risultare diversificati. Le imprese più indebitate verso il sistema bancario potrebbero subire maggiormente le conseguenze di un irrigidimento delle politiche creditizie.
In considerazione delle caratteristiche del tessuto imprenditoriale italiano, mi concentrerò adesso sulle imprese di minori dimensioni, sia per il loro rilievo nel nostro Paese, sia per il minore potere contrattuale che possono vantare nei confronti delle banche. I bilanci di queste aziende presentano diversi aspetti che le rendono potenzialmente esposte a eventuali inasprimenti delle condizioni di offerta del credito.
Dai dati della Centrale dei bilanci relativi a un campione di circa 50 mila imprese, emerge che quelle con meno di cinquanta addetti - indicatore usato a livello di Commissione europea per determinare le piccole imprese - presentano una struttura finanziaria relativamente fragile e un'elevata esposizione nei confronti del sistema bancario. In particolare, il grado di indebitamento delle piccole imprese risulta significativamente più elevato rispetto a quello delle imprese di maggiori dimensioni, anche tenendo conto di altri indicatori e di altre caratteristiche come l'area geografica o il settore economico di appartenenza.
Fra il 2005 e il 2008, il rapporto tra i debiti finanziari e la somma degli stessi con il patrimonio netto (definizione di leva diversa da quella regolamentare per le banche, per questo ho voluto specificare le modalità di calcolo) è risultata in media pari al 58,3 per cento, circa 2 punti percentuali in più rispetto alle imprese di media dimensione, oltre 10 punti rispetto alle grandi.
Il maggiore indebitamento delle piccole imprese si riflette in una più contenuta capacità di sostenere gli oneri finanziari,


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che rappresentano il 30 per cento del margine operativo lordo, contro valori compresi fra il 20 e il 25 per cento per imprese di maggiori dimensioni. Per inciso, la maggiore fragilità si concentra nel settore delle costruzioni e in quello dei servizi.
A causa della sostanziale assenza di canali di finanziamento alternativi a quello del credito, la dipendenza delle piccole imprese dalle banche è più elevata della media, perché la quota dei debiti bancari sul totale dei debiti finanziari, che rappresenta più del 58 per cento, è pari all'83 per cento. Le piccole imprese sono, quindi, più indebitate e lo sono verso le banche. Si rileva, quindi, una forte dipendenza dal finanziamento di tipo bancario. Questi elementi di debolezza nella struttura finanziaria delle piccole imprese, che potrebbero incidere negativamente sulle condizioni di accesso al credito all'indomani dell'entrata in vigore delle nuove regole per le banche, non sono tuttavia sufficienti a delineare un quadro completo dei possibili effetti della riforma. La domanda è se questa riforma impatterà di più sulle piccole imprese. In base a quanto ho detto finora, analizzando la struttura del loro indebitamento sembrerebbe di sì, perché dipendono molto dall'indebitamento bancario, per cui se si inaspriscono le condizioni di offerta per un certo periodo di tempo ovviamente ne risentiranno. È però necessario tener conto anche di altri elementi su cui richiamo la vostra attenzione. È infatti possibile stimare che le imprese con meno di venti addetti (cambia il termine, prima ho parlato di cinquanta, ma ora utilizziamo i dati delle segnalazioni statistiche che non consentono di enucleare la situazione delle imprese con meno di cinquanta addetti), quindi sono ancora più piccole - ma penso che sia una buona proxy - che sono finanziate in misura minore dalle banche grandi e complesse e subiranno maggiormente l'impatto della riforma.
La quota di credito concesso da queste intermediarie alle piccole imprese è pari al 45 per cento, contro un valore prossimo al 53 per cento per le medie e grandi imprese. Deve essere inoltre considerato che un buon numero di banche italiane di medie e piccole dimensioni è già ora caratterizzato da livelli di patrimonio superiori a quelli richiesti dalle nuove regole. Questi intermediari hanno saputo assicurare anche durante la crisi un sostenuto flusso di credito all'economia. Su questo interessante aspetto stiamo svolgendo approfondimenti attraverso accessi in loco. Abbiamo infatti individuato un numero di piccole banche che hanno registrato tassi di crescita particolarmente sostenuti in questi anni di crisi degli impieghi, per capire le dinamiche e avere maggiori informazioni.
È verosimile che le piccole imprese potranno continuare a beneficiare del dinamismo di queste banche, che rappresentano un loro interlocutore naturale soprattutto per il radicamento nel territorio e la spiccata capacità di incorporare nel processo creditizio le informazioni qualitative sul merito di credito della clientela.
Occorre infine ricordare che il nuovo impianto regolamentare conferma integralmente i meccanismi previsti da Basilea 2 per contenere l'assorbimento patrimoniale dei prestiti alle piccole e medie imprese. A parità di merito creditizio, i finanziamenti alle piccole e medie imprese assorbono una quantità di patrimonio significativamente inferiore a quella richiesta a fronte dei prestiti concessi alle imprese di maggiori dimensioni.
Come ho già ampiamente sottolineato, la gradualità con cui le nuove norme entreranno in vigore potrà contenere l'impatto anche sull'economia reale. È auspicabile che le banche utilizzino questo periodo di transizione per adeguarsi per tempo e con molta determinatezza ai nuovi requisiti e che anche le imprese colgano questa occasione per migliorare la struttura del loro indebitamento e per adottare modelli più strutturati. Questo serve soprattutto alle piccole imprese, che non hanno la capacità di rilevazione della loro situazione che sarebbe loro d'ausilio


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per compiere scelte più consapevoli, per cui questo potrebbe essere un effetto «positivo».
Passando alle conclusioni, la crisi economica mondiale che ha investito anche il nostro Paese e da cui oggi tentiamo stentatamente di uscire è costata all'Italia 6 punti percentuali di prodotto interno lordo nel biennio 2008-2009. Pur essendo il nostro un sistema bancario fondamentalmente sano, ancorato a un modello di intermediazione attento alle esigenze degli operatori economici, stiamo osservando una prolungata contrazione dei prestiti alle imprese, che ha in parte riflesso le esigenze di alcuni intermediari di riequilibrare le condizioni di liquidità e di capitalizzazione. La contrazione ha riflesso anche la contrazione della domanda di credito per la caduta degli investimenti e del fatturato. Ridurre la probabilità che si ripetano crisi drammatiche come questa ed evitare che i loro effetti si ripercuotano con tale intensità sulle imprese e sulle famiglie è l'obiettivo indicato dai leader del G20 per la riforma prudenziale che si va delineando in sede internazionale. La Banca d'Italia ha attivamente partecipato ai lavori e ne condivide le finalità di fondo: il miglioramento dei profili di capitale di liquidità degli intermediari e una maggiore omogeneità delle regole a livello internazionale sono capisaldi da perseguire. Si tratta di obiettivi coerenti con l'approccio che la vigilanza da sempre segue nell'attività di regolamentazione e di supervisione.
Gli effetti dei nuovi standard sulle banche italiane non saranno trascurabili. Occorre dunque che gli intermediari proseguano nell'azione di rafforzamento dei profili di capitale e di liquidità, così da rendere graduale l'avvicinamento al nuovo framework. Un più severo e omogeneo quadro di regole rappresenta la condizione necessaria per rendere più solido il sistema finanziario e costituisce anche uno stimolo per l'adozione di comportamenti virtuosi da parte delle imprese. Il nuovo impianto regolamentare conferma pienamente un caposaldo degli accordi di Basilea 2: la maggiore corrispondenza tra la qualità della clientela affidata e i requisiti di capitale che le banche sono chiamati a detenere (più rischio, più capitale). Questo legame continua a rappresentare per le imprese un forte incentivo a rafforzare la struttura finanziaria e a ridurre il grado di indebitamento, che rimane elevato nel confronto internazionale.
Il legislatore e il Governo potranno agevolare questi processi con adeguate misure a sostegno delle operazioni di capitalizzazione - mi piace ricordare l'istituzione del Fondo italiano di investimento, che rappresenta un esempio recente - e altre operazioni volte ad accrescere la dimensione di impresa e con essa la capacità di accedere direttamente ai mercati finanziari.
La Banca d'Italia dal canto suo e per le proprie responsabilità continuerà ad operare perché le banche e le imprese nel nostro Paese sappiano cogliere le opportunità offerte dal nuovo quadro regolamentare.

PRESIDENTE. Ringraziamo la dottoressa Tarantola. Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

MARCO MAGGIONI. Desidero ringraziare il vicedirettore Tarantola per la precisione con cui è stata analizzata la recente fase di crisi e il possibile futuro impatto dell'accordo Basilea 3.
Ritengo che la crisi appena passata sia stata determinata da un eccessivo debito verso le famiglie e le imprese, che è stato utilizzato per finanziare la domanda di questi ultimi anni. Se l'indebitamento sicuramente eccessivo dei privati ha contribuito ad accrescere l'instabilità del mercato finanziario, talune banche lo hanno assecondato forse in modo eccessivo, provocando quello shock di liquidità che si è verificato alla fine del 2008.
Ritengo che il ricavo delle banche possa essere diviso in tre grandi flussi: il margine di intermediazione, quindi la differenza tra il costo e l'offerta del denaro, le commissioni da intermediazione e i servizi alla clientela. Negli ultimi anni, abbiamo


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assistito a una forte accelerazione delle commissioni da intermediazione, con un conseguente impoverimento della qualità dei titoli detenuti dalle banche.
In Italia, abbiamo avuto una realtà diversa da quella del mondo anglosassone perché si è fatto meno uso di strumenti finanziari esasperati quali i derivati e perché abbiamo una peculiarità che riguarda il tessuto produttivo. Rispetto ad altri Stati del mondo anglosassone, in cui le aziende sono legate a un azionariato diffuso, la struttura produttiva italiana è legata alle piccole e medie imprese o a grandi imprese comunque di carattere familiare.
Si riscontra una differenza anche nell'assetto bancario perché, mentre in Italia le banche sono banche commerciali che il cittadino può conoscere e valutare concretamente, nel mondo anglosassone si constata la forte prevalenza delle merchant bank, che hanno provocato la crisi.
Credo che riguardo a Basilea 3 si debba fare un passo indietro, valutando i limiti di Basilea 2, che gli operatori sottolineano e che le imprese ci chiedono di portare ai tavoli. Ritengo che il forte limite di Basilea 3 per quanto riguarda le imprese risieda in una spersonalizzazione del credito, laddove si è valutato molto l'impatto della patrimonializzazione sui bilanci, ma troppo poco l'affidabilità dell'imprenditore.
Considerando gli anni 2008 e 2009 e quello ancora in corso, ciò rischia di impattare fortemente nei prossimi anni, perché non valutare un trend di lungo periodo e considerare semplicemente il breve periodo appena trascorso ci induce a nutrire forti dubbi su quello che potranno erogare le banche in forma di credito per le imprese.
Non credo che i requisiti patrimoniali richiesti alle banche italiane da Basilea 3 possano definirsi problematici, perché anche in periodo di crisi i livelli di Tier 1 sono stati sufficienti a garantire la stabilità delle banche italiane.
Ci chiediamo tuttavia se in presenza di shock negativi di liquidità come accaduto alla fine del 2008, quando l'Euribor in tre mesi schizzò a livelli superiori al 5 per cento, Basilea 3 possa rischiare di rivelarsi scarsamente flessibile.
Vorremmo sapere inoltre se Basilea 3 rischi di seguire Basilea 2 per quanto concerne l'implementazione e quindi l'applicazione dell'accordo. In Italia, Basilea 2 è stato applicato correttamente e con una tempistica assolutamente precisa, mentre negli Stati Uniti, da cui è partita la crisi finanziaria, ancora oggi non viene applicato. Una difformità di questo tipo rischia di provocare regole differenti su mercati a diretto confronto.
Sorge il dubbio che se Basilea 3, come si auspica, serve a rafforzare la stabilità del sistema bancario internazionale - tra i molti Stati dell'economia occidentale, forse solo l'Italia non è entrata pesantemente con forme di aiuto nel capitale delle banche - rischia di diventare una forma di tutela del credito che gli Stati stessi vantano rispetto al sistema bancario, che nel recente passato è stato sostenuto con aiuti di Stato.

ANDREA LULLI. Ringrazio anch'io la dottoressa Tarantola per l'esposizione molto chiara. Mi permetto di esprimere qualche preoccupazione per l'impatto che Basilea 3 può avere sull'economia italiana.
Sulla base delle analisi condotte dal Servizio studi della Banca d'Italia, sulla cui affidabilità nessuno dubita, lei ha evidenziato un rallentamento pari allo 0,1 per cento. La previsione di crescita di questo Paese nei prossimi anni è pari all'1 per cento, si tratta quindi di un impatto del 10 per cento, che non è una piccola cosa.
Riconosco che il sistema imprenditoriale italiano debba rafforzarsi anche da un punto di vista patrimoniale, perché credo sia la strada giusta, ma gran parte di questo sistema di piccole imprese, che ancora oggi rappresentano una porzione importante della produzione di ricchezza del Paese e una partnership fondamentale per il lavoro degli istituti di credito, avranno notevoli difficoltà a seguire questa strada. Credo che la questione non possa essere affrontata solo dal sistema bancario,


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perché è un problema della politica di questo Paese, dell'Europa e forse dell'intero Occidente. Lei afferma che maggiore è il rischio e maggiore deve essere il patrimonio. In un momento come questo emerge però la necessità di una grande riconversione del nostro apparato produttivo, perché bisogna riallocarsi sul mercato, la competizione internazionale cambierà di livello e la ripresa non potrà avvenire come se nulla sia successo, ma sarà necessario riconsiderare la divisione internazionale del lavoro e la struttura dei consumi.
Il riallineamento avrà necessità di idee nuove e di creatività, ma anche di ricorrere a investimenti che, ove fossero eccessivamente vincolati al processo di stabilizzazione teoricamente giusto, esporrebbero a rischi di eccessiva selezione del nostro apparato industriale.
Lei ha fatto una notazione molto importante, che avevamo già rilevato nell'esperienza pratica, a proposito del rapporto fra le piccole banche e i territori. Mi conforta sentirla affermare che tutto è tranquillo da questo punto di vista e voglio crederci, pur tuttavia dovremo entrare in una fase in cui è necessario rilanciare un'importante partita di riorganizzazione e non sono convinto che Basilea 3 sia un elemento di rafforzamento del nostro apparato produttivo.
Il nostro è un Paese molto indebitato, che accetta un risparmio privato importante ma, se non rilanciamo la capacità di costruire ricchezza, i problemi rischiano di essere molto più seri degli attuali.
Sono abbastanza d'accordo sulle regole internazionali, perché le dichiarazioni del Governatore Draghi sono convincenti ma, come rilevato nella seduta di ieri dall'onorevole Vignali, il problema riguarda le modalità di attuazione dei controlli sui soggetti erogatori di finanziamenti. Non ci si può limitare a scegliere la strada di aumentare la patrimonializzazione, che in via di principio è comprensibile e positiva, permettendo però che le varie agenzie di rating diano il via a operazioni che mostrano il segno successivamente.
Non sono del tutto sicuro che l'origine di fondo della crisi risieda soltanto nei titoli tossici e non nell'apparato economico che ha avuto la sua leadership in Occidente, che la natura della crisi sia esclusivamente finanziaria. Concordo nel riconoscere che la finanza abbia acceso la miccia, ma nutro molti dubbi sul fatto che la crisi abbia un'origine solo finanziaria, per cui non sono del tutto convinto dalla rigidità prevista nel nuovo accordo, così come non mi convinceva Basilea 2.
È opportuno considerare anche il nostro ritardo culturale, perché dobbiamo maturare anche nel modo di fare impresa, ma la maturazione deve avvenire gradualmente, evitando di creare uno scalino molto alto, con effetti certamente non desiderabili.

FABIO GAVA. Ringrazio il vicedirettore Tarantola, per l'audizione molto interessante, condivido gli interventi che mi hanno preceduto e vorrei sottolineare alcuni aspetti.
Ieri, abbiamo audito i vertici dell'ABI e registro alcune differenze di tono. Pur essendo entrambe le audizioni finalizzate a sottolineare la qualità e l'opportunità di una migliore capitalizzazione delle banche e delle imprese, da parte dell'ABI sono stati sottolineati alcuni aspetti di criticità, che invece non ho rilevato nella sua esposizione. Vorrei quindi approfondire questo aspetto.
L'ABI lamenta essenzialmente due aspetti, primo fra i quali il fatto tipicamente italiano che con Basilea 3 nel capitale delle banche non si terrebbe conto delle azioni privilegiate, delle azioni di risparmio eventualmente esistenti nel patrimonio. Questo rappresenta un elemento di difficoltà per la nostra economia, perché questo tipo di patrimonio è molto diffuso.
L'altro aspetto è di carattere internazionale ed evidenzia come il sistema americano non abbia ancora applicato Basilea 2 e appaia quindi molto distante dall'applicazione di Basilea 3. Rischieremmo quindi di avere per un periodo transitorio molto ampio e due diversi piani di applicazione


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delle regole in un mercato sostanzialmente unico. Questo può rappresentare una difficoltà.
Condividiamo tutti la convinzione che Basilea 3, oltre a rappresentare un elemento di ulteriore sicurezza nel nostro sistema bancario e finanziario, dovrebbe essere anche l'occasione di intraprendere interventi correttivi rispetto a errori e criticità emersi nel corso dell'applicazione di Basilea 2.
Una delle criticità di fondo ricordata anche dall'onorevole Lulli e profondamente avvertita nel nostro sistema produttivo è stata quella di un elemento che ha irrigidito il sistema di erogazione dei crediti alle imprese, pur riconoscendo che esse sono sicuramente poco capitalizzate rispetto alla media europea, ma non ha evitato la crisi finanziaria determinata da fattori di finanza innovativa, che evidentemente Basilea 2 non è riuscita a prevenire.
Vorrei capire in che misura la politica possa intervenire per risolvere alcune di queste criticità e fare in modo che, sia pure in un sistema di applicazione più lungo del passato, l'impatto di Basilea 3 sul mondo dello sviluppo economico abbia un effetto meno negativo di quello di Basilea 2.

PRESIDENTE. Ringrazio per la relazione, che tra le righe, come è stile della Banca d'Italia, ha comunque espresso alcune osservazioni critiche ad esempio sulle stesse autorità di vigilanza.
Vorrei porre alcune domande. Mi sembra che Basilea 3 non intervenga su alcuni fattori che hanno scatenato la crisi, quali i veicoli fuori bilancio delle banche e i titoli tossici, comprese le quantità di certi titoli che le banche possono trattare. C'è sicuramente un problema di vigilanza, perché è sufficiente saper leggere un bilancio per verificare che Lehman Brothers era già fallita tecnicamente anni prima. È necessaria una vigilanza sulle banche, perché il sistema italiano ha retto meglio di altri, ma le nostre banche non hanno evitato i subprime o i derivati, anzi in qualche momento sembravano più reti commerciali di derivati che non banche che facessero la raccolta e gli impieghi: alcune banche davano premi ai direttori di filiale esclusivamente sulla base di quanti derivati riuscivano a piazzare. C'è poi il tema colossale dell'indipendenza delle agenzie di rating, su cui sarebbe stato utile intervenire.
Vorrei inoltre chiederle, come altri colleghi che mi hanno preceduto, se riteniate che Basilea 3 sarà adottato da tutti i Paesi, anche perché uno di quelli che non ha applicato Basilea 2 aveva una presenza molto consistente al Comitato di Basilea.
Personalmente, preferisco il sistema americano di valutazione del merito di credito sulle piccole imprese piuttosto che quello di Basilea 2, perché è un criterio «andamentale» che misura l'affidabilità in modo più complessivo.
Vorrei chiederle, in terzo luogo, se sia possibile pensare anche ad altri strumenti di minore impatto. Ho trovato intelligente la proposta avanzata da Alessandro Profumo di un fondo di garanzia per le banche stesse.
Rispetto alle stime dell'impatto sulle imprese, a parte i requisiti di patrimonio sui quali ormai sembra raggiunto un accordo abbastanza consolidato rispetto al testo attuale di Basilea 3, vorrei sapere quali requisiti di leva abbiate considerato, perché mi sembra che ci sia ancora una discussione in campo.
Do la parola al vicedirettore generale Tarantola, scusandomi per il numero delle domande che le ho rivolto; del resto, il tema è molto complesso.

ANNA MARIA TARANTOLA, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Vi ringrazio di questo dibattito, che dimostra un gradito interesse. Spero di essere in grado di rispondere a tutte le domande, che toccano quasi tutto lo scibile umano!
L'onorevole Maggioni ha evidenziato come Basilea 3 sembri non dare soluzione al problema della «spersonalizzazione» tipico di Basilea 2. Tralascio la prima parte del suo intervento, nel quale mi pare che abbia dato una sua interpretazione della crisi e non mi sembra che abbia


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posto una domanda specifica. Vi sarebbe stato, quindi, a suo avviso, un eccesso di bilanci e una scarsa affidabilità dell'imprenditore. Posso dire che Basilea 2 non impone solo di toccare i dati di bilancio, ma prevede un'applicazione molto articolata: per le banche che chiedono e ottengono la validazione dei modelli interni, l'applicazione si basa fondamentalmente su analisi di carattere quantitativo e quindi sui bilanci, ma non esclusivamente. È possibile anche utilizzare le informazioni cosiddette soft, quindi non informazioni di bilancio, purché l'analista ne motivi le ragioni. Noi nella validazione dei modelli interni valutiamo e accettiamo questa impostazione.
In secondo luogo, per le piccole imprese non c'è nessuno che applica modelli interni perché per le piccole imprese vigono regole diverse. Vi è una mitizzazione dell'idea che si guardi solo al bilancio. Il Governatore Draghi ha più volte ripetuto che le banche sappiano fare le banche e, quindi, sappiano valutare insieme con il dato quantitativo anche altri tipi di elementi e di fattori, che contribuiscono ad avere una corretta valutazione dell'effettiva situazione di rischio di quell'impresa. Questa potrebbe essere attenuata rispetto al dato di bilancio, in una visione di medio-lungo periodo, che tenga conto della situazione generale del mercato in cui quell'azienda opera, della capacità manageriale di cui può disporre e di tutta una serie di altri elementi. Non c'è un divieto: c'è una grande possibilità in cui si esplica la capacità del banchiere. Basilea 3 conferma tutto questo, senza vincolare o limitare nulla.
Riguardo ai nuovi requisiti di capitale in presenza di shock negativi di liquidità e al problema della liquidità, sottolineo che Basilea 3 affronta il problema della liquidità e impone requisiti specifici, di cui le banche si lamentano considerandoli troppo elevati. Dobbiamo tenere conto del fatto che la crisi ha dimostrato che una banca fallisce per crisi di liquidità, non per crisi di credito: sono «saltate» le banche con problemi di liquidità. Il fatto che Basilea 3 approcci anche questo aspetto di rischio con una visione sia di breve che di medio-lungo periodo, mi sembra vada incontro all'esigenza di non avere banche fragili. Vorrei tornare su un altro tema. Si sosteneva che vi sono vincoli troppo rigidi. Bene, che cosa vogliamo? Vogliamo che di fronte ad un'altra ondata di crisi corriamo il rischio di avere sistema fragile che salta? Così non ha più nulla nessuno!
Il finanziamento dell'impresa di fonte bancaria esiste infatti nella misura in cui la banca c'è. Se però la banca salta, non solo vi è un problema di tutela del risparmiatore, che può essere coperto attraverso il fondo di garanzia dei depositi fino a 103 mila euro, ma vi è anche un problema di garanzia del flusso di finanziamento all'impresa. Se non c'è più la banca, non c'è più il flusso di finanziamento all'impresa e il liquidatore chiede all'impresa di restituire i fondi.
Bisogna avere un sistema solido, magari costa un po' oggi, magari facciamo tutti fatica oggi (anche le imprese), ma sapendo che domani non avremo più quel rischio e continueremo ad avere un flusso di credito e un sistema stabile. Nella mia relazione ho infatti cercato di evidenziarlo in termini economici quando ho detto che non avremo più quell'impatto di medio-lungo periodo.
La difformità di implementazione è un problema, non c'è dubbio su questo. Quando si parla di G20 ci si riferisce ai Capi di Stato e di Governo, non a tecnici, che hanno nelle loro rispettive nazioni il potere di portare avanti un impegno. In questo caso, non si tratta soltanto degli accordi di Basilea, ma di un impegno del G20! Se a novembre prossimo decideranno di approvare il pacchetto, ho piena fiducia che lo applicheranno. Devo riconoscere che alcuni fronti come gli Stati Uniti hanno subìto un impatto diverso, perché la crisi è nata lì, anche se concordo con il deputato che ha sostenuto che le cause sono molte. Oggi, mi sono limitata ad affrontare il tema indicato per questa audizione, ma avremmo bisogno di giorni interi per sviscerare tutte le cause profonde di questa crisi.


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È però opportuno evidenziare che il «pacchetto» di Basilea è una parte di quella molto più ampia che il Financial Stability Board sta approcciando: il problema delle agenzie di rating, il problema delle remunerazioni perché una delle criticità è rappresentata dagli incentivi distorti nelle strutture di remunerazione dei grandi manager. Sta quindi affrontando tutta una serie di altre possibili cause di distorsione.
Non sono in grado di dare una risposta all'onorevole Maggioni in merito all'ipotesi che Basilea 3, oltre a rafforzare il sistema bancario internazionale, costituisca anche una forma di tutela dei crediti degli Stati. Lei, onorevole Maggioni, vuol dire che il fatto che la banca sia più solida, in un certo senso, tutela anche il credito degli Stati? Ma le banche devono restituire il credito. Negli Stati Uniti è già avvenuto: le banche si sono rivolte al mercato, si sono risanate e sono diventate appetibili per l'investitore privato. Hanno fatto aumenti di capitale sottoscritti dal mercato, una volta ristrutturate sono tornate profittevoli e sono state in grado di restituire anche con un utile realizzato da parte dei singoli Stati. Credo che indirettamente avere un sistema bancario più solido consenta alle banche, che per risanarsi avevano chiesto l'intervento dello Stato, di restituire questi fondi.
L'onorevole Lulli sosteneva che l'impatto dello 0,1 non è poco, che Basilea 3 non è un elemento di rafforzamento, è troppo pesante e può creare un gradino che nel periodo in cui va a regime può creare grossi problemi. E quindi? Se non facciamo nulla - e prima partiamo meglio è - avremo una spada di Damocle gigantesca.
Se io fossi un'impresa, e non lo sono - perciò se vi è qualche imprenditore non me ne voglia - ma come donna e come casalinga (perché noi donne, mi rivolgo alle presenti, siamo anche dei gestori della famiglia), consapevole di questo rischio, preferirei fare subito qualche sacrificio e mettere in protezione la mia famiglia, piuttosto che continuare oggi a spendere evitando sacrifici, con la spada di Damocle che di qui a qualche anno potrei avere un rischio gigantesco. Questo intervento non è facile ed è solo una parte, non risolve tutto, dobbiamo esserne consapevoli. Forse richiede un ripensamento su un modello nuovo - mi pare che questo volesse dire, onorevole Lulli -, ma mentre arriviamo al modello nuovo, vogliamo correre questo rischio? Mettiamo in pista tutto, cominciamo a fare quello che possiamo e cominciamo anche a ragionare sul resto. Se speriamo però di avere già un modello nuovo... Non so, questa è un'opinione personale di Anna Maria Tarantola perché il tema che lei pone è veramente troppo complesso! Io ho tentato di rispondere.

ANDREA LULLI. Il problema è che c'è chi ha le idee, ma non ha i patrimoni. L'Italia è fatta in un certo modo e c'è l'abitudine sbagliata, mi perdoni, di imprenditori ricchi che lasciano povere le imprese, ma se l'economia non riparte, diventa difficile anche capitalizzare le banche, mi permetto di dire.

ANNA MARIA TARANTOLA, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Ritengo che il dialogo tra banca e impresa possa veramente migliorare in questa situazione. La crisi può essere l'occasione, così come il fatto che le banche debbano avere una struttura più solida e che l'impresa pur affrontando qualche difficoltà, anche debba cercare di presentarsi meglio. Nella mia storia professionale ho fatto anche qualche ispezione - purtroppo tanto tempo fa - e ho visto fascicoli in cui l'impresa non diceva nulla di se stessa. Una banca piccola può supplire a questa carenza attraverso la conoscenza personale. Tutti sappiamo che in un piccolo ambiente ci si conosce, si va a messa insieme, si va a prendere l'aperitivo, i figli vanno nella stessa scuola, ci si incontra, si accompagnano i bambini. La conoscenza e anche la rete di monitoring fatta dall'insieme della struttura del Paese possono servire per capire meglio le cose, ma ci sono anche le città più grandi e ci sono anche gli imprenditori piccoli che operano in città più grandi e hanno contatti non


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esclusivamente con banche piccole, ma anche con banche grandi. Le imprese si devono allora rendere conto che devono essere in grado di rappresentarsi, perché è un fatto di rigore per loro. Una volta chiesi a un piccolo imprenditore se non avesse l'esigenza di conoscere il suo grado di indebitamento, la sua struttura operativa. È strano che non vi sia questa esigenza, perché può succedere di essere sul punto di fallire senza saperlo. Ciò non significa che le banche non debbano migliorare. Questo può essere il momento di dialogare e ragionare insieme. Basilea 3, così come Basilea 2, non lo impedisce, vorrei essere molto chiara su questo.

FABIO GAVA. Forse alcune banche si sono trincerate dietro l'applicazione di Basilea 2...

ANNA MARIA TARANTOLA, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Cerco di procedere perché le domande sono tante.
Per quanto riguarda l'intervento dell'onorevole Gava: il presidente dell'ABI, Giuseppe Mussari, forse ha sottolineato aspetti di rigidità che io non ho toccato.
Il problema delle azioni di risparmio privilegiate è ancora da definire. Come lei sa bene, la direttiva europea affronterà anche questo tema e sia la professione bancaria sia la Banca d'Italia daranno le proprie indicazioni. La questione è comunque ben presente.
Riguardo al ritardo degli Stati Uniti sull'applicazione degli accordi di Basilea, il mio auspicio, che credo abbia comunque un fondamento di certezza è che la rigidità con cui gli Stati Uniti stanno portando avanti alcune indicazioni e le cose che hanno già fatto, perché hanno già avviato una grossa riforma del loro sistema di supervisione, mi fanno pensare che l'implementazione sarà generalizzata. Per quanto riguarda la rigidità dei metodi, penso di avere già risposto
Quanto alle questioni sollevate dal vicepresidente Vignali, vorrei precisare che si tratta di temi che non vengono toccati dal pacchetto di misure di Basilea 3, ma che sono all'esame del Financial Stability Board, che sia per i titoli tossici, sia per i veicoli fuori bilancio ha formulato raccomandazioni che credo dovranno essere ulteriormente definite e tradotte.
Con riferimento allo «stile» di vigilanza mi mette un po' in imbarazzo, ma credo di poter dire, che la vigilanza italiana si è dimostrata nel confronto internazionale una delle più rigorose.

RAFFAELLO VIGNALI. Mi spiace...

ANNA MARIA TARANTOLA, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Devo svolgere il mio ruolo!
Con riferimento alla questione del «perimetro», ho accennato al fuori bilancio, ad alcune strutture ombra. Uno degli aspetti fondamentali è che in alcuni Paesi, alcuni tipi di attività e di intermediari non sono assolutamente vigilati. Non è così da noi, ma per merito non solo nostro, ma anche del nostro legislatore che ha stabilito che un'ampia gamma di intermediari tra cui le piccole società finanziarie ex articoli 107 e 106 del Testo Unico Bancario, piuttosto che le SIM siano tutte regolamentate e oggetto di vigilanza equivalente Questo riduce molto il rischio di non conoscere determinate cose.
Alla domanda se le banche italiane abbiano fatto subprime, rispondo di si, ma devo anche dire che non hanno mai erogato - anche perché fino a pochi anni fa esisteva una norma che lo impediva - mutui che fossero di importo superiore al valore del bene, Si sono sempre tenute mediamente su livelli molto bassi, nell'ordine del 60-70 per cento.

RAFFAELLO VIGNALI. Sulla media sono d'accordo, è questione di dispersione!

ANNA MARIA TARANTOLA, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Vi sono poi casi in cui sono stati erogati mutui anche fino al 100 per cento del valore del bene. L'aneddotica non serve molto, ma può essere di qualche aiuto. Ricordo che qualche anno fa, un banchiere che era molto contento di dirmi - un banchiere


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che poi non ha avuto problemi, quindi ha saputo probabilmente dosare bene - di aver adottato politiche per andare incontro attraverso pacchetti speciali ai bisogni delle famiglie giovani, le quali, se valutate esclusivamente per le loro capacità di reddito, non avrebbero potuto ottenere alcun mutuo. Era molto orgoglioso anche della scelta di concedere mutui a lavoratori extracomunitari, in regola ovviamente, nonostante i numeri grezzi non avrebbero indotto a farlo. Tutto deve essere modulato e valutato. Quindi, abbiamo avuto il fenomeno subprime solo come fenomeno marginale, perché non apparteneva alla nostra realtà. La vendita di derivati è stata abbastanza circoscritta.
Può - questa volta faccio io una domanda a voi - la vigilanza sostituirsi al banchiere, che è un imprenditore anche lui, e andare a sindacare i singoli atti? Io dico chiaramente «no»! Allora facciamo le banche pubbliche e la Banca d'Italia diventa il gestore unico di tutte le banche. No, non è così, non è così che deve funzionare! Le banche sono imprese e possiedono organi con specifici compiti e ruoli. Ciascuno deve svolgere il suo compito e il suo ruolo. La Banca d'Italia deve fare in modo che il framework, l'architettura delle regole sia costruita in modo da ridurre l'assunzione del rischio o che vi sia un correlato presidio. I presidi sono due: l'organizzazione e il capitale, perché sono necessari entrambi. È però necessario che ciascuno si assuma le proprie responsabilità, perché il primo a rispondere della corretta gestione è l'imprenditore: non può essere un organo esterno, non può, perché se ci mettiamo su questo piano non c'è più responsabilità. È quello che dico ai miei collaboratori che non possono pensare che io debba intervenire per rivedere tutto. Essi hanno la responsabilità della corretta conduzione della loro unità e me ne rispondono personalmente, mentre io ho la responsabilità di verificare che abbiano gli strumenti per sviluppare bene quell'attività, altrimenti diventa una «libera repubblica di banana»!
Su questo aspetto bisogna lavorare, Noi abbiamo emanato norme sulla governance; molti si sono lamentati ritenendole troppo incisive e di dettaglio. Si tratta invece di regole che stabiliscono che ciascuno ha un ruolo, una responsabilità, un set di informazioni che deve avere e una linea di riporto. Non ci interessa come lo faccia, ma deve essere fatto. Non possiamo verificare se una filiale venda un derivato, ma possiamo dettare precise norme (e lo abbiamo fatto) sul comportamento da tenere. Se in sede ispettiva verifico che tale comportamento non è stato adottato, intervengo con rigorose azioni sanzionatorie o addirittura, come in passato è avvenuto in qualche caso, con segnalazioni alla magistratura.
Esistono quasi 40 milioni di clienti delle banche e non si può verificare tutto: bisogna dare le norme giuste e avere gli strumenti per poter controllare, ma il controllo non può essere così capillare. Lei, onorevole, mi dovrebbe dire che sono stata a conoscenza di cose che non andavano e non sono intervenuta, ma questo non è mai successo, glielo posso garantire!

PRESIDENTE. Ma io non detto questo! Faccio solo un piccolo intermezzo. Se per anni una banca adotta per i suoi dipendenti un sistema premiale che si basa sui titoli derivati piazzati...

ANNA MARIA TARANTOLA, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Non è più possibile adesso! Ha ragione, ma siamo intervenuti su questo aspetto.

PRESIDENTE. È una questione sistemica, anche perché molti casi di mancato finanziamento alle imprese e di non rispetto dei parametri di Basilea 2 derivano dal fatto di essere stati costretti a prendere questi titoli che si sono dimezzati di valore e li hanno obbligati al rientro o hanno negato loro il credito. Questo è un dato sistemico, che a mio avviso riguarda la vigilanza.

ANNA MARIA TARANTOLA, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Siamo comunque intervenuti!


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PRESIDENTE. Non voleva essere un'accusa al sistema della vigilanza italiano, perché era rivolta soprattutto a coloro che stanno dall'altra parte dell'Oceano!

ANNA MARIA TARANTOLA, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Grazie! Penso di avere risposto a tutto!

PRESIDENTE. La ringrazio a nome di tutti. È ferma la nostra convinzione del valore della Banca d'Italia, anche perché se abbiamo avuto un impatto minore sul nostro sistema, ciò è dovuto alle regole, ma anche a chi le ha fatte rispettare, cosa che non sempre avviene in questo Paese. Capita che si facciano le regole, ma che poi non vi sia chi le fa rispettare. In questo caso, siamo orgogliosi di questo.
Nel ringraziare nuovamente il vicedirettore Tarantola, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,10.

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