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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione XI
10.
Martedì 6 dicembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Moffa Silvano, Presidente ... 2

Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, sulle linee programmatiche del suo Dicastero per le parti di competenza (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Moffa Silvano, Presidente ... 2 7 9 12 13 14 16 18 20
Bellanova Teresa (PD) ... 20
Bobba Luigi (PD) ... 20
Cazzola Giuliano (PdL) ... 14 15 19
Damiano Cesare (PD) ... 7 14 20
Fedriga Massimiliano (LNP) ... 9 10 13
Fornero Elsa, Ministro del lavoro e delle politiche sociali ... 2 14 18 19 20
Giammanco Gabriella (PdL) ... 17 19
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 15 18
Muro Luigi (FLpTP) ... 12
Poli Nedo Lorenzo (UdCpTP) ... 13 16
Santagata Giulio (PD) ... 16
Scandroglio Michele (PdL) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 6 dicembre 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SILVANO MOFFA

La seduta comincia alle 13,35.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicura anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, sulle linee programmatiche del suo Dicastero per le parti di competenza.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, sulle linee programmatiche del suo Dicastero per le parti di competenza.
Ringraziando il Ministro per la sua disponibilità e porgendole i migliori auguri per l'incarico e l'incombenza non certo facile che ha assunto, faccio presente che alle ore 15 dovremo interrompere l'audizione per consentire al Ministro di recarsi alla Commissione lavoro del Senato. Anticipo che, ove l'esposizione del Ministro dovesse prolungarsi fino a tale ora, il seguito dell'audizione potrebbe svolgersi già nella giornata di domani, se il Ministro fosse disponibile e d'accordo con noi.
Do, quindi, la parola al Ministro Fornero per la sua relazione.

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Buongiorno a tutti.
Come voi sapete, ho lavorato intensamente a uno dei temi di competenza del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, cioè la previdenza. Presumo che oggi parleremo soprattutto del capitolo previdenziale, ma voglio cominciare dicendo che sarebbe stato bello, coerente e logico mettere fin dall'inizio il lavoro, gli ammortizzatori sociali e un'altra delega che mi è stata affidata, le pari opportunità, allo stesso nastro di partenza. Non ci sono temi più importanti e temi meno importanti tra quelli che ho citato. Ci sono, invece, ragioni di maggiore urgenza, che necessariamente determinano una sorta di graduatoria.
L'obiettivo di far rientrare la previdenza nel decreto - userò l'espressione utilizzata dal Presidente Monti - «Salva Italia» ha determinato un rallentamento dell'attività per quanto riguarda il lavoro e i temi relativi agli ammortizzatori sociali e alle pari opportunità. Si tratta di una condizione di necessità che non riflette alcuna preferenza o alcun ordine di importanza. Comincerò, quindi, parlando della previdenza, ma sarò a disposizione per le vostre domande.
La condizione iniziale, che tutti conoscono, ma che va ribadita in ognuna delle circostanze nelle quali parliamo di questa misura con i rappresentanti politici e con i cittadini, è una condizione di emergenza sul piano finanziario. Questo non ci ha consentito tempi di lavoro lunghi e ci ha imposto vincoli finanziari molto stringenti, che abbiamo scontato nel provvedimento.
Potrebbe sembrare rituale, ma vi assicuro che in tutte le nostre riunioni e in tutti i nostri incontri questa è stata sempre la condizione iniziale. Non dobbiamo mai


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dimenticarlo perché i nostri gradi di libertà sono stati pochissimi e sono stati dominati dall'esigenza di salvare finanziariamente l'Italia e possibilmente contribuire alla salvezza dell'euro.
In materia di previdenza l'occasione creata da questa condizione finanziaria di partenza avrebbe, quindi, potuto consentire un quadro di meri tagli nell'arco di cinque sei o anni e l'entrata a regime delle riforme precedentemente approvate. Abbiamo scelto una strada diversa per più di una ragione. Come voi sapete, le riforme al nostro sistema previdenziale sono state molte e stratificate nel tempo, ma non sempre coerenti l'una con l'altra. Alcune riforme hanno creato ostacoli per il dispiegamento del disegno sottostante complessivo, che andrà a regime intorno al 2013 e che consiste nel pieno accoglimento del metodo contributivo di calcolo della pensione. Il disegno era quello ma, poiché la gradualità nell'implementazione di quella riforma era molto lunga, si sono rese necessarie altre riforme, che hanno introdotto elementi di contraddizione.
È sembrato, quindi, naturale, anziché agire soltanto con l'accetta, cogliere l'occasione per operare i tagli necessari, ma anche per dare un respiro di lungo termine a questa riforma in modo che gli italiani non debbano subirne un'altra tra pochi anni. Le pensioni sono una parte importante della vita di una persona e i cambiamenti continui possano costituire un grave choc per i piani di vita. Pertanto, abbiamo cercato di conferire alla riforma continuità e coerenza temporale.
Alla riforma del sistema pensionistico che abbiamo introdotto, e che sto per illustrarvi, si aggiunge il provvedimento che io chiamo da condizionamento finanziario, cioè la deindicizzazione delle pensioni. Quella non è riforma delle pensioni, ma il riflesso necessario della difficoltà finanziaria di partenza. La deindicizzazione, che è chiaramente il boccone amaro, si estende per due anni, due anni nei quali si riduce la spesa, poiché qualunque riforma del sistema previdenziale all'inizio dà poco o niente. È un punto fondamentale.
Questa riforma non è una nostra invenzione. Non abbiamo fatto altro che riprendere lo schema introdotto nel 1995 e ridare coerenza al disegno. Abbiamo innanzitutto ritenuto che tutti i cittadini, i lavoratori, ma anche i politici, dovessero far entrare nel proprio mondo conoscitivo il concetto di pensione contributiva o di metodo contributivo di calcolo della pensione. Può darsi che io sbagli, ma la mia sensazione è che molti avessero una riserva mentale e che considerassero il metodo contributivo, pur essendo stato introdotto, qualcosa da correggere perché crea pensioni troppo basse ed è troppo severo.
La mia esperienza mi dice che era una riserva mentale di molti. Invece, io ho ributtato il sistema contributivo pesantemente al centro della scena. L'unico modo per riuscirci era quello di partire dal 2012 con il metodo contributivo pro-rata. Non stiamo, quindi, andando indietro perché tutte le anzianità maturate partiranno secondo questo metodo dal 2012.
Per inciso, ringrazio - l'ho fatto in altre occasioni, ma non esimermi dal farlo anche qui - i Presidenti di Senato e Camera per aver mostrato grande sensibilità, in questo momento in cui si chiede ai lavoratori di accettare questa riforma, nell'aver adottato il metodo contributivo anche per la Camera e per il Senato. Sono veramente contenta e penso che lo siano anche gli italiani.
Secondo punto della riforma è l'allungamento della vita lavorativa e l'innalzamento dell'età media di pensionamento. In questi giorni sono usciti i dati sulle pensioni di anzianità e hanno mostrato che l'anzianità media è di 58 anni e due mesi. Questo vuol dire che ci sono ancora persone che vanno in pensione per anzianità a 57 anni, e forse a 56, e persone che vanno in pensione a 58, 59, 60 anni.
Non vi nascondo che la soluzione per le pensioni di anzianità è stata piuttosto drastica. Abbiamo inciso molto su tali pensioni, stabilendo che si conseguono soltanto con 41 anni di anzianità per le donne, con inglobamento della finestra (ci saranno i futuri adeguamenti, ma mi sto riferendo a oggi e non all'indicizzazione


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futura), e con 42 per gli uomini. È un aumento secco ed è l'unica condizione rimasta perché le quote sono eliminate.
Con tale anzianità è possibile avere una pensione anticipata raggiunto un limite d'età che abbiamo identificato in 62 anni, cioè l'età minima delle lavoratrici dipendenti del settore privato, che quindi passano da 60 anni più uno della finestra, cioè 61, a 62 anni, per l'accesso al pensionamento. Non si parlerà più di vecchiaia perché subentra il connotato della flessibilità.
Le cose sono in parte vincolate dalla transizione, ma l'età della pensione per le donne sale, quindi, da 61 anni a 62. Vi è poi una fascia di flessibilità, che per le donne è ampia e va da 62 a 70 anni, nella quale la parte contributiva della pensione viene incrementata sulla base dei cosiddetti coefficienti di trasformazione applicati a queste annualità.
Oggi l'età pensionabile delle donne è differenziata, ma il ridisegno di questo sistema è ispirato all'uniformità di trattamento. Sono anche il Ministro delle pari opportunità e su questo mi sentirete intervenire spesso. Per me la pari opportunità va conseguita da subito nella scolarità, nel mercato del lavoro, nella progressione di carriera. Sono molto poco tenera verso un assetto sociale che prima scoraggia e segmenta e poi dà un contentino. Per me, il fatto di andare in pensione prima è una compensazione di disparità inflitte in precedenza che non risponde a criteri di giustizia e di equità.
Questa è la mia opinione. D'altronde era già stato adottato dal precedente Governo un adeguamento dell'età di pensionamento delle donne a quella degli uomini. Il percorso era molto lungo e noi l'abbiamo sostanzialmente accorciato. L'età di 62 anni, pertanto, varierà e salirà a 66, pareggiando quella degli uomini, nel 2018. Abbiamo scelto il 2018 come anno di convergenza di molti fattori e di tutte le transizioni ancora in corso, comprese quella delle pensioni di anzianità. L'età delle donne, quindi, dal minimo di 62 anni convergerà nel 2018 a 66, età pensionabile degli uomini e delle donne dipendenti nel pubblico impiego.
Torno alle pensioni di anzianità perché tout se tient, ma il quadro è complicato. Gli uomini che abbiano maturato i 42 anni di anzianità richiesti possono, in questa fase transitoria, andare in pensione anche prima dei 62 anni di età, ma con una penalizzazione. Abbiamo deciso che la penalizzazione non sarà attuarialmente equa, bensì corrisponderà a una diminuzione di 2 punti percentuali per ogni anno di anticipo. Un lavoratore che abbia 42 anni di anzianità, ma non 62 anni di età potrà, quindi, andare in pensione prima, ma pagando il 2 per cento annuo e percependo, quindi, una retribuzione più bassa.
Vero è che col metodo contributivo di calcolo della pensione chiunque rimanga al lavoro ha un effettivo incentivo a proseguire perché, come sapete, questo metodo tiene conto del fatto che, continuando a lavorare, la pensione sarà percepita per un anno in meno e verrà restituita attraverso l'aumento del coefficiente.
Per quanto riguarda le donne, quindi, è previsto l'aumento dell'età e la convergenza con quella degli uomini: la pensione di anzianità richiederà contributi molto più severi - è inutile girarci intorno -, un'età minima di 62 anni e una penalizzazione per il pensionamento prima dei 62 anni. Per gli uomini la fascia di flessibilità parte da 66 anni e arriva a 70. Quando saremo a regime la fascia si allargherà, altrimenti rimarrebbero solo quattro anni. La pensione cosiddetta di vecchiaia per gli uomini parte da 66 anni, ma questo non è cambiato perché corrisponde a 65 anni più uno della precedente finestra.
Una delle connotazioni che ho voluto dare al sistema, oltre che la coerenza temporale e logica, è la maggiore trasparenza. Ho sempre considerato le finestre un bizantinismo vessatorio. Mi sembra strano vivere in un Paese dove si può andare in pensione a 60 anni per poi scoprire di dover aggiungere un altro anno chiamato «finestra». Perché non dire subito 61? Trovo molto più trasparente dire


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direttamente 61 o 66 anni che non dire 60 quando sono già 61, 65 quando sono già 66 e 40 quando sono già 41. Oltretutto, come sapete, dei 41 anni di anzianità l'ultimo era senza aumenti di pensione perché era semplicemente perso (non credo di sbagliare), mentre adesso tutto quanto viene contribuito nel sistema viene restituito sotto forma di quota parte di pensione contributiva, la quale subisce i coefficienti attuariali e l'equità attuariale.
Nel 2018 si andrà a regime senza più pensione di anzianità, ma solo con la pensione contributiva, che secondo me rappresenta la pensione vera e propria e che semplicemente traduce un fatto della vita. La nostra vita è fatta di un periodo di lavoro nel quale si risparmia obbligatoriamente - ma sempre risparmio è - in vista dell'età anziana. Quanto viene dato nell'età anziana corrisponde a ciò che è stato versato prima. Questa è la pensione contributiva. In via generale, nessuno dovrebbe prendere più di quanto abbia versato. Se una persona versa 100 e prende 150, quei 50 di differenza, poiché non piovono dal cielo, sono sottratti a qualcun altro.
L'insostenibilità del nostro sistema deriva dal fatto che in questo meccanismo abbiamo privilegiato le generazioni presenti, promettendo tanto, con la formula retributiva e ci siamo dimenticati di quelle future, che invece avranno molto meno. Questo sbilanciamento generazionale c'è, è grave e oggi ne subiamo le conseguenze sotto molti aspetti. Il metodo contributivo, che non è perfetto, sia ben chiaro, è sicuramente più equo in termini di generazioni e più sostenibile in termini finanziari.
A regime la pensione contributiva richiederà venti anni minimi di contribuzione. Direte che è una follia, ma non è così. Adesso ne richiede cinque, mentre ne occorreranno venti per la pensione di vecchiaia. Stabiliremo una fascia di età che possibilmente non andrà solo da 66 anni indicizzati a 70, ma coprirà gli anni da 63 a 70 già indicizzati, quindi spostati in avanti nel tempo. Chiedo scusa per questi tecnicismi, ma è sensato che la fascia sia di sette, otto anni. Sulla base del conto pensionistico e dei contributi versati, si andrà in pensione relativamente giovani raggiunta l'età minima e si percepirà una pensione più bassa perché verosimilmente sarà goduta più a lungo grazie alla più alta aspettativa di vita.
Come dicevo, non è un metodo assoluto o perfetto. È chiaro che, essendo questo il sistema pensionistico pubblico e non quello privato, dobbiamo contemplare la possibilità di integrare la pensione di chi abbia avuto una vita di lavoro sfortunata. Il mio concetto di equità mi dice che devo garantire queste persone, non offrire privilegi a chi, invece, nella sua vita ha guadagnato tanto.
La pensione retributiva privilegia chi ha guadagnato molto, mentre la pensione contributiva restituisce quanto si è versato. Se qualcuno ha contribuito poco per colpa di una vita di lavoro per varie ragioni sfortunata - ragioni che si potranno individuare in un secondo momento -, riceverà qualcosa in più. È questo che, secondo me, lo Stato deve fare. Il metodo contributivo non lo esclude, anzi lo contempla sicuramente, benché casomai rientri nel discorso futuro connesso agli ammortizzatori sociali.
Oltre a maggiore trasparenza e maggiore uniformità di trattamento, che vuol dire portare più o meno tutti ad avere le stesse condizioni, e col metodo contributivo è possibile, il terzo punto riguarda la riduzione o l'abolizione dei privilegi, come credo siano da considerare i trattamenti avvantaggiati che ancora esistono all'interno dei vari regimi speciali, ai quali abbiamo chiesto un contributo di solidarietà.
Anche i lavoratori autonomi passano al contributivo, il che vuol dire che la loro pensione rifletterà ciò che verseranno. Poiché ogni euro versato sarà trasmesso nella loro pensione, abbiamo pensato che per tutti i lavoratori autonomi, cioè artigiani, commercianti e coltivatori diretti, servisse un piccolo incremento della contribuzione. Non lo considero una tassa perché, applicando


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il contributivo dal 1o gennaio, diviene risparmio che si rifletterà sulla loro pensione.
Questo è grosso modo il disegno che ispira e orienta questa riforma, che so bene non essere una piccola riforma. La possiamo definire una grossa spinta. A qualcuno si richiede di lavorare molto di più, i numeri sono chiari, ma questa riforma punta tutto, e in caso contrario fallirà, su un aspetto che la riforma stessa non contempla e cioè un mercato del lavoro che funziona a dovere e dà lavoro al maggior numero possibile di persone, giovani, donne e anziani.
Si tratta di un capovolgimento di ottica. Un sistema previdenziale come questo è sempre sostenibile perché eroga quanto viene versato. Sotto il profilo della sostenibilità finanziaria il meccanismo che ho descritto non crea problemi. Occorreranno degli aggiustamenti, ma di piccola entità. Se dal punto di vista finanziario questo sistema è solido, può però creare dei problemi sul piano di ciò che l'Europa chiama adeguatezza. Si crea inadeguatezza se le persone hanno una vita di lavoro breve, sempre interrotta e mal pagata.
Se il mercato del lavoro da qui in poi continuerà a funzionare come ha funzionato nell'ultimo decennio, certamente i pensionati saranno relativamente poveri, ma lo saranno anche i lavoratori. Se il mercato del lavoro è povero e insoddisfacente, sono poveri anche i lavoratori. In queste condizioni non è nemmeno possibile riuscire a trovare risorse sufficienti per mettere in piedi un buon sistema di ammortizzatori sociali. Per questo sostengo che questa riforma punti tutto su un'ulteriore riforma, la riforma del mercato del lavoro.
Mi spingo anche più in là e vi lascio un elemento che secondo me è molto importante e che bisognerà considerare con grande attenzione. Mi riferisco alle curve retributive. All'interno del sistema esistono delle rigidità tali per cui la retribuzione delle persone cresce sempre, mentre la produttività, ahimè, a un certo punto declina. Le imprese si trovano così con lavoratori anziani che costano troppo e cercano in tutti i modi di scaricarli.
Noi dobbiamo correggere questo meccanismo. Dobbiamo fare in modo che i lavoratori trovino una buona collocazione produttiva all'interno delle imprese e che le imprese utilizzino i lavoratori anziani senza necessità di espellerli per creare efficienza. È un tema di cui oggi non vi parlerò perché non sarei preparata, ma la riforma del lavoro è il pezzo mancante, il pezzo che sorregge tutto questo impianto. È su questo che bisognerà lavorare appena conclusa questa prima parte.
Il completamento è dato dal fatto che chi incontra periodi di interruzione del lavoro in un mercato anche più flessibile e privo delle rigidità del passato ha bisogno di ammortizzatori sociali. Una società degna di questo nome non lascia nessuno senza reddito e senza pensione. Come sapete, questo richiede risorse, quindi di nuovo dobbiamo puntare sulla crescita.
È una sfida, non un esercizio accademico. Posso dirvi con tutta tranquillità che la parte di cui ci siamo occupati e che voi trovate indigesta è per noi e per me in particolare la più facile. Cambiare le pensioni a tavolino, con tutta la sensibilità sociale che credo non mi manchi, è relativamente facile. Fare in modo che tutto il sistema regga in un'economia e in una società che crescano davvero è la parte più difficile.
Vi sono anche i temi legati alla sicurezza sul lavoro. Ieri ho incontrato i carabinieri dei nuclei specializzati e oggi ho visto gli ispettori, coloro che devono fare in modo non solo che si verifichino meno incidenti - è un argomento molto importante, sul quale mi ispiro al Presidente della Repubblica, che lo porta avanti come un tema fondamentale -, ma anche che non ci sia evasione contributiva. Anche questo è parte integrante del lavoro che faremo.
Di pari opportunità parlerò se ci saranno domande oppure in un'altra occasione.


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PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Fornero e saluto il sottosegretario Martone, che ci ha appena raggiunti. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

CESARE DAMIANO. Saluto il Ministro e la ringrazio per la relazione.
Vorrei esprimere alcuni miei convincimenti. Parto da un ragionamento di carattere politico: è noto che il nostro partito, insieme ad altri, sostiene questo Governo di tecnici. Per quanto mi riguarda, questo non mi impedisce di esercitare elementi di valutazione e di critica di fronte alle misure.
Dico subito che mi concentrerò sul tema che il Ministro Fornero ha esaminato, cioè quello della previdenza. A mio avviso, occorre apportare dei cambiamenti. Nella presentazione del programma di governo il Presidente del Consiglio ha evidenziato giustamente come, a differenza del precedente Governo, la parola rigore, che per noi è sicuramente un punto di riferimento, ivi compreso il pareggio nel 2013, sarebbe stata accompagnata dalla parola crescita, che il Ministro ha messo in evidenza, e dalla parola equità.
Mi permetto di dire - è un mio convincimento personale che non impegna né il mio gruppo né i miei colleghi - che in questa manovra le parole crescita ed equità mi sembrano in ombra, mentre la parola rigore mi pare in piena luce. Vedo in questo un elemento di squilibrio. Con tutta franchezza non vorrei che ci trovassimo di fronte a una manovra di governo che, come ai tempi andati - quando ero dirigente sindacale usavamo queste frasi -, ha un prima e un dopo.
Il prima è un taglio severo alla spesa pensionistica, come del resto lei, Ministro, ha evidenziato parlando di una certa crudezza negli interventi, pur necessaria visti i vincoli di finanza. Il dopo è rappresentato dagli ammortizzatori sociali. Lei sa, Ministro, come lo so io, avendo avuto modo di fare il Ministro del lavoro, che gli ammortizzatori sociali costano e costano molto. La domanda che io mi faccio adesso è da dove prenderemo i soldi, anche perché mi pare che il pozzo delle pensioni si sia abbondantemente esaurito. Sarà il tempo di una patrimoniale più robusta? Sarà il tempo di una maggiore tassazione sui capitali scudati? Sarà il tempo di nuovi interventi dal lato delle rendite?
Non vorrei che il dopo ci riservasse una riforma degli ammortizzatori che, essendo costosa, sarà insufficiente a fare quanto lei ha giustamente ha ricordato. Io mi preoccupo di casi gravi di persone che perdono il lavoro a 50 o a 60 anni, persone che aspettavano di arrivare a 62 anni per usufruire di finestre e quote e hanno stretto i denti, facendo versamenti volontari. Se questi lavoratori, Ministro, da 62 passeranno a 66 anni, non si potranno permettere versamenti volontari per sei o otto anni, e non possono vivere d'aria. È un grave problema che dobbiamo affrontare al di là di tutta la teorizzazione sulle riforme.
Non vorrei, quindi, che il prima fosse il taglio severo alle pensioni e il dopo un intervento modesto sugli ammortizzatori per mancanza di risorse, per poi scoprire che sull'articolo 18 viene introdotta una clausola di licenziamento per motivi economici. Creeremmo un ulteriore allarme sociale. Vorrei ricordarle, dati che lei conosce sicuramente a menadito, che dal 2008 a oggi le imprese hanno chiesto 3.200.000.000 di ore di cassa integrazione, i cassintegrati sono quasi 500.000, 2.100.000 sono i lavoratori disoccupati, 2.700.000 sono i lavoratori che non cercano più occupazione, soprattutto molto giovani e molto anziani, 40.000 sono i lavoratori in mobilità e 3 milioni sono i lavoratori al nero.
Mi scuso, presidente, ma non riuscirò a stringere. Chiedo che il Ministro dedichi, nella misura del possibile, un po' di tempo per sentire argomentazioni che, se fossero slogan, non coglierebbero il significato di questa discussione. Non mi limiterò quindi, e mi dispiace di apparire sgarbato, contro la mia abitudine.
Credo che in una situazione di questo genere dobbiamo sapere che l'allarme sociale è molto alto. Io mi faccio una domanda


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e mi piacerebbe che lei, Ministro, mi rispondesse. Il passato Governo ha scritto una nota di aggiornamento alla manovra economica approvata dal Consiglio dei Ministri a settembre. In questa nota, firmata da Tremonti e da Berlusconi e timbrata dalla ragioneria, si dice che gli interventi che si sono prodotti dal 2004 al 2011 sul sistema pensionistico - quattro interventi per quattro leggi - otterranno dal 2015 al 2040 un risparmio di 1,4 punti percentuali annui nel rapporto fra spesa pensionistica e PIL. Tremonti si spinge oltre e afferma che questo risultato cumulato sul periodo 2015-2040 equivale a 39 punti percentuali. Il documento è sicuramente a disposizione dei vostri uffici.
Non le pare che le pensioni abbiano già subito un salasso notevole, che potrei sinteticamente riassumere in innalzamento dell'età pensionabile delle donne da 60 a 65 anni, che voi avete accelerato, aggancio all'aspettativa di vita, congelamento della rivalutazione da cinque volte in su, finestra di un anno che si è allungata rispetto a quella precedente, con le anomalie che lei riscontrava? 1,4 punti annui di risparmio a PIL costante (che oggi non possiamo prevedere) sono circa 20 miliardi all'anno. Era un'affermazione propagandistica, seppure timbrata dalla ragioneria, o è vera? Vorrei sapere se i risparmi si sono già prodotti con le ultime quattro manovre e se questo non giustificherebbe una mano un po' meno pesante, accogliendo i correttivi alla manovra che noi chiediamo.
I miei colleghi avranno ovviamente modo di argomentare ciò che io tralascio per non essere troppo invadente. Sto cercando di esprimere le mie opinioni con garbo, quindi abbiate pazienza se posso apparire, non volendo, un po' maleducato. L'argomento è troppo importante per non essere trattato con la giusta evidenza.
Mi piacerebbe chiarire un punto, Ministro, per quanto riguarda l'indicizzazione. Io ho apprezzato il fatto che il Governo, dopo essere partito con l'idea, mi si dice, di indicizzazione totale sulle pensioni minime di 480 euro, abbia raddoppiato la copertura attraverso il prelievo dell'1,5 per cento sui capitali scudati. È però insufficiente, Ministro. Parliamo di 700 euro netti mensili. L'operaio della FIAT, che lei conosce come me, dopo quarant'anni di turni in fabbrica va in pensione con 1100 euro netti.
Le pongo un'altra domanda: 960 euro sono indicizzati e un euro no, oppure 961 euro non hanno alcuna indicizzazione? Se chi è oltre i 960 euro non avesse alcuna indicizzazione, sarebbe ancora più grave. Credo che dobbiamo obbligatoriamente alzare l'asticella con una piena indicizzazione in grado di ricomprendere per lo meno le pensioni medio basse.
Altra questione è quella relativa ai 42 anni di contributi. Non ne discuto neanche più perché, fatti i conti, equivalgono a nove mesi in più. Mi sento di spiegare questo al lavoratore che ha cominciato a lavorare a 15 anni e andrà in pensione a 57, ma non me la sento di spiegargli che andrà in pensione a 57 anni perdendo il 10 per cento, cioè il 2 per cento moltiplicato per i cinque anni che lo separano dai 62 anni. Questa penalizzazione è socialmente incomprensibile.
Le chiedo di riflettere su questo punto. Noi dovremmo premiare quel lavoratore e spiegargli che, a differenza di prima, quando raggiunti i 40 anni di contributi smetteva di aumentare la propria pensione, con il pro rata il quarantunesimo e il quarantaduesimo anno di contribuzione conteranno ai fini dell'aumento della pensione. È incomprensibile aumentare quella pensione e contemporaneamente diminuirla. Secondo me tale penalizzazione non è motivata.
Avrei tante altre cose da dire, ma per concludere mi limiterò alla scomparsa delle cosiddette quote che da Ministro del lavoro avevo inserito. Facciamo il caso di un lavoratore in Italia - è un caso esistente a giudicare dalle tante lettere che ho ricevuto - che nel 2012 compie i 60 anni di età. Quel lavoratore ha accumulato 36 anni di contributi e sarebbe quindi a quota 96. Con la mia riforma potrebbe andare in pensione e avrebbe due opzioni o il pensionamento di vecchiaia o il pensionamento di anzianità. Ora, dovrà indifferentemente


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aspettare altri sei anni. Lo scalone Maroni, contro il quale ho combattuto, ne avrebbe previsti tre. Parliamo, quindi, di due volte lo scalone Maroni.
Penso che su questo argomento occorra graduare. Pagheremo pedaggio, ma non possiamo pensare che una persona improvvisamente veda allontanarsi il traguardo di sei anni. Anche questo mi sembra socialmente inaccettabile, anche perché, come lei diceva, le pensioni hanno bisogno di poggiare su qualche certezza.
Ho apprezzato due aspetti su cui le chiedo un chiarimento. Il primo è la totalizzazione. Se ho ben capito, io avevo compiuto un passo a metà, fino a tre anni da sei, e lei compie il passo fatidico tale per cui ogni giorno lavorato con regolare contribuzione varrà per la pensione. Questo è positivo per i giovani. Così come sulla mobilità mi pare che da 10.000 lavoratori si passi a 50.000. Perché la cosa sia ancor più pulita, la esorto a togliere qualsiasi vincolo numerico e a stabilire che chi è in mobilità ha il diritto di andare in pensione. Oltretutto rispettiamo le previsioni e sarebbe un ottimo segnale.
Vorrei chiederle un'ultima cosa. Sono previste restrizioni per i lavori usuranti? Se così fosse, sarei preoccupato perché stiamo parlando di cave, miniere, torbiere, lavoro notturno e catena di montaggio, tutte attività che presentano effettivamente un problema di usura e di fatica costante nell'arco della vita.
Mi fermo qui, anche per lasciare tempo ai miei colleghi. Mi scuso, Ministro, ma comprenderà che l'occasione era molto importante. Le cose da dire sono dense sia socialmente sia politicamente e ci stiamo mettendo tutti molto impegno. Dobbiamo trovare una strada per un nuovo compromesso. Lo chiedo con forza affinché si sposti l'asticella, a costo di aumentare quel prelievo dell'1,5 per cento sui capitali scudati. Non essendo una misura immutabile, non capisco perché non dovremmo pescare da quelli che in fondo non hanno mai contribuito al risanamento di questo Paese.
Mi pare che le pensioni negli ultimi anni abbiano abbondantemente contribuito.

PRESIDENTE. Mi scuso con tutti i colleghi e anche con il collega Damiano. Da parte mia non c'è alcuna volontà di limitare il dibattito. Mi rendo conto che la presenza del Ministro e soprattutto gli argomenti meritino spazio, però dobbiamo metterci d'accordo. Io non ho alcuna difficoltà, ovviamente molto dipende dalla disponibilità del Ministro.
Il Ministro alle 14,45 ci deve lasciare perché ha un altro impegno e ho dieci iscritti a parlare. Da questo momento in poi non limiterò gli interventi, ma il Ministro ci dovrà comunicare quando potrà tornare da noi per continuare l'audizione.
Mi sembra assolutamente giusto che su questa materia vi sia un ampio coinvolgimento della Commissione.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Sull'ordine dei lavori, Presidente.
Chiedo che sia data la possibilità a ogni gruppo di intervenire.

PRESIDENTE. Sto seguendo l'ordine degli iscritti a parlare, non ho compiuto forzature.

MICHELE SCANDROGLIO. Grazie, signor Ministro.
Ho colto nelle sue parole, così come nell'intervista che ha rilasciato l'altro giorno, un pathos e una misura che ritengo compatibili con la difficoltà del momento in cui ci troviamo.
Non abbiamo ancora a disposizione il testo definitivo e le schede per poter ragionare compiutamente sul quadro che lei ci ha illustrato. Credo che gli uffici ci faranno avere questi documenti al più presto, ma qualunque valutazione va rimandata alla lettura di dettaglio.
Mi permetterei di porle solo alcune piccole domande. Lei ha detto con molta forza che il principio generale di questa nuova impostazione è quello di far capire a tutti che il sistema è diventato contributivo, che l'illusione che così non sia deve


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cessare e che l'idea che il futuro sarà solo contributivo deve permeare il costume mentale di ognuno di noi.
Esistono allo Stato delle categorie che ancora mantengono il privilegio del retributivo? Anche le Camere si sono giustamente adeguate. Volevo sapere se ci fosse qualche elemento che, invece, a tutt'oggi permane in questa insopportabile condizione di privilegio.
In secondo luogo, trovo una certa consonanza con alcune delle parole dell'ex ministro Damiano sull'ambito dei privilegi. Sappiamo che esistono pensioni straordinariamente ricche, alle quali credo si possa chiedere un contributo di solidarietà molto importante. Sono in possesso di dati che non sono sicuro di poter fornire in questa sede perché non ho certezza del numero, ma credo che le pensioni nell'ordine dei 20.000 o 30.000 euro lordi in questo Paese siano molte.
Credo che assieme ad altre condizioni, alcune delle quali sono state citate dal collega Damiano, anche queste non possano essere lasciate tra i diritti quesiti. In una situazione di grave difficoltà, quale quella in cui oggi ci troviamo, ognuno dovrebbe tornare coi piedi per terra ed essere pronto a mettere le mani nel fango e ripulire la strada per il domani da consegnare alle nuove generazioni.
Mi limito a queste due domande perché, qualora il Ministro o i suoi collaboratori avranno la cortesia di tornare qui da noi, mi riserverò di entrare nello specifico dopo aver letto con attenzione la documentazione che la presidenza della Commissione ci inoltrerà.
Vorrei concludere con una sottolineatura. Quando si parla di ammortizzatori sociali e di migliaia di lavoratori che al momento si trovano in questa disagiata condizione, provocatoriamente mi sento dire che questi signori potrebbero essere utilmente impegnati.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Ringrazio il Ministro per essere venuta a confrontarsi con la Commissione.
Anch'io ovviamente parlerò di quanto da lei riferito e di quanto ho potuto leggere dagli organi di informazione, poiché, se non sbaglio, il decreto è stato firmato poche ore fa dal Presidente della Repubblica e, quindi, alla Camera non è ancora giunto un testo definitivo.
Con queste premesse, Ministro, vorrei farle presente che, in modo forse d'effetto o coinvolgente, il Presidente del Consiglio Monti ha chiamato il decreto «salva Italia». Io per utilizzare un'espressione altrettanto coinvolgente ed emotiva lo chiamerei «ammazza pensioni» perché questo decreto, signor Ministro, va contro quanto è stato sostenuto almeno da una parte della maggioranza che attualmente appoggia il Governo.
Ci sta che in politica si cambi facilmente idea, ma voglio ricordare che con il precedente Governo la Lega Nord ha bloccato i nuovi interventi sulle pensioni prefiguratisi nel rapporto con l'Unione europea a differenza di chi oggi interviene in Commissione, ma nel caso voterebbe una fiducia incondizionata a chi fa cassa con i soldi dei lavoratori.
Lei ha detto che bisogna intervenire sugli ammortizzatori sociali. Avrei compreso, anche se forse non condiviso, un intervento sulle pensioni che destinasse risorse agli ammortizzatori sociali. Invece, si prendono soldi per fare cassa e per coprire il debito pubblico, ma non per dare garanzie ai lavoratori e ai giovani. Vorrei che qualcuno mi spiegasse come le giovani generazioni saranno aiutate nel loro percorso lavorativo quando chi occupa già una posizione professionale rimarrà più tempo al lavoro. Come potranno i giovani accedere a quelle professioni, se in molti casi dovranno rimanere fermi per cinque, sei o sette anni in più?
Non è vero che le pensioni di anzianità delle donne non sono state toccate. L'anzianità si raggiungeva anche con le quote. Togliendo quelle, le pensioni di anzianità aumentano di diversi anni. Non è nemmeno vero che la finestra mobile, che, come ha detto lei, forse era un artifizio antipatico, equivaleva al nuovo aumento dell'età pensionabile. Con 40 anni di contributi, infatti, si maturava il diritto alla pensione. Stringendo i denti e facendo


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sacrifici si aspettava un anno o un anno e un mese, ma il diritto era acquisito. Eliminando la finestra e aumentando di un anno il tempo utile a maturare il beneficio della pensione, in questo momento di crisi economica alcuni lavoratori non riusciranno a soddisfare i requisiti della pensione e, anziché aspettare un anno, non vedranno proprio la pensione.
Mi auguro che su questo si intervenga nella discussione alla Camera perché rischiamo di abbandonare lavoratori che non hanno firmato accordi nazionali o che non rientrano nei 50.000 previsti dal decreto o che hanno preso accordi privati nella piccola e piccolissima impresa magari per una buonuscita più sostanziosa, con la prospettiva di accedere alla pensione dopo pochi mesi. Diremo a questi lavoratori e lavoratrici che devono aspettare altri cinque, sei, sette anni? Come pensiamo che il sistema Italia regga?
Le misure per il pareggio di bilancio sono facili da scrivere sulla carta o sulla cattedra di un'università. Sono più difficili da scrivere confrontandosi con i cittadini che ogni giorno accumulano la loro pensione. Deve finire questa tendenza di far passare coloro che usufruiscono del sistema retributivo come dei privilegiati a scapito dei giovani. Sono le stesse persone che, con le loro pensioni, mantengono i giovani precari che vivono ancora a casa con i genitori. Sono d'accordo con lei sul fatto che il retributivo non sia il sistema migliore, ma è quello che c'è adesso. Se modificheremo solo la parte peggiorativa e non ci occuperemo di quella migliorativa, cioè dare garanzie ai giovani per entrare nel mondo del lavoro, otterremo semplicemente famiglie più povere.
Si tratta sì di equità, signor Ministro, ma di un'equità al ribasso che penalizza coloro che devono andare in pensione e i giovani. Questi ultimi in molti casi sono mantenuti e hanno la possibilità di compiere esperienze lavorative anche poco remunerate proprio perché un genitore pensionato col metodo retributivo ha la forza economica di sostenerli. Non sono soldi spesi per andare in vacanza alle Maldive, ma per mantenere la famiglia e i figli.
Su questo non possiamo accettare riforme perché non la Lega Nord o Massimiliano Fedriga, ma la Commissione europea nel rapporto sulla sostenibilità dice che il sistema previdenziale italiano, da qui al 2060, è uno dei migliori d'Europa, superiore addirittura a quello francese, a quello inglese e a quello spagnolo. Mi domando, quindi, se sia vero, come sosteniamo noi, che i soldi dei lavoratori serviranno a fare cassa e non a rendere sostenibile il sistema previdenziale. Io credo che sia assolutamente vero.
Inoltre, i pensionati non subiranno solamente il blocco dell'indicizzazione delle pensioni. Dovranno pagare la nuova ICI introdotta da questo decreto e l'aumento del 2 per cento dell'IVA da settembre e di un altro 0,5 per cento l'anno successivo. Questo combinato disposto per un pensionato che percepisce 1000 euro al mese comporterà nel 2013 - non avendo il decreto ho fatto i calcoli a spanne e spero che lei mi potrà correggere perché sarei più confortato - una diminuzione pari all'incirca a una mensilità. Come possiamo dire a un pensionato che prende 1000 euro che per un mese non riceverà la pensione perché dobbiamo salvare il Paese?
Il Paese si amministra non per tenere i conti in ordine, ma per tutelare e garantire i cittadini: i conti in ordine sono una conseguenza, non possono essere la finalità. La finalità sono le famiglie che pagano le tasse e hanno contribuito a costruire il Paese. Mi dispiace uscire dall'argomento, ma vista l'attualità della manovra credo che siano da sottolineare tutte le norme messe in atto da questo decreto.
In Consiglio dei Ministri avete approvato misure lontanissime dall'equità. Faccio un esempio non concretamente collegato alle pensioni, ma molto banale e utile a far capire qual è la vostra idea di equità. La patrimoniale sulle grandi barche prevede che una persona che possieda una barca di dieci metri, che magari ha avuto in eredità e che gli costa 2000 euro all'anno di mantenimento, paghi esattamente


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quanto la persona che possiede una barca a motore da un milione di euro, comprata l'anno prima e che gli costa 4000 euro all'anno soltanto per una vacanza di una settimana. State facendo pagare la stessa cifra a queste persone.
Sapete che chi possiede una barca di diciassette metri, magari di quarant'anni fa, pagherà la metà di quanto toccherà a Della Valle per una barca di quaranta metri che costa milioni e milioni di euro? Non penso che il reddito del possessore di una barca di diciassette metri di venti o trent'anni fa sia la metà di quello di Della Valle. Ho preso un piccolo esempio per far capire quale tipo di equità avete inserito in questo decreto. Perdoni, presidente, questa digressione, ma penso che sia stata utile per capire la situazione che stiamo vivendo.
Tornando al merito, l'aumento dell'età pensionabile, la mancata indicizzazione, il pericolo per le persone in mobilità o che hanno perso il lavoro dovranno essere accompagnate, stando alle sue parole, da ammortizzatori sociali. E nel mentre cosa diremo a queste persone, che ci dispiace ma sono capitate nella parentesi sbagliata e si dovranno arrangiare? Come potremo dire a un sessantenne che deve reimpiegarsi e trovare lavoro? Quale opportunità lavorativa viene offerta nel nostro Paese a un sessantenne obbligato ad aspettare altri sette anni per andare in pensione?
Per il futuro possiamo pensare ai più grandi sogni possibili, possiamo immaginare che risolveremo tutti i problemi, che ci saranno posti di lavoro per tutti e che ogni lavoratore percepirà migliaia di euro al mese, ma adesso? Cosa facciamo per quelli che perderanno il lavoro a dicembre? Risponderemo loro che ci dispiace ma dobbiamo rispondere all'Europa?
L'Europa, come noi sosteniamo con forza, non può essere quella che ci ha imposto queste misure. Credo che il Governo responsabilmente avrebbe dovuto spiegare all'Europa che i nostri lavoratori devono essere tutelati dalle aziende che producono in altre aree del mondo, non rispettando alcun diritto del lavoro o regola sull'ambiente e sul lavoro minorile, e fanno concorrenza ai nostri prodotti, alle nostre imprese e ai nostri lavoratori.
È molto facile andare in Europa e promettere di tagliare le pensioni, garantendo i privilegi alle grandi lobby e alle grandi banche - scusi se glielo dico, Ministro, ma conosco la sua posizione pregressa - che investono in Cina e in India. Non possiamo far questo e poi pensare che i lavoratori accettino di pagare.
Noi insieme ai lavoratori non l'accetteremo mai.

PRESIDENTE. Per correttezza, visto che è stato chiesto, vorrei far parlare un rappresentante per ogni gruppo.
Do, quindi, la parola all'onorevole Muro.

LUIGI MURO. Io anzitutto mi atterrò all'invito del presidente e sarò brevissimo, anche perché siamo al primo tempo della partita o forse siamo ancora negli spogliatoi e dobbiamo scendere in campo.
Futuro e Libertà ha dato e dà fiducia a questo esecutivo. Riteniamo - l'intervento del collega della Lega dimostra quanto sto per dire - che questo esecutivo sia l'unico in grado di prendere dei provvedimenti. È vero che ci sono tante contraddizioni ed è vero che c'è una scala di valori, ma quando è stato il momento di scegliere, dal 1995 in poi, abbiamo avuto una serie di tentennamenti rispetto alla riforma che ci hanno portato a queste misure. Daremo, quindi, la nostra attenzione e il nostro appoggio agli sforzi che questo Governo e il Ministro del lavoro compieranno.
Su alcuni temi, come la penalizzazione per i 42 anni di anzianità o l'indicizzazione delle pensioni minime, al di là delle posizioni politiche d'appartenenza siamo oggettivamente d'accordo con l'onorevole Damiano. Poiché questa categoria mi sta molto a cuore, conoscendola direttamente, vorrei sottolineare che spesso tra i lavori usuranti viene dimenticato quello dei marittimi, che viceversa affrontano un'attività molto complicata e usurante. Riteniamo comunque che l'illustrazione del Ministro


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sia interessante e debba dar luogo ad approfondimenti. Ci dichiariamo convinti che esistano la capacità e la volontà politica di trovare gli opportuni accorgimenti.
Concludo dicendo che alcuni temi dovrebbero costituire patrimonio collettivo di una nazione. Non è possibile che ogni Governo cambi una legge fondamentale, presupposto del patto sociale tra Stato e cittadini. Dovremmo fare un balzo in avanti di maturità per stringere un patto sociale e duraturo che garantisca ai nostri cittadini la capacità di scegliere senza preoccuparsi che con il cambio di Governo cambino anche le norme.

PRESIDENTE. Poiché manca un minuto, propongo di aggiornare la seduta.
Una possibilità è quella di riunirci martedì prossimo alle 10,30. Avremmo anche un lasso di tempo sufficiente per consentire al Ministro di replicare, mentre domani tratteremo il provvedimento con il sottosegretario Martone.
In alternativa, con l'impegno di tutti a contenere gli interventi, il Ministro è disponibile a tornare alle 18 per un'ora, fino alle 19. In linea di massima potremmo rivederci dalle 18 alle 19 e continuare martedì se ci sarà necessità.
Domani alle 11 si svolgerà la discussione sul decreto. Il relatore lo illustrerà e avvieremo le normali procedure. In quell'occasione i gruppi eserciteranno le loro funzioni e i loro ruoli. Oggi parliamo di indirizzi programmatici. Mi rendo conto che implichino un dibattito, come è naturale, ma è chiaro che chiudere oggi l'audizione con il Ministro sarebbe meglio.
Il gruppo dell'UdC, però, mi comunica di avere un altro impegno questa sera.

NEDO LORENZO POLI. Chiedo scusa, presidente. Domani mattina iniziamo la discussione, ma il testo del decreto a nostra disposizione è ancora quello provvisorio e abbiamo, quindi, necessità di approfondirlo.
Ci sono argomenti sui quali il Ministro non ha potuto rispondere per mancanza di tempo. Approfondiremo domani mattina iniziando la discussione col sottosegretario e martedì svolgeremo le conclusioni. Questa sera ognuno ha preso impegni diversi.

PRESIDENTE. C'è però la disponibilità del Ministro a tornare alle 18.
Per la parte residua potremo tranquillamente rinviare a martedì prossimo alle 10,30.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Vorrei sapere se, data la convocazione di domani alle 11, è stato trasmesso il decreto.

PRESIDENTE. Il decreto sta per essere assegnato. Come abbiamo sempre fatto in precedenza, se il decreto viene assegnato bisogna convocare la Commissione.
Siccome l'unica cosa certa è che il decreto arriverà in Aula martedì 13, se volete, sono pronto a convocare la Commissione anche l'8 dicembre. Il mio auspicio, invece, è che domani sia possibile svolgere la discussione sul decreto e, mi auguro, anche le conclusioni, altrimenti andremo a lunedì.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Come gruppo, siamo favorevoli a convocare la Commissione l'8 dicembre.
Non abbiamo nemmeno il testo definitivo del decreto.

PRESIDENTE. Tra poco vi sarà consegnato.
Considerato il suo intervento mi sembra già molto preparato, onorevole Fedriga. La Commissione si convocherà domani per l'esame del decreto!

MASSIMILIANO FEDRIGA. Per ora il testo non è ancora arrivato e vorrei avere il tempo di approfondirlo. Non basta certo un'ora.
Nell'occasione avanzo inoltre alla presidenza la richiesta di farsi portavoce con la Presidenza della Camera affinché, viste le misure importanti in materia di previdenza, il decreto venga assegnato in sede congiunta anche alla XI Commissione.


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CESARE DAMIANO. Ho perso il filo.
Separando, come dice il presidente, l'audizione del Ministro sugli indirizzi programmatici dall'approfondimento sull'intero decreto con il sottosegretario Martone, cosa impedisce di dare la possibilità ai vari esponenti dei gruppi di esporre le proprie opinioni al Ministro, che è disponibile a tornare, dalle 18 alle 19 di questa sera? Domani e martedì si procederà come previsto. L'UdC non è d'accordo? Non credo che l'onorevole Poli ponga un veto dal momento che avrà l'occasione di parlare martedì prossimo.
Direi che è una misura saggia, se il Ministro è d'accordo.

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Il Ministro non è né d'accordo né in disaccordo. Il Ministro ha dato la sua disponibilità.

PRESIDENTE. Allora sospendiamo. Riprenderemo l'audizione alle ore 18.

La seduta, sospesa alle 14,50, è ripresa alle 18.

PRESIDENTE. Riprendiamo l'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali sulle linee programmatiche del suo Dicastero per le parti di competenza.
Faccio presente che, secondo accordi intercorsi con lo stesso Ministro Fornero, alle ore 18,40 dovremo concludere l'audizione, il cui seguito avrà luogo martedì 13 dicembre alle ore 10,30. Pertanto, darò ora la parola ai colleghi iscritti, i cui interventi potranno essere svolti sino alle 18,25, concedendo, quindi, l'ultimo quarto d'ora dei nostri lavori di oggi alle prime repliche del Ministro.
Resta inteso che i colleghi che non potranno prendere la parola oggi potranno farlo martedì prossimo.

GIULIANO CAZZOLA. Cercherò di essere molto breve perché il tempo è prezioso per tutti. Voglio anch'io salutare il Ministro e rivolgerle il mio apprezzamento per il suo lavoro, la sua competenza e il linguaggio deciso e non opportunista con il quale ha aperto i lavori della nostra Commissione sul tema delicato della previdenza.
Spero di non dovermi mai trovare all'opposizione perché non sarei capace di svolgere un intervento come quello dell'onorevole Fedriga, al quale voglio ricordare che fino a meno di un mese fa faceva parte della maggioranza. Mi sembra, quindi, difficile imputare a questo Governo tutto ciò che gli ha imputato il collega, visto che la situazione in cui ci troviamo dipende anche dalle forze che hanno governato il Paese, pur in un contesto di crisi internazionale come quello che ci troviamo ad affrontare.
Anch'io ero nella maggioranza e apprezzo un governo che per molti aspetti continui la politica di quello precedente anche sul terreno delle pensioni, completando, se vuole la mia opinione, alcune cose che avremmo dovuto e potuto fare noi se la maggioranza nel suo insieme l'avesse consentito e riconfermando alcune norme introdotte dal Governo e dalla maggioranza precedenti, tenuto anche conto che sul versante delle pensioni i tre anni di legislatura trascorsi non sono stati buttati via, perché non sono mancati provvedimenti che hanno fatto bene al sistema.
Ho poche critiche da opporre alla manovra, per la verità. Credo che l'equità sia condizionata anche all'efficacia. Noi abbiamo varato manovre importanti che purtroppo non hanno avuto i risultati che vengono riconosciuti a quest'ultima riforma. Si potrà anche supporre che esista una congiura dei banchieri internazionali, una Spectre plutocratica del credito mondiale, ma bisogna riconoscere che lo spread è sceso di due punti. Le valutazioni possono essere tante perché sembra di stare su un tapis roulant ed è difficile capire se un Governo abbia meriti o demeriti. Tuttavia, lo spread è sceso, così come sono scesi di un punto e mezzo i tassi di interesse sui BTP.
Credo che il giudizio vero sulla manovra lo diano i mercati. Scusate se ragiono da vecchio liberista, ma io credo che l'equità di un manovra si commisuri alla


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sua efficacia e che i veri giudizi provengano dai mercati. I giornali che fanno i conti di quanto perdono i cittadini italiani in queste ore con questi provvedimenti dovrebbero mettere a confronto queste risorse di cui le famiglie sono private con l'ammontare di risparmio che è andato distrutto per colpa dei saliscendi dei mercati. A causa delle oscillazioni degli spread le future generazioni di italiani dovranno onorare, probabilmente per decenni, tassi di interesse sui BTP che hanno sfiorato l'8 per cento. Non sono eventi che finiscono nello spazio d'un mattino, durano anni. I danni che le famiglie italiane hanno già subito andrebbero, quindi, confrontati con quelli che produrrà questa manovra.
Avendo la fortuna di avere qui il Ministro, vorrei fare un paio di sottolineature. La prima riguarda la rivalutazione. La rivalutazione è ciò che fa meno politica. Il Ministro è stato franco e ha sempre detto che la rivalutazione è un problema di cassa. Nessuna misura apporterà entrate per il 2012 a eccezione della rivalutazione. Se si trovassero altri strumenti compensativi, sempre all'interno del sistema pensionistico, il Governo ascolterebbe?
Io faccio due proposte. La prima è intervenire di più sulle «pensioni d'oro» o più elevate rispetto a quanto è già stato fatto in passato con il contributo di solidarietà. La seconda è valutare la possibilità di introdurre un contributo di solidarietà, con criteri di equità, anche per le cosiddette baby pensioni, cioè per le persone che sono andate in pensione con un'età ridottissima e con un'anzianità contributiva ancora più ridotta. Probabilmente si potrebbero ottenere compensazioni in grado di innalzare lo scalino dei 968 euro.
Inoltre, a mio parere dovremmo prendere in considerazione i casi particolari e i soggetti deboli, che sono gli stessi che ci scrivono e ci inviano e-mail. Il comma 1 dell'articolo 24 stabilisce che chi ha maturato i requisiti nel 2011 li mantiene. C'è solo una clausola di salvaguardia in base alla quale non si può percepire più di quanto si faceva prima. Ad ogni modo, per chi ha maturato il diritto al pensionamento e lo fa certificare le regole previgenti rimangono valide.

MARIALUISA GNECCHI. Comprese le quote!

GIULIANO CAZZOLA. Questo non lo so, ci risponderà il Ministro. Credo però che, se valgono le regole vigenti, debbano valere tutte. Di conseguenza, chi ha maturato i requisiti con quelle regole nel 2011 li conserverà. A mio modo di vedere, ciò significa che i requisiti restano validi anche se è in corso l'anno di finestra, perché questo non dovrebbe far venire meno la regola. Molte persone si sono spaventate per nulla. Se spiegheremo loro come stanno le cose, si tranquillizzeranno.
Come ha già notato l'onorevole Damiano, occorre tenere conto che, diversamente da altre volte, coloro che sono in prosecuzione volontaria sono salvi. Non è una cosa da poco. Come ricorderete, ci siamo dati da fare perché fosse previsto anche nelle precedenti riforme, ma non è stato possibile. Probabilmente ci possono essere casi particolari, come ad esempio persone disoccupate, che andranno meglio tutelate e per le quali si potrà cercare di ampliare il discorso della tutela. Ma è anche vero che 50.000 lavoratori sono cinque volte i 10.000 previsti dalla legge n. 122.
Come sa benissimo il collega Damiano, che è stato Ministro del lavoro prima della professoressa Fornero, è difficile quantificare una spesa senza indicare una cifra. Damiano ne era consapevole, tanto che, quando si è trattato dei lavori usuranti, ha posto la soglia di 5.000. Al di sopra di quella cifra, si slittava all'anno dopo. Mi pare che da questo punto di vista il giudizio non possa essere che positivo, tenuto conto, peraltro, che una data di validità per gli accordi di mobilità deve per forza essere individuata.
È una questione che va comunque ripetuta perché altrimenti correremmo il rischio di favorire la complicità fra datore di lavoro e lavoratori. Basterebbe, infatti, mettere in mobilità e cambiare i requisiti


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delle pensioni. In una situazione in cui i requisiti cambiano mi pare assolutamente giusto fissare un limite ragionevole. Il termine del 30 ottobre deve essere cambiato perché i lavoratori di Termini Imerese resterebbero fuori e credo la professoressa Fornero si renda conto della portata di questa eventualità.
Sono molto curioso di sentire cosa ne dice il Ministro.

PRESIDENTE. Colleghi, siamo tutti curiosi di sapere cosa dirà il Ministro, ma vi vorrei ricordare che questo tipo di incontro, al di là delle valutazioni politiche che andrebbero poste in maniera sintetica, presuppone la possibilità di porre delle domande.
Altrimenti, rischiamo di sprecare l'occasione.

NEDO LORENZO POLI. Ringrazio il Ministro e le rivolgo un in bocca al lupo per il lavoro che si appresta a fare in un momento così difficile.
Il Ministro ci ha esposto il programma della manovra economica e ha parlato delle riforme, collegate a quella previdenziale, che intende compiere. Questa era certamente di una tale urgenza che non si poteva rinviare e infatti è stata formulata in diciassette giorni.
In Italia abbiamo avuto, nell'ordine, la riforma Amato nel 1992, la riforma Dini nel 1995, la riforma Prodi nel 1997, la riforma Maroni nel 2004, la riforma Prodi-Damiano nel 2007, la riforma Sacconi-Brunetta nel 2009 e la riforma Tremonti nel 2010. Questo problema prima o poi doveva essere affrontato perché la situazione è emergenziale. Quello che la politica non ha fatto in venticinque anni di parole e di mezze riforme iniziate e non concluse ci ha portato a questo punto.
Tutte le valutazioni e le riflessioni sono giuste. Nessuno può non volere che il blocco della rivalutazione salvaguardi perlomeno i tre livelli di trattamento minimo della pensione. Sono riflessioni che il Ministro Fornero farà nei pochi giorni che rimangono prima dell'approvazione in Aula del provvedimento.
Per quanto riguarda le categorie in mobilità e quelle che versano contributi volontari, soggetti che abbiamo sempre cercato di tutelare, mi sembra che, anche in base al ragionamento del collega Cazzola, la copertura sia sufficiente, sebbene non sia del cento per cento. Si tratta di situazioni di emergenza che dobbiamo sempre valutare qualora qualcuno rimanesse scoperto. Avremmo tutti preferito che i tagli fossero operati in altri settori, in cui magari si sperpera denaro pubblico, ma fino a oggi in questo Paese non siamo stati costretti a fare riforme strutturali.
Il problema della rivalutazione, come ha detto il Ministro, è un problema di cassa. Se in queste ore e in questi giorni emergessero altre soluzioni, ben venga. Siamo tutti consapevoli che per chi percepisce una pensione di 946 euro non è piacevole perdere quell'aumento di 20-30 euro, che non compensa nemmeno totalmente il potere d'acquisto delle pensioni.
Ho apprezzato la presentazione di questo provvedimento drastico da parte del Ministro, la quale non si trovava in una posizione di forza perché sapeva di scontentare molte persone. Credo che in un momento così difficile tutti noi dobbiamo assumerci questa responsabilità. Se troveremo soluzioni alternative, saremo contenti tutti.
Non c'è più tempo né per i supplementari né per i rigori.

GIULIO SANTAGATA. Ringrazio il Ministro. Sono sostanzialmente d'accordo con l'impianto completo che ci ha presentato oggi. Devo però segnalare che i due tempi dell'impianto sono problematici. Esaminando la relazione tecnica che accompagna il provvedimento, forse esiste qualche opportunità per modificare o ridurre questo livello di problematicità.
La relazione tecnica ci informa che al 2020 l'insieme dei provvedimenti equivarrà a 22 miliardi abbondanti e che, apprezzabilmente, in questa manovra non ci sono misure una tantum, nemmeno la deindicizzazione dei trattamenti, che fin da subito viene riportata per tutta la vita pensionistica di chi la subisce. Raggiunti i


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4 miliardi 930 milioni di euro, li porteremo con noi almeno fino al 2021, anno in cui la relazione smette di conteggiare e in cui si registra di nuovo una flessione dell'effetto perché entrano a regime diversi interventi.
Stiamo parlando di dimensioni economico-finanziarie di assoluto rilievo. Non si tratta di una manovra da 5 o 6 miliardi, come può sembrare a prima vista. Se ne cumuliamo gli effetti nei prossimi sette o otto anni, vale 150 miliardi. È questa la dimensione dell'operazione. Cambia significativamente il rapporto fra sistema previdenziale e PIL.
Mi chiedo allora perché non provare a rendere più digeribile la pillola a quella fascia di cittadini che rimane intrappolata fra la fase attuale e l'entrata a regime. Non aggiungo nulla alle proposte già fatte, ma mi sembra possibile, anche dal punto di vista dell'impatto di quanto rimane da finanziare nel nostro bilancio, allungare di qualche anno il raggiungimento dell'obiettivo finale al 2018. Credo che questo non cambierebbe né la natura strutturale né i conti della manovra.
Come altri hanno già detto, forse si può addolcire la questione del collegamento all'inflazione. Il Ministro sa bene che tutti i nostri documenti di contabilità si basano su un'inflazione programmata all'1,8 per cento, mentre l'ISTAT ci dice che viaggiamo già al di sopra del 3 per cento. L'annuncio per settembre di due punti di aumento dell'IVA non ha certo mitigato il problema.
Credo inoltre che ci siano i margini economici per annullare le penalizzazioni di chi sceglie di andare in pensione prima del tempo e/o per addolcire lo scalone, soprattutto per le donne del pubblico impiego, che si sono ritrovate cinque anni in più in un colpo solo. Adesso dovranno arrivare a 66 anni come le altre lavoratrici, ma quei tre anni rappresentano un salto significativo. È l'equivalente dello scalone Maroni di cui tanto il Paese si preoccupò.
Chiudo con una domanda, sperando di essere stato sufficientemente chiaro. La relazione tecnica segnala che l'unificazione del polo previdenziale Inpdap-Enpals varrà 20 milioni di euro il primo anno e 300 milioni a regime. Io me ne ero occupato ai tempi del Governo Prodi insieme al Ministro Damiano. Con la Ragioneria avevamo valutato quell'unificazione in 3,5 miliardi di impatti. Credo che questa valutazione vada approfondita. È vero che una parte degli effetti è già stata incamerata da altre manovre, ma mi sembra che 20 milioni sia una valutazione decisamente non attendibile.
Potrebbe essere uno degli elementi utili a reperire qualche risorsa interna al sistema per migliorare alcune previsioni.

GABRIELLA GIAMMANCO. Grazie, Ministro, per essere ritornata tra noi ad ascoltare le nostre proposte e le nostre domande.
Sarò breve per lasciarle la parola ma, dal momento che il Governo ha chiesto tanti sacrifici a tutti, nessuno escluso, nemmeno i ceti più deboli e svantaggiati del nostro Paese, e dal momento che anche lei ha più volte ritenuto dolorosa la scelta di non indicizzare per i prossimi due anni le pensioni, ivi comprese quelle medio-basse di cui abbiamo discusso poc'anzi, le pongo una domanda che vuole essere anche una proposta. Spero che lei mi possa rispondere.
Le domando se non sia il caso di chiedere alla Chiesa un gesto di solidarietà in questo momento difficile in cui tutti siamo chiamati a contribuire al risanamento dei conti pubblici e a salvare l'Italia dal default. Perché non chiedere alla Chiesa di contribuire per questi due anni con il pagamento dell'ICI sugli immobili utilizzati per fini commerciali e non per il culto religioso?
Si tratta di immobili spesso in concorrenza diretta con quelli dei privati, che al fisco non si possono sottrarre in alcun modo. Perché non chiedere anche alla Chiesa un piccolo gesto di solidarietà nel momento in cui lo si chiede a tutti? Le entrate recuperate con il pagamento dell'ICI potrebbero essere dirottate a coprire l'indicizzazione delle pensioni più basse.


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Mi auguro, Ministro, che mi possa rispondere in tal senso (Commenti del deputato Bobba).

MARIALUISA GNECCHI. Potrebbe chiarire, Ministro, anche la questione delle quote?

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro per la replica.

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Grazie per questi vostri contributi e per una vicinanza che, in misura maggiore o minore, ho comunque sentito.
Premetto che io sono ministro di un Governo tecnico. Non ho appartenenze politiche e quindi nel dare le risposte non mi riferirò a una parte politica, ma al fatto di comporre un Governo tecnico. Le risposte di Elsa Fornero corrispondono comunque alle mie preferenze. È vero che abbiamo varato questo provvedimento importante, ma non abbiamo considerato tutto l'universo e condiviso un unico percorso.
Per quanto riguarda la deindicizzazione, questione che tutti voi avete toccato, ho già detto che non considero questo provvedimento parte della riforma pensionistica. È un provvedimento da emergenza finanziaria. Io personalmente sarei molto felice di ritoccarlo e vi posso assicurare che mi sono impegnata a trovare risparmi che possano rendere più blanda la severità della riforma. Se lavoreremo insieme - non so se questo sia corretto o scorretto sul piano istituzionale - dal punto di vista del contenuto per trovare una soluzione, sarò felicissima, come immagino lo sarete voi.
Le iniziative che ha suggerito in particolare l'onorevole Cazzola mi troverebbero d'accordo, ma temo purtroppo che non diano gettito. Il dramma è che i grandi numeri, anche presi per piccole cifre, producono un abbondante gettito. Poche persone danno sempre gettiti modesti. Tuttavia, sono pienamente disponibile a venire incontro a ogni suggerimento che, fermi restando i saldi, sui quali non si può tornare, risolvano questo problema, che vi assicuro è anche un mio problema. È più difficile trovare risorse per allentare la severità degli altri provvedimenti.
Mi devo riagganciare a quanto ho detto in premessa oggi. Noi non siamo e non abbiamo realizzato questo intervento in condizioni di normalità. Le condizioni erano davvero di emergenza finanziaria. È vero che le misure «salva Italia» sono pesanti, ma non possiamo tornare indietro perché, se le allentassimo, i guadagni di credibilità che sono stati conseguiti anche sui mercati finanziari sono e sarebbero immediatamente a rischio. Sono due condizioni che questo Governo deve rispettare. È su queste basi che il Governo è nato.
Non è piacevole fare solo il Ministro dei tagli, non lo è per niente. Non ci fa piacere introdurre scaloni di questo tipo. È vero che sono scomparse le quote, ma la misura doveva essere severa e drastica, e così è. La totalizzazione può sembrare un piccolo aspetto, ma non lo è quando si va verso il metodo contributivo, nel quale nessuno può permettersi di perdere nemmeno un euro. Sembrava il minimo da fare.
L'altro grande tema è quello dei lavoratori in mobilità. La nostra preoccupazione, la mia personale, il mio personale impegno è che nessuno resti senza uno stipendio o una retribuzione e senza una pensione. Se scontiamo una recessione, le cose si appesantiscono. Sono 50.000 le persone che abbiamo incluso. Probabilmente faremo una rettifica anche per tener conto di coloro che non rientrano nel termine. Quelli che sono già dentro non perderanno niente, per gli altri sposteremo la data in modo che possano rientrarvi.
In futuro, come ho detto, questo numero non dovrà allargarsi. Un aspetto che forse voi non avete sufficientemente considerato è che queste misure sono molto severe per le imprese. Con queste misure vogliamo anche togliere alle imprese l'alibi di scaricare inefficienze sui lavoratori relativamente anziani attraverso programmi di prepensionamento vario.


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Le imprese devono sapere, e lo dirò con chiarezza, che anche per loro sono previsti degli oneri. Dovranno riorganizzarsi e cambiare mentalità. Se tutti devono pensare di dover lavorare di più, le imprese devono smettere di pensare di poter scaricare lavoratori ancora giovani su programmi di pseudo ammortizzatori sociali per ricostituire i propri conti. Dovranno, quindi, cercare altre strade per essere competitive.
Con riferimento ai requisiti maturati, non si prevede nessun blocco delle pensioni. Coloro che hanno maturato i requisiti possono uscire.

GIULIANO CAZZOLA. Comprese le quote?

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Sì. Non stiamo bloccando chi è in finestra. Tutti coloro che nel 2011 hanno maturato i requisiti potranno andare in pensione nel 2012. È per questo che dalla riforma non entrerà neanche un euro nel 2012 ed è anche questo un motivo per cui abbiamo dovuto adottare l'altro provvedimento.
Direi di poter confermare che chi è in prosecuzione volontaria si salverà, così come sono salvi gli accordi di mobilità. Francamente devo dire che per ragioni di equità avevo pensato a contributi di solidarietà, anche duri, sulle pensioni alte, ma la cosa non è andata avanti. L'idea di recuperare anche le baby pensioni personalmente non mi trova affatto contraria.
Abbiamo avuto tempi molto piccoli e vincoli molto grandi. Forse potranno arrivare altre idee, ma gli aggiustamenti devono avvenire all'interno di questi saldi. Voglio richiamare il fatto che, se tocchiamo i saldi, salta tutto. La responsabilità sarebbe grave. Il messaggio che ricevevamo i primi giorni era di costante aggravamento della situazione. Se le cose miglioreranno, potremo anche recuperare, ma dobbiamo puntare su questo.
Mentre su altri aspetti vi ho riferito mie preferenze personali e non quelle di un partito di appartenenza, credo di poter dire a nome del Governo che i saldi sono intoccabili e sono pesanti. Aggiungo anche di aver chiesto con forza che un ammontare adeguato di quei risparmi fosse destinato agli ammortizzatori sociali. Mi è stato risposto che nessuno può ipotecare risorse. A mia volta ho risposto di considerare un gentlemen agreement - o un gentlewomen agreement - la promessa che le risorse per una riforma seria degli ammortizzatori sociali si troveranno. La risposta è stata sì. Dobbiamo avere fiducia.
Di categorie che andranno in pensione col retributivo ne esistono ancora. Già oggi ho ringraziato i Presidenti delle Camere per la loro sensibilità. Credo che la loro decisione sia molto importante perché mette «in mora» tutte le altre istituzioni, come Corte costituzionale, Banca d'Italia o Presidenza della Repubblica, che ancora si avvalgono del retributivo, mentre le casse dei professionisti le metteremo in mora noi. Credo che Banca d'Italia, dopo l'iniziativa dei due Presidenti, si muoverà. Vedrò il Governatore martedì.
Sulla Presidenza della Repubblica non so rispondere, ma sono sicura che questo è un tema al quale il Presidente Napolitano attribuisce molta importanza.

GIULIANO CAZZOLA. C'è anche il personale della Camera dei deputati.

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Penso che rientri nell'ambito dell'autonomia del Parlamento (io me lo auguro). Credo che il segnale che è venuto dai due Presidenti sia stato molto importante perché gli altri non si potranno tirare indietro. La pressione morale sarà fortissima. Quando si può, si interviene, quando non si può si sollecita. Di più non si può fare.
Quanto all'ICI sugli immobili di proprietà della Chiesa, potrei riferire la mia preferenza personale, ma non è un tema del quale si sia parlato in Consiglio dei Ministri.
Non ho, quindi, una risposta del Governo da fornirvi.

GABRIELLA GIAMMANCO. Vista la difficoltà di reperire risorse sarebbe importante.


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LUIGI BOBBA. Il presupposto è erroneo!

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Farò presente di aver ricevuto anche questa richiesta da parte di una deputata membro della Commissione lavoro della Camera. Dopo di che il Presidente farà le sue considerazioni.
Per quanto riguarda il documento a firma di Tremonti e Berlusconi di cui mi chiedeva l'onorevole Damiano, io non ho avuto modo di vederlo, quindi non posso dire che quei risparmi siano sovrastimati. Mi riprometto di esaminarlo.

CESARE DAMIANO. Le avevo anche chiesto che cosa capita a un lavoratore che percepisce 961 euro di pensione lorda. È indicizzato per 960 e perde un euro o perde tutto? E che succede ai lavori usuranti?

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per adesso i lavori usuranti restano fermi perché la norma è stata appena approvata e non vi sono adeguamenti che attualmente li riguardino.

TERESA BELLANOVA. Con un'età anagrafica ridotta di tre anni e una somma di età anagrafica e anzianità contributiva ridotta di tre anni...

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Mi preparerò e martedì vi darò risposte precise su questa e sulle altre questioni in sospeso.
Avevo inteso che i lavori usuranti non fossero toccati.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Fornero e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 18,45.

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