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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione XI
11.
Martedì 13 dicembre 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Moffa Silvano, Presidente ... 3

Seguito dell'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, sulle linee programmatiche del Dicastero per le parti di competenza (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Moffa Silvano, Presidente ... 3 6 10 16 17 20
Bellanova Teresa (PD) ... 15
Berretta Giuseppe (PD) ... 11
Bobba Luigi (PD) ... 6
Boccuzzi Antonio (PD) ... 13
Cazzola Giuliano ... 20
Codurelli Lucia (PD) ... 12
Fedriga Massimiliano (LNP) ... 3 17
Fornero Elsa, Ministro del lavoro e delle politiche sociali ... 6 17 18 20
Foti Antonino (PdL) ... 8
Gatti Maria Grazia (PD) ... 19
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 4 5
Lenzi Donata (PD) ... 13
Madia Maria Anna (PD) ... 16
Meloni Giorgia (PdL) ... 14
Mosca Alessia Maria (PD) ... 11
Pelino Paola (PdL) ... 16
Scandroglio Michele (PdL) ... 15
Schirru Amalia (PD) ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia (Grande Sud): Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI.

COMMISSIONE XI
LAVORO PUBBLICO E PRIVATO

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 13 dicembre 2011


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SILVANO MOFFA

La seduta comincia alle 10,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, sulle linee programmatiche del Dicastero per le parti di competenza.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, il seguito dell'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, sulle linee programmatiche del Dicastero per le parti di competenza.
Secondo gli accordi intercorsi, la presidenza darà subito la parola ai colleghi che si erano già iscritti entro il termine della precedente seduta, prima che il ministro replicasse rispetto alle questioni preliminari poste lo scorso martedì 6 dicembre. Al termine degli interventi, inclusi quelli di eventuali colleghi che intendessero aggiungersi oggi, sarà, quindi, possibile procedere alla replica conclusiva del Ministro Fornero.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Spendo trenta secondi solamente per precisare che noi siamo in audizione in Commissione lavoro con il Ministro Foriero, Ma io sto seguendo i lavori anche in Commissione bilancio e posso affermare che dalle otto e mezza di ieri sera stiamo aspettando gli emendamenti del Governo sulla questione pensioni: non sta arrivando nulla.
Prendiamo, dunque, atto che dobbiamo, anche in Commissione bilancio, accedere alle notizie dalle dichiarazioni del Governo tramite le ANSA e i giornali oppure dalle audizioni in altre Commissioni e non in quelle referenti. Ne prendiamo atto.
Ricordo ai colleghi che i lavori in Commissione bilancio sono bloccati e che non si sa nulla, se non dalle dichiarazioni estemporanee rilasciate sui mezzi di stampa. Non c'è alcun atto formale presentato alle Commissioni referenti e penso che ciò rappresenti, malgrado l'impegno che tutti i membri del Governo profondono, un'indicazione di poco rispetto verso il Parlamento. Si continua, infatti, a parlare in altre sedi rispetto a quella referente, ovvero a quella sostanziale che coinvolge direttamente i lavoratori.
Per questo motivo - mi scuserò poi della mia assenza - vorrei tornare in Commissione bilancio a seguire i lavori sulle questioni concrete che interessano i lavoratori.

PRESIDENTE. Onorevole Fedriga, per una correttezza di rapporti, ai quali io credo che tutti teniamo, tra Parlamento e Governo, ho il dovere di informarla che lo stesso Ministro mi ha comunicato di aver inviato ieri sera le determinazioni del suo dicastero al Ministro per i rapporti con il


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Parlamento sulla materia specifica che riguarda il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Non so che cosa lei intenda, lo lascio giudicare a ognuno di voi liberamente. A me premeva sottolineare, nella qualità di presidente della Commissione, per un senso di correttezza nei confronti del Ministro, che il Ministro stesso poco fa mi ha riferito di aver inviato nella serata di ieri le determinazioni del Ministero al Ministro per i rapporti col Parlamento, avendo, quindi, svolto correttamente la sua funzione. Lascio poi il giudizio a ognuno liberamente.
Procediamo con l'audizione. Sono iscritti a parlare dieci deputati.

MARIALUISA GNECCHI. Io cercherò di lasciare lo spazio anche ad altri, perché ci interessa avere alcune risposte. Mi auguro che ciò che noi riferiremo alla Ministra questa mattina sia comunque utile o interessante per poter effettuare almeno alcune modifiche o correzioni e che, da questo punto di vista, anche il collega Fedriga possa avere fiducia nel fatto che un rapporto diretto del Ministro con la Commissione lavoro - che, per quanto riguarda le pensioni e il lavoro, è la Commissione di merito - possa essere realmente utile.
Io scinderò il mio discorso cercando di procedere per titoli, perché do ormai per scontato che la Ministra abbia capito quali sono i nodi rispetto al decreto. Lo articolerò, dunque, dividendolo innanzitutto in un macrotema, che chiamerò errori, con riferimento a quelli che secondo noi sono errori.
In termini di errori, ne pongo uno del precedente Governo, ossia l'aver reso tutte le ricongiunzioni onerose anche verso l'INPS. Credo di non doverlo spiegare, perché penso che il problema sia noto, ma rilevo che già il precedente Governo si era reso conto di aver commesso un errore e di aver pensato la ricongiunzione onerosa solo per impedire alle donne del pubblico impiego di trasferire gratuitamente i propri contributi all'INPS e di andare in pensione a 60 anni (senza dover prevedere un innalzamento dell'età). Ciò ha ovviamente messo nei guai tutti i lavoratori che hanno maturato periodi di lavoro presso diversi fondi. Le macrocategorie includono i lavoratori elettrici, i telefonici e via elencando. Questo è un errore che noi chiediamo di risolvere, perché il precedente Governo lo aveva già riconosciuto come tale.
A proposito di donne del pubblico impiego, passo ora a ciò che noi riteniamo possa essere un calcolo sbagliato. Poiché lo metto nella categoria degli errori, osservo che potrebbe essere un errore anche rispetto a questo decreto, questa volta con riferimento alle donne del privato.
Noi abbiamo provato, sulla base di quanto dispone il comma che prevede l'innalzamento dell'età della pensione di vecchiaia per le donne, a eseguire tutti i calcoli possibili e immaginabili per cercare di capire se ci fosse veramente questa realtà in tale disposizione. Abbiamo poi visto anche la proposta di CGIL, CISL e UIL, le quali chiedono che, anziché 62 anni, gli anni siano 61 e 6 mesi per il 2012. Pur continuando ad eseguire tutti i possibili calcoli, ci siamo accorti che, se una donna compie i 60 anni nel secondo semestre del 2012, va in pensione nel 2017 o nel 2018, perché occorre sommare anche l'aspettativa di vita, mentre, se li compie nel primo semestre, può andare in pensione nel 2015.
Ci sembra una situazione veramente strana. Andando a rivedere anche i calcoli eseguiti nella relazione accompagnatoria del decreto, ci rendiamo conto che una gradualità era stata, in effetti, pensata. Chiediamo che si rifacciano i calcoli valutando nella pratica la posizione di una donna che compie i fatidici 60 anni.
Peraltro, ormai abbiamo visto che anche tutti i giornali riportano quest'anno anagrafico, il 1952, come un anno particolarmente sfortunato. Io affermo in modo molto chiaro che potrebbe vincere l'Oscar della sfortuna una donna nata nel 1952, che sia entrata a 23-24 anni nel pubblico impiego e non abbia riscattato il periodo di laurea, la quale, se non ha utilizzato la finestra del 2007, si ritroverà a dover


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lavorare fino ai 66 anni oppure ai 41 anni come pensione di anzianità. Non è detto, però, che ciò non avvenga sia in contemporanea con i 66 anni.
Sulle donne noi chiediamo alla Ministra di riflettere realmente riguardando le tabelline, perché pensiamo e vogliamo pensare che forse ci sia stato un errore di calcolo. Ci fidiamo della relazione, che indica che esiste la volontà di creare una gradualità e, quindi, vogliamo porre questo come un problema reale.
Questi sono i temi che noi poniamo in termini di errori. Siamo disponibili a discutere sui risparmi e sulla riforma, però è chiaro che il tempo è quello che è. Vorrei allora porre un'altra questione, che per noi è veramente fondamentale, che riguarda la differenza tra chi lavora e ha il lavoro, ovvero tra la persona alla quale si può richiedere di lavorare un anno o due anni in più e la persona che non ha il lavoro e che l'ha perso.
Sappiamo che, in questo secondo caso, esistono le deroghe già giustamente previste, che condividiamo fortemente, come anche l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria, che non eravamo riusciti a ottenere dal Governo precedente per la manovra del luglio 2010. Siamo, però, altrettanto convinti che non sia giusto porre solo le deroghe che sono state previste, perché riteniamo, in particolare, che non sia opportuno cancellare automaticamente tutte le quote. Ricordiamo che la quota del 2011 è la quota 96 coi 60 anni minimi e che nel 2012 sarebbe stata ancora 96 coi 60 anni di età anagrafica minima.
Abbiamo capito benissimo che il problema sta nel tenere conto di quanto si vive con la pensione di anzianità. L'abbiamo capito e lo abbiamo anche condiviso in tante situazioni, però non è assolutamente spiegabile alla gente un'altra questione. Dal 1992 a oggi noi siamo abituati a spiegare alle persone che cosa significano in termini pratici le riforme e non riusciamo assolutamente a trovare argomentazioni per poter giustificare che chi pensava di arrivare alla quota 96 compiendo i 60 anni a gennaio, febbraio o marzo del 2012 debba, invece, aspettare sei anni per arrivare o ai 42 anni di contributi o ai 66 anni di età.
Poniamo il tema anche per sottolineare che, nonostante nelle schede di lettura vediamo che per il pensionamento anticipato con requisito anagrafico 35-36 anni di contributi, con gli effetti della relativa soppressione e le cosiddette quote, sia previsto un risparmio per il 2013 di 315 milioni e per il 2014 di 750 milioni, vi chiediamo comunque di tenere conto del fatto che la quota 96 è attesa da gente che è senza lavoro, che è senza ammortizzatori sociali, che ha stipulato un accordo con il proprio datore di lavoro, anche a livello individuale, perché vicino alla pensione, pensando di ricevere la pensione in un periodo di crisi come questo.
Come legislatori, stiamo decidendo di lasciare queste persone senza nulla nella maniera più assoluta. Sono le persone non protette in alcuna maniera e ciò vale per le donne per la pensione di vecchiaia e per gli uomini per la pensione di anzianità. Sappiamo, infatti, e i dati continuano a indicarcelo, che la pensione di anzianità riguarda per una pensione su quattro le donne, mentre la pensioni di vecchiaia riguarda per una su quattro gli uomini e per tre le donne.
Il combinato disposto dell'innalzare in quel modo l'età per la pensione di vecchiaia per le donne e di eliminare le quote crea certamente equità, ma nella sfortuna, tra uomini e donne senza quote e senza pensione di vecchiaia.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIANO CAZZOLA

MARIALUISA GNECCHI. Su questo punto chiediamo che si rifletta, anche perché, se il risparmio deve essere di un miliardo in due anni, noi siamo assolutamente convinti che si possa trovare questo miliardo altrove.
Abbiamo anche fatto di tutto e di più rispetto alle possibilità di ricerca di finanziamenti vari e sottolineiamo che abbiamo capito lo spirito con il quale si è individuato il contributo di solidarietà sui fondi


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elettrici, volo e postelegrafonici, perché sono comunque i fondi che in questi anni hanno goduto di regimi più favorevoli. La Ministra l'ha precisato in una conferenza stampa, invitando anche i giornalisti a pensare al loro INPGI.
Condividiamo anche questo. Possiamo condividere il concetto legato al contributo di solidarietà richiesto in termini generali a coloro che hanno avuto la pensione calcolata con il retributivo e anche ai lavoratori attivi, perché comunque hanno fondi più favorevoli. Condividiamo tutto ciò, però, poiché ci sono comunque 563 mila pensioni sopra i 3 mila euro, noi vi chiediamo di non lasciare senza nulla alcuni lavoratori e lavoratrici e di andare a vedere e a discutere dove individuare un altro contributo di solidarietà.
Noi individuiamo, dunque, due macrotemi. Uno è quello degli errori e uno è quello della differenza tra chi lavora e chi non lavora. Su chi lavora siamo disponibili a confrontarci, ma su chi non lavora vi chiediamo di non metterci nella condizione di avere problemi a votare la manovra.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SILVANO MOFFA

PRESIDENTE. Colleghi, debbo darvi una comunicazione che probabilmente non vi farà piacere, ma di cui comunque dovremmo prendere atto, anche alla luce delle considerazioni finali che ha cortesemente posto al Ministro l'onorevole Gnecchi.
Noi ci troviamo in una situazione molto particolare, in cui è in corso la seduta congiunta delle Commissioni bilancio e finanze, volta proprio ad esaminare i risvolti finanziari di quanto viene proposto da molti deputati, ivi compresi quelli che sono intervenuti la volta precedente. Si rende necessaria e urgente la presenza del Ministro in seno a tale Commissione, se vogliamo rendere concreto il nostro lavoro.
Credo che, in questo momento, sia più opportuno, nell'interesse del rapporto tra Parlamento e Governo, ma anche della spendibilità delle richieste che sono state avanzate e portate all'attenzione del Ministro, sospendere i nostri lavori e consentire al Ministro di recarsi nella sede deputata per affrontare i temi della manovra.
Dopodiché, con tutta calma, noi possiamo riaggiornarci e riprendere i nostri lavori, ritornando sulle questioni di merito, che indubbiamente saranno più chiare nel momento in cui sapremo con esattezza come il Governo si sta muovendo.
Ringrazio, dunque, il Ministro della sua cortese disponibilità, ma credo sia opportuno sospendere la seduta. Possiamo eventualmente passare all'esame dei successivi punti all'ordine del giorno della Commissione, verificando se riprendere l'audizione del Ministro al termine dell'ordine del giorno.

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Ho imparato che bisogna essere disponibili e, quindi, sono disponibile a tornare per completare lo svolgimento dell'audizione. Vi ringrazio della pazienza, ringrazio il presidente e mi reco presso le altre Commissioni.

PRESIDENTE. Sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 11, è ripresa alle 11,40.

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori. Ringrazio il Ministro per la rinnovata disponibilità, anche perché non ha alcuna responsabilità per la sospensione precedente, determinata da taluni disguidi.
Signor Ministro, riprenderei l'audizione, avvertendo i colleghi che termineremo alle 12,45 per darle modo di assolvere agli altri impegni programmati per la giornata di oggi.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, raccomandando loro la sintesi per rendere proficua la nostra giornata.

LUIGI BOBBA. Mi limiterò a una battuta iniziale, in questo clima un po' confuso


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con cui si svolge l'audizione, e a tre telegrammi, in modo da stare nei cinque minuti.
La battuta iniziale è che la Ministra ha opportunamente ricordato come questa riforma porti il sistema a regime. Sicuramente l'adozione del sistema contributivo in forma generalizzata è una riforma attesa da molto tempo e che forse troppo tardi si rinnova.
Ha parlato, però, anche di tre questioni sulle quali voglio soffermarmi. Affronto la prima con una battuta, avendo una moglie del 1952, nata perfino nel secondo semestre, con tutte le altre conseguenze del caso che prima lei ha annunciato. È nel pubblico impiego, però, e forse si salva.
Il Ministro Fornero ha parlato opportunamente di shock di vita. In effetti, i signori e signore nati tra il 1952 e il 1957 alla fine si trovano sul «groppone» tre penalizzazioni: quella del 2 per cento, l'aumento dell'età anagrafica e l'aumento degli anni di contribuzione. Forse ancor più che il danno che riguarda i lavoratori che si trovano in una situazione di precarietà e di incertezza ciò che capita a questi signori è come l'arrivo di un TIR.
Credo che sia questo il problema, pur dentro un principio giusto in termini generali: si pone un tema di tempistica e modalità, non avendo previsto una gradualità proprio per quelle classi che tendono a pagare nell'immediato uno shock di vita eccessivo, a mio avviso. Credo che in tale ambito bisognerebbe intervenire e spero che nell'emendamento consegnato nella notte figuri un elemento di questo genere.
Il secondo telegramma riguarda le donne. Giustamente il Ministro ha detto basta alle compensazioni, però è anche vero che questo principio è giusto in astratto, ma nella realtà vale il vecchio principio che a far parti uguali fra diseguali si generano nuove diseguaglianze o le si confermano. Avendo avuto le donne, come è noto, carriere lavorative discontinue o comunque raggiungendo meno facilmente l'età di contribuzione necessaria per la pensione anticipata, si trovano a subire anch'esse una penalizzazione eccessiva.
Mi domando perché, pur all'interno del principio di equità generale e dentro un meccanismo che non consente di accedere alle compensazioni, almeno nel periodo di transizione non si possano trovare forme che evitino l'eccesso di carico che viene posto a carico delle donne. Io credo che l'adozione di sistemi come quello tedesco della contribuzione figurativa per ogni figlio potrebbe essere il modo per lo meno di affrontare questa questione, avendo le donne dedicato probabilmente diversi loro anni a un'attività di cura familiare, anziché a una carriera lavorativa.
Vengo all'ultimo punto. È vero che l'«equalizzazione» della situazione delle pensioni, che non può essere più un sistema di rendita differita, ha bisogno di un mercato del lavoro che funzioni bene, ma, anche in questo caso, considerando che questo mercato del lavoro non funziona benissimo, per usare un eufemismo, l'adozione di meccanismi di transizione sarebbe stato il modo di evitare che le persone si trovassero il cambiamento effettuato con un mercato del lavoro che resta quello di prima. Anche questo mi sembra un elemento di penalizzazione che crea ingiustizie e diseguaglianze.
In conclusione, vanno bene i princìpi, ma le forme applicative dovrebbero tener conto di questa molteplicità di situazioni, in modo da evitare che il carico del cambiamento sia concentrato su un numero di soggetti che pagano un prezzo eccessivamente pesante o comunque molto difforme rispetto agli altri. Non credo che questo sia un principio che corrisponde all'equità annunciata dal Presidente Monti.

AMALIA SCHIRRU. Il modello di intervento che ci ha presentato il Ministro per quanto riguarda il sistema previdenziale in teoria sembra anche buono intervento. In particolar modo, mi riferisco all'unificazione del sistema previdenziale tra pubblico e privato, però mi chiedevo in questi giorni se ci siano misure per evitare difficoltà al sistema nel suo complesso,


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così come successe in altri periodi con il trasferimento di casse (penso, ad esempio, allo SCAU).
L'altro elemento che ho avuto modo di porre come osservazione durante la discussione sulla manovra e che voglio far presente anche a lei è la preoccupazione sulla flessibilità introdotta con penalizzazioni. Visti il momento e il dato storico di carenza di servizi per quanto riguarda il sostegno del lavoro di cura, ciò rischia ancora una volta di penalizzare soprattutto settori deboli nel mercato del lavoro, deboli perché l'accesso non è stato lineare e adeguato.
A fronte dell'introduzione di questi elementi, si non riconoscendosi l'onere dell'assistenza di cura e della maternità che grava sulle donne, la depenalizzazione rischia di accentuare fenomeni che sono stati rilevati in questi ultimi anni: mi riferisco soprattutto alla povertà delle donne, anche sole, che magari si sono caricate del peso dei genitori.
Un altro problema - glieli elenco in questo modo - è che, a mio parere, occorre distinguere all'interno del mondo del lavoro le diverse tipologie di lavoro, soprattutto quelle più pesanti, più rischiose e faticose. Mi chiedevo in questi giorni come faranno un muratore o un autotrasportatore ad andare in pensione a 66 anni. Sono lavori complessi, che richiedono non solo forza fisica, ma anche equilibrio (ci potrebbero essere rischi per la loro salute e per quella degli altri). L'altro elemento riguarda il problema degli interventi correttivi per superare le contraddizioni introdotte con le precedenti misure. Ritengo positivo che si sia pensato ai lavoratori in mobilità, ai lavoratori che hanno sottoscritto accordi per l'esodo e a coloro che stanno pagando contributi volontari. Resta, però, ancora una domanda: che cosa succede a coloro che perderanno il lavoro nel 2012 e 2013? La preoccupazione aumenta pensando alla mia realtà di questi giorni, con 15 mila lavoratori in cassa integrazione e a scadenza. Come riusciamo a reinserire questi lavoratori (soprattutto i lavoratori anziani)?
Come ripeto, mi ha impressionato positivamente sentirla parlare di un riutilizzo dei lavoratori, attraverso la richiesta alle imprese di assumersi la responsabilità di riorganizzare il lavoro, affinché ci sia un utilizzo pieno e produttivo delle persone con un'età avanzata. Questo mi fa sperare anche per gli invalidi, un'altra delle parti sociali oggi più ai margini della società.
Volevo sottoporle questi punti di domanda per capire come potremmo lavorare e contribuire insieme a migliorare e a correggere le misure e, nello stesso tempo, ad avanzare nuove proposte.

ANTONINO FOTI. Nella scorsa settimana abbiamo tenuto un dibattito - era presente il viceministro - nel quale abbiamo discusso anche della manovra in generale, sottolineando che forse sui tre punti di rigore, crescita ed equità il primo - anche se ci rendiamo conto che la situazione è particolare - è quello che più è stato sottolineato nella manovra del decreto legge.
Ci rendiamo conto naturalmente che questa è un'emergenza per il Paese e che, nello specifico della materia previdenziale, ci sono state fin troppe riforme stratificate, che non hanno proiettato nel tempo quello che avrebbe dovuto essere il risultato, annullandosi l'una con l'altra.
La stessa riforma dell'ex Ministro Dini del 1995 ha avuto una proiezione in Italia quasi quarantennale, mentre la Svezia, che ha varato la riforma dopo di noi, ha ottenuto un risultato immediato, stabilendo già da prima che dai 60 ai 65 anni si potesse godere di tale beneficio, incidendo da subito sul rapporto debito pubblico - PIL.
Ciò premesso, sembra che nella manovra - non so se ciò risponda al vero, ma risulta dalle agenzie - venga reinserito l'emendamento sulle province. A me sembra che questo sia un accanimento che non porta risparmi. Peraltro, la stessa Università Bocconi, di cui il Presidente del Consiglio è stato rettore, mostra con uno studio preciso non solo che non c'è alcun guadagno, ma che anzi, a regime, con il


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trasferimento del personale e la gestione, si perde lo 0,3 per cento.
Ritengo ingiusto aver reintrodotto oggi questo punto, che contrasta con tre articoli della Costituzione (da ultimo l'articolo 114, il quale riconosce le autonomie locali), anche considerando che il programma del precedente Governo di centrodestra prevedeva sì la soppressione delle province, ma alla loro naturale scadenza.
Non si può con un decreto-legge interrompere l'attività di un organismo eletto a suffragio universale, che vede presidenti eletti anche con un milione di voti. Il Presidente della Repubblica ha sospeso iniziative governative e parlamentari per molto meno e su questo tema penso che il Presidente Monti non debba agire sulla base dell'onda emotiva suggerita dai giornalisti, che, come sappiamo, si sono già spinti oltre.
Analogamente, ci sono grandi perplessità per quanto riguarda l'incomprensibile campagna di stampa che sembra rappresentare i vitalizi parlamentari come l'unica clamorosa fonte di privilegio. Se non avessi incontrato - per fortuna ripetutamente - il signor Ministro nelle audizioni, avrei pensato male anche di lei, perché in questa sede ha espresso quanto segue: «Ringrazio i Presidenti di Camera e Senato per aver mostrato grande sensibilità, in questo momento in cui si chiede ai lavoratori di accettare questa riforma, nell'aver adottato il metodo contributivo anche per la Camera e il Senato. Sono veramente contenta e penso che lo siano anche gli italiani.».
È ovvio che questa era la sua sensazione di quel momento e, ritenendo importante il contributo da parte di tutti in una situazione di emergenza, ci ha rappresentati come se fossimo al centro di una corrida. Poiché, però, so per certo che il suo animus agendi non era questo, questo aspetto è superato.
Vorrei, comunque, rilevare che il vitalizio è un istituto che è stato pensato all'epoca dal legislatore costituente, il quale si era preoccupato proprio di assicurare un trattamento dignitoso anche per il periodo successivo al mandato parlamentare, nel momento in cui i parlamentari non avrebbero più potuto esercitare la loro rappresentanza.
Inoltre, volevo ricordare che ci sono state diverse riforme, di cui l'ultima, con Presidente Bertinotti, il 23 luglio del 2007 - se lei non lo sapeva, è importante che lo sappia - ha ridotto al 20 per cento l'indennizzo. Parliamo del 20 per cento di 10.400 euro, ragion per cui l'indennizzo, già dopo cinque anni, non quattro anni e sei mesi, ammonta intorno ai 1.400 euro.
Con la riforma che state varando voi, che peraltro non è estesa - dopo lo spiegherò meglio - a determinate categorie, esso passa a 900 euro. Stiamo parlando di questo. Gli italiani dovrebbero sapere della miseria di cui parliamo. Se lei considera che c'è gente che lascia un altro lavoro e che dopo dieci anni non può ritrovare le stesse condizioni, soprattutto se è un lavoratore autonomo o un professionista, può verificare che stiamo parlando non solo di un accanimento, ma anche di una situazione paradossale, per cui si insegue non la funzione, ma la persona, mentre noi dobbiamo rispettare la funzione, così come le istituzioni.
Il vitalizio, così ridimensionato, tocca ormai un livello ridicolo. Stiamo parlando, presidente, di 1.400 euro, che col metodo contributivo passeranno a 800-850-900 euro. È bene che la gente ne sia al corrente.
Spesso noi dimentichiamo che, alla fine, il parlamentare è una persona e che, signor Ministro, la tendenza è quella di fare di tutta l'erba un fascio, coinvolgendo l'intera categoria dei parlamentari. Ammesso che ci sia il 5-6 per cento di persone che non meritano di stare dentro le aule parlamentari, parliamo comunque di 60-70 persone su 970. Il restante è composto da gente che lavora, che dedica tutto il proprio tempo alla professione, come lei può osservare in questa Commissione, che, peraltro, è stata - non so se il presidente ne è al corrente - quella che più ha prodotto, tra Camera e Senato, nei quattro anni di Parlamento.


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Io vorrei chiedere tanto spesso ai giornalisti se i loro direttori o i grandi giornalisti si accontenterebbero di avere 3-4 mila euro al mese, visto che i loro compensi sono molto più alti.
Passo alla prima domanda. Non si considera urgente e improrogabile, secondo lei, un'iniziativa che incida, secondo il principio di equità e sulla scorta di quanto si appresta a decidere il Parlamento, proprio per i sacrifici che sono richiesti agli italiani, sui regimi pensionistici vigenti negli organi costituzionali delle Autorità indipendenti e su altre situazioni che sono effettivamente oggetto di privilegi derivanti da aspetti anche in questo caso abnormi del sistema retributivo o contributivo pro rata? Si può prevedere un intervento in tal senso, dal momento che, allo stato, nulla è previsto al riguardo in questa manovra?
Aggiungo poi un'osservazione rispetto alla Camera e al Senato e alle Assemblee legislative. Si parla tutti i giorni dei costi della politica e del Parlamento, quando la spesa complessiva della pubblica amministrazione per lo Stato è di circa 742 miliardi. Camera e Senato insieme rappresentano solo lo 0,22 per cento. Settimanali e mensili, a destra e a sinistra, scrivono come se ci fosse in atto una «caccia agli orchi» che siedono in queste aule.
Parliamo dello 0,22 per cento e lei, signor Ministro, sa che un solo ministero costa molto di più. Noi stiamo parlando di Camera e Senato. Per non citare gli enti territoriali: le stesse regioni hanno bilanci esageratamente superiori.
Per ultimo, affronto il tema che più mi è caro, quello dei giornalisti titolari autorevoli, che amano attaccare continuamente il Parlamento per i suoi privilegi. Lei, signor Ministro, saprà bene che i giornalisti, soprattutto quelli di mezza età o anziani, i notisti del Corriere o di altre testate, hanno ancora il sistema retributivo pro quota e che i relativi fondi comunque saranno pagati dai cittadini. Visto che l'analisi del contributivo parte per tutti i cittadini dal 1o gennaio, sarebbe il caso che, anche nello specifico momento in cui stiamo adottando questo provvedimento, dal momento che si stanno esercitando esagerate pressioni su tutti i settori professionali, anche questa categoria fosse toccata.
Nel leggere l'accanimento di alcuni giornalisti sembra quasi che ci sia un loro fatto personale nei confronti della politica. Io vorrei che si sapesse che in base all'attuale sistema - presidente, lei un tempo era giornalista e non potrebbe più diventarlo come prima - ai giornalisti è consentito anche il cumulo dei trattamenti pensionistici. Lo sa che i giornalisti hanno ancora il sistema di pensionamento pro quota, cioè hanno ancora la quota di 96 (ossia 36 anni di contributi sommati all'età anagrafica di 60 anni), mentre noi lo stiamo togliendo anche ai pensionati (senza considerare i forti disagi per coloro che sono nati nel famoso biennio 1952-53)?
Ribadisco il dato per una complessiva questione di onestà e di giustizia, ma soprattutto vorrei che sull'aspetto che riguarda il vitalizio si sapesse esattamente che cosa è successo. Il 23 luglio del 2007 il Presidente Bertinotti ha già ridotto - e l'ha fatto nell'ambito di un ufficio di presidenza, senza che il Parlamento approvasse nulla - il vitalizio al solo 20 per cento, che è la cifra che abbiamo citato.
Non si tratta di cifre di 5 o 10 mila euro. Il vitalizio è pari a quello di un funzionario delle Ferrovie dello Stato o di un dirigente che lavora otto o nove anni in un'azienda qualsiasi. La differenza è che quest'ultimo può continuare a lavorare ripetendo il suo lavoro, mentre, se un parlamentare non viene più eletto dopo dieci anni, non sempre sa dove andare.

PRESIDENTE. Colleghi, con l'intervento dell'onorevole Foti tutti i gruppi hanno parlato, hanno espresso le loro opinioni e hanno posto domande. Se vogliamo consentire al Ministro di svolgere una replica intorno alle 12,30 e, quindi, rispettare i tempi che ci siamo dati, da questo momento in poi accetterò soltanto domande secche al Ministro e non digressioni che potete svolgere anche scrivendo.


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Nonostante i giornalisti, ognuno può scrivere il proprio pensiero dove meglio ritiene e può esternarlo dove vuole, ma qui dentro diamoci una regola, altrimenti non arriveremo mai a concludere questa lunga audizione con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Onorevole Beretta, ha due minuti per porre una domanda.

GIUSEPPE BERRETTA. Presidente, la ringrazio. Normalmente mi dà un minuto e questa volta me ne dà due. O sono sfortunato io o lei ce l'ha con me. Mettiamoci d'accordo.
Per fortuna io sono ben al di là del 1952. Essendo del 1970, non faccio parte della fascia e vado oltre. Quando studiavo storia, ricordo sempre che c'era l'arrivo di una carestia, che si portava via una generazione; alla stessa maniera, potremmo parlare delle riforme, che si portano via un po' di anni e un po' di persone che sicuramente verranno trascinate in questa vicenda. Io sono al di fuori, vengo dopo.
Pongo tre domande secche. Ho apprezzato molto il riferimento alla questione dell'evasione contributiva, perché, quando parliamo di equità, certamente la prima operazione è quella di far pagare tutti, in maniera tale che poi arrivino le risorse per garantire a tutti un trattamento previdenziale adeguato.
In questo senso, però, signor Ministro, dal punto di vista anche di tecnico del diritto, osservo che c'è moltissimo da fare. Sono lieto che lei abbia incontrato i funzionari, però credo che più che di incontrare i funzionari ci sia proprio bisogno di mettere mano a una materia complessa, realizzando una riforma strutturale volta a mettere in relazione i tanti soggetti che si dovrebbero occupare di vigilare e che oggi, invece, lavorano in maniera disconnessa. Glielo dico in maniera seria e concreta.
Passo alla seconda considerazione. Lei ha giustamente osservato che il sistema contributivo è un sistema equo, però noi ci dobbiamo anche preoccupare di capire se è un sistema economicamente solido. Se abbiamo un sistema a ripartizione, la vera questione che ci dobbiamo porre è quella di di consentire una maggiore occupazione, che è la vera garanzia della tenuta del sistema previdenziale complessivo.
Prima facevamo una battuta, ma, quando il tema è se il sistema tiene, la domanda che tutti si pongono è perché si dovrebbe scommettere su un sistema sul quale c'è incertezza. Questo riguarda la previdenza pubblica, le casse e tutte le strutture. Da questo punto di vista, credo che ci sia bisogno di maggiore certezza e di una prospettiva vera.
Vengo alla terza questione che volevo sottoporre al Ministro. Io sono un europeista convinto. Già un paio d'anni fa l'attuale Presidente Monti aveva parlato di una stanchezza da integrazione che emerge dallo studio che ha svolto (uno studio molto attento). Io penso che oggi, altro che stanchezza da integrazione, ci sia una sorta di progressivo rifiuto dell'Europa, delle sue articolazioni e dei suoi organismi.
In questo senso, da un Governo come questo io mi attendo che ci sia una chiara indicazione in chiave europeista, ma anche un'altrettanto chiara pressione perché si compiano passi avanti nell'ottica di un'integrazione vera dell'Unione, un'integrazione che presupponga il mantenimento di un modello sociale europeo che è il vero elemento di distinzione e di identità che l'Europa tutta possiede.
Mi auguro davvero che anche in questo senso si svolga un lavoro coerente e non un mero assecondare richieste o affermazioni della Banca centrale europea, che ben poco hanno a che vedere con la politica.

ALESSIA MARIA MOSCA. Vediamo se i miei due minuti sono veri, brianzoli e non siciliani. Non ribadisco molte questioni che sono state già poste, ma mi interessa porre al Ministro alcune domande che ci aiutino a capire se questa manovra possa essere considerata - come abbiamo più volte letto e sentito in questi giorni - il primo passo per una più ampia riforma del lavoro in genere. Mi interessa anche per capire se molti sacrifici che vi


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sono contenuti possano essere intesi come necessari e se effettivamente questa manovra possa avere una preoccupante ricaduta recessiva se questo secondo passaggio e i prossimi passi non si attuassero.
Le mie questioni riguardano, in modo particolare, che cosa tutto ciò possa significare in termini di mercato del lavoro, soprattutto di mercato del lavoro giovanile. Come ribadiva il collega Beretta, il punto è capire come questo sistema pensionistico possa reggere nel momento in cui si va a modificare il sistema di welfare per rendere il mercato del lavoro più dinamico e per consentire ai giovani di avere più possibilità di lavoro; mi chiedo, pertanto, come sia possibile rendere questo sistema sostenibile anche per i giovani senza che diventi troppo costoso.
Sappiamo, infatti, che una riforma del welfare intesa in un dato senso può diventare particolarmente costosa e che tale costo si va ad aggiungere al sistema contributivo, che deve fare in modo che i giovani possano maturare il diritto alla loro futura pensione.
Passo alla seconda questione, che era stata anticipata nel suo intervento precedente in Commissione per quanto riguarda la questione femminile. In passato abbiamo combattuto in Parlamento una grande battaglia perché i risparmi sulle pensioni venissero vincolati a un utilizzo vero e proprio. È una battaglia alla quale noi abbiamo molto creduto e che sarebbe stato, a nostro avviso, auspicabile che figurasse in questa manovra, perché vi si rendevano comprensibili anche alcune decisioni.
Lei ci ha spiegato che ciò non è stato possibile, ma noi ci chiediamo, a questo punto, come si intenda intervenire perché nella prossima fase si renda concreta una serie di proposte che noi in tante occasioni abbiamo avuto modo di discutere.
L'ultima domanda riguarda, invece, come si intende intervenire sempre sulla modifica dell'organizzazione del lavoro, visto l'innalzamento dell'età pensionabile. L'innalzamento dell'età pensionabile, infatti, non determina solo un cambiamento significativo per chi deve rimanere nel lavoro, ma, anche per le imprese (se si valuta anche in prospettiva), che debbono modificare il loro modo di organizzare il lavoro. Anche questo aspetto è stato ribadito: una persona che ha 65-70 anni non ha la stessa produttività di una persona che ne ha 50-55. Se si va verso questo progressivo aumento dell'età sia per i singoli lavoratori, sia per le imprese, ciò significa modificare in modo notevole anche l'organizzazione del lavoro. Anche in questo senso, a nostro avviso, è importante da subito a capire che ricadute ci sono.

LUCIA CODURELLI. Pongo due domande alla Ministra, perché sono già stati sottolineati gli aspetti critici. Sono d'accordo con l'obiettivo, che nessuno di noi ha messo in discussione, ma il tema riguarda le modalità secondo cui perseguirlo.
Chiedo se la Ministra conosca - e credo di sì - quanto è avvenuto in questi tre anni, con riferimento a numerosi provvedimenti che hanno tolto alle donne, più che aggiungere, prevedendo, ad esempio, l'abrogazione della legge sulle dimissioni in bianco, la diminuzione della possibilità di accedere al part-time. Il risultato è che oggi ci ritroviamo con un tasso di occupazione femminile superiore solo a quella di Malta.
Come è possibile conciliare tutto questo con questo provvedimento? Come ha affermato prima il collega Bobba, con un'osservazione che condivido pienamente, provvedimenti che disciplinano allo stesso modo situazioni così disuguali rappresentano il peggio che si possa attuare. Rispetto alle sue precedenti dichiarazioni noi ci aspettavamo, invece, una gradualità, una risposta vera per le donne che tenesse conto di questa situazione veramente peculiare in cui vivono.
Inoltre, occorre considerare che taluni provvedimenti discussi in questa Commissione (come i congedi parentali e tutti quelli a cui faceva riferimento prima Alessia Mosca, riguardanti il sistema nel suo complesso e la relativa organizzazione) sono attualmente fermi in Commissione bilancio. È piuttosto facile innalzare l'età,


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ma credo che sia più difficile cambiare l'impostazione culturale: ciò non avviene dal 1o di gennaio. Vorremmo che anche quella fosse accelerata e che dal 1o di gennaio si cambiasse anche l'impostazione culturale ovunque, in ogni situazione, da quella politica a quella industriale e via elencando. Chiedo a lei come intenda rispondere a tali interrogativi.

DONATA LENZI. Dispiace molto che i tempi un po' sacrificati della manovra (dettati dalla necessità di affrontare il momento di crisi che stiamo vivendo) impediscano quella riflessione - di quadro e di lungo periodo - che normalmente si svolge quando arriva un nuovo ministro.
Io insisto, in particolare, sulla questione che riguarda la pensione di vecchiaia delle donne, dicendole schiettamente che, a mio avviso, anche i nostri rappresentanti non avessero questo tema tra le loro priorità. È una questione grave: sembra che far lavorare sei anni in più una donna di colpo derivi dall'esigenza di superare una vecchia situazione di privilegio, con il rischio di lavorare addirittura anche un anno in più.
Io credo che, invece, proprio perché le donne hanno sulle spalle il carico della famiglia, che in quella fascia d'età consiste soprattutto nell'accudimento dei genitori anziani, bisognerebbe aiutarle ad avere il tempo di organizzarsi, prima di affrontare un aumento tanto veloce e improvviso di sei anni.
Come seconda considerazione, faccio notare che noi facciamo un po' a fatica a passare dal ruolo di opposizione ad una situazione di non maggioranza (non saprei come definirla). Soprattutto questa Commissione è la più soggetta a stress - tutte le altre comunque hanno trovato una soluzione - perché noi abbiamo la parte più pesante e più decisiva (e per questo lato politico anche la più difficile da digerire).
Tra di noi c'è una discussione forte, insieme ad alcune difficoltà e ad alcuni segnali. Proprio perché siamo ancora in un ruolo a metà noi abbiamo tentato di lavorare su alcuni emendamenti, come si fa di solito. Siamo tutta gente seria, che cerca le coperture e non pensa che si debba scaricare sul bilancio pubblico un aumento senza andare a porsi il tema di una copertura adeguata. Abbiamo avuto una grande difficoltà, che non abbiamo incontrato nei periodi precedenti e che in un altro momento non avremmo tanto facilmente sottaciuto.
L'ho già affermato in Commissione bilancio e, quindi, la questione è già a verbale: noi non ci siamo mai trovati di fronte a una situazione in cui 20 commi, per un impatto complessivo di 40 miliardi, non avessero un quadro specifico della spesa voce per voce. Non è mai successo. Noi siamo abituati ad averlo e sappiamo che la Ragioneria generale e l'INPS dispongono di tutti questi dati. Sono stati in grado di allegarli alla manovra di agosto e a quella di luglio prima e ci aspettiamo, quindi, che in futuro questo buco informativo venga riempito, altrimenti non saremo in grado di svolgere il nostro lavoro (attraverso la presentazione di proposte di legge o di emendamenti).
Onestamente, una riforma così profonda ed emanata tanto in fretta comporta alcuni punti poco chiari o privi di collegamenti, nonché casi che non erano venuti in mente. La collega Schirru ci ha fatto notare che l'assegno di invalidità finisce a 65 anni, mentre la pensione arriva a 67. Ci sono, dunque, invalidi con due anni non coperti.
Sulle questioni che magari sul momento non vengono in mente bisognerà tornare sopra e per farlo abbiamo bisogno di un quadro economico molto chiaro.

ANTONIO BOCCUZZI. Svolgerò alcuni flash, presidente. Signor Ministro, la scorsa settimana lei ha affermato, riferendosi alla questione del mercato del lavoro, che uno Stato civile non lascia nessuno senza retribuzione. Ciò che ha sostenuto l'onorevole Gnecchi, però, a mio avviso, fa a pugni con questa dichiarazione. Mi riferisco ai lavoratori che con accordi aziendali rimarranno, oltre che senza retribuzione, anche senza pensione e, quindi, senza nulla.


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Sulle donne lei ha anche svolto alcune considerazioni rispetto alla questione delle pari opportunità, materia sulla quale è competente in qualità di Ministro. In alcune parti esse sono assolutamente condivisibili, ma mi chiedo come si possa conciliare la valorizzazione delle pari opportunità con la parificazione dell'età pensionabile, senza un sistema di sostegno reale al lavoro delle donne.
Mi chiedo poi, tra l'altro, la ragione di questa disattenzione e di questa sottovalutazione di tutte le questioni legate ai lavori usuranti. Noi abbiamo combattuto una battaglia in questi tre anni e abbiamo raggiunto, a mio avviso, risultati apprezzabili. In questa manovra sono assolutamente sottovalutati e dimenticati coloro che davvero faticano tutti i giorni, forse più degli altri.
Infine, arrivo all'ultima domanda. All'articolo 44, i commi 1 e 2 prevedono un passo indietro rispetto a un nostro emendamento alla manovra di luglio, con il quale intendevamo prevedere lo scorporo del costo del lavoro dagli appalti. Io credo questa fosse una norma di assoluta civiltà, che andava in una direzione virtuosa per la soluzione dei problemi legati alla sicurezza sul lavoro, tema rispetto al quale lei si è dichiarata assolutamente sensibile la scorsa settimana.

GIORGIA MELONI. Signor Ministro, ci sarebbero diverse domande da porle, ma il minuto e mezzo a disposizione non mi consente di farlo. Concentrerò, pertanto, il mio minuto e mezzo nell'affrontare una questione che è già stata oggetto di dibattito in questa Commissione su iniziativa della sottoscritta, ma anche di alcuni colleghi, tra cui il collega Scandroglio e lo stesso collega Foti, riguardante la vicenda previdenziale.
Devo premettere che sono d'accordo sull'impianto generale della manovra in tema di previdenza e credo che uno dei grandi limiti che la politica ha avuto finora sia stato proprio quello di non riuscire a mettere mano a un sistema pensionistico, così come a un mercato del lavoro, che di fatto hanno costruito in Italia due mondi diversi, nei quali i diritti non sono equamente distribuiti.
Noi sappiamo, infatti, che il peso della flessibilità grava soprattutto sui nuovi lavoratori e, particolarmente, sulle giovani generazioni, come sappiamo che oggi abbiamo un sistema pensionistico per il quale c'è qualcuno che andrà di media in pensione a 59 anni con l'80 per cento delle ultime retribuzioni e qualcuno che ci andrà a 70 anni forse e senza neanche tutto ciò che ha versato nel corso degli anni.
Sono d'accordo col fatto che ci fosse bisogno di coraggio rispetto alla necessità di riequilibrare i diritti e l'ho affermato anche quando avevo responsabilità di governo in materia di sostegno ai giovani. Sono d'accordo, dunque, sull'impianto generale, ma credo che rispetto a questo e proprio per questo manchi nel lavoro che avete svolto un elemento non secondario, che riguarda proprio l'equa distribuzione dei diritti tra lavoratori e tra cittadini diversi.
Io non comprendo come, nel momento in cui abbiamo bloccato le indicizzazioni di pensioni da 900 euro - vedremo poi se questo tema sarà oggetto di modifica, come spero - abbiamo abolito le pensioni di anzianità, abbiamo spostato in maniera significativa la soglia dell'età pensionabile, non ci si ponga il problema di affrontare quella che in Italia rappresenta una vera e propria vergogna, ossia le pensioni d'oro.
Noi sappiamo, e lei lo sa meglio di me, Ministro, che in Italia ci sono pensioni pubbliche che vengono percepite da burocrati dello Stato che sono frutto di leggi assolutamente inique, pensioni da centinaia di migliaia di euro. L'INPS eroga pensioni da oltre un milione di euro che chiaramente non possono essere frutto di contributi versati e io penso che, quando si parla di queste storie - so che lei la pensa come me, perché ho seguito anche molti suoi interventi sul Sole 24 ore in materia e lo ripeto, poiché lo vado sostenendo da anni e seguo la tematica da tempo - non ci si possa trincerare dietro il principio dei cosiddetti diritti acquisiti. Io non li vedo come diritti, ma li considero come soprusi e i soprusi non sono mai


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acquisiti. Se ci sono state leggi ingiuste che hanno consentito questa disparità, oggi devono esserci leggi giuste che rimettono a posto la situazione.
Abbiamo affermato nella scorsa seduta della Commissione che in una manovra come questa, dove si interviene a 360 gradi, non può non esserci una norma che riguardi anche questa realtà, così come non può non esserci una norma che disponga, nel momento in cui si chiede a qualcuno di andare in pensione alla soglia dei settant'anni, che chi è andato in pensione a trenta o quarant'anni con meno di quindici anni di contributi, per le pensioni oltre un dato livello, dia un contributo di solidarietà.
È una proposta che io ho formulato. Noi non siamo nella posizione di modificare la Costituzione e non abbiamo i tempi per emanare leggi che complessivamente possano aiutarci a superare un problema che può essere anche costituzionale, ma io penso che si possa chiedere un contributo alle pensioni sopra un determinato tetto.
Vogliamo fissarlo a venti volte la pensione minima? Fissiamolo a 120.000 euro l'anno. Sono pochi? Oltre questa soglia, quando le pensioni non sono frutto di contributi effettivamente versati, nel qual caso noi non possiamo toccarle, si prendono e si trasformano in un contributo di solidarietà, con cui andare a copertura dell'innalzamento della soglia minima oltre la quale viene bloccata l'indicizzazione.
Questa è la proposta. Su questo tema io non capisco come il Governo abbia fatto a non pensarci. Ripeto, e poi mi taccio, che ci sono lacune sul tema dell'equità e tra questi due elementi ho portato un esempio.
Analogamente, continua a colpirmi il fatto che la rivalutazione degli estimi catastali porterà a un incremento del 60 per cento delle famiglie e a un incremento del 20 per cento delle banche e che noi mettiamo la garanzia pubblica sulle banche e non chiediamo in cambio un tetto agli stipendi dei manager e ai dividendi. Ci sono questioni che francamente non tornano e che sono anche oggetto di proposte emendative. Vorrei sapere che cosa ne pensa il Ministro.

MICHELE SCANDROGLIO. Mi atterrò al minuto. Leggo quanto il settimanale L'Espresso, oggi in edicola, riporta: Mauro Sentinelli, 93 mila euro al mese di pensione, Ivano Sacchetti 29 mila euro al mese, Federico Imbert, 42 mila euro al mese.
Posso proseguire. Non è certo una fonte della parte politica cui appartengo io, ma, vede, Ministro, quando si parla di mille euro al mese da indicizzare, e forse si arriverà anche a pensare a 1.200, credo che lei non si possa permettere che si legga che Giuliano Amato prende 30 mila euro di pensione al mese e Carlo Azeglio Ciampi 50 mila euro al mese.
Non se lo può permettere. Io ho votato la fiducia a questo Governo perché si basava su tre principi cardine: equità, rigore e sviluppo (per quest'ultimo attendiamo ovviamente una misura che dovrà venire). Io le chiedo formalmente che su questa materia ci sia un'azione forte pari a quella messa in atto per colpire qualunque altro privilegio (i nostri per primi, perché ci sono ed è giusto rivederli). Non si può fingere di guardare solo la pagliuzza nell'occhio del vicino e dimenticarsi della propria.
Questi signori di mestiere fanno mediamente i banchieri e, quindi, io chiedo che il Ministro, con la garbata competenza che ci ha sinora riservato, ma anche con una fermezza e una commozione che mi hanno convinto, operi la stessa moral suasion, se non si può fare diversamente. Per quel poco che so - mi sono informato - ciò è possibile: credo che non sia difficile per il Governo prevedere un contributo di solidarietà pari al 30 per cento della pensione di questi signori, perché sarebbe costituzionale e legittimo.

TERESA BELLANOVA. Salto qualsiasi premessa e vado alla domanda, condividendo tutti i rilievi svolti in modo particolare dalle mie colleghe.
Il tema è il lavoro precoce, ministro, cioè le categorie di lavoratori e soprattutto


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di lavoratrici che non hanno mai conosciuto il welfare del nostro Paese. Mi riferisco a quelle, per esempio, che hanno iniziato a lavorare a quindici anni. Se andiamo a incontrare singolarmente chi ha iniziato a lavorare e a versare contributi a quindici anni, scopriremo che sono persone che hanno alle spalle anche lavoro minorile e che, in generale, hanno un lavoro faticoso. Le troviamo soprattutto in agricoltura nel Mezzogiorno e nel settore tessile, dell'abbigliamento e calzaturiero nel Centro-nord del Paese.
Queste categorie di lavoratrici, che hanno iniziato a quindici anni, con 41 anni di contribuzione, come prevedeva già la norma precedente, hanno 56 anni. La proposta che lei ha avanzato dispone che esse possano andare in pensione, ma con una penalizzazione. Per arrivare a 62 anni dovrebbero, dunque, subire una penalizzazione del 12 per cento.
Ministro, la voglio invitare a riflettere su un punto. A queste categorie di persone che, oltre ad avere un lavoro faticoso, hanno affrontato il lavoro minorile e sono state derubate della loro infanzia, noi possiamo in piena coscienza approvare una proposta di questo tipo? Esse hanno già avuto salari molto leggeri, perché nel tessile, per esempio, si parlava di più flessibilità per poter conciliare il lavoro di cura con il lavoro retribuito.
Queste persone si sono fatte carico della cura dei figli e dei genitori anziani e sono andate a svolgere lavori molto faticosi all'interno delle fabbriche o nelle campagne, con stipendi che non superano mai i mille euro al mese. Una decurtazione del 12 per cento su pensioni che mediamente saranno di 800 euro significa una rinuncia di 100 euro al mese. Noi possiamo pensare che sia equità obbligare alcune donne a lavorare per 46-47 anni per una pensione di 800 euro o altrimenti per 41 anni e i mesi previsti per avere una pensione di 700 euro?
Non conosco il piano più complessivo sul mercato del lavoro e come Ministro delle pari opportunità che lei ci presenterà e non le chiedo di compiere un intervento di valorizzazione del lavoro manuale, ma l'invito a non effettuare neanche un intervento di accanimento verso chi ha già pagato.

PRESIDENTE. Il tempo che ci eravamo fissati è scaduto e io ho altri quattro iscritti a parlare. Se per trenta secondi ognuno pone la sua domanda, va bene. Altrimenti fra cinque minuti dovrò togliere la parola.

PAOLA PELINO. Pongo una domanda e una richiesta, in questo caso.
La domanda è stata più o meno già trattata, ma è comunque una preoccupazione un po' diffusa oggi tra gli italiani, perché l'innalzamento dell'età pensionabile sta creando il problema del collocamento dei giovani. Probabilmente questo potrebbe anche, qualora ce ne fosse l'opportunità, ritardare l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, anche alla luce dei tagli che sono stati apportati per ottimizzare soprattutto la pubblica amministrazione, con una riduzione ulteriore di personale. Mi piacerebbe poter dare una risposta e ascoltarla in merito.
Avanzo poi una richiesta che anche dalle nostre colleghe è stata posta tempo fa. Noi ci siamo sempre occupati, per ciò che era di competenza della Commissione lavoro, di pari opportunità ed è stata approvata all'unanimità una risoluzione, mi sembra nel 2009-2010, in cui figuravano contenuti per noi piuttosto importanti, rispetto ai quali il Governo precedente si era reso disponibile a confrontarsi. Chiederei un'audizione, quando sarà possibile, esclusivamente riservata a questo tema, visto che lei ha anche la delega per le pari opportunità.

MARIA ANNA MADIA. Signor Ministro, le pongo una questione piccola e specifica. Le parlo di milioni, mentre finora si è parlato solo di miliardi.
Nel precedente Governo fu approvata una norma volgarmente chiamata bonus precari, che era un'indennità di disoccupazione per i lavoratori a progetto. Erano stati stanziati 200 milioni circa, ma a oggi ne sono stati spesi solo 30. Restano, dunque, 170 milioni...


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PRESIDENTE. Sospendiamo brevemente la seduta per consentire al Ministro di assolvere ad un adempimento di natura istituzionale.

La seduta, sospesa alle 12,35, è ripresa alle 12,40.

PRESIDENTE. Colleghi, riprendiamo la nostra audizione.
Ringrazio i colleghi Gatti e Rampi che hanno rinunciato a porre domande.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Per ricollegarmi all'intervento dell'onorevole Scandroglio sulle pensioni d'oro, chiedo intanto al Ministro, se fosse possibile, ovviamente in una seduta futura, di darci una quantificazione per le pensioni sopra i 120 mila euro.
Ricordo poi al Ministro, proprio per parlare di equità, che nel decreto - chiedo magari il suo intervento nelle Commissioni referenti con i suoi colleghi di Governo - non solo non si tagliano solo le pensioni d'oro, evitando una misura di equità, ma si introduce addirittura una misura di vantaggio per alcuni settori. Sto parlando, in un termine molto specifico, però molto grave, di cinque revisori e sindaci di INPDAP, un ente che non esisterà più, perché assorbito in INPS, i quali ottengono tramite legge una promozione e diventano tutti direttori generali della Ragioneria dello Stato.
Non possiamo pensare di tagliare pensioni bloccate e far diventare per legge direttori generali cinque sindaci INPDAP. È una piccola misura, un segnale, Ministro, che chiedo anche a lei. L'invito, se può, a trasmetterlo ai suoi colleghi e ad accogliere l'emendamento della Lega che vuole sopprimere l'articolo 21, comma 5, lettera b).

PRESIDENTE. Signor Ministro, prima di darle la parola voglio soltanto ricordare a lei, ma anche a tutta la Commissione, che nel parere che la Commissione ha espresso sul provvedimento della manovra economica noi abbiamo già indicato in maniera chiara, e il nostro era un parere rafforzato, di intervenire sulle cosiddette pensioni d'oro, addirittura fino a venti volte il minimo, oppure di incidere sulle persone baby e guardare anche ad altri organi costituzionali, nonché ai capitali scudati. È esattamente la sollecitazione che ripropongo a questo tavolo, e che il Ministro già conosce, perché questa è la posizione della Commissione lavoro della Camera.
Do la parola al signor Ministro per la replica.

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Risponderò, purtroppo, un po' brevemente, cercando di collegare le domande: alcune hanno tratti simili e altre sono più specifiche. Se ne dimentico qualcuna, ricordatemelo.
Comincerei dalla questione che più o meno è stata da tutti sottolineata, cioè dal fatto che, se si compie un intervento che, come ho sempre sostenuto, è ispirato alla richiesta di sacrifici, non si possono tenere fuori le pensioni più elevate.
Io penso che sia anche corretto affermare che ci avevo pensato e mi era stato riferito che c'erano profili di costituzionalità. Personalmente ho riproposto una misura che effettua un prelievo del 25 per cento come contributo di solidarietà sulle pensioni al di sopra dei 200 mila euro. Questa è la mia personale posizione e me ne assumo tutta la responsabilità. Se ci saranno profili di costituzionalità, li vedremo. So perfettamente che queste sono pensioni retributive e, quindi, so che la pensione non è il corrispettivo dei contributi versati, ragion per cui credo che questo contributo di solidarietà non sia un contentino che viene dato, ma che risponda a un'esigenza, che personalmente io ho sempre sentito, di equità anche dentro le generazioni.
A questo punto, la palla passa a voi. Io avanzo la proposta, ma la palla passa al Parlamento.

PRESIDENTE. Se il Governo esprime parere favorevole all'emendamento, noi non abbiamo problemi.


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ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. La mia proposta in questo senso c'è. Questo è un aspetto che dimostra la mia posizione. Io faccio un gioco assolutamente di squadra, però questa è un'esigenza che personalmente ho sempre sentito.
Voglio anche precisare che era stata inclusa la questione dell'inserimento del TFR nei redditi, in modo tale da evitare di assoggettarlo a tassazione favorevole separata. Anche questa è una misura che riguarda i redditi e i compensi forse discutibilmente elevati.
Ci sono aspetti che voi avete sollevato, sui quali già abbiamo discusso la scorsa volta e che, quindi, non ripeto. Soprattutto non ripeto la premessa che, a volte, perdonatemi, mi sembra venga dimenticata. La premessa era che questa riforma, e l'ho anche scritto molte volte nei miei articoli, si è resa necessaria non perché bisognasse accelerare la fine di una transizione che ormai abbiamo lungamente alle spalle, ma perché eravamo sull'orlo del baratro. Non avevamo la possibilità di lasciare che le misure andassero a regime in modo lento. Ormai, tutto sommato, eravamo alla fine di questa transizione lenta. Avremmo potuto lasciarlo andare, se non avessimo avuto la crisi finanziaria che nell'estate ha messo veramente a rischio questo Paese e la credibilità del suo debito. Questa è la questione che non dobbiamo mai dimenticare.
Dopodiché, ci sono stati interventi che sono oggettivamente pesanti. Tra gli interventi pesanti io distinguo di nuovo la riforma delle pensioni, che, nella mia ottica, non doveva condurre a riduzioni delle pensioni, ma a maggiore lavoro, perché questa è sempre stata la logica che ha ispirato gli interventi: chiedere alle persone di lavorare di più e fare in modo soprattutto che negli anni a venire anche i giovani, le donne e gli anziani possano lavorare di più.
È chiaro che lo stiamo chiedendo oggi a generazioni che magari, come è stato descritto molto bene, hanno alle spalle una vita di lavoro di 35-36 anni, magari cominciata precocemente, e che quindi possono sentirsi ingiustamente colpite.
Devo anche precisare che io ho considerato questa generazione del 1952. Per carità, faremo in modo che ci sia, a parità di saldi, un'attenuazione, ossia un ritocco modesto, rispetto al forte incremento di vita lavorativa richiesto. È anche vero, però, che i lavoratori del 1952 che hanno cominciato molto presto come precoci sono già fuori, non sono dentro la riforma. Quelli del 1952 che sono dentro sono coloro che hanno cominciato magari a 25-26 anni, coloro che noi pensavamo che fossero stati un po' troppo nelle aule universitarie, magari non sufficientemente scoraggiati da noi professori, che avremmo dovuto esortarli a studiare oppure ad andare a lavorare.
Prestiamo anche attenzione a dipingere un quadro di drammatizzazione su una o due coorti che non sono esattamente composte da lavoratori precoci. Di queste generazioni coloro che hanno cominciato in età giovane sono già fuori, sono già in pensione. Questa è una prima questione.
Vengo alla questione delle donne, che è veramente una sorta di crinale. Noi siamo sempre tirati a guardare il passato e quello di questo Paese è un passato che io, oltretutto ministra delle pari opportunità, non posso non chiamare di discriminazione.
Quando noi vediamo le realtà europee, essendo dentro l'Europa e dovendo confrontarci con questi Paesi, notiamo che l'Italia è assurdamente indietro rispetto all'occupazione femminile. Non è un dato di necessità, non è una questione genetica, non è una questione climatica, ma una questione di organizzazione sociale.
Mi si fa notare anche sempre che sono atteggiamenti culturali, come se la cultura richiedesse chissà quali tempi per adattarsi ai cambiamenti. Io credo che la cultura possa cercare di adattarsi ai cambiamenti, se è cultura, con un briciolo di dinamismo. Quello che succede nel mondo è davanti a noi e il fatto che l'Italia sia praticamente sempre ultima nelle graduatorie per l'occupazione femminile e che presenti, lasciatemelo dire, un divario drammatico tra le condizioni al Nord e al Sud non è un dato sul quale possiamo


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indulgere. Non è a questo passato che dobbiamo guardare, ma alla creazione di una situazione diversa per il futuro.
Per me non è corretto che si affermi che le donne sono portate di colpo a un cambiamento. Peraltro, non vi sono portate immediatamente, perché l'età minima delle donne è stabilita in 62 anni e il mantenimento dell'anzianità è al livello in cui era prima del decreto, cioè 41 anni. È possibile anche per queste donne andare in pensione prima, pur con una piccola penalizzazione. Cercheremo di attenuare tale penalizzazione, ma non sarà cancellata, anche perché io credo che all'età di 62 si sia ancora giovani.
Ci sono poi questioni singole, questioni personali, però una norma, e voi lo sapete meglio di me, può solo cercare di inseguire i casi. Qualcuno ha citato la pensione di invalidità. È chiaro che in quel caso occorre effettuare un raccordo. Non si può non farlo.
Aggiungo un altro principio, che magari lascia alcuni vuoti. Io non so quale sia la pratica corrente e non so se esistano buone pratiche, però scrivere un decreto di questo tipo in venti giorni non è stata un'impresa facile. Alcune messe a punto andranno sicuramente effettuate e in tal senso sono assolutamente d'accordo.
La vostra preoccupazione di che cosa sarà dei lavoratori in mobilità e dei lavoratori che hanno accettato esodi è anche la nostra, onorevole Boccuzzi. Ci preoccupiamo che nessuno in questa fascia di età, che è nel prepensionamento, rimanga senza reddito e senza pensione. Questa è la nostra preoccupazione, però devo precisare un fatto: l'economia deve tenere, perché, se dilaga nella recessione, cioè nel mandare fuori gente, non si può più fare, perché non ci sono i soldi, neanche se si tassano le pensioni d'oro (magari a più del 25 per cento, che è la mia proposta), con riferimento a quelle sopra i 200 mila euro.
Il punto è che tutte queste svolte sono graduali ed è in questo senso che io chiedo un atto di fiducia verso la costruzione di un futuro. Voi risponderete che sono belle parole, ma questo è il primo tassello, cui poi seguirà il mercato del lavoro.
Alessia Mosca chiedeva quali sono i criteri. Non li posso adesso elencare nel dettaglio specifico, perché è una questione che verrà affrontata in seguito, ma i criteri sono quelli di un mercato che consente più mobilità, magari più part-time, magari più flessibilità, facendo in modo, però, che tale flessibilità non si traduca in precarietà, perché questo è quanto è successo. Una flessibilità che poteva essere buona si è tradotta in una precarietà cattiva.
È una preoccupazione. Ci siamo riusciti al 100 per cento? Non ve lo posso garantire, ma rimane il principio che io ho sempre fortemente in mente, ossia che, se questo tassello viene agganciato agli altri due, allora può funzionare, soprattutto per l'equità tra le generazioni, ma anche dentro le generazioni.
Se, invece, l'aggancio non c'è, ci lascia tutti più poveri. Se sono poveri i lavoratori, scusate, è difficile che possano essere ricchi i pensionati. Questo concetto vi sembrerà generico, ma c'è un lavoro che viene svolto ancora nelle Commissioni e dal Parlamento e io non posso addentrarmi in proposte di emendamento che magari lo stesso Parlamento avanzerà.
L'atteggiamento del Governo è di disponibilità ad attenuare le misure più severe che voi avete sottolineato, inclusa la mancata perequazione delle pensioni e, quindi, l'allargamento della platea. L'atteggiamento, lo ripeto, è favorevole. Queste sono le ore in cui spero che chiuderemo la questione, non per la soddisfazione di tutti, perché è difficile parlare di soddisfazione, ma, spero, con una maggiore fiducia nel futuro.
C'era un'altra domanda. Ne prendo nota e risponderò in seguito. Delle domande più specifiche prendo nota e vi rispondo in una prossima occasione, dichiarando la mia assoluta disponibilità a venire per un'audizione come Ministro delle pari opportunità.

MARIA GRAZIA GATTI. Aggiungo una questione sola, ma molto urgente. Come Ministro delle pari opportunità le chiedo di rispettare la differenza di genere nelle nomine. Noi ne abbiamo una in corso in


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questo momento. C'è una situazione molto triste in questa Commissione, nel senso che, dopo alcuni atti ufficiali, molte di noi non votano, perché le proposte che ci sono state presentate da un po' di tempo a questa parte sono tutte di maschi.

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. È una bruttissima situazione. Per quanto mi riguarda, io trovo che dovrebbe esserci sempre un pool di persone che comprenda una percentuale di donne almeno vicina all'equità. È una situazione che, in caso contrario, noi abbiamo tutto il diritto e, vorrei aggiungere, il dovere di sanzionare. Esprimo tutta la mia solidarietà.

PRESIDENTE. In questa Commissione, come vede, la percentuale delle donne è superiore alla media.

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per questo motivo mi trovo bene in questa Commissione.

PRESIDENTE. L'onorevole Foti sollecitava una risposta sui vitalizi.

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Lei sa, onorevole, che io continuo a esprimere il mio apprezzamento per la sensibilità dimostrata dai Presidenti. Continuo a farlo. Non è compito del Governo occuparsene, ma posso riferirle che, per quanto sta a me come Ministro, non mancherò di esercitare la mia moral suasion per fare in modo che nessuno si chiami fuori rispetto a una modifica che vogliamo sia valida per tutti gli italiani: devono essere coinvolti proprio tutti, anche gli organi costituzionali. Se mi ascoltano, posso e voglio spendere la mia moral suasion.

GIULIANO CAZZOLA. Che cosa risponde a proposito dell'inciso sulla ricongiunzione?

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Devo vedere i numeri, perché il fatto che non abbia costi è una questione fortemente contrastata da quelli che i numeri ci forniscono.

PRESIDENTE. Il problema è sempre quello!

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Posso promettere di svolgere un approfondimento in merito. Approfondirò, dunque, ma l'indicazione che ho è che sia troppo costosa (Commenti del deputato Cazzola).

PRESIDENTE. Voglio specificare ciò che testé ha affermato l'onorevole Cazzola. Rinvia a un decreto e, quindi, non ha costi immediati. Il problema è capire che rispetto a una ricongiunzione oggi praticamente impossibile bisognerà pure fare qualcosa, altrimenti rischiamo di non averla.

ELSA FORNERO, Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Anche su tale questione dichiaro il mio impegno.

PRESIDENTE. Ringraziamo il Ministro per la sua presenza e anche per la sua disponibilità. Grazie e buon lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13.

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