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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione XII
6.
Mercoledì 9 luglio 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3

Seguito dell'audizione del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, sulle linee programmatiche del suo dicastero, per le parti di competenza (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Palumbo Giuseppe, Presidente ... 3 7 16
Binetti Paola (PD) ... 3
Lenzi Donata (PD) ... 5 8
Murer Delia (PD) ... 13
Sacconi Maurizio, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali ... 7 8 13
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE XII
AFFARI SOCIALI

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 9 luglio 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE PALUMBO

La seduta comincia alle 8,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, sulle linee programmatiche del suo dicastero, per le parti di competenza.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, sulle linee programmatiche del suo dicastero, per le parti di competenza.
Sono iscritti a parlare gli onorevoli Binetti e Lenzi, ai quali, nell'ordine, do la parola per svolgere osservazioni e formulare quesiti.
Al termine degli interventi, il Ministro Sacconi svolgerà la sua replica.

PAOLA BINETTI. Mi sembrerebbe molto importante che alcune linee, in questa legislatura, si potessero realmente realizzare mediante interventi concreti e non ci si limitasse, invece, soltanto a quelle che noi chiamiamo generiche affermazioni di principio. Tra queste, il Ministro mi sembra abbia fatto riferimento anche alle politiche a favore della vita. Penso, sostanzialmente, al tema della legge 22 maggio 1978, n. 194, sulla quale tutti abbiamo espresso un atteggiamento favorevole alla conservazione, a fronte di una sua completa e assoluta applicazione, soprattutto per le parti relative alla prevenzione.
Faccio presente che, due giorni fa, abbiamo presentato alcuni emendamenti chiedendo, tra le varie iniziative, di prendere in considerazione l'ipotesi di un assegno alla maternità, a sostegno e a contrasto dell'aborto. L'emendamento, tuttavia, è stato respinto, in quanto si trattava di materia «non attinente».
Ricordo ciò perché, a fronte dei problemi, probabilmente le soluzioni che si propongono da parte dell'opposizione non sono sempre le più idonee, o quelle che si inseriscono più concretamente nel progetto del Governo. Mi sembra, però, che di fatto sul tema specifico finora nulla sia stato messo in pratica, nonostante questa sia una delle grandi linee su cui, tra maggioranza e opposizione, si è registrata una singolare convergenza, anche a fronte di valutazioni diverse date sullo spirito della legge, tutte comunque convergenti nel sostenere la maternità e, di conseguenza, anche le misure di prevenzione.
Un altro aspetto che mi pare interessante sottolineare è relativo alle valutazioni da noi condotte in questi mesi rispetto alla legge 19 febbraio 2004, n. 40. Molta dell'attenzione si è concentrata sulla diagnosi pre-impianto e su tutti i dubbi che quest'ultima solleva, sotto il profilo etico, in moltissimi di noi. Quindi, ci aspettiamo un'attenzione e una riflessione applicativa specifiche su questo aspetto. Mi pare invece che, per quanto riguarda l'assunzione della legge n. 40 come norma


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avente un approccio terapeutico preventivo rispetto alla sterilità, nulla sia stato fatto.
Servono politiche positive a favore della natalità, in grado, ad esempio, di far sì che le coppie possano arrivare al desiderio e alla possibilità di avere un figlio quando sono ancora in età pienamente fertile e non come avviene attualmente. Fino a poco tempo fa si parlava di prima maternità a 34 anni; adesso sappiamo che l'età media si è spostata ulteriormente in avanti.
Questo dato certamente si aggancia anche all'altra sua grande responsabilità, nei confronti delle politiche per il lavoro.
Passo a sottolineare un altro tema importante. So che diversi disegni di legge sulle terapie palliative, già presentati nella precedente legislatura, sono stati ripresentati. L'importanza che diamo al potenziamento delle teorie palliative, a nostro avviso, comporta due risvolti. Il primo è l'intento di garantire a tutti la dignità del morire e, conseguentemente, la dignità della qualità della vita fino agli ultimi momenti.
Il secondo, evidentemente, è il contrasto più chiaro ed esplicito alla richiesta di eutanasia. Vorremmo, in qualche modo, «stanare» la richiesta impropria di eutanasia attraverso un intervento forte a favore delle terapie palliative. Vorremmo che nessun malato dovesse mai chiedere di morire e che si sentisse realmente accompagnato fino all'ultimo, non soltanto sotto l'aspetto farmacologico (cioè con la somministrazione di tutti i farmaci di cui c'è attualmente disponibilità), ma anche dal punto di vista dell'insieme delle cure caratterizzate anche dalla presenza dei familiari. Ciò potrebbe presupporre, dal punto di vista del lavoro, maggiore facilità in termini di rilascio di permessi a persone che assistono i propri cari nel momento in cui si approssima l'evento della morte.
Un altro aspetto importante che, come Commissione, sembra riguardarci da vicino è la prevenzione delle morti bianche.
La prevenzione di un evento che si verifica sul posto di lavoro impegna i responsabili ad applicare tutte le norme e le garanzie che possano davvero tutelare la vita dei lavoratori.
Ma, a nostro avviso, il tema delle morti bianche interpella questa Commissione anche perché rientra nel più vasto tema dell'educazione alla salute.
Se le persone fossero autenticamente consapevoli dei pericoli che corrono in un'attività piuttosto che in un'altra, e fossero quindi impegnate a essere i primi garanti della propria vita, probabilmente l'azione di contrasto che potrebbero esercitare nei confronti del datore di lavoro sarebbe molto più consapevole, ferma, chiara e - così mi figuro - anche molto più efficace.
Altro tema importante, a mio avviso, è quello riguardante i modelli di organizzazione nel campo della sanità. Non c'è dubbio che la qualità percepita dai pazienti, nel momento in cui entrano in ospedale o accedono a un servizio, è funzione dell'impatto organizzativo.
Troppo spesso ci troviamo davanti a modelli organizzativi burocratizzati, oppure tali da non rispondere alla mission specifica, consistente nella relazione di cura nei confronti del paziente.
Lo stesso concetto di aziendalizzazione applicato alla sanità, assieme a tutta questa serie di tagli non indifferenti che abbiamo visto nell'attuale DPEF, ci fa pensare alla realizzazione di risparmi impropri, che non possono sortire altro effetto che l'accentuazione dei livelli di costo.
Tra l'altro, sappiamo perfettamente che un paziente insoddisfatto comincia quella che chiamiamo la «migrazione interna», spostandosi da un ospedale all'altro, da un servizio all'altro, con la necessità di rifare le analisi e con l'insorgere di stress, l'accumularsi di tensioni, il sommarsi di pareri diversi forniti dai sanitari. E tutto ciò avviene solo perché il primo servizio non è stato in grado di garantire al paziente che ciò che lo riguarda, ossia la sua richiesta in termini di qualità di vita e di salute, è stato preso adeguatamente in considerazione.


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Ci sembra che esista un grande filone, in tema di etica e management, che non può essere ignorato. Sicuramente esistono le questioni eticamente sensibili, ma esiste anche un problema etico importante rappresentato dal modello organizzativo offerto.
Si deve riconoscere la centralità del paziente, in modo che sia la struttura sanitaria a girare intorno al paziente e non viceversa.
Simbolicamente, faccio riferimento a un evento che tutti abbiamo in mente: il paziente che si porta dietro la cartella medica, mentre va da un ambulatorio all'altro per le visite specialistiche.
Non è lui che deve fare da filo conduttore di questo processo; al contrario, sono gli interventi che debbono ruotare intorno a lui, tra l'altro risparmiandogli l'ansia e l'angoscia delle contraddizioni tra i diversi pareri che gli vengono forniti.
Sto parlando di un intervento che non è solo di razionalizzazione economica, ma che può portare anche a quest'ultima, in quanto, come minimo, riduce i duplicati, riducendo anche quelle sensazioni di abbandono che il paziente spesso sperimenta.
Si tratta, in definitiva, di una bella sfida da assumere che, fra l'altro, proprio in questo momento, potrebbe portare a mio avviso anche vantaggi sotto il profilo del risparmio economico.
Un altro punto che a me sembra importante è quello che riguarda le cosiddette malattie mentali e, dunque, una riflessione sulla legge 13 maggio 1978, n. 180. Da un lato abbiamo il necessario e giusto lavoro di riflessione su una legge che, come altre, compie ormai trent'anni; dall'altro lato abbiamo i problemi concreti posti dalle famiglie dei malati mentali: problemi seri, importanti, poiché alla fin fine sono proprio le famiglie che si assumono il carico maggiore.
Ebbene, si tratta di conservare lo spirito della legge n. 180 del 1978 (che in qualche modo includeva il paziente e non lo escludeva) cioè di una legge che voleva essere contro quella particolare forma di marginalizzazione rappresentata dall'ospedalizzazione. Ricordo che a Santa Maria della Pietà c'erano pazienti ricoverati da talmente tanti anni che non si sapeva nemmeno più quando fossero entrati e di che tipo di patologia avessero originariamente sofferto!
Mi sembra che, da questo punto di vista, occorra ripensare la legge n. 180 del 1978 in termini di moderne acquisizioni farmacologiche, filosofiche e di cultura del lavoro e dell'inserimento, riesaminando il significato del rapporto tra paziente e mondo del lavoro e di una possibile ergoterapia intelligentemente progettata e realizzata. Occorre soprattutto, tenere conto che per queste malattie abbiamo due grandi filoni: quello che chiamiamo la «piccola patologia psichiatrica», costituita da crisi di ansia e depressione, che può anche risolversi; e quello che nella stragrande maggioranza dei casi, invece, tende a cronicizzarsi. Ebbene, mi sembra che la cronicità richieda un'attenzione del tutto particolare, in termini di rispetto della qualità della vita, della dignità anche dei professionisti, della progettazione di spazi, luoghi e modelli di intervento.
Credo che la vita e la salute mentale, nel momento in cui intercettano bisogni di salute e dinamiche familiari, potrebbero meritare un'attenzione davvero forte in questa legislatura.

DONATA LENZI. Mi ricollego a quanto affermato da alcuni colleghi, aggiungendo qualche osservazione, dal momento che, essendo ormai arrivati al terzo incontro o più, ci troviamo di fronte ad alcune modifiche importanti, per esempio, rispetto al decreto-legge n. 112 del 2008. Credo pertanto che il suo intervento, signor Ministro, vada aggiornato.
Diversi di noi hanno fatto notare la mancanza della parte sociale nella sua relazione introduttiva, sollevando inoltre perplessità rispetto all'impostazione del Ministero, così grande e così complesso. Pur riconoscendo l'autonomia del mondo della sanità, nonché il peso e l'importanza di questo settore, confesso che mi ha sempre lasciato perplessa il fatto che questo sia il Ministero caratterizzato dalla


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maggiore spesa corrente per cui, in genere, diventa oggetto di particolare attenzione da parte dell'Economia. Quindi, un Ministro che svolge un ruolo in quelle tre materie così importanti deve essere un interlocutore «duro» nel confronto con il Ministero dell'economia e delle finanze, che mantiene il controllo e governa i cordoni della borsa.
D'altra parte, avendo ricoperto il ruolo di assessore, casualmente, in tutte e tre le materie, vedo anche grandi potenzialità, se però si riesce ad avere una visione comune, di collegamento, di ciò che unisce. E questo avviene nel momento in cui si mette al centro la persona.
Lei prenda la situazione della persona disabile, che intreccia il settore del lavoro (in tema di inserimento nel mondo del lavoro) e quello contributivo - il tema assistenziale - con annesse le questioni relative alle pensioni e alle revisioni. Concordo - per inciso - con alcune considerazioni espresse dall'onorevole Porcu, insieme al quale, nel precedente mandato, in Commissione lavoro, abbiamo condotto una battaglia per l'aumento, sacrosanto, delle pensioni di invalidità. A tutto ciò si intreccia anche la cura, poiché la disabilità e la malattia conclamata non escludono conseguenze di riabilitazione, di intervento e via dicendo.
In questo spazio, ciò che dà forza, senso e significato ad una delega come la sua è la capacità di vedere l'interconnessione. L'ambito del sociosanitario, di conseguenza, sembrerebbe meritare un qualche approfondimento.
Riguardo alle malattie croniche, sappiamo che è vera la tendenza dei nostri ospedali, anche in base al DRG e agli obblighi che ne conseguono, a ridurre sempre di più le giornate di degenza. Sappiamo anche che non dappertutto esiste, sul territorio, un sistema in grado di farsi carico dell'assistenza. Pur avendo molto rispetto di quelle che noi chiamiamo le «badanti», la persona che esce da un ospedale ha bisogno di un intervento un po' più complesso, di una serie di terapie, di cure e quant'altro. Ebbene, questo settore, come tutti quelli in cui si intrecciano le competenze, merita ulteriori approfondimenti, interventi e finanziamenti.
Un altro punto che mi è venuto in mente ascoltando la collega Binetti riguarda il tema della legge 22 maggio 1978, n. 194 e dei consultori. La questione non sta solo nella necessità di ricollocare l'intervento del consultorio in pieno accordo con lo spirito della legge, quanto nel rendersi conto che far ciò non è del tutto possibile nel momento in cui il consultorio è sanitarizzato.
Si è creata una frattura nel momento in cui i consultori sono divenuti strutture sanitarie, con la perdita di quelle competenze sociali che oggi al loro interno non sono più presenti.
Se la donna vive un problema economico, la struttura del consultorio non prevede la figura professionale in grado di farsene carico. Non può essere il medico, il ginecologo o lo psicologo, a farsi carico della parte sociale.
Solo se siamo capaci di costruire all'interno del consultorio figure professionali in grado di farsi carico di tutto l'intervento, siamo anche in grado di rispondere alla prevalente componente sociale che incombe quando si ricorre alla scelta dell'aborto.
Quindi, il sociosanitario e il sociale come temi su cui lavorare ancora, su cui trovare interventi in una logica di sistema, pur sapendo che si tratta di materie regionali.
Mi rendo conto che la difficoltà sta anche nel fatto che il quadro va definito su materie che la nostra Costituzione ha assegnato alle regioni, pur tuttavia vedo che questo Governo, quando vuole, incide anche in maniera rilevante sulle competenze regionali, adoperando lo strumento economico.
Lo dico perché ho appena letto la versione nuova dell'articolo 79 del decreto-legge n. 112 del 2008 in cui si prescrive che, se non si trova l'accordo, comunque si seguono certe linee, si riducono i posti letto, si operano modifiche di sistema e così via. Non sono assolutamente in grado, avendolo appena scorso, di scendere nei


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dettagli; tuttavia, nel provvedimento scorgo un federalismo con un'impronta molto direttiva.
Si tratta di una scelta sulla quale non posso che esprimere qualche perplessità, soprattutto in relazione al riconoscimento dell'autonomia delle regioni nell'organizzazione della sanità e della necessità, quindi, di valorizzare i momenti di concertazione rispetto a quelli di decisione.
L'ultima osservazione mi viene suggerita dalle modifiche delle norme che riguardano l'INAIL e la possibilità di quest'ultimo di investire.
Lei signor Ministro conosceva molto bene il piano del 2005, perché in realtà era nato all'interno del Ministero del welfare, con l'allora Ministro Maroni.
Esso ha avuto una attuazione molto parziale, poiché è stato ad ogni Finanziaria rimesso in discussione.
Il problema forse maggiore che l'INAIL ha sofferto è che ogni anno abbiamo cambiato il quadro e le regole, con una notevole difficoltà applicativa, peraltro, da parte dell'Istituto. L'Istituto, dal punto di vista finanziario, è quello - diciamo - messo meglio all'interno del grande blocco degli istituti previdenziali ed è sempre oggetto di notevole interesse da parte del Ministero dell'economia e delle finanze. Ormai possiamo dire che esiste un'attrazione di quelli che dovrebbero essere fondi destinati prevalentemente a coprire gli infortuni sul lavoro.
Ho visto che si è operata una riapertura, sia pure per un importo molto limitato: qui si scontrano diverse necessità e io vorrei chiederle la sua idea sul ruolo che l'INAIL dovrebbe ricoprire.
Per anni si è riscontrata una richiesta di intervento anche in sanità; all'interno della programmazione di investimenti che era stata compiuta, si rinviene una notevole presenza di opere sanitarie. Personalmente ritengo queste ultime più giustificabili rispetto a quelle, per esempio, riguardanti i campus universitari, che chiaramente rappresentavano un'operazione di sostegno a un altro settore della spesa pubblica. Gli investimenti nelle opere sanitarie avevano, infatti, una maggiore vicinanza a quelli che possono essere considerati gli obiettivi dell'Istituto.
È chiaro, tuttavia, che 75 milioni di euro su base nazionale corrispondono a poco più di due strutture, stimando approssimativamente.
Dall'altro lato sussiste la necessità di rimettere mano a tutto il tema degli infortuni sul lavoro, con una visione unitaria e complessiva, a proposito della quale vorrei chiedere una maggiore puntualizzazione.

PRESIDENTE. Essendo così conclusi gli interventi, do ora la parola al Ministro Sacconi per la replica.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Signor presidente, ringrazio - e non per mera formalità - tutti coloro che sono intervenuti.
Da tutti gli interventi, nessuno escluso, ho tratto indicazioni che certamente mi saranno utili. Riconosco che anche i rilievi critici possono avere talora un fondamento, in relazione anche all'operazione di contenimento della spesa, che è stata resa necessaria dalle condizioni più generali dell'economia, di cui brevemente dirò.
Prima di tutto, voglio formulare un'osservazione per quanto riguarda, ancora una volta, il tema dell'unico Ministero e dell'unica direzione politica per le funzioni che riuniamo sotto la definizione di welfare.
Non si è trattata di una libera scelta da parte del Governo. Lo sottolineo a chi suggeriva che, a tal proposito, la legge Bassanini, in realtà, non imponesse un vincolo. La controprova è che, se avessimo voluto fare diversamente (come decise di fare nel 2001 il secondo Governo Berlusconi), sarebbe stato necessario adottare un provvedimento legislativo, cioè operare una cesura rispetto alla legislazione vigente al momento dell'avvio del Governo.
In ogni caso, non ho mai voluto nascondere questa scelta dietro il motivo - peraltro non secondario - della legge vigente. Penso, infatti, che, attualmente,


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nelle concrete condizioni date di questo Paese, l'unicità di direzione politica possa presentare una serie di utilità, che comunque debbono essere, a mio avviso, valorizzate. Vedremo, nel corso della legislatura stessa, se sarà il caso di muoversi diversamente.
La riorganizzazione dell'amministrazione, che sto cercando di promuovere anche con gli atti immediati che sono consentiti (ad esempio il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri) in attesa della revisione complessiva di queste amministrazioni, vuole preservare, come recita oltretutto un documento votato dalla vostra Commissione, l'autonomia funzionale delle stesse.
Penso che l'errore commesso dall'allora Ministro Bassanini - persona che per altri versi stimo - sia stato quello di concepire in modo rigido l'accorpamento delle funzioni di direzione politica. Diversamente, questo accorpamento può flessibilmente cambiare nel tempo. Può esserci una stagione nella quale - credo di averlo detto nella prima occasione - si intende comporre lavoro ed educazione, cosa che ha molto senso per gli investimenti in capitale umano. Ciò non significa mescolare le amministrazioni e rendere rigida e strutturale questa scelta.
Lo stesso criterio vale anche per l'attuale unica direzione politica. Quindi, rimangono le autonomie funzionali delle singole amministrazioni.
Segnalo, semmai, una prima utilità di questa unicità, che a mio avviso dovrebbe consistere nella ricomposizione, innanzitutto a livello della funzione di direzione politica, della politica sociale con quella sanitaria. Vi chiedo scusa se - in parte per una vera e propria dimenticanza - non ho parlato delle politiche sociali, pur conoscendo i limiti della loro dimensione nazionale, delle competenze stesse del Governo e dello Stato nei loro riguardi. Tuttavia, penso che sia fondamentale la ricomposizione tra politiche sociali e politiche sanitarie.
Se ho ben capito l'onorevole Lenzi diceva che ha maturato l'esperienza in tre assessorati diversi. Ebbene, spesso i tre assessorati diversi...

DONATA LENZI. No, io ero in uno solo.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. A maggior ragione sono contento: stavo per osservare che spesso i tre assessorati diversi, come i tre Ministeri diversi (o quantomeno i due Ministeri diversi), sono il frutto dei governi di coalizione. Si tratta di una caratteristica tipica dei governi di coalizione, volta a bilanciare le diverse componenti del Governo. Uno dei vantaggi che credo debba essere offerto dal bipartitismo tendenziale, deve essere quello di non dividere ciò che, invece, opportunamente deve rimanere integrato.
Colgo l'occasione per esprimere una considerazione generale sulle politiche sociali. Non è possibile non notare che nei territori esiste un terribile florilegio, per niente affatto virtuoso. Si rileva un'enorme confusione per quanto riguarda le politiche sociali, non solo nelle diverse aree geografiche, bensì da comune a comune, anzi da micro comune a micro comune.
Invece, il fenomeno deve essere portato a ricomposizione - per criteri quanto più omogenei, ferma restando l'autonomia con la quale ciascuna entità amministrativa si adatta ai bisogni del proprio territorio - soprattutto per evitare sprechi che, credo, nella dimensione delle politiche sociali siano ancora superiori a quelli che si riscontrano nelle situazioni più inefficienti delle stesse politiche sanitarie. Al netto della programmazione dei flussi migratori, credo che le attività relative alle politiche sociali dovranno trovare, anche nella direzione centrale, una ricomposizione - ribadisco ancora il concetto - con le politiche sanitarie.
La seconda opportunità di questa direzione politica unica risiede proprio nel rapporto tra questa grandissima area della spesa - per lo più corrente - e la gestione del Ministero dell'economia.


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Ho potuto constatare positivamente l'utilità di un'unica direzione politica, che non ha rappresentato un handicap nel quadro dell'usuale e istituzionale dialettica che si instaura tra la visione complessiva del Ministero dell'economia e delle finanze e questa importantissima dimensione della spesa.
Abbiamo dovuto affrontare una manovra economica particolarmente impegnativa, perché partiamo da una considerazione molto preoccupata di ciò che ci può attendere. Nessuno ha certezze circa il nostro futuro.
Tuttavia, come è noto, le nostre stesse fonti istituzionali, come il Governatore della Banca d'Italia, pensano che sia nell'ordine delle cose possibili una recessione complessiva dell'economia mondiale. Probabilmente non ci sarà un punto di rottura, un crack, come quello del 1929, ma, quando già le autorità internazionali stesse parlano della peggiore crisi del dopoguerra, ciò significa che esse fanno riferimento proprio a quell'appuntamento precedente della storia.
Oggi, per fortuna, l'evidenza di una crisi non sarebbe la stessa di allora, non si manifesterebbe nello stesso modo; tuttavia, come dicevo, una recessione indotta da un circolo vizioso che parte dall'aumento della domanda delle materie prime, soprattutto energetiche, e che può arrivare alla sottocapitalizzazione delle banche, alla loro impossibilità di erogare credito e a conseguenze pesantemente recessive, è nell'ordine delle cose possibili.
In relazione a questa possibilità, che non è certezza, abbiamo ritenuto necessario anticipare la manovra economica e dare ad essa una forte valenza triennale (non formale: nei documenti di bilancio, la proiezione triennale è spesso burocratica, mentre in realtà è sempre prevalsa una logica essenzialmente annuale), per far sì che in una pesante turbolenza - oltre tutto di tipo strutturale - dell'economia globale, il nostro Stato, si possa trovare in una condizione quanto più solida possibile, in cui sia stata rimossa quanta più parte possibile delle condizioni di debolezza in cui notoriamente versiamo, a partire dal grande debito pubblico, che ogni qual volta viene deciso l'incremento dei tassi dalla Banca Centrale Europea, ci fa tremare per le conseguenze che queste immediatamente hanno sul servizio del debito pubblico.
Questi incrementi valgono, ogni volta, una «manovrina»: un quarto di punto ha un'incidenza ben nota, stimabile, come sapete, attorno al miliardo di euro.
La manovra, come sempre in questi casi, è molto opinabile. È opinabile che cosa si debba considerare «zavorra», per evitare che, di fronte a una grave turbolenza, la nave affondi. Quando si buttano cose a mare per alleggerire il carico, si buttano anche cose molto utili, addirittura necessarie. Si va oltre l'inutile, che non è così immediatamente distinguibile e individuabile. Probabilmente, molte di quelle scorte e dotazioni che, in condizioni normali, appaiono essenziali, in condizioni eccezionali devono essere messe da parte, per reggere la rotta in una situazione di grande difficoltà.
Nei prossimi giorni convocheremo un tavolo con le parti sociali per condividere questa navigazione, nella convinzione che si tratti proprio di un percorso particolarmente accidentato.
In questo contesto, sono soddisfatto che si sia compiuta una scelta precisa, cioè quella di conservare innanzitutto il Patto per la salute nel suo compimento del biennio 2008-2009. Il Patto per la salute è stato mantenuto tale e quale, in un contesto che ha visto un taglio della spesa corrente pressoché generalizzato. La spesa sanitaria, per quanto riguarda il periodo di vigenza del Patto per la salute, è stata integralmente preservata. La manovra è zero per quanto riguarda il biennio 2008-2009. Parlo del 2008 perché, per altri aspetti della spesa, abbiamo agito anche sull'anno in corso.
Per quanto riguarda il biennio 2010-2011, vorrei ricordare che il trasferimento dal bilancio dello Stato al fondo sanitario nazionale si incrementa in valori assoluti. Tra il 2010 e il 2011 l'incremento è di quasi 5 miliardi di euro, il che non è poca cosa, nelle condizioni date.


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In dettaglio, l'incremento è pari all'1,262 per cento nel 2010 e al 3,582 per cento nel 2011. Ricordo che questo incremento, rispetto all'anno precedente, nel 2009 è del 2,95 per cento; nel 2010 dell'1,23 per cento e nel 2011 del 2,23 per cento.
Se lo riferiamo al tasso di crescita del PIL nominale, esso si attesta al 3,05 per cento nel 2009; al 3,18 per cento nel 2010 e al 3,13 per cento nel 2011.
Se guardiamo al PIL reale, il rapporto 2009 su 2008 è pari allo 0,9 per cento, quello 2010 su 2009 all'1,20 per cento e quello 2011 su 2010 all'1,30 per cento.
Quindi, non si tratta di un taglio; semmai, il taglio è rispetto alle aspettative, alle proiezioni, oppure a legislazione costante, o a comportamenti costanti. Credo, onestamente, di poter negare l'espressione «taglio» nel momento in cui constatiamo che si tratta di incrementi della dotazione del Fondo sanitario nazionale.
Ad ogni modo, come ho già ribadito, si completa il Patto per la salute per quanto riguarda il 2009. Mi auguro che la Conferenza Stato-Regioni di giovedì prossimo trovi un'intesa anche sui modi con cui evitare almeno quei ticket sulla specialistica depositati a legislazione vigente, per 830 milioni di euro.
Penso che ci siano le condizioni per raggiungere l'intesa, ma, dal momento che si tratta di un negoziato, non ne voglio adesso parlare esplicitamente. Comunque, esiste una comune volontà di leale collaborazione fra Stato e regioni, quantomeno sulla necessità di evitare una formula di compartecipazione che non ci sembra idonea. Altre forme di compartecipazione possono essere individuate, ma non questa, che non ci pare congrua.
In questo contesto, stiamo cercando di rafforzare la capacità di governo condiviso delle politiche regionali. Parlo di «governo condiviso» perché spero - l'ho già ribadito nella relazione - che si possano individuare anche modalità quotidiane di condivisione, non solo periodiche.
L'onorevole Turco ha parlato anche di rafforzamento dei gemellaggi. Io condivido assolutamente la necessità di investire ancor più nell'affiancamento di regioni forti a situazioni particolarmente deboli.
Abbiamo fatto, nel senso che è stata adottata dal Consiglio dei ministri, la delibera per il commissariamento della regione Lazio. La delibera, dunque, è già definita e definitiva. Si tratta solo di attendere l'arrivo del Presidente del Consiglio dei ministri, trattandosi di un atto di particolare rilevanza, deciso dal Consiglio dei ministri dopo aver audito lo stesso presidente della regione, che è stato designato Commissario.
Non si tratta di un atto indolore o di poco conto: la scelta del presidente della regione è, se volete, un atto di sensibilità politica, che, però, nulla toglie alla cesura tra la nuova e la precedente gestione. Per la politica sanitaria, infatti, vengono esautorati il Consiglio regionale e la Giunta regionale. Parliamo di larghissima parte della spesa della regione. Il Commissario opererà come Commissario di Governo e dovrà operare secondo le indicazioni che sono già state fornite nell'ambito della delibera.
Si tratta di indicazioni che corrispondono, peraltro, al piano triennale che era stato concordato con la stessa regione e che non rappresentava, quindi, un atto autoritativo.
Non abbiamo potuto accettare un'ipotesi di rimodulazione del piano di rientro, poiché se la avessimo accettata in questo solo caso, sarebbe venuta meno, se non altro, tutta la credibilità degli altri piani di rientro che sono oggetto di osservazione, in questo momento, per pervenire a determinazioni probabilmente di tipo analogo qualora si determinino le stesse condizioni che abbiamo verificato per la regione Lazio.
Il «pilota» deve avere anche una certa caratteristica di automaticità in questo caso, proprio perché non scattino valutazioni di ordine politico che possono far venir meno, magari a seconda delle caratteristiche della regione, la decisione da prendere. Al prodursi delle stesse condizioni, avverrà un analogo intervento.


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Torno per un attimo, se mi consentite, al Libro verde, solo per dire che è quasi pronto e che sarà presto consegnato anche, e soprattutto, alle vostre osservazioni. La formula sarà quella che ho detto.
Mi ha fatto piacere sentire espressi in numerosi interventi, in particolare - mi consentano i colleghi della maggioranza - in quelli di alcuni esponenti dell'opposizione, come le onorevoli Turco e Binetti, che pur hanno profili culturali diversi - gli stessi concetti, per la parte della visione generale, che sono da noi condivisi, la qual cosa mi lascia ben sperare.
La stessa condivisione ho avvertito in tutti gli interventi dei colleghi della maggioranza, per cui spero che sarà possibile condividere il prodotto della consultazione del Libro verde. Il Libro verde, insisto, è strumento di consultazione e di dialogo.
La visione condivisa non confonde maggioranza e opposizione: delimita il terreno di gioco, offre caratteristiche comuni al gioco dialettico tra maggioranza e opposizione.
Consente anzi all'opposizione, per certi aspetti, di cogliere contraddizioni, tra ciò che facciamo e il disegno al quale aspiriamo, che già nel dibattito in qualche modo sono apparse.
Ho ammesso che, inevitabilmente, procederemo a zig zag, in quanto, nel concreto dei problemi quotidiani, non sarà sempre possibile la piena coerenza.
Tuttavia, assegno forte importanza a un'operazione di condivisione che concorre alla coesione nazionale, in una stagione così difficile.
Il sistema al quale pensiamo e che descriveremo in quel documento, sarà certamente pubblico - o largamente pubblico - universalistico e solidale. Non so ancora se sarà equo, poiché l'equità non è data: è un obiettivo. Oggi, abbiamo un sistema che spesso vogliamo definire equo, eppure è il più iniquo che forse incontriamo nei paesi industrializzati.
Confido che il sistema verso il quale voglio andare, sostenuto dal federalismo fiscale (che sulla sanità e sulle politiche della salute si cimenterà principalmente), sarà un sistema più equo di quello che oggi conosciamo, nel senso che, innescando meccanismi di responsabilità, confido che potrà generare maggiore equità. Ma, ripeto, l'equità è un obiettivo e non un requisito dato.
Perseguiremo invece, questo sì, la parità di opportunità attraverso il meccanismo solidale. Tutte le amministrazioni regionali saranno poste nella condizione di raggiungere i livelli essenziali delle prestazioni, ma la realizzazione di questo obiettivo starà alla loro capacità.
Accanto alla definizione di un modello universalistico e solidale sottolineo anche quella di un modello selettivo, dal momento che l'indiscriminatezza dell'obiettivo non corrisponde a criteri di equità. L'equità impone un'ampia selezione degli obiettivi, nelle diverse condizioni territoriali.
Per quanto riguarda i livelli essenziali di assistenza, come ho detto, la Corte dei conti (com'era facilmente prevedibile) ha rimesso nelle nostre mani, per osservazioni, il documento sui LEA. Com'è noto, la Ragioneria generale dello Stato non ha «bollinato» questo documento, ritenendo che almeno per qualcosa di più di 800 milioni di euro, se non ricordo male, esso non sarebbe coperto. Invero, la Ragioneria ci conferma questa valutazione, in parte anche leggibile ictu oculi, dato l'ampliamento delle prestazioni ivi individuate.
Abbiamo deciso di dar vita ad un gruppo di lavoro molto agile, con gli assessori regionali alla sanità, per una lettura condivisa dei LEA, in modo da verificare, nelle condizioni date di finanza pubblica, che cosa possa essere riconosciuto come appartenente ai livelli essenziali.
Condivido molte delle osservazioni che sono state formulate sul Servizio sanitario nazionale, per quanto riguarda la nomina dei direttori generali e dei primari. Prendo l'impegno affinché nel corso di questa legislatura, quanto prima, si operi un intervento a tal riguardo. Le modalità attuali sono largamente insoddisfacenti. Non possiamo esimerci dal lavorare per una correzione, che mi auguro condivisa con le stesse regioni, per modalità che


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siano quanto più efficaci, ferma restando l'attuale struttura monocratica, anche se questa potrebbe essere accompagnata con un rafforzamento di meccanismi, quantomeno consultivi, del territorio.
Al tema dell'extramoenia dedicheremo uno specifico confronto parlamentare, anche disponendo di dati più completi e in un momento più vicino alla scadenza.
Credo, però, che non si ponga tanto un problema di deresponsabilizzazione delle regioni, quanto soprattutto un evidente problema di strutturale incapacità, da parte di molti territori, di realizzare le strutture richieste.
Ho personalmente ipotizzato la flessibilità, che non significa flessibilità assoluta: può trattarsi di una flessibilità che si determina entro determinati criteri. Questa è l'ipotesi su cui vorrei lavorare, ma - come ho detto - le nostre decisioni emergeranno da una verifica parlamentare.
Venendo all'argomento dei tagli, è vero che il Ministero dell'economia e delle finanze - o, più propriamente, l'insieme del Governo - ha compiuto la scelta di accantonare tutti gli investimenti e tutte le allocazioni di risorse recentemente decise dal precedente Governo, in particolare con il decreto «mille proroghe», concernenti spese non ancora attivate e aventi, quindi, l'utile caratteristica, a fini di contenimento della spesa, di non comportare interruzioni di un processo di spesa in corso.
Ammetto che quelle scelte, ovviamente, sono opinabili e tendenzialmente indiscriminate, ma ciò non significa che non si possano verificare (parliamo talora di risorse limitate, modeste rispetto al complesso) atti di recupero di alcune ragioni di spesa che erano state già previste e allocate.
Per quanto riguarda gli emoderivati, garantisco che, su tutta una serie di adempimenti e legislazioni relative alla loro disciplina, sono in corso gli atti d'implementazione.
Si rilevano solo alcuni problemi pratici e chiedo soltanto comprensione per il passaggio di amministrazione: confermo che sono in atto tutti gli adempimenti previsti dalla legge.
Se me lo consentite, sorvolerò su alcune argomentazioni.
È stato richiamato anche il tema delle biobanche: abbiamo chiesto una proroga al 28 febbraio e crediamo di dover ribadire questa scadenza. Se saremo in grado di risolvere il problema con maggiore tempestività - saremo ben lieti di farlo -, ma in questo momento ci serve questo tempo per individuare un'idonea soluzione che consenta di contemperare l'aspirazione di singoli a una conservazione per sé e per il proprio nucleo familiare, con esigenze di solidarietà che credo non possano e non debbano venire meno e che ovviamente già pratichiamo per quanto riguarda il sangue. Credo, in buona sostanza, che non ci si possa allontanare da una disciplina connessa a quella relativa alla gestione del sangue.
Per quanto riguarda la legge n. 194 del 1978 e la legge n. 40 del 2004, questo Governo (lo scriveremo chiaramente nel Libro verde) ha ovviamente un dichiarato favore per l'incremento della natalità e assegna alla famiglia un ruolo fondamentale.
Non a caso il Libro verde - ve lo ricordo - si intitola La vita buona nella società attiva. La società attiva è, innanzitutto, una società che presenta alti tassi di natalità, in quanto rimuove le ragioni del declino demografico.
In questo contesto, dalle considerazioni che ho sentito, mi sembra che possiamo tutti condividere la volontà di una piena attuazione della legge n. 194 del 1978.
Nessuno, intervenendo, ne ha chiesto la modifica e io per primo ho posto l'obiettivo di una piena e compiuta attuazione della legge. La piena attuazione riguarda i profili contenuti nei primi articoli (dobbiamo tutti riconoscerlo, largamente inattuali; valgono peraltro le considerazioni che ho sentito poco fa, riguardanti i consultori e la loro integrazione nelle strutture territoriali), ma anche la necessaria presenza di medici disponibili alla pratica dell'aborto, per evitare il prodursi dell'odiosa situazione di un rinvio che porta il drammatico momento dell'intervento a una fase temporale che diventa incompatibile


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non solo con la legge, ma anche con i valori da tutti riconosciuti. Quindi, è la compiuta attuazione della legge che si rende necessaria.
Per quanto riguarda la legge n. 40 del 2004, credo che debba esserci riconosciuta la cautela con la quale stiamo procedendo: se avessimo proceduto secondo un approccio ideologico, avremmo compiuto semplicemente una scelta immediata di ritorno alla precedente direttiva. Invece, stiamo compiendo una serie di verifiche, sia in punta di diritto, sia sul versante tecnico-scientifico.
Come è noto, esiste un'attesa, soprattutto da parte delle persone portatrici di malattie genetiche. Sussiste peraltro, a tal proposito, una contraddizione tecnica che riguarda il numero massimo di tre embrioni, laddove la situazione, in teoria, richiederebbe un numero ben più alto. Sto parlando in termini «terzi» rispetto alla norma. Non entro nel merito di convincimenti personali e anche collettivi, largamente presenti in questo Governo, che, com'è noto, sono di conferma della bontà della stessa legge n. 40 del 2004.
Vi faremo sapere a breve le nostre determinazioni. Ribadisco che stiamo esplorando fino in fondo i profili di carattere formale, anche con riferimento alle sentenze che sono state emesse in materia (probabilmente, interverrà anche una sentenza della Corte costituzionale) nonché ai profili - insisto - tecnico-scientifici.
Per quanto riguarda la natalità, mi sia consentita una considerazione: da «lavorista» condivido l'osservazione poco fa formulata dall'onorevole Binetti. Non si può non accorgersi dell'anomalia tutta italiana - della quale poco parliamo e per la quale ancora poco operiamo - che non ha eguali in nessun altro Paese, concernente il posticipo delle scelte responsabili di vita (su questo ho anche scritto un libro).
In nessun altro Paese europeo, nemmeno nella vecchia Europa, ci si laurea mediamente a ventotto anni e ci si sposa mediamente...

DELIA MURER. A trenta anni...

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Anche a trentaquattro anni! Assistiamo a uno spostamento in avanti delle scelte responsabili di vita e ciò è all'origine, a mio avviso, di una straordinaria pressione anche su tecniche opinabilissime dal punto di vista etico, per la riproduzione e via dicendo. Ma qui riscontriamo un'anomalia tutta e soltanto italiana. Questa è anche la spiegazione dell'intrappolamento di molti giovani ai margini del mercato del lavoro. Quando si entra nel mercato del lavoro attorno ai trenta anni (ventotto anni è l'età media di laurea, ma non per laurearsi in ingegneria o in medicina, bensì in scienza delle comunicazioni o in altri corsi simili), con una laurea debole e senza aver avuto il lavoro come parte del proprio processo educativo in alternanza all'apprendimento, certamente ci si pone in una condizione di assoluta marginalità. Ad essa Marco Biagi pensava, con la riforma dei contratti di apprendistato che aveva lo scopo di salvare una generazione che non è stata bruciata dalla stessa legge Biagi, bensì dalle gravi responsabilità del nostro sistema educativo, in particolare del nostro sistema universitario, accompagnate anche - mi sia consentito - da famiglie troppo distratte rispetto alle scelte educative dei loro figli, che avrebbero dovuto essere invece maggiormente indirizzati.
Tutto ciò influisce, poi, sul formarsi delle famiglie e sulla natalità. Si tratta di un problema serio, che solo noi soffriamo in tale misura.
Lo stesso consorzio AlmaLaurea non parla mai dell'età, che è la spiegazione di quelle fenomenologie che si producono nell'ingresso del mercato del lavoro e rappresenta dunque il tema fondamentale.
Condivido le osservazioni che più colleghi hanno formulato a proposito dalla legge n. 180 del 1978.
Questa deve essere la legislatura utile per compiere la sintesi di un ormai lungo periodo di esperienze e riflessioni.
Condivido i criteri di riferimento che poco fa l'onorevole Binetti ha utilizzato e


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sui quali anche altri colleghi (fra gli altri, mi pare, l'onorevole Ciccioli) avevano sollecitato una riforma.
Sono convinto che valuteremo insieme se procedere per iniziativa parlamentare, poiché mi auguro che questo possa essere un tema condiviso da tutti e che larga parte del Parlamento possa superare una sorta di dibattito ideologico che, a questo riguardo, in passato si è svolto.
Alla collega Bocciardo, che ha svolto un intervento, giustamente molto sentito, a proposito delle malattie rare, dico subito che condivido le sue preoccupazioni e le sue aspirazioni a una politica più effettiva. In fondo non mancano le risorse (ne parlavamo anche prima, all'ingresso) e mi ero documentato anch'io al riguardo. Purtroppo, sono diverse e anche numerose le fonti di finanziamento della ricerca su questo tema, ma abbiamo bisogno di fare «massa critica», di orientare quanto più possibile queste diverse fonti di finanziamento della ricerca, anche tramite più adeguati collegamenti nella dimensione internazionale, ove la rarità non è proprio tale. Si formano così dimensioni critiche che consentono di concentrare l'intervento.
Per quanto riguarda la dimensione sociale, devo dire onestamente all'onorevole Miotto che non ho condiviso il suo intervento (penso che lei lo dia per scontato, ma a me dispiace invece doverlo dire) per un'impostazione di fondo che mi è parso di cogliere. Se così non fosse, ne sarei ben lieto.
Ho captato una sorta di teorema sulle politiche sociali come variabile indipendente rispetto ai costi (e quindi alla spesa) nonché una specie di equazione - che contesto radicalmente - in base alla quale più si spende e più si corrisponderebbe ai bisogni.
Non credo che tale equazione valga, né per la politica della salute, né per le specifiche politiche sociali.
Credo che non possa esserci indifferenza alla spesa, non solo per ragioni di complessiva sostenibilità del sistema, ma anche per ragioni di efficacia della spesa stessa.
Si dimostra che ove la spesa sia tarata, giustificata o legittimata in relazione soltanto ai bisogni, normalmente non corrisponde alla fine ai bisogni stessi e prende invece altri rivoli: quelli dell'inefficienza che la collega della Lega ha così ben sottolineato (colgo l'occasione per dichiararmi d'accordo con l'insieme dell'articolato intervento di quest'ultima).
Mi rendo conto che in questo momento il fondo nazionale per le politiche sociali, non tanto nel 2009, quanto nel 2010 subisce un contenimento significativo. Non dimentichiamo, peraltro, che il contributo dello Stato copre, in fondo, il 10 per cento delle politiche sociali.
Ciò detto, io mi auguro di poter avviare un percorso di significativi interventi di riforma, soprattutto delle voci principali di queste politiche sociali, anche avvalendoci proprio dell'unicità di direzione politica. Penso alle considerazioni che sono state fatte in merito alla disabilità. Credo che l'inclusione nel mercato del lavoro dei diversamente abili, soprattutto di quelli più gravi, sia una risposta fondamentale.
Abbiamo voluto dare una possibilità in più, riproducendo l'articolo 14 della legge Biagi senza togliere l'altra modalità che, in base al protocollo welfare, il precedente Governo aveva introdotto. Faccio riferimento a quello che è stato definito «modello Treviso», vale a dire la possibilità di includere i diversamente abili, soprattutto quelli più gravi, nel mercato del lavoro attraverso l'impiego di cooperative sociali di tipo B che, a loro volta, impiegano persone in condizione di forte disabilità.
Si tratta di un modello, organizzato da alcune cooperative legate alla Confcooperative e alla CISL, che ha funzionato, seppure con volumi relativi. Ma allora mi chiedo perché non consentire più pedali, di fronte al sostanziale fallimento per le condizioni più gravi, delle possibilità di inclusione offerte dalla legislazione tradizionale?
Stiamo inoltre pensando a un piano per la non autosufficienza che comprenda la rivisitazione degli strumenti attuali (l'assegno


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di invalidità, l'indennità di accompagnamento) nonché l'attivazione anche di un ruolo delle parti sociali.
Voi sapete che, già in alcuni ambiti, l'organizzazione privata della domanda, attraverso la contrattazione collettiva e le organizzazioni rappresentative dei lavoratori e degli imprenditori, ha generato alcune significative esperienze. Per esempio, esiste l'assicurazione di long term care, che ANIA, CGIL, CISL e UIL hanno sottoscritto per i dipendenti del sistema assicurativo, che garantisce una rendita di mille euro al mese nel momento del formarsi di una condizione di non autosufficienza nel nucleo familiare. Questa è una buona pratica, una positiva esperienza alla quale guardare come strumento integrativo.
Il problema, come sappiamo, nel caso della non autosufficienza è quello di far convergere più attori e più strumenti intorno a un obiettivo che deve essere assolutamente riconosciuto come prioritario.
Presenteremo presto alcune proposte, proprio con riferimento ai diversi profili delle politiche sociali, integrate con le politiche della salute.
Per quanto riguarda l'invalidità, l'onorevole Porcu ha svolto un intervento per molti aspetti condivisibile. Alla base di esso, non posso non riproporre l'esigenza di una maggiore selezione di questa platea, alla quale ci stiamo dedicando.
Esiste una contraddizione evidente, o una spiegazione della contraddizione: la pochezza dell'integrazione del reddito è data dall'ampiezza della base dei percettori.
L'INPS, su cui oggi grava una forte responsabilità, ha operato bene ottenendo risultati molto positivi. Dobbiamo selezionare quanto più questa platea ed evitare che entrino in gioco criteri di carattere socioeconomico, che non possono avere rilevanza per questo tipo di strumento (anche se ce l'hanno per altri strumenti). Non può essere confuso, lo strumento, con considerazioni sul contesto territoriale. Questo strumento deve essere ricondotto alla sua funzione. Pertanto, la stessa selezione della platea è importante e fondamentale per poter pensare a un innalzamento delle prestazioni.
Il tema dell'INAIL è evidentemente aperto. Sia chiaro: i 12 miliardi di euro accumulati (che oramai stanno diventando 13), non sono tutte risorse che, pur costituendo un avanzo di gestione, bisognerebbe spendere per nobili e pure finalità. Esistono anche le riserve matematiche. Non dimentichiamo che, per quanto pubblica, si tratta pur sempre di una compagnia di assicurazione.
Certamente il fatto di avere portato le entrate nella tesoreria unica, conferisce ad esse una rigidità particolare, per cui ogni spesa (anche la più modesta, ancorché teoricamente coperta da questa disponibilità) in realtà deve trovare specifica copertura, in quanto si tratta di entrate che sono introitate dal bilancio dello Stato.
Rimangono aperti tanti problemi su questo tema: quello degli investimenti e certamente condivido le osservazioni dei colleghi che lo hanno sollevato; quello delle rendite e degli indennizzi; quello di più efficaci politiche di sostegno alle persone colpite da infortunio o malattia professionale, inclusa la possibilità di accompagnarli a un ritorno nel mercato del lavoro.
Per quanto riguarda gli investimenti, condivido la priorità di investimenti compatibili con la funzione dell'ente. Quantomeno questa deve essere una ancor più robusta priorità, tale da conferire una logica all'investimento stesso.
Abbiamo deciso di mantenere l'autonomia dell'INAIL, in cui probabilmente confluirà anche l'Ipsema (Istituto di Previdenza per il Settore Marittimo) e, anche se ci stanno proponendo ipotesi diverse per la gente di mare, propendo proprio per questa soluzione.
Presto comunicherò al Parlamento una definitiva scelta a questo proposito.
Non a caso stiamo procedendo a commissariare l'Ipsema: lo facciamo per chiarire che l'INAIL sarà un ente esperto le cui funzioni dobbiamo ancor più valorizzare, anche con qualche disponibilità di risorse.


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Non ultimo per importanza, cito il problema della diminuzione del premio, soprattutto se questa possa esplicarsi ancor più nella formula bonus malus, per sostenere le politiche di sicurezza nel lavoro.
Chiedo scusa a coloro le cui considerazioni ho trascurato. Sono in ogni caso, com'è mio dovere, a disposizione della Commissione in ogni momento nel quale si ritenesse utile un confronto, non solo sulle cose fatte ma anche su quelle da fare, quindi anche preventivo.
Credo che davvero, per tante ragioni, si possano ritagliare spazi di condivisione, a partire da quelli - come ho detto e auspicato - relativi alla visione complessiva.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro per questa sua esauriente replica nonché per la disponibilità dimostrata nei riguardi della Commissione, che, come ho già sottolineato, rappresenta uno snodo importante per le politiche sociali, della famiglia, della gioventù e della salute su cui ci dovremo confrontare in questa legislatura, in maniera spero proficua, nell'interesse di tutti.
Sicuramente avremo modo di ritornare su alcuni dei problemi oggi trattati, man mano che il programma della nostra Commissione si svilupperà in relazione anche ai provvedimenti di iniziativa del Parlamento e del Governo.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,55.

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