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Commissioni Riunite (Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e V Camera)
AUDIZIONE
INDAGINE CONOSCITIVA
1.
Lunedì 22 novembre 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

La Loggia Enrico, Presidente ... 3

Audizione di rappresentanti del Sindacato unitario nazionale inquilini e assegnatari (SUNIA), del Sindacato inquilini casa e territorio (SICET), dell'Unione nazionale inquilini ambiente e territorio (UNIAT-UIL) e dell'Unione inquilini, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292) (ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati):

La Loggia Enrico, Presidente ... 3 4 6 7 8 9 10 12
Barbieri Daniele, Segretario nazionale del SUNIA ... 8 10 11
Barbolini Giuliano (PD) ... 7 8
Chiriaco Francesco, Segretario generale del SUNIA ... 3
D'Ubaldo Lucio Alessio (PD) ... 8 11
De Cesaris Walter, Segretario nazionale dell'Unione inquilini ... 9 10
Franco Paolo (LNP) ... 11
Pascucci Fabrizio, Presidente dell'UNIAT-UIL ... 6 7 8 10
Petterlin Massimo, Segretario generale delSICET ... 4 9
Vitali Walter (PD) ... 11

Audizione di rappresentanti del Coordinamento unitario della proprietà immobiliare (Arpe, Federproprietà, Confederazione della piccola proprietà immobiliare-CONFAPPI e Unione piccoli proprietari immobiliari-UPPI) e di Confabitare-Associazione proprietari immobiliari, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292) (ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati):

La Loggia Enrico, Presidente ... 12 15 16 17 19
Anderson Massimo, Presidente di Federproprietà ... 17
Barbolini Giuliano (PD) ... 17
Carini Giacomo, Presidente dell'UPPI ... 15 16 17 18
Notari Alessandro, Responsabile del Centro studi fiscale nazionale di Confabitare-Asso-ciazione proprietari immobiliari ... 12 15
Troilo Gabriele, Delegato dellaCONFAPPI ... 18
Vitali Walter (PD) ... 17
Zanni Alberto, Presidente nazionale di Confabitare-Associazione proprietari immobiliari ... 12

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292) (ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati):

Franco Paolo, Presidente ... 19 23 25
Barbolini Giuliano (PD) ... 23
D'Ubaldo Lucio Alessio (PD) ... 23
Merola Federico, Direttore generale del-l'ANCE ... 19 23 25
Zandonà Marco, Direttore dell'area fiscalità edilizia dell'ANCE ... 19 23

Audizione di rappresentanti dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL), nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292) (ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati):

La Loggia Enrico, Presidente ... 25 31 34 39
Barbolini Giuliano (PD) ... 33 39
D'Ubaldo Lucio Alessio (PD) ... 32
Ferrari Giuseppe Franco, Presidente dell'IFEL ... 25 39
Ferri Andrea, Consulente scientifico dell'IFEL ... 29 37
Scozzese Silvia, Direttore scientificodel-l'IFEL ... 26 34 39
Vitali Walter (PD) ... 32

ALLEGATI:
Allegato 1
: Documentazione consegnata dai rappresentanti di SUNIA, SICET e UNIAT-UIL ... 40
Allegato 2: Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'Unione Inquilini ... 42
Allegato 3: Documentazione consegnata dai rappresentanti di Confabitare-Associazione proprietari immobiliari ... 45
Allegato 4: Documentazione consegnata dai rappresentanti del Coordinamento unitario della proprietà immobiliare (Arpe-Federproprietà, CONFAPPI e UPPI) ... 63
Allegato 5: Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'ANCE ... 75
Allegato 6: Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'IFEL ... 86

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Seduta del 22/11/2010


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...
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE ENRICO LA LOGGIA

Audizione di rappresentanti dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL), nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5 del regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione di rappresentanti dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL), nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292).
Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della relazione.

GIUSEPPE FRANCO FERRARI, Presidente dell'IFEL. Rivolgo alcune parole introduttive e poi lascio parlare gli autori effettivi del documento che abbiamo consegnato.
IFEL esprime compiacimento per la parte del lavoro che riguarda l'attuazione dell'articolo 119 e, in particolare, i decreti attuativi della legge n. 42. Tale lavoro chiude un ciclo di più di trent'anni, durante i quali si è cercato di riattivare l'autonomia in luogo dei trasferimenti.
Nutriamo, però, anche alcune preoccupazioni in ordine alle modalità, soprattutto sul periodo transitorio 2011-2014, cioè fino al momento in cui la nuova imposta municipale, comunque vorrà essere chiamata alla fine, verrà attivata a regime.


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Pensiamo, infatti, che la transizione possa essere faticosa e che possa creare squilibri e difficoltà attuative soprattutto in un periodo come questo, in cui al Patto di stabilità per i comuni maggiori e per le province si aggiungono tagli che, di fatto, dovremmo riassorbire attraverso l'emersione e l'eliminazione dell'evasione fiscale.
Si tratta di una battaglia sulla quale i comuni negli ultimi anni si sono impegnati fattivamente, ma i cui risultati attuali presentano margini di aleatorietà. Si teme, non soltanto da parte di IFEL, ma di tutto il mondo delle autonomie locali, la possibilità di gravosi inconvenienti, soprattutto negli anni 2011-2013, ossia nel triennio di prima applicazione.
Per il resto stiamo lavorando, come la Commissione già sa, attivamente, nonostante manchino ancora alcuni elementi di perfezionamento formale, sul terreno dei costi standard. Tale terreno rappresenta il dies a quo, ovvero il momento di arrivo dell'andata a regime.
Credo che sul dato tecnico i dottori Scozzese e Ferri possano fornire all'illustrissima Commissione tutti gli elementi, anche quantitativi, necessari per una piena comprensione della nostra posizione.

SILVIA SCOZZESE, Direttore scientifico dell'IFEL. Buonasera e grazie per l'opportunità di discutere del provvedimento in oggetto in questa sede.
Come accennava il professor Ferrari, per noi, dal punto di vista istituzionale, questo è un nuovo avvio di un percorso di autonomia dei comuni.
Come sapete, dopo le riforme che un decennio fa hanno visto protagonisti i comuni, con il riconoscimento di maggiore autonomia ma anche di responsabilità fiscale, quindi sotto questo aspetto con un rapporto diretto tra amministratori e cittadini, ci eravamo un po' fermati su questo percorso. Quella che doveva essere la dinamica dell'addizionale IRPEF aveva visto una battuta d'arresto perché era rimasta una compartecipazione legata ai trasferimenti. Il riordino dei trasferimenti e, quindi, tutto il percorso delle aspettative di equità dal punto di vista delle risorse disponibili si era a sua volta arenato e l'eliminazione dell'ICI sulla prima casa aveva segnato una battuta definitiva di arresto.
Ora si verifica un ritorno al tema e una sostituzione di autonomia con la finanza derivata, che, dopo alcuni anni, è stata addirittura ridotta nella quantità, cioè nei trasferimenti, un'iniziativa sempre un po' scioccante per gli enti locali. Il Patto di stabilità ha un suo valore e propri criteri, con i quali contribuisce al risanamento della finanza pubblica, ma il discorso del taglio e della riduzione delle risorse è sempre un elemento che incide sulla carne viva dei comuni.
Questa è, dunque, una ripartenza, in base ai principi della legge n. 42, che vede assegnare ai comuni tutte le basi imponibili. Immagino, quindi, una riforma che comporti l'attribuzione di tutti i gettiti che si formano sul territorio riferibili alla tassazione del patrimonio immobiliare, non a soggetti passivi che oggi sono soggetti IVA - tutto ciò che è IVA rimane fuori - ma a una razionalizzazione di cespiti che oggi paghiamo sia come ICI residuale non prima casa, sia come IRPEF a scelta del contribuente, quindi con la cedolare secca, sia con altri tributi che riguardano i trasferimenti immobiliari, tanto quelli ipotecari e catastali, quanto le vere e proprie imposte patrimoniali sugli immobili non prima casa.
È una scelta della legge n. 42, però la prima osservazione è che rimane l'effetto di eliminazione dell'ICI prima casa e, quindi, un'impostazione in cui il rapporto tra il comune e il cittadino è con i non residenti. È un rapporto con categorie commerciali e industriali ma, dal punto di vista delle famiglie, con i non residenti. È ovvio che non viene reintrodotto, se non per quanto riguarda una parte veramente limitata dei trasferimenti, il rapporto con il cittadino residente.
Per quanto riguarda il contenuto di questo provvedimento, è prevista una prima fase transitoria, dal momento che si tratta di una rivoluzione, in quanto si sostituiscono trasferimenti erariali con imposte o devoluzioni di imposte.


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Nel provvedimento la fase transitoria è prevista fino al 2013, ma potrebbe essere anche un po' più ampia, perché la vera e propria dinamica si avrà quando sarà pronto il fondo perequativo previsto dall'articolo 13 della legge n. 42, che immagina di ricalcolare tutti i fabbisogni standardizzati dei comuni. Una volta stabiliti i fabbisogni standard, occorrerà elaborare per le funzioni fondamentali un'attribuzione in base ai fabbisogni standard e per le altre funzioni la perequazione delle capacità fiscali.
La chiusura del percorso avviene inevitabilmente in questo momento e la fase transitoria vede, attraverso un fondo, il passaggio da un sistema fondato sui trasferimenti e, quindi, spettanze calcolate in base ai criteri che voi conoscete meglio di me, essendo tutti conoscitori di questa materia, alla loro sostituzione con un gettito che si crea sul territorio e si riferisce ai cespiti che abbiamo descritto prima, ma che, in un primo momento, in base ad accordi di Conferenza, verrà ripartito in base a criteri quali la lotta all'evasione e ai primi risultati dei fabbisogni standard.
La riforma sposterà, quindi, alcuni elementi dalla cosiddetta spesa storica alla nuova autonomia, ma il completamento di tutto il percorso - non si citano la capacità fiscale e tutti gli altri elementi che dovranno essere valutati - viene completato con il vero e proprio fondo perequativo della legge n. 42.
Per i piccoli comuni c'è l'apertura a una semplificazione di questo sistema. Considerate che effettivamente su 8.000 comuni la maggior parte numericamente è composta da centri con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti. Evidentemente per questa fascia di comuni bisognerà individuare in quella sede modalità più semplici e forfettizzate per individuare o garantire questo passaggio.
Il primo tema di attenzione su questo primo triennio è quello della quantificazione delle risorse. Dato che poi tutto dovrà essere compiuto nel rispetto dei saldi programmati di finanza pubblica, da questo fondo bisognerà togliere nel 2011 il taglio ai trasferimenti varato con il decreto legislativo n. 78 e nel 2012 ugualmente il taglio a regime, che vale 2 miliardi e mezzo. Le risorse che saranno a disposizione dei comuni anche con le nuove modalità saranno, dunque, nel complesso inferiori a questa cifra, se i saldi di finanza pubblica nel frattempo non vengono cambiati.
Si verifica un'osmosi: mentre si attua il provvedimento, si osserva una diminuzione della capacità di entrata e di spesa dei comuni. Questa osservazione viene percepita dagli amministratori come un contrappasso del varo di nuove norme sull'autonomia. Da una parte, si individuano, infatti, nuovi meccanismi per garantire l'autonomia ai comuni, ma, dall'altra, lo spazio finanziario in cui tale autonomia viene esercitata è sempre inferiore.
Anche nella programmazione triennale, che è in questo momento all'esame del Parlamento, si riporta una contrazione delle entrate e delle spese dei comuni di almeno tre punti percentuali l'anno.
Tutto ciò, pur essendo coerente con la programmazione finanziaria statale, genera una preoccupazione, se tutto deve rientrare in questo recinto, circa la possibilità di continuare a mantenere il livello di spesa, che per i comuni rappresenta il livello dei servizi. Questo è il primo elemento di attenzione su tale meccanismo.
Il secondo viene dalla relazione tecnica, cioè dalla modalità con la quale sono costruite le stime sulle nuove entrate. Come succede da un po' di tempo, le proiezioni sui risultati della lotta all'evasione o su provvedimenti come la cedolare secca, che dovrebbero stimolare l'emersione di fattispecie che oggi sfuggono al fisco, prevedono un rilevante aumento di gettito. Se tale rilevante aumento, che poi compenserebbe il taglio ai trasferimenti, non si realizzasse, ciò potrebbe rappresentare una difficoltà per i comuni che possono trovarsi in una situazione di emergenza.
Per questi motivi l'ANCI ha chiesto in tutte le sedi tecniche una clausola di salvaguardia, che dovrebbe durare, secondo


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noi, almeno per tutta la fase transitoria, in base alla quale la quantità di risorse complessivamente destinate ai comuni ogni anno non sia inferiore ai trasferimenti erariali oggi conosciuti.
Diversamente rischiamo il fallimento di determinate misure e una rincorsa continua da una parte, dei saldi di finanza pubblica, che sono sempre in peggioramento per quanto riguarda le risorse di entrata dei comuni, e, dall'altra, della previsione, che è giustamente effettuata con la situazione economico-finanziaria di oggi. Pertanto dalle previsioni di entrata, dal momento che conosciamo la cassa delle entrate tributarie solamente a consuntivo, potrebbero derivare alcune sorprese, tali da mettere in difficoltà alcuni enti oggi già un po' alla corda.
Un altro punto di attenzione e, quindi, un altro elemento da verificare è quello della gestione sia della fase transitoria per il riparto di risorse, sia della loro quantificazione con la garanzia che non ci siano grosse perdite di gettito da parte dei comuni.
La riforma porta a una semplificazione fiscale; l'importante, però, è che tale semplificazione sia se non a carico dello Stato, almeno in corresponsabilità. Non può essere a carico dei comuni, perché si tratterebbe di un problema attuativo non indifferente.
L'altro elemento che non è ancora chiaro, attraverso i dati disponibili, è la base imponibile immobiliare. Il provvedimento immagina, infatti, che si ritorni indietro su una parte della base imponibile che noi conoscevamo - parliamo sempre di ICI non prima casa - già normalmente esentata dalla legge e spesso e volentieri anche dai comuni.
Su questo si innesta anche l'altro problema, da approfondire, della costruzione a regime dell'aliquota dell'IMU, che oggi non è disciplinata nello schema di decreto. Essa dipende sia dal gettito che si vuole raggiungere, quindi da tutti gli elementi che dovranno essere valutati per far sì che i comuni non subiscano uno shock sulle entrate, sia dal tipo di politica fiscale che si vuole realizzare e, quindi, di base imponibile che deve essere considerata.
Anche se si andasse definitivamente alla fissazione di un'aliquota attraverso un provvedimento di secondo livello, la norma deve chiarire bene quali sono gli elementi in cui tale provvedimento si inserisce, perché, per la riserva di legge che vige nel nostro ordinamento su tutte le imposizioni di natura fiscale, devono sussistere tutti gli elementi tecnici che fanno sì che l'aliquota venga fissata quasi automaticamente per garantire il gettito già realizzato.
Questo è un elemento che nella relazione tecnica forse potrebbe essere chiarito o comunque ben esplicitato. Considerate che, in determinati territori, le esenzioni oggi vigenti per la regolamentazione dell'ICI, che qui non vengono più richiamate e che appaiono evidentemente superate, valgono una percentuale piuttosto rilevante.
Veniamo al fondo sperimentale - chiamiamolo così - ossia quello precedente alla fase definitiva e quindi all'entrata a regime della perequazione della legge n. 42. Se a oggi volessimo esercitarci - trovate nel documento una piccola esercitazione su questo tema - su quali sono i gettiti dei diversi territori e su quanto potrebbero spostare i gettiti di questo tipo di cespiti sul territorio, vedremmo che lo spostamento è piuttosto rilevante.
Se dovessimo confrontare oggi quotazioni di trasferimenti, quindi spesa storica, e potenzialità delle nuove basi imponibili, vedremmo che, per non provocare shock finanziari, avremmo bisogno di spostare cifre rilevanti. Il tema viene sintetizzato in una tabellina.
Anche in questo caso, trattandosi di imposte piuttosto differenti nello spazio e nel tempo da territorio a territorio - specialmente sui trasferimenti immobiliari non sono costanti nei centri medio-piccoli rispetto alle grandi città e dipendono anche da fattori economici e di sviluppo riferibili al singolo territorio - vediamo già da questo esercizio che effettivamente le differenze da compensare sono rilevanti e che il nodo della perequazione e della


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chiusura della legge n. 42 è molto importante e deve essere parallelo. Altrimenti rischiamo di gestire troppo a lungo un fondo sperimentale che poi può diventare il bandolo della matassa.
Concludo e passo la parola al collega, se vuole aggiungere alcune considerazioni.

ANDREA FERRI, Consulente scientifico dell'IFEL. Svolgo alcune brevi osservazioni sui punti che riteniamo da chiarire nella relazione tecnica, peraltro evidenziati nel documento. Vorrei soltanto focalizzarli ulteriormente.
Il primo è la questione della cedolare secca. Essa è, all'interno di un intervento di tipo federalista, cioè di definizione di tributi autonomi dei comuni, un intervento autonomo di riforma fiscale in sé, che, come è noto, viene considerato fortemente costoso dal punto di vista dell'acquisizione di gettito.
In effetti noi in media accusiamo, secondo le stime della relazione tecnica e la letteratura di anni su questo tema, una perdita di gettito valutabile intorno a un terzo rispetto alla componente IRPEF isolabile dei redditi da locazione, la quale si spinge addirittura fino al 45 per cento nei casi in cui l'aliquota marginale attualmente gravante sui redditi da locazione sia, come spesso è, più elevata della media.
Naturalmente questo fatto ha una sua valutabilità autonoma e, come accennato adesso dalla dottoressa Scozzese, deve essere ben calibrato in termini di sostenibilità.
La relazione tecnica prevede, sulla base di due norme effettivamente a carattere di forte deterrenza, il comma 5 e il comma 8 dell'articolo 6, in caso di inadempienza e di contratto in nero, forti sanzioni accessorie. Si stabilisce, infatti, che il contratto rimane valido per quattro anni più altri quattro a un valore economico molto basso, perché tarato sulla rendita catastale. Sono misure effettivamente di forte deterrenza.
Le previsioni della relazione tecnica ipotizzano che ben il 15 per cento dell'imponibile che oggi viene dichiarato, in termini tecnici, a disposizione nell'IRPEF, ossia dalle persone fisiche, emerga e venga dichiarato a titolo di cedolare secca.
Con questo meccanismo recupereremmo una buona parte della perdita di gettito intrinseca nell'operazione, perché, a fronte di una tassazione che oggi equivale, per gli immobili a disposizione, alla rendita catastale moltiplicata per 1,33, una cifra comunque piuttosto bassa - non è una grande discriminazione - avremmo un gettito dalla cedolare secca moderato rispetto al prelievo ordinario, ma certamente di molto superiore.
Secondo l'Agenzia del territorio e l'Agenzia delle entrate, il rapporto tra affitti di mercato e rendite catastali è, in media nazionale, circa di uno a otto ed è evidente che si tratta di un vantaggio comunque rilevante, al di là della riduzione delle aliquote.
Questo è un primo punto molto importante, perché significa che circa il 14 per cento del gettito acquisibile il primo anno sarebbe dovuto al recupero di evasione. La data è al 1o gennaio del 2011.
Vi è un elemento di sostenibilità che evidentemente - non voglio correggere il presidente, ma lo specifico per chiarire - non deriva dal recupero di evasione vero e proprio, ma da un effetto di deterrenza che ha un immediato dispiego, il che anche rispetto ai tempi di approvazione del decreto può essere messo in dubbio. Una delle caratteristiche del comma 8 dell'articolo 6 dispone, infatti, che chi si dichiara entro il 31 dicembre di quest'anno non sia gravato da tali sanzioni accessorie di deterrenza.
L'altro punto che riveste una notevole importanza è la definizione dell'aliquota di equilibrio dell'IMU di possesso. Stiamo parlando del 2014, ma in realtà, prima ancora della istituzione a regime, questo elemento si collega alla tenuta generale delle previsioni di gettito.
Alla fine dei conti, infatti, la mancata previsione dell'aliquota ha comunque un riferimento in un gettito previsto, che la relazione stabilisce in 11,6 miliardi della cosiddetta nuova ICI, ossia dell'IMU parte possesso, costituiti dal gettito dell'ICI, che rimane sostanzialmente tale e quale, a cui


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si aggiunge il gettito da immobili a disposizione o ad altro uso e, quindi, il residuo IRPEF degli immobili non locati, che verrebbe abolito nell'imposizione IRPEF. Vi è, quindi, un assorbimento nella nuova IMU.
Il punto che volevo sottolineare è che la valutazione sia dell'aliquota, sia della consistenza del gettito che deve venire dall'IMU di possesso deriva dall'intero percorso di quantificazione dei gettiti devoluti fin dal 2011.
Mi spiego con un punto che ritengo particolarmente significativo. Noi abbiamo attraversato una forte crisi e ne stiamo patendo tuttora una rilevante dal punto di vista dei mercati internazionali, che si riverbera ovviamente nelle quotazioni e nelle transazioni immobiliari. La situazione è tale per cui il gettito IRPEF registrato nel 2008 e previsto tra il 2008 e il 2011 nella relazione tecnica e il gettito dei tributi immobiliari registrato nel 2008 e previsto, in sequenza, nella relazione tecnica sono sostanzialmente omogenei. Seguono, cioè, un trend molto rassicurante.
È evidente che questi elementi vanno sottoposti a valutazione. Noi non siamo in grado di definire un elemento scientificamente fondato, ma di rilevare che il numero di transazioni immobiliari tra il 2008 e il 2009, per esempio, è in diminuzione di circa il 10 per cento. Probabilmente nel 2010 c'è una ripresa, ma si tratta di elementi che, uniti alla grande disparità di distribuzione territoriale di questi gettiti, conducono a una preoccupazione relativamente alla gestibilità generale del sistema.
La verifica di queste quote - residuo IRPEF e cedolare secca, andamento e ciclicità del gettito dei trasferimenti immobiliari - conduce a un quadro nel quale è inseribile la questione dell'aliquota IMU di equilibrio.
Noi sottolineiamo nel documento che l'aliquota di equilibrio va intesa come l'aliquota al livello della quale i comuni possono operare in condizioni di relativa tranquillità a prescindere da ulteriori discrezionalità. È chiaro che, se il livello di aliquota viene portato a un livello troppo basso, per esempio ampliando l'ipotetica base imponibile di riferimento - questo è il pericolo maggiore che vediamo, perché la base di riferimento dell'ICI non è semplice come appare a prima vista; non è vero che sia la base catastale, per motivi molto diversificati, su cui esprimerò poi un'ultima parola - il margine di discrezionalità viene usato direttamente per conseguire l'equilibrio di bilancio e, quindi, di fatto, tutto il meccanismo autonomistico decade.
L'ultimo punto riguarda il problema della base imponibile, già accennato dalla dottoressa Scozzese. Oggi possiamo svolgere riferimenti piuttosto certi relativamente all'aliquota media per territorio - sappiamo molto dell'aliquota che i comuni applicano sull'ICI - e sul gettito, per gli stessi motivi, anche se non è del tutto scontato, perché il gettito dell'ICI che correntemente utilizziamo in sede COPAFF e all'IFEL stesso comprende sia la parte cosiddetta corrente, sia quella di recupero di arretrati.
Abbiamo effettuato un piccolissimo carotaggio su una ventina di amministrazioni e abbiamo scoperto che ci sono quote di arretrati che vanno dal 3 al 20 per cento, per motivi anche casuali. Capita l'anno in cui il recupero delle aree fabbricabili parte e coglie nel segno per poi mantenersi su quote fisiologiche, mentre magari altre amministrazioni sono meno attente a determinati aspetti.
Anche quello è un elemento di incertezza, però sul piano nazionale non c'è un grosso imbarazzo a definire bene l'aliquota e il gettito. È evidente che aliquota e gettito determinano implicitamente una base imponibile.
Se partiamo dal catasto, su cui pure abbiamo molte informazioni, perché è un archivio ben articolato sul territorio, affidabile o non affidabile che sia la rendita catastale, possiamo arrivare a risultati di base imponibile molto diversi.
Nell'ICI attuale ci sono tre problemi fondamentali. Il primo sono le esclusioni di legge, che oggi riguardano le abitazioni assimilate alle principali, una quota importante, di svariate centinaia di milioni di


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euro. Vi è poi la parte ONLUS e organizzazioni religiose, anch'essa una quota molto importante, perché con le modifiche che ci sono state dal 2005 al 2007 si è estesa, anche se in merito ci sono opinioni discordi tra i tecnici di diversa area, non politica, ma tecnica e governativa, ovvero enti locali e singoli comuni.
Il secondo punto sono le esclusioni anch'esse di legge, ma che non arrivano nemmeno a essere esclusioni, quanto piuttosto diverse formulazioni della base imponibile. Molti centri storici sono ampiamente, di fatto, esenti, perché pagano su una base imponibile ridicola, la tariffa più bassa della categoria abitativa più bassa esistente. Che si tratti della sede del Monte dei Paschi di Siena, di un palazzo patrizio o di una singola casa, pagano sempre una tariffa bassissima. Di solito è la A5, peraltro non più esistente dal punto di vista legale, relativa a case ultrapopolari, che però esiste quasi sempre nei centri storici e porta assolutamente vicino al pavimento il livello dell'imposizione.
Infine c'è l'evasione, che va considerata, in una situazione in cui puntiamo a recuperare gettito - sono previsti anche strumenti per farlo all'interno del decreto - come un fatto che non può essere azionato da un momento all'altro.
I comuni ci hanno lavorato per quindici anni, dal 1996-1997, con l'inizio vero del processo, però non possiamo far conto, oltre che su quote di altro genere, come quelle della cedolare secca, anche su un recupero di evasione strutturale. Dobbiamo tener ben presente che questa è una parte che va considerata nel dovuto modo e non inserita nei conti di equilibrio.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai colleghi, desidero rivolgere alcune domande.
La prima fa riferimento proprio ai piccoli comuni, dottoressa Scozzese. Ci siamo già posti questo problema con riferimento ai costi standard nel precedente decreto.
Visto che ancora non emergeva nel dibattito né scientifico, né politico, mi sono fatto carico di avanzare una proposta per i quasi 4.000 comuni sparsi sul territorio nazionale, di cui circa 1.500 soltanto nelle tre regioni del Nord e il resto sparsi su tutto il resto del Paese, i quali sostanzialmente non hanno i servizi essenziali e le prestazioni sulle quali si ragionava, al fine di ridurre i costi storici verso i costi standard.
Nel decreto sui fabbisogni standard, abbiamo fatto inserire un articolo 1-bis che, come avrete già visto, pone questo problema e indica un percorso nel tempo. Di più non si poteva fare.
Lo stesso argomento vale adesso su questo decreto al fine della caratura della cosiddetta autonomia impositiva, nel senso che al di sotto di una data base fiscale l'autonomia impositiva è soltanto un flatus vocis.
Su questo specifico argomento mi piacerebbe sentire la vostra opinione. Ferma restando l'autonomia impositiva come principio, sarà assolutamente indispensabile individuare una scalarità, anche per scaglioni o per gruppi di comuni, fino a 1.000, fino a 3.000, fino a 5.000 e via di seguito, in maniera tale da dare una caratura della compartecipazione statale, che può andare dal 99 allo 0 per cento a seconda delle singole circostanze o dei gruppi di circostanze.
La seconda domanda riguarda, per la cedolare secca, ma non solo, il riferimento al tema della durata - annuale, pluriennale o transitoria - della riforma. Stiamo discutendo di una questione che vogliamo introdurre, ma ci stiamo ponendo il problema - perlomeno, io me lo sto ponendo, anche come relatore, oltre che come presidente di questa Commissione - se dobbiamo prevedere un periodo.
Mi rendo conto, però, che, nel momento in cui prevediamo un periodo, se questo è troppo breve, pur se nell'ordine di anni, finisce la cosiddetta certezza della base impositiva. Addio, quindi, certezza sui conti, come osservava il suo collega.
Che si può fare? Legare la riforma alla fase transitoria o non legarla alla fase transitoria e darla per perenne? Magari


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l'anno venturo ci ripensiamo e, quindi, non diventa più perenne. In atto, però, come la impostiamo?
La terza questione è la lotta all'evasione, che è un mio pallino. Ne sto discutendo in diverse sedi. Si può prevedere un'incentivazione per i comuni al di là di quanto già previsto dalla normativa vigente, affinché si impegnino a combattere e a fare emergere il nero, non solo con riferimento agli affitti, che sono già una bella fetta del nero, ma in altri settori. Dopo che il nero emerge, è difficile o impossibile farlo immergere nuovamente. Diventa, pertanto, un obiettivo concreto di allargamento della base fiscale e, quindi, della base impositiva nello stesso tempo.
Si sta ragionando su come eventualmente creare incentivi ai comuni e, chissà, anche ai contribuenti. Mi piacerebbe sentire su questo punto anche la vostra opinione, perché, mentre le spese sono quasi sempre certe, le entrate non lo sono.
Occorre pertanto costruire un meccanismo affinché, nella platea dei possibili contribuenti da colpire, quelli non fedeli emergano, paghino le tasse e d'ora in poi svolgano la loro parte di bravi cittadini, anche attraverso l'introduzione di un incentivo ai comuni con una percentuale in più rispetto a quella dell'aliquota. Darei anche di più, purché ci aiutino concretamente, considerando che questa rappresenta sicuramente un'entrata importante nelle casse dei comuni.
Questi sono i tre gruppi di argomenti che mi premono.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

WALTER VITALI. Pongo una domanda sola, premettendo che, come gruppo del Partito Democratico, condividiamo pienamente le tre critiche fondamentali che IFEL ha svolto e che sono condivise anche da ANCI.
La prima riguarda la valutazione esatta della perdita di gettito relativa all'introduzione fin dal 2011 dell'addizionale della cedolare secca, la seconda la fase transitoria, con rischi, anche in questo caso, che alcuni comuni perdano risorse e la terza la mancata definizione dell'aliquota base dell'IMU possesso.
Ciò premesso, la domanda è la seguente: che cosa pensa IFEL di un'imposta comunale sui servizi, che potrebbe essere introdotta - noi la stiamo ipotizzando - a fianco di una riorganizzazione complessiva di tutto il meccanismo di imposizione immobiliare, magari attraverso un'imposta sostitutiva unica sui redditi immobiliari? Poiché tale imposta non avrebbe margini di manovra, nella nostra idea dovrebbe essere erariale e compartecipata al 100 per cento dai comuni.
L'imposta comunale sui servizi, invece, potrebbe essere il pilastro dell'autonomia impositiva comunale e potrebbe recuperare fortemente il principio di beneficio che, per esempio, la dottoressa Scozzese, secondo me giustamente, lamentava mancare completamente in questa architettura di fiscalità comunale.
Ovviamente essa comporterebbe il problema di dover recuperare a tassazione anche coloro i quali abitano nell'abitazione principale, ma, in generale, ipotizziamo di rendere questa imposta comunale sui servizi sostitutiva di altre imposte esistenti, come la TARSU e l'addizionale IRPEF.

LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Io appartengo a una generazione che, all'età di 3-4-5 anni, ha visto il passaggio dai regali di Natale composti con i pezzetti di legno ai primi congegni elettrici. La sorpresa era di vedere improvvisamente le macchinette che si muovevano e la fantasia infantile era quella di pensare che chissà quale magia le animasse. Mio padre mi indicava di chiamarla affinché venisse da me e ciò avveniva. Poi mi sono accorto che era mio padre ad avere il telecomando e che, quindi, quell'evento non era così magico e che non ero io a muovere il congegno.
Vediamo che cosa succede da un punto di vista retrospettivo, lasciando ai miei colleghi del Partito Democratico di guardare al futuro. Personalmente sono un po'


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in difficoltà quando guardo al futuro, per ragioni di cultura politica, o così sostengono loro.
L'autonomia impositiva ha avuto due grandi spinte, quella reale e quella coartata. Quella coartata fu diretta dalla Democrazia Cristiana negli anni Ottanta e si concentrò su quella che oggi è la proposta Vitali. Si chiamava TASCO. Forse per motivi familiari qualcuna o qualcuno dei presenti ricorderà che cosa abbia significato. Fu contrastata dalla sinistra di Governo e dalla sinistra di opposizione.
Poi venne l'ICI, il cui testo, se lo si va a leggere nel decreto legislativo n. 504 e lo si confronta con il progetto di legge di riforma delle autonomie locali del Partito Socialista, era pressoché identico. Nel 1978 il Partito Socialista firmò questo disegno di legge. Il disegno di legge della Democrazia Cristiana non la contemplava, come pure quello del Partito Comunista, perché era assolutamente contrario all'autonomia impositiva.
L'unico disegno di legge che prevedeva l'introduzione dell'autonomia impositiva riferendola agli immobili era quello dei socialisti. Quel testo si ritrova quasi letteralmente nel decreto legislativo. Non a caso, il Presidente del Consiglio era Amato e credo che l'autore retrostante fosse, all'epoca e in quel momento, Bassanini o Reviglio.
Quella costruzione reale dell'autonomia impositiva poggiò su un principio elementare e comprensibile a tutti: si toglievano, se non ricordo male, 8 miliardi di vecchie lire e si obbligava a istituire il 4 per mille dell'imposta.
Tutte le proteste dell'allora sinistra di opposizione, cioè del PDS, attraverso i sindaci delle regioni Toscana, Emilia-Romagna e via elencando, affermavano che quella non era autonomia impositiva, perché c'era l'obbligo di istituire il 4 per mille. Si lasciava, però, libertà al comune di elevarlo fino al 6 per mille e, quindi, esisteva una fascia di autonomia.
Credo che tutti nel tempo abbiano capito che si trattava di un ragionevole compromesso: si sostitutiva il trasferimento, ma non lo si destabilizzava, perché lo si identificava e lo si trasmetteva sotto altro veicolo, quello dell'imposizione, lasciando al comune un margine.
Arrivo alla conclusione. Il federalismo fiscale, che è, come sostengono alcuni colleghi presenti, il superamento in positivo di tutti i limiti dell'autonomismo - in merito esprimo tutti i miei dubbi, che sono ormai ampiamente a verbale - dovrebbe restituire autonomia e responsabilità al Governo locale.
La dottoressa Scozzese ha affermato che la responsabilità non si vede, perché, continuando a cancellare dalla platea dei contribuenti i proprietari di prima casa, non si capisce bene come si organizzi questa responsabilità e che basi abbia.
Come hanno rilevato sia il presidente Ferrari, sia il dottor Ferri, mi pare di capire che, quando parliamo del margine reale di autonomia, non essendo ancora nota l'aliquota di riferimento che finanzia questo sistema, siamo in presenza del nulla, filosoficamente (tecnicamente non so come definirlo). Ascriviamo alla categoria dell'autonomia un sistema sicuramente bellissimo - non lo metto in dubbio - e che funzionerà alla perfezione, ma che non ha nulla a che vedere con l'autonomia.
La domanda è se comprendo male questa connessione. Asseriva Spinoza che «ordo et connectio idearum idem est ac ordo et connectio rerum». Se le cose hanno quell'ordinamento, ossia non si vede quale sia l'autonomia, come si fa idealmente e, quindi, legislativamente a stabilire e ad affermare politicamente che stiamo costruendo un sistema ancora più autonomistico? Poiché l'IFEL non è l'ANCI, ma un istituto di ricerca, immagino che l'approfondimento che avete svolto o che intendete svolgere aiuterà anche noi a sciogliere questo nodo, che è di natura teorica, prima ancora che pratica.

GIULIANO BARBOLINI. Premesso che siamo finiti sotto i cieli delle grandi riflessioni filosofiche, starei più terra terra.
L'unico dato certo di questo provvedimento è che, in base ai numeri della


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relazione tecnica, è acclarato che il taglio di 1,5 miliardi del 2011 e dell'anno successivo sono messi in cassa, per la verità con un punto di contraddizione rispetto al contenuto del decreto di luglio, il n. 78 del 2010, in cui si disponeva che a un dato momento questa somma sarebbe stata recuperata. Mi pare di capire che questo sia un punto di partenza. Non l'abbiamo recuperata e, quindi, si tratta di un elemento che sulla fase transitoria pesa già gravemente.
Svolgo tre riflessioni, di cui una come relatore, prendendo leggermente le distanze dal ragionamento del collega Vitali. Vorrei provare a sollecitare una riflessione.
Sul tema dell'autonomia impositiva, se volessimo ragionare serenamente, stiamo girando attorno a un grande equivoco, che rimane e che abbiamo determinato in modo bipartisan. Mi riferisco al fatto di sottrarre l'ICI prima casa da qualunque ragionamento sull'autonomia finanziaria e impositiva dei comuni, il che contraddice il buonsenso.
Dal punto di vista dell'opportunità e del gradimento dei cittadini va benissimo, però, dal punto di vista sostanziale, siamo dentro una situazione che ci si ripresenta sempre. Per continuare a sostenere che da questa imposta è sottratta la prima casa, avremo un'aliquota di riferimento che rischia di essere necessariamente molto elevata e, conseguentemente, distorcente di tutto il sistema, con tutte le implicazioni che ne conseguono.
Il Governo non ci aiuta a individuarla, perché non sono disponibili numeri e cifre, ma prima o poi questo punto verrà a galla.
Vorrei focalizzare l'attenzione, non sulla proposta del collega Vitali, che sarà egli stesso a illustrare, ma sul problema, già esposto dalla dottoressa Scozzese, che i residenti non hanno un rapporto col comune che li amministra. È una bella contraddizione in termini per il principio di responsabilità, di trasparenza e di rapporto con i cittadini amministrati. Avete riflessioni, suggerimenti, suggestioni, visto che dobbiamo cercare, se possibile, di correggere le distorsioni?
Un'altra domanda riguarda la cedolare secca, da diverse parti sostenuta. Essa, se lasciata com'è, potrebbe, da un lato, spiazzare i contratti concordati e determinare un beneficio per i proprietari e per i redditi e, dall'altro, accentuare elementi di debolezza delle fasce sociali più esposte, con il rischio che ne emerga una domanda di prestazioni che chiama in causa e mette in crisi il sistema degli interventi sociali dei comuni. Vorrei sapere se avete svolto un ragionamento su questo tema.
Infine, nel vostro documento - mi interessava ribadirlo - il secondo modulo dell'IMU, quello facoltativo, mi sembra un non senso. Forse un relatore non dovrebbe spingersi fino a questo punto e quindi mi fermo prima. Mi interessava, però, la vostra posizione su questo argomento.

PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

SILVIA SCOZZESE, Direttore scientifico dell'IFEL. Cerco di rispondere un po' a tutto. Poi, se necessario, seguiranno altre integrazioni.
Inizio dall'ultima domanda, perché tratta una questione che non ho citato nella relazione introduttiva, ma di cui abbiamo scritto nel documento. Noi abbiamo chiesto fortemente che la semplificazione, che era necessaria, dei cosiddetti tributi minori (TOSAP, pubblicità e via elencando) fosse riportata a un'unica imposta. È ovvio, però, che non può trattarsi di un'opzione facoltativa, altrimenti si verificherebbe una moltiplicazione: le ex imposte, che sono quattro, diventerebbero tutte facoltative e, quindi, si moltiplicherebbero.
Abbiamo chiesto fortemente che questa fosse una semplificazione reale e che, quindi, si passasse a un nuovo tributo, che dovrebbe aiutare i cittadini e i comuni, in ordine all'uso degli spazi pubblici, sia per quanto riguarda l'imposta di pubblicità, quindi gli spazi pubblicitari, sia il decoro urbano, sia l'uso del suolo.


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Vengo alle altre domande. Il problema del periodo transitorio, di come lo si vuole gestire e di quanto deve durare è centrale. Si pongono l'istanza e l'aspettativa della redistribuzione delle risorse. Parlo di redistribuzione perché mi sembra che sia chiaro a tutti che di ulteriori risorse ce ne sono poche, forse quelle che potrebbero derivare dalla lotta all'evasione.
Da una parte questo provvedimento può essere considerato in fondo una stabilizzazione delle entrate, però dovrebbe essere appunto una stabilizzazione. Il tema che poneva il senatore Barbolini è importante ed è quello cui prima accennavo, affermando che si verifica la stabilizzazione, ma, in contemporanea, anche la riduzione.
Il problema è che spesso questi provvedimenti non si parlano. Ormai siamo stati abituati a ragionare sulla finanza locale non più in senso complessivo, ma con provvedimenti spacchettati. Abbiamo il decreto legge e la manovra di finanza pubblica, che ci danno il quadro, all'interno del quale rincorriamo un progress finanziario, che però è diventato ora effettivamente troppo stretto.
Questo è il vero problema. Secondo me le differenze esistenti in questo Paese fanno sì che il periodo transitorio acquisti un'importanza cruciale e debba necessariamente durare un lasso di tempo ragionevole. Quello individuato nella norma è, a mio avviso, in questo momento piuttosto ragionevole. Ora bisognerà vedere come i fabbisogni standard riusciranno a dare un'indicazione ulteriore.
I fallimenti dei vecchi esperimenti di riequilibrio delle risorse, effettuati quando le risorse erano di più e si immaginava di erogarne di ulteriori a coloro che ne avevano di meno, dimostrano che senza una forte spinta tecnica, senza un substrato forte, è molto difficile compiere questa operazione.
Secondo me quella scritta oggi nel provvedimento è una previsione ragionevole, se si risolve il problema generale della finanza pubblica. Purtroppo non si possono più analizzare questi provvedimenti da soli. Il provvedimento in oggetto si interseca, dunque, con la finanza pubblica, con le manovre e con il Patto di stabilità.
Alla fine, se si emana un provvedimento sulle entrate e non si valuta quanto si può utilizzare di tali entrate, non si conclude nulla. L'emergenza che oggi deve essere all'attenzione del Parlamento è quella della stabilizzazione della finanza locale. È ormai maturo il momento della stabilizzazione. Quello individuato è, quindi, un periodo ragionevole.
Il problema dell'impatto sui singoli enti, quello dei piccoli comuni, è il problema delle differenze. In Italia ci sono 8.000 comuni e anche tra i piccoli ci sono le stesse differenze che si presentano tra i grandi, perché anche i piccoli non sono tutti uguali. Questo è il problema.
La sfida delle unioni e della gestione associata dei servizi è stata perseguita fino a oggi. Forse dovrebbe essere perseguita con alcuni strumenti in più e con maggiore convinzione. È evidente che, quando si passa a un sistema come quello disegnato in questo provvedimento o a qualunque sistema autonomistico, la robustezza del soggetto che deve applicare una leva fiscale è fondamentale e che, quindi, anche in scarsità di risorse, il problema dei costi rileva anche sulla dimensione.
Va benissimo che oggi ci sia un'apertura su una semplificazione del sistema per i piccoli comuni, ma è difficile scrivere di più, perché abbiamo comuni che sono piccoli dal punto di vista dimensionale, ma non sotto il profilo finanziario, per esempio, perché sono turistici e vogliono tutta l'autonomia.
Dovrà, dunque, operare la perequazione, ma anche una soglia di adeguatezza, che forse dovrà prendere in considerazione diversi elementi, non riducibili solo a quello territoriale. Probabilmente è una strada che il provvedimento potrebbe anche indicare, dando alcuni criteri in più dal punto di vista giuridico sugli elementi che possono aiutare il provvedimento di secondo livello a ripartire comunque sui piccoli comuni una responsabilità di questo genere.


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Sull'evasione il collega corrisponderà meglio, perché è un esperto della materia. Svolgo comunque due considerazioni.
Da quando è stata istituita l'ICI, la sfida è il catasto. C'è una mancata riforma delle deleghe statali, se non mi sbaglio. Una delle competenze che dovevano andare ai comuni era il catasto, perché tutti sono stati sempre convinti che l'imposizione immobiliare fosse il nodo.
Il problema è, dunque, che cosa si vuole fare sul tema delle funzioni catastali ai comuni. Se non si ha il coraggio di accelerare questo strumento, le armi di cui i comuni dispongono per la lotta all'evasione sui tributi o sui cespiti su cui essi hanno una diretta conoscenza rischiano diventare armi spuntate.
Un tema diverso è quello del contributo che i comuni possono dare alla lotta all'evasione dei tributi erariali, per il quale occorrono maggiori incentivi, ma forse anche una maggiore disponibilità degli apparati statali. Ci sono comuni che hanno attuato alcune iniziative, però purtroppo emergono differenze tra comuni di eccellenza e altri che hanno più difficoltà. Lo Stato deve essere pronto a rispondere all'eccellenza e spesso ciò non accade. Ci sono casi in cui non riusciamo ancora a dirimere queste situazioni. Anche un'accelerazione della risposta è molto importante. Per gli aspetti più tecnici completerà poi il dottor Ferri.
Continuo con le risposte. Senatore Vitali, la perdita di gettito sulla cedolare secca è una delle questioni che abbiamo evidenziato e riportato nel documento. È uno dei nodi della riforma e gli strumenti sulla lotta all'evasione forse potrebbero essere rafforzati. Per aiutarci a realizzare quella stima di aumento di gettito forse sarebbero utili alcuni strumenti in più.
Occorrerebbe soprattutto anche un po' di autonomia in più. Tornando alla domanda che poneva il senatore Barbolini, un'altra considerazione che abbiamo scritto nel documento, ma che forse non abbiamo approfondito nella relazione, è che bisognerebbe compiere uno sforzo in più, come osservava il senatore D'Ubaldo, sulle leve di autonomia.
Obiettivamente è vero che tornano i conti e che a tanti trasferimenti Copaff corrisponde tanto gettito, ma il problema è anche l'autonomia. Il gettito è la partenza, però poi occorre l'autonomia. Ora siamo alla partenza. Evidentemente abbiamo bisogno di un'apertura in più.
Sulla cedolare secca, per esempio, si potrebbe immaginare che il comune possa agire sia su parti regolamentari, quindi sulla regolamentazione, sia sull'aliquota, mentre ciò non è previsto.
Lo stesso discorso vale sui trasferimenti prima casa. In questo caso si potrebbe immaginare - l'abbiamo chiesta in tutte le sedi istituzionali - una maggiore autonomia, perché si reinnesti anche quella responsabilità. Senza questa leva obiettivamente siamo a una compartecipazione al gettito, ma non a una vera e propria autonomia. È un elemento che manca e che, secondo noi, potrebbe essere corretto nel provvedimento.
Un altro elemento scritto nel documento e molto importante su questo tema è la compartecipazione statale. Dato che la Copaff non ha ancora completato i conteggi, perché mancano i trasferimenti in conto capitale, che potrebbero chiudere il cerchio sulla quantificazione del gettito, è prevista una compartecipazione statale, che appare permanente, per garantire il rispetto dei saldi di finanza pubblica.
Essa ha ragion d'essere all'inizio di un processo di riforma. All'inizio, secondo noi, dovrebbe essere quantificata la cifra che non aggravi la finanza pubblica, ma dopo, superata la fase transitoria, il gettito deve essere tutto dei comuni. Non può continuare la vicenda della compartecipazione statale, altrimenti ricadiamo nel problema che non esiste una vera leva dinamica, ma continua sempre una compartecipazione.
In merito all'imposta comunale sui servizi e sul tema di quale potrebbe essere l'alternativa - mi collego anche alla domanda sul problema dei residenti - le questioni sono molte. A me sembra che oggi ci sia stata o che ci sia un orientamento piuttosto unanime sul fatto che i residenti essenzialmente non paghino


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un'imposta patrimoniale, com'è confermato anche nella legge n. 42. Infatti, quando è stata tolta l'ICI sulla prima casa sembrava anche piuttosto condiviso che essa potesse essere sostituita da un trasferimento.
A questo punto, una volta emanata una riforma del genere, secondo me, è molto difficile tornare su questo tema. Spostarsi sul tema dell'imposta sui servizi è molto delicato, perché bisogna sempre porsi il problema del passaggio, cioè di chi comunque non pagava più, a prescindere dal fatto che ciò sia giusto o sbagliato. È un problema di impatto e di rapporto col cittadino.
Nel rapporto col cittadino è molto difficile immaginare un'imposta, pur teoricamente giusta, che ritorni a chiedere una cifra che addirittura, nel caso di un contributo al servizio, produce un effetto di regressività che può essere anche un po' particolare.
Le correzioni a cui ci si riferiva, le esenzioni, quindi i collegamenti con le fasce di reddito, fanno pensare all'introduzione di un sistema diverso, che chiamiamo contributo al servizio, ma che non è bastato sul costo del servizio, cioè sul riparto dei costi, bensì deve essere comunque legato a un sistema tributario teorico, in cui siano previste le garanzie che la Costituzione impone al nostro sistema tributario.
Vi sarebbe, quindi, il contributo in base alla capacità contributiva, evidentemente legato alle grandi basi imponibili che conosciamo. Se non nella patrimoniale, ricadiamo, secondo me, nell'area IRPEF o in una imposta simile. Questo è il problema, dal quale è molto difficile uscire e sul quale abbiamo anche lavorato come istituto di ricerca.

ANDREA FERRI, Consulente scientifico dell'IFEL. Ci sono documenti presentati alla Presidenza dell'ANCI che riguardano anche quest'aspetto.
Il punto coinvolge un altro tema, oggi molto sottovalutato dal legislatore e dal Governo, ossia quello dell'imposizione sul servizio rifiuti. Tale servizio rappresenta il maggior prelievo relativo a un servizio nel nostro Paese. È robusto in termini di gettito. Non sono i 4 miliardi che vedete sui bilanci comunali, ma sono 7 miliardi, perché bisogna aggiungere gli oltre 2 miliardi della TIA, che sfuggono ai bilanci comunali. Sono, dunque, 7 miliardi, ossia il 70 per cento dell'ICI e più del doppio dell'aumento che stiamo prevedendo dell'ICI con l'IMU.
Oggi tale servizio è in preda a ordinanze e circolari. Mi permetto di svolgere una digressione, che riflette perfettamente le posizioni dell'IFEL: abbiamo dovuto esprimere l'esistenza di un problema di sicurezza dei bilanci, sulla questione dell'IVA, molto delicato.
C'è una totale ignoranza dell'argomento, che è stato trattato in modo piuttosto sbrigativo come interpretazione autentica. Una circolare del Ministero dell'economia e delle finanze rischia ora di aggiungere ulteriori problemi, anziché di dissiparne.
Quello avrebbe potuto essere un terreno molto rilevante di ristrutturazione del gettito e, in effetti, quando abbiamo messo le mani in questa faccenda, in primavera, è stata una delle chiavi emerse per immaginare un prelievo legato alla grande maggioranza dell'elettorato.
Permettetemi una digressione concreta, perché il punto era questo: come possiamo rimettere dentro l'elettorato quando non c'è coesione politica su eventuali alternative alla patrimoniale sulla prima casa? Questo è il punto. Siamo un'organizzazione che lavora per conto di associazioni sindacali e politiche di rappresentanza.
Abbiamo individuato questa chiave: prendiamo tutto il prelievo sui tributi, buttiamo via le illusioni - perdonatemi, ma ho sempre lavorato nelle entrate e quindi non riesco a trattare determinati richiami a falsi corrispettivi come si deve; forse lo faccio con poco rispetto - che tale prelievo possa essere trattato come il pagamento di un corrispettivo in maniera diretta e facciamone un'iniziativa razionale almeno quanto l'impianto della TIA, un impianto a metà strada tra un tributo puro e semplice e uno strumento che


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cerca di avvicinarsi al beneficio specifico del contribuente, se non a un vero corrispettivo.
Questa operazione non era impossibile, ma purtroppo abbiamo registrato che su questo punto c'è stata, dopo un momento positivo tra l'estate del 2008 e la primavera del 2010 - un periodo non breve di interesse da parte di ministeri, forze politiche e via elencando - una totale chiusura nell'idea che bisogna portare avanti un'iniziativa oggi in preda a circolari e ordini del giorno, con pericoli rilevanti per l'assetto dei bilanci comunali. Questa avrebbe potuto, dunque, essere una chiave.
Aggiungo una piccola considerazione sulla lotta all'evasione. Abbiamo osservato questo fenomeno anche nel corso di piccole riunioni tenute con il Ministero dell'economia e delle finanze, con riferimento alla cedolare secca e a un apprezzamento sostanziale del comma 7 dell'articolo 1, che nasce da suggestioni, idee e scambi avvenuti con noi sul piano tecnico insieme ai tecnici del ministero, ma con alcuni possibili ulteriori avanzamenti.
Con il senatore D'Ubaldo durante un convegno, lunedì scorso, su questo aspetto abbiamo cercato di focalizzare, perché spesso vi sono buone leggi, che poi però non si attuano, perché manca il decreto ministeriale.
Al di là di questo problema, c'è l'idea che tutto il recupero dei gettiti da immobili, cioè il gettito da recupero di carattere immobiliare, indipendentemente da chi lo effettui e da quale tipo di tributo esso concerna, vada al comune sul quale l'immobile si trova.
Questo aspetto aiuta, perché si tratta di un piccolo volano, in un contesto, che ha descritto Silvia Scozzese e su cui non ritorno, di fortissimi vincoli di bilancio pubblico.
Aggiungo una piccola annotazione: se non ci fosse il taglio, non avremmo problemi di compartecipazione statale al gettito che viene devoluto. La differenza sarebbe, infatti, di 0,07 milioni di euro, quindi nulla, mentre con il taglio stiamo a oltre un miliardo.
In queste restrizioni, il fatto di avere gettiti di dinamica di recupero dell'evasione più o meno sovrastimati - è un altro discorso -, che possono far da volano, è comunque prezioso.
Il secondo punto è l'aumento al 50 per cento della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, una questione di discreto rilievo.
Il terzo punto, forse più importante di ambedue gli altri, è un miglior quadro di accesso dei comuni ai dati dell'anagrafe tributaria, che, nei quattro punti descritti nel comma 7 dell'articolo 1, amplia e determina una sistematicità che oggi non esiste. Oggi bisogna andare dietro alla singola legge che permette di compiere una data operazione o di accedere a un'altra.
Servono sempre una maggiore adesione delle agenzie statali e altre questioni che mancano e che non è il caso di sollevare. Un punto, però, può essere importante. Sulla cedolare secca la scelta del decreto è unicamente di carattere deterrente. Questo aspetto, a nostro avviso, è sicuramente insufficiente per i motivi che ricordavamo prima.
Non è vero che non si lavora. In giro per l'Italia ci sono comuni che hanno lavorato seriamente sulla questione del recupero degli affitti in nero, comuni universitari, città di una data importanza ovviamente, perché non si possono effettuare questi lavori su piccolissima scala.
Quando, attraverso una perfetta collaborazione con la Guardia di finanza e l'Agenzia delle entrate, si sono trovati a dover puntare a recuperare il soldo, appurato che l'immobile è evaso, che c'è un affitto, sia esso a beneficio di extracomunitari o di studenti, la Guardia di finanza non sa come imputare un affitto a un dato soggetto.
A noi pare strano che non si possa estendere il meccanismo della deterrenza a un meccanismo di accertamento - lo affermo senza allarmare nessuno - di tipo induttivo. Serve un gettone, che va studiato con accortezza con i tecnici e con chi ha lavorato su questi temi, puntando agli accertamenti bancari e alle intercettazioni


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telefoniche, uno strumento di possibile accertamento induttivo in presenza di indizi molto precisi. Se esiste un consumo di energia elettrica superiore a un quid ed esiste un movimento - abbiamo ora l'accesso alle utenze, anche se non è perfetto per i dati - a quel punto si stabilisce anche un affitto convenzionale.

GIUSEPPE FRANCO FERRARI, Presidente dell'IFEL. Svolgo una battuta che forse inerisce a un profilo che potrebbe essere fuori dal decreto delegato e, quindi, dai princìpi e dai criteri direttivi, nonché dai poteri della Commissione.
Mi pare che meriti di essere segnalato che il problema relativo alla base imponibile - parto dalla base imponibile ora ICI e domani IMU - non è soltanto di comunicazione di dati e di database, ma anche di forte difficoltà di attivazione di meccanismi concertativi tra il comune e lo Stato.
Se nell'ambito di un comune - mi è capitato di verificarlo e l'abbiamo visto scientificamente e anche professionalmente - due quartieri distinti che hanno tipologie immobiliari grossomodo simili e sono stati costruiti all'incirca negli stessi anni, sono stati accatastati differentemente e il comune compie uno sforzo, peraltro politicamente pericoloso, per assimilare le due basi imponibili alzando una delle due, quindi a rischio di impopolarità, non ha lo strumento per farlo.
Se l'amministrazione statale non accondiscende al tentativo di assimilazione delle due basi, il comune non ha strumenti per procedere. Non può fare ricorso al TAR, perché si tratta di atti di natura sostanzialmente tributaria, non può ricorrere alla Commissione tributaria, perché solo il contribuente ne ha la legittimazione e, quindi, di fatto non può fare nulla.
Il senatore D'Ubaldo richiamava giustamente il rapporto tra tassazione e rappresentanza. La base imponibile è il presupposto. Sarebbe il caso di inventare un marchingegno di natura concertativa.
Più che a Milano e alla metropoli penso ai comuni delle aree metropolitane. Se si potessero prevedere meccanismi di Conferenze di servizi ovvero di procedimenti attivabili a domanda che rendano più facilmente azionabile questa pretesa da parte dell'amministrazione locale, ciò consentirebbe probabilmente un'emersione, che magari comporta costi politici, ma anche forti vantaggi amministrativi.

PRESIDENTE. Se ci fa avere su questo tema una nota sintetica nel più breve tempo possibile, vedremo se e in che modo sia possibile inserire un elemento, senza uscire fuori dai confini della delega.

GIULIANO BARBOLINI. Ci interessa anche il passaggio - non so se avete già alcune elaborazioni o note in materia - con riferimento alla TIA-TARSU, perché è un argomento che, secondo me, non dovremmo lasciare cadere.

PRESIDENTE. Se nella vostra elaborazione non c'è, ma ci fate pervenire una documentazione in merito, ve ne saremmo grati.

SILVIA SCOZZESE, Direttore scientifico dell'IFEL. Noi ci siamo attenuti al carattere di questo provvedimento, ma il tema è molto caro anche a noi.

PRESIDENTE. Vi ringraziamo per il vostro contributo, nonché per il documento che ci avete fornito, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 6).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 21,05.

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