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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e V Camera)
AUDIZIONE
8.
INDAGINE CONOSCITIVA
2.
Giovedì 24 febbraio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

La Loggia Enrico, Presidente ... 3

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (Atto n. 317) (ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati):

La Loggia Enrico, Presidente ... 3 7 9 12 13 15 16 20
Armosino Maria Teresa (PdL) ... 8 9
Barbolini Giuliano (PD) ... 11
Causi Marco (PD) ... 9
Flaccadoro Enrico, Consigliere della Corte dei conti ... 16
Giampaolino Luigi, Presidente della Corte dei conti ... 3 15
Lanzillotta Linda (Misto-ApI) ... 10
Nannicini Rolando (PD) ... 14
Romano Massimo, Consigliere della Corte dei conti ... 19
Stradiotto Marco (PD) ... 12

ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti della Corte dei conti ... 21

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Seduta del 24/2/2011


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...
Audizione di rappresentanti della Corte dei conti nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a Statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (Atto n. 317).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a Statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (Atto n. 317).
Abbiamo la fortunata circostanza di avere con noi il presidente Giampaolino, il cui esame, i cui apporti e suggerimenti ci sono stati sempre preziosi nel lavoro che abbiamo svolto finora. Sono certo che saranno ancora più preziosi in questa circostanza, nella quale ci occupiamo più specificamente di federalismo regionale e provinciale e dei costi standard della sanità.
Do la parola al presidente Giampaolino.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Come è nostra consuetudine, noi lasciamo un testo scritto. Mi limiterò, quindi, ad alcune indicazioni di massima e ad alcuni rilievi di portata generale.
Signor presidente e onorevoli e senatori delle due Commissioni, la Corte è oggi chiamata a esprimersi sul decreto che contiene alcuni blocchi fondamentali della riforma del federalismo fiscale. Nella mia esposizione mi soffermerò su alcune osservazioni puntuali relative ai principali aspetti evidenziati dalla Corte. Rinvio, quindi, per un'analisi di dettaglio al documento depositato. Dati ed elementi informativi per una prima valutazione dell'operare del nuovo sistema sono contenuti nei riquadri allegati al documento stesso.
Sono significativi i passi compiuti con lo schema di decreto nel ridisegno del sistema di finanziamento delle regioni a statuto ordinario. Senza dubbio viene ampliata la strumentazione e arricchito il quadro delle leve a disposizione delle regioni per un'effettiva gestione della politica tributaria.


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Il funzionamento del sistema perequativo, diviso nelle due componenti relative ai livelli essenziali delle prestazioni e alle altre funzioni, risulta basato su meccanismi più trasparenti. Sono superate le difficoltà riscontrate nel caso del decreto legislativo n. 56 del 2000 di una possibile riduzione delle risorse anche per le funzioni LEP e viene assunta, per la perequazione delle funzioni essenziali, un'impostazione di tipo verticale.
Anche con la scelta operata per il finanziamento della sanità ci si muove in continuità con l'esperienza maturata con la sottoscrizione, a partire dal 2000, dei Patti della salute. Proseguendo nel percorso finora seguito, basato sul calcolo di finanziamento pro capite uniforme su vincoli di bilancio e obbligo di copertura delle extra spese, si è puntato, infatti, a definire un meccanismo per il riparto del fabbisogno standard nazionale. Il potenziamento delle capacità di analisi della spesa regionale e una più attenta rilevazione dei costi sono destinati a misurare le aree di inefficienza e a verificarne in futuro i miglioramenti, oltre che a guidare nella revisione dei criteri di pesatura.
Per le province è confermato il ruolo dei tributi collegati al trasporto su gomma e per la sostituzione dei trasferimenti soppressi è prevista una partecipazione a un tributo erariale, inizialmente individuato nell'accisa sulla benzina, ma che, secondo l'intesa raggiunta in Conferenza unificata, dovrebbe essere sostituito con l'IRPEF.
Anche nel caso delle province viene assicurato un ampliamento della flessibilità nella gestione delle entrate conferite. Rimane, invece, ancora indeterminato il disegno del meccanismo perequativo delle amministrazioni locali, per il quale ci si limita a riproporre i termini della delega.
Infine, nel testo modificato in Conferenza unificata si prevede un ruolo e soprattutto un beneficio per le amministrazioni regionali nella lotta all'evasione fiscale.
Di rilievo, infine, è la previsione di una collaborazione tra livelli di governo nell'attuazione degli atti di indirizzo in tema di politica fiscale.
Il ridisegno complessivo si presenta, tuttavia, particolarmente complesso e di non facile gestione, soprattutto nel rapporto tra livelli di governo, se è consentito parlare di livelli di governo. Si tratta di una complessità da ricondurre alla necessità di abbandonare i trasferimenti come modalità di finanziamento delle funzioni delegate, secondo quanto previsto nell'articolo 119 della Costituzione. La loro sostituzione con tributi su basi imponibili sperequate fa moltiplicare e accrescere il ricorso a fondi di riequilibrio, la cui gestione si intreccia inevitabilmente con quella dei fondi perequativi.
Inoltre, l'utilizzo di compartecipazioni e di addizionali all'IRPEF si sovrappone alle regole poste all'esercizio dell'autonomia fiscale e al rilievo di dette entrate nel meccanismo perequativo delle spese non LEP, con la conseguente dipendenza del gettito regionale non solo dalla base imponibile locale, ma anche dall'operare della solidarietà interregionale. Ciò rende tali entrate soggette a molteplici variazioni e non potrà non richiedere una continua revisione delle aliquote di compartecipazione destinate al finanziamento delle realtà locali.
Al tempo stesso, non è stato abbandonato completamente il modello di finanza derivata. Solo parziale è, infatti, l'abolizione dei trasferimenti dallo Stato alle regioni e tra regioni e amministrazioni locali, anche quando essi hanno carattere di generalità e permanenza. L'abolizione è prevista esclusivamente per quelli di parte corrente.
Coesistono, comunque, sistemi di trasferimento indiretto - i fondi di riequilibrio - con trasferimenti effettivi e ciò anche per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni.
In alcuni settori di intervento si riscontrano poi, sulla base delle scelte compiute in passato dalle amministrazioni territoriali, soluzioni diverse tra regioni, a seconda


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che il finanziamento, per esempio alle province, avvenga tramite la regione o sia diretto dallo Stato alla provincia.
Pesano, infine, sulla possibilità di valutare il nuovo sistema la mancanza di una chiara identificazione dei livelli essenziali delle prestazioni associate all'assistenza, alla scuola e al trasporto pubblico locale (in conto capitale) e l'incertezza del quadro informativo.
Sul piano della fiscalità regionale lo schema di decreto conferma i tributi oggi attribuiti alle regioni, riconoscendo uno spazio di manovra aggiuntivo. Non tutte le soluzioni prospettate a tal fine risultano, in verità, del tutto convincenti e univoche.
È il caso dei limiti posti all'esercizio dell'autonomia tributaria attraverso il blocco dell'aumento dell'addizionale IRPEF per talune tipologie di contribuenti. Diretta a contenere l'aumento del carico fiscale, tale operazione potrebbe non risultare facile da applicare. Inoltre, limitare la flessibilità del prelievo ai soli redditi medio-alti significherebbe incentivare lo sforzo fiscale soltanto nelle regioni ricche, sterilizzando di fatto la leva fiscale attivabile dalle regioni a più basso reddito pro capite e a più elevata concentrazione di reddito da lavoro dipendente e da pensione.
Per assicurare la razionalità del sistema e salvaguardare i criteri di progressività si prevede la possibilità di variare le aliquote solo con riferimento agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale. Il riferimento obbligato a scaglioni di imposta anche nei sistemi impositivi regionali, che negli anni passati hanno previsto l'applicazione delle maggiorazioni con modalità diversificate, potrebbe comportare variazioni nelle entrate anche consistenti.
Complessa è anche l'attuazione delle disposizioni con cui viene introdotta la possibilità per le regioni di prevedere con propria legge detrazioni in favore della famiglia. L'inserimento di ulteriori detrazioni, distinte da quelle previste a livello nazionale, da scontare sull'addizionale regionale andrebbe valutato in rapporto alla necessità di garantire sia la razionalità del sistema, sia la coerenza con i criteri di progressività dell'imposta.
Inoltre, l'introduzione di detrazioni per le erogazioni di sussidi o di misure di sostegno del reddito rende il sistema più complesso e accentua i problemi connessi all'incapienza dei possibili beneficiari.
Al di là di queste indubbie difficoltà applicative, la possibilità di graduare su base territoriale politiche sociali mirate risponde all'esigenza di tararne l'entità e la distribuzione sulle caratteristiche della platea di riferimento. La soppressione, a seguito del parere della Conferenza unificata, della disposizione che impedisce da parte di ciascuna regione un aumento della pressione fiscale a carico del contribuente rafforza l'autonomia tributaria regionale, indebolendo l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva anche nel corso della fase transitoria.
Nel disporre la soppressione dei trasferimenti dallo Stato alle regioni a Statuto ordinario, lo schema di decreto fa riferimento, come ho già ricordato, solo a quelli di parte corrente, mentre nulla viene indicato per i trasferimenti in conto capitale, anche se con carattere di generalità e permanenza.
Ancora incerto è il perimetro dei trasferimenti statali da sopprimere, per i quali nella relazione tecnica, ma non nel testo del decreto, si riafferma la riduzione prevista dal decreto legge n. 78 del 2010. Il taglio dei trasferimenti è reso più difficile dal fatto che parte dei trasferimenti correnti è al momento destinata al finanziamento di interventi riconducibili a livelli essenziali e, pertanto, di difficile riduzione.
Anche nel caso dell'abolizione dei trasferimenti dalle regioni ai comuni, un elemento critico del ridisegno è costituito dalla possibile disomogeneità e dalla complessità delle scelte adottate in ambito regionale. Non vanno, per esempio, trascurate le difficoltà di definizione della compartecipazione. Andrà specificato, in


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fatti, se la compartecipazione debba essere legata all'intero gettito o alla sola quota destinata a funzioni non LEP.
Il taglio dei trasferimenti previsti dal decreto legge n. 78 del 2010 e il conseguente ridursi dell'addizionale IRPEF attribuita alle regioni potrebbe rendere insufficiente il gettito dell'addizionale stessa e rendere necessario il ricorso a ulteriori compartecipazioni, portando a definizioni di sistemi fiscali sempre più differenziati.
In attesa della definizione dei LEP e dei relativi costi standard per assistenza, scuole e trasporti, va poi chiarito se i trasferimenti attualmente destinati al finanziamento di dette funzioni e la loro composizione per regione debbano essere considerati come rappresentativi del livello di finanziamento a essi destinabile nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica.
Per il trasporto pubblico locale di parte capitale i trasferimenti oggi destinati alle amministrazioni regionali non risultano, in base al testo del decreto, tra quelli da sostituire.
Per le funzioni non LEP appare necessario un maggiore dettaglio dell'area di riferimento della perequazione e dell'addizionale all'IRPEF. Una quota del gettito di tale imposta è destinata al finanziamento delle spese relative ai LEP.
La perequazione dovrà, quindi, essere calcolata solo sulla quota destinata ai non LEP. In caso contrario, la riduzione delle differenze del gettito IRPEF comporterebbe una riduzione del gettito della regione da portare in equilibrio, incidendo sul funzionamento del sistema.
Infine, richiede un chiarimento la fase transitoria fino al 2013, nella quale sembra confermata la normativa oggi vigente. Andrà precisato, in particolare, se nel calcolo dell'IVA ci si muova a copertura della sola spesa sanitaria, così come previsto dal decreto legislativo n. 56 del 2000, o se sull'IVA vada a ricadere l'intero sistema perequativo per garantire l'integrale finanziamento dell'assistenza e dell'istruzione.
Sui costi standard nel settore sanitario il decreto si muove in linea con il percorso che ha caratterizzato le ultime legislature: uniformità nel finanziamento pro capite pesato, responsabilizzazione delle amministrazioni territoriali e adeguamento delle risorse a importi coerenti con la fornitura dei livelli essenziali di assistenza.
La scelta operata nel decreto di valorizzare l'esperienza maturata negli anni nella gestione della spesa sanitaria se, da un lato, sembra ridurre l'impatto del riferimento ai costi standard nel nuovo meccanismo di funzionamento del settore, dall'altro ha il pregio di semplificare la gestione del sistema, garantendo per altra via il collegamento tra la programmazione di bilancio, la compatibilità di finanza pubblica e l'analisi comparativa di quantità e qualità dei servizi erogati.
Il metodo individuato per il calcolo dei costi standard non sembra incidere direttamente sul riparto del fabbisogno. L'allocazione delle risorse è destinata, infatti, a mutare solo se viene assunto un diverso metodo di pesatura rispetto a quello utilizzato nell'anno preso a riferimento. Le conseguenze nella disponibilità di risorse rispetto alla situazione attuale potrebbero essere, in questo caso, anche rilevanti.
Il riferimento ai costi standard può rilevare, tuttavia, ai fini degli indicatori di efficienza e di appropriatezza e incidere positivamente sul sistema di autovalutazione delle regioni e sulla conseguente adozione delle best practice. La disponibilità di dati sui consumi distinti per classe di età, per ora limitata alla spesa ospedaliera, a quella farmaceutica e a quella specialistica ambulatoriale, potrebbe consentire di rivedere nel tempo la stima della spesa standard nazionale, calcolando in modo sempre più preciso il fabbisogno su cui basare il criterio di pesatura e correggere eventualmente il tasso di variazione della spesa sanitaria complessiva compatibile con gli obiettivi di finanza pubblica o estendere i servizi da garantire alla collettività.
Un arricchimento delle informazioni disponibili sul territorio consentirebbe, infine, di tener conto nel calcolo dei criteri di pesatura anche di fattori ulteriori, come le condizioni di svantaggio socio-economico di un'area geografica. Va precisato


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che il riferimento a tale fattore, previsto nel testo iniziale del decreto, viene meno nella proposta della Conferenza unificata.
In conclusione, il disegno proposto con il provvedimento compie, in aderenza a quanto previsto dalla legge delega, progressi nella ridefinizione del sistema dei finanziamenti delle regioni e delle province, nonostante rinunci, come già nella legge delega e come la Corte in altre occasioni ha rilevato, a ricomprendere nel disegno le regioni a statuto speciale e le province autonome.
Con il superamento della finanza derivata e con la piena responsabilizzazione delle amministrazioni territoriali sul fronte delle entrate si punta a esercitare un effetto positivo sulla dinamica della spesa. In una fase, come l'attuale, in cui è necessario gestire un progressivo contenimento della spesa per consentire l'alleggerimento della pressione tributaria e il rientro da un livello di debito elevato, risulta fondamentale la definizione di meccanismi di coordinamento della finanza pubblica che garantiscano il contributo di tutti i livelli di governo al riequilibrio complessivo.
In questo contesto non può non essere vista senza preoccupazione la definizione di un quadro di finanziamento che tenda a cristallizzare i fabbisogni finanziari su livelli non sempre coerenti con la riduzione necessaria della spesa. Il Patto di stabilità interno quale elemento esclusivo per la gestione di tale processo non sembra in grado, infatti, di offrire la necessaria flessibilità e tempestività di intervento.
È positivo, in quest'ottica, l'aver previsto un meccanismo top-down per la determinazione delle risorse che il sistema Paese può permettersi al fine di garantire il corretto finanziamento dei livelli essenziali in sanità. Un analogo vincolo dovrebbe essere pensato per le altre funzioni garantite costituzionalmente.
Merita attenzione poi la coerenza del sistema fiscale complessivo, alla luce delle modifiche che si vengono delineando con l'approvazione del complessivo sistema di finanziamento di comuni, province e regioni. In tutti i livelli di governo è rilevante il ruolo attribuito all'IRPEF, di cui andrebbe verificato l'eventuale sovraccarico di funzioni anche in termini di inevitabili difficoltà sul piano gestionale.
Potrebbe incidere negativamente sulla gestione della riforma l'eccessiva complessità del sistema che emerge nel ridisegno, una complessità, peraltro, largamente spiegabile anche con l'esclusione dei trasferimenti come meccanismo di finanziamento e con il mantenimento a livello locale di unità di gestione troppo frazionate e di dimensione ridotta per consentire un'effettiva autonomia finanziaria.
Su tali caratteristiche, a parere della Corte, dovrebbe concentrarsi l'attenzione del legislatore per fare in modo che la riorganizzazione in sede federalista del Paese possa tradursi in un miglioramento della gestione dei servizi all'interno di un percorso di risanamento e di riequilibrio finanziario.
Per parte sua la Corte, sulla base dei precetti costituzionali e della legge n. 131 del 2003, di cui il presidente La Loggia è stato artefice e che proprio dei precetti costituzionali costituisce attuazione, nonché di ulteriori, anche recenti, interventi legislativi, è pronta ad accompagnare, nella sua posizione di neutralità istituzionale, tale processo con l'attività di controllo delle proprie articolazioni territoriali e con quella di referto al Parlamento sull'operare degli strumenti di coordinamento della finanza pubblica.
Questa della Corte è un'attività i cui risultati consentiranno una verifica attenta e tempestiva dell'efficacia e dell'efficienza dell'operare delle amministrazioni territoriali, nonché della rispondenza dei servizi resi al modello di prestazioni garantite dall'ordinamento, entrambi elementi indispensabili per la sostenibilità di un sistema caratterizzato da un elevato ruolo della perequazione.

PRESIDENTE. Grazie molte, presidente, per il prezioso contributo.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.


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MARIA TERESA ARMOSINO. Ringrazio il presidente Giampaolino per la relazione. Mi pare che siano stati sottolineati punti già discussi in questa Commissione di rilevanza numerica significativa.
In particolar modo, mi colpisce il richiamo, che percepisco anch'io come una lacuna da colmare, alla difficoltà di censire l'ammontare della spesa per l'assistenza, una spesa che interessa variamente il sistema dell'organizzazione dello Stato, a partire dallo Stato centrale per arrivare alle regioni e ai comuni. Vi è un richiamo a definire, anche per questa voce significativa, non solo i livelli essenziali di assistenza, ma anche le risorse per farvi fronte.
Condivido, inoltre, tutto il rilievo svolto sui tagli apportati ai trasferimenti, sia di parte corrente, sia di parte capitale, perché una non esatta individuazione delle risorse potrebbe realizzare nel concreto il contrario di ciò che la riforma vorrebbe prefigurare.
Ho ancora una ragione di perplessità, che intendo sottoporre all'organismo di controllo. Si tratta di una perplessità che deriva dall'attuazione del federalismo nelle sue articolazioni sul piano delle regioni, delle province e dei comuni. Credo che anche in questa fase dovremmo essere capaci di apportare in merito alcune modificazioni.
Un rilievo che muovo, anche per esperienza personale, riguarda le province, sempre che le si vogliano mantenere. Devo partire dal presupposto che le province vi siano. Comunque, fino a quando vi saranno e dovranno esistere, bisognerà tenere in piedi gli edifici scolastici, riparare le strade e compiere altre operazioni funzionalmente connesse a tali enti. Per esempio, con riferimento alle province, il tema della fiscalità è legato a una sola imposizione o comunque è riferibile alla circolazione e alla vendita di veicoli, con le problematiche di andamento a sinusoide che può incontrare questo settore, come si sta vedendo in questi anni.
Ritengo - voglio chiederlo all'organismo di controllo - che il sistema delle province, laddove non venga introdotto, quanto meno a partire dal giugno 2011, un meccanismo che consenta entrate ulteriori rispetto a quelle previste a fronte dei tagli effettuati, che sono di due ordini, statali e regionali, sarà costretto a elaborare bilanci, che credo siano ben redatti e in presenza di amministratori tutti corretti, inserendovi, almeno in quelli previsionali, una voce sulle entrate derivanti dall'attuazione del federalismo fiscale. Diversamente, non vi è un bilancio che regga.
Chiedo se si tratta di un timore da parte di chi ha poca esperienza amministrativa o di un tema che anche l'organismo di controllo si è posto. In questo caso, domando se non si debba prevedere, come lo si è fatto per i comuni, nelle more del periodo di transizione, di poter operare sulle entrate correnti.
Svolgo un ultimo rilievo sui costi standard, una questione che probabilmente non capisco bene io, ma che sicuramente all'organismo di controllo non sfugge. Mi pare che nell'applicazione dei costi standard in materia sanitaria ci si stia sempre più allontanando, sulla base della modalità di distribuzione, di computo e di accantonamento da definirsi in Conferenza delle regioni, dall'esigenza che mi sembra essere alla base della riforma della spesa sanitaria, ossia la definizione del costo standard in relazione all'altro rovescio della medaglia, rappresentato dai livelli di assistenza sanitaria che noi dovremmo garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
Tale allontanamento mi appare non tanto nel testo della legge, quanto in ciò che sta accadendo adesso. Assistiamo non voglio dire alla creazione di un centralismo regionale, perché auspico che ciò non accada, ma al fatto che una somma molto significativa delle entrate e delle spese viene gestita all'interno di un organismo ristretto molto particolareggiato - è inutile che sosteniamo che vi sono regioni che hanno trasferito funzioni e altre che non l'hanno fatto, per limitarci alle regioni a statuto ordinario - con una varietà di aspetti assolutamente evidente.
Come poter far valere il peso del costo standard? Se siamo in presenza di regioni


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che danno un buon servizio sanitario e che magari sono anche all'interno del costo standard, l'applicazione di un criterio di riparto piuttosto che un altro può ridurre il tipo di stanziamento a favore di tali regioni, che rientravano nello standard ed erogavano un coerente sistema di servizi.

PRESIDENTE. Credo che almeno una parte di questa proposta potrà trovare sicuramente spazio - mi sembra piuttosto convincente; esprimo la mia personalissima opinione, poi naturalmente la Commissione avrà modo di discutere - sull'altro decreto legislativo, quello sull'armonizzazione dei bilanci, perché proprio in quel contesto probabilmente sarà possibile inserire più organicamente la definizione di una tipologia di entrate.

MARIA TERESA ARMOSINO. Credo che non si debbano distinguere figli e figliastri. Quando si parla di riforma della fiscalità in generale, tutti gli organismi dovrebbero trovare soluzioni analoghe.

PRESIDENTE. Poiché esiste il citato decreto legislativo, che a breve ci sarà trasmesso, esso andrà coordinato con quello di cui stiamo parlando adesso.

MARCO CAUSI. Presidente, molte grazie per la sua relazione e per i documenti allegati, ricchissimi di informazioni.
All'inizio della sua relazione lei pone un punto molto importante, che è già stato discusso in questa Commissione, cioè il fatto che le aliquote di compartecipazione dovranno essere continuamente riviste. Secondo la sua opinione, quale può essere il meccanismo dinamico di questa revisione. Sarà da demandare a una fonte secondaria, come un decreto, o potrebbe rientrare nella legge di stabilità, ossia nell'ambito del processo di coordinamento della finanza pubblica stabilito dalla vecchia e nuova legge n. 196?
In un passaggio successivo della sua relazione lei pone un problema molto giusto e vorrei che lo chiarissimo insieme. Il livello della compartecipazione IVA, almeno per la fase definitiva - e penso forse anche nella fase transitoria - deve tener conto non soltanto della sanità, come oggi avviene, ma anche delle altre prestazioni connesse a servizi essenziali coperti dalla lettera m) dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione.
Lei ci ricorda inoltre la questione della spesa in conto capitale. Naturalmente, visto che finora tale questione non è stata affrontata, grazie al suggerimento che ci viene dalla Corte dei conti forse potremmo iniziare a discuterne. Vorrei capire se avete alcune idee o piste di lavoro, per esempio se si potesse pensare al decreto sulla perequazione infrastrutturale come alla sede in cui trattare, almeno per quanto riguarda gli interventi permanenti, quindi quelli legati alle lettere m) e p), la spesa in conto capitale legata ai LEP.
Resterebbero però alcune questioni aperte. Come trattarle? Si devono considerare le prestazioni non riconducibili alle lettere m) e p) come interventi speciali, quindi comma 5 dell'articolo 119 della Costituzione? In merito esiste un'incertezza e chiedo, pertanto, se ci aiutate a iniziare a discuterne, visto che nei decreti questo punto non è stato ancora affrontato.
Le vorrei poi richiedere un chiarimento sulle considerazioni che esprimete in merito al finanziamento delle funzioni non LEP. Se capisco bene, esse sono collegate anche ad alcuni conti e ad alcune tabelle allegate nella vostra relazione, ma non ho avuto il tempo di approfondire. Mi riferisco alle funzioni non LEP e alla capienza dei fondi derivanti dall'addizionale.
Su questo punto vi domando se anche voi ritenete che nella fase transitoria l'addizionale IRPEF erariale, ovvero quella di base, quella che fiscalizza i trasferimenti, non debba essere assoggettata a una eventuale forma di riequilibrio. Non è necessariamente uguale regione per regione con i trasferimenti che sono stati cancellati.
Infine, sulla questione dei costi in sanità mi sembra che la Corte esponga una tesi che noi abbiamo potuto vedere in questi giorni ampiamente condivisa, ossia che non bisogna confondere fra formule di


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riparto e apparati relativi al monitoraggio dell'efficienza, dell'adeguatezza e dell'appropriatezza dei costi standard.
A questo punto, la possibilità di introdurre ulteriori fattori e non soltanto la pesatura per classi di età, eventualmente da aggiornare, fa riferimento, se capisco bene, ai costi standard e non alle formule di riparto, oppure ritenete che possa incidere anche sulle formule di riparto?

LINDA LANZILLOTTA. Ringrazio molto la Corte per gli elementi che ci ha fornito. Vorrei ritornare su alcune questioni poste dai colleghi, anche per svolgere quesiti di carattere sistemico.
Mi sembra di capire che ci sia un'osservazione su un concetto chiave del federalismo, cioè sul fatto che il costo standard, cui si associa il processo virtuoso che dovrebbe innestare il federalismo, sia in realtà un parametro, un multiplo, a cui non è ancorata la determinazione effettiva delle risorse. Si tratta di un fattore, cioè, che rimane esterno al processo, come standard di valutazione e di monitoraggio, ma che non condiziona le risorse.
Mi domando se tale elemento non comporti in sé un rischio. Poiché non è associato al conseguimento dell'efficienza nei singoli comparti su cui vengono valutati i costi standard, non esiste il rischio che poi negli aggregati di spesa regionale vinca la spesa cattiva e sia cacciata quella buona?
Per spiegarmi meglio, è molto più difficile produrre meccanismi virtuosi nella gestione delle convenzioni ospedaliere o della spesa farmaceutica piuttosto che tagliare servizi. Se non ci sono parametri stringenti su questo terreno, non esiste il rischio di una riduzione delle risorse e soprattutto di una loro dequalificazione. Non può avvenire, cioè, che alla fine questo meccanismo comporti il risultato esattamente opposto a quello voluto? Questo è un primo punto.
L'altro punto è un quesito in relazione all'osservazione, su cui giustamente la Corte ritorna più volte, relativa all'esclusione delle regioni a statuto speciale. Credo che nell'attuazione si vada addirittura oltre ciò che è stato previsto dalla legge, ma, a prescindere dallo strumento attraverso cui viene attuata la delega sul federalismo, mi domando se sul piano sostanziale e in termini contabili sia possibile, per svolgere un'operazione di definizione dei fabbisogni e di perequazione, prescindere dalle basi fiscali e dai fabbisogni di tali regioni.
Come si fa a scorporare questi aggregati finanziari, se si vuole raggiungere il risultato perequativo? Non capisco. Bisogna proprio estrapolare un pezzo di finanza pubblica e, quindi, al di là della procedura, che è l'unico fatto che la legge garantisce come esclusione, come deve essere rappresentata la connessione anche dal punto di vista dell'esito contabile dell'estensione dei princìpi? Anche nella simulazione della perequazione dovremmo avere un quadro sinottico.
Chiudo con un ultimo punto, senza appesantire troppo il discorso. Mi sembra che il decreto voglia conciliare diversi elementi. L'IRPEF è l'imposta base su cui si realizza il principio costituzionale della progressività e dell'adempimento dell'obbligo tributario. È possibile usare questo tributo così come si incomincia a vedere? È spezzettato, viene fatto proprio «a spezzatino», un po' alle regioni, un po' ai comuni e adesso un po' anche alle province. Si può mantenere con un'articolazione tanto segmentata la progressività dell'imposta?
L'altro punto che mi sembra che il decreto miri a mantenere allo Stato è il potere di attuare politica tributaria attraverso la leva dell'IRPEF. Vengono posti alcuni paletti, come quello che giustamente la Corte ricorda, cioè il fatto di concentrare le addizionali ulteriori sui redditi medio-alti e di non compensare attraverso aumenti delle addizionali IRPEF le eventuali riduzioni dell'IRAP.
Infine, l'ultima prescrizione che lei ricordava come piuttosto difficile da conseguire è quella che comunque non si debba aumentare la pressione fiscale sul singolo contribuente.


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Come si fa, secondo la Corte, a conciliare questi vincoli tutti insieme, se è possibile conciliarli?

GIULIANO BARBOLINI. Anch'io do atto al presidente Giampaolino del materiale che ci è stato fornito, che è di grande interesse. Naturalmente bisognerà studiarlo più in profondità e, quindi, pongo solo alcune domande di reazione a caldo sui punti che mi hanno maggiormente impressionato della sua esposizione.
La prima questione è un focus sul fondo perequativo e sulla sua genericità, nebulosità, nonché sulla richiesta e sulla ricerca di articolazioni più puntuali e precise, anche di garanzia, se ho inteso bene. Chiedo se voi avete svolto riflessioni o valutazioni al riguardo.
In merito a questo punto, soprattutto con riferimento alle funzioni non LEP, al fatto che sia solo l'IRPEF a intervenire e al richiamo svolto al ricorso alla solidarietà interregionale, chiedo se questa sottolineatura ci esponga al rischio di una perequazione di tipo orizzontale, che sarebbe in contraddizione con i princìpi che abbiamo cercato di fissare nella legge n. 42.
La seconda questione è legata al tema del fondo sanitario. Do atto - mi pare di condividerlo pienamente - al contributo che dalla relazione della Corte ci è venuto nella distinzione che il decreto non compie con la stessa chiarezza. Mi riferisco alla distinzione tra il consolidamento di una spesa che serve a garantire l'implementazione della spesa sanitaria nelle diverse regioni secondo criteri consolidati di ripartizione e una funzione delle regioni benchmark e dei costi standard, che rappresenta più che altro un elemento di accompagnamento a un processo di verifica e valutazione delle prestazioni in funzione di un progress di affinamento e di miglioramento della qualità, ma non un criterio di riparto. Mi sembra utile avere un elemento di chiarezza per la nostra discussione e per il nostro lavoro.
In questo senso, riallacciandomi anche al richiamo dell'onorevole Causi, una volta che si svolgano valutazioni per tipologia e per classi di età e che si arricchiscano gli elementi di valutazione a consuntivo, auspico il possibile recupero di criteri come quello della deprivazione sociale, ma in un processo e non immediatamente, perché rischieremmo di avere spostamenti nel finanziamento della spesa sanitaria che genererebbero maggiori costi oppure risultati negativi dal punto di vista della tutela delle prestazioni.
In questo spirito, però, volevo anche chiedere un'opinione. Mi pare che l'indice di deprivazione sociale sia forse una componente che agisce anche in sanità. Credo che dovrebbe essere uno di quei fattori da tenere particolarmente presenti quando si svolgono altri tipi di valutazioni, con riferimento all'assistenza e forse anche al tema dell'istruzione. La pongo anche come una riflessione.
Condivido il principio, che voi citate chiaramente, per cui occorrono, nello sforzo di contenimento della spesa pubblica e di riduzione del deficit, una concertazione istituzionale e un'assunzione di responsabilità collettiva. Lo esplicito per me, ma mi interessava capire un'opinione. Tutto ciò è condivisibile, però devono essere chiari i termini di riferimento.
Voi affermate in un passaggio, se non ricordo male, che talvolta la spesa può essere parametrata su livelli che non sono compatibili. Bisogna, però, esplicitare quali sono i livelli e le compatibilità. Torniamo al punto: mancando completamente i riferimenti per quanto attiene ai costi standard o a indicatori di riferimento per l'assistenza o per l'istruzione, il rischio è che possa succedere ciò che talvolta abbiamo conosciuto, cioè che lo Stato mantenga una nebulosa e una genericità sul livello delle prestazioni che si devono garantire e che poi le risorse siano ridotte e limitate nel trasferimento alle realtà territoriali.
Il problema che questo decreto si porta dietro, insieme a molti altri che voi avete evidenziato, è che, soprattutto sul tema dell'assistenza, un grande fattore di coesione sociale e di intervento di equità, ma anche molto disarticolato e frammentato, non abbiamo alcun tipo di riferimento.


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Forse, quindi, il decreto dovrebbe impegnarsi molto a indicare non i parametri e i costi standard, che verranno quando verranno, ma almeno il percorso che garantisce che vi si arrivi in un arco di tempo ragionevole, superando la fase transitoria e dando alcune garanzie nella fase transitoria stessa sul fatto di poter garantire con certezza il rispetto dei princìpi del dettato costituzionale. Mi interessava avere, se è possibile, una riflessione e una valutazione su questi punti.

PRESIDENTE. Trovo molto stimolante l'intervento del senatore Barbolini, con il quale sono quasi totalmente d'accordo. Ci sono punti che vanno sicuramente approfonditi e certamente insieme con la Corte sarà ancora più facile farlo, ma ci sono anche punti che vanno integrati, aggiunti e probabilmente meglio specificati. Questo è il lavoro che abbiamo davanti. Non abbiamo moltissimo tempo, ma cercheremo di compierlo nella maniera migliore.

MARCO STRADIOTTO. Ringrazio il presidente Giampaolino per l'utilissima e ottima relazione, nonché per i documenti che ci ha consegnato e mi limito a svolgere solo due considerazioni e a porre una domanda.
Noi stiamo attuando la legge n. 42, che è stata approvata immaginando che servisse a delineare, in coerenza con il nuovo Titolo V della Costituzione, un sistema diverso di organizzazione delle entrate degli enti territoriali, destinato a divenire uno strumento per combattere evasione e sprechi. Stiamo compiendo questo lavoro e tentando di trovare un assetto diverso con tali obiettivi.
Sapendo che le risorse sono poche, l'unico modo per riuscire a riequilibrare una situazione di diseguaglianza e di ingiustizia nella distribuzione delle risorse è quello di immaginare un rapporto completamente diverso. A mano a mano che si va avanti con i decreti attuativi della legge delega, però, l'impressione è che non si semplifichi per lo meno l'approccio del cittadino rispetto al federalismo.
Probabilmente il cittadino non riesce a capire dove vanno i suoi soldi, il che è, secondo il mio punto di vista, l'elemento fondamentale perché il federalismo possa funzionare. Solo in questo modo esso può diventare un incentivo al senso civico, ad avere una maggiore attenzione per quanto riguarda gli sprechi e a fare altrettanto per quanto riguarda tutto il lavoro relativo all'evasione fiscale, che non si combatte solo con la Guardia di finanza, ma anche investendo sul senso civico.
Noi legislatori continuiamo a scrivere da tutte le parti che non deve aumentare la pressione fiscale, ma nella realtà continuiamo a lavorare sull'IRPEF, che sappiamo essere una delle imposte più sperequate nel territorio e non sempre un indice corretto rispetto alla ricchezza nel territorio. L'IRPEF è pagata per l'85 per cento da pensionati e da lavoratori dipendenti. Puntando su di essa, credo che rischiamo di non dare risposta all'obiettivo principale, cioè quello di garantire attraverso il federalismo più equità e giustizia nella distribuzione delle risorse e, quindi, allo stesso tempo, uno strumento per combattere evasione e sommerso e per combattere gli sprechi.
Speravo e immaginavo, ma purtroppo non è così, che già con il federalismo municipale, ma anche col federalismo regionale, si iniziasse a ragionare su un meccanismo che portasse effettivamente alla possibilità di una vera autonomia finanziaria degli enti territoriali. Il famoso «vedo, pago, voto» deve sussistere effettivamente, non può essere finanza derivata.
Può darsi che le risorse continuino ad arrivare da cespiti nazionali in cui alla fine chi mette l'imposta è il Ministro dell'economia e delle finanze. Nell'immaginario collettivo, quando si vota per le regioni, si ha in mente chi è il Ministro dell'economia e delle finanze in quel momento e non chi è il presidente della regione che viene proposto. Ciò dimostra che il meccanismo va assolutamente modificato.
Non esiste effettivamente il pericolo che la riforma, così strutturata, sommata a quella che abbiamo in parte alle spalle e che deve avere ancora il voto della Camera relativamente al federalismo municipale,


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determinerà per i percettori di redditi soggetti a IRPEF una maggiore pressione fiscale? Nel complesso è vero che essa non aumenterà, ma il complesso della pressione fiscale è un rapporto fra le entrate e il prodotto interno lordo. Se poi all'interno del 43,3 per cento, l'indice di cui si parla molto in questo momento, alcuni cittadini pagheranno più del 50 per cento e altri continueranno a non pagare nulla, molto probabilmente non avremo ottenuto l'obiettivo che ci eravamo prefissati.
Passo all'ultima domanda. Sulla questione IVA tento di porre un ragionamento. La pubblica amministrazione paga l'IVA al pari di qualsiasi consumatore. È possibile immaginare un meccanismo diverso? Tento di usare una metafora. Oggi lo Stato, a inizio dell'anno, attraverso i trasferimenti o le poste che mette in bilancio, prevede per i beni e i servizi che va ad acquistare e che andranno ad acquistare gli enti territoriali il costo del bene e dell'IVA, pensando e sperando che tale IVA, alla fine del giro, essendo un circuito, torni indietro come entrata IVA. In realtà, è come se qualcuno di noi, sapendo che nell'IVA c'è tanta evasione, decidesse di mettere acqua potabile all'interno di un circuito bucato e arrugginito.
Non è forse meglio immaginare un meccanismo, trovando gli accordi a livello europeo, affinché si eviti di buttare risorse buone in un circuito bucato e arrugginito? Porto un esempio: un'impresa che effettua manutenzione per il pubblico e che fattura tutto non necessariamente, quando opera nel privato, fattura ancora? Anche perché ha già un grande fatturato col pubblico e, quindi, non le occorre farlo. In quel settore si registra molta evasione.
Se, viceversa, togliessimo dal circuito tale IVA, secondo me daremmo un grosso aiuto e molto probabilmente dovremmo erogare meno trasferimenti. È una questione che merita una riflessione.
Qualcuno cita l'Europa e sostiene che non sa se si può o non si può attuare tale iniziativa. Al limite, poniamo tutta l'IVA al 4 per cento per l'acquisto di beni e servizi per gli enti territoriali. Vedo che per i partiti funziona, nel senso che durante la campagna elettorale una normativa di fatto dà la possibilità ai partiti di utilizzare l'IVA agevolata al 4 per cento, il che significa che è possibile.
Se veramente l'obiettivo è quello di combattere sprechi ed evasioni, dovremmo immaginare anche meccanismi, magari semplici e grezzi, ma che possano effettivamente cambiare un sistema che, se resta com'è, non funziona. Possiamo inventarci tutte le iniziative che vogliamo, ma alla fine resterà sempre il fatto concreto che il Paese sarà solo sulle spalle di alcuni e non di tutti.

PRESIDENTE. Se non sono ci sono altri interventi, svolgerei una piccola considerazione, che però mi sembra di grande significato. Vorrei raccogliere la disponibilità della Corte dei conti, che mi viene ulteriormente confermata dal presidente Giampaolino nella sua relazione, di accompagnare l'attuazione del federalismo soprattutto attraverso il ruolo delle sezioni regionali.
Poiché l'appetito vien mangiando, penso di potermi rendere promotore di una proposta emendativa, che spero sarà trasversale e accolta da tutta la Commissione, per vedere come e in che modo - l'articoleremo, naturalmente, al meglio - sia possibile affidare ulteriori compiti di controllo alle sezioni regionali.
Mi veniva in mente, mentre ascoltavo il presidente Giampaolino, proprio il problema dei costi standard, forse l'argomento più sensibile che abbiamo davanti e sul quale le idee sono meno chiare. Forse proprio su questo punto, anziché affidarci, come da alcune parti viene proposto, a osservatori più o meno indipendenti, per quanto competenti ed equilibrati e per quanto bravissimi saranno sicuramente i loro componenti, certamente preferirei che ci fidassimo di più del lavoro che potrebbe svolgere la Corte dei conti su questo argomento.
Naturalmente l'idea è da affinare e occorre ragionare, anche con la collaborazione della Corte dei conti e del presidente Giampaolino, su come meglio articolare


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e inserire nel decreto un principio di questo genere. Vorrei cogliere, comunque, favorevolmente la disponibilità che ci viene offerta e che è realmente molto preziosa.
Pur con i limiti introdotti con la novella costituzionale del 2001, ma facendo tesoro della legge n. 131 del 2003, credo che questa sia proprio l'occasione giusta per implementare ulteriormente le funzioni della Corte in un argomento tanto delicato. Forse l'argomento sul quale centrare di più la nostra attenzione è proprio quello dei costi standard.
Ieri abbiamo svolto un'audizione con i massimi esperti dell'economia nel settore della sanità. Se io affermo che un bicchiere costa 0,5 centesimi, nessuno è in condizione di potermi smentire, ma esso non costa 0,5 centesimi. È di tutta evidenza che non è così e ciò vale per qualunque tipo di prodotto, di prestazione o di strumentazione medica.
Qual è la soluzione? Poiché ci sono 109 miliardi nel Fondo sanitario nazionale, lo dividiamo per regioni pro capite e poi ognuno lo utilizza al meglio che può, o riusciamo a trovare un criterio? Poiché il criterio è estremamente difficile da individuare, preferirei forse concentrare la mia attenzione sul controllo.
È evidente che se un oggetto costa un euro a Pantelleria e cinque a Milano, c'è qualcosa che non va. Non è il valore medio. Ci deve essere un'elasticità, ma anche un punto di riferimento quanto più possibile certo, tenuto conto delle differenze ambientali, territoriali, delle distanze, della composizione umana della compagine sociale nella quale ci si trova a operare e delle dimensioni delle province, delle città, dei comuni e dei piccoli centri. Esistono numerosi parametri di cui si deve necessariamente tener conto, ma differenze da una a quattro volte forse diventano eccessive.
Prima di arrivare al patologico, vediamo se riusciamo a operare sul fisiologico. Se riusciamo ad avviare un meccanismo virtuoso di buone abitudini, un po' con la convinzione e un po' incutendo timore, forse riusciamo a compiere alcuni passi avanti. A me pare che sia una strada da perseguire. Avremo modo di ragionarci, naturalmente, e di vedere come sia concretamente possibile articolare un concetto di questo genere.

ROLANDO NANNICINI. Sul tema della sanità si è svolta una discussione molto attenta sulle regioni di riferimento e sui criteri di riparto adottati dal Patto della salute attualmente vigente, che prevede l'adozione di criteri ed elementi di riparto pro capite.
È indubbio, e tutti gli studiosi concordano in merito, che il consumo sanitario sia strettamente correlato all'età. È inutile effettuare ulteriori dimostrazioni: lo possiamo vedere anche nell'evidenza empirica.
Alla luce di tali considerazioni, a proposito della spesa ospedaliera, la diagnostica specialistica e la farmaceutica territoriale, utilizzando le regioni di riferimento, si potrebbe proporre la definizione del fabbisogno standard per fascia di età, in quanto non è pensabile mantenere l'attuale calcolo del fabbisogno indipendentemente dall'età. Questa, anche se non rappresenta la soluzione ottimale, fornisce un utile parametro di riferimento, dal momento che è noto, a titolo esemplificativo, il costo della popolazione anziana nella fascia da 60 a 65 anni, per un dato livello di servizio, per esempio in Emilia-Romagna. A tale proposito, vorrei citare anche l'Umbria, perché è una regione piccola che presenta standard significativi.
La mia proposta, da verificare e aggiustare nel corso del dibattito in Commissione, è che nelle regioni di riferimento il costo e il fabbisogno dovrebbero essere calcolati per fascia di età e non prendendo la grande torta e poi dividerla successivamente per fasce di età: in tal modo troveremmo differenze di servizio e di valutazione. Inoltre, le basi informative sanitarie ci forniscono gli strumenti per poter effettuare tale calcolo, in quanto sono disponibili i dati relativi alle fasce di età per il ricovero, per la diagnostica, per la specialistica e per la farmaceutica.


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Come ho già detto, troveremo sicuramente alcune diversità, però è necessario definire quali siano i livelli essenziali dei servizi divisi pro capite per singole fasce di età, con i relativi costi e fabbisogni. Tale soluzione, permettendoci di avere un criterio molto «più pesato», consentirebbe di superare almeno in parte le problematiche connesse alle contrattazioni in sede di riparto delle risorse sanitarie.

PRESIDENTE. L'indice di età è sicuramente uno dei parametri, però, con tutta franchezza, più continuo a studiare l'argomento e meno sono convinto che il semplice aggancio alle cosiddette regioni di riferimento ci faccia da bussola per poter trovare la direzione giusta. Certamente è uno dei punti di riferimento, ma non può essere l'unico. Anche ieri su questo argomento gli esperti si sono a lungo intrattenuti, sostanzialmente arrivando alla stessa conclusione alla quale sto arrivando io.
Stiamo attenti con le regioni di riferimento. Se ne deve tenere conto sicuramente, ma più approfondisco il tema e meno sono convinto che sia l'unico modo per costruire un parametro.
Presidente Giampaolino, come vede, il suo intervento è stato estremamente stimolante e ha fatto seguire valutazioni e considerazioni interessanti.
Do la parola al presidente Giampaolino per la replica.

LUIGI GIAMPAOLINO, Presidente della Corte dei conti. Senza dubbio la Corte, ancorché quasi mai formalmente coinvolta nel disegno legislativo posto in essere sia dalla legge n. 42, sia adesso nei diversi decreti delegati, intende assumere un ruolo, per se stessa e quindi anche per il Paese, fondamentale in questo settore.
Non a caso, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, ho fatto riferimento alla particolare attenzione che abbiamo avuto, anche dal punto di vista strettamente organizzativo, nel rendere immediatamente e al più presto possibile operative le sezioni regionali di controllo.
Onorevole Lanzillotta, la Corte è «gelosa» del momento giurisdizionale e della duplicità di intestazione a essa, ma è sempre più convinta che la giurisdizione sia solo un momento di chiusura delle sue funzioni. Il suo momento tipico e più alto, ovviamente, è quello che in questo momento stiamo esprimendo, pur con i nostri limiti, e attuando con l'ausiliarietà nei confronti del Parlamento.
Il compito più tipico della Corte è proprio quello del controllo, non tanto del controllo antico, interdittivo e preventivo della legalità formale del parametro e del raffronto tra l'atto e la norma, ma quello che, soprattutto negli ultimi anni, la Corte sta ponendo in essere nelle sedi regionali.
Purtroppo, si tratta di un'attività non sufficientemente conosciuta e, peraltro, istituzionale, vista dal punto di vista soggettivo del reticolo. È quasi unica, perché è un'attività presente in ogni regione e raccordata in sede centrale con un rapporto estremamente rispettoso delle autonomie, nel senso che nasce proprio dalle sezioni. La stessa documentazione che abbiamo offerto è stata frutto dell'attività delle sezioni regionali di controllo e delle sezioni delle autonomie.
Questo può essere un momento, come ho espresso proprio a conclusione, che la Corte avverte come sua missione proprio per la modifica che l'ordinamento nel suo complesso intende operare. Essa è anche imbarazzata nel vedere quante criticità le si presentino di fronte nello stesso disegno che il legislatore ha finora posto in essere.
La Corte ovviamente mantiene un comportamento di rispettosa cautela e di aiuto pronto e, quindi, molte osservazioni svolte nelle nostre aule e nelle nostre discussioni sono state fortemente dibattute e persino sofferte. A voi è stato portato solo un distillato che possa esservi di aiuto, senza intervenire nel dibattito politico in atto. Rispetto a esso la Corte non può che prendere atto, innanzitutto, come è stato ricordato, del disegno originario del Titolo V e della complessità del sistema che ne è derivato nel porre in essere il sistema già individuato dalla legge n. 42, di fronte al quale la Corte già in altra occasione ha avuto modo di rilevare le proprie perplessità.


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Essa avverte la complessità del sistema, però le sue forze sono poste proprio nel valorizzare le sezioni regionali di controllo, che di per sé stanno compiendo un ottimo lavoro. Uso sempre affermare che sono personalmente il prodotto di una scelta giurisdizionale a suo tempo compiuta dalla Corte.
Oggi la stessa nuova magistratura della Corte avverte sempre più la sua funzione, nel momento di verifica dei bilanci, di controllo della spesa degli enti locali, degli enti territoriali e delle regioni ed è l'organismo che, con veste neutrale e imparziale, svolge tale ruolo.
Lei faceva riferimento a società di diverso tipo, che possono offrire alcuni prodotti. La verità è che anche la complessità del sistema vede protagonisti di pari livello e di eguale portata, sicché è difficile, per utilizzare un'espressione del tutto impropria, avere una forma di giudice, non nel senso giurisdizionale del termine, ma di osservatore neutrale che possa arbitrare tra i diversi protagonisti di questo sistema, nel sottofondo del disegno istituzionale che viene prima dalla legge n. 42 e poi dai relativi decreti delegati. La Corte ambirebbe a porsi al servizio proprio in questo senso, anzi, lo sta già facendo e si è organizzata per farlo.
Non so, con tutta l'onestà istituzionale, che cosa rispondere sul tema dei costi standard. La Corte deve attrezzarsi per questi aspetti e ho avuto già modo di comunicare che, per le sue stesse funzioni di controllo, ha la necessità di adattare i modi di provvista della sua magistratura.
In via generale, alcune domande, soprattutto quelle dell'onorevole Lanzillotta e del senatore Barbolini, si presterebbero a valutazioni di sistema. Preferirei, però, che prendessero la parola i miei due colleghi, Flaccadoro e Romano, perché la maggior parte delle domande è nei due versanti del sistema finanziario, secondo quanto risulta dalle norme sui trasferimenti, e delle prestazioni, quindi della perequazione e trovano in loro una migliore possibilità di risposta.

PRESIDENTE. Do la parola ai consiglieri Enrico Flaccadoro e Massimo Romano.

ENRICO FLACCADORO, Consigliere della Corte dei conti. Comincio in ordine, dall'onorevole Armosino. Alle sue due domande do due risposte semplificate, ma molto nette.
Sono d'accordo con lei, e nella relazione lo rileviamo, sul fatto che l'autonomia di entrata delle province sia rimasta piuttosto limitata. Nella relazione più ampia che abbiamo elaborato osserviamo che in questo disegno non si è dato corso a quanto era previsto nella legge n. 42, ossia a un tributo provinciale per scopi istituzionali delle province.
Pur essendoci stati - nei riquadri che abbiamo allegato si trova un approfondimento su come si ridisegnano le fonti di entrate correnti delle province - dal punto di vista delle entrate, un ridisegno e una riduzione del peso della dipendenza dalle entrate legate alle vendite e alla circolazione di veicoli, è rimasta piuttosto limitata la flessibilità concessa alle province in termini di entrate. È un problema che abbiamo sottolineato.
La sua seconda domanda, se ho ben compreso, sostiene che si va verso un accentramento regionale, almeno per quanto riguarda la sanità, ed è vero. Il presidente faceva riferimento al decreto sull'armonizzazione. In tale decreto, in effetti, si rileva - l'esaminerete nei prossimi mesi - la conferma di una tendenza di un percorso anche virtuoso dell'amministrazione in termini di controllo della spesa sanitaria di individuare un soggetto di riferimento nella regione.
Ciò fa perdere terreno nella storia dell'aziendalizzazione delle Aziende sanitarie locali, perché riporta nell'ente regionale una responsabilità e - nel decreto sulle armonizzazioni ciò è molto evidente - un accentramento. Da un dato punto di vista, almeno nell'esperienza di questi anni di controllo della spesa sanitaria, va anche riconosciuto, però, che l'aziendalizzazione e, quindi, le responsabilità frazionate non sempre hanno prodotto effetti virtuosi. Esiste, comunque, questa tendenza.


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Vengo all'onorevole Causi, che pone domande molto mirate.
La prima riguarda le aliquote di compartecipazione. Nel passo dell'intervento del presidente credo che ci si riferisse alla difficoltà non solo di ridefinire perché i fabbisogni, gli adeguamenti e le basi imponibili cambiano, ma proprio perché preoccupa, in questo primo sguardo al sistema complesso che viene definito, il fatto che, anche in corso d'anno, i meccanismi di collegamento e di condizionamento della base imponibile obbligheranno a un continuo cambiamento.
L'esempio classico è la compartecipazione all'addizionale IRPEF data ai comuni in sostituzione dei trasferimenti. Qual è l'addizionale IRPEF su cui si aggancia la compartecipazione? È al netto dell'addizionale relativa alla quota che va a coprire i LEP? Se è così, nella quota non LEP l'addizionale conosce il suo valore definitivo solo dopo la perequazione dei LEP. Il meccanismo è particolarmente complesso e ci possono essere elementi che fanno cambiare anche in misura rilevante la stessa base su cui si calcola l'aliquota di compartecipazione.
Sul livello IVA sono d'accordo che il decreto legislativo n. 54 del 2000 nella fase transitoria dovrà farsi carico di rispondere anche alle necessità di perequare le risorse per le altre funzioni, sempre che - e questa è anche un'altra questione che credo dovrà essere meglio chiarita - i trasferimenti che vengono aboliti diretti alle funzioni LEP, non ancora coperte da indicazioni specifiche sui livelli essenziali delle prestazioni, siano intesi come da coprire e da tutelare al pari di quelli della sanità.
Nella relazione che vi abbiamo consegnato abbiamo tentato di ricostruire i trasferimenti correnti che potrebbero essere soggetti a trasformazione in addizionale, proprio per provare a costruire alcuni numeri. Ovviamente essi sono basati sui dati del 2008, ma sono utili o pensiamo che possano essere utili per capire come potrebbe agire il funzionamento del sistema.
Una quota significativa dei trasferimenti da abolire individuati dalla COPAFF, che troverete poi valutati nella loro distribuzione per regioni, proprio per consentire una valutazione del funzionamento del sistema, è diretta a funzioni essenziali. Nella fase transitoria, in attesa dell'individuazione dei costi standard, ma soprattutto dei livelli essenziali delle prestazioni, è quello il riferimento? Ciò andrà meglio chiarito probabilmente nel decreto.
Il decreto legislativo n. 56 del 2000 o almeno l'accordo di Santa Trada, in base al quale adesso sta funzionando il decreto stesso, forse dovrà essere rivisto, un'operazione che non è di semplicissimo momento, per farvi entrare proprio la necessità di perequare anche i trasferimenti trasformati in addizionale - essi sono, nelle nostre prime valutazioni, 1.700 milioni - che si riferiscono a funzioni di assistenza e di scuola.
Per la spesa in conto capitale non abbiamo particolari suggerimenti. Essa è stata lasciata per il momento fuori dalla trasformazione. Svolgo due sono osservazioni.
La prima è che forse, per quanto riguarda almeno le somme destinate al trasporto pubblico locale in conto capitale, dovrebbe essere sanata l'esclusione dai trasferimenti da definire con un'addizionale IRPEF, proprio perché, anche se non si è definito il livello standard, certamente le somme destinate dai trasferimenti del decentramento amministrativo alla spesa in conto capitale del settore trasporti dovrebbero entrare tra quelle trasformate in addizionali.
Rimane tutto ciò che riguarda il federalismo amministrativo, ossia le leggi Bassanini. La questione un po' strana che abbiamo rilevato è che, nel momento in cui si è definito ciò che viene trasformato da trasferimenti in entrate proprie per le province, i famosi trasferimenti di tipo A nella relazione tecnica, all'interno di tali trasferimenti figurano anche i trasferimenti del federalismo amministrativo in conto capitale, mentre i trasferimenti per il federalismo amministrativo che passano


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non direttamente dallo Stato alle province, ma attraverso le regioni, sono rimasti fuori.
In alcune regioni, per esempio, vige il modello di passare direttamente dallo Stato alle province e in altre si passa, invece, attraverso le regioni. Si riscontra la strana evenienza per cui chi passa direttamente dallo Stato alle province ottiene la fiscalizzazione dei trasferimenti in conto capitale, mentre chi passa attraverso la regione ha un regime diverso.
Un mero suggerimento, per evitare discriminazioni o strani casi, è che forse la quota di spesa di trasferimento in conto capitale relativa al federalismo amministrativo, che è ormai da anni un trasferimento consolidato, potrebbe entrare tra quelle da abolire in questa prima fase, compresi i trasferimenti in conto capitale destinati alla spesa sanitaria, che è strano che rimangano come trasferimenti.
Sulla capienza LEP e non LEP, rispondo anche al senatore Barbolini, la questione che ci ponevamo era di vedere, attraverso alcune valutazioni, che trovate nel riquadro 3, come può funzionare o come potrebbe funzionare, sempre partendo da dati del 2008, il sistema perequativo delle funzioni non LEP, mettendo in evidenza, come avevamo già sottolineato in occasione dell'audizione sulla legge n. 42, come, in effetti, anche e soprattutto concentrandosi sui trasferimenti correnti esistano differenze tra regioni piccole e regioni grandi.
Le regioni piccole dal decentramento amministrativo avevano avuto relativamente di più proprio per via delle diseconomie di scala che le caratterizzavano. Il passaggio dal finanziamento via trasferimenti al finanziamento via addizionali, pur con diversi livelli di solidarietà e quindi di perequazione, mette comunque in evidenza alcune variazioni piuttosto consistenti, su cui probabilmente dovrà muovere il correttivo previsto dalla legge n. 42 per la dimensione della regione.
Naturalmente, si tratta di primi numeri, che però consentono di vedere come potrebbe essere rilevante per evitare distorsioni il ricorso a un correttivo specifico, almeno per le spese non LEP, sulle spese delle piccole realtà territoriali.
L'onorevole Lanzillotta ha posto un problema molto importante, quello dei costi standard. In effetti, noi rileviamo - un approfondimento quantitativo è riscontrabile nell'ultimo riquadro - che il riferimento dei costi standard per la funzione di distribuzione delle risorse viene svuotato.
Secondo noi, ciò non è rilevante ai fini della ripartizione delle risorse. Nel riquadro 6 eseguiamo proprio alcuni calcoli che dimostrano questo punto. Riteniamo, però, come avevamo già espresso nella sede delle legge n. 42, che, nel settore sanitario soprattutto, la storia di questo decennio scorso in termini di miglioramento delle basi informative e di controllo della spesa consenta di recuperare il valore del costo standard proprio come elemento per l'individuazione delle pesature da dare alla spesa. È possibile, cioè, recuperarlo senza rinunciare al meccanismo top-down, il quale consente di tenere sotto controllo una spesa che ha indubbiamente ancora, in alcune realtà territoriali, notevoli problemi di efficienza e di efficacia delle prestazioni.
Credo che il monitoraggio e la definizione di un meccanismo di lavoro siano stati considerati dalla Corte nei suoi documenti diverse volte come un elemento positivo. Ciò non significa che si siano risolti i problemi della spesa sanitaria, però il monitoraggio e la verifica hanno consentito di non perdere un contatto con gli standard o con le best practice, bensì di recuperarli in una dimensione programmatoria più elevata, pur rinunciando alle attese dei costi standard.
Le attese dei costi standard come meccanismo di calcolo dei fabbisogni si scontrano ancora oggi con basi informative molto limitate. Su tre settori, che l'onorevole Nannicini ricordava, si hanno ottime basi informative. Mi riferisco alla farmaceutica, all'assistenza ambulatoriale e all'ospedaliera, però per il resto ci sono poche situazioni a livello territoriale e piuttosto a macchia di leopardo.


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La scelta di scendere di livello e di utilizzare ciò che di buono si ha in termini di sistema informativo per andare a migliorare il tipo di pesatura per ripartire un fabbisogno standard, secondo noi, nella sanità è un elemento di consolidamento di ciò che si è compiuto che non dovrebbe essere negativo.
Al senatore Barbolini ho già risposto sul discorso del fondo perequativo. L'aver limitato solo all'IRPEF la perequazione del settore non LEP - tale punto era già stato osservato in occasione della scrittura della legge n. 42 - restringe indubbiamente il livello di perequazione possibile. Credo che il meccanismo sia, da questo punto di vista, orizzontale, nel senso che per forza di cose si è assicurata la verticalità per i LEP, mentre per i non LEP il meccanismo è di travaso, se si definiscono le addizionali nella maniera in cui è stato previsto di farlo.
L'esclusione delle regioni a statuto speciale - l'abbiamo rilevato - pur essendo un limite che ci si porta dietro dalla legge n. 42, limita notevolmente il disegno complessivo. L'averle almeno ricomprese per la sanità è positivo almeno da quel punto di vista. Se ciò sarà esteso anche ai settori LEP, potrebbe essere una strada per recuperare almeno una parte del terreno perduto.
Certamente l'aver rinunciato alle province e ai comuni delle regioni autonome ha fatto perdere, almeno secondo l'idea della Corte, un'occasione per rimettere a sistema un sistema fiscale molto differenziato, che finisce per essere sempre più difficile da comprendere da parte del cittadino.
Sulle questioni dell'IRPEF credo che il collega Romano sia più preparato.

MASSIMO ROMANO, Consigliere della Corte dei conti. L'onorevole Lanzillotta segnalava, in particolare, il sovraccarico di responsabilità che viene affidato all'IRPEF e, quindi, al sistema complesso composto dal tributo principale e dalle relative addizionali, soprattutto in rapporto alla progressività.
Vorrei ricordare che la progressività IRPEF, purtroppo, è stata un mito che ci portiamo dietro dalle origini dell'IRPEF stessa, in quanto una buona parte dei redditi sin dall'origine era sottratta al sistema della progressività. In particolare, mi riferisco a gran parte dei redditi di capitale.
Oggi sicuramente l'IRPEF sta acquisendo sempre più i caratteri di un'imposta sul lavoro dipendente e sul lavoro autonomo, quindi si è sempre di più concentrata su questo punto. Il problema generale della progressività, del principio costituzionale del sistema, dovrebbe trovare risposta forse in una riforma più organica del sistema fiscale.
Noi abbiamo cercato di segnalare il problema in particolare ai paragrafi 6 e 7 della relazione che è stata presentata. Esiste il rischio di una complessità del sistema, nonché di possibili contraddizioni nella coerenza complessiva dell'IRPEF.
All'interno del sistema IRPEF per come è adesso disegnato dal legislatore i meccanismi di intervento previsti per le regioni sicuramente possono comportare alcuni rischi di ulteriore complessità e di incoerenza con interventi sulle detrazioni. Per brevità, rinvio alla lettura delle nostre due pagine, che credo diano sufficiente conto dei pericoli che vanno avvertiti e per i quali devono essere trovate risposte.
Sempre per rimanere sui temi fiscali, il senatore Stradiotto affrontava la questione dell'IVA nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. Si tratta di un tema molto complesso e problematico.
L'IVA, come sapete meglio di me, è un tributo europeo con alcuni vincoli, su cui dovremmo tendere a un'armonizzazione e a un avvicinamento. Oggi noi abbiamo una caratteristica tutta italiana, quella del minor rendimento. Siamo, infatti, campioni per il minor rendimento dell'IVA rispetto agli altri Paesi che adottano lo stesso sistema di imposta indiretta.
Credo che il nostro obiettivo dovrebbe essere l'avvicinamento, che può essere, da una parte, sul fronte della minore evasione, secondo un auspicio generale di tutti, ma, dall'altra, anche su quello di


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rivedere alcuni spazi e regimi che sono stati in parte modificati, ma che ancora permangono. Penso al settore immobiliare o ai problemi dell'agricoltura.
Tutto va valutato con grande prudenza. Proprio perché si tratta di una materia molto delicata e complessa, credo che dovremmo cercare di tendere verso un'armonizzazione e un'unificazione del sistema IVA come sistema europeo il più possibile armonico.

PRESIDENTE. Vi ringrazio molto anche a nome di tutti i componenti della Commissione. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dai rappresentanti della Corte dei conti (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,05.

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