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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e V Camera)
AUDIZIONE
9.
INDAGINE CONOSCITIVA
3.

Mercoledì 2 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

La Loggia Enrico, Presidente ... 3

Audizione del presidente della Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), Luca Antonini, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (Atto n. 317) (ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati):

La Loggia Enrico, Presidente ... 3 7 14 19
Antonini Luca, Presidente della COPAFF ... 3 16 17
Barbolini Giuliano (PD) ... 13
Boccia Francesco (PD) ... 11
Causi Marco (PD) ... 8 16 17
Franco Paolo (LNP) ... 7
Lapecorella Fabrizia, Direttore generale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze ... 14 16
Lanzillotta Linda (Misto-ApI) ... 12
Nannicini Rolando (PD) ... 10

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal presidente della COPAFF ... 21

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Seduta del 2/3/2011


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...
Audizione del presidente della Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), Luca Antonini, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (Atto n. 317).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione del presidente della Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), Luca Antonini, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (Atto n. 317).
Accompagnano il professor Antonini la professoressa Fabrizia Lapecorella, direttore generale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, e il dottor Giovanni D'Avanzo, direttore della Direzione studi e ricerche economico-fiscali del Ministero dell'economia e delle finanze.
Do la parola al professor Antonini.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. Svolgerò un'esposizione molto sintetica del decreto, per poi lasciare spazio a domande, chiarimenti e richieste di dati che possano essere avanzati. Sarò sintetico nell'esposizione, anche perché lascerò un testo scritto, che rimarrà a disposizione e agli atti.
Il decreto su cui si svolge l'audizione aveva già un binario fissato dalla legge delega n. 42 del 2009. Mentre nella manovra in fase di attuazione l'autonomia dei comuni era più ampia, in questo contesto i margini sono piuttosto stretti, perché la delega configura già un binario piuttosto preciso. Nel decreto l'intenzione è di andare a correggere alcuni difetti strutturali del quadro, nei limiti ovviamente delle indicazioni della delega.
Uno dei punti principali riguarda la compartecipazione IVA. Non mi soffermo sul problema che ha posto lo sviluppo storico di tale compartecipazione, inizialmente fissata per decreto al 25,7 per cento, poi elevata al 44,71 per cento nel 2009. Il fatto che essa venga fissata ex post con decreto ministeriale al seguito dei Patti della salute la rende una compartecipazione che non rispecchia tanto la dinamica della compartecipazione, quanto


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quella di un trasferimento mascherato da parte dello Stato.
Soprattutto si pone il problema per cui l'IVA è assegnata alle regioni sulla base dei consumi ISTAT, i quali non considerano l'evasione fiscale. Immagino che il problema sia noto. Se in una regione tutte le operazioni IVA avvenissero senza generare alcun gettito, comunque la regione riceverebbe la sua quota di IVA dal comparto nazionale. La dinamica è tale per cui, di fatto, chi non evade finanzia chi evade. È sicuramente un punto strutturale che deve essere corretto.
Un altro esempio che può rappresentare un limite è la scarsità di manovra sull'addizionale IRPEF in relazione ai figli a carico. Oggi una regione, anche se volesse, non può introdurre una considerazione differenziata della capacità contributiva per chi ha figli a carico, con un problema anche di violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione, perché la capacità contributiva è diversa, ma il limite della legge statale è tale da non consentire il riconoscimento della detrazione per i figli a carico.
Un'altra questione parte riguarda i trasferimenti statali, che sono presenti e anche stimati nella relazione COPAFF presentata il 30 giugno. Tali trasferimenti statali continuano ad alimentare la finanza regionale. Anche la loro soppressione o la trasformazione di gettiti è funzionale a un processo di responsabilizzazione. Ci si muove nei binari della delega, con margini limitati.
Ricordo che nella prima proposta originaria del Governo, nel disegno di legge della legge n. 42, era prevista l'aliquota riservata sull'IRPEF, la quale avrebbe portato il meccanismo a un modello simile a quello spagnolo, in cui una quota dell'IRPEF è gestita dalle comunità autonome, intorno al 50 per cento oggi, anche con poteri normativi. Tale ipotesi, però, è caduta durante i lavori parlamentari e, quindi, si è spostato il meccanismo di responsabilizzazione dall'aliquota riservata all'addizionale IRPEF.
Era stata avanzata, inoltre, un'ulteriore ipotesi nei tavoli tecnici che avevano impostato il lavoro sul decreto. All'inizio veniva fissato un limite alla compartecipazione IVA, nel 24 per cento. Essa poi sarebbe stata affiancata da una compartecipazione all'IRPEF stabilita nella misura del 22 per cento e periodicamente determinata. In questo modo si sarebbe ottenuto l'effetto di irrigidire la compartecipazione IVA e di impedirne la dinamica per cui essa viene cambiata di anno in anno ex post rispetto alla quantificazione effettuata all'interno del Patto della salute.
Questa ipotesi non ha trovato il consenso delle regioni ed è stata accantonata a sua volta. Si è arrivati, pertanto, alla soluzione attuale, in cui l'effetto di responsabilizzazione viene giocato agendo sull'addizionale IRPEF. Da questo punto di vista l'addizionale incorpora la soppressione dei trasferimenti statali alle regioni e quella della compartecipazione regionale all'accisa sulla benzina, che è di 1,7 miliardi di euro, con contemporanea e asimmetrica riduzione dell'IRPEF statale.
Si tratta di un effetto di responsabilizzazione marginale. Si conta, cioè, sul fatto che la responsabilizzazione avvenga sul gioco della manovra dell'aliquota dell'addizionale IRPEF. È un punto che, con quell'impianto della delega, essendo stata scartata l'idea della compartecipazione IRPEF, rimaneva non affrontato.
Da questo punto di vista si è giocato anche, in relazione alla determinazione dei costi standard che rendono trasparenti il fabbisogno e gli sprechi, con l'idea di eliminare l'aspettativa dei ripiani statali. La responsabilizzazione marginale sull'aliquota IRPEF è, dunque, funzionale a eliminare l'aspettativa dei ripiani statali che sono avvenuti nel passato.
Va poi ricordato che la precisa quantificazione dei trasferimenti da fiscalizzare a favore delle regioni, come già notato dall'audizione della Ragioneria, si deve coordinare con l'articolo 14 del decreto legge n. 78 e con il decreto di cui al comma 2 dello stesso articolo.
Come ha rilevato la Ragioneria, l'iter procedurale per l'emanazione del DPCM di recepimento dei criteri per l'anno 2011


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è ormai in fase di avanzata definizione. Esiste una proposta formulata dalle autonomie regionali per il 2012, ma il DPCM non ha ancora perfezionato il proprio iter. Ne deriva, come ha sottolineato la Ragioneria, l'impossibilità di procedere al momento a una puntuale stima dei trasferimenti da fiscalizzare per valutare l'incremento dell'addizionale IRPEF.
L'altra forma di razionalizzazione interviene sulla compartecipazione IVA, applicando il principio di territorialità e disponendo che dal 2013 ciò avvenga in base al luogo di effettivo consumo, correggendo la distorsione attuale determinata dal criterio dei consumi ISTAT.
Dal 2014 l'aliquota è stabilita al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare a una sola regione il pieno finanziamento del fabbisogno connesso ai livelli essenziali delle prestazioni. Per le restanti regioni parte del fondo perequativo è alimentata da un'ulteriore quota di compartecipazione IVA.
Sempre in chiave responsabilizzante viene riconosciuta, a decorrere dal 2014, la possibilità delle regioni ordinarie di ridurre l'IRAP con propria legge, fino ad azzerarla, e di disporre deduzioni della base imponibile. Si tratta di interventi esclusivamente a carico della regione, che potrà attuarli solo in conseguenza di risparmi e di lotta agli sprechi attuati a livello regionale.
Va considerato, però, che potrebbe esistere anche un'altra forma di applicazione. Si potrebbe pensare, infatti, alla riduzione dell'IRAP per le nuove imprese. In questo caso non si andrebbe incontro a una perdita di gettito. Fermo restando il gettito attuale in linea di massima per le nuove imprese, questo potrebbe diventare un modo per attirare imprese.
Viene precisato che, al fine di evitare che la riduzione IRAP sia finanziata non attraverso efficientamenti e riduzioni di spese, ma incrementi dell'addizionale IRPEF, la possibilità di riduzione dell'IRPEF viene strutturata in modo tale da impedire che il carico tributario venga trasferito dalle imprese ai cittadini. La facoltà di riduzione dell'IRAP non è, infatti, consentita in caso di incrementi addizionali IRPEF superiori allo 0,5 per cento rispetto all'aliquota base.
Svolgo poi una precisazione. Rispetto alla possibilità delle regioni ordinarie di ridurre l'IRAP, va segnalato che con la sentenza della Corte costituzionale n. 357 del 2010, intervenuta a dicembre, relativa alle province autonome di Trento e Bolzano, si determina il fatto che le province autonome di Trento e Bolzano e la regione Friuli Venezia Giulia, in virtù degli accordi stipulati con Trento e Bolzano nel 2009 e con la regione Friuli Venezia Giulia nel 2010, i quali si sono tradotti in modifiche degli Statuti, in quanto leggi emanate in accordo con modifica della parte statutaria, già dispongono della possibilità di azzerare l'IRAP.
Per le province autonome di Trento e Bolzano e il Friuli-Venezia Giulia, come ha stabilito la Corte costituzionale nella citata sentenza, la modifica statutaria è ritenuta immediatamente operativa, senza necessità di norme di attuazione e, quindi, oggi la possibilità che viene introdotta dal decreto per le regioni ordinarie vale già per due regioni a statuto speciale.
Secondo l'interpretazione della Corte costituzionale, infatti, non servono norme di attuazione. Questa è la novità. Si sarebbe potuto ipotizzare che, per attuare una modifica statutaria, in assenza delle norme di attuazione, non la si sarebbe potuta rendere operativa. La Corte ha stabilito, invece, che essa è immediatamente operativa e ciò determina un effetto anticipato della questione.
Sia per l'IRAP, sia per l'addizionale IRPEF restano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla legislazione vigente per i disavanzi nel settore sanitario.
In un'ottica di semplificazione viene poi auspicata l'abrogazione di alcuni tributi minori di scarso significato finanziario, per circa 80 milioni di euro, mentre è attribuita alle regioni la possibilità di disciplinare la tassa automobilistica regionale come tributo proprio.
Nel complesso, dunque, si prevedono la fiscalizzazione dei trasferimenti, l'abrogazione dell'addizionale all'energia elettrica,


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la nuova dimensione dell'addizionale IRPEF regionale, la conseguente eliminazione dell'aspettativa dei ripiani statali e l'applicazione del principio di territorialità in relazione all'IVA e si può ritenere che tali soluzioni, nel loro complesso correggano e razionalizzino, senza sconvolgerlo, il quadro esistente, rimanendo nell'ambito di quanto prevedeva la legge n. 42.
Ci sono anche altri punti di novità. Uno riguarda la possibilità di prevedere, come ho già accennato, il riconoscimento dei carichi familiari e l'altro la possibilità di stabilire meccanismi di diretta detraibilità dall'addizionale IRPEF dei voucher che possono essere erogati alle regioni. I nuovi modelli di welfare regionali possono disporre, dunque, di questo strumento di sussidiarietà fiscale per la loro attuazione.
Per quanto riguarda la perequazione, il decreto riprende sostanzialmente la legge n. 42. Si tratta di un pregio della legge n. 42 e non di un difetto del decreto, perché la dinamica perequativa era già molto strutturata all'interno della legge n. 42.
La dinamica della perequazione distingue fra spese riconducibili ai LEP, che trovano finanziamento nella compartecipazione all'IVA, in quote dell'addizionale regionale IRPEF, nell'IRAP, fino alla data della sua sostituzione, nelle quote del fondo perequativo e in entrate proprie, e altre spese non LEP, finanziate da tributi propri derivati, tributi propri gestiti dalle regioni, quote dell'addizionale regionale IRPEF e quote del fondo perequativo.
Il sistema è alimentato da una compartecipazione al gettito IVA. Nel primo anno le spese sono computate anche in base ai valori di spesa storica, mentre nei quattro anni successivi convergono verso i fabbisogni standard.
Per quanto riguarda le province, il decreto attua una razionalizzazione del quadro esistente, correggendo alcune improprie stratificazioni, come quella dell'addizionale provinciale sull'energia elettrica, la quale crea diverse complicazioni di gestione, e quella dell'attuale compartecipazione provinciale all'IRPEF, ormai ridotta da tempo a un mero trasferimento statale.
Dal 2012 l'imposta sull'assicurazione sulla responsabilità civile diventa tributo proprio derivato delle province con un'aliquota pari al 12,5 per cento - nel testo che lascio troverete tutte le quantificazioni - e viene introdotta la possibilità per le province di aumentare o diminuire l'aliquota in una misura del 2,5 per cento a partire dal 2014.
Resta poi alle province l'imposta provinciale di trascrizione e viene loro attribuita una compartecipazione IRPEF in misura tale da compensare i trasferimenti statali che hanno carattere di generalità e permanenza, i quali vengono soppressi a partire dal 2012, oltre alla soppressa addizionale provinciale sull'energia elettrica, che produce un gettito di 788 milioni di euro.
Il gettito della compartecipazione alimenterà un fondo sperimentale di riequilibrio che parte dal 2012 per realizzare il passaggio dai trasferimenti alla finanza autonoma e ai fabbisogni standard, a cui si riferisce già anche il fondo provvisorio.
Ferme restando le scelte che saranno adottate da ciascuna regione riguardo il problema dei trasferimenti regionali da fiscalizzare a favore di comuni e province, nella relazione presentata dalla COPAFF il 30 giugno veniva segnalato che in alcune regioni si verificavano scostamenti piuttosto significativi tra quanto risultava dai bilanci comunali e quanto risultava dai bilanci regionali.
All'interno della COPAFF è stato, pertanto, attivato un tavolo di lavoro per cercare di dettare criteri uniformi per arrivare a superare la disarmonia esistente in alcune regioni fra la somma dei trasferimenti che risultano dai bilanci dei comuni e gli ammontari scritti sui bilanci delle regioni.
Il decreto prevede che dal 2017 venga istituito un fondo perequativo nel bilancio statale con indicazione separata degli stanziamenti per comuni e province, a titolo di concorso per il finanziamento dei fabbisogni standard e delle funzioni fondamentali.


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La stessa disposizione prevede che ciascuna regione istituisca nel proprio bilancio due fondi, uno per i comuni e uno per le province, alimentati da questo fondo.
Si segnala la necessità di raccordo con l'articolo 13 del fisco municipale, perché le due norme devono essere coordinate soprattutto dal punto di vista delle dinamiche temporali.
La seconda parte del provvedimento è dedicata ai costi standard sulla sanità. Ho visto le audizioni che sono già state tenute dalla Ragioneria, in particolare dal dottor Massicci, e quindi non ripeto le osservazioni già esposte. Non ripercorro il meccanismo, ma è stato svolto un intenso lavoro all'interno dei gruppi di lavoro della COPAFF per cercare di identificare un passaggio che, da un lato, fosse significativo nel nostro sistema e, dall'altro, non portasse a uno sconvolgimento del quadro attuale.
La sanità italiana è la seconda nei sistemi OCSE per qualità e l'undicesima per spesa. Ci sono alcune regioni che funzionano molto bene e altre che accusano situazioni di disavanzo cronico.
L'elaborazione effettuata all'interno della COPAFF, in cui sono stati prodotti anche indicatori esplicitati, che io metto a disposizione delle Commissioni, permette di valutare tale meccanismo, in cui una parte importante è rimessa anche all'accordo delle regioni. Si dovranno identificare tre fra cinque regioni, anche tenendo conto della ripartizione territoriale.
All'interno della COPAFF stiamo lavorando per avere anche alcune simulazioni significative. Tendenzialmente, cercheremo di sviluppare tutte le ipotesi. Dobbiamo lavorare al buio, perché è rimessa alla scelta delle regioni l'indicazione delle regioni benchmark all'interno di una rosa che viene identificata fra quelle in equilibrio economico. Finché non è pronta questa determinazione, è difficile ipotizzare l'impatto del meccanismo nel sistema.
In ogni caso, gli indicatori che vengono identificati e i primi accenni, anche se a breve contiamo di avere tutto il quadro dell'impatto, con tutte le possibili soluzioni, dimostrano un quadro che non si discosta molto dall'attuale. La segnalazione della Ragioneria all'interno della COPAFF è stata sempre mirata alla correzione del cosiddetto «lapis», cioè la rideterminazione che, come un tratto di matita, alcune regioni apportavano sui riparti del fondo sanitario. L'intento era correggere la distorsione effettuata sul piano politico rispetto al riparto proposto in termini più scientifici dal Ministero della salute. Si tratta di un sistema che non va a stravolgere l'impianto attuale, ma corregge il «lapis». Ciò che rende davvero evidente il costo del servizio è lo spreco. Questa è la novità importante che viene introdotta.
Mi fermerei, precisando che, grazie al lavoro del Dipartimento delle finanze, ieri in COPAFF abbiamo prodotto anche la condivisione relativa ai dati che ci erano stati richiesti sulle basi imponibili dell'addizionale IRPEF e dell'IRAP, che metto a disposizione delle Commissioni.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Antonini. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

PAOLO FRANCO. Sarò breve e porrò alcune domande specifiche. Ovviamente, il limite tecnico o politico non è sempre facilmente identificabile, ma i miei quesiti sono in relazione alle considerazioni svolte dal presidente Antonini.
La prima questione, emersa anche in altre audizioni, è un parere tecnico sullo stress che può subire l'IRPEF in relazione alla molteplicità di impieghi a cui è destinata. Essa può avere anche un effetto esponenziale nel momento in cui le addizionali possono essere introdotte a esclusione delle due aliquote di base.
Vorrei sapere se tecnicamente si pensa che possano esserci stress, intendendo difficoltà concretamente applicative, affinché questo importantissimo tributo possa svolgere le funzioni di finanziamento delle attività degli enti locali, così come è chiamato a fare.
Nutro alcuni dubbi in merito a quella che attualmente è solo una compartecipazione


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IVA dei comuni corrispondente al 2 per cento dell'IRPEF. Come sappiamo, il problema esiste: non so se poi sarà concretamente applicabile o se non rimanga, invece, perennemente uno stato di attribuzione semplicemente parametrata su valori IRPEF. Potrebbe verificarsi uno stress di diverso livello, sia sulle aliquote, sia sulla dimensione e sulla suddivisione, sia anche sul fatto che poi effettivamente non diventi uno strumento che soppianta alcune previsioni, in particolare quelle dei comuni, introdotte nel decreto relativo alla fiscalità municipale. Questa è la prima domanda.
Vorrei svolgere poi alcune considerazioni sul discorso delle detrazioni sui figli a carico. Potremmo tenere lunghe dissertazioni tecniche - io l'ho sostenuto anche quando si parlava delle detrazioni sulla fiscalità municipale - in merito all'introduzione di sistemi di questo tipo a una molteplicità di livelli che, anche in questo caso, potrebbero comportare difficoltà applicative o effetti complessivamente distorsivi. Non entro nel merito delle detrazioni, ma mi premeva in questa sede fare un accenno ai profili di problematicità sopra esposti.
Mi interessava, invece, la questione del fondo perequativo. Bisogna contemperare quanto previsto dal federalismo municipale con quanto previsto a favore dei comuni con il fondo perequativo di carattere regionale. Sono giuste le osservazioni per cui la norma approvata deve trovare una coincidenza, ma vorrei un chiarimento tecnico su che cosa si intende con tale coincidenza.
La domanda è, dunque, se questi due approcci alla perequazione che riguarda i comuni possano avere sovrapposizioni che facciano eventualmente venire meno l'efficacia della previsione e della trasformazione delle spese degli enti locali da una base storica a una base fondata, invece, sui costi e sui fabbisogni standard.

MARCO CAUSI. La mia prima domanda è sulla questione dell'IVA, quadro VT. Leggo dalla risoluzione a prima firma Cicchitto, su cui il Governo ha posto la fiducia oggi alla Camera, che la risoluzione della maggioranza dà un'indicazione al Governo per cui, fino a quando non ci sarà l'adeguamento delle capacità amministrative per l'acquisizione delle informazioni necessarie ad assicurare in sede di prima applicazione l'assegnazione del gettito dell'IVA per provincia, l'assegnazione del gettito dell'IVA per ogni comune potrà avere luogo sulla base del gettito di tale imposta per regione, suddiviso per il numero degli abitanti di ciascun comune. Questo punto chiarifica molte domande che già avevamo in animo di porvi. Si vede, infatti, chiaramente che in questo momento l'unico dato mediamente affidabile è quello regionale e che non ci sono dati affidabili a livello subregionale.
Vorrei chiedervi innanzitutto perché fino a oggi i dati regionali non sono mai stati pubblicati. Qual è la valutazione di affidabilità statistica che il Dipartimento delle finanze svolge, sulla base dell'esperienza di questi anni, relativamente ai dati dell'IVA-VT e quali sono, secondo voi, le prospettive effettive di implementare una raccolta a livello subregionale, visto che riempire il quadro VT è per le imprese, che hanno dimensione nazionale, un onere molto rilevante, dovendo esse scorporare le loro vendite sull'intero territorio nazionale? Da questo tema deriva la difficoltà a dare affidabilità a statistiche e dati. Che cosa ci risponderanno le imprese, se chiedessimo loro in futuro di dividere non più per 20, ma per 106 province? Qual è la prospettiva in questa direzione?
Vorrei chiedere poi al professor Antonini uno sforzo concettuale. Ci ha abituato negli ultimi tempi a ripetere molti slogan, ma gli chiedo uno sforzo concettuale e vediamo se possiamo ragionare insieme.
Lei sostiene, professore, che, se distribuiamo l'IVA sulla base del quadro VT, incentiviamo le regioni a combattere l'evasione sul loro territorio. Se, invece, distribuiamo l'IVA sulla base dei dati ISTAT sui consumi nazionali, tale disincentivo non c'è. Le domando e mi domando, nel caso di una regione, che è comunque garantita per quanto riguarda la perequazione sui fabbisogni standard e che quindi sa che


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comunque le arriveranno dai fondi perequativi i soldi necessari ai fabbisogni standard, indipendentemente dal fatto che la base di partenza siano l'IVA VT o i consumi nazionali, perché dovrebbe modificarsi il meccanismo di incentivo?
Mi sembra addirittura che dovremmo arrivare a una conclusione un po' paradossale, cioè quella di calcolare due compartecipazioni, una sulla base del quadro VT e l'altra sulla base dei consumi, per evitare che la regione, in cui potenzialmente c'è molta evasione, essendo sicura di essere perequata, non si impegni a combattere l'evasione. Dovremmo, in teoria, stabilire la compartecipazione su una delle due, l'IVA VT, e la perequazione sull'altra. Mi sembrerebbe molto complesso. Mi aiuti in questo ragionamento, perché mi sembra che il suo sia fallace.
Passo alla seconda domanda. Non ritenete utile agire, anche in questo caso, come abbiamo fatto per l'IMU, cioè stabilire qual è l'aliquota di equilibrio dell'IRPEF di base, ovvero determinare fin dal decreto l'aliquota di equilibrio dell'addizionale IRPEF di base, che poi dovrà essere, da qui al 2014, distinta fra quanti di questi soldi sono dell'addizionale IRPEF e quanti di servizi non LEP? Inoltre, non ritenete che nel decreto ci sia un vuoto? Non si capisce fra il 2012 e il 2014 come verrà distribuita l'addizionale IRPEF, una volta calcolata l'aliquota di base.
La terza domanda è se ci avete portato i dati per avere la quantificazione delle basi fiscali legate allo sforzo fiscale locale.
La quarta domanda è se non ritenete che la previsione sull'IRAP possa innestare una pericolosa concorrenza fiscale fra le regioni. Ritiene davvero, professore, che, per esempio, se il Veneto abbassasse di un punto l'aliquota IRAP, attrarrebbe imprese che oggi risiedono in Lombardia? Ritiene davvero che, se l'Emilia-Romagna abbassasse di un punto l'aliquota IRAP, imprese venete fuggirebbero in Lombardia? Ritiene utile, dal punto di vista della politica industriale, anche del Nord, innestare una concorrenza fiscale fra regioni, purché sia efficace? Io non lo ritengo utile, ma vorrei capire il vostro punto di vista.
Sulle detrazioni, professore, secondo il mio punto di vista, il figlio di una famiglia marchigiana ha esattamente la stessa meritevolezza del figlio di una famiglia toscana, lombarda, umbra o calabra. Sulla questione dei figli non scherzerei molto. Mi preoccuperebbe pensare che una questione rilevante come la meritevolezza e il riconoscimento dei costi della forma familiare e dei figli fosse spezzettata a livello regionale. Certamente è uno dei temi politici più importanti su cui ragionare in Commissione bicamerale.
Inoltre, perché vi siete scordati i fabbisogni standard nei settori non sanitari? Capisco che è un tema molto complicato: parliamo di assistenza, di istruzione e di trasporto pubblico locale. Almeno nel decreto sui comuni e sulle province, per quanto in modo ellittico, abbiamo innestato un procedimento per calcolarli, ma in questo decreto non c'è nulla sui fabbisogni standard dei settori non sanitari. Finché non esiste un calcolo del fabbisogno standard per assistenza, istruzione e trasporto, non so neanche come potremmo introdurre la compartecipazione IVA.
Sicuramente avete visto - mi rivolgo soprattutto alla dottoressa Lapecorella - l'articolo 7-ter, che verrebbe introdotto dal decreto se questa Commissione e il Parlamento accetterà il punto su cui c'è stata l'intesa fra Stato e regioni. Non vi sembra che tale articolo incida troppo, come sostiene anche la Corte dei conti, sull'organizzazione basilare e sulla programmazione quotidiana del funzionamento delle agenzie dell'amministrazione finanziaria? Per esempio, con riferimento all'organizzazione di come l'Agenzia delle entrate persegue le frodi IVA, ritenete davvero che sia utile assoggettarla al controllo di commissioni regionali? Mentre il 7-bis tutto sommato mi convince, il 7-ter mi preoccupa e vorrei conoscere il vostro punto di vista.
Infine, anche sulla questione dei voucher chiedo a lei, professore, uno sforzo concettuale. Lei sicuramente concorderà con me che il voucher è diverso da una detrazione. Si tratta di una politica che si inscrive in un ambito totalmente diverso;


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è un meccanismo in cui per l'accesso a un bene pubblico erogato da chiunque, purché accreditato, si riceve un voucher e il potenziale beneficiato, sulla base di esso, sceglie come farsi erogare un dato servizio pubblico da una lista di accreditati.
Si tratta di una politica che tiene conto dell'accreditamento e della valutazione della qualità dell'offerta, una politica di erogazione attiva dell'offerta di servizi, mentre la detrazione è una politica fiscale. Se per un figlio, per esempio, si erogano 1.000 o 1.500 euro di detrazione, non si sta a sindacare se essi sono stati spesi poi per giocattoli o per altro. La scelta fa parte della libertà dell'individuo e della famiglia, perché la detrazione non implica una finalizzazione della spesa a uno scopo piuttosto che a un altro. Se con i 1.000 euro, per esempio, uno si permette di avere la babysitter oppure un bilancio familiare un po' più comodo e trascorre due weekend in più di vacanza con suo figlio, ciò rientra nella libera scelta dell'individuo. Lo Stato non c'entra.
Sono due sfere talmente diverse che il collegamento che anche lei oggi ha sostenuto mi sembra del tutto incoerente, dal punto di vista non solo politico, ma anche pratico e concreto di operatività dell'azione pubblica. Vorrei una sua reazione in proposito.

ROLANDO NANNICINI. Mi sforzerò di porgere alcune richieste da un punto di vista tecnico, senza esprimere alcun giudizio, che invece esprimerò successivamente nella discussione generale e nell'esame degli emendamenti al provvedimento.
Parto dal primo elemento. In relazione alla definizione del fabbisogno standard nel settore sanitario, che riguarda circa 110-111 miliardi, un servizio che giustamente, come affermava lei, professore, ci colloca al secondo posto nella valutazione e all'undicesimo nella spesa, vorrei definire questo quasi un miracolo italiano, perché con circa 1.850 euro pro capite abbiamo servizi che nessuna assicurazione ci garantirebbe.
Esiste, però, un tema di fondo. Prendo uno studio che il CeRM ha effettuato sull'Emilia-Romagna, la Lombardia, la Toscana, il Veneto e l'Umbria. Mi soffermo sulla spesa ospedaliera, che grosso modo sui 110 miliardi rappresenta il 45-46 per cento della spesa complessiva sanitaria italiana.
La ricerca pone a 100 il dato riferito al fabbisogno standard per la popolazione tra i 65 e i 69 anni. Esaminando l'Umbria, che è la regione più piccola, la popolazione al di sotto di un anno di età ha un consumo del 146 per cento, quella tra 1 e 4 anni registra una spesa lorda pari al 13 per cento, il dato riguardante la fascia tra i 10 e i 14 anni è del 9,22 per cento e via elencando. Pongo una domanda molto tecnica: è solo questa la valutazione o nel sistema generale figura questo elemento perché si adoperano i benchmark per poi ricavare il costo complessivo?
Sui costi sanitari si differenzia tra Nord, Sud e Centro, perché la popolazione del Sud è più giovane. Le modalità di riparto sono state più volte modificate e da ultimo, con il Patto sulla salute del 2006, sono stati introdotti i piani di rientro.
CeRM effettua uno studio per cui il fabbisogno si potrebbe ridurre a 104 miliardi, con l'avanzo, quindi, di 6 miliardi. Dovremmo resistere a una tentazione, perché bisogna considerare anche una visione di assicurazione generale. Se in Calabria c'è un'età media - facciamo una ipotesi - di 40 anni, gli abitanti di quella regione perderebbero il 60 per cento delle risorse assegnate. Vi deve essere anche una visione legata ad un concetto di servizio assicurativo generale, che potrebbe essere considerato da una proposta tecnica. Conoscendo un po' l'Italia, credo che, se ci sono differenze in alcune regioni, esse siano essenzialmente relative alla loro dotazione infrastrutturale. Questo è il tema di fondo.
Non è giusto ritenere che eventuali risparmi siano suddivisi in modo indistinto tra le regioni oppure versato al Tesoro. Sarebbe necessario forse pensare al gap infrastrutturale esistente, perché se, per trovare un reparto oncologico, si devono


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compiere 200 chilometri, si è costretti a prendere la macchina e a spostarsi più lontano.
Abbiamo i dati sulla spesa farmaceutica e specialistica e, quindi, il tema è il seguente: oltre al consumo differenziato per età, ci sono anche parametri di servizio generale cui dobbiamo prestare attenzione. Quale valutazione si dà, da un punto di vista tecnico e non, sulla fuga dell'indicatore di deprivazione, che è piuttosto difficile da determinare?
Passo all'ultima domanda. Quando si discute di questi temi, non siamo un po' arretrati? La scelta dell'addizionale e non della compartecipazione IRPEF, il ricorso alla compartecipazione all'IVA nell'ultimo giorno di esame del federalismo municipale quando invece sarebbe stata preferibile l'IRPEF, al di là chi l'ha proposta, maggioranza o minoranza che sia, secondo il mio parere personale non richiederebbero un maggiore impegno? Anche il fatto di non introdurre la compartecipazione differenziata, perché tutte le regioni devono avere il 23 per cento, non mi sembra corretto. Può esserci una regione che ha il 6 e una che ha il 13 per cento, a seconda della sua partecipazione e della sua forza contributiva, una volta stabiliti il fabbisogno e i costi. Vedo molta arretratezza nel dibattito culturale sul federalismo italiano.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE PAOLO FRANCO

ROLANDO NANNICINI. Quando si cita la Spagna, la si cita in un modo piuttosto inverecondo, perché in Spagna esiste finalmente l'aliquota riservata IRPEF, che è una questione seria rispetto all'andamento del federalismo. Rifaremo un'altra operazione all'italiana, ne discuteremo ancora per anni. Buon lavoro, presidente, ma sono piuttosto pessimista.

FRANCESCO BOCCIA. Limiterò le mie domande ad aspetti esclusivamente tecnici, che riguardano il decreto. Francamente, noi dalla COPAFF ci aspettiamo un supporto non alla comprensione del decreto, perché, nonostante i nostri modesti strumenti, riusciamo a leggerlo e anche a mettere insieme i pezzi - per la verità, gli uffici ci sostengono e ci supportano, consentendoci di arrivare a una valutazione perlomeno di impatto del decreto stesso o delle proposte arrivate dalla Conferenza Stato-regioni sul decreto - ma alla comprensione dell'impatto fiscale di alcune scelte contenute nel decreto. Mi limiterò, quindi, a porre domande che possano consentirci di compiere dei passi in avanti.
Ho ascoltato con attenzione la disamina del professor Antonini, che, però, ci ha solo reillustrato il decreto. Abbiamo capito i punti di forza e di debolezza del decreto, ma vorremmo capire insieme oggi da questa audizione - che è l'ultima e che arriva, non casualmente, dopo audizioni molto importanti, cito quella della Corte dei conti tra tutte, perché ha sollevato numerosi interrogativi - l'impatto del decreto. Il presidente Giampaolino ci ha ribadito che, in realtà, il modello di finanza derivata non solo non è stato abbandonato, ma continua a essere un punto di riferimento essenziale.
La prima domanda è sull'IRPEF e la rivolgo anche alla professoressa Lapecorella. L'impatto sull'IRPEF, sulla base delle valutazioni che voi dovreste aver già svolto, qual è esattamente? Che IRPEF ci ritroviamo dall'applicazione dell'accordo a bocce ferme? A quanto ammonta l'IRPEF? L'IRPEF, che dallo 0,9 per cento diventa dell'1,9 per cento secondo alcune valutazioni, o forse va un po' più su secondo altre, per gli uffici del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze e per COPAFF a quanto ammonta? Qual è il grado di «arlecchinaggine» dietro l'IRPEF che ne deriva? Noi vorremmo vedere proiezioni e simulazioni, invitandovi a verificare quanto elaborato dai consulenti della Commissione, che, come è noto, sono stati un punto di riferimento per questa Commissione. Tra le questioni che ci evidenziano i consulenti, soprattutto per le proposte che dovremo presentare nei


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prossimi giorni, ce n'è una che ci ricorda che, in realtà, noi dobbiamo affrontare due variabili con un'equazione: i costi standard, da un lato, e il benchmark, dall'altro. Su questo il tema è politico, nel senso che noi dobbiamo chiarirci le idee se vogliamo fissare il benchmark tra tre regioni o addirittura tra cinque o se bisogna scegliere tra le cinque. È un tema politico. Probabilmente sarebbe più semplice sceglierle se ci fossero simulazioni, ma tutto dipende dal dibattito che non si è ancora aperto e che ritengo emergerà nei prossimi giorni in discussione generale.
Il tema posto dai consulenti della Commissione è molto simile e riguarda la distinzione tra costi standard e livelli essenziali. Probabilmente non esiste, secondo alcuni, una distinzione. Se si ritiene che la seconda variabile, cioè le risorse disponibili, debba essere un vincolo e se quello è il vincolo con il quale noi copriamo i costi standard, vorremmo capire se, a questo punto, venga meno il principio per il quale ci siamo battuti tutti qui in Commissione, cioè quello della garanzia sui livelli essenziali.
Si tratta di un tema che dobbiamo chiarire prima di entrare in discussione generale e mi rivolgo a tutti i colleghi componenti della Bicamerale. Se distinguiamo i costi standard dai livelli essenziali e sosteniamo che una delle variabili, cioè la copertura dei costi standard, è vincolata, perché non si va oltre il budget predefinito, stiamo affermando che non copriremo i livelli essenziali secondo il principio della delega stessa, nel momento in cui nella delega abbiamo scritto alcune disposizioni rispetto alla copertura dei livelli essenziali.
Mi riferisco all'articolo 2, commi 1 e 4, sull'IRPEF e rideterminazione dell'addizionale. Lo abbiamo già affermato in altre audizioni e, a maggior ragione, lo ribadiamo di fronte al presidente della COPAFF e al capo del Dipartimento delle finanze: non ci pare che ci sia una stima degli ammontari movimentati, esclusa l'accisa sulla benzina nel 2008, che consenta di verificare l'effettiva neutralità finanziaria, sia sui saldi, sia sulla pressione fiscale.
Poiché questo è l'altro tema centrale che ci ritroveremo, nostro malgrado, a dover affrontare, perché dovremo dare una risposta al Paese sulla pressione fiscale, ossia sul fatto se essa salga o meno, e soprattutto sui saldi, ci chiediamo come potranno regolarsi il Ministero dell'economia e delle finanze e, in particolar modo, il Dipartimento delle finanze e la Ragioneria generale dello Stato.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE ENRICO LA LOGGIA

FRANCESCO BOCCIA. Il tema che vi sto ponendo è stato posto dalla Ragioneria generale dello Stato. Dal momento che non esiste una stima degli ammontari, se escludiamo l'accisa sulla benzina del 2008, vorrei capire come ci comportiamo, nel momento in cui stiamo effettuando una valutazione di impatto, per garantire un'effettiva neutralità finanziaria sui saldi e sulla pressione fiscale.
Chiudo consigliando a tutti noi, a maggior ragione alla COPAFF e al Dipartimento, la lettura della prima parte della relazione della Corte dei conti, ai punti 3 e 5, sull'utilizzo dell'addizionale IRPEF e soprattutto sulle coperture dei livelli essenziali.
I quesiti che si pone la Corte dei conti sono gli stessi che ci poniamo noi e a tali quesiti non è stata data risposta fino a questo momento, non dagli esperti, perché tutti gli esperti che sono intervenuti ci hanno posto esattamente i quesiti che noi ci stiamo ponendo a nostra volta. Qualcuno, a un certo punto, presidente La Loggia, dovrà risponderci, altrimenti viene fuori un gioco bizzarro: ognuno pone quesiti, ma qualcuno pur dovrà rispondere, alla fine. Poiché a partire da domani mattina dovremo iniziare a stilare le relazioni e a discuterle, chiedo al presidente La Loggia, nella sua riconosciuta saggezza, di provare a capire chi deve risponderci.

LINDA LANZILLOTTA. Presidente, le questioni poste dai colleghi sono quelle


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sostanziali e, quindi, credo che siano molto esaurienti. Mi limiterò a porre alcune ulteriori richieste, anche di semplificazione, perché in questa materia ci si perde. Dovremmo cercare di compiere un esercizio e di spiegarla a persone che non si occupano di federalismo.
Innanzitutto, in termini di semplificazione, vorrei conoscere un numero. Qual è, allo stato di questo decreto, la quota delle risorse che vengono attribuite alle regioni in base al complesso delle competenze, ossia sanità, ma anche altre funzioni che rientrano nell'autonomia fiscale? Qual è la quota di risorse che non è predeterminata da trasferimenti o da compartecipazioni? Lei ha affermato che la quota di autonomia è al margine, ma vorrei sapere, su 100, a quanto ammonta.
La seconda era una semplice notazione. Quando lei osservava che l'IRAP si può azzerare per le nuove imprese senza influire sul livello delle risorse, le faccio presente che, in genere, c'è sempre un saldo tra imprese nuove e vecchie e, quindi, introdurre l'esenzione sulle nuove imprese comporta comunque un differenziale di gettito. Non è un'operazione neutra.
Volevo poi porre due domande. Abbiamo sentito opinioni piuttosto differenti da parte degli esperti sul vincolo della manovrabilità tra IRAP e IRPEF. Chiedo se, dal punto di vista proprio teorico, sia sostenibile e coerente con l'idea di federalismo limitare od orientare la politica tributaria delle regioni nella manovrabilità tra tassazione delle imprese e delle persone.
Vi è poi la questione delle regioni a statuto speciale. Esse possono azzerare l'IRAP perché hanno altre fonti di reddito. Poiché vedo che nell'Intesa delle regioni è ossessivamente riportato l'inserimento «fatta eccezione per le regioni a statuto speciale», ossia, laddove si verifica una dimenticanza, viene sempre inserita tale clausola, vorrei sapere se in un luogo di questo percorso di attuazione del federalismo si stia lavorando ad attuare un principio base che deve valere, o attraverso l'articolo 27 della legge n. 42 o attraverso i decreti ordinari, per le regioni a statuto speciale, cioè la corrispondenza tra entrate e costo delle funzioni.
In relazione a questo principio, che deriva direttamente dall'articolo 3 della Costituzione, esiste un luogo in cui si attua la legge sul federalismo fiscale, la legge n. 42, in cui sta avanzando la sua affermazione e declinazione legislativa? Senza ciò viene violato il principio di uguaglianza. Parlo della corrispondenza tra funzioni, costo e gettito.
Infine, mi associo alle domande del collega Boccia. Ci sono tre fattori, ovvero l'ammontare complessivo delle risorse, che è predeterminato ex ante come un plafond assegnato dalla legge di stabilità, e poi due indicatori, i LEA e i costi standard. Come giocano questi tre elementi? Che cosa vincola il totale? Sono costi teorici?
Ci domandavamo in una precedente seduta se, alla fine, il costo standard sia solo un multiplo, un indicatore ai fini della determinazione dell'ammontare, ma non un vincolo per avere accesso alle risorse. Il rischio, in tal caso, è che si elimini la spesa buona per fare posto a quella cattiva.
In realtà, sui costi non si incide, se non sono un vincolo, mentre rimane la spesa inefficiente, che quindi non finanzia i LEA, a danno della spesa come dovrebbe risultare dall'applicazione effettiva del costo standard. Questo meccanismo non porta il sistema al vincolo del conseguimento dell'efficienza, perché rimane puramente finanziario. Questo è il dubbio che noi vorremmo che lei ci chiarisse e ci fugasse e che è emerso anche dalle altre audizioni.

GIULIANO BARBOLINI. Il quadro delle domande che hanno posto i colleghi è per me esauriente, ma intervengo solo per una sottolineatura.
Vorrei denunciare quello che temo sia uno strabismo che può emergere in questo decreto. Si tratta di un decreto che tratta una pluralità di azioni, ma che ha tenuto molto presente, e non poteva essere diversamente,


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la questione del fondo di finanziamento del fondo sanitario nazionale.
È giusto e io sarei cauto anche sul cosiddetto «lapis». Il contenuto del decreto è forse un po' conservativo, ma in questa fase di attesa non è un atteggiamento sbagliato.
Il problema, però, è che mentre in questo caso il ragionamento tiene, non mi trovo più - penso di non essere il solo - su quanto accade sul resto, ossia sulle altre funzioni fondamentali, in cui mancano i LEP e i parametri di riferimento.
In particolare, una questione riguarda l'assistenza sociale, che è un indefinito, almeno allo stato attuale, per quanto mi riguarda e per la spesa nazionale che sostiene questo settore. È un indefinito perché sappiamo che questo è un tipo di intervento che si articola fra competenze regionali, delle province, dei comuni. È frammentario perché diversificatissimo sul piano nazionale, in termini proprio di squilibri. È una diversità anche particolarmente complessa, perché meno agevolmente standardizzabile che una spesa ospedaliera o una spesa per alcune tipologie di interventi, per esempio, in campo sanitario.
Rispetto a tutta questa complessità io non trovo praticamente nulla. Vorrei capire come si governa la fase transitoria di questo processo e come si istruiscono le condizioni perché dalla fase transitoria si arrivi alla standardizzazione di ciò che è possibile, a una sua quantificazione. Chiedo se all'interno della COPAFF sia stata svolta una discussione su questi aspetti. Ci sono elementi che si possono riproporre, in termini magari anche di numeri e di aggregati, però, se non altro, di problematicità, di criteri, di princìpi e di parametri a cui ancorare un emendamento al testo che costruisca le condizioni per una maggiore garanzia di governo del processo?
Sono il primo a sapere che la questione si può mettere insieme solo con uno sforzo epocale, però almeno potremmo graduare le fasi di passaggio e porci nelle giuste condizioni. Per esempio, come si usa e come agisce un fondo perequativo su una questione che al momento non conosciamo? Possiamo distribuire un po' di soldi, ma non è detto che ciò rappresenti un criterio di garanzia.
Se ci sono elaborazioni evolute, tanto meglio, ma, se anche non ci sono, ma esiste un laboratorio in atto, è utile che queste notizie vengano riportate alla Commissione, non perché noi dobbiamo svolgere il lavoro tecnico, che compete ad altri, ma perché probabilmente possiamo compiere un lavoro di indirizzo politico, di emendamento e di definizione del quadro di riferimento, su cui poi procedere ad altri passaggi.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri auditi per la replica.

FABRIZIA LAPECORELLA, Direttore generale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze. Grazie, presidente. Posso svolgere una premessa, limitandomi a rispondere alle questioni di carattere fiscale che sono state sollevate e che sono numerose e augurandomi che tale premessa possa essere rassicurante.
In effetti, in questo decreto, a differenza per esempio del decreto sul federalismo municipale profondamente innovativo per la parte tributaria, si è compiuto per il lato fiscale essenzialmente uno sforzo di razionalizzazione e di semplificazione di tributi esistenti e noti.
Tutta la preoccupazione che, per esempio, nella fase di esame del decreto sul federalismo municipale avrebbe potuto generare un'imposta come l'imposta municipale propria con una nuova base imponibile, in realtà nell'analisi dell'effetto degli impatti del decreto sul federalismo regionale e provinciale credo che non si ponga e che voi possiate rassicurarvi su questo punto. Si tratta essenzialmente della rimodulazione di tributi ben noti, il cui gettito, le cui basi imponibili, la cui ripartizione territoriale sono pubblicati con regolarità e frequenza ormai molto ravvicinate, il che rende il dato pubblicato molto significativo rispetto al dato effettivo


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sull'andamento del sistema fiscale rilevato dal Dipartimento.
È vero che la relazione tecnica contiene il provvedimento originario, ma le modifiche che sono state apportate in sede di Intesa in Conferenza unificata richiederebbero soltanto alcuni interventi di aggiornamento, mentre la gran parte della relazione potrebbe restare invariata. La relazione tecnica, nel caso del provvedimento in oggetto, riporta soltanto i gettiti di alcuni tributi, sia erariali, sia locali, cioè regionali e provinciali, a seconda dell'articolo di riferimento.
Il motivo è piuttosto semplice: mancano alcuni elementi che sarebbero stati necessari per poter effettuare le stime. Il decreto stabilisce che l'addizionale IRPEF debba essere rimodulata per poter consentire la copertura dei trasferimenti soppressi allo Stato della partecipazione regionale all'accisa sulla benzina. Non essendo ancora determinata l'entità dei trasferimenti, non è possibile effettuare la stima. La relazione tecnica contiene una piccola tabellina in cui, in effetti, è evidenziato che esiste un gettito pari a 1,7 miliardi della compartecipazione regionale dell'accisa sulla benzina e che tale gettito sarà finanziato con una rimodulazione dell'addizionale IRPEF.
Non dovrebbe preoccupare la scelta compiuta dei tributi, né lo stress che il provvedimento può imporre al prelievo personale sul reddito delle persone fisiche, l'imposta più importante nel nostro ordinamento. L'IRPEF produce 160 miliardi di gettito. Noi dobbiamo introdurre un'addizionale, che, con l'aliquota di base dello 0,9 per cento, dà 6 miliardi per tutte le regioni incluse quelle a statuto speciale, e 5,3 miliardi se consideriamo solo le regioni a statuto ordinario. Lo 0,9 per cento corrisponderà a circa 5 miliardi.
Con un'imposta che getta 160 miliardi all'anno obiettivamente come facciamo a preoccuparci che possa derivare uno stress al sistema dalla previsione della sostituzione dei trasferimenti soppressi e della compartecipazione con l'addizionale IRPEF? In effetti, l'incremento dell'addizionale IRPEF previsto da questo particolare decreto ha una logica coerente con quella della delega. Si prevede, cioè, di poter rideterminare l'aliquota di base e si fissano i parametri per coprire esattamente i trasferimenti e la compartecipazione all'accisa sulla benzina soppressa.
Si determina poi, anche in maniera piuttosto ragionevole, la manovrabilità. L'addizionale rispetto alla compartecipazione presenta la caratteristica di garantire più autonomia e di rappresentare una forma di prelievo che risponde meglio all'idea della responsabilità che si vuole introdurre con il federalismo fiscale.
La possibilità di aumentare i punti percentuali è stabilita dal decreto, il quale stabilisce anche che si tratta di una scelta. Il legislatore compie una scelta in cui ritiene di assegnare a questo strumento tributario la funzione di dare ai governi regionali la possibilità di attuare politiche redistributive, quindi di rideterminare scaglioni, e impone un vincolo riferito ai lavoratori dipendenti e ai pensionati, lasciando la possibilità di stabilire detrazioni anche in relazione ai componenti della famiglia e vincolando queste scelte al rispetto degli scaglioni dell'IRPEF statale. In modo molto coerente è perseguito l'obiettivo di garantire e assicurare l'autonomia senza stressare il sistema più di tanto. Su questo punto sarei, dunque, molto tranquilla.
Gli altri tributi vengono razionalizzati: alcuni vengono soppressi e i tributi minori possono essere sostituiti.
Per quanto riguarda la compartecipazione IVA, l'onorevole Causi ha posto molte domande pertinenti e importanti. Dal punto di vista tecnico la scelta compiuta, quella di inserire un criterio di territorialità nella compartecipazione dell'IVA, è gestibile da parte dell'amministrazione.
Come lei ricordava, onorevole, ormai da alcuni anni in dichiarazione registriamo le informazioni legate alle operazioni imponibili effettuate avverso i consumatori finali, distinguendole dalle operazioni imponibili effettuate avverso i soggetti passivi IVA. Tale informazione è un'informazione particolare, non solo perché


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onerosa, ma perché non è collegata direttamente alla determinazione dell'imposta. Siamo tutti consapevoli che la rende leggermente meno affidabile, però, come al solito, ci muoviamo tra i vincoli e scegliamo il miglior trade-off.
Come ricordava il professor Antonini, la ripartizione territoriale di un'imposta come l'IVA presente poche alternative. Prima dell'introduzione del quadro VT l'unica alternativa possibile era la ripartizione territoriale in base ai dati ISTAT, ossia ai dati strumentali di statistica sui consumi finali.
Dall'introduzione del quadro VT abbiamo un'altra alternativa, rispetto alla quale nel tempo abbiamo potuto misurare l'efficienza. Anche per i contribuenti l'onere diminuisce, per via di un effetto di apprendimento, learning. Il quadro VT è stato compilato per la prima volta nelle dichiarazioni relative all'imposta nel 2006 e si tratta di un dato che, pur con il limite citato, è piuttosto stabile.

MARCO CAUSI. Perché non lo pubblicate? Non è neanche fra i dati che ci avete fornito. Tutto il Parlamento in questo momento si domanda del quadro VT. Nella risoluzione a prima firma Cicchitto, sulla quale il Governo ha posto la fiducia sul federalismo municipale, si parla del quadro VT, ma voi non pubblicate i dati relativi. È sconvolgente.

FABRIZIA LAPECORELLA, Direttore generale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze. Quali dati avete chiesto che io non abbia fornito alla COPAFF? Li ho forniti tutti. Vi daremo il quadro VT. Le spiego la ragione per cui nelle corpose statistiche fiscali che noi pubblichiamo ogni anno non figura: perché non è un dato relativo all'imposta. Noi l'abbiamo usato, lo conosciamo e ne abbiamo testato l'evoluzione, ragion per cui siamo sufficientemente sicuri del significato di questo dato, al punto da poterlo passare al presidente Antonini e alla sua commissione per poterlo condividere in sede COPAFF. L'unico motivo per cui non figura nelle statistiche fiscali è perché non è direttamente collegato all'imposta.
Sui piccoli tributi è in corso un intervento di razionalizzazione apprezzabile e importante, in cui si coniuga la manovrabilità con la semplificazione. Per esempio, parlando delle province, che comunque esistono, anche se vengono dimenticate, nella parte sul federalismo provinciale del provvedimento sono piuttosto importanti le novità introdotte sul fronte dell'imposta sulle assicurazioni, perché le disposizioni consentiranno la tracciabilità di questa imposta, che finora è stata per le province un grande punto interrogativo. I dati fiscali non consentivano loro di controllare il gettito.
L'imposta di trascrizione viene confermata in questo decreto, ma ne è previsto un riordino, che potrebbe aiutare a semplificare e a eliminare il contenzioso esistente su questi tributi. Credo che tutti questi aspetti debbano essere colti e apprezzati.
Sulle altre questioni che avete sollevato, molto interessanti, ma relative ad altre materie, lascio la parola al professor Antonini.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. La prima domanda è quella del senatore Franco. Aggiungo semplicemente a quanto asseriva la collega Fabrizia Lapecorella che i trasferimenti ai comuni da fiscalizzare in base alla relazione COPAFF ammontano a 2,5 miliardi di euro. Se la capienza dell'addizionale IRPEF allo 0,9 per cento è di 6 miliardi di euro e in più viene inglobato un 1,7 per cento di addizionale sull'energia elettrica, andiamo a 7,7 miliardi e quindi al 2,5 per cento. C'è ampia capienza.
Inoltre, il decreto prevede che non sia necessariamente l'addizionale IRPEF a inglobare i trasferimenti comunali, perché dispone che ciò avvenga in via prioritaria per i trasferimenti alle regioni e ai comuni nell'addizionale IRPEF. Si lascia la questione aperta anche a ulteriori possibilità. Non esiste, dunque, possibilità di stress eccessivo sull'addizionale.


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L'onorevole Causi è particolarmente caustico nei miei confronti nell'ultimo periodo. Forse la sorprenderò, onorevole, ma abbiamo compiuto lo sforzo che lei auspicava.
I decreti vanno letti bene: quando dispongono che l'addizionale IRPEF determini una riduzione dell'IRPEF nazionale, essi specificano che si tratta di un'aliquota di equilibrio. Se si parla di soppressione dei trasferimenti e tale soppressione non è ancora quantificata con precisione - sarà questione di poco tempo - ciò significa che quell'addizionale sarà determinata per il riequilibrio per i trasferimenti. Non c'è alcun aumento di pressione fiscale: lo Stato aveva il costo dei trasferimenti, questi vengono soppressi, si pone il problema dell'interferenza con il decreto n. 78 del 2010, un problema aperto, che però viene risolto da questo decreto. A quel punto esiste un equilibrio.
È un'aliquota di equilibrio, che non può essere fissata nel decreto finché non abbiamo il DPCM che stabilisce quanto sia l'importo dei trasferimenti da fiscalizzare al seguito del taglio. È semplicemente questa la dinamica logica che deve essere osservata e che impedisce di scrivere un numero nella relazione. Se si trattasse solo dell'addizionale all'energia elettrica, si scriverebbe il numero, ma, poiché c'è una «x» con una casella vuota, che dipende dal fatto che occorrono un decreto per il 2011 e uno per il 2012, quella è la dinamica che impedisce di scrivere una cifra come aliquota base.
La garanzia e i criteri sono fissati, perché l'aliquota è a compensazione dei trasferimenti: esiste, cioè, un costo in meno per lo Stato, ossia il trasferimento, e, di conseguenza, vi è un aumento dell'addizionale regionale corrispondente. In questo modo si risolve la questione.
Vengo allo sforzo concettuale. Onorevole Causi, lei ha ragione su questo punto. È un punto su cui si è aperto un dibattito scientifico con Ricolfi, con altri e con il rettore della Scuola superiore dell'economia e delle finanze «Ezio Vanoni», Pisauro. È un problema, che però, secondo me, la legge n. 42 offre gli strumenti per risolvere.
Se una regione non recupera l'IVA e pretende di essere portata al costo standard ugualmente, a mio avviso, il meccanismo che deve entrare in campo è di tipo o premiale o sanzionatorio. Nel decreto su premi e sanzioni viene prevista proprio una disciplina. È quella la sede giusta, perché si tratta di un meccanismo di premio a chi recupera l'evasione fiscale. È quella la sede in cui si può introdurre un meccanismo che stabilisca un incentivo in relazione al mancato recupero dell'evasione fiscale, il quale creerebbe il problema, giustamente posto dall'onorevole Causi, per cui, anche se una regione non recuperasse alcuna evasione fiscale e anche se si fosse territorializzata l'IVA con il quadro VT, si procederebbe comunque alla perequazione.
L'articolo 26 della legge delega prevede proprio meccanismi premiali per il recupero dell'evasione fiscale. È l'attuazione di quella norma a permettere di creare un incentivo a tale dinamica. Lo sforzo concettuale è stato compiuto, quindi, nel senso che si è trovata la sede adatta per il recupero dell'evasione fiscale a livello di disciplina. Nello schema di decreto legislativo approvato dal Governo figura un articolo in cui si stabilisce un meccanismo che porterebbe alla non compensazione completa in caso di evasione fiscale.

MARCO CAUSI. Nell'articolo 7-bis introdotto sulla base dell'intesa si prevede l'attribuzione alle regioni di tutto il gettito aggiuntivo. L'incentivo esiste, dunque, pienamente.

LUCA ANTONINI, Presidente della COPAFF. Esiste il gettito aggiuntivo, però il problema che lei pone è che se, una regione evade totalmente e lo Stato deve perequare al costo standard, la perequazione copre il mancato sforzo. Se lo sforzo esiste si tiene il gettito, però, se non lo si compie, che meccanismo si applica? Si deve sanzionare un mancato sforzo. Non si coprono tutti i costi standard se la


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regione non ha compiuto lo sforzo necessario. È una percentuale non eccessiva, perché si tratta di costi standard, però legata a una dinamica di responsabilizzazione sull'evasione fiscale. La sede è quella, perché si tratta di un meccanismo sanzionatorio concettualmente per un mancato recupero dell'evasione fiscale. Questa è la dinamica che ritengo applicabile.
Sulle detrazioni dei figli a carico porto a esempio il modello spagnolo. Non mi sembra che la Spagna sia uno Stato contrario al principio di uguaglianza, eppure la comunità autonoma di Madrid prevede 400 euro di detrazione per i figli a carico, a fronte di 800 di detrazione sull'IRPEF statale. Altre comunità autonome hanno detrazioni molto inferiori, anche di 150 euro. Esiste, quindi, una differenziazione, che, però, secondo me, è pienamente compatibile con il principio di uguaglianza. Dal momento in cui si decentrano le basi fiscali esiste anche la possibilità di una differenziazione. Non è una discriminazione irragionevole. Esiste in ordinamenti come quello spagnolo, che non mi sembra essere fuori dall'attuazione del principio di uguaglianza.
Per quanto riguarda le detrazioni per i voucher, faccio presente che non si sta introducendo il voucher, ma sia sta prevedendo solo un meccanismo fiscale rispetto alla competenza, che è regionale. È la regione a decidere se introdurre un buono, un voucher, oppure creare un'altra forma di intervento sociale. È la legislazione regionale, non quella dello Stato a intervenire in questo caso. Semplicemente la legislazione dello Stato dà la possibilità, all'interno della manovra dell'IRPEF regionale, di permettere la detrazione diretta del voucher, laddove sia capiente. Non lo introduce lo Stato, questa libertà di scelta dipende dal sistema della legge regionale.
Sono d'accordo con le osservazioni che ha svolto l'onorevole Nannicini e ritengo anch'io che la perequazione infrastrutturale sia la sede in cui cercare di colmare eventuali gap, piuttosto che alterare la dinamica del fabbisogno standard, tanto che l'Intesa raggiunta col Governo toglie l'indice di deprivazione, rinviando a tale sede, che, secondo me, è quella più adeguata.
Il dubbio dell'onorevole Lanzillotta sulla quota di risorse dipende dal problema che ho citato: finché non c'è il DPCM che ci indichi quali sono i trasferimenti e il rapporto fra trasferimenti e tagli, non si può stabilire l'aliquota base. Abbiamo, però, la certezza del criterio, per cui l'aliquota base sarà determinata in base all'addizionale sull'energia elettrica e sui trasferimenti soppressi. È un'aliquota di equilibrio.
La dinamica dell'addizionale IRPEF è una dinamica tale per cui può arrivare fino al 3 per cento, ma nella misura in cui ci sono disavanzi sanitari che non vengono coperti. L'idea è di togliere l'aspettativa del ripiano statale. Oggi un presidente di regione potrebbe tenere una campagna elettorale affermando che non chiuderà un posto letto, pur avendo una regione con miliardi di euro in disavanzo, perché si basa sull'aspettativa del ripiano statale, come è successo in passato.
Bisogna togliere questa aspettativa, perché il ripiano statale va a carico di tutti gli italiani e permette una politica di questo tipo, che non combatte gli sprechi. Introducendo la possibilità che l'addizionale possa arrivare fino al 3 per cento, si crea un incentivo di confronto con il proprio elettorato tale per cui si cercherà di risanare il bilancio della regione. È questa la dinamica messa in piedi in questo decreto, condiviso dalla COPAFF e dal dottor Massicci: rimuoviamo l'aspettativa del ripiano statale, in modo che vi siano politiche responsabili.
Sulle regioni a statuto speciale capisco che esiste un problema e devono essere attuate politiche di armonizzazione.
Anche sui costi standard sarebbe opportuno trovare le formule per estendere il processo, che è un processo di razionalizzazione della spesa. Non si può avere un Paese con due situazioni diverse, una standardizzata e l'altra che continua con la spesa storica. È importante che si arrivi a un processo unitario, nel rispetto però delle disposizioni costituzionali e procedurali.


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Non sarebbe tollerabile che, nel rispetto delle disposizioni costituzionali e procedurali, non si facesse il possibile. Sono molto d'accordo sulla linea che deve essere seguita.
Mi ha colpito l'intervento del senatore Barbolini. Nel decreto esiste una norma di apertura sui fabbisogni standard, che ha citato anche l'onorevole Causi, e comprende trasporto e assistenza sociale. Una previsione nel decreto rimanda a un successivo decreto. L'articolo 24, comma 3, «Disposizioni finali» dispone che «con decreto integrativo sono determinati i costi standard relativi alle materie diverse dalla sanità».
Un'apertura, dunque, esiste. La si può ritenere sufficiente o insufficiente. Non bisogna nascondersi che si tratta di una determinazione molto complicata. Si tratta di un'apertura che potrebbe essere perfezionata.
Giustamente il senatore Barbolini affermava che oggi la situazione è molto polverizzata. Per esempio, in materia di assistenza sociale si prevede anche la competenza del comune. Quanto spende il comune in materia di assistenza sociale? Gli interventi che attuano i comuni sono molto differenziati. Anche come titoli non esiste oggi a livello nazionale una mappatura delle risorse che vengono spese su questo settore, perché vi è una frammentazione delle competenze. È un problema reale.
Io credo che tutto il processo di determinazione dei fabbisogni standard con SOSE permetterà di acquisire almeno il dato dell'importo. Si potrebbe pensare dal punto di vista tecnico che questa potrebbe essere forse l'unica strada. Considerato che la Società per gli studi di settore nella sua configurazione ha già in mano gli elementi della spesa a livello comunale, si potrebbe pensare a un possibile coinvolgimento di SOSE anche della determinazione di standardizzazione della spesa. La vedo come una possibile via d'uscita su questo problema. Altrimenti, la standardizzazione a questo livello, che è tanto frammentato dal punto di vista delle competenze, non sarebbe possibile. Perché sulla spesa sociale non si dà un mandato a SOSE di cominciare una sperimentazione per standardizzare? Potrebbe essere un'ipotesi di via d'uscita, visto che SOSE comincia ad avere gli elementi relativi alla spesa dei comuni.
Il problema esiste ed è un punto aperto nel sistema. Non è facile, proprio per via della frammentazione delle competenze, arrivare a quantificare in termini precisi.
È anche vero che sui costi standard della sanità il decreto è tendenzialmente conservativo dell'esistente e non vuole stravolgerlo. Si tratta anche, però, di un sistema che deve andare a maturazione lentamente e che ovviamente si presta a integrazioni successive. Non dimentichiamo che anche la situazione di attendibilità dei dati contabili è assai relativa e frammentaria. Non tutto il Paese dispone delle stesse informazioni e nello stesso modo. Secondo me, un processo graduale è auspicabile. Si va avanti con i passi che realisticamente si possono compiere e poi le situazioni si razionalizzano.

PRESIDENTE. Vi ringrazio molto anche a nome di tutti i componenti delle due Commissioni. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,10.

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