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Resoconti Stenografici delle sedi Legislativa, Redigente e Referente

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Commissione I

5.
Giovedì 23 aprile 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bruno Donato, Presidente ... 3

Sostituzioni:

Bruno Donato, Presidente ... 3

Proposta di legge (Discussione e approvazione):
Cicchitto ed altri: Disciplina transitoria per lo svolgimento dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno 2009 ( 2389 ): ... 3

Bruno Donato, Presidente, Relatore ... 3 11 12
Calderisi Giuseppe (PdL) ... 4 7
Davico Michelino, Sottosegretario di Stato per l'interno ... 4 12
Giovanelli Oriano (PD) ... 12
Mantini Pierluigi (UdC) ... 10 11
Pisicchio Pino (IdV) ... 6
Tassone Mario (UdC) ... 6
Turco Maurizio (PD) ... 4
Vassallo Salvatore (PD) ... 9
Zaccaria Roberto (PD) ... 4

Votazione nominale:

Bruno Donato, Presidente ... 12

ALLEGATO: Emendamenti presentati dal relatore ... 14

COMMISSIONE I
AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI

Resoconto stenografico

SEDE LEGISLATIVA


Seduta di giovedì 23 aprile 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATO BRUNO

La seduta comincia alle 12,15.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, ai sensi dell'articolo 65, comma 2, del Regolamento, la pubblicità della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Sostituzioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 19, comma 4, del Regolamento, i deputati Amici, Bocchino, Cicchitto, Dal Lago, Favia, Ferrari, Fontanelli, Lanzillotta, Minniti, sono sostituiti, rispettivamente, dai deputati Touadi, Di Biagio, Fucci, Fedriga, Cambursano, Giachetti, Gatti, Nannicini e Samperi.

Discussione della proposta di legge Cicchitto ed altri: Disciplina transitoria per lo svolgimento dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno 2009 (2389).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge di iniziativa dei deputati Cicchitto ed altri: «Disciplina transitoria per lo svolgimento dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno 2009».
Ricordo che nella seduta odierna l'Assemblea ha deliberato di assegnare la citata proposta di legge in sede legislativa alla I Commissione affari costituzionali, ai sensi dell'articolo 92, comma 1, del Regolamento della Camera.
In ragione della ristrettezza dei tempi, comunico fin da ora che il termine per la presentazione degli emendamenti è fissato alle ore 12,45.
Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Preannuncio di aver presentato, in qualità di relatore, due emendamenti, che illustrerò nella mia relazione e che dispongo siano messi in distribuzione.
Passiamo ora ad esaminare il contenuto del provvedimento. La proposta di legge in esame è composta da un solo articolo suddiviso in tre commi.
Il comma 1 prevede che i referendum da tenersi nel 2009, ai sensi dell'articolo 75 della Costituzione, sono indetti per una domenica compresa tra il 15 aprile e il 30 giugno 2009. La disposizione modifica, in tal modo, in misura temporalmente limitata all'anno in corso, la disciplina generale in base alla quale il referendum è indetto fissando la data di convocazione degli elettori in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno (articolo 34, comma 1, della legge 25 maggio 1970, n. 352).
Ricordo che già in una precedente occasione una legge del Parlamento ha disposto una deroga ai termini di svolgimento di una consultazione referendaria ex articolo 75 della Costituzione, in tal caso anticipandone lo svolgimento. La legge 7 agosto 1987, consentì, infatti, lo


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svolgimento, nel novembre di quell'anno, di cinque referendum già indetti in aprile, ma sospesi per effetto dell'anticipato scioglimento delle Camere nel frattempo intervenuto.
Il comma 2 reca le disposizioni organizzative necessarie per consentire il contemporaneo svolgimento dei referendum da tenersi nel 2009 con i ballottaggi per le elezioni dei presidenti delle province e dei sindaci. Esso dispone che, in tal caso, per gli adempimenti comuni, si applichi la normativa prevista per il referendum, con riguardo anche alla composizione e al funzionamento degli uffici elettorali di sezione nonché agli orari di votazione.
Tale disciplina trova applicazione anche quando le elezioni provinciali e comunali siano regolate da norme regionali. Essa risulta, dunque, applicabile anche agli enti locali di regioni a statuto speciale.
Al termine delle operazioni di voto, si procede al riscontro dei votanti per ciascuna consultazione e poi alle operazioni di scrutinio, che hanno ad oggetto dapprima i referendum e successivamente, senza interruzione, i ballottaggi per l'elezione del presidente della provincia e del sindaco.
Le spese derivanti dagli adempimenti comuni sono ripartite proporzionalmente tra Stato ed ente locale interessato, in base al numero delle consultazioni.
Viene conseguentemente abrogata la disposizione introdotta nel recente decreto legge 27 gennaio 2009, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 2009, n. 26, che ha disciplinato le operazioni di votazione per i ballottaggi in occasione delle elezioni amministrative da svolgersi nell'anno in corso, in relazione al previsto accorpamento tra elezioni europee e primo turno delle elezioni amministrative.
A tale riguardo, peraltro, sembra tecnicamente più corretto prevedere, anziché l'abrogazione, la non applicazione della citata norma nella fattispecie in esame. Come già detto, ho quindi presentato un emendamento in tal senso.
Il comma 3 stabilisce, infine, che la legge entra in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione in Gazzetta ufficiale. A questo riguardo, considerati i tempi entro cui deve intervenire l'indizione del referendum, ritengo sia più opportuno prevedere l'entrata in vigore della legge lo stesso giorno della sua pubblicazione. In tal senso va l'altro emendamento che ho presentato in qualità di relatore.

MICHELINO DAVICO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Nulla da aggiungere, signor presidente. Il Governo concorda con il relatore e condivide il contenuto degli emendamenti proposti.

MAURIZIO TURCO. Signor presidente, intervengo per annunciare la contrarietà al provvedimento della delegazione radicale del gruppo del Partito Democratico, per le ragioni che avevamo già esplicato in occasione del provvedimento relativo all'election day. In un certo senso, si cerca di giustificare l'introduzione di una disciplina transitoria, peraltro all'ultimo momento, cioè a un mese e mezzo dal voto, con il motivo dell'abbinamento.
Noi eravamo già contrari all'abbinamento con le elezioni europee, dunque non ci sembra sufficiente l'argomentazione che è stata addotta nel dibattito già svolto. Vorrei semplicemente ricordare che stiamo mettendo mano a una legge che deriva da una disposizione costituzionale. A maggior ragione, dunque, si dovrebbe agire con prudenza.
Peraltro, il fatto che si introduca una disciplina transitoria apre la strada alla possibilità, in futuro, di fare di tutto e in qualsiasi momento. Se si fosse raggiunta la maggioranza, si sarebbe anche potuto prolungare il termine per l'indizione del referendum non al 30 giugno, ma - perché no? - al 30 luglio.

GIUSEPPE CALDERISI. Anche in autunno...

MAURIZIO TURCO. Sì. Noi riteniamo, quindi, che non vi siano ragioni di necessità ed urgenza, pertanto voteremo contro.

ROBERTO ZACCARIA. Già questa mattina in Aula ho avuto modo di svolgere


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alcune considerazioni, spiegando come in questo caso la materia costituzionale, cioè la disciplina dell'articolo 75, e la materia di attuazione costituzionale siano strettamente collegate.
L'articolo 34 della legge n. 352 del 1970, quello di cui stiamo parlando, è una norma un po' complessa. A una sua prima lettura, infatti, sembra che, in caso di scioglimento anticipato delle Camere, il referendum sia automaticamente spostato di un anno. In realtà, però, nell'articolo 34 sono comprese due formule di sospensione: la prima è collegata all'indizione dei comizi elettorali, quindi ha una sua portata; la seconda è collegata allo svolgimento dei comizi elettorali, all'indomani dei quali scatta il termine dei 365 giorni entro i quali effettuare il referendum. Naturalmente, il referendum non può essere indetto in qualsiasi momento, secondo le disposizioni in vigore, ma nella finestra tra il 15 aprile e il 15 giugno, che è una finestra vincolata. È chiaro che, dal momento delle elezioni, c'è un obbligo costituzionale del Governo di fissare una data per il referendum.
È bene parlare chiaramente: noi abbiamo più volte sostenuto - e l'abbiamo detto - che la soluzione ottimale fosse quella di indire il referendum il 7 giugno. Questa era la proposta del Partito Democratico ed è la proposta alla quale siamo legati dal punto di vista concettuale. Tuttavia, venuta meno questa possibilità, per ragioni che sono davanti agli occhi di tutti - innanzitutto per problemi all'interno della maggioranza - e che hanno reso difficile fissare in quella data il referendum, come noi avremmo voluto, si configurano due possibilità alternative residuali rispetto a quella originaria. Una è quella di individuare la data del 14 giugno, data che il Governo potrebbe ancora fissare (si diceva che oggi stesso lo avrebbe fatto), l'altra quella di ricorrere ad una leggina di questo tipo che possa consentire di svolgere il referendum il 21 giugno. Non si può, infatti, indire il referendum il 21 giugno sulla base della legislazione esistente, quindi bisogna ricorrere ad un modello del tipo della legge n. 332 del 7 agosto 1987, che ha consentito di celebrare il referendum in una data diversa da quelle previste dalla legge.
Quanto ai precedenti, questa procedura è stata già percorsa. Ricordo, infatti, che in alcune altre occasioni referendarie, non applicandosi questo meccanismo, si era arrivati a celebrare il referendum ben due anni dopo. Questo, a mio modo di vedere, urterebbe contro lo spirito della Costituzione, che stabilisce che il referendum debba essere indetto, in quanto il popolo l'ha richiesto con le modalità previste dall'articolo 75 della Costituzione.
In questo caso, però, non ci troviamo nell'ipotesi di spostare a due anni dopo, ma di una settimana; quindi, stiamo parlando di creare le condizioni per abbinare il referendum al secondo turno delle elezioni amministrative. Lo ripeto, questa non è la soluzione che avremmo preferito, ma è di gran lunga migliore dell'idea di indire il referendum il giorno 14.
Dal punto di vista degli interessi in gioco, credo che sarebbe uno strappo forte spostarlo di un anno, ma non credo che, dal punto di vista dello spirito delle norme, sarebbe ugualmente uno strappo spostarlo di una settimana. Del resto, i precedenti che ho citato - stamattina, in Aula, mi sono permesso anche di citare la posizione di un illustre costituzionalista che è intervenuto su questa materia - parlano chiaro.
Devo ribadire che questa non è la soluzione che avremmo preferito e questa è la ragione per la quale il Partito Democratico si asterrà dalla votazione su questo provvedimento, pur avendo consentito che si seguisse questa strada. Ci asterremo perché, evidentemente, a fronte di un modello ottimale che si sarebbe potuto adottare, il Governo e la maggioranza non hanno voluto farlo. Tuttavia, una volta che quella strada non è possibile, questa è una strada subordinata che consideriamo preferibile rispetto a quella di votare il 14 giugno o più in là.
Queste sono, in sintesi, le nostre ragioni.


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PINO PISICCHIO. Signor presidente, il gruppo dell'Italia dei Valori esprime la propria contrarietà rispetto a questo provvedimento.

MARIO TASSONE. Signor presidente, ho ascoltato la sua relazione e gli interventi dei colleghi. Non esprimerò alcuna valutazione di ordine costituzionale, in quanto lo ha fatto abbondantemente chi mi ha preceduto. Voglio semplicemente fare riferimento alle posizioni che abbiamo assunto sul provvedimento relativo all'election day.
Anche in questa Commissione ci siamo dichiarati contrari all'election day, per il semplice motivo che sulla materia del referendum ritengo che sia mancato un approfondimento, in termini complessivi e generali, ma soprattutto è mancata una modifica della legge referendaria, anche per evitare le situazioni legate al quorum, su cui certamente si sono concentrati il dibattito e il confronto politico in questi mesi.
Tanto per essere espliciti, ad incombere non sono stati i problemi dell'Abruzzo, ad esempio, che sono intervenuti successivamente. Si è parlato molto di un risparmio di 400 milioni di euro; in seguito, la vicenda dell'Abruzzo ha aggiunto certamente elementi ulteriori di valutazione, ma soprattutto di sollecitazione perché il referendum fosse contestuale alle elezioni europee, provinciali e comunali.
Il dato vero è che per raggiungere il quorum non si può immaginare di legare il referendum alle elezioni ordinarie, siano esse provinciali, comunali, politiche o per il rinnovo del Parlamento europeo. Credo che questa sia la questione che è alla base di ogni valutazione e di ogni considerazione, anche sul piano politico. Fermo rimanendo questo ventaglio tra il 15 aprile e il 15 giugno, in base alla previsione della legge che regola questa materia, non c'è dubbio che l'elemento fondante sia quello di comprendere, una volta che noi approviamo questa leggina, cosa facciamo di tutta la materia del referendum. Lo dico innanzitutto dal punto di vista del rispetto del dettato costituzionale. Intanto, il referendum dovrebbe essere abrogativo, ma nella storia è stato anche propositivo, modificando e alterando la logica del referendum stesso; ma soprattutto, attraverso la democrazia diretta, si sono modificate le normative stesse, lasciando al legislatore poco spazio per innovare sulla materia oggetto anche dello stesso referendum. Il dato vero è questo.
Approvare questa leggina, dunque, e soprattutto riuscire a cogliere il senso della modifica proposta dal relatore, che parla non di abrogazione ma di non applicazione, significa rispondere a un fatto contingente e immediato che parte da un'esigenza, che a sua volta raccoglie il dibattito politico di questi giorni.
Il dato è politico. È inutile confezionare tutta questa materia con riferimenti di ordine costituzionale - a nessuno in questo momento importano granché - pure ben richiamati anche dal collega Zaccaria. Lo ripeto, il discorso è politico e riguarda la natura del referendum e quello che c'è dopo il referendum. Questo è il tema che credo debba interessare questa Commissione e ovviamente il Parlamento, nella sua possibilità di procedere a una regolamentazione e a una definizione di tutta la materia.
Si poteva prevedere un ventaglio di date molto più ampio. La verità è che la decisione nasce dall'urgenza, che chiude il confronto e le tensioni di carattere politico. Noi comprendiamo tutto, ma ci asterremo.
Non mi sarei scandalizzato, tanto per intenderci, se il referendum fosse stato rinviato di un anno. Lo dico anche per lasciare traccia di una nostra posizione. Certamente, questo referendum apre delle questioni politiche di grande portata e di grande rilevanza all'interno del nostro Paese, su cui certamente è bene cominciare a confrontarci, per capire non soltanto chi è a favore e chi è contro l'election day, ma che cosa si intende fare, rispetto alle situazioni istituzionali e politiche all'interno del nostro Paese, per definire in termini sempre più puntuali il quadro nel quale ci dobbiamo e ci dovremo muovere.


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Questa è la posizione che esprimiamo tranquillamente in questo momento. La nostra astensione non significa né un sì, né un no, ma una presa d'atto di una volontà emersa diffusamente nel Parlamento. Abbiamo anche dato il nostro consenso alla legislativa e questo dimostra una chiara intenzione ed è indicativo di una manifestazione di volontà soprattutto politica ed istituzionale in questo particolare momento.

GIUSEPPE CALDERISI. Il gruppo del PdL, che è presentatore della proposta, ovviamente voterà a favore del provvedimento stesso, in particolare per l'esigenza di evitare di chiamare gli elettori alle urne per tre domeniche consecutive, oltre che per una parziale riduzione dei costi.
Signor presidente, esprimendo alcune considerazioni anche a titolo personale, intendo fornire alla Commissione qualche elemento di valutazione in più rispetto a quello che è emerso nel dibattito di questi giorni, peraltro soggetto a un po' di disinformazione e a qualche strumentalizzazione o demagogia.
Vorrei ricordare che noi siamo in questa situazione in virtù, in particolare, di un parere del Consiglio di Stato del 24 febbraio 1973. Il referendum sul divorzio, promosso nel 1971, doveva tenersi nel 1972, ma quell'anno ci fu lo scioglimento anticipato delle Camere, proprio per evitare il referendum. Come vedete, allora chi era contrario al referendum provocava lo scioglimento delle Camere, non la mancanza del quorum, quindi è intervenuta una differenza di strategia nei comportamenti antireferendari. L'anno successivo, il 1973, tutti si aspettavano lo svolgimento del referendum, ma dalle colonne de Il Giorno intervenne Leopoldo Elia e suggerì al Governo di chiedere un parere al Consiglio di Stato su come dovesse interpretarsi l'articolo 34 della legge sul referendum. Tale articolo, al terzo comma, stabilisce che in caso di scioglimento delle Camere il procedimento del referendum già indetto è sospeso e i termini riprendono - cito testualmente l'articolo 34 - «a datare dal trecentosessantacinquesimo giorno successivo alla data delle elezioni».
Il Consiglio di Stato rispose che non può darsi luogo a nessun atto preparatorio, neanche la fissazione della nuova data del referendum, se non sono decorsi i trecentosessantacinque giorni dal giorno successivo alle elezioni.
Pertanto, dovendo mettere in conto anche i cinquanta giorni necessari per tutti gli adempimenti preparatori dalla data di indizione alla data di svolgimento del referendum, siccome la data per lo svolgimento deve ricadere necessariamente nella finestra 15 aprile-15 giugno, se si va oltre il 15 giugno si rimanda automaticamente all'anno successivo, senza nessun provvedimento di sorta. Il referendum sul divorzio, pertanto, si svolse nel 1974.
Lo stesso avvenne successivamente per un altro referendum, quello sull'aborto, promosso dai Radicali nel 1975. Quel referendum si doveva tenere nel 1976, ma ci furono le elezioni anticipate; non si votò nel 1977 e nemmeno nel 1978, sebbene così fosse previsto, perché intervenne la legge n. 194. Negli altri casi di scioglimento anticipato delle Camere, c'è stato un rinvio automatico a due anni dopo.
In altri casi, come è stato già ricordato, si fece ricorso a una leggina di deroga alla normativa vigente e la scelta fu quella di rinviare all'autunno. Questo avvenne per i cinque referendum sul nucleare e sulla giustizia del 1987: si votò in autunno, questa volta anticipando la convocazione degli elettori.
Allora, che cosa è successo quando, il 5 febbraio dell'anno scorso, sono state sciolte le Camere, fissando la data del 13 e 14 aprile per le elezioni? In base al parere del Consiglio di Stato che ho citato, si è determinato inevitabilmente che, per quanto riguarda il 2009, il referendum poteva tenersi unicamente nelle date 7 e 14 giugno. Non si poteva tenere né ad aprile, né a maggio, salvo eventualmente intervenendo con una leggina, che tuttavia neanche il comitato promotore ha chiesto.
Pertanto, è venuto fuori tutto il dibattito relativo all'accorpamento o meno alle elezioni e alle date del 7 o 14 giugno. In realtà, era solo questa l'alternativa.


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Da questo punto di vista, credo che siamo di fronte ad una situazione su cui forse vale la pena riflettere. Oggi stiamo determinando un caso di relativo accorpamento e voglio ricordare che è la prima volta che lo facciamo; quindi, oggi stiamo introducendo il principio di accorpare un referendum alle elezioni.
Dobbiamo riflettere sul fatto che, a mio avviso, le campagne elettorali o si accorpano o si tengono distinte. Per questo, personalmente ritenevo che la scelta migliore fosse quella del prossimo anno. Sarebbe stato sufficiente che avessimo votato, l'anno scorso, invece che il 13 e 14 aprile, il 27 o 28 aprile, e automaticamente il referendum sarebbe stato rinviato all'anno prossimo. Nessuno avrebbe detto nulla, nessuno avrebbe gridato allo scandalo.
Il problema è che i promotori, che già devono cimentarsi con il difficile tentativo di raggiungere il quorum, se non c'è l'accorpamento devono almeno godere di un periodo di un mese pieno di campagna elettorale autonoma, non schiacciata da altri appuntamenti elettorali.
Le campagne elettorali, lo ripeto, si dovrebbero tenere unite - dovrebbe essere un principio - ma se si esclude questo, accavallarle e schiacciare una campagna referendaria che ha il problema del quorum in mezzo ai turni delle elezioni amministrative, oltre che dell'incombere dell'estate, non è certo la situazione migliore per ottenere risultati, al di là del merito del referendum.
Questo era il motivo per il quale personalmente avrei preferito il cosiddetto «rinvio» che considero quasi un atto dovuto, in conseguenza di quel parere del Consiglio di Stato.
Comunque, si è scelta la data del 21 che è relativamente meglio del 14. Io sono stato promotore di referendum ma non mi faccio illusioni che si possa raggiungere il quorum. Io credo che ormai il quorum sia impossibile da raggiungere su qualunque tema e l'oggetto della riflessione dovrebbe essere questo. Certamente, l'istituto del referendum è logoro per molti aspetti. Per molti aspetti questa Commissione dovrà tornare a discuterne. Credo che presenterò delle proposte di riforma dell'istituto del referendum, magari aumentando il numero di firme necessarie e portandole a settecento-ottocentomila, o anche un milione se si vuole, per rendere il referendum possibile soltanto su grandissime questioni. Credo anche, però, che si debba abolire il quorum, che esiste solo nel nostro Paese. Ritengo, infatti, che sia contrario ai principi di democrazia politica il fatto che chi non vota conti di più di chi vota. Non può essere una competizione leale quella nella quale chi si oppone al referendum somma all'astensionismo fisiologico, che più o meno è ormai del 25 per cento, un 25 per cento di opposizione, mentre i «sì» devono raggiungere quota 50 per cento. Non credo fosse questo ciò che voleva il costituente: allora c'erano percentuali di votanti del 95 per cento; il costituente voleva solo evitare che il referendum venisse promosso su questioni marginali. Adesso invece il problema del quorum si presenta a noi proprio sui referendum che riguardano le questioni più importanti. La situazione, quindi, è cambiata completamente.
Credo, pertanto, che l'istituto del referendum debba essere rivisto; se non lo si rivede in questa direzione, infatti, tanto vale abolirlo, perché si trasforma quasi sempre in una sorta di boomerang per chi lo ha promosso anche se l'esito è nullo. Ricordo, infatti, che quando manca il quorum, non c'è esito del referendum favorevole o contrario, tant'è vero che si può anche riproporlo l'anno successivo. Ritengo, dunque, che l'istituto del referendum vada rivisto, perché o lo si rivitalizza, magari rendendo anche più difficile la sua attuazione ma abolendo il quorum, oppure tanto vale abolirlo del tutto.
Questa è, però, una riflessione da fare, perché non riguarda solo lo statuto dell'opposizione. È certamente uno strumento importante di un moderno statuto dell'opposizione, ma il referendum può essere promosso anche per questioni trasversali. Quindi, questo strumento va rivitalizzato, ma questa è una discussione che faremo.


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Per adesso, credo sia comunque positivo l'aver scongiurato l'ipotesi del voto nel giorno del 14 giugno, che avrebbe implicato di chiamare gli elettori alle urne per tre volte di seguito. Si tratta di una soluzione di parziale soddisfazione che ritengo comunque positiva e, quindi, signor presidente, pur nel parziale dissenso che ho voluto rappresentare su questo argomento, ha anche il mio voto positivo.

SALVATORE VASSALLO. Vorrei soltanto esporre alcuni argomenti aggiuntivi che specificano, con questa mia dichiarazione di voto, l'orientamento del gruppo già espresso da parte del collega Zaccaria.
Sarò molto sintetico, perché sono esentato dal tornare su alcuni aspetti, che pure sono stati sollevati da altri colleghi, in merito alla presunta non costituzionalità della proroga del termine, con il richiamo anche ad altri casi nei quali sono state fatte modifiche dei termini per la indizione del referendum. Non sono, d'altro canto, obbligato a ripercorrere la storia dei pronunciamenti in merito alla fissazione della data, in quanto essa è stata già esposta dal collega Calderisi. Ci sono, però, due argomenti che vorrei aggiungere alla discussione, in parte riprendendo - sia pure in ottica diversa - quanto lo stesso onorevole Calderisi ha appena esposto.
Il primo argomento è sostanzialmente rivolto ai colleghi dell'Italia dei Valori e ai Radicali. È evidente che noi siamo nella condizione di dover scegliere il male minore, non esistendo ad oggi un'alternativa tra il 14 e il 21 ed essendo del tutto evidente che la data del 14 costituirebbe la terza tornata elettorale in sequenza nella quale i cittadini italiani dovrebbero recarsi alle urne. Sarebbe, peraltro, schiacciata tra le due tornate elettorali in termini di comunicazione pubblica: è del tutto evidente, infatti, che all'indomani del voto del 7 giugno, almeno per una settimana, non si parlerà d'altro che del risultato. Quindi, anche la visibilità e la percepibilità della tornata referendaria sarebbe totalmente offuscata dal dibattito pubblico sulle elezioni in quella settimana. È chiaro, dunque, che si tratta di un male minore.
D'altro canto, per le stesse ragioni esposte dall'onorevole Calderisi, questa decisione della maggioranza rende del tutto evidente quanto siano stati pretestuosi gli argomenti utilizzati fino ad oggi dalla maggioranza stessa per sostenere l'impossibilità di far coincidere la tornata referendaria con un'altra tornata elettorale.
È del tutto evidente che fino ad oggi la maggioranza ha detto cose false, o in cui non crede, perché fino ad oggi ha detto che non era ragionevole, e forse neanche costituzionalmente legittimo o politicamente sostenibile, far coincidere nella stessa giornata una tornata elettorale per l'elezione di un qualche organismo rappresentativo e la tornata referendaria.
Oggi, invece, la maggioranza dice, come ha riferito l'onorevole Calderisi, che questo è possibile, rendendo del tutto evidente che l'unica ragione per la quale quella coincidenza è stata negata consiste in un'esigenza politica di una parte della maggioranza, e ristabilendo così, come lo stesso onorevole Calderisi ha detto, il principio di ragionevolezza, ossia stabilendo che questa coincidenza non solo è possibile ma ha anche un precedente.
Infatti, il problema, che lo stesso onorevole Calderisi ha riproposto sensatamente, ossia quello della tenuta dell'istituto referendario, potrebbe essere risolto in modo coerente alla decisione presa, tenendo conto del dibattito circa i costi dello svolgimento del referendum ed evitando anche modifiche costituzionali più incisive. Ad esempio, il problema potrebbe esser risolto, da un lato, come lo stesso onorevole Calderisi ha detto, aumentando il numero delle firme necessarie e rendendo, quindi, più rigorosi i requisiti per la presentazione delle proposte abrogative con referendum e, dall'altro, stabilendo come regola la coincidenza delle tornate referendarie con quelle di altre elezioni. Ciò non richiederebbe modifiche costituzionali in quanto, come dimostra la decisione che propone la maggioranza, è una soluzione del tutto compatibile con il nostro ordinamento.


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Per questo complesso di ragioni, penso che sia sensato astenersi su questa proposta della maggioranza.

PIERLUIGI MANTINI. Mi soffermo solo su un punto specifico del testo; le ragioni generali sono, infatti, state già ben espresse dal collega Tassone. Mi consentirei solo una piccolissima annotazione per dire che questi nostri dibattiti e queste nostre emergenze sono molto italioti, segnati dall'ipocrisia e anche da un certo ritardo politico: caratteristiche che qualche volta qualcuno definisce in termini di casta o di insensibilità. Le cose stanno proprio così.
Parliamoci chiaro: questo referendum - e non la faccio lunga -, come i colleghi ricordavano testé, è innanzitutto il segno di una riflessione che va avanti da troppi anni sul fatto che nell'ordinamento costituzionale italiano il referendum abrogativo non c'è più. Questo, però, lo sanno anche i sassi mentre qui ci troviamo nella Commissione affari costituzionali.
Peraltro, vi sono numerose proposte di legge - tra l'altro voglio ricordarne una che reca la mia firma - che propongono da tempo un quorum diverso, esattamente nella logica che ricordava il collega Calderisi e che è condivisa, credo anche da altri colleghi. Mi riferisco, ad esempio, alla sufficienza, ai fini del quorum, del voto del 25 per cento più uno, che corrisponde esattamente alla logica del costituente, il quale, nel segnare un primo quorum al 50 per cento per la validità e poi un secondo quorum per l'efficacia del referendum, prevedeva in astratto che bastasse un 25 per cento più uno - e l'articolo 75 è tuttora così - per abrogare una legge in Italia. Dunque, i due quorum devono poter coincidere. Ci sono proposte di legge a varie firme, presumo. Ho citato la mia, ma ce ne sono altre.
Segnalo, dunque, un ritardo che definirei anche colpevole, perché noi ci lanciamo spesso in discorsi e in proposte sofisticate sulla democrazia; probabilmente siamo tutti d'accordo sul fatto che, come diceva Tocqueville, non basta il voto a rendere un popolo libero e vorremmo quindi una democrazia più compiuta, più matura e più esigente, ma ci dimentichiamo che nel nostro ordinamento non c'è neanche il referendum abrogativo. È esattamente per la ragione pratica per cui basta che si sommi una posizione del tutto minoritaria all'astensionismo fisiologico che il quorum non si raggiunge mai.
Vorrei ricordare, però - altrimenti l'inerzia continua - che questa modifica potremmo farla. Mi rendo conto che è di rango costituzionale, però con la buona volontà si possono fare molte cose.
Il secondo tema è altrettanto evidente ed anche per esso spendo meno di una parola.
Ha ragione il collega Tassone: adesso parliamo di leggine, di «normine», di modifiche di qualche settimana, ma è evidente che dobbiamo affrontare il tema della riforma elettorale. Diversamente, infatti, continuiamo a guardare molto bene il dito, ma dimentichiamo di guardare la luna. Questo è un tema che senz'altro riprenderemo.
Vengo, invece, al punto. Non credo che la riforma elettorale debba farla per forza il popolo in piazza. So di non dire nulla di originale, però vorrei sottolineare il fatto che noi abbiamo una pessima legge elettorale, dichiarata pessima dagli stessi autori con definizioni di fantasia, per cui non vale la pena neanche insistere. Voglio augurarmi, quindi, che si trovi uno spazio per avviare nelle sedi giuste queste riflessioni sulla nostra legge elettorale, senza necessariamente quegli automatismi un pochino apodittici e un pochino italioti anch'essi, per cui il Parlamento sarebbe delegittimato se per caso si discutesse di una migliore legge elettorale. Sono, infatti, tutte cose che un pochino ci inventiamo e che non sono scritte in alcun sacro testo.
Invece mi soffermo su un punto di questo testo che non comprendo, su cui chiedo più che altro un chiarimento; se la lettura fosse quella che a me appare, dovrei infatti manifestare una contrarietà. Qui leggo: «le spese derivanti dall'attuazione degli adempimenti comuni sono proporzionalmente distribuite tra lo Stato e gli enti interessati, in base al numero delle


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consultazioni stesse». Da ciò capisco - ma forse è solo la mia lettura sbagliata - che le spese per i referendum sarebbero distribuite tra lo Stato e i comuni.

PRESIDENTE. ...e le province interessati al ballottaggio. Se, per esempio, ci fossero dieci province che vanno al ballottaggio e ottanta comuni, e la spesa fosse cento, una parte è a carico dello Stato, una parte delle province - quelle dieci - e una parte dei comuni, ottanta.

PIERLUIGI MANTINI. Ma per le spese referendarie?

PRESIDENTE. Parliamo della consultazione elettorale.

PIERLUIGI MANTINI. Io volevo solo sottolineare - può darsi pure che si possa dire meglio - un concetto su cui siamo probabilmente tutti d'accordo, cioè che le spese referendarie sono a carico dello Stato. Interamente a carico dello Stato.

PRESIDENTE. Sì, però giacché ci sono province e comuni su cui già incide una spesa relativamente al ballottaggio, su quelli non c'è la spesa statale, va a sottrazione dell'onere complessivo dello Stato. Questo è il criterio della norma. Cioè dato per cento la spesa, se i comuni avessero per quel giorno da spendere, invece, trenta - perché normalmente è in un 30 per cento di casi che si va a ballottaggio - il restante settanta è a carico dello Stato.

PIERLUIGI MANTINI. Continuo a mantenere qualche perplessità sul modo con cui l'articolo è scritto. Ma mi accontento di una interpretazione autentica. Questa legge parla del referendum.
Il pensiero - così lo rendo esplicito, per capire se corrisponde al testo - è che evidentemente saremmo del tutto contrari all'idea che le spese per i referendum siano distribuite proporzionalmente tra lo Stato e gli enti locali che si trovassero casualmente a dover svolgere dei ballottaggi. Con un principio di ragionevolezza, direi che è anche costituzionale; è chiaro, infatti, che sarebbe del tutto casuale. Devo dire, quindi, che il testo è un po' oscuro perché parla esattamente di spese derivanti dall'attuazione degli adempimenti comuni che sono proporzionalmente distribuite e queste attuazioni comuni dovrebbero però rendere chiaro che le spese del referendum sono a totale carico dello Stato.
L'importante è che questo sia chiaro.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Non essendo ancora pervenuto il parere della Commissione Bilancio, sospendo brevemente la seduta.

La seduta sospesa alle 13, è ripresa alle 13,20.

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione della proposta di legge.
Comunico che è pervenuto il parere della Commissione bilancio, che è favorevole con la seguente condizione, volta a garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione: «All'articolo 1, comma 2, sopprimere il terzo periodo. Conseguentemente, dopo il comma 2, aggiungere il seguente: 2 bis: «In caso di contemporaneo svolgimento delle consultazioni di cui al comma 2, l'importo massimo delle spese da rimborsare a ciascun comune per l'organizzazione tecnica e l'attuazione del referendum, fatta eccezione per il trattamento economico dei componenti del seggio, è stabilito nei limiti delle assegnazioni di bilancio disposte per lo scopo dal Ministero dell'interno con proprio decreto, con distinti parametri per elettore e per sezione elettorale, calcolati rispettivamente nella misura di due terzi e di un terzo sul totale da ripartire. Per i comuni aventi fino a cinque sezioni elettorali le quote sono maggiorate del 40 per cento. All'incremento della dotazione finanziaria relativa ai rimborsi elettorali per i comuni aventi fino a cinque sezioni elettorali si provvede mediante compensazione tra gli enti beneficiari. Le spese


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derivanti dall'attuazione di adempimenti comuni ai referendum e all'elezione dei presidenti delle province e dei sindaci sono proporzionalmente ripartite tra lo Stato e gli altri enti interessati in base al numero delle consultazioni, fermo restando per lo Stato il vincolo di cui al primo periodo. Il riparto delle spese anticipate dai comuni interessati è effettuato dai prefetti sulla base dei rendiconti dei comuni da presentarsi entro il termine di sei mesi dalla data delle consultazioni, a pena di decadenza dal diritto al rimborso. Con le stesse modalità si procede per il riparto delle altre spese sostenute direttamente dall'amministrazione dello Stato e relative ad adempimenti comuni. In caso di contemporaneo svolgimento dei referendum con le elezioni dei presidenti della provincia e dei sindaci delle regioni a statuto speciale, il riparto di cui al presente comma è effettuato di intesa tra il Ministero dell'interno e l'amministrazione regionale, fermo restando per lo Stato il vincolo di cui al primo periodo».
Dispongo che il parere sia posto in distribuzione.
Passiamo all'esame dell'articolo unico e degli emendamenti ad esso riferiti (vedi allegato).
L'emendamento 1.3, da me presentato, recepisce la condizione posta dalla Commissione bilancio, mentre gli emendamenti 1.1. e 1.2. sono quelli di cui avevo preannunciato la presentazione nel corso della mia relazione. Raccomando quindi l'approvazione dei tre emendamenti.

MICHELINO DAVICO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Esprimo parere favorevole sugli emendamenti presentati.

ORIANO GIOVANELLI. Chiederei un chiarimento sul criterio della compensazione, indicato nella condizione posta dalla Commissione bilancio.

MICHELINO DAVICO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Il parere stabilisce, anche in risposta ad una considerazione che è stata precedentemente svolta, come tutte le spese per l'organizzazione tecnica e l'attuazione dei referendum siano a carico dello Stato e, stabilisce altresì ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 136 del 1976, i meccanismi di rimborso agli enti locali, comuni e province ordinarie e autonome, proprio di queste spese nel dettaglio.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento 1.3 del relatore, sul quale il Governo ha espresso parere favorevole.
(È approvato).

Pongo in votazione l'emendamento 1.1 del relatore, sul quale il Governo ha espresso parere favorevole
(È approvato).

Pongo in votazione l'emendamento 1.2 del relatore, sul quale il Governo ha espresso parere favorevole
(È approvato).

Nessuno chiedendo di intervenire, avverto che consistendo la proposta di legge di un articolo unico, si procederà direttamente alla votazione nominale, ai sensi dell'articolo 87, comma 5, del Regolamento.
Chiedo, in caso di approvazione, di essere autorizzato a procedere al coordinamento formale del testo.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indico la votazione nominale sulla proposta di legge di cui si è testé concluso l'esame.
(Segue la votazione).

Comunico il risultato della votazione.
Proposta di legge Cicchitto ed altri: «Disciplina transitoria per lo svolgimento


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dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno 2009» (2389):
Presenti 37
Votanti 26
Astenuti 11
Maggioranza 14
Hanno votato 23
Hanno votato no 3
(La Commissione approva).

Hanno votato sì: Bernini Bovicelli, Bianconi, Bruno, Calabria, Calderisi, De Girolamo, Di Biagio, Distaso, Dussin Luciano, Fedriga, Fucci, La Loggia, Laffranco, Lorenzin, Orsini, Pastore, Santelli, Sbai, Stasi, Stracquadanio, Vanalli, Volpi e Zeller.

Hanno votato no: Cambursano, Pisicchio e Turco Maurizio.

Si sono astenuti: Bordo, Gatti, Giachetti, Giovanelli, Lo Moro, Nannicini, Samperi, Tassone, Touadi, Vassallo e Zaccaria.

La seduta termina alle 13,30.


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