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Resoconti Stenografici delle sedi Legislativa, Redigente e Referente

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Commissione VII
22.
Martedì 22 maggio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Frassinetti Paola, Presidente ... 3

Proposte di legge (Discussione e rinvio):
Frassinetti e altri: Disposizioni per l'insegnamento dell'inno nazionale nelle scuole del primo ciclo dell'istruzione (C. 4117); Coscia ed altri: Modifica dell'articolo 1 del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, per la promozione dei valori costituzionali nella scuola, e istituzione della Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione e della bandiera (C. 2135)

Frassinetti Paola, Presidente, Relatore ... 3 12
Bachelet Giovanni Battista (PD) ... 10
Barbieri Emerenzio (PdL) ... 10
Cavallotto Davide (LNP) ... 5
Coscia Maria (PD) ... 7
De Pasquale Rosa (PD) ... 12
De Torre Maria Letizia (PD) ... 6
Di Centa Manuela (PdL) ... 8
Gianni Giuseppe (PT) ... 12
Giulietti Giuseppe (Misto) ... 7
Goisis Paola (LNP) ... 12
Levi Ricardo Franco (PD) ... 4
Mazzarella Eugenio (PD) ... 9
Murgia Bruno (PdL) ... 6
Pes Caterina (PD) ... 11
Rivolta Erica (LNP) ... 9
Zeller Karl (Misto-Min.ling.) ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.

COMMISSIONE VII
CULTURA, SCIENZA E ISTRUZIONE

Resoconto stenografico

SEDE LEGISLATIVA


Seduta di martedì 22 maggio 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PAOLA FRASSINETTI

La seduta comincia alle 14,15.

(La Commissione approva il verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, ai sensi dell'articolo 65, comma 2 del Regolamento, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Discussione delle proposte di legge Frassinetti e altri: Disposizioni per l'insegnamento dell'inno nazionale nelle scuole del primo ciclo dell'istruzione (C. 4117); Coscia ed altri: Modifica dell'articolo 1 del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, per la promozione dei valori costituzionali nella scuola, e istituzione della Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione e della bandiera (C. 2135).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle abbinate proposte di legge d'iniziativa dei deputati Frassinetti e altri: «Disposizioni per l'insegnamento dell'inno nazionale nelle scuole del primo ciclo dell'istruzione»; Coscia ed altri: «Modifica dell'articolo 1 del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, per la promozione dei valori costituzionali nella scuola, e istituzione della Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione e della bandiera».
Avverto che l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha definito l'organizzazione della discussione del provvedimento, stabilendo altresì il tempo disponibile, ripartito ai sensi dell'articolo 25, comma 3 del Regolamento.
Ricordo che la Commissione ha già esaminato in sede referente le proposte di legge in titolo, giungendo all'elaborazione di un testo unificato, sul quale le Commissioni competenti hanno espresso i pareri prescritti. È stato, quindi, richiesto il trasferimento in sede legislativa, deliberato dall'Assemblea nella seduta del 17 maggio 2012.
Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Prendo la parola per inquadrare il provvedimento in esame, che consiste in un testo unico; ringrazio l'onorevole Coscia per il suo contributo e per aver ampliato il senso della mia proposta, che riguarda solo l'inno, avendo inserito, altresì, riferimenti alla bandiera ed alla giornata del 17 marzo, ricorrendo quest'anno l'anniversario dei 151 anni dall'Unità d'Italia.
Il cuore del testo unificato mira a far sì che nelle scuole si registri una presa di coscienza dell'epoca risorgimentale, che ha portato all'unità della nostra Nazione. È opinione generalizzata che l'inno di Mameli sia poco conosciuto: tale critica emerge ogni volta che hanno luogo manifestazioni sportive e si ritiene che questa lacuna sia dovuta proprio al fatto che a scuola non sono insegnate le parole dell'inno.
Desidero anche sottolineare come il testo sia ricco di riferimenti storici importanti


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e contenga un elenco di eventi storici risorgimentali: sono citati la battaglia di Legnano, i Vespri siciliani, la battaglia di Ferruccio a Firenze nel 530, la cacciata degli austriaci da Genova da parte del ragazzino Giovanni Battista Perasso.
Nel provvedimento si propone non di insegnare a cantarlo, come purtroppo una deformazione della comunicazione ha diffuso, ma di spiegarlo e di farne conoscere il testo, nel rispetto dell'autonomia scolastica, all'interno di una materia importante come «Cittadinanza e Costituzione», che ha precipuamente l'esigenza di insegnare ai nostri ragazzi gli elementi civici e di memoria storica.
Lo affermo sfrondando le mie considerazioni da tutte le possibili aggiunte retoriche, che qualcuno ha voluto caricare di valenze. Sappiamo che in passato l'inno fu suonato da Giuseppe Verdi alla Scala di Milano e che venne suonato al teatro Carlo Felice, da noi recentemente visitato, prima della spedizione dei Mille. Su di esso ha espresso parole di elogio Riccardo Muti, autorevole personalità che lo ha eseguito nel 2000 alla Scala di Milano, dove per ben due volte l'inno è stato cantato da tutti gli spettatori presenti in teatro. Ricordiamo, inoltre, l'intervento di Benigni a Sanremo sull'inno.
L'inno è stato, inoltre, cantato durante la battaglia delle Cinque giornate di Milano, sulle barricate, come canzone che ha portato all'indipendenza e alla libertà, ancora oggi apprezzato dal Capo dello Stato: si pensi alle parole da lui pronunciate in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia.
Le stesse considerazioni valgono per la bandiera: credo, quindi, che non ci sia alcuna controindicazione - sono contenta che sul punto si sia registrata stata un'ampia convergenza - sul fatto che i nostri bambini imparino a scuola le parole e, soprattutto, il significato dell'inno, in modo che si sappia che l'elmo di Scipio riguarda Scipione l'Africano e che non è l'Italia, ma la vittoria, ad essere schiava di Roma. Abbiamo infatti potuto constatare che, dal momento che non si conosce l'inno, se ne danno molte interpretazioni errate.
Propongo quindi di adottare come testo base per il prosieguo della discussione il testo unificato elaborato nel corso dell'esame in sede referente..

RICARDO FRANCO LEVI. Desidero intervenire a titolo personale, in quanto a nome del nostro gruppo interverrà per dichiarazione di voto l'onorevole Coscia. Qualche giorno fa, in Aula, in occasione dell'approvazione della proposta di trasferimento in sede legislativa, ha avuto luogo un dibattito che non ha mancato di suscitare emozioni e divisioni, in quanto da ambedue le parti sono state pronunciate espressioni di distinguo sul tema.
L'onorevole Goisis ha svolto una riflessione sull'identità regionale, o comunque territoriale, che non si riconosce appieno nell'identità nazionale; l'onorevole Garagnani ha effettuato un richiamo ad un'identità cristiana, che non veniva riconosciuta e resa esplicita nei due riferimenti all'inno e alla bandiera.
Abbiamo ascoltato il dibattito e infine l'Aula si è espressa a larghissima maggioranza a favore dell'approvazione della proposta di trasferimento in sede legislativa. Io stesso mi sono sentito in dovere di intervenire, in quanto ritenevo che le motivazioni recate dall'onorevole Garagnani a supporto della richiesta di trasferimento in sede legislativa avrebbero potuto non determinare una condivisione generale da parte dell'Aula, come poi è avvenuto.
I due riferimenti simbolici sui quali ci siamo intrattenuti, l'inno e la bandiera, fanno riferimento alla stagione del Risorgimento, alla nascita dell'identità italiana come Nazione, all'affermazione dello Stato unitario. Lei, presidente, ha ricordato le tappe che hanno contrassegnato questo percorso e le parole che nell'inno - che, peraltro, si chiama «Canzone degli italiani», nella sua dizione più propria, ancorché sia conosciuto come inno di Mameli - rappresentano riferimenti alla storia risorgimentale della nascita dell'Italia come entità nazionale, che sono chiaramente presenti anche nel riferimento alla nostra bandiera, che, nata più di duecento anni fa a Reggio Emilia, fu assunta come


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simbolo di battaglia politica (a parte la Repubblica Cisalpina di allora) nei moti del '48.
Carlo Alberto di Savoia, con grande lungimiranza e intelligenza, la fece propria come bandiera del Regno di Piemonte e Sardegna, lasciando il proprio stemma di famiglia a favore dell'adozione del tricolore, e mettendo lo stemma della casata dei Savoia all'interno del suo spazio bianco.
C'è quindi un riferimento alla nascita dello Stato risorgimentale, così come è peraltro opportuno ricordare che l'Italia uscita dal fascismo non adottò immediatamente la Canzone degli italiani o inno di Mameli, perché il primo inno nazionale adottato dall'Italia postfascista fu La canzone del Piave, durante il Governo Badoglio.
In seguito, questa scelta venne modificata e con l'inno di Mameli si favorì un ritorno a un legame risorgimentale. Queste sono, quindi, componenti essenziali della nostra identità nazionale: dunque, senza mettere in dubbio o delegittimare la scelta dell'Aula a favore della sede legislativa, devo esprimere - si tratta di una riflessione personale, che però vorrei condividere con voi - un ripensamento ed un rimpianto, perché credo che un tema di questo genere, che tocca così profondamente l'identità nazionale, avrebbe meritato una discussione in Aula, e non una discussione, per quanto condivisa e tale da aver portato all'adozione di un testo condiviso, nel chiuso perimetro delle Commissioni.
Si tratta di una grande discussione nazionale, che avrebbe meritato un più ampio dibattito. Detto questo, sono pienamente in linea con le scelte adottate, sia per quanto riguarda il testo, sia per il fatto che si è deciso si trasferire la discussione in sede legislativa. Volevo comunque farvi partecipi di questa riflessione, perché credo che abbiamo perduto un'occasione.

DAVIDE CAVALLOTTO. Intervengo per aggiungere una perplessità, come è avvenuto la scorsa settimana in Aula, quando il nostro Capogruppo Goisis ha spiegato le opinioni della Lega in riferimento alla proposta di legge in esame.
Ancora adesso, nonostante la storia abbia composto questo Paese con più popoli, dimentichiamo di riconoscere peculiarità e radici importanti di alcuni dei popoli che compongono questa Nazione, ai quali non viene ancora riconosciuto il diritto a una lingua ufficiale: è quanto avviene alla mia lingua, il piemontese, che non è inserita tra le lingue minoritarie dalla legge n. 482 del 1999, nonostante tutti siano d'accordo ad inserirla, in quanto è parlata dal 75 per cento dei piemontesi. Si tratta di una lingua che ha una storia non di 150 o 200 anni, ma millenaria, così come avviene anche per la lingua veneta della Repubblica Serenissima.
Il messaggio che abbiamo ascoltato la scorsa settimana in Aula è che lascia perplessi rilevare come continuiamo a sbagliare, elaborando leggi e leggine. Non credo che un bambino si renda conto di quello che sta imparando per obbligo, senza conoscere le radici della storia più vicina: magari un bambino piemontese conoscerà molto bene l'inno nazionale italiano, che però non sarà condiviso in ogni regione d'Italia, perché non so cosa ne penseranno regioni come il Trentino Alto Adige o la Sicilia.
Qualche mese fa è apparso sul giornale La Stampa di Torino un articolo molto interessante, in cui si rilevava come prima del 17 marzo tante bandiere italiane fossero state collocate sui balconi di Torino, Bologna, Milano, Venezia, mentre a Napoli erano comparsi tantissimi simboli borbonici e in Sicilia addirittura tantissime bandiere della Trinacria.
Quando andremo a costruire (se lo vogliamo fare) un Paese unito nelle differenze, in cui riconoscere le peculiarità di ogni popolo, ci sarà la volontà di tutti di credere veramente nella formazione di un Paese che non svilisca i diritti di ogni comunità locale ed io sarò il primo ad essere d'accordo, senza continuare a calpestare i diritti delle autonomie locali, delle specificità culturali di ogni piccolo paese nel confine dell'impero (la lingua


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piemontese su tutte, perché sto facendo di tutto affinché essa venga inserita tra le lingue minoritarie di cui alla legge n. 482 del 1999, ma evidentemente il resto è molto più importante della storia e della cultura da cui veniamo).
Dal 941 esiste la marca di Torino, che ha dato vita alla storia piemontese; dal 1424 esiste il drappo piemontese, però ce ne dimentichiamo e non lo rispettiamo. Mi chiedo, quindi, come possiamo pensare di costruire gli italiani, se non abbiamo ancora costruito una volontà unitaria, nel rispetto delle varie specificità locali.
È importante ribadirlo, al di là del fatto che in un periodo economico come questo parlare di questo provvedimento è forse fuori dal tempo, ma comunque, come membro della Commissione cultura, lo rispetto. Vorrei però che qualcuno si ricordasse di rispettare anche le specificità culturali, storiche e linguistiche dei popoli molto più antichi di quello italiano, che compongono questo Paese.

KARL ZELLER. Questo provvedimento, in una terra come la nostra, la provincia autonoma di Bolzano, ha una certa delicatezza, perché l'inno contiene riferimenti abbastanza pesanti contro l'Austria. Per centinaia di anni abbiamo fatto parte dell'impero austro-ungarico e dopo l'annessione della nostra provincia all'Italia, in seguito alla prima guerra mondiale, nel periodo fascista l'apprendimento dell'inno fu imposto nelle nostre scuole e si vietò quello delle canzoni in lingua tedesca.
Dopo la seconda guerra mondiale, abbiamo cercato di costruire una convivenza vera, per chiudere con i conflitti che nel passato hanno reso difficile la vita delle varie popolazioni della nostra terra. Chiediamo, quindi, di poter applicare nella nostra provincia le norme contenute nel provvedimento in esame rispettando le prerogative autonomistiche delle nostre istituzioni scolastiche.
A nome del mio partito, quindi, preannunzio che presenterò un emendamento che miri a garantire questo obiettivo; anche il Consiglio provinciale, all'interno del quale se ne è dibattuto, tutte le forze politiche, sia di centrodestra che di centrosinistra, erano concordi nell'applicare questa normativa con buonsenso. Non siamo, infatti, contrari all'insegnamento della storia della bandiera e dell'inno, ma siamo favorevoli al fatto che ciò avvenga nel rispetto delle competenze legislative in materia di programmi scolastici, che, in base allo statuto di autonomia ed alle norme di attuazione, spettano alla Provincia.
Vorremmo approvare una normativa provinciale, essendo il nostro territorio in una situazione diversa dal resto d'Italia, affinché le norme contenute nel provvedimento in esame non confliggano, ma siano conformi allo spirito di tale normativa. Chiedo, pertanto ai colleghi di sostenere l'emendamento che presenterò in tal senso.

BRUNO MURGIA. Quando parecchi anni fa cominciai a svolgere attività politica, vivendo in un'isola, creai un'espressione che faceva parte della nostra generazione, «sardo d'Italia», che significava rispettare la bandiera italiana ma ricordare di vivere in un'isola con una forte cultura autonomista, in cui mi riconosco.
Ovviamente, voterò a favore del provvedimento in esame, che considero giusto. Come sardi, ogni tanto cantiamo l'inno della Brigata Sassari, ricordando il tributo che i sardi diedero nella prima guerra mondiale, riuscendo a conciliare felicemente questi due aspetti. Ricordo anche che un importante professore di filologia romanza, Carlo Tagliavini, dal punto di vista linguistico, definì «lingua», peraltro neolatina, la lingua sarda. Purtroppo tanti anni fa ho sostenuto quest'esame!

MARIA LETIZIA DE TORRE. Intervengo solamente per sostenere le considerazioni dell'onorevole Zeller. Conoscendo e vivendo quelle terre, capisco quanto sia importante che si tratti di una scelta di quel territorio.
Dagli interventi di tutti abbiamo capito quanto sia delicato e complesso costruire l'unità di un Paese nella diversità di tante espressioni storiche e linguistiche, però bisogna anche comprendere che il territorio


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del Trentino-Alto Adige ha una complessità in più: l'autonomia di quella terra, che è una terra legata all'Europa, oltre che alla Nazione italiana, è stata sancita dagli accordi di Parigi.
Ritengo, quindi, che la proposta formulata dall'onorevole Zeller sia assolutamente condivisibile e contribuisca alla convivenza e all'unità di questa terra con la nazione italiana.

GIUSEPPE GIULIETTI. Vorrei brevemente seguire il ragionamento della relatrice. Comprendo perfettamente le indicazioni dei colleghi, perché considero sbagliato liquidare frettolosamente tutte le riflessioni di questi anni e di questi mesi sul tema delle identità locali, delle specificità, però c'è un asse, rappresentato dalla Costituzione, che va seguito qui come altrove.
L'inno non è divisibile, nell'immaginario non può essere oggi concepito come qualcosa di divisivo, perché persino la storia supera ciò, in quanto diventa un elemento unificante a prescindere. Nel Paese si è sviluppato un grande dibattito, anche a sinistra, in quanto si tratta di un problema che riguarda le autonomie, che è stato ben posto dagli onorevoli Cavallotto e Zeller, ma che ha riguardato anche l'atteggiamento verso l'unità nazionale, verso la bandiera nei diversi momenti, in fasi storiche molto diverse.
È cambiata persino la percezione rispetto a una fase della storia di questo Paese, che rappresentava addirittura un elemento distintivo della destra. Il tema è molto più complesso e sull'idea di patria e di inno è stato svolto un ampio dibattito.
Concordo con l'onorevole De Torre sull'esigenza che la questione venga impostata in questo modo, come in parte è previsto nelle proposte di legge in esame: si tratta non dell'introduzione della dottrina e della mistica nazionalista nelle scuole, bensì della conoscenza e della contestualizzazione dell'inno, che non può che legarsi alla Carta costituzionale. Questa prevede l'autonomia e la capacità delle scuole, delle province e delle regioni di dare una propria traduzione, persino in termini locali, del significato, del simbolo, delle parole e della bandiera.
Tutto deve rimanere dentro quell'asse, perché altrimenti, se non ci muoviamo nella linea che l'onorevole Levi ha storicamente ben ricostruito, creiamo dei mostri, che con riferimento a questo tema introducono elementi di natura diversa. Se seguiamo la linea retta di quello che la Costituzione già prevede, ovvero le autonomie, potremo recepire il senso della proposta e delle indicazioni emerse.
Se non ho capito male, saranno presentati alcuni emendamenti: è del tutto evidente che, se gli emendamenti andranno in tale direzione, si muoveranno all'interno di una tradizione storica consolidata.

MARIA COSCIA. Onorevole Frassinetti, già lei, come relatrice del provvedimento, ha rappresentato ai colleghi lo spirito delle due proposte di legge in esame: il testo unificato che è stato elaborato tende a dare indirizzi affinché ai nostri ragazzi e ai nostri bambini sia data l'opportunità di conoscere la storia che ha portato all'Unità d'Italia a partire dal Risorgimento ed anche a conoscere bene i simboli dell'unità nazionale.
La proposta a prima firma dell'onorevole Frassinetti si riferisce all'insegnamento dell'inno, mentre la mia mira a ricordare che, come sottolineato dal Presidente Ciampi e dal Presidente Napolitano, il 17 marzo è la giornata dell'unità nazionale.
Si tratta di un dato fondamentale, affinché i nostri bambini e i nostri ragazzi possano acquisire la piena consapevolezza della storia del nostro Paese, che, come giustamente rilevato dall'onorevole Giulietti, deve essere contestualizzata. Mi rivolgo all'onorevole Zeller: occorre svolgere un excursus storico, inserendo la Costituzione in un contesto europeo. Con il riconoscimento dell'identità nazionale, le comunità locali con le loro identità si riconoscono nella nazione italiana in un contesto europeo: occorre quindi lavorare nella direzione di un'Europa più forte.


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Questa giornata non è solo il momento in cui si svolgono le classiche celebrazioni, ma anche l'obiettivo cui si arriva attraverso percorsi didattici che ciascuna scuola deve contestualizzare in ragione dell'età dei bambini e dei ragazzi, in ragione dei luoghi in cui si trovano, prendendone coscienza e lavorando con progetti educativi e didattici nell'ambito della disciplina «Cittadinanza e Costituzione»: occorre quindi la cittadinanza e la Costituzione italiane, come siamo arrivati lì e come i nostri ragazzi possono viverle.
Come evidenziato dalla presidente, spesso si ricorda l'inno solo perché viene cantato alle manifestazioni sportive. Tra l'altro, sono rimasta negativamente colpita dal fatto che alla finale della Coppa Italia tra Juventus e Napoli siano partiti fischi ancora prima che venisse cantato l'inno. Questo significa che il tema è sentito: certamente non bisogna far vivere l'insegnamento dell'inno come un'imposizione, perché i valori sono tali nella misura in cui ci si identifica in essi, però c'è una forte responsabilità delle istituzioni nel mettere in campo strumenti normativi, ma anche educativi e formativi, capaci di farli sentire propri dalle nuove generazioni.
Non c'è dubbio che le scuole, nella loro autonomia, debbano avere questa mission fondamentale, di educazione e formazione, e dimostrarsi capaci di interpretare le esigenze delle popolazioni: non si auspica, quindi, l'imposizione dell'inno a Bolzano o in altre realtà, ma lo sviluppo della capacità di interpretare le emozioni ed i sentimenti e delle capacità di apprendimento delle giovani generazioni, facendo sì che si acquisiscano e si vivano come propri questi valori.
Questa nostra ambizione sarà forse eccessiva, ma siamo qui anche per questo, come legislatori che devono dare un indirizzo forte ai cittadini italiani, tanto più che dobbiamo riferirci ai nostri ragazzi, alle giovani generazioni.

MANUELA DI CENTA. Desidero ribadire il principio, già affermato da tanti colleghi, della grande autonomia delle scuole e degli istituti e, in particolare, dell'autonomia altrettanto speciale di un territorio appartenente all'Italia.
Tale principio è scritto molto bene nella Costituzione: ritengo che l'insegnamento dell'inno non rappresenti un'imposizione, ma un accrescimento dell'apertura internazionale di questi territori. Occorre, infatti, condividere il significato del testo dell'inno, che rappresenta il nostro Paese, ma anche l'autonomia di regioni e province e l'unità dello Stato: particolarmente in luoghi come l'Alto Adige, dobbiamo avere presente il concetto di cittadinanza europea e italiana.
Faccio riferimento, in particolare, al significato profondo delle parole contenute nell'inno, non solo alla musica. Una collega ha accennato a quanto avviene nello sport: sappiamo quanto siano bravi gli sportivi della provincia di Bolzano, in particolare negli sport invernali e nei tuffi, ma a volte tali sportivi sono stati ripresi dalla stampa, avendo dimostrato di non conoscere le parole del nostro inno.
Credo che questo fenomeno non sia espressione di un'Italia unita: nel rispetto delle autonomie, questa è un'opportunità soprattutto per le zone in cui viene insegnata una lingua doppia (non diversa) ed un collante importante, che si manifesta in particolare con lo sport, che, a livello mondiale, è un'espressione che rappresenta tutti, come una pietra miliare.
In Alto Adige, come in Friuli Venezia Giulia, vi sono espressioni di autonomia di grado diverso, ma a capo di tutto occorre l'espressione di unità del Paese. Con questa nostra iniziativa, presumendo che l'impostazione dell'emendamento che l'onorevole Zeller ha preannunciato che presenterà andrà nella direzione giusta, intendo ribadire la forza che, per tutte le persone che vivono nel nostro Paese, è insita nel testo dell'inno, con riferimento sia alle parole sia alla musica.
Credo che si possa lavorare in questa direzione, tenendo presente l'importanza delle parole contenute nell'inno ed il loro significato culturale, in quanto esso rappresenta una pietra miliare per l'unione del nostro Paese.


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EUGENIO MAZZARELLA. Ritengo che le proposta di legge in esame costituiscano l'esito di una diseducazione ai valori dell'unità e della coesione nazionale, che dura da più di venti anni. Ritengo, inoltre, che rappresentino l'adeguato complemento di una grande opportunità che questi valori hanno avuto con le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia, che hanno fortunatamente dimostrato come il Paese sia unito attorno ai valori della sua unità molto più - permettetemi, colleghi - di quanto questo discorso faccia emergere, come se, per timidezza, avessimo paura della nostra unità e dei nostri simboli.
Come l'onorevole Levi, ritengo che il tema avrebbe meritato maggiore risalto, però, trovandoci in un ambito ristretto, possiamo anche consentirci non di tirare in ballo concetti di popoli tutti da definirsi: ad esempio, come napoletano, probabilmente dal IX secolo a.C. sono erede di una cultura proveniente dalla Grecia, mentre un collega beneventano potrebbe ricollegarsi ai Sanniti ancora precedenti, ma non funziona così.
La consapevolezza storica impone, infatti, che Nazioni e Stati si costruiscano anche sui campi di battaglia, non sulle ragioni pacifiche del cuore. Quando, però, è stato raggiunto un obiettivo storico, di cui tutti gli attuali italiani di qualunque cultura hanno abbondantemente fruito e che costituisce un bene comune irrinunciabile, sarebbe opportuno proporlo con serenità nella scuola.
Questo Paese aveva due strutture unificanti, il servizio nazionale di leva e la scuola. Il servizio di leva non c'è più: lasciamo almeno alla scuola, quindi, il suo lavoro istituzionale di coltivare il senso di unità nazionale, che non è certamente umiliazione di alcuna specificità o autonomia.
Vorrei chiedere, infine, se nel quadro europeo, nel quadro della globalizzazione, con tutte le difficoltà, si possa ritenere che le autonomie pur rispettabili e le specificità presenti in questo Paese avrebbero maggiore rilevanza nei loro stessi interessi fuori dalla cornice di una forte e coesa unità e solidarietà nazionale, e che ognuno di noi conterebbe nel suo paesello e nella sua regione, sugli scenari europei e globali, più di quanto (non molto, a dir la verità) conta in una struttura statale di tipo nazionale.
Se rispondiamo con sincerità a questa domanda - a mio avviso, la risposta non può che essere di un certo segno -, valorizziamo il dato simbolico sotteso a tutto ciò, cercando di recuperarlo e metterlo a frutto per i nostri figli, visto che la nostra generazione ha perso colpi su questo argomento.

ERICA RIVOLTA. Presidente, non me ne voglia per il mio intervento, però desidero tornare su quanto ho già dichiarato durante una precedente discussione. Ritengo che in questo momento l'approvazione del provvedimento in esame non rappresenti una priorità per il nostro Paese.
La proposta di legge a prima firma dell'onorevole Frassinetti è nata nell'emotività delle celebrazioni dei centocinquanta anni dell'unità d'Italia, in quanto era stata depositata in quel periodo; tuttavia, a distanza di un anno, in un momento in cui l'inno è stato insegnato a tutti i bambini, che lo hanno cantato per le celebrazioni dei centocinquanta anni, mi chiedo e vi chiedo se sia davvero necessaria una legge perché nelle nostre scuole si insegni l'inno d'Italia.
Ritengo che sarebbe bastata una circolare del Ministro, perché adesso tutti i bambini in qualunque occasione cantano con i petti gonfi l'inno d'Italia. Non entro nel merito delle considerazioni dell'onorevole Cavallotto, però non condivido che il Parlamento, in questo momento di urgenza, debba essere impegnato nell'approvazione di questa legge, che considero una forzatura. Ascoltando invece i vostri interventi, sembra quasi che la scuola, in questi anni, non abbia pensato minimamente a trasmettere la storia di quel periodo e la conoscenza dell'inno, anche se forse qualche docente l'ha insegnato con più fervore di altri. Alcune considerazioni dei colleghi sono comunque molto interessanti ed è molto piacevole ascoltare le diverse posizioni, però vi chiedo se siate davvero convinti che la cosa migliore sia approvare una legge per l'insegnamento dell'inno d'Italia. Io credo veramente che non lo sia.


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GIOVANNI BATTISTA BACHELET. Se dovessi svolgere un discorso retorico, sarei portato a pensare alla bara di mio padre, ucciso delle Brigate Rosse nel 1980, coperta dalla bandiera italiana. Ascolto con molta commozione, invece, il discorso dell'onorevole Zeller: penso alle bandiere che hanno segnato quella che il Papa Benedetto XV aveva chiamato «l'inutile strage», la prima guerra mondiale, e comprendo quanto molti anni fa ha dichiarato Silvius Magnago: «L'Italia è il nostro Stato, ma l'Austria è la nostra Nazione».
Alcide De Gasperi, che cominciò la sua vita politica nel Parlamento di Vienna, aveva la stessa idea: tanti popoli, in uno Stato che non si esaurisce in un'unica tradizione linguistica e nazionale. Il Pacchetto sottoscritto da De Gasperi e Gruber fu chiuso da Magnago e Moro tanti anni fa, come è ricordato anche in un bellissimo romanzo, Eva dorme, pubblicato qualche anno fa da Francesca Melandri, che peraltro è sorella dell'onorevole Giovanna Melandri, qui presente.
Da romanzi come quello, noi, che alla scuola elementare abbiamo studiato la storia in modo retorico, abbiamo imparato tante cose che non sapevamo sulla guerra mondiale del 1915-1918 e sulla storia del Sud Tirolo. Tutti aspettiamo che l'Europa dei Governi e degli Stati si trasformi in un'Europa delle Nazioni e delle autonomie, dei comuni e delle regioni. Ho vissuto per molti anni in Trentino, dove è normale che prima dell'inno di Mameli si suoni l'inno trentino: credo, infatti, che le diverse appartenenze non si neghino fra loro.
Agli amici della Lega vorrei dire che per alcuni di noi questa bandiera è il simbolo della convivenza in Sud Tirolo, ma anche della chiusura di un altro «pacchetto» difficile, quello di Osimo, che l'onorevole Moro sottoscrisse, creando gravi danni elettorali per il suo partito. Anche quello fu un doloroso sacrificio, sempre in nome della pace e della convivenza; tali questioni verranno stemperate quando avremo l'Europa che alcuni di noi sognano, però qui, adesso, la bandiera italiana è il simbolo della convivenza, della fedeltà alla Costituzione anche negli anni del terrorismo, della resistenza rispetto alla malavita organizzata e anche della speranza in un'Europa che un domani trasformerà queste bandiere e questi inni soltanto in simboli regionali.
In questo tempo intermedio, credo che coltivare la storia e l'identità non sia necessariamente un'offesa per le comunità locali, perché, se vissuta in modo appropriato, può essere un aiuto per comprendersi e per creare una più stabile pace e una più larga idea di comunità internazionale.

EMERENZIO BARBIERI. Ho ascoltato con grande attenzione gli interventi dei colleghi e, dando un giudizio di merito su di essi, ho colto spunti interessanti nelle considerazioni degli onorevoli Levi, Giulietti, ma in genere negli interventi di tutti i colleghi.
Vorrei fare una polemica molto garbata con il collega Zeller: sono d'accordo su tutto - l'onorevole Bachelet ha ricordato un po' di storia del nostro Paese -, ma Bolzano e Trento sono in Italia e questo mi pare un fatto assolutamente incontestabile.
Se vuole conoscere la mia opinione, onorevole Zeller, Bolzano e Trento sono in Italia con molti più vantaggi che svantaggi, perché, se Bolzano fosse in Austria, non avrebbe i vantaggi di cui gode essendo in Italia, e lei più di me lo sa molto bene. Il giorno in cui la nazionale italiana di calcio o di rugby gioca a Bolzano, si canta la canzone degli italiani, non si possono cantare altri inni: da questo punto di vista, quindi, è necessario avere quel minimo di rigore che la serietà dell'argomento comporta.
Non condivido assolutamente, pur comprendendole, le obiezioni dei colleghi leghisti, perché esse hanno una propria logica: a loro avviso, il popolo italiano è la somma di popoli diversi, ma il suo intervento, onorevole Zeller, non va esattamente in questa direzione. Dobbiamo quindi essere chiari su tale aspetto: ha ragione l'onorevole Levi nel ritenere che con il dibattito che si è sviluppato in Aula o facciamo chiarezza in sede legislativa oppure non so che idea possano farsi di una vicenda così delicata gli italiani che ci ascoltano, quale che sia il loro numero.


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L'onorevole Coscia ha ricordato i fischi di domenica sera allo stadio, ma l'onorevole Carlucci, che era presente, sostiene che essi fossero limitati solo ad uno dei quattro settori dello stadio. Tuttavia, ritengo, come il sindaco Alemanno, che non sia stata opportuna la scelta di far cantare l'inno d'Italia ad Arisa, che mi pare abbia alternato alcune note che tutti usiamo nel cantare l'inno di Mameli con alcune digressioni che immagino siano poetiche.
L'onorevole Giulietti ha affermato una cosa vera, soprattutto per chi appartiene alla mia generazione: per anni in questo Paese - lei, onorevole Coscia, lo sa quanto e forse più di me - i concetti di patria e la bandiera appartenevano alla destra e, quindi, visto che io sono democristiano dalla nascita, neanche a noi.
Ricordo l'esperienza traumatizzante nel corso degli studi liceali a Reggio Emilia: il liceo era l'unica scuola in cui comandava la destra, non i giovani cattolici. Alla prima assemblea si alzò il leader della destra, invitando ad andarsene chi fosse comunista e quindi non sentisse il problema dell'Alto Adige. Rimasi traumatizzato perché non riuscivo a capire per quale motivo i comunisti non dovessero sentire il problema dell'Alto Adige.
Si tratta di questioni sulle quali, alla luce degli interventi che si sono svolti, non vale la pena di scherzare, perché questo è un problema delicato, che tocca la formazione culturale e politica di ciascuno di noi. C'è chi è disponibile a prendere la sua storia e buttarla in un cestino, e c'è chi invece la difende: io difendo la storia della mia militanza politica dal primo all'ultimo momento.
Nutro qualche perplessità sulla frase citata dall'onorevole Bachelet, «l'Italia è il nostro Stato, ma l'Austria è la nostra Nazione». Se, infatti, questo schema venisse applicato ai serbi del Kosovo, che abbiamo riconosciuto come Stato indipendente, mi chiedo cosa accadrebbe, visto che - consiglio a chi non ha visto il Kosovo di visitarlo - i serbi vivono esattamente come vivevano gli ebrei nei ghetti, con le truppe della KFOR che devono proteggerli anche quando vanno a fare la spesa.
Mi chiedo anche cosa ciò significherebbe nel Nagorno Karabakh per gli azeri: dobbiamo quindi stare attenti quando affrontiamo questi problemi, perché sono molto delicati. Nel momento in cui apriamo un varco dicendo che è possibile che il canto degli italiani abbia eccezioni in qualche zona d'Italia, si sa da dove partiamo ma non dove riusciremo ad arrivare.
Ringrazio l'onorevole Frassinetti e l'onorevole Coscia, prime firmatarie delle proposte di legge in esame, in quanto considero molto saggio quanto ci accingiamo a fare. Sono legittimi i dissensi, ma non quelli di carattere geografico: sono disponibile a riconoscere dissensi di carattere politico, perché non condivido, ma capisco che si possa sostenere che il popolo italiano è la somma del popolo veneto, del popolo siculo e del popolo sardo. Non si tratta certo di una novità che i colleghi della Lega tirano fuori oggi: non ho bisogno di ricordare a chi proviene dalla tradizione culturale comunista che temi di questo genere erano affrontati anche nei quaderni dal carcere di Antonio Gramsci.
Tutto è possibile, però non mettiamo in discussione i confini di questo Paese. Per concludere, il giorno in cui la nazionale italiana di calcio gioca a Bolzano, chi assiste deve alzarsi in piedi e cantare l'inno d'Italia, senza «se» e senza «ma» (uso la frase utilizzata ieri dall'onorevole Bersani, che ha affermato di aver vinto queste elezioni «senza se e senza ma»), perché nell'approvazione di questa legge questa è una riserva pericolosa.

CATERINA PES. Intervengo volentieri per svolgere qualche riflessione, anche prendendo spunto dall'esperienza della «terra di Gramsci», come l'ha definita l'onorevole Barbieri.
Credo che, come tutti sappiamo, l'Italia sia frutto di un'unificazione politica, e quando venne «fatta l'Italia», D'Azeglio dichiarò che si sarebbero dovuti «fare gli


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italiani», perché questi non esistevano: credo di poterlo testimoniare, proprio perché provengo da una terra in cui essere diventati italiani è stata più una casualità della storia che un fatto di appartenenza. Potevamo essere francesi nel 1700, potevamo essere spagnoli, ma siamo stati italiani per una serie di eventi storici.
Ciò non toglie che l'appartenenza all'Italia, negli ultimi anni, abbia profondamente segnato la nostra storia e la nostra cultura: lo affermo perché condivido il ragionamento dell'onorevole Bachelet e capisco anche alcune riflessioni svolte dall'onorevole Rivolta.
Dobbiamo considerare che, oggi, la scelta di lavorare su un provvedimento come questo ha un significato prima di tutto profondamente politico, ed è sul significato politico di questa legge che dobbiamo trovare un senso di comune appartenenza: non c'è dubbio, infatti, che, a differenza dei colleghi della Lega, se dovessi dichiarare se mi senta appartenente alla Sardegna o all'Italia, direi che prima di tutto mi sento sarda, perché nella cultura di noi sardi esiste una forte formazione che riguarda la dimensione culturale e identitaria, ma non riesco contemporaneamente a dimenticare quanto la Sardegna abbia portato alla Costituzione e alla difesa dell'Italia.
Penso semplicemente al ruolo svolto dalla Brigata Sassari nella prima guerra mondiale, al ruolo che ha avuto Sardegna con il contributo agli alpini, e penso a come molti di noi, in Sardegna, preferiscano trasformare la stessa riflessione sul concetto di indipendenza in concetto di sovranità, cosa ben differente, che riconosce la nazione unita, la realtà dello Stato italiano di cui si riconosce parte, però rivendica rispetto a ciò la sovranità e l'autogoverno.
Questo è il motivo per cui ritengo che la scelta politica di votare una legge come questa, che riconosce la comune appartenenza a un popolo, non impedisca - mi rivolgo all'onorevole Rivolta - di sentirsi necessariamente, inesorabilmente e anche fatalmente legati alle proprie radici, che possono essere anche diverse nell'unità.

ROSA DE PASQUALE. Dal momento che sicuramente i provvedimenti in esame diventeranno legge dello Stato, mi auguro che quanto prima si stabilisca con legge dello Stato anche che l'inno di Mameli è effettivamente l'inno nazionale italiano: non esiste ancora, infatti, una norma che lo stabilisca.
Numerose proposte di legge depositate presso la I Commissione Affari costituzionali, tra cui una a prima firma mia, prevedono che l'inno di Mameli sia l'inno nazionale italiano. Poiché lo si fa studiare nelle scuole, mi auguro che quanto prima una legge stabilisca che è l'inno nazionale dell'Italia.

GIUSEPPE GIANNI. Io non volevo essere italiano, ma centocinquanta anni fa mi hanno costretto quando sono venuti giù a falcidiare tutto e tutti. Oggi mi pare opportuno che questa legge, ancorché il momento non sia il migliore, venga votata, quindi la voto.

PAOLA GOISIS. Essendo imminenti votazioni in Assemblea, chiedo di rinviare il seguito della discussione ad altra seduta, perché terrei a svolgere l'intervento.

PRESIDENTE. Rinvio quindi il seguito della discussione ad altra seduta.

La seduta termina alle 15,10.

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