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dal 29/04/2008 - al 14/03/2013

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Temi dell'attività Parlamentare

Tutela della proprietà industriale

La legge 99/2009 (c.d. collegato energia) mira, tra l'altro, a rafforzare la tutela penalistica della proprietà industriale e a contrastare più efficacemente la contraffazione; misure anche di natura penale di tutela del made in Italy sono contenute nel decreto-legge 135/2009, di attuazione di obblighi comunitari; ad inizio legislatura, nell'ambito di un decreto-legge di più ampio contenuto in materia di sicurezza (D.L. 92/2008), è stata apportata una modifica al codice di procedura penale volta a prevedere la distruzione delle merci contraffatte sequestrate. Il D.Lgs 231/2010 ha dettato una specifica disciplina transitoria volta alla tutela dei diritti di proprietà industriale su opere "di pubblico dominio" non registrate ai sensi della legge 633/1942 sul diritto d'autore.

Tutela penale

La legge 99/2009 (c.d. collegato in materia di energia) mira, tra l’altro, a rafforzare la tutela penale della proprietà industriale riformulando alcuni articoli del codice penale, inserendovi nuove fattispecie di reato e apportando modifiche alla disciplina della confisca.

In particolare, il provvedimento (art. 15):

  • riformula l’art. 473 c.p. (Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni) e l’art. 474 c.p. (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi), inasprendo le sanzioni penali e prevedendo la confisca obbligatoria dei beni inerenti alla commissione di questi delitti;
  • introduce nuove circostanze aggravanti (es. per la commissione dei delitti in modo sistematico o con l’allestimento di mezzi e attività organizzate) e attenuanti (per colui che collabora con le autorità) dei delitti di contraffazione.
  • raddoppia la pena detentiva prevista per il delitto di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517 c.p.);
  • interviene sul codice penale per inserire nel capo relativo ai delitti contro l’industria e il commercio due ulteriori reati, volte a sanzionare: la fabbricazione ed il commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale (art. 517-ter c.p.); - la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari (art. 517-quater c.p.).
  • attribuisce la competenza a svolgere le indagini per i citati reati previsti dagli articoli 473 e 474 c.p., quando tali delitti rappresentino lo scopo di un’associazione a delinquere, al pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello;
  • estende alle indagini per i delitti di contraffazione la disciplina delle “operazioni sotto copertura”, ovvero delle attività di tipo investigativo poste in essere da ufficiali di polizia giudiziaria, infiltrati sotto falsa identità negli ambienti malavitosi al fine di reperire prove e accertare responsabilità;
  • stabilisce che i beni mobili registrati sequestrati (automobili, navi, imbarcazioni, natanti e aeromobili) nel corso dei procedimenti per la repressione dei reati contro la proprietà industriale siano affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi di polizia ovvero ad altri organi dello Stato o enti pubblici non economici per finalità di giustizia, protezione civile o tutela ambientale;
  • limita l’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per delitto di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di contraffazione (artt. 473 e 474 c.p.);
  • interviene infine sulla disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per introdurre specifiche sanzioni pecuniarie a carico dell’ente che si avvantaggia della commissione di delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio.

Con il decreto-legge 135/2009 si è intervenuti sulla disciplina del Made in Italy:

  • chiarendo cosa deve intendersi per prodotto o merce realizzato interamente in Italia (il prodotto per il quale "il disegno, la progettazione, la lavorazione e il confezionamento sono compiuti esclusicvamente sul territorio italiano")
  • richiamando le sanzioni previste dall’art. 517 c.p. – aumentate di un terzo – per chiunque fraudolentemente presenti un prodotto come interamente realizzato in Italia (es. «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano»);
  • sanzionando in via amministrativa (pena pecuniaria da 10.000 a 250.000 euro e confisca del prodotto) la condotta del produttore e del licenziatario che maliziosamente omettano di indicare l’origine estera dei prodotti pur utilizzando marchi naturalmente riconducibili a prodotti italiani.
La distruzione delle merci contraffatte

Ad inizio legislatura, il Parlamento ha convertito il decreto-legge 92/2008 in tema di sicurezza pubblica. Il provvedimento è, tra l’altro, intervenuto sul codice di procedura penale prevedendo la distruzione delle merci prodotte in violazione delle norme a tutela della proprietà industriale e sequestrate dall’autorità giudiziaria, anche al fine di risolvere le difficoltà di carattere economico e pratico che la custodia e la conservazione di ingenti quantitativi di merce può porre.

Attraverso la modifica dell’art. 260 c.p.p. si è in particolare stabilito che l'autorità giudiziaria deve procedere alla distruzione delle cose di cui sono vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione, in presenza delle seguenti condizioni:

  • le cose sono di difficile custodia (ad es. per l’ingente quantità) ovvero
  • la loro custodia risulta particolarmente onerosa o pericolosa per la sicurezza, la salute o l'igiene pubblica.

L'autorità giudiziaria dispone il prelievo di uno o più campioni e ordina la distruzione della merce residua. Nei casi di sequestro nei procedimenti a carico di ignoti, la polizia giudiziaria, a tre mesi dal sequestro ( fatta salva la facoltà di conservazione di campioni da utilizzare a fini giudiziari), può procedere alla distruzione delle merci contraffatte sequestrate, previa comunicazione all'autorità giudiziaria.

    Disegni e modelli industriali

    Appare opportuno segnalare, in quanto occasione di un intervento del Legislatore, la complessa questione inerente la disciplina transitoria della tutela del diritto d’autore nel campo del design industriale.

    Sulla materia in questione, si è infatti pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza 27 gennaio 2011 (nella nota causa "Flos") in risposta al rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale di Milano concernente la compatibilità dell’art. 239 Codice della proprietà industriale (D.Lgs 30/2005) con la direttiva 98/71 e, dunque la compatibilità della normativa italiana sulla protezione del design industriale ai sensi della legge sul diritto d’autore (in attuazione della citata direttiva) con il diritto europeo. 

    Si tratta del caso sollevato da Flos – nota multinazionale dell’illuminazione - contro la ditta Semeraro che aveva importato dalla Cina un modello di lampade (chiamate “Fluida”) che Flos ha definito imitazioni delle proprie lampade “Arco”. La Flos non aveva, a suo tempo, fatto registrare lampada di propria produzione. Secondo la legge vigente in Italia all’epoca dei fatti, dato che la lampada in questione era ormai caduta in pubblico dominio, non poteva più essere tutelata, e di conseguenza la ditta Semeraro era praticamente legittimata a copiare liberamente il modello Flos senza incorrere nella violazione di alcun diritto. Il Tribunale di Milano, investito originariamente della causa, sospese il giudizio per porre all’attenzione della Corte di Giustizia UE alcune questioni relative alla compatibilità della normativa italiana con quella comunitaria. Venivano così in rilievo principalmente due ipotesi: da un lato quella dei disegni e modelli che prima della data di entrata in vigore della normativa nazionale di trasposizione della direttiva (19 aprile 2001) erano già di pubblico dominio in mancanza di una registrazione come disegni e modelli e, dall’altro, quella in cui, prima di tale data, essi siano divenuti di pubblico dominio in quanto la protezione derivante da una registrazione ha cessato di produrre i suoi effetti. Nella sentenza della Corte di giustizia UE, la prima questione viene risolta nel senso che la normativa comunitaria non consente agli Stati membri di escludere dall’ambito di applicazione della tutela del diritto d’autore quelle opere di design che, in possesso dei requisiti previsti e registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro, siano divenute di pubblico dominio anteriormente alla data di entrata in vigore della normativa di recepimento della direttiva. Sulla seconda questione, invece, si è stabilito che per venire incontro anche agli interessi di quei terzi che in buona fede avevano fabbricato e commercializzato prodotti realizzati ispirandosi alle opere di design di pubblico dominio, la protezione per questi dovesse essere concessa per un periodo transitorio ispirato ai principi di proporzionalità e ragionevolezza. La Corte di Giustizia ha stabilito che è contrario alla normativa comunitaria un regime transitorio che di fatto escluda la protezione di diritto d’autore per opere che abbiano i requisiti per godere di tale tutela.


    Tale decisione, tuttavia, ha perso in parte la sua attualità poiché in pendenza del procedimento la legge italiana è stata nuovamente modificata con una novella dell’art. 239 del D.Lgs 30/2005 (Codice della proprietà industriale) in linea con il contenuto della sentenza comunitaria. Il D.Lgs 131/2010 ha riformulato l'art. 239 del suddetto Codice stabilendo che la tutela ai sensi della legge sul diritto d'autore comprende anche le opere del disegno industriale che, anteriormente alla data del 19 aprile 2001, erano, oppure erano divenute, di pubblico dominio. Tuttavia i terzi che avevano fabbricato o commercializzato, nei dodici mesi anteriori al 19 aprile 2001, prodotti realizzati in conformità con le opere del disegno industriale allora in pubblico dominio non rispondono della violazione del diritto d'autore compiuta proseguendo questa attività anche dopo tale data, limitatamente ai prodotti da essi fabbricati o acquistati prima del 19 aprile 2001 e a quelli da essi fabbricati nei 5 anni successivi a tale data (il DL 216/2011 ha esteso tale periodo a 13 anni) e purché detta attività si sia mantenuta nei limiti anche quantitativi del preuso.