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Disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali per l'anno 2013

La disciplina del patto di stabilità interno per le province e i comuni per il triennio 2013-2015, funzionale al conseguimento degli obiettivi finanziari assegnati al comparto degli enti locali, è recata dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), che conferma, con alcune modifiche, la normativa prevista dagli articoli 30, 31 e 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183.

La disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali per gli anni 2013-2015, è illustrata dalla Circolare del Ministero dell’economia e finanze n. 5 del 7 febbraio 2013 .

1. Gli obiettivi finanziari del patto di stabilità per gli enti locali

Per gli anni 2013 e successivi, gli obiettivi finanziari assegnati al comparto locale sono stati fissati originariamente dall’articolo 14, comma 1, del D.L. n. 78/2010 e poi successivamente integrati dai decreti-legge approvati nell’estate 2011 (D.L. n. 98/2011 e D.L. n. 138/2011) – con i quali è stata operata la manovra di stabilizzazione dei conti pubblici 2012-2014 – che hanno imposto alle autonomie territoriali, a partire dal 2012, un ulteriore concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. Ulteriori misure finanziarie sono state adottate nei confronti degli enti locali con il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, e poi, nel corso dell’anno 2012, con il D.L. 6 luglio 2012, n. 95, nell’ambito delle disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica (c.d. spending review 2) e con la legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228).

Va rilevato che il concorso alla manovra di finanza pubblica delle amministrazioni locali è stato per la gran parte perseguito mediante una riduzione delle risorse attribuite agli enti locali, a a valere sui fondi sperimentali di riequilibrio, senza apportare modifiche sostanziali alla disciplina vincolistica sui bilanci prevista dal patto di stabilità interno.

Nel complesso, il concorso alla manovra per gli anni 2013-2016 risulta pari:

  • per i comuni, a 8.200 milioni per il 2013, 8.450 milioni per il 2014 e 8.550 milioni a decorrere dal 2015;
  • per le province, a 1.945 milioni di euro per il 2012, 2.915 milioni per gli anni 2013 e 2014 e 2.965 milioni per il 2015 e 2016.

In relazione agli obiettivi di risparmio disposti dal D.L. n. 78/2010, si ricorda che con il D.L. n. 98/2011 (articolo 20, comma 4), gli obiettivi già previsti per l’anno 2013 sono stati estesi anche agli anni 2014 e successivi. Sul punto è recentemente intervenuta la Corte Costituzione, che con la sentenza n. 193/2012 ha dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme recate dal decreto legge n. 98/2011 con le quali gli obiettivi di risparmio determinati fino al 2013 per regioni, province e comuni sono stati estesi anche al 2014 e agli anni successivi. Motivazione principale della Corte è che l’estensione a tempo indeterminato delle misure restrittive già previste nella precedente normativa, farebbe venir meno una delle due condizioni, quella della temporaneità delle restrizioni, necessarie al fine di poter considerare una norma quale principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica

Da ultimo, l’articolo 1, comma 432, della legge n. 228/2012 ha novellato la disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali, di cui all’articolo 31 della legge n. 183/2011, limitando all’anno 2016 l’efficacia del vincolo finanziario imposto agli enti locali, prima fissato a regime.

Si ricorda, infine, che le regole del patto vengono poste in relazione all’esigenza di assicurare il concorso degli enti territoriali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, in considerazione del fatto che i vincoli sul disavanzo e sul debito, previsti dal Patto di stabilita' e crescita (Regolamento UE n. 1466/1997), si riferiscono al complesso delle amministrazioni pubbliche.

Al tempo stesso, la disciplina del patto di stabilità interno è inquadrata nell’ambito del titolo V della Costituzione, nel senso che essa reca i princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, e 119, comma secondo, della Costituzione. Il riferimento alla funzione di coordinamento della finanza pubblica vale non solo a indicare la funzione del patto di stabilità interno, ma anche a individuare il fondamento della competenza dello Stato nel dettarne la disciplina con propria legge. In relazione al Titolo V, il rispetto delle regole del patto di stabilità interno viene altresì posto in relazione all’esigenza di garantire la “tutela dell’unità economica della Repubblica”, che, ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione, può giustificare l’intervento sostitutivo dello Stato nei confronti delle regioni e degli enti locali.

2. L'ambito soggettivo di applicazione del patto di stabilità interno

Per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione del patto di stabilità interno, negli anni della legislatura (2009-2012) sono stati assoggettati alle regole del patto tutte le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.

Dal 2013, inoltre, saranno assoggettati alle regole del patto di stabilità:

  • i comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti (ai sensi dell'articolo 31, comma 1, della legge n. 183/2011, che ha ribadito quanto già previsto in merito dall’articolo 26, comma 31, del D.L. n. 138/2011);
  • le aziende speciali e le istituzioni, ad eccezione di quelle che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, culturali e delle farmacie, non appena ne saranno definite le modalità con apposito decreto interministeriale (ai sensi dell’articolo 25, comma 2, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1);
  • gli enti locali commissariati per fenomeni di infiltrazione di tipo mafioso, ai sensi dell’articolo 1, comma 436, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, finora sostanzialmente esclusi dalla disciplina, in quanto per essi l’applicazione del patto era rinviata a partire dall’anno successivo a quello della rielezione degli organi istituzionali. Ai fini della determinazione dell’obiettivo programmatico è assunta quale base di riferimento la spesa corrente media sostenuta nel periodo 2007-2009.

Inoltre, dal 2014, saranno assoggettate alle regole del patto le unioni di comuni formate dagli enti con popolazione inferiore a 1.000 abitanti (in applicazione dell’articolo 16, comma 1, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138).

Si segnala, infine, che devono considerarsi assoggettate al patto anche le società cosiddette «in house» affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali, a partecipazione pubblica locale totale o di controllo, ai sensi dell’articolo 18, comma 2-bis, del D.L. n. 112 del 2008. Tuttavia, le regole di assoggettamento di tali enti al patto devono ancora essere individuate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, al momento non ancora adottato.

In merito, si ricorda che il medesimo decreto legge (articolo 23-bis, comma 10, lettera a) delegava inoltre il Governo all’adozione di uno o più regolamenti al fine di prevedere l’assoggettamento dei soggetti affidatari cosiddetti in house di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno. Tale norma è stata, tuttavia, dichiarata incostituzionale dalla Corte con sentenza 3-17 novembre 2010, n. 325, in quanto l'ambito di applicazione del patto di stabilità interno attiene alla materia del coordinamento della finanza pubblica di competenza legislativa concorrente, e non a materie di competenza legislativa esclusiva statale, per le quali soltanto l'art. 117, sesto comma, Cost. attribuisce allo Stato la potestà regolamentare.

Successivamente, l’articolo 4, comma 14, del D.L. n. 138/2011 ha ribadito la necessità dell’assoggettamento al patto di stabilità delle società cosiddette «in house» affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali, ampliandone l'ambito di applicazione, e rinviando a tal fine alle modalità definite, con il concerto del Ministro per gli Affari Regionali, in sede di attuazione dell'articolo 18, comma 2-bis del D.L. n. 112/2008. Anche di tale norma, tuttavia, la Corte Costituzionale ne ha dichiarato la illegittimità con Sentenza 17-20 luglio 2012, n. 199.

Per quanto concerne, infine, gli enti locali di nuova istituzione, l’articolo 31, comma 23, della legge n. 183/2011 ha disposto, per quelli istituiti a decorrere dall'anno 2009, l’applicazione delle regole del patto di stabilità interno dal terzo anno successivo a quello della loro istituzione. Pertanto, gli enti locali istituiti nel 2009 sono stati assoggettati alle regole del patto di stabilità interno già a partire dall’anno 2012, quelli istituiti a decorrere nell'anno 2010 saranno assoggettati al patto a partire dal 2013 e così via. Ai fini della determinazione degli obiettivi programmatici, tali enti assumono, come base di riferimento, le risultanze dell’anno successivo alla istituzione medesima.

3. I sadi obiettivo e i criteri di virtuosità

L’articolo 31 della legge di stabilità 2012, come modificato dall’articolo 1, commi 430-432, 436, 439, 445-446, della legge n. 228/2012, conferma una disciplina del patto di stabilità per gli enti locali finalizzata all’obiettivo del miglioramento del saldo finanziario, inteso quale differenza tra entrate finali e spese finali (comprese dunque le spese in conto capitale).

Nel corso della legislatura, i meccanismi di calcolo degli obiettivi di saldo sono stati rivisti più volte: mentre nella prima parte della legislatura il saldo obiettivo di ciascun ente è stato rapportato al saldo finanziario raggiunto dall’ente medesimo in un esercizio precedente, a partire dal 2011 gli obiettivi del patto sono stati ancorati alla capacità di spesa di ciascun ente locale, corrispondente al livello di spesa corrente mediamente sostenuto in un triennio.

In particolare, nella disciplina recata dall’articolo 77-bis del D.L. n. 112/2008 per gli anni 2009-2011, la misura del concorso di ciascun ente locale alla manovra di finanza pubblica era calcolata applicando all’entità del saldo 2007, misurato in termini di competenza mista, determinati coefficienti differenziati, per comuni e province, a seconda che l’ente avesse o meno rispettato il patto di stabilità per l’anno 2007 e presentasse un saldo positivo o negativo nel 2007, in termini di competenza mista. Gli obiettivi programmatici imposti dal patto di stabilità consistevano, in sostanza, nel raggiungimento, per ciascun ente, negli anni 2009, 2010 e 2011, di un saldo finanziario, in termini di competenza mista, almeno pari a quello del 2007, migliorato per gli enti in disavanzo ovvero peggiorato per gli enti in avanzo della misura determinata dall’applicazione degli specifici coefficienti al saldo finanziario dell’anno 2007. Va, infine, ricordato, che, per il solo anno 2009, era individuato un limite massimo del concorso alla manovra, per i comuni che presentavano una situazione di deficit nel 2007 particolarmente grave. Nella successiva disciplina del patto, recata dall’articolo 1, commi 87-124, della legge n. 220/2010 per il triennio 2011-2013, l’obiettivo di saldo programmatico non è più rapportato al saldo finanziario, ma viene invece parametrato alla spesa corrente dell’ente, non più riferita ad un solo anno ma ad un triennio. In particolare, l’obiettivo di saldo finanziario per ciascun ente è determinato applicando alla spesa corrente media sostenuta nel periodo 2006-2008 determinate percentuali, fissate in maniera differenziata per le province e i comuni.

Il concorso di ciascun ente al contenimento dei saldi di finanza pubblica, disciplinato dall’articolo 31 della legge n. 183/2011, viene parametrato alla spesa corrente dell’ente, riferita ad un intervallo temporale triennale.

L’obiettivo di saldo, per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016 viene determinato, per ciascun ente, applicando alla spesa corrente media sostenuta nel triennio triennio 2007-2009, come desunta dai certificati di conto consuntivo, determinate percentuali, fissate nella seguente misura per ciascuna tipologia di ente (articolo 31, comma 2, legge n. 183/2011, come modificato dall’articolo 1, comma 432, legge n. 228/2012):

  • province: 18,8%;
  • comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti: 14,8%;
  • comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti: 12,0% nel 2013 e 14,8% nel 2014-2016.

Ai fini del concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica, gli enti devono pertanto conseguire, in ciascuno degli anni, un obiettivo di saldo finanziario di competenza mista non inferiore al valore individuato in base al suddetto meccanismo. L’importo va, tuttavia, diminuito di un importo pari alla riduzione dei trasferimenti, apportata ai sensi dell’articolo 14, comma 2, del D.L. n. 78/2010.

Si ricorda che, come già previsto per il 2011 dall’articolo 1, comma 88, della legge n. 220/2010, anche per gli anni successivi gli obiettivi di saldo vengono rettificati per sterilizzare gli effetti connessi con il taglio dei trasferimenti determinati dall’articolo 14, comma 2, del D.L. n. 78 del 2010, da considerarsi strumentali al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica (operato, a decorrere dall’anno 2012, negli importi pari a 500 milioni di euro per le province e a 2.500 milioni di euro per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti). I comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, non coinvolti dalla riduzione dei trasferimenti erariali di cui al richiamato articolo 14, non opereranno alcuna riduzione a valere sul saldo programmatico. La norma prevedeva che le riduzioni dei trasferimenti fossero ripartite tra i singoli enti secondo criteri e modalità stabiliti in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali e recepiti con decreto annuale del Ministro dell’interno. Per l’anno 2011 la riduzione dei trasferimenti è stata attuata con il decreto del Ministro dell’interno 9 dicembre 2010. Le riduzioni previste a decorrere dal 2012 sono state attuate con il decreto del Ministro dell’interno 13 marzo 2012, per le province, e con il decreto del Ministro dell’interno 22 marzo 2012, per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.

Per quanto concerne il computo del saldo finanziario, come negli anni passati, esso va calcolato quale differenza tra entrate finali e spese finali, al netto delle entrate derivanti dalla riscossione di crediti e delle spese derivanti dalla concessione di crediti, in termini di competenza mista.

Il criterio di competenza mista comporta che le entrate e le uscite di parte corrente si considerano in termini di competenza giuridica (accertamenti e impegni) e quelle in conto capitale si considerano invece in termini di cassa (incassi e pagamenti). Quindi il patto di stabilità lascia liberi i pagamenti di spesa corrente, in quanto la cassa è soggetta a restrizioni esclusivamente per la parte in conto capitale. La circolare esplicativa del Ministero dell’economia n. 5 del febbraio 2013, ribadisce che tra le operazioni finali non sono da considerare né l’avanzo (o disavanzo) di amministrazione né il fondo (o deficit) di cassa. Infatti, l’inserimento nell’ambito del saldo del patto di stabilità interno dell’avanzo di amministrazione non è consentito in quanto, in base alle regole europee della competenza economica, gli avanzi di amministrazione che si sono realizzati in esercizi precedenti non sono conteggiati ai fini dell’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche, al contrario delle correlate spese effettuate nell’anno di riferimento.

Tali obiettivi sono validi, tuttavia, nelle more dell’adozione del nuovo meccanismo di ripartizione degli obiettivi finanziari del patto fra gli enti di ciascun livello di governo, basato su criteri di virtuosità, definito dall’articolo 20, commi 2-2-ter e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, come successivamente modificato, prima dall’articolo 1, comma 9 del D.L. n. 138/2011, poi dall’articolo 30 della legge di stabilità 2012 e, infine, dai commi 248 e 249 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2013.

Il meccanismo - introdotto a decorrere dall’anno 2012 - prevede che gli obiettivi del patto di stabilità interno siano attribuiti ai singoli enti locali di ciascun comparto in base alla loro virtuosità, misurata operando una valutazione ponderata di alcuni specifici parametri, appositamente indicati dalla norma.

L'articolo 20, comma 2, del D.L. n. 98/2011 indica i seguenti parametri di virtuosità: a) prioritaria considerazione della convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard; b) rispetto del patto di stabilità interno; c) incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell'ente in relazione al numero dei dipendenti in rapporto alla popolazione residente, alle funzioni svolte anche attraverso esternalizzazioni nonché all'ampiezza del territorio; per la valutazione di questo parametro si tiene conto del suo andamento nell'intera legislatura o consiliatura; d) autonomia finanziaria; e) equilibrio di parte corrente; f) tasso di copertura dei costi dei servizi a domanda individuale per gli enti locali; g) rapporto tra gli introiti derivanti dall'effettiva partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale e i tributi erariali, per le regioni; h) effettiva partecipazione degli enti locali all'azione di contrasto all'evasione fiscale; i) rapporto tra le entrate di parte corrente riscosse e accertate; j) operazioni di dismissioni di partecipazioni societarie nel rispetto della normativa vigente.

Per l’applicazione del meccanismo della virtuosità, si prevede la annuale ripartizione degli enti sottoposti al patto di stabilità in due classi sulla base della valutazione ponderata dei suddetti parametri, con appositi decreti ministeriali. Soltanto quattro dei parametri indicati dall’articolo 20, comma 2, del D.L. n. 98/2011 hanno trovato applicazione nell’anno 2012 ai fini della valutazione della virtuosità degli enti: 1) rispetto del patto di stabilità interno; 2) autonomia finanziaria; 3) equilibrio di parte corrente; 4) rapporto tra riscossioni e accertamenti delle entrate di parte corrente.

Gli ulteriori parametri di valutazione, già previsti dal citato articolo 20, comma 2, del D.L. n. 98/2011, saranno applicati per valutare la virtuosità degli enti sottoposti al patto di stabilità interno a partire dall’anno 2014, come disposto dall’articolo 1, comma 428, della legge n. 228/2012.

Al fine di tener conto della realtà socioeconomica degli enti, il comma 248 dell’articolo 1 della legge n. 228/2012 ha inoltre introdotto dei correttivi ai suddetti parametri di virtuosità, attraverso l’applicazione di due indicatori: il valore delle rendite catastali e il numero di occupati.

La suddivisione degli enti locali nelle due classi è funzionale alla ripartizione, tra i singoli enti appartenenti ad un determinato comparto, degli obiettivi finanziari stabiliti dal patto di stabilità interno, fermo restando l’obiettivo complessivo di comparto, con effetti di minore incidenza finanziaria dei vincoli per gli enti virtuosi e di maggiore incidenza per gli altri enti.

L’onere connesso al minor contributo che viene richiesto agli enti virtuosi è, pertanto, sostenuto interamente dagli enti non virtuosi, i cui obiettivi saranno conseguentemente rideterminati. Di conseguenza, mentre gli enti virtuosi beneficeranno di un miglioramento dei propri obiettivi del patto di stabilità, per gli enti non virtuosi è invece prevista una penalizzazione, consistente nella rideterminazione in aumento del proprio obiettivo finanziario.

Il meccanismo di redistribuzione della manovra fra gli enti locali sulla base del meccanismo di “virtuosità” è stato, di recente, modificato dall’articolo 1, commi 428-431, legge n. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013), il quale ha ridefinito, per gli anni 2013 e successivi, gli obiettivi finanziari del patto per gli enti virtuosi (regioni, province e comuni) appartenenti al singolo livello di governo, fermo restando l'obiettivo del comparto, abrogando, a tal fine, il comma 5 e modificando il comma 6 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011.

In particolare, ai sensi del comma 3 dell’articolo 20 del D.L. n. 98/2011, come modificato dal comma 429 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2013, agli enti locali che risultano collocati nella classe dei virtuosi è attribuito, per l’anno 2013, un saldo obiettivo, espresso in termini di competenza mista, pari a zero.

Tale previsione risulta essere più vantaggiosa rispetto alla normativa previgente, applicata nel 2012, che richiedeva agli enti locali virtuosi di conseguire un saldo finanziario uguale a zero ovvero pari ad un valore obiettivo compatibile con gli spazi finanziari che si ottengono applicando la penalizzazione agli enti non virtuosi.

I maggiori spazi finanziari concessi agli enti virtuosi sono compensati dal maggior concorso richiesto agli enti non virtuosi, per i quali è prevista una rideterminazione in aumento - fino ad un limite massimo espressamente indicato - delle percentuali da applicare alla media della spesa corrente per l’individuazione dell’obiettivo di saldo.

Per evitare che a questi ultimi siano attribuiti obiettivi di difficile realizzazione, il comma 6, dell’articolo 31, della legge n. 183 del 2011, come modificato dal comma 431, dell’articolo 1, della legge di stabilità 2013, introduce una clausola di salvaguardia in base alla quale il contributo aggiuntivo richiesto agli enti locali non virtuosi non può essere comunque superiore ad una certa percentuale massima della spesa media registrata nel triennio 2007-2009.

Per l’anno 2012, la differenziazione degli obiettivi in base alla virtuosità del singolo ente è stata disciplinata ai sensi dei commi 5 e 6 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011. In particolare, il comma 5 ha previsto, per gli enti collocati nella classe dei virtuosi, il conseguimento di un saldo finanziario uguale a zero ovvero pari ad un valore obiettivo compatibile con gli spazi finanziari che si ottengono applicando la clausola di penalizzazione agli enti non virtuosi. Per gli enti non virtuosi, il comma 6 ha disposto una rideterminazione in aumento - fino ad un limite massimo espressamente indicato - delle percentuali da applicare alla media della spesa corrente per individuare l’obiettivo di saldo. In base alle suddette norme, gli enti virtuosi potranno avere un saldo obiettivo pari a zero solo qualora la clausola di cui al comma 6 consenta il reperimento di adeguati spazi finanziari compensativi; in caso contrario, agli stessi enti sarà attribuito un obiettivo maggiore di zero, comunque inferiore a quello ottenuto applicando le percentuali di cui al comma 2 dell’articolo 31, commisurato agli spazi finanziari derivanti dall’applicazione della clausola di salvaguardia.

L’applicazione del meccanismo di virtuosità nel 2012 è stato disposto con il D.M. Economia del 25 giugno 2012, il quale ha recato la individuazione, in apposite tabelle, delle province e dei comuni ritenuti virtuosi ai sensi dell’articolo 20, comma 2, del D.L. n. 98/2011. Il decreto ha stabilito, ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, che gli enti collocati nella tabella dei virtuosi dovessero conseguire nell'anno 2012 un saldo obiettivo pari a zero, mentre per le province e per i comuni non rientranti nella categoria dei virtuosi, le percentuali sono state invece rideterminate in aumento. In linea con la disciplina recata dal citato articolo 31, comma 5, della legge n. 183/2011, la riduzione complessiva degli obiettivi programmatici degli enti locali è stata commisurata agli effetti finanziari determinati dall'applicazione della clausola di salvaguardia di cui al summenzionato comma 6. Tali effetti finanziari sono stati quantificati, sulla base delle penalizzazioni inflitte agli enti locali che hanno violato il rispetto del patto, in 31,3 milioni di euro per le province e in 149,4 milioni di euro per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.

Va, infine, considerato, che il valore definitivo del saldo-obiettivo di ciascun ente locale potrà essere ulteriormente rideterminato nel corso dell’anno qualora l’ente sia coinvolto dalle variazioni previste dalle norme afferenti al Patto regionalizzato orizzontale o verticale ovvero relative al Patto orizzontale nazionale (si veda il § 6).

4. Il sistema di premialità

Il meccanismo di redistribuzione degli obiettivi finanziari sulla base dei criteri di virtuosità, introdotto a partire dal 2012, si configura come aggiuntivo rispetto al sistema di premialità già previsto in favore degli enti locali rispettosi del patto di stabilità interno, disciplinato ai sensi del comma 122 dell'articolo 1 della legge n. 220/2010, che prevede il beneficio di una riduzione degli obiettivi imposti agli enti locali rispettosi del patto, commisurata agli effetti finanziari determinati dalle sanzioni operate a valere sui fondi di riequilibrio e perequativo  – ovvero sui trasferimenti erariali destinati ai comuni della Regione Siciliana e della Sardegna - applicate nei confronti degli enti locali che non raggiungono l’obiettivo del patto di stabilità interno.

Si ricorda che il meccanismo di premialità è stato inizialmente inserito nella disciplina del patto di stabilità a decorrere dal 2009 dall’articolo 77-bis, commi 23-26, del D.L. n. 112/2008. Esso prevedeva un beneficio in termini di riduzione di saldo valido ai fini della verifica del rispetto del patto, nell’anno successivo a quello di riferimento, complessivamente pari al 70% della differenza registrata tra il saldo conseguito dagli enti inadempienti e l’obiettivo programmatico ad essi assegnato. Lo “sconto” di cui ciascun ente virtuoso poteva beneficiare era determinato in funzione del “grado di virtuosità” dell’ente medesimo, determinato in base al suo posizionamento rispetto a due indicatori economico-strutturali finalizzati a misurare il grado di rigidità strutturale del bilancio e il grado di autonomia finanziaria dell’ente. Tuttavia, la suddetta misura premiale (applicate nell’anno 2009 con il D.M. Economia 22 dicembre 2009) è stata oggetto di alcuni rilievi critici, anche emersi anche nel corso dell’indagine svolta presso la V Commissione bilancio nel corso del 2010, in quanto, in base agli indicatori utilizzati per valutare la virtuosità degli enti, sono risultati assegnatari di premi alcuni enti in stato di dissesto e non altri enti in equilibrio di bilancio, nonostante la loro posizione di sottodotazione nei trasferimenti. Il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante la manovra correttiva di finanza pubblica per il periodo 2010-2013, ha pertanto previsto la temporanea disapplicazione, per l’esercizio 2010, del predetto meccanismo premiale (articolo 14, comma 12).

Il sistema della premialità è stato poi ridefinito dall’articolo 1, comma 122, della legge n. 220/2010 (legge di stabilità 2011), nel senso che la riduzione degli obiettivi annuali degli enti locali sottoposti al patto di stabilità veniva autorizzata dal Ministro dell'economia e delle finanze, con apposito decreto sulla base di criteri ivi definiti, in misura pari all’entità dello sforamento registrato, nell’esercizio antecedente a quello di riferimento, da parte degli enti inadempienti al patto di stabilità interno.

Da ultimo, il D.Lgs n. 149 del 2011 - recante la disciplina dei meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni nell’ambito delle misure attuative della legge delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale - ha riformulato il comma 122 della legge n. 220/2010, nel senso di disporre che l’importo della riduzione complessiva degli obiettivi annuali per gli enti venga ora commisurato agli effetti finanziari determinati dalle riduzioni sui fondi di riequilibrio e perequativo nei confronti degli enti locali che non rispettano il patto di stabilità interno. Il decreto ha previsto, inoltre, che lo schema di decreto del Ministro dell’economia e delle finanze che dispone la riduzione sia trasmesso alle Camere, corredato della relazione tecnica.

Il sistema di premialità ai sensi del comma 122 della legge n. 220/2010 è stato applicato nell’anno 2011 con il D.M. Economia 24 febbraio 2012, che ha provveduto alla riduzione degli obiettivi programmatici per l’anno 2011 dei comuni e delle province rispettosi del patto, in considerazione dell'importo complessivo degli effetti finanziari determinati dall'applicazione della sanzione, pari, rispettivamente, a circa 1,4 milioni di euro per le province e a 10 milioni per i comuni. Per l’anno 2012, la riduzione degli obiettivi annuali degli enti locali soggetti al patto di stabilità interno in base alla premialità è stata attuata con il D.M. economia 22 gennaio 2013, per un importo complessivo pari a 1,2 milioni per le province a 71,8 milioni per i comuni.

5. Le spese escluse dal computo del saldo

I commi da 7 a 17 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011 prevedono l’esclusione di una serie di voci di entrata e di spesa dal computo del saldo di competenza mista. Le esclusioni sono previste sia per evitare che i vincoli del patto rallentino gli impegni e i pagamenti per interventi considerati prioritari e strategici, sia per correggere eventuali effetti anomali che potrebbero determinarsi sui saldi a causa del non allineamento temporale tra entrata e spesa. Con i suddetti commi si provvede, in sostanza, a una razionalizzazione delle deroghe già considerate dalla normativa previgente. Quelle non espressamente richiamate sono pertanto da considerarsi abrogate (comma 17). In particolare, sono escluse dal saldo finanziario:

  • alcune voci di entrata e di spesa relative a calamità naturali. Come già previsto dalla precedente normativa (commi 94-95, art. 1, legge n. 220/2010), l’esclusione riguarda le risorse provenienti dallo Stato e le relative spese di parte corrente e in conto capitale sostenute da province e comuni per l’attuazione delle ordinanze emanate dal Presidente del Consiglio dei ministri, a seguito di dichiarazione dello stato di emergenza. L’esclusione opera anche se le spese vengono effettuate nell’arco di più anni, purché nei limiti delle medesime risorse. La norma precisa peraltro che deve trattarsi di spese relative ad entrate registrate successivamente al 2008.Le province e i comuni beneficiari sono tenuti a presentare al Dipartimento della Protezione Civile, entro il mese di gennaio dell’anno successivo, l’elenco delle spese che vengono escluse dal patto di stabilità interno, con precisa indicazione di quelle di parte corrente e in conto capitale;
  • le spese per gli interventi realizzati direttamente dai comuni e dalle province in relazione a eventi calamitosi in seguito ai quali è stato deliberato dal Consiglio dei Ministri lo stato di emergenza e che risultano effettuate nell'esercizio finanziario in cui avviene la calamità e nei due esercizi successivi. Tale esclusione è stata introdotta dall’articolo 1, comma 1-bis, del D.L. n. 59/2012, recante disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile (comma 8-bis);
  • gli interventi realizzati direttamente dagli enti locali per lo svolgimento di grandi eventi, sostenuti ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 5, del D.L. n 343/2001, rientranti nella competenza del Dipartimento della protezione civile, diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza (comma 9). Tali interventi sono equiparati, ai fini del patto di stabilità interno, alle calamità naturali di cui al comma 7, il che comporta che l’esclusione riguarda solo gli interventi effettuati a valere sulle risorse trasferite dal bilancio dello Stato;
  • le risorse provenienti dall’Unione europea e le relative spese sostenute dalle province e dai comuni (commi 10-11). L’esclusione opera anche se le spese vengono effettuate nell’arco di più anni, purché nei limiti delle medesime risorse e purché relative a entrate registrate successivamente al 2008. L'esclusione non opera per le spese connesse ai cofinanziamenti nazionali. Come precisato nella circolare n. 5/2013, non sono considerate nel saldo finanziario le risorse provenienti direttamente e indirettamente dall’Unione europea e le relative spese di parte corrente e in conto capitale sostenute dalle province e dai comuni. La ratio dell’esclusione dal patto di stabilità interno delle spese sostenute dagli enti locali per realizzare interventi finanziati con fondi UE risiede nella necessità di non ritardare l’attuazione di interventi realizzati in compartecipazione con l’Unione Europea, tenuto conto che si tratta di importi che vengono poi rimborsati dall’UE all’Italia, previa rendicontazione. Nel caso in cui l’UE riconosca importi inferiori a quelli considerati ai fini dell’esclusione dal patto, l’importo corrispondente alle spese non riconosciute è incluso tra le spese del patto di stabilità relativo all’anno della comunicazione del mancato riconoscimento. Nel caso di comunicazione nell’ultimo quadrimestre, il recupero può essere effettuato anche nell’anno successivo.

Ulteriori deroghe - già presenti nella disciplina previgente del patto - sono previste in favore di determinate categorie di enti locali, in particolare:

  • per gli enti locali individuati dal Piano generale di censimento, cui risultano affidate fasi di rilevazioni censuarie, sono escluse dal patto di stabilità le spese derivanti dalla progettazione ed esecuzione del censimento e le relative risorse trasferite dall'ISTAT, nei limiti delle stesse risorse trasferite dall'ISTAT (deroga già prevista dal D.L. n. 78/2010, articolo 50, comma 3). L’esclusione riguarda anche gli enti locali individuati dal Piano generale del 6° censimento dell'agricoltura (comma 12);
  • per il comune di Parma, vengono esclusi dal saldo del patto le risorse provenienti dallo Stato e le spese sostenute dal comune per la realizzazione degli interventi straordinari di adeguamento delle dotazioni infrastrutturali di carattere viario e ferroviario e alla riqualificazione urbana della città di Parma connessi con l’insediamento dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) nonché quelli per la realizzazione della Scuola per l'Europa di Parma. L'esclusione delle spese opera nei limiti di 14 milioni per ciascuno degli anni del biennio 2012-2013 (comma 14);
  • per tutti gli enti locali, sono escluse le spese relative al trasferimento dei beni effettuati ai sensi della disciplina del federalismo demaniale di cui al decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, per un importo corrispondente alle spese già sostenute dallo Stato per la gestione e la manutenzione dei beni trasferiti (comma 15) La disposizione prevede che tale importo venga determinato secondo i criteri e con le modalità individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo medesimo. Tale decreto non risulta emanato e pertanto, come evidenziato nella Circolare n. 5/2013, in assenza dell’emanazione delle predette disposizioni attuative, il comma 15 non è destinato a trovare applicazione operativa;
  • per gli enti locali che procedono alla dismissione di partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del D.L. n. 138/2011, sono escluse dal computo del saldo, limitatamente agli anni 2013-2014, le spese per investimenti infrastrutturali, nei limiti nel limite delle disponibilità di bilancio a legislazione vigente e fino ad un massimo di 250 milioni di euro per l’anno 2013 e di 250 milioni di euro per l’anno 2014 (comma 16).

Tale deroga è stata introdotta dall'articolo 5, comma 1, del D.L. n. 138/2011, il quale prevede la destinazione di una quota del Fondo infrastrutture – istituito dall’articolo 6-quinquies del D.L. n. 112/2008 con le risorse provenienti dal Fondo per aree sottoutilizzate - nel limite massimo di 250 milioni di euro per l’anno 2013 e di 250 milioni di euro per l’anno 2014, ad investimenti infrastrutturali effettuati dagli enti territoriali che procedono, rispettivamente, entro il 31 dicembre 2012 ed entro il 31 dicembre 2013, alla dismissione di partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, diversi dal servizio idrico. La norma medesima prevedeva che le spese effettuate a valere su tali risorse fossero considerate escluse dai vincoli del patto di stabilità interno. Per l’applicazione di tale esclusione, è necessario che gli enti comunichino ai dicasteri interessati le dismissioni effettuate nonché i relativi incassi, ai fini dell’emanazione del relativo decreto attuativo.

A tali esclusioni se ne aggiungono alcune specifiche introdotte, nel corso del 2012, in favore degli enti locali colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012. In particolare:

  • l’articolo 2, comma 6, del D.L. 6 giugno 2012, n. 74 prevede che, per gli anni 2012, 2013 e 2014, le risorse del Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 20-29 maggio 2012 assegnate alle Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto e presenti nelle apposite contabilità speciali, nonché i relativi utilizzi, eventualmente trasferite ai comuni interessati, che provvedono, per conto dei Presidenti delle Regioni in qualità di commissari delegati, agli interventi di ricostruzione e ripresa economica, non rilevano ai fini del patto di stabilità interno degli enti locali beneficiari. Tale esclusione opera sia per le entrate che per le spese, sia di parte corrente che di parte capitale. L’esclusione delle spese, infine, opera anche se esse sono effettuate complessivamente nei predetti tre anni, purché la spesa complessiva non sia superiore all’ammontare delle corrispondenti risorse assegnate. Tale esclusione trova applicazione per tutti i comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, nonché per le province stesse, interessati dagli eventi sismici del maggio 2012.
  • l’articolo 7, comma 1-ter, del D.L. n. 74 del 2012, prevede altresì, per gli stessi comuni interessati dagli eventi sismici del maggio 2012, l’esclusione dal patto di stabilità interno, per gli anni 2013 e 2014, delle spese sostenute con risorse proprie provenienti da erogazioni liberali e donazioni da parte di cittadini privati ed imprese finalizzate a fronteggiare gli eccezionali eventi sismici del maggio 2012 e la conseguente ricostruzione, per un importo massimo complessivo, per ciascun anno, di 10 milioni di euro. L’ammontare delle spese che ciascun ente può escludere dal patto di stabilità interno è determinato dalla regione Emilia-Romagna nei limiti di 9 milioni di euro e dalle regioni Lombardia e Veneto nei limiti di 0,5 milioni di euro per ciascuna regione, per ciascun anno.
6. Misure di flessibilità nell'applicazione del patto di stabilità

Misure di flessibilità nell'applicazione del patto sono state introdotte per gli enti locali a partire dall'esercizio 2009, con la previsione di due forme di flessibilità a livello regionale: la cosiddetta regionalizzazione orizzontale e verticale del patto di stabilità. Tali misure, introdotte per il 2009, sono state poi confermate negli esercizi successivi e ridefinite ai sensi dell’articolo 1, commi 138-142, della legge n. 220 del 2010. Da ultimo, l’applicazione di tali misure di flessibilità a livello regionale è stata estesa all'esercizio 2013, ai sensi dell’articolo 1, comma 433, della legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012).

Ad esse si è aggiunta, più di recente, una forma di flessibilità a livello nazionale, limitata ai comuni: il patto orizzontale nazionale.

Con le suddette misure di flessibilità (i c.d. patti di solidarietà fra enti territoriali) si è cercato di definire meccanismi di compensazione regionale e nazionale in grado di rendere più sostenibili gli obiettivi individuali degli enti locali soggetti ai vincoli al patto di stabilità e, al tempo stesso, di fornire risposta ad alcune criticità emerse nell’applicazione del patto, relative soprattutto alle spese di investimento degli enti locali, che, per il criterio di computo dei saldi obiettivo in termini di competenza mista, sono risultate fortemente compresse dai vincoli del patto di stabilità interno.

Patto regionale verticale

Con il “patto regionale verticale”, disciplinato dall’articolo 1, commi 138-140, della legge n. 220/2010, le regioni possono autorizzare gli enti locali del proprio territorio a peggiorare il loro saldo obiettivo, consentendo un aumento dei pagamenti in conto capitale, e procedere contestualmente alla rideterminazione del proprio obiettivo di risparmio per un ammontare pari all'entità complessiva dei pagamenti in conto capitale autorizzati, al fine di garantire – considerando insieme regione ed enti locali - il rispetto degli obiettivi finanziari.

La procedura prevede che gli enti locali dovranno comunicare all’ANCI, all’UPI e alle regioni e province autonome, entro il 15 settembre di ciascun anno, l’entità dei pagamenti che possono effettuare nel corso dell’anno. Le regioni e le province autonome, entro il termine perentorio del 31 ottobre, comunicano al Ministero dell’economia e delle finanze, con riguardo a ciascun ente beneficiario, gli elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento dell’equilibrio dei saldi di finanza pubblica. Entro lo stesso termine la regione comunica i nuovi obiettivi agli enti locali interessati dalla compensazione verticale.

Si ricorda che la c.d. ‘regionalizzazione’ del patto di stabilità è stata introdotta dall’articolo 7-quater del D.L. n. 5/2009, e confermata per il 2010 dall’articolo 4, comma 4-sexsies, del D.L. n. 2/2010, al fine di consentire agli enti locali ‘virtuosi’ di escludere dai vincoli del patto alcune particolari tipologie di spese in conto capitale (ad esempio, pagamenti in conto residui concernenti spese per investimenti effettuati nei limiti delle disponibilità di cassa a fronte di impegni regolarmente assunti, pagamenti per spese in conto capitale per impegni già assunti finanziate dal minor onere per interessi conseguente alla riduzione dei tassi di interesse sui mutui o alla rinegoziazione dei mutui stessi), considerate necessarie a fronteggiare la crisi economica.

Questa tipologia di flessibilità è stata utilizzata già nel 2009, in cui sei regioni hanno proceduto a ricalcolare i proprio obiettivi programmatici, per un importo complessivo di 259 milioni di euro; le somme che gli enti locali hanno potuto ‘spendere’, compensate sul patto della regione, sono state le seguenti: Piemonte 76,1 milioni; Liguria 8,3 milioni; Lombardia 40 milioni, Emilia-Romagna 33,4 milioni; Toscana 100 milioni, Umbria 1,3 milioni. Nell'esercizio 2010 le regioni che hanno autorizzato pagamenti ai rispettivi enti locali sono state sette, per la somma complessiva di 403 milioni di euro. L'entità della spesa, in milioni di euro, per ciascuna regione coinvolta è stata la seguente: Basilicata 2,5; Emilia Romagna 92,7; Lazio 152; Piemonte 65; Sardegna 27,3; Toscana 60 e Umbria 3,8. Nell'esercizio 2011, le regioni che hanno attivato il patto regionale verticale sono salite a dodici per un importo complessivo di 1.128,5 milioni di euro. Per ciascuna regione coinvolta, l’entità della spesa, in milioni di euro, è stata dei seguenti importi: Basilicata 4,1, Emilia Romagna 84, Lazio 180,9, Liguria 62,6, Lombardia 70, Marche 91,4, Piemonte 370, Puglia 50, Sardegna 50, Toscana 55, Umbria 30,3 e Veneto 80. Secondo i dati provvisori forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, anche nel 2012 il patto verticale è stato molto utilizzato dalle regioni (12 regioni), che hanno ceduto spazi finanziari agli enti locali per circa 906,7 milioni di euro, così distribuiti sul territorio, in milioni di euro: Basilicata 24, Campania 120, Emilia Romagna 56,2, Lazio 242,3, Liguria 140, Lombardia 54,2, Marche 55, Piemonte 124,6, Sardegna 23,2, Toscana 36,9, Umbria 15 e Veneto 15 milioni.

Per favorire questa forma di flessibilità, si ricorda che, sia per il 2012 che per il 2013, è stata prevista l’attribuzione alle regioni a statuto ordinario, alla Regione siciliana ed alla Regione Sardegna - vale a dire a tutte le regioni in cui i comuni ricevono risorse erariali – di un incentivo consistente in un contributo massimo di complessivi 800 milioni di euro per ciascun anno. A fronte dell’attribuzione alle regioni del contributo, queste si impegnano a cedere, ai comuni e alle province ricadenti nel proprio territorio, spazi finanziari da attribuire mediante le procedure che disciplinano il patto verticale di cui all’articolo 1, commi 138 e seguenti, della legge n. 220/2010. Poiché l'obiettivo complessivo del comparto regione-enti locali deve comunque rimanere invariato, il contributo assegnato alle regioni è destinato esclusivamente alla riduzione del debito.

Si segnala che, con il patto regionale verticale, la regione potrà cedere ulteriori spazi ai singoli enti ovvero cedere spazi a nuovi enti richiedenti ma non ridurre gli spazi già ceduti con il patto verticale incentivato.

Per l’anno 2012, il contributo è stato autorizzato dall'articolo 16, commi da 12-bis a 12-sexies, del D.L. n. 95 del 2012. La norma recava una ripartizione tra le regioni del contributo, ma prevedeva la possibilità di variare gli importi stabiliti per ciascuna regione, mediante accordo da sancire in Conferenza Stato-Regioni. L'accordo tra le regioni è stato raggiunto e ratificato in sede di Conferenza Stato-Regioni il 3 agosto 2012. Tali risorse, che le regioni avrebbero dovuto destinare a riduzione del debito, tuttavia, non sono risultate disponibili – per la maggior parte - essendo state utilizzate per effettuare il taglio di 700 milioni di euro previsto dal comma 2 dell'articolo 16 del medesimo D.L. n. 95 del 2012, quale ulteriore contributo delle regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l‘anno 2012. La norma citata prevede, infatti, che con decreto del Ministero dell'Economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, vengano individuate la quota di riduzione da imputare a ciascuna regione. A tal fine è intervenuto il decreto 21 dicembre 2012 (recante Riparto del concorso finanziario agli obiettivi di finanza pubblica delle Regioni a statuto ordinario per l'anno 2012 di cui all'articolo 16, comma 2, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95) - su cui è stato raggiunto l'accordo in Conferenza Stato-Regioni il 22 novembre 2012 e che recepisce la ripartizione dei 700 milioni di euro per l’anno 2012 concordata dalle regioni in sede di Conferenza delle Regioni il 3 agosto 2012 - con il quale le risorse da tagliare sono state individuate in quelle autorizzate ai sensi dei commi 12-bis e 12-ter dell'articolo 16 del D.L. 95/2012, vale a dire a valere sul contributo complessivo di 800 milioni di euro per l'anno 2012.

Analogo contributo di 800 milioni è stato assegnato alle regioni anche per l’anno 2013, dall’articolo 1, commi 122-125, della legge n. 228/2012, per le medesime finalità. A differenza di quanto avvenuto per l'anno 2012, il contributo è ripartito in due quote, una da destinare alla rimodulazione degli obiettivi del patto dei comuni pari complessivamente a 600 milioni di euro; l'altra, destinata alla rimodulazione degli obiettivi del patto delle province, pari a complessivi 200 milioni di euro. Il contributo è ripartito tra le regioni beneficiarie come stabilito nella Tabella 1 allegata alla legge di stabilità. Per ciascuna regione, la cifra indicata è destinata a coprire l'83,33% della quota che la regione cede agli enti locali al fine della rimodulazione degli obiettivi del patto di stabilità. La norma reca una ripartizione tra le regioni del contributo, ma prevede la possibilità di variare gli importi stabiliti per ciascuna regione, mediante accordo da sancire in Conferenza Stato-Regioni. In data 7 febbraio 2013, in sede di Conferenza Stato-Regioni è stato raggiunto l'accordo sulla diversa ripartizione del contributo tra le regioni. Gli spazi finanziari ceduti agli enti locali devono essere utilizzati dagli stessi per consentire i pagamenti dei residui passivi in conto capitale in favore dei creditori. Poiché l'obiettivo complessivo del comparto regione-enti locali deve comunque rimanere invariato, il contributo assegnato alle regioni è destinato alla riduzione del debito. Il comma 125 fissa il termine del 31 maggio 2013 per la comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze, da parte delle regioni, di tutti gli elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica.

Patto regionale orizzontale

Con il patto regionale orizzontale, disciplinato dai commi 141 e 142 dell'articolo 1, della legge n. 220 del 2010, la regione può ulteriormente intervenire, a favore degli enti locali del proprio territorio, integrando le regole e modificando gli obiettivi posti dal legislatore nazionale, per consentire una rimodulazione “orizzontale” degli obiettivi finanziari tra gli enti locali del proprio territorio, in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti sul territorio medesimo, purché venga garantito il rispetto dell’obiettivo complessivamente determinato per gli enti locali della regione.

Il meccanismo di attuazione di tale rimodulazione, come disciplinato dal decreto del Ministero dell'economia e finanze 6 giugno 2011, si fonda sulla cessione di “spazi finanziari” da parte dei comuni e delle province che prevedono di conseguire un differenziale positivo rispetto all’obiettivo prefissato in favore di quelli che rischiano, invece, di conseguire un differenziale negativo rispetto all’obiettivo. Tali spazi finanziari possono essere utilizzati dagli enti che li acquisiscono soltanto per effettuare spese in conto capitale ovvero spese inderogabili ovvero spese capaci di incidere positivamente sul sistema economico. La rimodulazione non è autorizzata se finalizzata alla realizzazione di spesa corrente di carattere discrezionale.

La procedura prevede che ogni regione provveda, dunque, a ridefinire e a comunicare agli enti locali il nuovo obiettivo annuale del patto di stabilità interno, comunicando altresì al Ministero dell'economia e delle finanze tutti gli elementi informativi per la verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica per ciascun ente locale che partecipa al meccanismo di compensazione orizzontale, entro il termine del 31 ottobre di ciascun anno.

Le amministrazioni che cedono o acquisiscono spazi finanziari di patto ottengono nel biennio successivo, rispettivamente, un alleggerimento o un aggravamento del proprio obiettivo.

Anche questa tipologia di rimodulazione orizzontale delle regole per gli enti locali era già presente nella disciplina del patto relativa al triennio 2009-2011. In particolare, l'articolo 77-ter, comma 11, del D.L. n. 112/2008, consentiva alle regioni a statuto ordinario di ‘adattare’ – sulla base dei criteri stabiliti in sede di consiglio delle autonomie - le regole per gli enti locali compresi nel proprio territorio fermo restando l’obiettivo determinato complessivamente dalle regole del patto di stabilità. A “compensazione” del maggiore onere assunto dalla regione, la norma disponeva che parte dei trasferimenti che la regione riceve dallo Stato fosse sottratta al vincolo di destinazione, nella misura del triplo delle somme cedute a compensazione degli obiettivi peggiori degli enti locali. Tale misura incentivante è stata abrogata dall’articolo 1, comma 435, della legge n. 228/2012.

Questa forma di flessibilità non ha trovato applicazione per l'esercizio 2009. Nel 2010 sono state effettuate 'compensazioni' tra gli enti locali soltanto in tre regioni: nella regione Lazio per 118,6 milioni di euro, nella regione Piemonte per 4,4 milioni di euro e nella regione Toscana per 871 migliaia di euro. Nell'esercizio 2011, le regioni in cui sono state effettuate 'compensazioni' tra gli enti locali sono salite a otto, per un totale complessivo di 70,2 milioni, così ripartito: Abruzzo 3,1 milioni, Emilia-Romagna 21,2 milioni, Lazio 32,9 milioni, Liguria 1,1 milioni, Lombardia 5,6 milioni, Piemonte 1,1 milioni, Puglia 4,1 milioni e Toscana 1,0 milioni. Nel 2012, secondo i dati provvisori forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, sette regioni hanno attivato il patto orizzontale, per circa 58 milioni di euro complessivi, di cui 6,7 milioni in Abruzzo, 29,3 milioni in Emilia-Romagna, 6,7 milioni nel Lazio, 5,6 milioni Lombardia, 0,5 milioni in Piemonte e 8,9 milioni in Veneto.

Patto regionale integrato

Una evoluzione del patto regionalizzato è stata introdotta con l’articolo 20, comma 1, del D.L. n. 98/2011, che superando il meccanismo delle compensazioni verticali ed orizzontali apre la prospettiva ad un "patto regionale integrato", prevedendo la possibilità, per ciascuna regione di concordare direttamente con lo Stato le modalità di raggiungimento dei propri obiettivi, esclusa la componente sanitaria, e di quelli degli enti locali del proprio territorio, previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali e, ove non istituito, con i rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI regionali.

Tale patto regionalizzato è stato ulteriormente ridefinito dalla legge di stabilità per il 2012 (articolo 32, comma 17, legge n. 183/2011).

Le regioni possono concordare le predette modalità di raggiungimento degli obiettivi singolarmente con lo Stato, previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali e, ove non istituito, con i rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI regionali. Le modalità che vengono così definite devono essere conformi a “criteri europei” per quanto riguarda l'individuazione delle entrate e delle spese valide per il patto. Per le modalità di attuazione di questo "patto regionale integrato", il comma 17 del citato articolo 32 rinvia ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da emanarsi, d’intesa con la Conferenza Unificata, entro il 30 novembre 2012. Il decreto dovrà stabilire, inoltre, le modalità e le condizioni della eventuale esclusione dal 'patto concordato' delle regioni che nel triennio precedente non abbiano rispettato il patto o siano sottoposte al piano di rientro dal deficit sanitario.

Il Patto c.d. integrato non ha finora ricevuto attuazione. Da ultimo, la legge di stabilità per il 2013 ne ha posticipato l’applicazione al 2014.

Patto orizzontale nazionale

Una ulteriore misura di flessibilità è stata, infine, introdotta per i soli comuni a livello nazionale a partire dall’anno 2012. Il c.d. "Patto orizzontale nazionale”, disciplinato dall'articolo 4-ter del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, come, da ultimo, modificato dall’articolo 1, comma 437, della legge n. 228/2012, consente la rimodulazione orizzontale degli obiettivi finanziari tra i comuni non più a livello regionale ma a livello nazionale - fermo restando l’obiettivo complessivamente determinato per il comparto comunale dalle regole del patto – allo scopo di permettere a tali enti la possibilità di effettuare maggiori spese per il pagamento di residui passivi di parte capitale.

In particolare, lo strumento del patto orizzontale consente ai comuni che prevedono di conseguire un differenziale positivo rispetto all'obiettivo del patto di stabilità interno, ad essi assegnato dalla normativa vigente, di cedere spazi finanziari - la cui entità va comunicata al Ministero dell’economia entro il termine del 15 luglio - a vantaggio di quelli che, invece, prevedono di conseguire, nell'anno di riferimento, un differenziale negativo rispetto all'obiettivo prefissato, consentendo, dunque, a questi ultimi, di sostenere le spese necessarie per il pagamento di residui passivi di parte capitale.

Tale meccanismo di redistribuzione degli spazi finanziari tra i comuni, per evitare lo sforamento degli obiettivi del patto, è attivabile soltanto ed esclusivamente per consentire ai comuni di procedere al pagamento dei residui passivi di parte capitale.

Il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato del Ministero dell’economia provvede, dunque, entro il 10 settembre, ad aggiornare il prospetto degli obiettivi del patto di stabilità interno dei comuni interessati dalla rimodulazione, con riferimento sia all'anno in corso che al biennio successivo. La disciplina del patto orizzontale nazionale riconosce, infatti, in favore dei comuni che cedono spazi finanziari, un miglioramento degli obiettivi del patto nel biennio successivo, cui fa riscontro un corrispondente peggioramento dei saldi obiettivo per gli enti che, invece, si avvantaggiano di tale normativa. I termini procedurali, fissati nei mesi di luglio e settembre, sono funzionali a consentire ai comuni di conoscere quanto prima il proprio obiettivo di patto di stabilità interno ai fini dell’accesso anche alle rimodulazioni del proprio obiettivo nell’ambito del patto regionalizzato.

Secondo i dati provvisori forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, nel 2012 441 comuni hanno richiesto di poter beneficiare di rimodulazioni orizzontali degli obiettivi finanziari, per un importo complessivo pari a 985 milioni di euro, a fronte di spazi finanziari ceduti per soli 128 milioni di euro.

7. Disposizioni particolari per l'applicazione del patto al Comune di Roma

In considerazione della specificità della città di Roma quale Capitale della Repubblica, il comma 22 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011 prevedeva una procedura particolare per la determinazione degli obiettivi del patto di stabilità interno da applicare al Comune di Roma, che permetteva al comune di concordare direttamente con il Ministero dell'economia e finanze le modalità e l'entità del proprio concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica.

Tale particolare procedura concordata era, tuttavia, disciplinata nelle more della compiuta attuazione di quanto previsto dall’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42 relativamente al nuovo ordinamento di Roma Capitale. Tenuto conto che il nuovo ordinamento di Roma Capitale ha ormai trovato attuazione con l’emanazione del decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, le suddette disposizioni di carattere transitorio sono da ritenersi superate.

Pertanto, le regole per la determinazione degli obiettivi del patto di stabilità interno per il Comune di Roma sono ora contenute nell’articolo 12 del citato D.Lgs. n. 61/2012. In particolare, la norma prevede che Roma capitale concordi con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro il 31 maggio di ciascun anno, le modalità e l'entità del proprio concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. A tal fine, entro il 31 marzo di ciascun anno, il Sindaco trasmette la proposta di accordo al Ministro dell'economia.

Rispetto alla disciplina previgente, contenuta nella legge di stabilità 2012, l'attuale normativa prevede che in caso di mancato accordo, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, il concorso di Roma capitale alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica è determinato sulla base delle disposizioni applicabili ai restanti comuni.

Sono, infine previste, alcune specificazioni in merito alle modalità di computo del saldo finanziario utile ai fini del rispetto del patto di stabilità interno, prevedendo che siano escluse dal saldo:

  • le risorse trasferite dal bilancio dello Stato e le spese, nei limiti delle predette risorse, relative alle funzioni amministrative conferite a Roma capitale in attuazione dell'articolo 24 della legge delega n. 42/2009 e del decreto legislativo attuativo n. 61/2012;
  • le spese relative all'esercizio delle funzioni connesse al ruolo di capitale della Repubblica, di cui all’articolo 2 del D.Lgs. n. 61 del 2012 e di quelle inerenti gli interventi di sviluppo infrastrutturale, di cui all’articolo 3 del medesimo D.Lgs., finalizzati anche ai trasporti, connessi al ruolo di capitale della Repubblica, previa individuazione, nella legge di stabilità, della copertura degli eventuali effetti finanziari.

A tal riguardo, la circolare del Ministero dell’economia n. 5/2013 ha evidenziato, che il disposto di cui all’articolo 2 del D.Lgs. n. 61 del 2012, in materia di determinazione dei costi connessi al ruolo di capitale della Repubblica, non ha ancora avuto attuazione, né tantomeno sono state appostate nella legge di stabilità risorse da destinare allo scopo. Pertanto, allo stato non è possibile procedere all’esclusione delle spese in questione.

Si ricorda, inoltre, che l’articolo 1, comma 283, della legge di stabilità 2013, ha previsto l’esclusione, per il solo esercizio 2013, delle spese sostenute dal comune di Roma per la realizzazione del Museo Nazionale della Shoah nel limite complessivo di 3 milioni di euro. La predetta esclusione riguarda sia le spese correnti che quelle in conto capitale.

8. I riflessi delle regole del patto sulle previsioni di bilancio

Il comma 18 dell'articolo 31 della legge n. 183/2011 riguarda le modalità di predisposizione del bilancio di previsione degli enti sottoposti al patto di stabilità, prevedendo che esso debba essere approvato iscrivendo le previsioni di entrata e di spesa di parte corrente in misura tale che, unitamente alle previsioni dei flussi di cassa di entrate e spese di parte capitale, al netto delle riscossioni e delle concessioni di crediti, sia garantito il rispetto delle regole che disciplinano il patto.

A tal fine, è fatto obbligo agli enti locali di allegare al bilancio di previsione un apposito prospetto contenente le previsioni di competenza e di cassa degli aggregati rilevanti ai fini del patto di stabilità interno.

La finalità di tale disposizione è quella di far sì che il rispetto delle regole del patto di stabilità interno costituisca un vincolo all’attività programmatoria dell’ente, anche al fine di consentire all’organo consiliare di vigilare in sede di approvazione di bilancio.

Come rammentato nella circolare n. 5/2013, il prospetto contenente le previsioni di competenza e di cassa degli aggregati rilevanti ai fini del patto di stabilità interno, non è meramente dimostrativo di poste di bilancio, ma è finalizzato all’accertamento preventivo del rispetto del patto di stabilità interno. Esso, pertanto, pur non incidendo in maniera diretta sul bilancio, è da considerarsi elemento costitutivo del bilancio preventivo stesso, inteso come documento programmatorio complessivo adottato dall’ente. In tal senso si è infatti espressa la Sezione della Corte dei conti della Lombardia con la deliberazione n. 233/2008 ed il parere n. 421/2010.

Con riferimento, inoltre, alla gestione finanziaria, l’eventuale sforamento dei vincoli del patto di stabilità interno può essere oggetto di verifica da parte della magistratura contabile, al fine di segnalare il possibile scostamento agli organi elettivi dell’ente, in modo che possano intervenire in tempo utile per porre rimedio.

Si ricorda peraltro, per quanto concerne in particolare la gestione della spesa, che l’articolo 9, comma 1, lett. a), numero 2, del D.L. n. 78 del 2009 dispone che il funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa “ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica”. Ne discende, pertanto, che, oltre a verificare le condizioni di copertura finanziaria prevista dall’articolo 151 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), come richiamato anche nell’articolo 183 dello stesso TUEL, il predetto funzionario deve verificare anche la compatibilità della propria attività di pagamento con i limiti previsti dal patto di stabilità interno ed, in particolare, deve verificarne la coerenza rispetto al prospetto obbligatorio allegato al bilancio di previsione di cui al comma 18 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011. La violazione dell’obbligo di accertamento in questione comporta responsabilità disciplinare ed amministrativa a carico del predetto funzionario.

Si rammenta, infine, che, ai sensi dell’articolo 14, comma 1, lett. d), della legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196), il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, in virtù delle esigenze di controllo e di monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica, provvede ad effettuare, tramite i Servizi ispettivi di finanza pubblica, verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche. Tali Servizi, peraltro, essendo chiamati a svolgere verifiche presso gli enti territoriali volte a rilevare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica, effettuano controlli anche sull’andamento della gestione finanziaria rispetto agli aggregati rilevanti ai fini del patto di stabilità interno e sull’eventuale superamento dei vincoli imposti dallo stesso.

9. Monitoraggio del rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno

Come per gli anni passati, per il 2013 il monitoraggio del rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno prevede la rilevazione delle risultanze finanziarie di tutti gli enti soggetti al patto (province e comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti) anche al fine di acquisire elementi informativi utili per la finanza pubblica, anche con riferimento alla loro situazione debitoria.

Gli enti sono tenuti a trasmettere semestralmente al Ministero dell’economia e finanze – Ragioneria generale dello Stato, entro 30 giorni dalla fine del periodo di riferimento, le informazioni riguardanti le risultanze in termini di competenza mista, attraverso il sistema web (comma 19).

Il prospetto e le modalità di comunicazione delle informazioni richieste sono definiti con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato–regioni e autonomie locali. Con il medesimo decreto è definito altresì il prospetto dimostrativo dell’obiettivo determinato per ciascun ente.

La mancata trasmissione del prospetto contenente gli obiettivi programmatici entro 45 giorni dalla pubblicazione del relativo decreto costituisce inadempimento al patto di stabilità interno.

Come precisato nella Circolare n. 5/2013, le informazioni richieste sono quelle utili all’individuazione del saldo, espresso in termini di competenza mista, conseguito nell’anno di riferimento e cioè gli accertamenti e gli impegni, per la parte corrente, gli incassi e i pagamenti, per la parte in conto capitale, le entrate derivanti dalla riscossione di crediti, le spese derivanti dalla concessione di crediti e le altre esclusioni previste dalla norma.

Ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno, gli enti ad esso soggetti devono, inoltre, inviare al Ministero dell'economia (Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato), entro il termine perentorio del 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento, una certificazione del saldo finanziario conseguito in termini di competenza mista, sottoscritta dal rappresentante legale, dal responsabile del servizio finanziario e dall’organo di revisione economico-finanziaria. La norma sottolinea l’obbligatorietà di tale certificazione prevedendo, anche in questo caso, che la mancata trasmissione della certificazione entro il termine perentorio del 31 marzo costituisca inadempimento al patto di stabilità interno (comma 20).

Nel caso in cui la certificazione, sebbene in ritardo, sia trasmessa entro 60 giorni dal termine stabilito per l'approvazione del conto consuntivo ed attesti tuttavia il rispetto del patto di stabilità interno, allora si applicano all’ente, tra le sanzioni previste per inadempimento, soltanto quella relativa al divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo.

La legge di stabilità per il 2013 (articolo 1, comma 445), sostituendo gli ultimi due periodi del comma 20 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011, ha introdotto specifiche conseguenze nell’ipotesi di mancata trasmissione della certificazione decorsi 60 giorni dal termine stabilito per l'approvazione del rendiconto di gestione. In tale caso, l’organo di revisione, in qualità di commissario ad acta, è tenuto ad assicurare l'assolvimento dell'adempimento e a trasmettere la predetta certificazione entro i successivi 30 giorni. Fino a tale invio, le erogazioni di risorse o di trasferimenti all’ente locale da parte del Ministero dell'interno sono sospesi, su apposita segnalazione del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.

Il comma 446 della legge n. 228/2012 ha peraltro previsto – introducendo il comma 20-bis all’articolo 31 della legge n. 183/2011 - che, qualora l’ente locale registri un peggioramento del proprio posizionamento rispetto all'obiettivo del patto di stabilità interno rispetto a quanto già certificato, esso è tenuto comunque, ad inviare una nuova certificazione, a rettifica della precedente anche decorsi i 60 giorni dal termine stabilito per l'approvazione del rendiconto di gestione.

Le informazioni inviate dagli enti locali al Ministero dell’economia ai fini del monitoraggio devono essere messe a disposizione dell'UPI, dell'ANCI e delle Camere da parte del Ministero medesimo secondo modalità e con contenuti individuati tramite apposite convenzioni (comma 25).

Il comma 32 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011 reca una disposizione che prevede che i termini riguardanti gli adempimenti degli enti locali relativi al monitoraggio ed alla certificazione del patto di stabilità interno possano essere modificati con decreto del Ministro dell'economia, qualora intervengano modifiche legislative alla disciplina del patto di stabilità interno.

10. Misure sanzionatorie

Il comma 26 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011, come novellato dall’articolo 1, comma 439, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) riguarda le misure di carattere sanzionatorio applicabili, a regime, agli enti locali che non abbiano rispettato gli obiettivi del patto di stabilità.

Si ricorda che il sistema sanzionatorio per l’inadempienza del patto di stabilità interno è stato completamente ridefinito all’inizio della legislatura, con l’articolo 77-bis del D.L. n. 112/2008, rispetto alle misure correttive che erano state introdotte negli anni 2007-2008, basate su un meccanismo di automatismo fiscale. L’impianto sanzionatorio è stato sostanzialmente confermato, con alcuni inasprimenti, negli anni successivi e, da ultimo, ribadito nell’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, che, nell’ambito delle misure attuative della legge delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale, reca la disciplina dei meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, cui il comma 26 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011 rinviava. Con la legge di stabilità per il 2013, il citato comma 2 dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 149/2011 è stato integralmente recepito nel comma 26 dell’articolo 31.

Il sistema sanzionatorio dispone per gli enti inadempienti, nell'anno successivo a quello dell'inadempienza:

  • l’assoggettamento ad una riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato. Tale sanzione, quale riduzione dei trasferimenti erariali nella misura indicata, si applica anche agli enti locali della Regione siciliana e della regione Sardegna. In caso di incapienza dei predetti fondi, gli enti interessati dovranno versare le somme residue all’entrata del bilancio dello Stato. Conformemente con quanto indicato nel principio di delega di cui all’articolo 17, lettera e), della legge n. 42, la norma precisa che la sanzione in questione non si applica nel caso in cui il superamento degli obiettivi del patto di stabilità interno sia determinato dalla maggiore spesa per interventi realizzati con la quota di finanziamento nazionale e correlati ai finanziamenti dell'Unione Europea rispetto alla media della corrispondente spesa del triennio precedente.

    In merito, si ricorda che fino all’anno 2011, era fissato un limite massimo alla riduzione delle risorse, pari ad un importo comunque non superiore al 5 per cento (poi abbassata al 3 per cento dal D.L. n. 149/2011) delle entrate correnti registrate nell’ultimo consuntivo. Un limite massimo alla riduzione di risorse, nella misura del 5 per cento delle entrate correnti registrate nell'ultimo consuntivo, è stato da ultimo reintrodotto, in via straordinaria per il 2013, ai sensi dell’articolo 1, comma 447, della legge n. 228/2012, in favore degli enti locali che hanno avviato procedure di privatizzazione di società partecipate nell’anno 2012, con relativa riscossione conseguita entro il 28 febbraio 2013, che tuttavia non hanno raggiunto l’obiettivo finanziario del patto di stabilità 2012 per la mancata riscossione nell’anno 2012.

    Con riferimento specifico ai comuni, si ricorda che l’articolo 1, comma 380, della legge n. 228/2012 ha disposto la soppressione del Fondo sperimentale di riequilibrio comunale - nonché dei trasferimenti erariali a favore dei comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna, limitatamente alle tipologie di trasferimenti fiscalizzati – in ragione della complessiva ridefinizione della destinazione del gettito rinveniente dall’IMU e, conseguentemente, dei rapporti finanziari tra Stato e comuni, prima delineato dal D.Lgs. n. 23 del 2011 sul federalismo municipale, nell’ambito del quale la legge di stabilità 2013 in esame ha disposto l’abrogazione di numerose disposizioni. Contestualmente all’attribuzione dell’intero gettito IMU ai comuni (con l’eccezione di quello sugli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, che rimane allo Stato), viene istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, il Fondo di solidarietà comunale, alimentato da una quota dell'imposta municipale propria da definirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Pertanto, le disposizioni in materia di sanzioni che richiamano il fondo sperimentale di riequilibrio comunale o i trasferimenti erariali in favore dei comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna devono intendersi riferite al fondo di solidarietà comunale.

    • il divieto di impegnare spese di parte corrente in misura superiore all’importo annuale medio dei corrispondenti impegni effettuati nell’ultimo triennio.

      Ai fini dell’applicazione della suddetta sanzione, la Circolare del Ministero dell’economia e finanze 7 febbraio 2013, n. 5, esplicativa del patto di stabilità interno per i comuni e le province per il triennio 2013-2015, ha precisato che i limiti agli impegni si applicano alle spese correnti identificate dal Titolo I della spesa, senza alcuna esclusione;

      • il divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare gli investimenti.

        Per quanto concerne la contrazione di mutui e di prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni creditizie o finanziarie per il finanziamento degli investimenti, si precisa, in linea con la normativa vigente, che essi devono essere corredati da apposita attestazione, da cui risulti il conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno per l’anno precedente. In assenza della predetta attestazione, l’istituto finanziatore o l’intermediario finanziario non può procedere al finanziamento o al collocamento del prestito.

        La Circolare n. 5/2013 ha precisato in merito che, ai fini dell’applicazione della sanzione, il divieto non opera nei riguardi delle devoluzioni di mutui già in carico all’ente locale contratti in anni precedenti. Non rientrano, inoltre, nel divieto le operazioni che non configurano un nuovo debito, quali i mutui e le emissioni obbligazionari, il cui ricavato è destinato all’estinzione anticipata di precedenti operazioni di indebitamento, che consentono una riduzione del valore finanziario delle passività, né le sottoscrizioni di mutui la cui rata di ammortamento è a carico di un’altra amministrazione pubblica.

        • il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento a processi di stabilizzazione in atto. E’ fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della sanzione.

          In relazione a tale disposizione, la Circolare n. 5/2013 ha precisato che devono considerarsi riconducibili alla spesa di personale degli enti locali le spese sostenute da tutti gli organismi variamente denominati (istituzioni, aziende, fondazioni, ecc.) che non abbiano indicatori finanziari e strutturali tali da attestare una sostanziale posizione di effettiva autonomia rispetto all’amministrazione controllante. La Circolare evidenzia, altresì, che il divieto di assunzione sussiste per tutti gli enti in cui il rapporto tra spesa di personale(comprensiva delle spese di personale delle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo[1]) e spesa corrente sia pari o superiore al 50%;

          • l’obbligo di procedere ad una rideterminazione delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza, indicati nell'articolo 82 del TUEL (D.Lgs. n. 267/2000), apportando una riduzione del 30% rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2010.

            La Circolare n. 5/2013 ha precisato che la sanzione in questione si applica soltanto nei confronti degli amministratori in carica nell’esercizio in cui è avvenuta la violazione dei vincoli del patto di stabilità interno (il sindaco, il presidente della provincia, il sindaco metropolitano, il presidente della comunità montana, i presidenti dei consigli circoscrizionali dei soli comuni capoluogo di provincia, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, nonché i componenti degli organi esecutivi dei comuni e ove previste delle loro articolazioni, delle province, delle città metropolitane, delle comunità montane, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali).

            I successivi commi 28 e 29 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011 fanno riferimento alle ipotesi in cui la violazione del patto di stabilità interno sia accertata successivamente all'anno seguente a quello cui la violazione si riferisce. In tal caso, il comma 28 prevede che si applichino, nell'anno successivo a quello in cui è stato accertato il mancato rispetto del patto di stabilità interno, le sanzioni sopra elencate, di cui al comma 26.

            Gli enti locali sono tenuti a comunicare l'inadempienza al Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato entro 30 giorni dall'accertamento della violazione del patto di stabilità interno (comma 29).

            11. Misure antielusive delle regole del patto

            A partire dal 2011, con il D.L. n. 98/2011, sono state introdotte nuove misure 'antielusive' delle regole del patto di stabilità interno, poi confermate per gli anni successivi, finalizzate a scoraggiare l’adozione di mezzi elusivi per addivenire ad un rispetto solo formale del patto.

            Secondo quanto evidenziato dalla Corte dei Conti nel Rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica, tra le pratiche elusive del patto di stabilità interno rivestono maggiore incidenza, in termini quantitativi, nell’esperienza delle Sezioni regionali di controllo, operazioni contabili che si sostanziano nell’utilizzo improprio dei servizi per conto terzi (c.d. partite di giro) . Essendo, infatti, poste, queste, che non rilevano ai fini del calcolo dei saldi del patto di stabilità interno, la non corretta imputazione contabile delle entrate e delle spese alle partite di giro è suscettibile di determinare effetti distorsivi sul patto.

            Tra le condotte elusive assumono peraltro particolare rilievo alcuni istituti o prassi che, pur ammessi nel quadro normativo vigente, possono assumere carattere distorsivo sul patto di stabilità ove distolti dal fine proprio: è il caso delle esternalizzazioni con finalità elusive, dell’utilizzo improprio di alcuni strumenti contrattuali, quali il leasing immobiliare, il project financing, il sale and lease back, l’accollo del debito. Ma rilevano, soprattutto, prassi che, per un verso, contravvengono al principio di integrità e universalità del bilancio, come nel caso del rinvio a successivi esercizi di pagamenti eccedenti i limiti previsti dal patto con conseguente formazione di debiti fuori bilancio, e che per altro verso contraddicono il principio di veridicità del bilancio, come nel caso della sovrastima delle entrate accertate per effetto di una non corretta valutazione dei presupposti per l’accertamento.

            In tali casi, le norme introdotte dall’articolo 20, commi 10 e 12, del D.L. n. 98 e confermate dalla legge di stabilità 2012 (articolo 31, commi 30 e 31) dispongono:

            a)    la nullità dei contratti di servizio e degli altri atti posti in essere dalle regioni e dagli enti locali che si configurano elusivi delle regole del patto di stabilità interno.

            Si ricorda, al riguardo, che la normativa previgente del patto (articolo 1, comma 119, della legge n. 220/2010) già recava il divieto di stipulare contratti di servizio che si configurassero come elusivi della disposizione/sanzione che vieta nuove assunzioni agli enti locali ed alle regioni che risultino inadempienti al patto.

            b)   sanzioni pecuniarie per i responsabili di atti elusivi delle regole del patto.

            In particolare, il comma assegna alle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti - qualora accertino che il rispetto del patto di stabilità interno è stato artificiosamente conseguito mediante una non corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio o altre forme elusive - il compito di irrogare le seguenti sanzioni pecuniarie:

            • fino a 10 volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione dell’elusione, per gli amministratori che hanno posto in essere atti elusivi;
            • fino a 3 mensilità del trattamento retributivo, al netto degli oneri fiscali e previdenziali, per il responsabile del servizio economico-finanziario.