Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento finanze | ||||
Titolo: | Modifica dell'articolo 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 concernente il contrasto dell'elusione fiscale e dell'abuso del diritto in materia tributaria AA.CC. 2521-2578-2709 | ||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 437 | ||||
Data: | 22/02/2011 | ||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VI-Finanze |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Modifica dell’articolo 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 concernente il contrasto dell’elusione fiscale e dell’abuso del diritto in materia tributaria AA.CC. 2521-2578-2709 |
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n. 437 |
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22 febbraio 2011 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Finanze ( 066760-9496 – * st_finanze@camera.it |
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File: FI0448.doc |
INDICE
Schede di lettura
L’abuso del diritto nell’elaborazione giurisprudenziale........................................ 3
Le disposizioni oggetto di modifica (articolo 37-bis del D.P.R. 600/1973)......... 5
L’A.C. 2521 Leo................................................................................................... 8
L’A.C. 2578 Strizzolo......................................................................................... 11
L’A.C. 2079 Jannone......................................................................................... 13
Le proposte di legge A.C. 2521 Leo, A.C. 2578 Strizzolo e A.C. 2709 Jannone recano norme volte a codificare e disciplinare nell’ordinamento tributario la fattispecie dell’abuso del diritto.
La dottrina[1] ha definito l’abuso del diritto come l’utilizzo di singole disposizioni dell’ordinamento giuridico secondo modalità che, pur rispettando la lettera delle specifiche norme utilizzate, portano a un risultato difforme o addirittura antitetico rispetto ai principi e alle finalità che sottendono all’ordinamento giuridico di cui quelle stesse norme sono parte.
In ambito tributario, l’abuso del diritto consiste nell’utilizzo, anche combinato, delle norme di diritto positivo che disciplinano il sistema fiscale, al fine di ottenere risparmi di imposta che, seppure coerenti rispetto alla lettera delle specifiche norme di riferimento, risultano contrari alle logiche e ai principi cui è informato l’intero ordinamento tributario.
La necessità di codificare a livello legislativo l’istituto dell’abuso del diritto nasce a seguito della formazione, in seno alla Corte di Cassazione, di un indirizzo giurisprudenziale secondo il quale sono inopponibili all'erario tutte le operazioni che configurano fattispecie di abuso del diritto in materia tributaria.
In un primo momento (anni 2000-2002[2]), la Corte di Cassazione, posta innanzi alla questione dell’elusione fiscale e, in particolare, dei limiti entro cui essa può dar luogo ad atti che vengano dichiarati privi di efficacia nei confronti della Amministrazione, ha qualificato come elusivi, quindi irrilevanti nei confronti del Fisco, solo quei comportamenti che tali sono definiti da una legge dello Stato vigente al momento in cui essi sono venuti in essere.
Tale orientamento è stato messo successivamente in discussione a seguito della sentenza Halifaxdella Corte di Giustizia UE (causa C-255/02, depositata il 21 febbraio 2006) nella quale, in sostanza, sono stati riqualificati a fini Iva i comportamenti del contribuente, in ragione della natura “abusiva del diritto” degli stessi.
La Corte di Giustizia in quell’occasione ha precisato che, per parlarsi di comportamento abusivo le operazioni controverse devono - nonostante l'applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della legislazione comunitaria e della legislazione nazionale di recepimento - procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all'obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni. Deve altresì risultare da un insieme di elementi obiettivi che le dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale.
Si è quindi registrata un’evoluzione interpretativa da parte della Corte di Cassazione, concretizzatosi in alcune pronunce della fine del 2005 (Cass. n. 20398 del 21 ottobre 2005, n. 20816 del 26 ottobre 2005 e n. 22932 del 14 novembre 2005).
In particolare, la sentenza n. 20816/2005 ha enunciato il principio di diritto secondo cui "l'Amministrazione finanziaria, quale terzo interessato alla regolare applicazione delle imposte, è legittimata a dedurre (prima in sede di accertamento fiscale e poi in sede contenziosa) la simulazione assoluta o relativa dei contratti stipulati dal contribuente, o la loro nullità per frode alla legge, ivi compresa la legge tributaria (art. 1344 c.c.); la relativa prova può essere fornita con qualsiasi mezzo, anche attraverso presunzioni".
La Corte dunque, anche con riferimento ai “tributi non armonizzati” (ovvero soggetti alla piena normativa degli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri) ha avanzato il principio del disconoscimento o della riqualificazione fiscale degli atti, fatti e negozi posti in essere dal contribuente, in presenza di presupposti integranti i profili dell’elusione o comunque dell’abuso di diritto.
Dal 2006 e fino alla fine del 2008, la Corte di Cassazione ha affermato la sussistenza di detto principio facendo principalmente rinvio alla giurisprudenza comunitaria.
Nel 2008 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con tre sentenze (n. 30055, n. 30056 e n. 30057 del 23 dicembre 2008), si sono pronunciate sulla questione, enunciando alcuni fondamentali principi di diritto:
- esiste nell’ordinamento tributario un generale principio antielusivo, la cui fonte va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria, quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano, segnatamente nell’articolo 53 della Costituzione che afferma i principi di capacità contributiva (comma 1) e di progressività dell'imposizione (comma 2).
Essi, a parere della Cassazione, costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi.
In virtù di tale principio generale il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, “in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”;
- l’esistenza di questo principio non contrasta né con le successive norme antielusive sopravvenute, che appaiono “mero sintomo” dell’esistenza di una regola generale, né con la riserva di legge di cui all’articolo 23 della Costituzione, in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso non si traduce nell’imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, ma solamente nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione delle norme fiscali;
- l’inopponibilità del negozio abusivo all'erario è rilevabile d’ufficio, anche in sede di legittimità. La Corte ricorda che, per costante giurisprudenza, sono infatti rilevabili d'ufficio le eccezioni poste a vantaggio dell'amministrazione in una materia, come è quella tributaria, da essa non disponibile; il carattere elusivo dell'operazione può d'altro canto desumersi, senza necessità di alcuna ulteriore indagine di fatto, sulla base della compiuta descrizione che se ne rinviene in atti.
Da ultimo, la Corte di Cassazione (sentenza n. 1372 del 21 gennaio 2011) si è pronunciata sul tema dell’onere della prova nel caso sia contestato al contribuente l’abuso del diritto. Essa ha affermato che l’applicazione del principio dell’abuso del diritto comporta per l’Amministrazione finanziaria l’onere di provare le anomalie o le inadeguatezze delle operazioni intraprese dal contribuente cui compete allegare le finalità perseguite, diverse dal mero vantaggio consistente nella diminuzione del carico tributario.
Tutte le proposte di legge in commento propongono di modificare l'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1973, n. 600[3], che reca disposizioni antielusive.
Il comma 1 dell’articolo 37-bis, nella formulazione vigente, dispone l’inopponibilità all'amministrazione finanziaria degli atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro, se:
a) privi di valide ragioni economiche;
b) diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti.
Ai sensi del comma 2, l'amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante i suddetti atti, fatti e negozi, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione.
Il comma 3 dispone che le norme antielusive si applicano a condizione che siano utilizzate una o più delle seguenti operazioni:
a) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;
b) conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende;
c) cessioni di crediti;
d) cessioni di eccedenze d'imposta;
e) operazioni di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 544, recante disposizioni per l'adeguamento alle direttive comunitarie relative al regime fiscale di fusioni, scissioni, conferimenti d'attivo e scambi di azioni, nonché il trasferimento della residenza fiscale all'estero da parte di una società;
f) operazioni, da chiunque effettuate, incluse le valutazioni e le classificazioni di bilancio, aventi ad oggetto i beni ed i rapporti di cui all'articolo 81, comma 1, lettere da c) a c-quinquies) del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917
Si tratta delle plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate e di quelle ad esse assimilate; delle plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di azioni e di ogni altra partecipazione al capitale o al patrimonio di società di persone e di capitali (articolo 5 e 73 TUIR), di diritti o titoli attraverso cui possono essere acquisite le predette partecipazioni (nonché di quelle assimilate); delle plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso i rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreché siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d'investimento collettivo; dei redditi comunque realizzati mediante rapporti da cui deriva il diritto o l'obbligo di cedere od acquistare a termine strumenti finanziari, valute, metalli preziosi o merci ovvero di ricevere o effettuare a termine uno o più pagamenti collegati a tassi di interesse, a quotazioni o valori di strumenti finanziari, di valute estere, di metalli preziosi o di merci e ad ogni altro parametro di natura finanziaria; delle plusvalenze e degli altri proventi realizzati mediante cessione a titolo oneroso o chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.
f-bis)cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate tra i soggetti ammessi al regime della tassazione di gruppo (di cui all'articolo 117 del TUIR);
f-ter) pagamenti di interessi e canoni corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell'Unione europea, qualora detti pagamenti siano effettuati a soggetti controllati direttamente o indirettamente da uno o più soggetti non residenti in uno Stato dell'Unione europea;
f-quater)pattuizioni intercorse tra società controllate e collegate (ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile), una delle quali avente sede legale in uno Stato o territorio diverso da quelli che consentono un adeguato scambio di informazioni a fini fiscali (cd. paesi white list, articolo 168-bis del TUIR), aventi ad oggetto il pagamento di somme a titolo di clausola penale, multa, caparra confirmatoria o penitenziale.
Ai sensi del comma 4, l’amministrazione emana avviso di accertamento, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente di chiarimenti, da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta. In tale richiesta devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili le disposizioni antielusive.
L’avviso di accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente e le imposte o le maggiori imposte devono essere calcolate tenendo conto di quanto previsto al comma 2, secondo cui l’Amministrazione applica le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione (comma 5).
Le imposte o le maggiori imposte così accertate sono iscritte a ruolo, unitamente ai relativi interessi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale (comma 6).
Il comma 7 reca disposizioni di tutela in favore degli altri soggetti - diversi dai destinatari delle norme antielusione – che hanno partecipato alle operazioni abusive e che hanno pagato imposte a seguito dei comportamenti disconosciuti dall'amministrazione finanziaria; essi possono richiedere il rimborso delle imposte pagate proponendo, a tal fine, istanza di rimborso all'amministrazione entro un anno dal giorno in cui l'accertamento è divenuto definitivo o è stato definito mediante adesione o conciliazione giudiziale. L’amministrazione provvede nei limiti dell'imposta e degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tali procedure.
Infine, il comma 8 dispone la disapplicazione delle norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, ove il contribuente dimostri che, nella particolare fattispecie, tali effetti elusivi non potevano verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione.
Le modalità per l'applicazione del comma 8 sono state disciplinate con D.M. 19 giugno 1998, n. 259.
L’articolo 1, comma 1 dell’A.C. n. 2521 propone l’integrale sostituzione del citato articolo 37-bis del D.P.R. 600/1973.
In primo luogo, viene parzialmente riformulato il comma 1, recante la definizione delle fattispecie inopponibili all’Amministrazione finanziaria. Si mantiene la previsione dell’inopponibilità di atti, fatti e negozi – anche collegati tra loro – privi di valide ragioni economiche e volti ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi altrimenti indebiti.
Rispetto all’attuale formulazione, si specifica che la predetta inopponibilità si applica solo a condizione che i comportamenti indicati siano diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario.
La Relazione illustrativa precisa, sul punto, che tale specificazione intende “ribadire chiaramente che, dal punto di vista fiscale, sono censurabili solo quegli atti (anche plurimi e concatenati tra loro) con cui il contribuente si serve di una fattispecie negoziale artificiosa, la quale non si pone, dal punto di vista del sistema tributario, sullo stesso piano della struttura negoziale ‘ordinaria’”. La Relazione collega i criteri per valutare la legittimità del risparmio d'imposta alla collocazione del comportamento del contribuente - e, conseguentemente, della normativa applicata - nell'ambito dell'ordinamento tributario. In particolare, il risparmio d'imposta conseguito va considerato lecito se la normativa applicata dal contribuente si colloca, nel sistema, su un piano di “pari dignità” rispetto ad altre normative che conducono a risultati equivalenti (dal punto di vista economico): “in altri termini, per valutare se un risparmio d'imposta è legittimo ovvero illegittimo (in quanto derivante da pratiche elusive o abusive), occorre considerare se il risultato ottenuto è disapprovato dall'ordinamento tributario; ciò accadrà, con tutta evidenza, quando il legislatore non era a conoscenza della possibilità di dar luogo a quelle forme di risparmio fiscale per effetto della concatenazione di una serie di atti (perché, se lo avesse saputo, avrebbe creato una norma antielusiva ad hoc). In tali casi, infatti, il contribuente pone in essere una serie di atti concatenati tra loro al solo scopo di “carpire” la buona fede del legislatore”. Si precisa inoltre che alla nozione di “aggiramento di obblighi e di divieti” corrisponde una ricaduta procedimentale, dal momento che l'avviso di accertamento dovrà individuare con chiarezza gli obblighi e i divieti aggirati dal contribuente. L’amministrazione dovrà evidenziare sia il comportamento assunto dal contribuente (e le motivazioni per le quali tale comportamento configura una pratica elusiva o abusiva) sia il comportamento che correttamente il contribuente avrebbe dovuto tenere per non incorrere in una censura da parte del fisco.
Sembrerebbe in proposito opportuno valutare l’opportunità di specificare in norma i predetti criteri - illustrati dalla Relazione che accompagna il provvedimento - che dovrebbero presidiare alla valutazione dell’eventuale abusività del comportamento del contribuente.
La proposta in esame aggiunge poi un periodo alla fine dell’attuale comma 2dell’articolo 37-bis. Si prevede che alla riqualificazione sul piano fiscale operata dall'amministrazione finanziaria corrisponda l'inapplicabilità di qualsiasi sanzione penale.
La proposta in esame mira a eliminare il vigente comma 3 dell'articolo 37-bis in quanto, precisa la Relazione che accompagna la proposta, esso limita l'applicazione delle norme antielusive solo al comparto delle imposte dirette e con riferimento a talune operazioni tassativamente indicate.
Il comma 3 sostituito dalla proposta in esame reca, dunque, disposizioni in materia di avviso di accertamento al contribuente.
Le norme vigenti prescrivono (articolo 37-bis, commi 4 e 5, come si è visto supra) che esso sia emanato, a pena di nullità, previa richiesta di chiarimenti - anche per lettera raccomandata - al contribuente, che deve inviarli per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta. Quest’ultima deve indicare i motivi per cui si reputano applicabili le norme antielusive. L’avviso è specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente.
La proposta in commento ribadisce la previa necessità di richiesta di chiarimenti al contribuente, anche per lettera raccomandata che, rispetto alla formulazione vigente, si propone sia spedita con avviso di ricevimento.
Si intende inoltre estendere le predette garanzie per il contribuente a ogni contestazione avente a oggetto l'elusione, l'aggiramento o l'abuso di norme tributarie.
Anche le modifiche proposte al comma 4 concernono l'avviso di accertamento, ribadendo l’obbligo di motivazione a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente e ribadendosi altresì le indicazioni sulle modalità di calcolo delle imposte o maggiori imposte dovute.
La proposta aggiunge un periodo al comma 4, ai sensi del quale in nessun caso le disposizioni antielusive del comma 1 possono essere applicate d'ufficio dal giudice, in qualsiasi stato e grado del giudizio, in mancanza di specifica e motivata contestazione nell'avviso di accertamento impugnato, con le modalità e con le garanzie per il contribuente stabilite nella norma proposta. Tale previsione è estesa ad ogni contestazione avente ad oggetto l'elusione, l'aggiramento o l'abuso di norme tributarie.
La Relazione illustrativa precisa che con tale previsione si intende evitare “che l'affidamento del contribuente venga compromesso dalla rilevazione d'ufficio, da parte del giudice, del cosiddetto ‘abuso del diritto’. Ciò in quanto l'assenza della contestazione nell'atto impositivo originario renderebbe impossibile al contribuente l'adeguato esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito”.
La formulazione dei commi 5, 6 e 7 della proposta mantengono fermi, rispettivamente, il contenuto dei commi 6, 7 e 8 del vigente articolo 37-bis, precedentemente illustrato.
Infine, il comma 8riformulato dalla proposta in commento sancisce l’applicazione delle norme in materia di abuso alle imposte sui redditi e indirette, alle tasse e a ogni altra prestazione avente natura tributaria, anche a carattere locale, ampliando di fatto l’ambito applicativo attualmente vigente.
La Relazione illustrativa precisa al riguardo che si intende rendere, “anche sulla base delle conclusioni interpretative cui è pervenuta la Corte di cassazione, […] censurabili, ai sensi della normativa proposta, tutti i comportamenti elusivi o abusivi indipendentemente dal comparto impositivo di riferimento”.
Il comma 2 dell’articolo 1 della proposta conferisce efficacia retroattiva alla novella introdotta, derogando alle disposizioni poste a tutela dei diritti del contribuente dall'articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212.
Tale disposizione, si legge nella Relazione, “è volta in realtà a favorire la certezza dei rapporti tra il cittadino e l'amministrazione finanziaria. Considerata, infatti, la natura delle norme che la presente proposta di legge mira ad introdurre, la loro applicazione retroattiva ai rapporti ancora pendenti (ossia per i quali non sia intervenuta una sentenza definitiva) alla data di entrata in vigore della legge evita - per quanto possibile - disparità nell'applicazione di norme aventi un carattere solo formalmente innovativo, ma sostanzialmente volte a consolidare e precisare alcuni elementi di garanzia nell'applicazione delle già vigenti misure antielusive”.
L’articolo 2 fissa l'entrata in vigore della legge nel giorno successivo alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Anche l’A.C. 2578 interviene sull'articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
A differenza di quanto previsto dall’A.C. 2521, non ne viene sostituito integralmente il contenuto, ma si propone di apportare alcune modifiche alle disposizioni vigenti.
L’articolo 1, comma 1, lettera a) in primo luogo sostituisce la rubrica dell’articolo 37-bis, inserendovi uno specifico riferimento alla finalità di contrasto all’abuso del diritto.
La lettera b) novella il comma 1 della citata norma, specificando che la finalità di aggiramento di obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario si può concretare anche mediante abuso del diritto, e pur se non venga violata alcuna specifica disposizione di legge.
Si definisce inoltre la fattispecie di abuso del diritto a fini antielusivi, da intendersi – in recepimento dell’indirizzo giurisprudenziale consolidato nel tempo - come l'utilizzo distorto o artificioso di una o più disposizioni di legge, precipuamente finalizzato a ottenere vantaggi fiscali illegittimi o, comunque, contrari alle finalità perseguite dalla normativa tributaria.
La Relazione che accompagna il provvedimento precisa che “in sostanza, si ritiene che elusione e abuso di diritto siano facce diverse di un medesimo fenomeno, che si concretizza in un risparmio d'imposta contrario alle finalità perseguite dalla normativa fiscale: l'abuso di diritto, in quest'ottica, va inteso essenzialmente come un mezzo idoneo a perseguire il fine elusivo”.
La lettera c)inserisce nell’articolo il comma 1-bis, che fa salva per il contribuente la facoltà di scegliere le forme giuridiche negoziali o i modelli organizzativi che comportano l'applicazione del regime d'imposizione più favorevole.
Sotto il profilo della formulazione del testo, si valuti l’opportunità di premettere la disposizione del comma 1-bis alla novellata formulazione del comma 1, per meglio coordinare il rapporto regola-eccezione tra la libertà negoziale del contribuente nella scelta delle forme giuridiche più consone e l’obbligo di non porre in essere fattispecie elusive, anche nella forma dell’abuso del diritto.
Ai sensi della lettera d), le modifiche proposte al comma 2 dell’articolo 37-bis sono volte a inserirvi il riferimento all’abuso del diritto.
Si osserva che la Relazione illustrativa, in rapporto alle modifiche al comma 2, fa riferimento alla “inapplicabilità, nelle fattispecie previste dal comma 1, di qualsiasi norma sanzionatoria, anche penale”, di cui però non vi è traccia nell’articolato.
Anche le disposizioni in esame propongono di modificare il comma 3 dell’articolo 37-bis al fine di eliminare le vigenti limitazioni all’applicazione delle norme antielusive.
In particolare, (lettera e)), il novellato comma 3 reca la disciplina della successione delle norme nel tempo. In particolare, ferme le novellate disposizioni antielusive (commi 1, 1-bis e 2), vengono fatti salvi gli effetti delle operazioni che prima della data di entrata in vigore delle norme in commento non rappresentavano fattispecie elusiva.
Infine (lettera f)), le disposizioni in commento propongono di modificare il comma 5, specificando – rispetto alla norma vigente – che l'obbligo di motivazione specifica dell’avviso di accertamento non deve più riguardare le giustificazioni del contribuente, bensì le circostanze di fatto per le quali si ritiene applicabile il disposto delle disposizioni antielusive di cui al comma 1, e che si debba tener conto delle suddette giustificazioni del contribuente.
Anche l’A.C. 2079 , con analoghe finalità, intende intervenire sull'ordinamento tributario vigente per contrastare il cosiddetto abuso di diritto, intervenendo sull'articolo 37-bis del DPR 600/1973.
L’articolo 1, comma 1, lettere da a) a c) della proposta recano disposizioni analoghe a quelle contenute nell’articolo 1, comma 1, lettere da b) a d) dell’A.C. 2578.
In particolare, la lettera a)novella il comma 1dell’articolo 37-bis, specificando che la finalità di aggiramento di obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario si può concretare anche mediante abuso del diritto, e pur se non venga violata alcuna specifica disposizione di legge; si definisce la fattispecie di abuso del diritto a fini antielusivi, da intendersi come l'utilizzo distorto o artificioso di una o più disposizioni di legge, precipuamente finalizzato a ottenere vantaggi fiscali illegittimi o, comunque, contrari alle finalità perseguite dalla normativa tributaria.
La successiva lettera b) inserisce il comma 1-bis, che fa salva per il contribuente la facoltà di scegliere le forme giuridiche negoziali o i modelli organizzativi che comportano l'applicazione del regime d'imposizione più favorevole.
In merito, si veda quanto osservato relativamente al comma 1-bis inserito dall’articolo 1, comma 1, lettera b) dell’A.C. 2578.
La lettera c) novella il comma 2 dell’articolo 37-bis al fine di inserirvi il riferimento all’abuso del diritto. Rispetto alla formulazione proposta con l’A.C. 2578, si specifica che viene preclusa, in ogni caso, l'applicazione di qualsivoglia sanzione anche penale.
La lettera d) abroga il vigente comma 3 (con l’effetto di espandere oltre i vigenti limiti l’applicazione delle disposizioni antielusive e, in particolare, quelle relative all’abuso del diritto), mentre la successiva lettera e) sostituisce il comma 5 dell’articolo 37-bis, con norma analoga a quella introdotta dall’articolo 1, comma 1, lettera f) dell’A.C. 2578.
Si specifica dunque – rispetto alla norma vigente – che l'obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento non deve più riguardare le giustificazioni del contribuente, bensì le circostanze di fatto per le quali si ritiene applicabile il disposto delle disposizioni antielusive di cui al comma 1, e che si debba tener conto delle giustificazioni del contribuente.
La lettera f) modifica la rubrica dell’articolo 37-bis aggiungendovi, in fine, il riferimento alla finalità di contrasto dell'abuso di diritto.
Il comma 2 dell’articolo 1 reca disposizioni volte a disciplinare l’efficacia temporale delle norme proposte. Sono a tal fine fatti salvi gli effetti delle operazioni effettuate anteriormente alla data di entrata in vigore della disposizione in commento, diverse da quelle elencate nell’attuale formulazione del comma 3 dell'articolo 37-bis del D.P.R. 600/1973.
Vengono altresì fatte salve le operazioni relative agli utili percepiti dall'usufruttuario, quando la costituzione o la cessione del diritto di usufrutto è stata effettuata da soggetti non residenti privi di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, se poste in essere prima del 10 settembre 1992 (data di entrata in vigore del decreto-legge 9 settembre 1992, n. 372[4]).
La Relazione illustrativa precisa al riguardo che tale disposizione prevede la cessazione della materia del contendere per le controversie sul “dividend washing” e “dividend stripping”.
Per dividend washing si intende l’operazione di acquisto di titoli azionari da un fondo di investimento con cedole in favore di una società di capitali. Prima del 10 settembre 1992, con tali operazioni il fondo trasformava i dividendi in via di pagamento sui titoli da cedere (soggetti a ritenuta) in una plusvalenza da vendita di titoli (fiscalmente irrilevante). La società di capitali incassava il dividendo e acquisiva il connesso credito d'imposta –non spettante al fondo -, facendo seguire (a breve distanza) l’operazione da una rivendita degli stessi titoli al cedente originario. La convenienza era legata al credito d'imposta, interdetto al dante causa e permesso al compratore. L'articolo 7-bis del D.L. n. 372 del 1992 ha disposto che, dal 10 novembre 1992, non spetti il credito d'imposta sugli utili la cui distribuzione è stata deliberata anteriormente alla data di acquisto, per i soggetti che acquistano dai fondi comuni d'investimento o da SICAV.
La norma in commento sembra più puntualmente fare riferimento al dividend stripping, con cui si intende l’acquisizione da una società non residente dell'usufrutto su titoli di una società residente e controllata, con vantaggio individuabile nello scomputo del credito d'imposta, operazione non ammessa in favore del non residente, in quanto contribuente straniero.
In un primo momento la Corte di Cassazione aveva ritenuto lecite (sentenza n. 3979 del 2000) le operazioni di dividend washing effettuate prima del 10 novembre 1992, posto che il mero risparmio fiscale non era ritenuto di per sé bastevole a configurare una violazione di norme, essendo a tale scopo necessaria un’apposita disposizione antielusiva.
La citata sentenza delle Sezioni Unite n. 30055 del 2008, come già rilevato nell’introduzione al presente dossier, ha sancito l’esistenza di un principio generale dell’abuso del diritto, che configura determinate operazioni come elusive anche in assenza di specifiche norme di legge, con la conseguente rilevabilità d'ufficio della inopponibilità all'erario del negozio abusivo.
[1] Cfr. E. Zanetti, “Abuso del diritto: in particolare sulla rilevabilità d’ufficio e sull’applicazione delle sanzioni” , in “il fisco” n. 38 del 18 ottobre 2010, pag. 1-6123.
[2] Cass. 3 aprile 2000, n. 3979; 3 settembre 2001, n. 11351; 7 marzo 2002, n. 3345.
[3] Recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi.
[4] Recante disposizioni urgenti, concernenti modificazioni al trattamento tributario di taluni redditi di capitale, semplificazioni di adempimenti procedurali e misure per favorire l'accesso degli investitori al mercato di borsa tramite le gestioni patrimoniali e convertito, con modificazioni, dalla legge 5 novembre 1992, n. 429.