Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||
Titolo: | Disposizioni in tema di intercettazioni - AA.C. 406 e 1415 (Schede di lettura e riferimenti normativi) | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 28 | ||
Data: | 21/07/2008 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | II-Giustizia |
Camera dei deputati
XVI LEGISLATURA
SERVIZIO STUDI
Progetti di legge
Disposizioni in tema di intercettazioni
AA.C. 406 e 1415
Schede di lettura e riferimenti normativi
n. 28
21 luglio 2008
Dipartimento giustizia
SIWEB
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File: GI0033.doc
INDICE
Il contenuto delle proposte di legge
Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE (a cura dell'Ufficio Rapporti con l'Unione europea)
§ Codice di Procedura Civile (artt. 40, 737, 742)
§ Codice Penale. (artt. 57-bis, 379-bis, 600-ter, 600-quinquies, 614, 617, 617-quater, 648-bis, 648-ter, 684)
§ Codice di Procedura Penale (artt. 36, 51, 53, 114, 115, 127, 203, 220, 266, 266-bis, 267-271, 292, 293, 295, 322-bis, 329, 335, 359, 360, 369, 380, 391-quater, 391-quinquies, 407, 431)
§ Norme di attuazione di coordinamento e transitorie del Codice di Procedura Penale (artt. 89 e 129)
§ L. 8 febbraio 1948 n. 47. Disposizioni sulla stampa (art. 8)
§ L. 4 agosto 1955, n. 848. Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 (artt. 8 e 10)
§ L. 8 aprile 1974 n. 98. Tutela della riservatezza e della libertà e segretezza delle comunicazioni (art. 9)
§ L. 24 novembre 1981 n. 689. Modifiche al sistema penale (art. 18)
§ D.L. 13 maggio 1991 n. 152. Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 12 luglio 1991, n. 203 (art. 13)
§ L. 14 gennaio 1994, n. 20. Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti.
§ Decreto del Ministero delle comunicazioni 26 aprile 2001. Approvazione del listino relativo alle prestazioni obbligatorie per gli organismi di telecomunicazioni
§ D.L. 18 ottobre 2001 n. 374. Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 15 dicembre 2001, n. 438
§ L. 20 giugno 2003 n. 140. Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato (art. 6)
§ D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196. Codice in materia di protezione dei dati personali (artt. 8, 11, 17, 123, 132, 137, 139, 143, 154, 165, 167, 170)
§ D.Lgs. 1 agosto 2003 n. 259. Codice delle comunicazioni elettroniche (art. 96)
§ D.P.R. 11 luglio 2003 n. 284. Regolamento recante norme sulle procedure istruttorie dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di pubblicità ingannevole e comparativa (art. 15)
§ D.Lgs. 31 luglio 2005 n. 177. Testo unico della radiotelevisione (art. 32)
§ D.L. 22 settembre 2006, n. 259. Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, L. 20 novembre 2006, n. 281
§ L. 24 dicembre 2007, n. 244. Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008) (art. 2, co. 82 e 83)
Giurisprudenza costituzionale
§ Sentenza n. 81/1993
§ Sentenza n. 281/1998
Nel nostro ordinamento il principio della libertà e segretezza di ogni forma di comunicazione è sancito all'art. 15, della Costituzione, che al comma 1 afferma che «la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili».[1].
La disposizione costituzionale citata, unitamente a quella di cui all'art. 14, comma 1, Cost. ("Il domicilio è inviolabile") integra il disposto dell'art. 13, comma 1, Cost. ("La libertà personale è inviolabile"), concorrendo in tal modo alla definizione del più generale principio della inviolabilità della persona umana.
Tale ravvisata strumentalità della libertà e segretezza delle comunicazioni ai fini di una effettiva tutela della libertà personale ha indotto la dottrina prevalente (Fois, Pace, Barile) ad escludere che il precetto costituzionale in questione sia esclusivamente riconducibile nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero della quale, secondo altri (Esposito) costituirebbe sostanzialmente una sottospecie. Sotto questo profilo la dottrina ha evidenziato che la garanzia di libertà e segretezza delle comunicazioni di cui all'art. 15 Cost, è volta a tutelare l'estrinsecazione del pensiero nell'ambito delle comunicazioni private, mentre le disposizioni dell'art. 21 Cost. tutelano e disciplinano quelle estrinsecazioni che si intende, invece, rendere pubbliche.
Si osserva, inoltre, che la portata della garanzia di cui al citato art. 15, comma 1, della Costituzione è assoluta e non implica alcun riferimento a qualsivoglia forma di comunicazione e copre, pertanto, ogni ulteriore forma di comunicazione che dovesse essere resa possibile dal progresso tecnologico.
La segretezza delle comunicazioni entra poi a far parte di una più ampia area di protezione dell'insieme di dati e notizie attinenti alla sfera di intimità personale e privata delle persone fisiche, delle formazioni sociali e delle persone giuridiche, riconducibile a quella coperta dal cosiddetto diritto alla riservatezza, cui viene generalmente riconosciuto rilievo costituzionale, variamente individuandone il fondamento negli articoli 2 e 3 ovvero nell'art. 15 citato (isolatamente o in connessione con l'art. 21, comma 8, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo) ovvero negli articoli 13, 14 e 15 della Costituzione nel loro combinato disposto con altre norme costituzionali.
La limitazione del principio della libertà ed inviolabilità delle diverse forme di comunicazione «può avvenire - ai sensi dell'art. 15, comma 2, della Costituzione - soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge».
Tale norma pone dunque a garanzia della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione:
a) sia una riserva di giurisdizione, attraverso la espressa previsione che solo l'autorità giudiziaria (e non altri) può porre in essere atti limitativi della libertà in questione, riserva rinforzata peraltro dall'indicato obbligo per l'autorità giudiziaria di motivazione dell'atto limitativo emanato;
b) sia una riserva di legge («con le garanzie stabilite dalla legge»), cosicché, mentre, da un lato, nessuna fonte normativa di grado inferiore alla legge ordinaria può disciplinare la materia, dall'altro, è fatto obbligo al legislatore di disciplinare, a garanzia della libertà del cittadino, l'area del legittimo intervento limitativo dell'autorità giudiziaria.
La tutela dei principi sopra richiamati è affidata anzitutto alle norme che sanzionano penalmente i delitti di cognizione, rivelazione e divulgazione del contenuto della corrispondenza e di comunicazioni telefoniche, informatiche o telematiche ad opera di estranei (articoli da 615 bis a 623 bis del codice penale).
Ma a parte la disciplina che opera sul piano amministrativo (si pensi ad esempio alle disposizioni sul corretto svolgimento del servizio postale, telefonico e telegrafico di cui al D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156[2]e a quellein materia di tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni previste dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali[3]), un’articolata tutela opera sul piano più strettamente processuale.
All’approfondimento di tale disciplina – da sempre all’attenzione degli operatori del diritto - è dedicato il successivo paragrafo.
Le intercettazioni sono un mezzo di ricerca della prova e consistono nell’acquisizione della cognizione di comunicazione tra più persone; queste possono avere forma di telecomunicazioni riservate tra persone distanti (a mezzo telefono, via fax, mediante reti informatiche o telematiche o altri mezzi di trasmissione) ovvero consistere in comunicazioni (colloquio) tra persone presenti (cd. intercettazioni ambientali).
Le comunicazioni o conversazioni sono generalmente captate, ad opera di terzi, mediante l’ascolto diretto e segreto attuato con l’ausilio di strumenti meccanici o elettronici idonei a superare le naturali capacità dei sensi.
Le intercettazioni costituiscono una tipica attività che trova la sua naturale collocazione temporale nel corso delle indagini preliminari ed, all’interno del codice di rito penale, in quanto mezzo di ricerca della prova, negli articoli da 266 a 271 c.p.p., norme di chiusura del titolo III del libro III.
La legge delega 81/1987[4] per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale, in considerazione della delicatezza della materia, aveva stabilito principi particolarmente dettagliati sia in ordine alla competenza a disporre le intercettazioni che in relazione alle regole di garanzia a cui il legislatore delegato si sarebbe dovuto attenere.
In quanto alla legittimazione, la legge 81 ha previsto il potere del pubblico ministero di disporre perquisizioni, sequestri e, previa autorizzazione del giudice, intercettazioni di conversazioni e di altre forme di comunicazione; possibilità che il pubblico ministero, nei casi di urgenza, disponga direttamente l'intercettazione, che deve essere convalidata entro quarantotto ore dal provvedimento del pubblico ministero; divieto a pena di nullità insanabile di utilizzazione di intercettazioni compiute in mancanza di provvedimento convalidato (art. 2, n. 37)
I principi di garanzia individuati dalla legge delega sono stati, invece, i seguenti:
a) predeterminazione dei reati per i quali sono ammesse le intercettazioni e di quelli per i quali sono utilizzabili le intercettazioni effettuate in un diverso processo;
b) predeterminazione della durata e delle modalità delle intercettazioni disposte;
c) annotazione in apposito registro dei decreti motivati che dispongono o prorogano le intercettazioni;
d) individuazione degli impianti presso cui le intercettazioni telefoniche possono essere effettuate;
e) conservazione obbligatoria presso la stessa autorità che ha disposto l'intercettazione, della documentazione integrale, delle conversazioni e delle altre forme di comunicazioni intercettate; determinazione dei casi nei quali, a garanzia del diritto alla riservatezza, tale documentazione deve essere distrutta;
f) previsione di sanzioni processuali in caso di intercettazioni compiute in violazione della disciplina di cui alle lettere precedenti.
Investendo un diritto costituzionalmente protetto, il legislatore ha previsto che l’intercettazione, ammissibile entro specifici limiti, richieda due distinti procedimenti: uno finalizzato all’iniziativa, l’altro al controllo; il primo vede protagonista il pubblico ministero, l’altro il giudice delle indagini preliminari (GIP).
I presuppostidell’intercettazione sono indicati dall’art. 267 c.p.p, che dispone che l'autorizzazione per le operazioni è concessa dal G.I.P. con decreto motivato, su richiesta del P.M,. se ricorrono le due seguenti condizioni:
a) la presenza di gravi indizi di reato;
Secondo giurisprudenza consolidata, i gravi "indizi di reato" (e non di reità) che costituiscono presupposto per il ricorso alle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, attengono all'esistenza dell'illecito penale e non alla colpevolezza di un determinato soggetto, sicchè per procedere legittimamente ad intercettazione non è necessario che tali indizi siano a carico di persona individuata o del soggetto le cui comunicazioni debbano essere captate a fine di indagine. (da ultimo, Cassazione, sez. IV, sentenza 16 novembre 2005, n. 1848).
b) l’assoluta indispensabilità delle intercettazioniper la prosecuzione delle indagini (non, quindi, la semplice utilità).
Il comma 1-bis dell’art. 267, inserito dalla legge n. 63/2001[5], di attuazione del giusto processo opera un rinvio all’art. 203 c.p.p. per la valutazione dei gravi indizi di reato. Sarà quindi impossibile a tali fini, utilizzare le informazioni confidenziali riferite dalla polizia giudiziaria e dai servizi di sicurezza se gli informatori non abbiano reso testimonianza; dette informazioni sono parimenti inutilizzabili anche nelle fasi successive del dibattimento se gli informatori non siano stati interrogati né le loro dichiarazioni siano state assunte dalla polizia giudiziaria nei verbali di sommarie informazioni.
Un’autonoma ipotesi di ricorso alle intercettazioni è, poi, dettata dall’art. 295 c.p.p. (Verbale di vane ricerche), quando ciò sia necessario per agevolare la ricerca del latitante.
In relazione all’art. 295, si ricorda che l’articolo unico della legge 14 febbraio 2006, n. 56[6]haaggiunto un comma 3-ter all’articolo allo scopo di rendere più facilmente praticabile in tali ipotesi il ricorso allo strumento delle intercettazioni, con specifico riferimento ai procedimenti di competenza della corte d’assise, come individuati dall’articolo 5 c.p.p. La norma introdotta ha attribuito al presidente della corte d’assise, e non all’organo giudicante nella sua composizione collegiale, la competenza ad autorizzare le intercettazioni Tale scelta si giustifica con la considerazione che l’organo nella sua composizione collegiale (cui spetta comunque dichiarare lo stato di latitanza) può non essere sempre costituito o in sessione, e trae spunto dalla soluzione adottata nell’articolo 467 del codice che attribuisce al presidente del tribunale e della corte d’assise la competenza a provvedere all’assunzione delle prove non rinviabili.
La disposizione introdotta, pur facendo specifico riferimento alla sola ipotesi del giudizio di primo grado – menzionando solo il presidente della corte d’assise – è destinata a trovare applicazione anche nel giudizio davanti alla corte d’assise d’appello per effetto della disposizione di carattere generale contenuta nell’articolo 598 c.p.p. circa l’applicabilità in appello delle disposizioni relative al giudizio di primo grado.
Se, nelle ipotesi ordinarie, è il GIP - quale organo garante delle libertà individuali - ad autorizzare le intercettazioni, nei casi di urgenza, il P.M. dispone direttamente l'intercettazione con decreto motivato, che va comunque convalidato dallo stesso GIP.
L’urgenza, nello specifico, risiede nel possibile grave pregiudizio alle indagini che potrebbe derivare dal ritardo nell’intercettazione.
Il PM comunica immediatamente e, in ogni caso, non oltre 24 ore, al GIP l’adozione del provvedimento; la convalida da parte del giudice deve comunque avvenire non oltre 48 ore (dal decreto del PM). Alla mancata convalida, consegue l’impossibilità di proseguire l’intercettazione e l’inutilizzabilità probatoria dei risultati ottenuti.
A tale disciplina autorizzatoria da parte del GIP non sono, invece, soggette le acquisizioni da parte del PM dei tabulati del traffico telefonico relativi ad una determinata utenza, che rendono conoscibili i dati esteriori della conversazione telefonica (autori della comunicazione, tempo e luogo della stessa).
Dopo che la Cassazione aveva avallato una interpretazione difforme (Sezioni Unite, sentenza 13 luglio 1998, n. 21), la Corte costituzionale (sentenza 17 luglio 1998, n. 281) - confermando la sentenza 11 marzo 1993, n. 81 del 1993 - ha precisato che la disciplina di cui agli artt. 266 e 267 c.p.p. è modellata con esclusivo riferimento all’intercettazione di comunicazioni e non va estesa ad istituti diversi, come “l’acquisizione a fini probatori di notizie riguardanti il mero fatto storico della avvenuta comunicazione telefonica”. Secondo la Consulta, “alla diversa forza invasiva dei due mezzi di prova, ragionevolmente corrispondono diversi livelli di garanzia”.
Le intercettazioni del contenuto delle conversazioni infatti, notevolmente più intrusive della sfera di riservatezza e segretezza delle comunicazioni, richiedono l’autorizzazione del giudice; per l’acquisizione dei tabulati, di evidente minore incisività, sarebbe invece sufficiente e comunque rispettoso della guarentigia costituzionale il provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, tra cui evidentemente va ricompreso anche il pubblico ministero (della stessa opinione, Cass., Sezioni Unite, 23 febbraio 2000, n. 6).. Analogamente, Cass., Sezioni Unite, sentenza 30 giugno 2000, n. 16 ha affermato che, anche se manca la previsione di un immediato controllo giurisdizionale del decreto motivato del PM che autorizza l’acquisizione dei tabulati telefonici, “tuttavia il recupero di tale controllo, che attiene a un mezzo di ricerca della prova, avviene attraverso la rilevabilita', anche di ufficio, dell'eventuale relativa inutilizzabilita', in ogni stato e grado del procedimento, cosi' nelle indagini preliminari nel contesto incidentale relativo all'applicazione di una misura cautelare, come nell'udienza preliminare, ovvero nel dibattimento o nel giudizio di impugnazione”.
Di recente, Cass., Sez. I, sentenza 26 settembre 2007, n. 46086 ha precisato che ai fini dell'acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico, l'obbligo di motivazione del provvedimento acquisitivo (decreto del PM), stante il modesto livello di intrusione nella sfera di riservatezza delle persone, è soddisfatto anche con espressioni sintetiche, nelle quali si sottolinei la necessità dell'investigazione, in relazione al proseguimento delle indagini ovvero all'individuazione dei soggetti coinvolti nel reato, o si richiamino, con espressione indicativa della loro condivisione da parte dell'autorità giudiziaria, le ragioni esposte da quella di polizia.
Oltre alle norme concernenti le intercettazioni in senso stretto (artt. 266 - 271 c.p.p.), per quanto concerne l’acquisizione dei tabulati telefonici assume sicuramente rilievo l'art. 256 c.p.p.(Dovere di esibizione e segreti), che pone una disciplina applicabile anche all'ente gestore del servizio pubblico della telefonia. La norma prevede in capo ai soggetti di cui agli artt. 200 e 201 c.p.p. (pubblici ufficiali, pubblici impiegati, incaricati di pubblico servizio, avvocati, investigatori privati, notai, ecc, comunque tenuti al segreto professionale e d’ufficio) l’obbligo di consegna immediata all’autorità giudiziaria richiedente degli atti e documenti in loro possesso per ragioni di ufficio (incarico, ministero, professione o arte) anche se coperti dal segreto professionale o d’ufficio.
L'art. 266 c.p.p. definisce i limiti oggettivi di ammissibilità delle intercettazioni, elencando tassativamente quali sono i reatiper le quali è ammesso questo mezzo di ricerca della prova e distinguendo poi, l'«intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazioni» dalla «intercettazione di comunicazioni tra presenti».
Le intercettazioni sono ammissibili nel corso delle indagini nei procedimenti relativi a specifiche categorie di reati, identificati in relazione all’entità della pena o per la particolare natura giuridica del bene protetto (primo comma).
Si tratta dei seguenti reati:
a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 5 anni;
b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni;
c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;
d) delitti concernenti armi ed esplosivi;
e) delitti di contrabbando;
f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono;
f-bis), delitti previsti dall'articolo 600-ter, terzo comma, c.p. (divulgazione, distribuzione e pubblicizzazione anche per via telematica, di pornografia minorile - anche di natura “virtuale” ex art- 600-quater1 - o di notizie finalizzate alla pedofilia, fuori delle ipotesi di commercio di materiale pornografico minorile e di sfruttamento di minori a fini di esibizione pornografica o di produzione di materiale pornografico).
Per le intercettazioni tra persone presenti (cd. intercettazioni ambientali), ad esempio con l’uso di microspie, il secondo comma dell’art. 266 prevede un'ulteriore limitazione: nei luoghi indicati dall'art. 614 c.p. (domicilio o altro luogo di privata dimora) esse sono infatti consentite solo se vi è fondato motivo di ritenere che in tali luoghi si stia svolgendo l'attività criminosa. Una deroga a tale limite è stato introdotto in relazione ai delitti di criminalità organizzata e terrorismo (v. ultra).
Le intercettazioni ambientali, secondo giurisprudenza costante, non violano in tali casi il limite dettato dall’art. 14 Cost. della inviolabilità del domicilio (primo comma), precetto che deve essere coordinato - al pari di quello di cui all'art. 15 Cost. sulla libertà e segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni - con l’interesse pubblico all’accertamento di gravi delitti tutelato dall'art. 112 Cost.
Con l’introduzione, ad opera della legge 547/1993[7], dell’art. 266-bis c.p.p. è sempre consentita anche l’intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ogni volta che si proceda per uno dei reati elencati dall’art. 266 o per i reati commessi mediante l’impiego di tecnologie informatiche o telematiche.
Alcuni provvedimenti in materia di lotta alla criminalità organizzata e di terrorismo hanno disposto un progressivo ampliamento delle ipotesi nelle quali è consentito il ricorso alle intercettazioni.
In particolare, l'articolo 13 del D.L. 152/1991[8], nel testo risultante dalla legge di conversione (L. 203/1991), ha introdotto una deroga alla disciplina contenuta nell'art. 267 c.p.p., stabilendo sostanzialmente un allargamento delle possibilità di ricorso alle intercettazioni per indagini relative a delitti di criminalità organizzata o di minaccia con il mezzo del telefono.
A seguito dell’intervento del D.L. 374/2001 (L. 438/2001)[9] analoga deroga riguarda ora le intercettazioni per i reati di terrorismo (ipotesi di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), n. 4, c.p.p.) e di assistenza, fuori del concorso, ad associati ad organizzazioni terroristiche, anche internazionali (art. 270-ter c.p.).
In queste ipotesi, infatti, l'autorizzazione all’intercettazione è soggetta a limiti meno stringenti, potendo essere concessa:
a)quando sussistono "sufficienti indizi" di reato (anziché gravi indizi);
b)quando è "necessaria per lo svolgimento delle indagini"(anziché assolutamente indispensabile).
Nelle stesse ipotesi le intercettazioni ambientali sono consentite nel domicilio o altro luogo di dimora privata anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l'attività criminosa.
La relativa durata è di 40 giorni, prorogabile per periodi successivi di 20 giorni.
Inoltre, il comma 3-bis all'art. 295 c.p.p., aggiunto dal decreto antimafia cd. Scotti Martelli (D.L. 306/1992, L. 356/1992)ed integrato dal citato D.L. 374/2001, ha dettato rilevanti modifiche alle disposizioni in tema di intercettazioni ambientali più recentemente novellate dalla citata legge 56/2006 (v. ante).
Alle possibili intercettazioni telefoniche o di altro strumento di telecomunicazione finalizzate alla ricerca del latitante ed autorizzate secondo le modalità ordinarie (artt. 266 e 267 c.p.p.), il comma 3-bis affianca la possibilità di intercettazioni tra presenti per agevolare le ricerche di latitanti per reati di criminalità organizzata e terrorismo.
Sempre in relazione all'uso delle intercettazioni ambientali nelle indagini relative a reati di criminalità organizzata quale mezzo di ricerca della prova, il D.L. 306/1992, integrando l’art. 13 del D.L. 152/1991 (L. 203/1991), ha stabilito che l'intercettazione di comunicazioni tra presenti in un procedimento relativo a tali delitti che avvenga in luoghi di privata dimora è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che in tali luoghi si stia svolgendo l'attività criminosa.
Oltre alle intercettazioni di telecomunicazioni e quelle ambientali si è posto il problema, da un lato, di un possibile tertium genus di questo strumento di ricerca della prova consistente nelle videoregistrazioni in luogo di privata dimora e, quindi, nella loro eventuale assimilabilità alla disciplina codicistica delle intercettazioni ambientali; dall’altro, di un loro assoluto divieto ai sensi dell’art. 14 della Costituzione, non essendo ricomprese nelle ipotesi ivi previste (ispezioni, perquisizioni, ecc.) di deroga al principio dell’inviolabilità del domicilio.
Va ricordata in merito la giurisprudenza della Corte costituzionale che, con la sentenza 24 aprile 2002, n. 135ha affermato la non allineibilità della disciplina processuale delle riprese visive in luoghi di privata dimora a quella delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti nei medesimi luoghi.
La Corte, escludendo che le riprese visive in questione possano scontrarsi con un divieto assoluto di inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost. (le citate ipotesi di cui al secondo comma disciplinabili con legge non costituiscono un “numero chiuso”), ha distinto le riprese finalizzate alla captazione di comportamenti personali a carattere comunicativo (come i messaggi gestuali) da quelle aventi ad oggetto solo immagini prive di detto contenuto.
Nel primo caso, le riprese sono assimilabili alle intercettazioni ambientali in luogo di privata dimora (si applica l’art. 266, comma 2, c.p.p.) ed è quindi necessaria l’autorizzazione del giudice delle indagini preliminari; nel secondo, la captazione di immagini configurerebbe una prova documentale non espressamente regolata dalla legge, fermo […] il limite della tutela della libertà domiciliare di cui all’art. 14 Cost. da valutarsi di volta in volta. Nel caso in cui si fuoriesca dalla videoripresa di comportamenti di tipo comunicativo non è possibile quindi estendere alla captazione di immagini in luoghi tutelati dall’art. 14 Cost. la normativa dettata dagli artt. 266 ess. c.p.p., data la sostanziale eterogeneità delle situazioni: in caso di videoregistrazioni a carattere comunicativo, la limitazione della libertà e segretezza delle comunicazioni; l’invasione della sfera della libertà domiciliare in quanto tale, negli altri casi.
In conclusione la Corte rivolse un invito al legislatore ad intervenire, specie per l’ipotesi della videoregistrazione non avente carattere di intercettazione di comunicazioni, ferma restando, per l’importanza e la delicatezza degli interessi coinvolti, l’opportunità di un riesame complessivo della materia.
Sul punto la Cassazione ha comunque maturato un proprio orientamento, consolidato nel tempo (cfr. Cass. Pen., S.U., 13 luglio 1998, n. 21) ed imperniato sull’interpretazione dell’art. 191 c.p.p. Secondo la S.C.. rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall’inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 191 c.p.p., non solo quelle oggettivamente vietate, ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati in modo specifico dalla Costituzione, come nel caso degli art. 13, 14 e 15, in cui la prescrizione dell’inviolabilità attiene a situazioni fattuali di libertà assolute, di cui è consentita la limitazione solo nei casi e nei modi previsti dalla legge.
I concetti di inutilizzabilità ed incostituzionalità relativamente alla prova penale si intrecciano sulla base dell’assunto che i divieti cui fa riferimento l’art. 191 c.p.p. non possono essere solamente quelli di natura processuale ma anche quelli rinvenibili comunque nell’ordinamento e, a maggior ragione, quelli derivanti da violazione di norme costituzionali
Cass., Sez. I, Sent. n. 31389 del 10 luglio 2007 ha da ultimo affermato che le prove rappresentate dalle riprese videofilmate non appartengono al "genus" delle intercettazioni di comunicazioni o di conversazioni, ma a quello delle prove documentali non disciplinate dalla legge, con la conseguenza che ad esse non si applicano le limitazioni stabilite dalla disciplina di cui agli artt. 266 e seguenti cod.proc.pen., ma soltanto quelle derivanti dal rispetto della libertà morale della persona, che va verificato dal giudice, di volta in volta, con riferimento alla loro utilizzabilità.
Per quel che riguarda gli aspetti esecutivi delle operazioni, il legislatore ha voluto che il decreto del PM indicasse le modalità dell’intercettazione (indicando, ad es., le utenze telefoniche da controllare) e la sua durata. Quest’ultima, in ogni caso nonpuò essere superiore a 15 giorni, salvo motivata proroga con decreto del GIP per periodi successivi di 15 giorni, purchè permangano i requisiti richiesti ab origine (art. 267).
Il codice non prevede un termine di durata massima delle intercettazioni, che possono essere quindi teoricamente disposte durante tutto il periodo di durata delle indagini preliminari (tale periodo, nelle ipotesi di cui all’art. 407 c.p.p., può essere anche di due anni).
Ai sensi dell’art. 268 c.p.p. (Esecuzione delle operazioni), le intercettazioni - affidate direttamente al PM o ad ufficiali di polizia giudiziaria - sono registrate e di esse è redatto verbale, anche in forma sommaria, rispettando sempre le modalità esecutive di cui all’art. 89 disp. att. (Verbale e nastri registrati delle intercettazioni).
Il verbale delle operazioni contiene l'indicazione degli estremi del decreto che ha disposto l'intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione, l'annotazione del giorno e dell'ora di inizio e di cessazione della intercettazione nonché i nominativi delle persone che hanno preso parte alle operazioni.
I nastri contenenti le registrazioni, racchiusi in apposite custodie numerate e sigillate, sono collocati in un involucro sul quale sono indicati il numero delle registrazioni contenute, il numero dell'apparecchio controllato, i nomi, se possibile, delle persone le cui conversazioni sono state sottoposte ad ascolto e il numero che, con riferimento alla registrazione consentita, risulta dal registro delle intercettazioni previsto dall'articolo 267 comma 5 del codice
Il citato art. 268 scandisce le ulteriori fasi procedimentali con i necessari adempimenti a garanzia dell’acquisizione della prova e dei diritti della difesa.
Così, i verbalidelle intercettazioni delle conversazioni e dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche sono immediatamente trasmessi al PM e da questi depositati in segreteria entro 5 giorni dal termine delle operazioni (salvo il ritardato deposito, autorizzato dal GIP, non oltre la chiusura delle indagini preliminari, quando dal deposito possa derivare “grave pregiudizio” alle indagini).
Effettuato il deposito, ne è data immediatamente comunicazione ai difensori che hanno facoltà di esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni entro il termine stabilito dal PM (salva proroga del giudice). Il mancato avviso aldifensore non determina, secondo la giurisprudenza (v. Cass., sez. V, 15 aprile 1998, n. 4408), l'inutilizzabilità delle intercettazioni, ma può tuttavia dar luogo a nullità di ordine generale ex. art. 178 lett. c) c.p.p., in quanto costituisce violazione del diritto di difesa.
Dal momento del deposito cade il segreto sui verbali di intercettazione ai sensi dell'art. 329 c.p.p. (ex segreto istruttorio).
L’art. 329 c.p.p. stabilisce l’obbligo del segreto investigativo (o d’indagine) stabilendo che gli atti d’indagine compiuti dal PM e della polizia giudiziaria non possano essere comunicati né all’indagato o al suo difensore, né, naturalmente, a terzi, fino a quando l'imputato (quindi, ex art. 61 c.p.p., anche l’indagato) non ne possa avere conoscenza e comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari (fissata, ex art. 405 c.p.p., dalla richiesta di azione penale o di archiviazione). In assenza di specifica previsione da parte della norma, sono tenuti al segreto oltre, ovviamente, il PM e gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria che hanno compiuto gli atti d’indagine, tutte le altre persone che ne siano a conoscenza. Sempre in base all'art. 329, il PM - in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini - può comunque disporre con decreto motivato che il segreto si continui ad applicare anche oltre la chiusura delle indagini preliminari per singoli atti, quando l'imputato lo consenta o quando la conoscenza dell'atto possa ostacolare le indagini su altre persone. Il pubblico ministero può, inoltre, vietare la pubblicazione del contenuto di singoli atti o notizie relative a determinate operazioni, comprese le intercettazioni. Al contrario, lo stesso PM può, durante le indagini preliminari, consentire con decreto motivato la pubblicazione di uno o più atti (cd. desecretazione) quando ciò risulti necessario per la prosecuzione delle indagini (si pensi ad un identikit di un indiziato).
Dall’obbligo del segreto sull’esistenza stessa dell’atto di indagine va tenuta distinta la disciplina della pubblicazione a mezzo stampa (o altre forme di comunicazione) delle intercettazioni ed altri atti di indagine. Si tratta di un tema di particolare delicatezza che investe diversi aspetti giuridicamente rilevanti: oltre al citato segreto investigativo, la libertà d’informazione e la tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti nelle intercettazioni.
L’art. 114 c.p.p consentendo la pubblicazione dei soli atti non coperti dal segreto (comma 7), delinea, peraltro, un sistema di limiti alla pubblicazionedi atti (e immagini) del procedimento penale, la cui violazione è variamente sanzionata. La norma prevede anzitutto un diverso trattamento a seconda che oggetto della pubblicazione sia il documento nella sua originalità (atto-documento, ad es., i verbali delle intercettazioni) oppure il suo contenuto (cioè, l’evento documentato nell’atto, come i riassunti dei verbali).
Così, l’art. 114, comma 1, per le intercettazioni e gli altri atti d’indagine, vieta ogni pubblicazione anche parziale o per riassunto, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto. La violazione del divieto integra:
a) l’illecito disciplinaredi cui all’art. 115 c.p.p., se commesso da pubblici impiegati o persone che esercitino una professione per la quale è necessaria una speciale abilitazione dello Stato; la categoria di persone così individuata comprende sia i giornalisti che i magistrati e la polizia giudiziaria come il personale degli uffici giudiziari, gli avvocati ecc.
b) la contravvenzione di cui all’art. 684 c.p. che punisce con l'arresto fino a trenta giorni o con l'ammenda da 51 a 258 euro chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d'informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione.
La sanzione disciplinare concorre con quella penale, salvo l’esclusività della prima in determinate ipotesi (ad es., nel caso di una successiva segretazione, da parte del PM o dal giudice, di intercettazioni già pubblicate).
Gli atti non più “segreti” non sono invece pubblicabili (testualmente), neanche in parte, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino alla chiusura dell’udienza preliminare (art. 114, comma 2). Come accennato, al contrario non è vietata la pubblicazione del contenuto di tali atti, ovvero il riassunto degli stessi.
Sulla questione dei limiti del diritto di cronaca in relazione alla tutela del diritto alla riservatezza delle persone coinvolte nelle intercettazioni telefoniche è, di recente, intervenuto il Garante per la protezione dei dati personali (provvedimento 21 giugno 2006). Il Garante prescrive a tutti gli editori e ai titolari del trattamento in ambito giornalistico di conformare con effetto immediato i trattamenti di dati personali relativi alla pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche ai principi previsti nel decreto legislativo n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) e nell'allegato 1 (Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica'.
Una volta scaduto il termine per l'esame degli atti da parte dei difensori, parte l’apposito procedimento incidentale finalizzato alla cernita ed alla selezione del materiale probatorio nell’ambito di una apposita udienza camerale.
Il giudice dispone, in contraddittorio, l'acquisizione delle conversazioni o delle comunicazioni informatiche o telematiche indicate dalle parti che non appaiano manifestamente irrilevanti, procedendo, anche d'ufficio, allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione ex art. 271; alle operazioni di stralcio possono partecipare sia il PM che i difensori. Questi ultimi possono estrarre copia delle trascrizioni integrali delle registrazioni disposte dal giudice e possono far eseguire la loro trasposizione su nastro magnetico o supporto informatico o avere copia della stampa delle informazioni contenute nei flussi informatici o telematici intercettati.
Le trascrizioni delle intercettazioni, depurate delle sue parti irrilevanti e inutilizzabili (v. ultra), in quanto espressive di atti per loro natura “irripetibili” sono inserite nel fascicolo del dibattimento di cui all’art. 431 c.p.p..
In ossequio ai principi della legge delega del nuovo c.p.p. ((art. 2, n. 41, lett. e) è previsto, a fini di garanzia;
- l’inutilizzabilità delle intercettazioni assunte in violazione delle norme del codice e di quelle provenienti da persone che godono del segreto professionale di cui all’art. 200 c.p.p. (con particolare riferimento alle previsioni dell’art. 103 c.p.p., che vieta le intercettazioni del difensore, dell’investigatore autorizzato e del consulente tecnico) (art. 271 c.p.p.);
- il diritto della parte a chiedere al GIP la distruzione delle intercettazioni quando non siano più necessarie al procedimento (salvo costituiscano corpo del reato) (art. 269 c.p.p.).
In ogni caso, regola generale è che una volta acquisiti, i verbali e le registrazioni delle intercettazioni (salvo l’accennata possibilità di distruzione) sianoconservati integralmente presso il PM fino alla sentenza irrevocabile, salva la distruzione di atti non utilizzabili ex art. 271 (art. 269 c.p.p.). Il giudice, se dispone la distruzione del materiale, ne controlla l'operazione, della quale è redatto verbale. La decisione circa la distruzione deve essere adottata con rito camerale ex art. 127 c.p.p., anche quando la relativa richiesta provenga dal PM congiuntamente alla richiesta di archiviazione; il contraddittorio camerale di cui all'art. 127 si rende necessario proprio a garanzia del diritto alla riservatezza sul quale tali decisioni vanno comunque ad incidere.
Ad analoghe finalità garantistiche rispondono altre due previsioni: la prima (art. 267, comma 5) sancisce l’obbligo per il PM, di annotare in ordine cronologico su apposito registro riservato i decreti di disposizione, autorizzazione, convalida o proroga delle intercettazioni, precisando, inoltre, la data di inizio e cessazione di ogni operazione; la seconda (art. 268, commi 3 e 3-bis) secondo cui le intercettazioni devono esser compiute utilizzando impianti in dotazione alle Procure delle Repubblica. Nei casi in cui siano necessari ulteriori mezzi tecnici o esistano eccezionali ragioni d’urgenza, il P.M., con decreto motivato, può disporre il compimento d’operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione della P.G.
La motivazione del decreto che dispone l’intercettazione con impianti diversi da quelli della Procura viene correttamente assolta con il semplice riferimento alla insufficiente idoneità di questi ultimi, non essendo esigibile anche la specifica indicazione delle ragioni di tali carenze (Cass., sez.II, sent. 5 maggio 2000, n. 2539). Il vizio di motivazione del provvedimento del P.M. che dispone l’esecuzione delle operazioni d’intercettazione, mediante apparati diversi da quelli esistenti presso la Procura, è rilevante sotto il profilo della nullità delle intercettazioni, quale effetto del vizio del decreto autorizzativo, e non della loro inutilizzabilità, sicché la relativa denuncia soggiace ai limiti di deducibilità di cui all’art. 182, c.p.p. (Cass., sez.II, sent. 5 maggio 2000, n. 2539). Detto vizio di motivazione è sanabile dallo stesso PM con un successivo provvedimento integrativo, purchè anteriore all’utilizzo delle risultanze delle operazioni, onde consentire al giudice il controllo della legittimità della deroga ed all’interessato di conoscere le cause che l’hanno giustificata (Cass., sez. VI, 13 maggio 2005, n. 10104)
Quanto al profilo della utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali sono state autorizzate, in deroga alla disciplina generale dell’art. 238 (Verbali di prove di altri procedimenti), essa è consentita dall’art. 270 c.p.p. soltanto se tale utilizzabilità è indispensabile per l’accertamento dei più gravi delitti per i quali sia obbligatorio l’arresto in flagranza. Opportunamente, ad evitare una trasmissione parziale degli atti nel diverso procedimento, è stabilita la facoltà per il PM ed i difensori delle parti di esaminare l’intera documentazione inerente le intercettazioni, compresi le parti stralciate.
Pur ponendosi al di fuori della tematica processuale, va inoltre ricordata la possibilità di intercettazioni preventive di comunicazioni o conversazioni, comprese quelle ambientali.
Infatti, l'art. 226 disp. att. c.p.p. (come sostituito dal più volte citato D.L. antiterrorismo n. 374/2001) consente intercettazioni preventive, anche per via telematica o ambientali (anche in abitazioni o altri luoghi di privata dimora) quando le stesse siano necessarie per acquisire le notizie concernenti la prevenzione dei gravi delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis (associazione mafiosa o finalizzata al traffico di stupefacenti, strage, sequestro di persona a scopo di estorsione, ecc.) e 407, comma 2, lett. a, n. 4 (terrorismo, anche internazionale) del codice di procedura penale. L’iniziativa delle intercettazioni è del Ministro dell’interno o di autorità da lui delegate, come il direttore della Direzione Investigativa Antimafia (solo per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis c.p.p.), i responsabili dei Servizi centrali dellaPolizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza, il questore o il comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di finanza.
Le operazioni sono autorizzate dal procuratore della Repubblica del distretto (in presenza di elementi investigativi o quando lo ritenga necessario) e non possono superare i 40 giorni, prorogabili per altri 20, sempre previa autorizzazione del PM. E’ redatto un verbale sintetico (delle operazioni svolte e del contenuto delle intercettazioni) che va depositato con i supporti delle registrazioni entro 5 gg dal termine delle operazioni presso il magistrato che ha autorizzato le operazioni; quest’ultimo provvederà immediatamente alla distruzione sia del verbale che dei supporti non appena verificata la regolarità delle operazioni.
Gli elementi raccolti con le intercettazioni, utilizzabili a fini investigativi, sono comunque privi di valore nel processo; non sono, inoltre, menzionabili in atti d’indagine né essere oggetto di deposizione e divulgazione.
Analoga disposizione, in relazione alle intercettazioni preventive sui delitti di cui all’art. 51 comma 3-bis, del codice di procedura penale è contenuta nell’art. 25-ter del D.L. 306/1992 (L. 356/1992).
Si ricorda, infine, che il D.L. 27 luglio 2005, n. 144 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale) convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, ha previsto una specifica disposizione in materia di intercettazioni preventive (art. 4), volta al potenziamento dell’attività di intelligence antiterrorismo.
La norma deroga alla ricordata disciplina generale dell’art. 226 delle disposizioni di attuazione del c.p.p., sia in ordine alla competenza alla richiesta di intercettazione (Ministro dell’interno o suoi delegati) che in relazione all’autorizzazione alle operazioni (Procuratore della Repubblica presso il tribunale del distretto).
L’art. 4 del D.L. 144/2005 stabilisce, infatti, che il Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione ad indagini sul terrorismo, possa delegare i direttori del SISMI e del SISDE a richiedere l’autorizzazione ad effettuare le intercettazioni e i controlli preventivi sulle comunicazioni di cui all’art. 226 disp. att. al Procuratore generale presso la Corte d’appello del distretto dove si trova la persona da sottoporre al controllo (ovvero del distretto in cui sono emerse le esigenze di prevenzione).
Per i restanti profili, le disposizioni dell’articolo 226 sono dichiarate applicabili, in quanto compatibili; si fa riferimento, in particolare:
§ alla durata massima delle intercettazioni, fissata in 40 giorni, prorogabile per periodi successivi di 20 giorni;
§ all’obbligo di redigere sintetico verbale delle operazioni svolte e di depositarlo entro 5 giorni presso l’autorità giudiziaria che ha autorizzato le intercettazioni; quest’ultima, verificata la corrispondenza tra la autorizzazione e le attività compiute, dispone la immediata distruzione dei supporti e dei verbali ;
§ alla inutilizzabilità nell’ambito del procedimento penale, se non a fini investigativi, degli elementi acquisiti.
Un ulteriore delicato capitolo della complessa disciplina in questione riguarda le intercettazioni di conversazioni di membri del Parlamentorecentemente oggetto di riforma da parte della legge 140/2003[10] di attuazione dell’art. 68 Cost.
L’articolo 4 della legge disciplina, nell’ambito degli atti privativi o restrittivi della libertà personale (perquisizioni personali, ispezioni, misure cautelari etc.), il caso dell’esecuzione di intercettazioni (e di acquisizione di tabulati di comunicazioni) nei confronti di parlamentari. Si tratta della ipotesi di intercettazioni dirette di comunicazioni e conversazioni (in qualsiasi forma effettuate) nei confronti del parlamentare ovvero di intercettazioni disposte sulle utenze telefoniche intestate al parlamentare stesso o comunque nella sua disponibilità.
Si prevede, in tal caso, la richiesta di autorizzazione preventiva alla Camera a cui il soggetto appartiene da parte dell’’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento da eseguire; nelle more della deliberazione parlamentare, l’esecuzione del provvedimento è sospesa.
In conformità al dettato del secondo comma dell’art. 68 Cost., l’autorizzazione non è richiesta quando il parlamentare sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, ovvero la misura sia adottata in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna. Nel caso di scioglimento della Camera, tra la presentazione della richiesta di autorizzazione e la deliberazione parlamentare, la richiesta perde efficacia dall’inizio della successiva legislatura e può essere rinnovata e presentata alla Camera competente all’inizio della legislatura stessa.
L’articolo 6 della legge 140/2003 riguarda, invece, l’utilizzabilità in sede processuale nonchè la divulgabilità delle “intercettazioni indirette” o casuali (ossia le intercettazioni disposte nel corso di procedimenti riguardanti terzi e nelle quali membri del Parlamento siano coinvolti o nel corso delle quali di essi sia fatta menzione) e dei tabulati delle comunicazioni, le quali esulano, pertanto, dall’ambito di applicazione del citato art. 4.
La questione maggiormente dibattuta nel corso dell’iter della legge 140/2003 è stata, in materia di intercettazioni indirette, la estensione del regime autorizzatorio anche per le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni nelle quali sia fatta menzione di membri del Parlamento, soprattutto in relazione al possibile rischio di un uso strumentale della suddetta previsione. La soluzione adottata dall’art. 6 della legge (che prevede l’autorizzazione “postuma”) e` volta a contemperare l’esigenza di assicurare la guarentigia sottostante al principio sancito dall’articolo 68 della Costituzione, con quella di evitare, da un lato, la necessita` di acquisire in ogni caso l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare ai fini dell’utilizzo delle predette intercettazioni e, dall’altro, la distruzione dell’intero testo di quelle nelle quali sia fatta menzione di un parlamentare, qualora ne sia accertata dal giudice l’irrilevanza ai fini processuali.
L’art. 6, comma 1, prevede che il GIP – anche su istanza di una delle parti o del parlamentare interessato – nei casi in cui ritenga che le intercettazioni indirette del parlamentare siano in tutto o in parteirrilevanti ai fini della definizione dello stesso, ne decide, a tutela della riservatezza, la distruzione integrale o parziale ai sensi dell’art. 269, commi 2 e 3, c.p.p.; la decisione è presa in camera di consiglio, sentite le parti.
Qualora il GIP, su istanza di parte, ritenga invece rilevantiper il processo le intercettazioni o i tabulati, può decidere con ordinanza la loro utilizzazione e richiedere, nei 10 giorni successivi, l’autorizzazione alla Cameracui il parlamentare appartiene o apparteneva al tempo dell’intercettazione (comma 2). La richiesta di autorizzazione all’utilizzazione in sede processuale delle intercettazioni effettuate deve essere trasmessa direttamente alla Camera competente; tale richiesta deve contenere l’enunciazione del fatto per il quale è in corso il procedimento, l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate e deve essere corredata dei verbali delle intercettazioni, delle relative registrazioni e degli altri elementi sui quali la richiesta è fondata(comma 3).
In caso di scioglimento della Camera cui il parlamentare appartiene, la richiesta perde efficacia a decorrere dall’inizio della successiva legislatura e può essere rinnovata all’inizio della legislatura stessa (comma 4). Viene così confermata l’attuale prassi parlamentare, secondo la quale le Camere si pronunciano sulle richieste di autorizzazione previste dal secondo e dal terzo comma dell’articolo 68 della Costituzione anche in regime di prorogatio.
Nel caso didiniego dell’autorizzazione, il comma 5 dell’art. 6 prevede che la documentazione delle intercettazioni sia distrutta immediatamente, e comunque non oltre 10 giorni dalla comunicazione del diniego della richiesta.
Come disposizione di chiusura della disciplina dell’art. 6, il comma 6 sancisce che tutte le comunicazioni e i dati acquisiti in difformità da quanto previsto dallo stesso articolo 6 devono essere dichiarate inutilizzabili dal giudice in ogni stato e grado del procedimento.
Va, peraltro, segnalata, sulla questione delle intercettazioni indirette, una recente, rilevante decisione della Corte costituzionale (sentenza n. 309 del 2007) che ha dichiarato parzialmente illegittimo il citato articolo 6 della legge 140/2003.
La dichiarazione di incostituzionalità ha colpito la disciplina degli illustrati commi 2, 5 e 6 nella parte in cui prevedevano - in caso di negazione dell’autorizzazione all’utilizzo in giudizio da parte della camera di appartenenza del parlamentare – sia la distruzione della documentazione sulle intercettazioni che l’inutilizzabilità, in ogni stato e grado del processo, dei verbali acquisiti anche quando le intercettazioni utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal parlamentare le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate.
La Corte ha infatti argomentato, nella sentenza n. 390/2007, che le citate disposizioni di cui all’articolo 6, commi 2, 5 e 6 della legge 140/2003, sono in contrasto con il canone dell’uguaglianza, in quanto introducono una disparità «non soltanto tra il titolare del mandato elettivo e i terzi […] ma tra gli stessi terzi», perché il cittadino, cui gli elementi desumibili dalle intercettazioni nuocciano o giovino, si trova a veder differenziata la propria posizione solo in ragione della circostanza, casuale, che il soggetto sottoposto ad intercettazione abbia interloquito con un membro del Parlamento; inoltre, impedendo di utilizzare le intercettazioni anche nei confronti di soggetti non parlamentari, finisce, «di fatto – senza alcuna base di legittimazione costituzionale – per configurare una immunità a vantaggio di soggetti che non avrebbero comunque ragione di usufruirne, in quanto non chiamati ad esercitare alcun mandato elettivo».
Nel mese di settembre 2006, a seguito di un’indagine della magistratura, dalla quale emergeva l’esistenza di dossier costruiti sulla base di intercettazioni illegali, il Governo approvava il decreto legge 22 settembre 2006, n. 259, recante “Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche”. A dispetto del titolo – dal quale si potrebbe evincere un più ampio contenuto - il decreto legge si proponeva di adottare con rapidità misure volte a rafforzare il contrasto all’illegale detenzione di intercettazioni illecitamente effettuate e di documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni nonché di apprestare più incisive misure idonee ad evitare l’indebita diffusione e comunicazione di tali informazioni.
Per completezza, si ricorda che mentre il Senato esaminava in prima lettura il disegno di legge di conversione del decreto-legge, la Commissione Giustizia della Camera avviava l’esame (non concluso) della proposta di legge C. 706, relativa all’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle intercettazioni telefoniche.
Di seguito si dà conto del contenuto del provvedimento d’urgenza, coordinato con le modifiche apportate dalla legge di conversione 20 novembre 2006, n. 281.
In merito all’iter legislativo che ha portato alla conversione del decreto legge, si segnala che la legge n. 281/2006 è stata approvata dalla Camera con una maggioranza trasversale l’ultimo giorno utile, pena la decadenza del provvedimento. Nell’approvare la legge, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal Senato, la Camera dei deputati ha votato però anche un ordine del giorno (9/1838/1), sottoscritto da tutti i gruppi, nel quale si chiedevano iniziative del Governo per far approvare quanto prima talune significative modificazioni del testo, inserendole nell'ambito dell’iter del disegno di legge governativo in tema di intercettazioni legali, già all'esame della Camera e in calendario per i lavori dell'assemblea. Tale iter legislativo non si è, però, mai concluso.
L'articolo 1 del decreto-legge sostituisce l'articolo 240 del codice di procedura penale, ora rubricato documenti anonimi ed atti relativi ad intercettazioni illegali.
Il comma 1 prevede il divieto di acquisizione ed utilizzazione di documenti contenenti dichiarazioni anonime; fanno eccezione i documenti che costituiscono corpo del reato o provengono comunque dall’imputato.
Il comma 2 stabilisce che il pubblico ministero disponga l'immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni di traffico telefonico e telematico illegalmente formati o acquisiti nonché della documentazione formati tramite i dati illecitamente raccolti. La norma sancisce il divieto di eseguire copia in qualunque modo di tale documentazione e di utilizzarla in qualsiasi fase del procedimento.
Si ritiene importante, in questo caso, sottolineare che la legge di conversione ha eliminato un ulteriore divieto previsto dal testo originario del decreto legge. Infatti, pur confermando il divieto di utilizzazione probatoria dei contenuti della documentazione illegale, è scomparso l'analogo divieto ai fini investigativi che invece era stato configurato nel comma 2 dell'articolo 240 c.p.p. dal decreto legge. Il significato di tale modifica sembra essere legato all'esigenza di consentire al pubblico ministero di svolgere gli opportuni accertamenti necessari ad affermare l'effettiva illegalità della documentazione acquisita, presupposto imprescindibile perché possa procedersi alla sua distruzione.
Entro 48 ore dall'acquisizione degli atti, il pubblico ministero chiede al giudice per le indagini preliminari di disporne la distruzione (comma 3); entro le successive 48 ore il GIP fissa la data di udienza, da tenersi entro dieci giorni, dandone avviso alle parti interessate (comma 4).
Nel corso dell'udienza il GIP legge il provvedimento e, nel caso disponga la distruzione, ne dà immediata esecuzione alla presenza del PM e dei difensori delle parti (comma 5).
Il comma 6 fa obbligo all’autorità giudiziaria, a fini di conservazione della prova, di redigere verbale delle operazioni di distruzione del materiale; in esso si dà atto delle avvenute intercettazioni o della detenzione della documentazione acquisita o illegalmente formata, delle modalità e dei soggetti coinvolti ma non può essere fatto alcun riferimento al contenuto del materiale.
L’articolo 2 del decreto-legge aggiunge il comma 1-bis all’art. 512 del codice di procedura penale. La disposizione del codice di rito - che già prevedeva che, a richiesta di parte, il giudice disponga lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal PM, dai difensori e dal GIP in sede di udienza preliminare, dei quali sia impossibile la ripetizione per fatti o circostanze imprevedibili - è novellata con la previsione della possibilità di consentire sempre nel corso del dibattimento la lettura del verbale di acquisizione ed avvenuta distruzione delle intercettazioni illecite e della documentazione illecitamente acquisita o formata.
L’articolo 3 introduce una nuova fattispecie di reato consistente nella illecita detenzione degli atti, dei supporti o dei documenti di cui sia stata disposta la distruzione a norma dell’art. 240 del codice di rito (ossia documenti, supporti e atti concernenti dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti).
La sanzione prevista è la reclusione da 6 mesi a 4 anni; un aumento di pena è stabilito (reclusione da 1 a 5 anni) quando il reato è commesso da un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
L’articolo 4 del decreto-legge prevede una forma di riparazione - consistente in una somma di denaro - che ciascun danneggiato dal reato di illecita pubblicazione (su giornali, TV o altro media) di intercettazioni telefoniche illegalmente formate o acquisite può chiedere, a fini riparatori, all’autore del reato, al direttore (o vice direttore) responsabile e all’editore solidalmente obbligati. Detta somma è parametrata alla diffusione del mezzo di comunicazione utilizzato: nello specifico, la sanzione – comunque non inferiore a 10 mila euro - è stabilita in ragione di 50 centesimi per ogni copia stampata ovvero nella somma da 50 mila ad un milione di euro, a seconda della grandezza del bacino di utenza raggiunto dal media radiofonico, televisivo o telematico utilizzato (comma 1).
L’azione – che può essere promossa da «coloro a cui i detti atti o documenti fanno riferimento» – si prescrive in cinque anni dalla pubblicazione; si tratta del medesimo termine di prescrizione c.d. breve previsto per il risarcimento del danno da fatto illecito di cui all’art. 2947 c.c.
Il comma 2 prevede inoltre che ai fini della prova della corrispondenza dei documenti pubblicati con quelli relativi alle illecite intercettazioni di cui all’art. 240, comma 2, c.p.p., fa fede il verbale di distruzione di cui allo stesso art. 240, comma 6.
In merito si evidenzia – come peraltro fatto anche dai primi commentatori della disposizione[11] – che il comma 6 dell'articolo 240 c.p.p. afferma che «delle operazioni di distruzione è redatto apposito verbale, nel quale si dà atto dell'avvenuta intercettazione o detenzione o acquisizione illecita dei documenti, dei supporti e degli atti di cui al comma 2 nonché delle modalità e dei mezzi usati oltre che dei soggetti interessati, senza alcun riferimento al contenuto degli stessi documenti, supporti e atti».
Infine, in forza del rinvio al capo III del titolo I del libro IV del codice di procedura civile, si prevede la possibilità di una tutela anticipatoria in sede cautelare.
Al comma 3 si prevede che l’azione per la riparazione può essere esercitata senza pregiudizio di quanto il Garante per la protezione dei dati personali possa disporre, ove accerti o inibisca l’illecita diffusione di dati o di documenti, anche a seguito dell’esercizio di diritti da parte dell’interessato.
Il comma 4, infine, disciplina l’ipotesi in cui per i medesimi fatti di cui al comma 1 sia promossa anche un’azione per il risarcimento del danno; in questo caso, il giudice, in sede di determinazione e liquidazione del danno risarcibile, dovrà tenere conto della somma già corrisposta in sede riparatoria.
La riparazione pecuniaria prevista dall’art. 4 del decreto legge è, infatti, fattispecie diversa dal risarcimento del danno e trova il suo titolo diretto ed esclusivo nella legge in esame, così come la riparazione pecuniaria da diffamazione a mezzo stampa trova la sua ragione d'essere nell'articolo 12 della legge 8 febbraio 1948 n. 47.
Il tema delle intercettazioni telefoniche è stato da ultimo affrontato dalla legge finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato).
I commi 82 e 83 dell’articolo 2 prevedono infatti la razionalizzazione del sistema delle intercettazioni telefoniche, ambientali e di altre forme di comunicazione informatica o telematica.
In particolare, il comma 82 dispone che il Ministro della giustizia, entro il 31 gennaio 2008, avvii la realizzazione di un “sistema unico" nazionale delle intercettazioni telefoniche, ambientali e di altre forme di comunicazione informatica o telematica disposte o autorizzate dall’autorità giudiziaria, anche attraverso la razionalizzazione delle attività attualmente svolte dagli uffici dell’Amministrazione della giustizia. Tale sistema unico dovrà essere articolato su base distrettuale di corte d’appello.
Sebbene la disposizione in esame non fornisca dettagli sulle caratteristiche di tale sistema unico, parrebbe che esso debba condurre ad una razionalizzazione delle spese connesse all'esecuzione delle operazioni di intercettazione.
Si ricorda che i costi connessi alle operazioni di intercettazione derivano da tre distinte voci: dalla remunerazione degli operatori delle comunicazioni che svolgono le intercettazioni; dall’acquisizione dei tabulati telefonici; dal noleggio dei macchinari.
Per quanto riguarda il costo delle intercettazioni, in Italia, contrariamente a quanto avviene in altri Paesi europei, gli operatori telefonici, sebbene obbligati a collaborare con l'autorità giudiziaria, hanno diritto ad ottenere una controprestazione economica per le attività connesse all'intercettazione. Ai sensi dell'art. 7, comma 13, del D.P.R. 19 settembre 1997, n. 318[12], infatti, «le prestazioni effettuate a fronte di richieste di intercettazioni e di informazioni da parte delle competenti autorità giudiziarie sono obbligatorie, non appena tecnicamente possibile da parte dell'organismo di telecomunicazioni nei tempi e nei modi che questo concorderà con le predette Autorità. Le prestazioni relative alle richieste di intercettazioni vengono remunerate secondo un listino, redatto per tipologie e fasce quantitative di servizi, proposto dall'organismo di telecomunicazioni ed approvato dal Ministero delle comunicazioni di concerto con il Ministero della giustizia». Il listino è stato approvato con D.M. 26 aprile 2001[13].
Successivamente, il D.P.R. 318/1997 è stato abrogato dal decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259[14], il cui art. 96 (rubricato "Prestazioni obbligatorie") prevede l’obbligatorietà, per gli operatori, di acconsentire alle richieste di intercettazioni da parte dell’autorità giudiziaria. I tempi e i modi delle intercettazioni sono concordati con le predette autorità in attesa dell’approvazione di un apposito repertorio.
Il ristoro dei costi sostenuti dagli operatori e le modalità di pagamento sono stabiliti con decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle comunicazioni, in forma di canone annuo determinato anche in considerazione del numero e della tipologia delle prestazioni complessivamente effettuate nell'anno precedente.
Il repertorio dovrà essere approvato con decreto del Ministro delle comunicazioni, di concerto con i Ministri della giustizia e dell'interno. Nelle more dell’approvazione del repertorio, continua ad applicarsi il listino adottato con D.M. 26 aprile 2001.
Per quanto riguarda il noleggio delle apparecchiature, attualmente il procedimento di scelta del contraente per la fornitura del servizio in questione avviene a livello di singola Procura.
Il Ministero della Giustizia, Direzione generale di statistica, ha pubblicato sul proprio sito internet i dati nazionali relativi ai costi delle intercettazioni e del noleggio degli apparati nel quadriennio 2003-2006 .
(importi totali in euro)
2003 |
2004 |
2005 |
2006 |
263.861.624 |
254.053.063 |
286.962.492 |
223.976.088 |
Il comma 82 dispone inoltre affinché, contestualmente all'avvio del sistema unico, si proceda all’adozione dei provvedimenti previsti dal citato art. 96 del d.lgs. n. 259 del 2003 (v. sopra): repertorio delle prestazioni obbligatorie e decreto sui costi.
Ai sensi del comma 83, il Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, procede al monitoraggio dei costi complessivi delle attività di intercettazione disposte dall’autorità giudiziaria.
L’articolo 1 interviene a modificare l’articolo 114 c.p.p., relativo al divieto di pubblicazione di atti e di immagini.
La lettera a) dell’articolo in esame sostituisce il comma 2 del citato articolo 114.
Viene disposto il divieto di pubblicazione, anche parziale o per riassunto, di tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti da segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Pertanto, oltre a prevedere anche il divieto di pubblicazione “per riassunto”, la nuova formulazione del comma 2 contempla, accanto agli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, quelli contenuti nel fascicolo delle indagini difensive.
La lettera b) inserisce i nuovi commi 2-bis e 2-ter dopo il comma 2.
Il nuovo comma 2 bis dell’articolo 114 stabilisce un divieto di pubblicazione più stringente, esteso anche al contenuto (oltre che alla pubblicazione parziale o per riassunto), della documentazione, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, ovvero dati riguardanti il traffico telefonico, informatico o telematico, anche se non più coperti da segreto. Anche in tal caso il divieto di pubblicazione vige fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare e riguarda anche la documentazione gli atti e i contenuti non più coperti da segreto.
Il nuovo comma 2-ter stabilisce poi un divieto assoluto di pubblicazione (parziale, per riassunto, o nel contenuto) dei provvedimenti emessi in materia di misure cautelari, consentendone tuttavia la pubblicazione soltanto nel contenuto, dopo che l’indagato o il suo difensore ne abbiano avuto conoscenza e con l’esclusione delle parti che riproducono il contenuto di intercettazioni;
La lettera c) dell’articolo in esame è diretta a sostituire il comma 3 dell’articolo 114 c.p.p., conformandone la formulazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 59 del 1995.
Va infatti ricordato che il giudice costituzionale nella citata sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del terzo comma dell’articolo 114 nella parte in cui non consente la pubblicazione degli atti del fascicolo per il dibattimento anteriormente alla pronuncia della sentenza di primo grado, ritenendo tale previsione non conforme a quanto contemplato nella direttiva n. 71 della legge di delega al Governo per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale (legge 16 febbraio 1987, n. 81) che sembra limitare tale divieto al fascicolo del pubblico ministero oltre che agli altri casi analiticamente contemplati (tra i quali non rientrano gli atti del fascicolo per il dibattimento).
Pertanto, la nuova formulazione del comma 3 si limita a vietare la pubblicazione, anche parziale, qualora si proceda al dibattimento, degli atti del fascicolo del pubblico ministero se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello, oltre a confermare la facoltà di pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni o comunque letti in udienza pubblica.
Infine la lettera d), riproduce sostanzialmente il contenuto del comma 7 dell’articolo 114 - diretta a consentire in ogni caso la pubblicazione del contenuto di atti non coperti da segreto -, aggiornandone la formulazione alle eccezioni ed ai divieti introdotti nei nuovi commi 1, 2, 2 bis e 2 ter.
Gli articoli 2 e 3 riguardano le intercettazioni illecite; in particolare inserendo l’articolo 240-bis nel codice di procedura penale (articolo 3) si prevede che i documenti relativi a intercettazioni e raccolte di dati illeciti siano soggetti ad una disciplina analoga a quella riservata ai documenti anonimi, non potendo essere acquisiti al procedimento, né in alcun modo utilizzati, tranne che come corpo del reato.
Quando tali documenti vengono acquisiti al procedimento in quanto corpo del reato, il nuovo articolo 240-ter c.p.p. prevede la redazione di un verbale di consistenza da parte del giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero. Tale verbale sarà inserito nel fascicolo del pubblico ministero mentre i documenti saranno custoditi nell’archivio riservato.
La perizia sui documenti relativi a intercettazioni e raccolte di dati illeciti di cui al nuovo art. 240-bis c.p.p. è ammessa solo in caso di incompletezza o contraddittorietà dei dati che emergono dal verbale di consistenza di cui al nuovo art. 240-ter (articolo 2).
Gli articoli 4 e 5 sono volti a modificare, con mere finalità di coordinamento, rispettivamente, l'articolo 266 c.p.p., recante i limiti di ammissibilità delle intercettazioni, e l'articolo 266-bis c.p.p., che consente l'intercettazione di comunicazioni che avvengono attraverso sistemi informatici e telefonici.
L’articolo 6 inserisce nel codice di procedura penale gli articoli 266-ter e 266-quater: Il primo estende la normativa in tema di intercettazioni anche alle intercettazioni di corrispondenza postale, mentre il secondo estende tale normativa alle riprese visive. In particolare, ai sensi dell’art. 266-quater, per la ripresa visiva delle conversazioni che si svolgono nelle abitazioni e nelle private dimore, è previsto il medesimo regime delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche; al di là di tali ipotesi, le riprese visive che si svolgono comunque al di fuori di luoghi pubblici possono essere autorizzate dal pubblico ministero con decreto motivato, mentre quelle che si svolgono in luoghi pubblici possono essere eseguite di propria iniziativa dalla polizia giudiziaria.
L’articolo 7 interviene sull’articolo 267 c.p.p. relativo ai presupposti ed alle forme del provvedimento di intercettazione di conversazioni o comunicazioni.
La lettera a), diretta a sostituire il comma 1 del citato articolo, dispone che sia il pubblico ministero, nel momento in cui chiede al giudice per le indagini preliminari di autorizzare le intercettazioni, ad esplicitare i gravi indizi di reato e le ragioni dell’assoluta indispensabilità delle intercettazioni stesse per la prosecuzione delle indagini;
La lettera b) riproduce sostanzialmente, con piccole modifiche di formulazione, il comma 2 dell’articolo 267.
Maggior rilievo presentano le modifiche al comma 3 disposte dalla lettera c) dell’articolo in esame, che provvede altresì ad inserire due nuovi commi, il 3-bis ed il 3 -ter.
La nuova formulazione del comma 3, pur mantenendoa quindici giorni l’ordinaria durata delle operazioni di intercettazione, prorogabile dal giudice con decreto motivato in pari misura, stabilisce comunque una durata complessiva massima di tre mesi delle operazioni medesime. Tale limite potrà essere superato soltanto in presenza di nuovi elementi investigativi in relazione ai presupposti dei gravi indizi di reato e dell’assoluta indispensabilità delle intercettazioni, elementi che possono essere desunti anche dal contenuto delle conversazioni intercettate, e che dovranno essere specificamente indicati nel provvedimento di proroga insieme ai presupposti sopra citati.
Limitatamente poi alle intercettazioni di comunicazioni tra presenti nelle abitazioni, nei luoghi di privata dimora nelle appartenenze di essi, il nuovo comma 3-bis stabilisce un limite massimo di due proroghe, superabile qualora ricorrano le medesime circostanze di cui al comma 3.
Il nuovo comma 3-ter fa espressamente salve le particolari disposizioni che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, sono stabilite dall’articolo 13 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, e dall’articolo 3 del decreto legge 18 ottobre 2001, n. 374 (Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale), convertito nella legge 15 dicembre 2001, n. 438.
Infine il nuovo comma 5 dispone che presso l’ufficio del pubblico ministero siano registrati, in un apposito registro riservato, la data e l'ora di emissione, nonché la data e l'ora di deposito dei decreti che dispongono, autorizzano o convalidano le intercettazioni.
L’articolo 8 introduce nel codice di procedura penale l’articolo 267-bis, recante una puntuale disciplina in ordine all'acquisizione di dati relativi al traffico telefonico al fine di regolare i rapporti tra l'autorità procedente e il fornitore del servizio telefonico al quale è richiesta specifica informativa sull'indagato.
In particolare è stabilito che, nel corso delle indagini preliminari, i dati relativi al traffico telefonico sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del pubblico ministero anche su istanza del difensore della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa (comma 1).
Il difensore della persona sottoposta alle indagini può richiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al proprio assistito con le modalità di cui all’art. 391-quater, ovvero delle modalità di richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione da parte del difensore ai fini delle indagini difensive (comma 2).
E’ infine stabilito che dopo la chiusura delle indagini preliminari i dati siano acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice, su richiesta del pubblico ministero, del difensore dell’imputato, della persona sottoposta alle indagini o della persona offesa (comma 3).
L’articolo 9 modifica l'art. 268 c.p.p., in tema di modalità di esecuzione delle operazioni di intercettazione.
In particolare la lettera a) dell’articolo in esame, mediante la sostituzione del comma 3 dell’articolo 268, opera una profonda innovazione circa gli impianti da utilizzarsi per lo svolgimento delle operazioni, stabilendo che le registrazioni siano compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati e custoditi in appositi centri di intercettazione telefonica istituiti presso le procure generali o presso le procure della Repubblica della sede del distretto di corte d’appello; le operazioni di ascolto delle conversazioni intercettate, invece, saranno compiute mediante impianti installati presso la competente procura della repubblica o anche, salva in questo caso l’espressa autorizzazione del pubblico ministero, presso i servizi di polizia giudiziaria delegati per le indagini.
Viene mantenuto invariato il comma 3 bis che consente al pubblico ministero di disporre, quando si procede ad intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, che le operazioni siano compiute anche mediante impianti appartenenti a privati.
Le lettere b) e c) dell’articolo 3, rispettivamente, inseriscono 2 nuovi commi nell’articolo 268, il 3-ter ed il 3-quater, che dispongono in merito alla trasmissione ed alla custodia dei verbali e delle registrazioni, stabilendo contestualmente l’abrogazione dei commi da 4 a 8 del medesimo articolo che attualmente disciplinano il deposito, l’acquisizione, la trascrizione delle registrazioni: la nuova disciplina di tali aspetti viene infatti dettata dagli articoli aggiuntivi inseriti dal successivo articolo 4 del provvedimento.
L’articolo 268, quarto comma, c.p.p., prevede attualmente che i verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati in segreteria insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga.
Il nuovo comma 3-ter dispone l’immediata trasmissione - in ogni caso mai successiva alla scadenza del termine di ciascun periodo di intercettazione - al pubblico ministero dei verbali e delle registrazioni e la custodia degli stessi nell’archivio riservato istituito, presso la procura della Repubblica, dal successivo articolo 10 del disegno di legge.
Il nuovo comma 3-quater attribuisce poi ai procuratori generali presso la corte d’appello e ai procuratori della Repubblica territorialmente competenti i poteri di gestione, vigilanza, controllo e ispezione, rispettivamente, dei centri di intercettazione e dei punti di ascolto di cui al comma 3.
Il comma 2 dell’articolo 9 demanda al Ministro della giustizia la definizione delle procedure e delle specifiche tecniche degli apparati, indicando anche l’ente che deve provvedere alla omologazione di questi.
L’articolo 10, inserisce nel codice di procedura penale i seguenti cinque nuovi articoli:
§ art. 268-bis, deposito e acquisizione dei verbali e delle registrazioni: viene attribuito prima al pubblico ministero e poi al giudice il potere-dovere di selezionare le intercettazioni da acquisire e viene delineata una procedura più snella e garantito il diritto di difesa.
In particolare, nel termine di cinque giorni (termine che può essere posticipato dal giudice fino alla chiusura delle indagini preliminari nel caso in cui possa derivare pregiudizio alle indagini medesime) dalla conclusione delle operazioni, il pubblico ministero deposita presso la segreteria i verbali e le registrazioni relativi alle conversazioni ritenute rilevanti, motivando sulla rilevanza, unitamente ai decreti di autorizzazione e di proroga delle intercettazioni. Confluiscono invece nell’archivio riservato gli atti relativi a conversazioni di cui è vietata l’utilizzazione e a quelle non rilevanti perché riguardanti persone, fatti o circostanze estranei alle indagini. Ai difensori delle parti, immediatamente avvisati, sono concesse le facoltà di esaminare gli atti depositati e custoditi, di ascoltare le registrazioni, di indicare specificamente al giudice sia le conversazioni non depositate delle quali chiedono l’acquisizione, motivando sulla loro rilevanza, che quelle depositate che ritengono irrilevanti o di cui è vietata l’utilizzazione. Scaduto il termine durante il quale gli atti rimangono depositati, il giudice dispone con ordinanza non impugnabile l’acquisizione delle conversazioni che ritiene rilevanti e di cui non è vietata l’utilizzazione. Viene inoltre custodita nell’archivio riservato anche la documentazione depositata di cui il giudice non ha disposto l’acquisizione, restituita al p.m.
§ art. 268-ter, trascrizione delle registrazioni;
Il giudice dispone una perizia oppure la stampa in forma intelligibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche acquisite; appena concluse le operazioni, i verbali e le registrazioni sono immediatamente ricollocati nell’archivio riservato, mentre le trascrizioni confluiscono nel fascicolo per il dibattimento. Viene in ogni caso stabilito il divieto di trascrizione di quelle parti di conversazioni riguardanti esclusivamente persone, fatti o circostanze estranei alle indagini, e viene previsto che il giudice disponga che i nominativi o i riferimenti identificativi di soggetti estranei alle indagini siano espunti dalle trascrizioni delle conversazioni, ove ciò non rechi pregiudizio all’accertamento dei fatti per cui si procede. Anche in tale ipotesi viene consentito ai difensori di estrarre copia delle trascrizioni e delle stampe, anche su supporto informatico.
§ art. 268-quater, utilizzo delle intercettazioni nel corso delle indagini preliminari;
Il pubblico ministero, al fine di presentare le sue richieste (p.e. di provvedimenti cautelari) può disporre la trascrizione delle conversazioni che ritiene rilevanti: anche in tale ipotesi viene tuttavia espressamente fatta salva la riservatezza dei soggetti terzi, mediante il divieto di trascrizione delle parti di conversazioni riguardanti esclusivamente persone, fatti o circostanze estranei alle indagini, i cui nominativi o riferimenti identificativi possono essere espunti dalle trascrizioni medesime. Nel caso poi in cui il giudice debba adottare una decisione prima del momento del deposito e della formale acquisizione delle intercettazioni di cui all’articolo 268-bis, il pubblico ministero trasmetterà i verbali e le registrazioni delle conversazioni da lui ritenute rilevanti: il giudice dispone l’acquisizione nel fascicolo degli atti di indagini delle conversazioni rilevanti per la decisione, restituendole altre al pubblico ministero che le custodirà nell’archivio riservato di cui all’articolo 89 bis c.p.p.
§ art. 268-quinquies, ascolto e acquisizione di conversazioni disposti dal giudice;
Dopo la conclusione delle indagini preliminari e nel corso dell’udienza preliminare al giudice è comunque riconosciuta la facoltà di disporre, anche d’ufficio, l’esame dei verbali e l’ascolto delle registrazioni custodite nell’archivio riservato, e di disporre, all’esito, con ordinanza, l’acquisizione delle intercettazioni ritenute in precedenza prive di rilevanza. Tale facoltà di acquisizione è riconosciuta al giudice anche nel corso del dibattimento, soltanto però quando sia stata avanzata richiesta delle parti specificamente motivata.
§ art. 268-sexies, avviso a persone non indagate;
Dopo la chiusura delle indagini preliminari il pubblico ministero dà avviso dell’avvenuta intercettazione ai soggetti titolari delle utenze in ordine alle quali è stata disposta intercettazione, diversi da quelli nei cui confronti si procede e non indagati in procedimenti connessi o collegati. A tale regola vengono tuttavia stabilite alcune eccezioni (ricorrendo le quali l’avviso non viene inviato) relative ai casi in cui si proceda per alcuni reati particolarmente gravi (art. 51 comma 3-bis, 3-quater e 407, comma 2, lettera a) c.p.p., nonché 600-ter e 600-quinquies del codice penale),qualora dagli atti di indagine risulti che l’utenza è stata comunque utilizzata da persone indagate nel procedimento o in procedimenti connessi o collegati, se taluna delle conversazioni intercettate sulle utenze sia stata acquisita al procedimento.
L’articolo 11 interviene a modificare l’articolo 269 c.p.p., relativo alla conservazione della documentazione.
La lettera a) sostituisce il comma 1 dell’articolo citato disponendo che i verbali ed i supporti contenenti le registrazioni siano conservati integralmente nell’archivio riservato sopraccitato.
Inoltre, ai sensi del nuovo comma 2, introdotto dalla lettera b) dell’articolo in esame, viene stabilito che - salvo i casi di intercettazioni che non possono essere utilizzate - il giudice possa disporre la distruzione della documentazione contenuta nell’archivio soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza o dopo che siano trascorsi cinque anni dal deposito del decreto di archiviazione.
Viene tuttavia concessa agli interessati la facoltà di chiedere la distruzione della documentazione, sempre che la stessa non sia rilevante per il procedimento, anche prima del decorso dei citati termini, a tutela della riservatezza. Il giudice decide sull’istanza con decreto motivato: in questa ipotesi dovrà comunque acquisire il consenso delle parti.
L’articolo 12 novella l’art. 270 c.p.p. adegua alla nuova disciplina introdotta con la proposta in esame, l’ipotesi di trasmissione ad altra autorità giudiziaria delle intercettazioni per l’utilizzabilità in altro procedimento, disponendo l’applicazione dei nuovi articoli da 268-bis a 268-quinqies.
Gli articoli 13 e 14 recano disposizioni di coordinamento con la nuova disciplina e, rispettivamente, la disciplina degli adempmenti esecutivo, con riferimento al deposito dei verbali e delle autorizzazioni di cui all’ art. 293, comma 3 (articolo 13)e la normativa in tema di intercettazioni finalizzate alla ricerca dei latitanti di cui all’ art. 295, comma 3 (articolo 14).
L’articolo 15 introduce nel codice di procedura penale l’articolo 329-bis, diretto a sancire uno specifico obbligo di segretezza relativamente alla documentazione custodita nell’archivio riservato.
Viene infatti stabilito che i verbali, le registrazioni e i supporti relativi alle conversazioni o flussi di comunicazioni informatiche o telematiche custoditi nel predetto archivio riservato e non acquisiti (nonché la documentazioni ad essi inerente) sono sempre coperti da segreto.
Sono altresì sempre coperti dal segreto i documenti che contengono dati inerenti a conversazioni o comunicazioni telefoniche, informatiche o telematiche, illecitamente formati o acquisiti e i documenti redatti attraverso la raccolta illecita di informazioni, ove non acquisiti al procedimento. I medesimi documenti, se acquisiti al procedimento come corpo del reato, sono coperti dal segreto fino alla chiusura delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare.
L’articolo 16 modifica il comma 2 dell'articolo 380 c.p.p., introducendo tra le fattispecie criminose per le quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza anche i delitti di cui agli articoli 648-bis (Riciclaggio) e 648-ter (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) c.p.
L’articolo 17 interviene sul comma 1 dell’articolo 431 c.p.p., al fine di prevedere che sia inserito nel fascicolo per il dibattimento anche il verbale di consistenza relativo all’acquisizione dei documenti costituenti corpo di reato ai sensi del nuovo articolo 240-ter (cfr. il commento all’articolo 3 della proposta di legge).
L’articolo 18 modifica l’articolo 89 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale[15] e detta disposizioni in materia di costi sostenuti dagli operatori delle telecomunicazioni per prestazioni a fini di giustizia.
Quanto al citato articolo 89 delle disposizioni attuative del codice di rito, viene precisato che il verbale delle operazioni di intercettazione di cui all’articolo 268, comma 1, c.p.p. deve indicare, tra l’altro, anche il nominativo del responsabile delle operazioni medesime.
Inoltre, modificando il comma 2 dello stesso articolo 89, la novella estende gli adempimenti attualmente previsti per i nastri contenenti le registrazioni delle intercettazioni anche ai flussi di comunicazioni informatiche o telematiche.
Il vigente comma 2 del citato articolo 89 prescrive che i nastri contenenti le registrazioni, racchiusi in apposite custodie numerate e sigillate, sono collocati in un involucro sul quale sono indicati il numero delle registrazioni contenute, il numero dell'apparecchio controllato, i nomi, se possibile, delle persone le cui conversazioni sono state sottoposte ad ascolto e il numero che, con riferimento alla registrazione consentita, risulta dal registro delle intercettazioni.
Sono poi introdotti i commi aggiuntivi 2-bis e 2-ter nel richiamato articolo 89.
Il comma 2-bis istituisce la figura del funzionario responsabile del servizio di intercettazione, il quale, designato dal procuratore della Repubblica, cura la tenuta del registro riservato delle intercettazioni e dell'archivio riservato nel quale sono custoditi i verbali ed i supporti di cui al nuovo articolo 89-bis delle disposizioni attuative del codice di procedura penale (cfr. il commento all’articolo 19 della proposta di legge).
Il comma 2-ter stabilisce che il funzionario responsabile del servizio di intercettazione comunica al procuratore della Repubblica, con periodicità bimestrale, l'elenco delle operazioni che si protraggono da oltre tre mesi, con la finalità di rendere costantemente edotto il capo dell’ufficio giudiziario in ordine al volume delle intercettazioni in corso presso la struttura da lui diretta e di agevolare le relative attività di vigilanza.
Infine, si rinvia ad un decreto del Ministro della giustizia la definizione di una specifica disciplina per il ristoro dei costi sostenuti dagli operatori delle telecomunicazioni per le prestazioni effettuate a fronte di richieste di intercettazione ovvero di richieste di acquisizione di dati relativi al traffico telefonico da parte delle competenti autorità giudiziarie. Le nuove norme prevedono, in particolare, che i suddetti costi siano remunerati in forma di canone annuo, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, fermo restando che, fino all’emanazione del richiamato decreto ministeriale, continua ad applicarsi il listino di cui al decreto del Ministro delle comunicazioni del 26 aprile 2001.
L’articolo 19 inserisce, dopo il già citato articolo 89 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, gli articoli 89-bis e 89-ter, che disciplinano, rispettivamente, l’archivio riservato delle intercettazioni e le spese di gestione e di amministrazione in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali.
L’articolo 89-bis prevede l’istituzione del citato archivio riservato delle intercettazioni presso la procura della Repubblica (comma 1).
Tale archivio è tenuto sotto la responsabilità, direzione e sorveglianza del procuratore della Repubblica con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione in esso contenuta (comma 2).
Il comma 3 prevede che l’accesso all’archivio sia consentito, oltre agli ausiliari autorizzati dal procuratore della Repubblica, anche al giudice e ai difensori, nei casi stabiliti dalla legge. Ogni accesso all’archivio è annotato in apposito registro, con l'indicazione della data, dell'ora iniziale e finale dell'accesso e degli atti di cui è stata presa conoscenza.
Al difensore, nei casi previsti dalla legge, è consentito ascoltare le registrazioni utilizzando esclusivamente gli apparecchi a disposizione dell'archivio (comma 4).
L’articolo 89-ter stabilisce che, entro il 31 marzo di ogni anno, ciascun procuratore della Repubblica trasmette al Ministro della giustizia una relazione sulle spese di gestione e di amministrazione avente ad oggetto le intercettazioni telefoniche e ambientali effettuate nell'anno precedente. Ai fini del controllo sulla gestione amministrativa, la relazione è trasmessa dal Ministro della giustizia al procuratore generale della Corte dei conti.
L’articolo 20 apporta alcune modifiche ed integrazioni al codice penale.
In particolare, la lettera a) riscrive l’articolo 379-bis, dettando una peculiare disciplina per la rivelazione illecita di segreti inerenti a un procedimento penale.
L’articolo 379-bis è inserito nel Capo I (Dei delitti contro l'attività giudiziaria) del Titolo III (Dei delitti contro l'amministrazione della giustizia) del Libro II (Dei delitti in particolare) del codice penale.
Il testo vigente di tale articolo (Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale) prevede che sia punito con la reclusione fino a un anno, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso. Tale pena si applica anche alla persona che, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell'articolo 391-quinquies c.p.p.
Alla luce della rielaborazione contenuta nel disegno di legge, il delitto di rivelazione illecita di segreti inerenti a un procedimento penale è commesso da chiunque rivela indebitamente notizie inerenti ad atti del procedimento penale coperti da segreto dei quali è venuto a conoscenza in ragione dell’ufficio o servizio svolti in un procedimento penale, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza. La norma, che commina la reclusione da 6 mesi a 3 anni, prevede, quindi, come condotte delittuose sia la rivelazione indebita di notizie inerenti ad atti del procedimento penale coperti da segreto sia l’agevolazione in qualsiasi modo di tale conoscenza (primo comma).
Qualora il fatto sia colposo, la pena edittale è ridotta, applicandosi la reclusione fino ad 1 anno (secondo comma).
Viceversa, il terzo comma prevede un aggravio della pena ove il fatto di cui ai commi primo e secondo sia commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio (si applica, rispettivamente, la reclusione da 1 a 5 anni e da 6 mesi a 2 anni).
Analogamente a quanto previsto dal testo vigente, il delitto può essere commesso anche da chi, dopo aver rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell'articolo 391-quinquies c.p.p. In tal caso, la pena comminata è la reclusione da 1 a 3 anni (quarto comma).
L’articolo 391-quinquies sopra richiamato disciplina il potere di segretazione del pubblico ministero, prevedendo che, ove sussistano specifiche esigenze relative all'attività di indagine, il pubblico ministero possa, con decreto motivato e per un periodo non superiore a due mesi, vietare alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell'indagine di cui hanno conoscenza (comma 1). Il pubblico ministero, nel comunicare tale divieto alle persone che hanno rilasciato le dichiarazioni, le avverte delle responsabilità penali derivanti dall’indebita rivelazione (comma 2).
La lettera b) inserisce nel codice penale i nuovi articoli 617-septies, 617-octies e 617-novies.
L’articolo 617-septies prevede il delitto di accesso abusivo ad atti del procedimento penale.
La fattispecie criminosa si perfeziona allorquando l’agente, in modo illecito, prenda diretta cognizione di atti del procedimento penale coperti da segreto. Il delitto può essere commesso da chiunque (configurandosi quindi come reato comune) ed è punito con la reclusione da 1 a 3 anni.
L’articolo 617-octies contempla il delitto di detenzione di documenti illecitamente formati o acquisiti. La norma prescrive che, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 617 e 617-quater c.p. e all'articolo 167 del codice in materia di protezione dei dati personali, chiunque, avendo consapevolezza dell'illecita formazione, acquisizione o raccolta, illecitamente detiene documenti che contengono dati inerenti a conversazioni e comunicazioni telefoniche, informatiche o telematiche, illecitamente formati o acquisiti, ovvero documenti redatti attraverso la raccolta illecita di informazioni, è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni.
L’articolo 617-novies introduce il delitto di rivelazione del contenuto di documenti redatti attraverso la raccolta illecita di informazioni.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il reato si perfeziona a carico di chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto di documenti redatti attraverso la raccolta illecita di informazioni. Anche in questo caso, la pena è la reclusione da 6 mesi a 4 anni.
Qualora il fatto sia commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, si applica la reclusione da 1 a 5 anni.
La lettera c) modifica il testo dell’articolo 684 c.p., concernente il reato contravvenzionale di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale[16].
In particolare, la nuova formulazione prevede che l’ammenda per tale reato (ora compresa tra un minimo di 51 e un massimo di 258 euro) sia aumentata (da un minimo di 10.000 a un massimo di 100.000 euro) e che la condanna implichi la pena accessoria della pubblicazione della sentenza a norma dell'articolo 36 c.p.
L’articolo 36 c.p. contempla la pena accessoria della pubblicazione della sentenza penale di condanna. In particolare, il primo comma precisa che la sentenza di condanna alla pena di morte[17] o all'ergastolo è pubblicata mediante affissione nel comune ove è stata pronunciata, in quello ove il delitto fu commesso, e in quello ove il condannato aveva l'ultima residenza. La sentenza di condanna è inoltre pubblicata, per una sola volta, in uno o più giornali designati dal giudice (secondo comma). Tale pubblicazione, che è eseguita d'ufficio e a spese del condannato, è fatta per estratto, salvo che il giudice disponga diversamente (terzo comma). Il quarto comma stabilisce, infine, che la legge determina gli altri casi nei quali la sentenza di condanna deve essere pubblicata. In tali casi, la pubblicazione ha luogo nei modi sopra descritti.
L’articolo 21 modifica il codice in materia di protezione dei dati personali[18]. Le modifiche più rilevanti riguardano la riscrittura dell’articolo 132, relativo alla conservazione di dati di traffico, e l’introduzione dell’articolo 164-bis, relativo agli illeciti per finalità giornalistiche.
Il nuovo testo dell’articolo 132 (comma 1) conferma il termine di 24 mesi per la conservazione dei dati relativi al traffico telefonico, inclusi quelli concernenti le chiamate senza risposta, mentre abbrevia a 6 mesi (in luogo di 12) quello concernente i dati del traffico telematico, esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni.
Si riproduce, inoltre, il contenuto dell’originario comma 2, abrogato dall’articolo 2 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 109 (Attuazione della direttiva 2006/24/CE riguardante la conservazione dei dati generati o trattati nell'ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di reti pubbliche di comunicazione e che modifica la direttiva 2002/58/CE). Conseguentemente, decorsi i termini di cui al comma 1, i dati relativi al traffico telefonico, inclusi quelli concernenti le chiamate senza risposta, sono conservati dal fornitore per ulteriori 24 mesi e quelli relativi al traffico telematico, esclusi comunque i contenuti delle comunicazioni, sono conservati per ulteriori 6 mesi per esclusive finalità di accertamento e di repressione delle gravi fattispecie delittuose di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a)[19], c.p.p., nonché dei delitti in danno di sistemi informatici o telematici.
La disposizione specifica, tra l’altro, che i dati sono acquisiti presso il fornitore con le modalità di cui all'articolo 267-bis c.p.p. (introdotto dall’articolo 8 della proposta di legge). La disciplina vigente prevede che i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del pubblico ministero anche su istanza del difensore dell'imputato, della persona sottoposta alle indagini, della persona offesa e delle altre parti private. Il difensore dell'imputato o della persona sottoposta alle indagini può richiedere, direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al proprio assistito con le modalità indicate dall'articolo 391-quater c.p.p., che disciplina la facoltà del difensore di chiedere documenti in possesso della pubblica amministrazione e di estrarne copia (comma 3).
Infine, viene sostanzialmente recuperato il contenuto del vigente comma 5 (in parte abrogato dal citato articolo 2 del D.Lgs. 109/2008), statuendo che il trattamento dei dati per le finalità di cui all'articolo 267-bis c.p.p. è effettuato nel rispetto delle misure a garanzia dell'interessato prescritte dall'articolo 17 del codice in materia di protezione dei dati personali (si tratta dei casi di trattamento di dati, diversi da quelli sensibili e giudiziari, che presentano rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali nonché per la dignità dell'interessato). Tali misure sono volte anche a:
§ prevedere in ogni caso specifici sistemi di autenticazione informatica e di autorizzazione degli incaricati del trattamento;
§ disciplinare le modalità di conservazione separata dei dati una volta decorsi i termini di cui al comma 1;
§ individuare le modalità di trattamento dei dati da parte di specifici incaricati del trattamento in modo tale che, decorsi i termini di cui al comma 1, l'utilizzazione dei dati sia consentita solo nei casi espressamente stabiliti dalla proposta di legge;
§ indicare le modalità tecniche per la periodica distruzione dei dati, decorsi i termini di cui ai commi 1 e 2 (comma 4).
Con riferimento all’articolo 21 del progetto di legge, potrebbe risultare opportuno un ulteriore approfondimento in ordine alla piena compatibilità con la direttiva comunitaria 2006/24/CE (cfr., in particolare, l’articolo 6) delle norme dettate dal nuovo articolo 132 del d.lgs. 196/2003, nella parte in cui si restituisce efficacia a disposizioni abrogate per effetto del recepimento della suddetta direttiva.
Il nuovo articolo 164-bis disciplina gli iIleciti per finalità giornalistiche.
In caso di diffusione o comunicazione di dati per finalità giornalistiche o di manifestazioni del pensiero, in violazione delle disposizioni dettate dal decreto legislativo 196/2003 per il trattamento dei dati ovvero del codice di deontologia professionale, è applicata la sanzione amministrativa della pubblicazione, per intero o per estratto, della decisione che accerta la violazione, ovvero di una dichiarazione riassuntiva della medesima violazione, nella testata attraverso la quale è stata commessa la violazione nonché, ove ritenuto necessario, anche in altre testate. La pubblicazione è effettuata, secondo le modalità indicate dall'ordinanza, a spese dei responsabili (comma 1). Il Consiglio nazionale e il competente consiglio dell'ordine dei giornalisti, nonché, ove lo ritengano, le associazioni rappresentative di editori, possono far pervenire documenti e la richiesta di essere sentiti (comma 2). Il Garante trasmette al Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti l'ordinanza per l'applicazione di eventuali sanzioni disciplinari (comma 3).
L’articolo 22 apporta modifiche all'articolo 4 del decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2006, n. 281[20].
Il vigente comma 1 del menzionato articolo 4 prevede che, a titolo di riparazione, può essere richiesta all'autore della pubblicazione degli atti o dei documenti (concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti) di cui al comma 2 dell'articolo 240 c.p.p.[21], al direttore responsabile e all'editore, in solido fra loro, una somma di denaro determinata in ragione di cinquanta centesimi per ogni copia stampata, ovvero da 50.000 a 1.000.000 di euro secondo l'entità del bacino di utenza ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematico. In ogni caso, l'entità della riparazione non può essere inferiore a 10.000 euro.
La novella precisa che la richiesta di riparazione può essere indirizzata anche all’autore della diffusione oltre che all’autore della pubblicazione. Inoltre il riferimento agli atti e ai documenti di cui al comma 2 dell'articolo 240 c.p.p. è sostituito con il riferimento ai documenti relativi a intercettazioni e raccolte di dati illecite di cui al nuovo articolo 240-bis c.p.p (introdotto dall’articolo 3 della proposta di legge).
Infine, si specifica che agli effetti della prova della corrispondenza degli atti o dei documenti pubblicati con quelli di cui all'articolo 240-bis c.p.p. fa fede il verbale di consistenza di cui al comma 4 del nuovo articolo 240-ter dello stesso codice. In tali casi, si applicano le norme previste dagli articoli da 737 a 742 c.p.c., che disciplinano i procedimenti in camera di consiglio.
L’articolo 23 reca una serie di modifiche ed abrogazioni.
In particolare, l’articolo in commento modifica l’articolo 240 c.p.p., sopprimendo i commi da 1 a 6 che regolano la segretazione, la custodia e la distruzione dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti.
Inoltre, viene abrogato il comma 1-bis dell’articolo 512 c.p.p., ove si stabilisce che è sempre consentita la lettura dei verbali relativi all'acquisizione e alle operazioni di distruzione degli atti di cui all'articolo 240.
E’ abrogato anche l’articolo 9 della legge 8 aprile 1974, n. 98[22].
La citata disposizione stabilisce che il Ministro per le comunicazioni provvede con propri decreti all’elencazione degli apparecchi e delle parti di apparecchi, idonei in modo non equivoco ad operare le riprese di immagini o le intercettazioni di comunicazioni o conversazioni di cui agli articoli 615-bis e 617 del codice penale. Per gli apparecchi e strumenti di dotazione delle forze armate e delle forze di polizia provvedono i Ministri competenti. Chiunque, senza licenza, fabbrica, importa, acquista, vende, trasporta, noleggia od in qualsiasi altro modo mette in circolazione i suddetti apparecchi, o parti di essi, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da 1 a 4 anni e con la multa da 1032 a 5164 euro.
Per finalità di coordinamento con quanto stabilito all’articolo 18 della stessa proposta di legge, sono abrogate altresì le disposizioni di cui all’articolo 96 del decreto legislativo 259/2003, che demandano, rispettivamente, ad un decreto del Ministro della giustizia, la determinazione delle modalità di ristoro dei costi sostenuti dagli operatori delle telecomunicazioni per prestazioni effettuate a fronte di richieste di intercettazioni e, ad un decreto del Ministro delle comunicazioni, l’approvazione del repertorio delle prestazioni stesse.
Risulta abrogato, infine, l’articolo 3 del citato decreto-legge 259/2006, ai sensi del quale chiunque consapevolmente detiene gli atti, i supporti o i documenti di cui sia stata disposta la distruzione ai sensi dell'articolo 240 c.p.p. è punito con la pena della reclusione da 6 mesi a 4 anni.
L’articolo 24 prevede un regime transitorio, statuendo chela nuova disciplina non trova applicazione nei confronti dei procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore.
Le disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 268 c.p.p., come sostituito dall'articolo 9 della proposta di legge, si applicano decorsi 3 mesi dalla data di pubblicazione di un apposito decreto del Ministro della giustizia che dispone l'entrata in funzione dei centri di intercettazione telefonica. Fino a tale data, continuano a trovare applicazione le disposizioni del comma 3 dell'articolo 268 c.p.p. nel testo attualmente vigente.
L’articolo 25 reca, infine, la copertura finanziaria, precisando cheagli oneri derivanti dall'attuazione del nuovo articolo 268 c.p.p., pari a 820.000 euro per l'anno 2008, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del fondo speciale in conto capitale dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
L’articolo 1, comma 1, modifica l’articolo 36 del codice di procedura penale, con riferimento ai motivi di astensione obbligatoria del giudice.
E’ infatti introdotta al comma 1 del citato articolo 36 c.p.p, una nuova lettera h-bis), che prescrive l'obbligo di astensione del giudice nei casi in cui abbia rilasciato pubblicamente dichiarazioni relative al procedimento affidatogli.
Si ricorda che l’articolo 36 c.p.p. detta la disciplina relativa all’astensione, ossia la rinuncia all’esercizio della funzione giurisdizionale, alla quale è obbligato il magistrato che ritenga di trovarsi in una delle situazioni previste espressamente dallo stesso articolo 36, comma 1 (lettere dalla a) alla g), nonché nelle ipotesi in cui ravvisi “altre ragioni di convenienza” (lettera h) tali da compromettere la sua imparzialità, per cui si renderebbe inopportuna la sua partecipazione al processo.
1. Il giudice ha l'obbligo di astenersi:
a)se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli;
b)se è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto di lui o del coniuge;
c)se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie;
d)se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private;
e)se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o parte privata;
f) se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero;
g)se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario (1);
h)se esistono altre gravi ragioni di convenienza.
La dichiarazione di astensione del magistrato è avanzata al presidente dell’organo giudicante di cui egli fa parte, ovvero se ad astenersi è i giudice di pace al presidente del tribunale, che decidono con decreto , senza alcuna formalità (articolo 36, comma 3 c.p.p.). La dichiarazione di astensione del presidente del tribunale viene proposta al presidente della corte d’appello; quella del presidente della corte d’appello al presidente della Corte di cassazione (articolo 36, comma 4 c.p.p.).
Se l’astensione del magistrato viene accolta, egli non può compiere alcun ulteriore atto del processo (articolo 42, comma 1 c.p.p). Per quanto attiene gli atti compiuti precedentemente dal magistrato astenuto, l’articolo 42, comma 2, c.p.p stabilisce che il giudice che accoglie la dichiarazione di astensione dichiara, con lo stesso provvedimento “se e in quale parte” essi “conservano efficacia”.
Il comma 2, modifica l’articolo 53, comma 2, c.p.p. con riferimento ai casi di sostituzione del pubblico ministero.
Si ricorda che l’articolo 53 c.p. , comma 2, disciplina i casi di sostituzione del pubblico ministero, prevedendo che il capo dell’ufficio cui il pubblico ministero appartiene provvede alla sostituzione del magistrato nei casi di grave impedimento personale, di rilevanti esigenze di servizio e per motivi di opportunità legati alla posizione personale del magistrato nei casi previsti dal sopra descritto articolo 36, lettere a), b), d) ed e). In tutti gli altri casi è necessario il consenso del pubblico ministero per la sua sostituzione.
Ai casi di sostituzione attualmente previsti vengono aggiunti i seguenti:
- il pubblico ministero abbia rilasciato pubblicamente dichiarazioni relative al procedimento affidatogli (è infatti richiamata la lettera h bis) introdotta dal comma 1 in materia di astensione obbligatoria)
- il pubblico ministero risulti iscritto nel registro degli indagati per il reato di illecita rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale di cui è titolare, previsto dall'articolo 379-bis c.p. (per la descrizione della fattispecie si rinvia al commento all’articolo 20 dell’A.C. 406). In tale caso il capo dell'ufficio, prima di provvedere alla sostituzione, deve sentire il procuratore della Repubblica competente a indagare, ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale, sulla rilevanza, serietà e gravità dei fatti.
Il comma 2 prevede altresì che, nel caso in cui il procuratore capo dell’ufficio e il magistrato siano indagati per lo stesso reato di indebita rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale, competente a procedere è il procuratore generale.
L'articolo 2 modifica gli articoli 114 e 115 del codice di procedura penale, relativi al divieto di pubblicazione di atti di indagine.
In particolare, il comma 1 sostituisce il comma 2 dell’art.114 c.p.p, relativo al divieto di pubblicazione, anche parziale, degli atti di indagine anche se non più coperti da segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Rispetto a quanto previsto attualmente, la norma specifica il divieto di pubblicazione non solo dell’atto nella sua originalità ma anche per riassunto e con riferimento al suo contenuto.
A differenza di quanto previsto dalla normativa vigente (comma 7 dell’articolo 114 c.p.p.) prima della conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare non sarà dunque più possibile conoscere il contenuto degli atti di intercettazione.
Ulteriore previsione innovativa consiste nell’estensione del divieto di pubblicazione di tutti gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive,
Come ampiamente illustrato nella ricostruzione del quadro normativo, il vigente art. 114 c.p.p. prevede sia vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto (comma 1).
Quando l’atto non è più coperto dal segreto, è sempre consentita la pubblicazione del suo contenuto (comma 7), ma continua ad essere «vietata la pubblicazione anche parziale dell’atto stesso fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare» (art. 114 comma 2).
Si distingue, pertanto, la pubblicazione anche parziale dell’atto dalla pubblicazione del contenuto dell’atto. Nel primo caso, il divieto di pubblicazione è assoluto; nel secondo caso, invece, il divieto di pubblicazione è attenuato (perché viene consentita la pubblicazione del contenuto).
Il comma 2, sostituisce il comma 7 dell’articolo 114 c.p.p. prevedendo il divieto di pubblicazione “in ogni caso” (quindi anche dopo la conclusione delle indagini o dell'udienza preliminare), degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o ai flussi di comunicazioni informatiche o telematiche di cui è stata ordinata la distruzione ai sensi degli articoli 269 e 271 c.p.p.
L’art. 269 c.p.p prevede la conservazione integrale dei verbali e delle registrazioni presso il pubblico ministero che ha disposto l'intercettazione (comma 1).
Salvo la possibile distruzione disposta dal giudice, le registrazioni sono conservate fino alla sentenza irrevocabile. Tuttavia gli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione, a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l'intercettazione. Il giudice decide in camera di consiglio (comma 2). La distruzione, nei casi in cui è prevista, viene eseguita sotto controllo del giudice. Dell'operazione è redatto verbale (comma 3).
L’art. 271 c.p.p prevede che la distruzione della documentazione di cui è vietata l’utilizzazione è, disposta dal giudice in ogni stato e grado del processo, salvo che costituisca corpo del reato (comma 3).
Il comma 3, modifica l'articolo 115 del codice di procedura penale, in materia di illecito disciplinare costituito dalla violazione del divieto di pubblicazione.
Attualmente il comma 2 dell’art. 115 prevede che il pubblico ministero informi il titolare del potere disciplinare di ogni violazione del divieto di pubblicazione commesso da pubblici impiegati o persone che esercitino una professione per la quale è necessaria una speciale abilitazione dello Stato (la categoria di persone così individuata comprende sia i giornalisti che i magistrati e la polizia giudiziaria come il personale degli uffici giudiziari, gli avvocati ecc.)
Il comma 3 del disegno di legge in esame, sostituisce il citato comma 2 dell’art. 115, prevedendo che nei casi di iscrizione nel registro degli indagati dei suddetti soggetti, per fatti costituenti reato di violazione del divieto di pubblicazione, il procuratore della Repubblica procedente informa l'organo disciplinare competente che, nei successivi trenta giorni, sentito il presunto autore del fatto, può disporre la sospensione cautelare dal servizio o dall'esercizio della professione fino a tre mesi.
L'articolo 3, composto di un unico comma, sostituisce l’articolo 266 del codice di procedura penale in materia di limiti di ammissibilità delle intercettazioni.
In particolare con il nuovo comma 1 dell’art. 266 c.p.p. la disciplina dei limiti di ammissibilità è estesa anche alle “immagini mediante riprese televisive” e all’acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico o telematico.
A tale riguardo, si segnala che in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale, citata anche dalla relazione illustrativa del provvedimento, la tutela che l'articolo 15 della Costituzione appresta alla libertà e alla segretezza di ogni forma di comunicazione opera anche riguardo ai tabulati telefonici ( sentenze n. 81 del 1993 e n. 281 del 1998) .
Anche la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) ha riconosciuto che «i verbali delle registrazioni contengono informazioni, in particolare i numeri chiamati, i quali costituiscono un elemento integrante della comunicazione telefonica» e ha concluso che la consegna di queste informazioni alla polizia, senza il consenso dell'abbonato, si risolve in un'interferenza con il diritto garantito dall'articolo 8 della citata Convenzione europea, il quale tutela la privacy. (Corte europea dei diritti dell'uomo 2 agosto 1984, Malone, Publications of the European Court of Human Rights, serie A, volume 82, 1984).
L’attuale formulazione dell’art. 266, comma 1, elenca (lettere da a) a f-bis) i reati per i quali si possono disporre le operazioni di intercettazione. Il disegno di legge in esame apporta sostanziali modifiche in relazione alla definizione di tale elenco dei reati, restringendone il novero.
La nuova lettera a) continua ad prevedere la possibilità di effettuare le intercettazioni i delitti non colposi puniti con la pena dell'ergastolo. La modifica apportata dalla norma in esame attiene alla possibilità di effettuare intercettazioni per i delitti non colposi puniti con la reclusione superiore nel massimo a dieci anni (la norma vigente indica i delitti puniti con la reclusione superiore nel massimo a cinque anni).
In deroga a tale criterio, le lettere b) e d) prevedono una serie di reati per i quali l'intercettazione può essere disposta indipendentemente dai limiti di pena.
In particolare la nuova lettera b) fa riferimento ai delitti di cui agli articoli 51, commi 3-bis, 3-quater e 3 quinqiues, e 407, comma 2, lettera a).
Il riferimento ai delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis c.p.p è ai delitti di grave allarme sociale previsti dagli articoli 416, sesto comma (associazione per delinquere finalizzata alla tratta o alla riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù o all’acquisto e vendita di schiavi), 600 (riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù), 601 (tratta di persone), 602 (acquisto e vendita di schiavi), 416-bis (associazione mafiosa) e 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione) del codice penale; ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni d’intimidazione previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose, nonché dei delitti previsti dall'articolo 74 del DPR 309/1990 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) e dall'articolo 291-quater del DPR 43/1973 (TU doganale) (associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri). Il riferimento al successivo comma 3-quater è ai delitti aventi finalità di terrorismo.
Il riferimento all’art. 407, comma 2, lett, a) c.p.p. riguarda:
1) i delitti di cui agli articoli 285 (devastazione, saccheggio e strage), 286 (guerra civile), 416-bis (associazione mafiosa) e 422 (strage) del codice penale; il contrabbando di tabacchi lavorati esteri ed il relativo delitto associativo, limitatamente a specifiche ipotesi aggravate (Tu doganale, DPR 43/1973; 2) i delitti di cui agli articoli 575 (omicidio), 628, terzo comma (rapina aggravata), 629, secondo comma (estorsione aggravata), e 630 (sequestro di persona a scopo estorsivo); 3) i delitti commessi avvalendosi delle condizioni d’intimidazione connesse al reato di associazione mafiosa ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni; 4) i delitti di terrorismo puniti con la reclusione tra 5 e 10 anni nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma (ipotesi aggravate di associazione sovversiva) e 306, secondo comma (partecipazione a banda armata) del codice penale; 5) specifici delitti in materia di armi ed esplosivi; 6) produzione, traffico e detenzione illeciti di droghe e relativo reato associativo, limitatamente alle ipotesi aggravate dall’ingente quantità (artt. 73 e 74 DPR 309/1990); 7) il delitto di cui all'articolo 416 c.p. (associazione per delinquere) nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza; 7-bis) i delitti previsti dagli articoli 600 (riduzione e mantenimento in schiavitù o servitù), 600-bis, comma 1, (induzione alla prostituzione minorile), 600-ter, comma 1 (realizzazione di esibizioni pornografiche minorili, produzione, induzione alla partecipazione, realizzazione di materiale pornografico minorile (art. 600-ter, primo comma, c.p.), 601 (tratta di persone), 602 (acquisto e vendita di schiavi), 609-bis-ter (violenza sessuale aggravata), 609-quater (atti sessuali con minorenne) e 609-octies (violenza sessuale di gruppo) del codice penale.
La nuova lettera c) indica, non modificando la disciplina vigente, i delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (si tratta della medesima disposizione prevista dalla lettera b), del medesimo articolo 266 c.p.p. nella formulazione vigente)
La nuova lettera d) fa riferimento ai reati di reati di ingiuria, minaccia, usura, molestia o disturbo delle persone col mezzo del telefono. La previsione della possibilità di effettuare intercettazioni per tali tipologie di reati è già presente nella disciplina vigente (lettera f) dell’art. 266 c.p.p.). Rispetto a quanto previsto dall’attuale formulazione della lettera f), viene eliminata la possibilità di effettuare le intercettazioni per “abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato”.
Il nuovo comma 2 dell’art. 266 c.p.p. si riferisce ai limiti di ammissibilità delle intercettazioni tra presenti (cosiddetta «intercettazioni ambientali»).
Nella sua formulazione attuale, l'articolo 266, comma 2, del codice di procedura penale prevede che le intercettazioni ambientale siano consentite in tutti i casi in cui sono consentite quella telefoniche. E’ altresì previsto che qualora l'intercettazione debba essere effettuata presso l'abitazione di una persona o altro luogo di privata dimora, nel quale si compiono, cioè, gli atti caratteristici della vita domestica (art. 614 c.p.), essa è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.
La nuova formulazione del comma 2 dell’art. 266 elimina il riferimento ai luoghi ove si svolgono gli atti caratteristici della vita domestica, per cui le intercettazioni ambientali sarebbero consentite, a prescindere dal luogo ove vengano effettuate, solo se vi è fondato motivo di ritenere che in tale luogo si stia svolgendo l’attività criminosa (e sempre che si tratti dei reati per i quali sono consentite le intercettazioni telefoniche).
Infine, il nuovo comma 3 dell’art. 266 c.p.p, prevede che, nei procedimenti in cui vi sia una persona offesa, su sua richiesta e limitatamente alle utenze ovvero ai luoghi nella disponibilità della stessa, le operazioni di intercettazione (di conversazioni o comunicazioni telefoniche, di altre forme di telecomunicazione, di immagini mediante riprese visive e l'acquisizione della documentazione del traffico delle conversazioni o comunicazioni) possono essere disposte anche quando si procede per delitti non colposi per i quali è prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a cinque anni.
L’articolo 4, costituito da un unico comma, modifica l'articolo 267 c.p.p., che disciplina i presupposti e le forme del provvedimento con il quale si dispongono le operazioni di intercettazione.
In particolare, la lettera a) riscrive il comma 1 del citato articolo 267 c.p.p., il quale nella formulazione attuale prevede che:
§ il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione a disporre le operazioni di intercettazione;
§ l’autorizzazione è data con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini.
Il nuovo comma 1 devolve la competenza ad autorizzare le operazioni di intercettazione al tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha richiesto l’intercettazione, in composizione collegiale. La novella conferma poi che l'autorizzazione é data con decreto motivato, precisando tuttavia che il citato decreto è contestuale e non successivamente modificabile o sostituibile.
Risultano innovati anche i presupposti dell’autorizzazione a disporre le intercettazioni. Ai fini dell’autorizzazione è infatti necessario, non solo, che vi siano gravi indizi di reato e che l’intercettazione sia assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini (come già attualmente prescritto), ma anche che sussistano specifiche ed inderogabili esigenze relative ai fatti per i quali si procede, fondate su elementi espressamente ed analiticamente indicati nel provvedimento, non limitati ai soli contenuti di conversazioni telefoniche intercettate nel medesimo procedimento.
Ai fini dell’individuazione del tribunale competente la norma richiama il comma 1-bis dell’articolo 322-bis c.p.p., che attribuisce la competenza a decidere in appello sui provvedimenti in materia di sequestro preventivo al tribunale, in composizione collegiale, del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento.
La lettera b) apporta limitate modifiche al comma 2 dell’articolo 267 c.p.p., che regolamenta le ipotesi in cui il pubblico ministero, per ragioni di urgenza (ove vi sia fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini), dispone le intercettazioni con proprio decreto motivato. In tali casi la disciplina vigente prevede che il decreto sia comunicato immediatamente e comunque entro le 24 ore al giudice delle indagini preliminari, il quale entro 48 ore dal provvedimento, può convalidarlo con decreto motivato. Nei casi di mancata convalida, l’intercettazione non può essere proseguita e i risultati acquisiti non possono essere utilizzati.
In linea con le modifiche apportate al comma 1, il disegno di legge stabilisce che la convalida del provvedimento che dispone le intercettazioni in via d’urgenza spetta non più al giudice per le indagini preliminari (coma attualmente accade), ma al tribunale. Inoltre, sempre in analogia con quanto previsto al nuovo comma 1, si precisa che il decreto che dispone le intercettazioni (come pure il decreto di convalida) deve essere contestuale e non successivamente modificabile o sostituibile.
La lettera c) sostituisce il comma 3 del citato articolo 267 c.p.p.
Il testo attuale del citato comma 3 prevede che il decreto del pubblico ministero che dispone l'intercettazione indica le modalità e la durata delle operazioni. In particolare, la durata non può superare i 15 giorni, salva la facoltà del giudice di prorogare gli effetti del provvedimento con decreto motivato per periodi successivi di 15 giorni, qualora ne permangano i presupposti.
La nuova formulazione, nel confermare che il decreto del pubblico ministero che dispone le intercettazioni indica le modalità e la durata delle operazioni per un periodo massimo di 15 giorni, specifica che tale termine è prorogabile dal tribunale in pari misura e per una durata complessiva massima non superiore a 3 mesi.
Secondo la relazione illustrativa, in tal modo “viene introdotto un limite di durata massima delle operazioni di intercettazione, pari a tre mesi, corrispondente alla metà del termine ordinario di durata delle indagini preliminari”.
La lettera d) introduce il comma 3-bis nel suddetto articolo 267 c.p.p., che disciplina i casi in cui l'intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini relative ad un delitto di criminalità organizzata, di terrorismo o di minaccia col mezzo del telefono.
In tali ipotesi, l'autorizzazione a disporre le operazioni di intercettazione è data dopo aver valutato la sussistenza di sufficienti indizi, nel rispetto delle previsioni di cui all'articolo 203 c.p.p.
L’articolo 203 c.p.p. prescrive che il giudice non può obbligare gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria nonché il personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica a rivelare i nomi dei loro informatori. Se questi non sono esaminati come testimoni, le informazioni da essi fornite non possono essere acquisite né utilizzate (comma 1).
Il comma 1-bis dello stesso articoloprevede che l'inutilizzabilità opera anche nelle fasi diverse dal dibattimento, se gli informatori non sono stati interrogati né assunti a sommarie informazioni.
La durata delle operazioni non può superare i 40 giorni, ma può essere prorogata dal tribunale con decreto motivato per periodi successivi di 20 giorni, qualora ne permangano i presupposti. Nei casi di urgenza, alla proroga provvede direttamente il pubblico ministero osservando la procedura di cui al comma 2.
La lettera e) aggiunge un periodo al comma 4 del menzionato articolo 267 c.p.p., in merito alle modalità di svolgimento delle operazioni di intercettazione.
Il testo vigente del predetto comma fa obbligo al pubblico ministero di procedere alle operazioni personalmente o avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria.
Il periodo aggiuntivo introdotto dal disegno di legge precisa che nei casi di cui al comma 3-bis (indagini relative ad un delitto di criminalità organizzata, di terrorismo o di minaccia telefonica), il pubblico ministero e l'ufficiale di polizia giudiziaria possono farsi coadiuvare da agenti di polizia giudiziaria.
La lettera f), infine, sostituisce il comma 5 dell’articolo 267 c.p.p., rendendo più stringenti e puntuali gli adempimenti relativi alle annotazioni nel registro delle intercettazioni.
La disciplina vigente impone di annotare in un apposito registro riservato tenuto nell'ufficio del pubblico ministero, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l'inizio e il termine delle operazioni.
La novella, nel precisare che il registro è tenuto in ogni procura della Repubblica, fa obbligo di annotarvi, secondo un ordine cronologico, la data e l'ora di emissione e la data e l'ora di deposito in cancelleria o in segreteria dei decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni, oltre all'inizio e al termine delle operazioni relative a ciascuna intercettazione (come già attualmente prescritto).
L’articolo 5, composto da un unico comma, apporta modifiche all'articolo 268 c.p.p. relativamente all’esecuzione delle operazioni di intercettazione.
In particolare, la lettera a) sostituisce i commi 1, 2 e 3 del citato articolo 268 c.p.p.
Il nuovo comma 1 dell’articolo 268 c.p.p. conferma che le comunicazioni intercettate sono registrate e che delle operazioni è redatto verbale (come già attualmente previsto), precisando tuttavia che i verbali ed i supporti delle registrazioni sono custoditi nell'archivio riservato disciplinato dal nuovo articolo 269 (v. infra).
Quanto al comma 2, la nuova formulazione estende il contenuto del verbale (che attualmente si limita a dar conto, anche sommariamente, del contenuto delle comunicazioni intercettate), precisando che esso deve recare l'indicazione degli estremi del decreto che ha disposto l'intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione, l'annotazione del giorno e dell'ora di inizio e di cessazione dell'intercettazione. Nel medesimo verbale sono altresì annotati cronologicamente, per ogni comunicazione intercettata, i riferimenti temporali della comunicazione e quelli relativi all'ascolto, la trascrizione sommaria del contenuto, nonché i nominativi delle persone che hanno provveduto alla loro annotazione.
Per quanto attiene al comma 3, il testo vigente precisa che le operazioni di intercettazione possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica, fermo restando che, ove tali impianti siano insufficienti o inidonei ed esistano eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può autorizzare, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria.
Il nuovo testo del comma 3 reca le seguenti novità:
§ le operazioni di registrazione sono compiute per mezzo degli impianti installati nei centri di intercettazione telefonica istituiti presso ogni distretto di corte di appello;
§ le operazioni di ascolto sono compiute mediante gli impianti installati presso la competente procura della Repubblica o, previa autorizzazione del pubblico ministero, presso i servizi di polizia giudiziaria delegati per le indagini.
La relazione illustrativa precisa che l’innovazione concernente i centri di intercettazione telefonica tiene conto di quanto previsto dall'articolo 2, commi 82 e 83, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008) che ha autorizzato il Ministero della giustizia ad avviare, entro il 31 gennaio 2008, la realizzazione di un sistema unico nazionale, articolato su base distrettuale di corte d'appello, delle intercettazioni telefoniche, ambientali e di altre forme di comunicazione informatica o telematica, disposte o autorizzate dall'autorità giudiziaria[23].
Il nuovo sistema – sempre secondo la relazione illustrativa – è volto a limitare i soggetti che hanno accesso alle intercettazioni e a garantire un miglior livello di sicurezza nell'acquisizione e nel trattamento dei dati, oltre che un risparmio di spesa.
Per quanto concerne il quadro economico-finanziario, la relazione tecnica specifica che, considerata una decorrenza degli effetti finanziari del provvedimento non anteriore al 1° gennaio 2009 (come previsto dall'articolo 18, comma 2), la spesa stimata è pari a 19.296.500,00 euro per l’anno 2009 e a 14.796.500,00 euro per l'anno 2010 e a regime. Tali oneri sarebbero ampiamente compensati dai risparmi di spesa, quantificati complessivamente in 180 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2009.
La lettera b) inserisce un comma 3-ter nell’articolo 268 c.p.p., al fine di attribuire ai procuratori generali presso la corte di appello e ai procuratori della Repubblica territorialmente competenti i poteri di gestione, vigilanza, controllo e ispezione, rispettivamente, sui menzionati centri di intercettazione e sui punti di ascolto.
La lettera c) sostituisce i commi 4, 5 e 6 del citato articolo 268 c.p.p.
Il nuovo testo del comma 4 conferma che i verbali e le registrazioni devono essere immediatamente trasmessi al pubblico ministero e che, entro 5 giorni dalla conclusione delle operazioni, essi devono essere depositati in segreteria insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione. La norma, inoltre, nel ribadire che i verbali e le registrazioni restano depositati presso la segreteria per il tempo fissato dal pubblico ministero, consente al tribunale (non più al giudice per le indagini preliminari) di autorizzare una proroga su istanza delle parti, tenuto conto del numero dei verbali e delle registrazioni nonché del numero e della complessità delle intercettazioni.
Il nuovo comma 5 precisa che se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini, il tribunale (la formulazione attuale fa riferimento al “giudice”) autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la data di emissione di avviso della conclusione delle indagini preliminari.
Si ricorda che, ai sensi della vigente disciplina, il deposito può essere ritardato non oltre la chiusura delle indagini preliminari.
Il nuovo comma 6 chiarisce che i difensori delle parti ricevono immediatamente avviso che, entro il termine per il deposito di cui ai commi 4 e 5, possono prendere visione dei verbali e dei decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione, confermando altresì la facoltà di ascoltare le registrazioni e di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche.
Viene inoltre esplicitamente vietato il rilascio di copia dei verbali, dei supporti e dei decreti.
La lettera d) inserisce i commi 6-bis e 6-ter nel citato articolo 268 c.p.p.
Il comma 6-bis innova la disciplina vigente, vietando lo stralcio delle registrazioni e dei verbali prima del deposito in segreteria.
Il comma 6-ter, riprende in parte le previsioni del vigente comma 6, statuendo che, scaduto il termine per il deposito, il pubblico ministero trasmette immediatamente i decreti, i verbali e le registrazioni al tribunale (ora il giudice delle indagini preliminari), il quale fissa la data dell'udienza in camera di consiglio per l'acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti, che non appaiono manifestamente irrilevanti, procedendo anche d'ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione.
La novità rispetto alla disciplina vigente riguarda l’organo competente per l’acquisizione delle conversazioni o delle comunicazioni informatiche e telematiche, che è ora individuato nel tribunale, il quale decide in camera di consiglio a norma dell'articolo 127 c.p.p.
L’articolo 127 c.p.p. regola il procedimento in camera di consiglio.
In tali casi il giudice o il presidente del collegio fissa la data dell'udienza e ne fa dare avviso alle parti, alle altre persone interessate e ai difensori, almeno 10 giorni prima dell’udienza. Se l'imputato è privo di difensore, l'avviso è dato a quello di ufficio (comma 1). Fino a 5 giorni prima dell'udienza possono essere presentate memorie in cancelleria (comma 2). Il pubblico ministero, gli altri destinatari dell'avviso nonché i difensori sono sentiti se compaiono. Se l'interessato è detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del giudice e ne fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo (comma 3).
Il comma 4 dispone che l'udienza è rinviata se sussiste un legittimo impedimento dell'imputato o del condannato che ha chiesto di essere sentito personalmente e che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice.
La mancata osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1, 3 e 4 determina la nullità del procedimento (comma 5). L'udienza si svolge senza la presenza del pubblico (comma 6). Ai sensi dei commi 7 e 8, l’ordinanza con la quale il giudice decide può essere impugnata con ricorso per cassazione, che non ne sospende l'esecuzione salvo diverso provvedimento del giudice che l'ha emessa.
L'inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura, salvo che sia altrimenti stabilito (comma 9). Infine, il comma 10 specifica che il verbale di udienza è redatto in forma riassuntiva[24].
La lettera e) riscrive i commi 7 e 8 del predetto articolo 268 c.p.p.
Quanto al comma 7, l’attuale formulazione prevede che spetta al giudice disporre la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l'espletamento delle perizie.
La novella specifica che tali operazioni sono ora disposte dal tribunale nei soli casi in cui le ritenga necessarie ai fini della decisione da assumere. Resta confermato che le trascrizioni e le stampe sono inserite nel fascicolo per il dibattimento.
Il nuovo comma 8 attribuisce ai difensori la facoltà di estrarre copia delle trascrizioni e di fare eseguire la trasposizione delle registrazioni su supporto informatico (la disciplina vigente prevede la trasposizione su nastro magnetico). La disposizione ribadisce inoltre, analogamente a quanto già attualmente previsto, che in caso di intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, i difensori possono richiedere copia su idoneo supporto dei flussi intercettati ovvero copia della stampa delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche acquisite.
L’articolo 6 modifica i commi 1, 2 e 3 dell'articolo 269 c.p.p. in materia di conservazione della documentazione.
In particolare, viene sostituito il comma 1: nella formulazione attuale tale comma si limita a prevedere che i verbali e le registrazioni sono conservati integralmente presso il pubblico ministero che ha disposto l'intercettazione.
Il nuovo testo precisa che i verbali ed i supporti contenenti le registrazioni sono conservati integralmente in un archivio riservato tenuto presso l'ufficio del pubblico ministero che ha disposto l'intercettazione, con divieto di allegazione, anche solo parziale, al fascicolo.
Viene modificato altresì il comma 2 dello stesso articolo 269 c.p.p., al fine di precisare che le registrazioni – da conservare fino a sentenza non più soggetta ad impugnazione – siano successivamente distrutte nelle forme di cui al comma 3 (ossia sotto il controllo dell’autorità giudiziaria e con verbalizzazione delle operazioni).
Infine, ai commi 2 e 3, viene ridefinita la competenza dell’autorità giudiziaria in merito alla distruzione della documentazione non necessaria per il procedimento a tutela della riservatezza. La competenza ad autorizzare tale distruzione (su istanza delle parti interessate) e a controllarne l’esecuzione, oggi spettante al giudice che ha autorizzato o convalidato l’intercettazione, passa al tribunale, in coerenza con le disposizioni di cui all’articolo 4 del disegno di legge.
L’articolo 7 novella l’art. 270 del codice di rito, incidendo sui margini di utilizzabilità delle intercettazioni in procedimenti diversi da quello in cui sono state autorizzate
In particolare, la novella riguarda il comma 1 che attualmente vieta l’utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali sono state disposte, salvo che dette intercettazioni risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza.
L’art. 380 c.p.p. prevede come obbligatorio l’arresto in flagranza di delitto non colposo consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni (comma 1).
Analogo arresto è obbligatorio in relazione alla flagranza di una specifica serie di reati previsti dal codice penale e da leggi speciali (comma 2): a) delitti contro la personalità dello Stato (artt. 241 e ss, c.p.) per i quali è stabilita la pena della reclusione tra 5 e 10 anni; b) devastazione e saccheggio (art. 419); c) delitti contro l'incolumità pubblica (artt. 422 e ss., c.p.) per i quali è stabilita la pena della reclusione tra 3 e 10 anni; d) delitto di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), induzione alla prostituzione minorile (art. 600-bis, primo comma, c.p.), (realizzazione di esibizioni pornografiche minorili, produzione, induzione alla partecipazione, realizzazione e commercio di materiale pornografico minorile (art. 600-ter, commi primo e secondo, c.p.) anche se riferito a quello cd. “virtuale” di cui all'articolo 600-quater.1); turismo sessuale (art. 600-quinquies, c.p.); e) specifiche ipotesi di furto aggravato (art. 624 c.p.) e e-bis) furto in abitazione o con strappo (art. 624-bis); f) rapina(art. 628) e estorsione (art. 629); g) specifici delitti in materia di armi ed esplosivi); h) produzione, traffico e detenzione di droga (art. 73, TU 309/1990), escluso il caso di lieve quantità; i) delitti di terrorismo puniti con la reclusione tra 4 e 10 anni, l) specifici delitti in tema di associazioni segrete vietate (di tipo massonico, militare con finalità anche indirettamente, politiche, volte alla riorganizzazione del partito fascista, avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;-bis) partecipazione, promozione, direzione e organizzazione dell’ associazione di tipo mafioso; m) promozione, direzione, costituzione e organizzazione della associazione per delinquere, se diretta alla commissione di più delitti fra quelli previsti dal comma 1 o dalle lettere a), b), c), d), f), g), i) del presente comma 2.
L'articolo 7 ribadisce il principio generale secondo cui i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali le operazioni sono state autorizzate e disposte. La disposizione circoscrive altresì la deroga a tale principio. Eliminato il vigente riferimento ai procedimenti per i reati per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, si consente l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni, solo quando esse risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti di cui agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, e 407, comma 2, lettera a)[25], a condizione che esse non siano state dichiarate inutilizzabili nel procedimento in cui sono state disposte.
L’articolo 8 novella l’art. 271 c.p.p. prevedendo, in particolare, una ulteriore ipotesi di divieto di utilizzo delle intercettazioni.
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L’art. 271 c.p.p. prevede che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli articoli 267 e 268 commi 1 e 3.
Non possono essere utilizzate le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone indicate nell'articolo 200 comma 1 (soggetti tenuti al segreto professionale), quando hanno a oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che le stesse persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati.
In ogni stato e grado del processo il giudice dispone che la documentazione delle intercettazioni previste dai commi 1 e 2 sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato.
La prima delle due modifiche riguarda il comma 1 della norma citata ed ha natura di semplice coordinamento con la novella introdotta all’art. 268 c.p.p. dall’art. 5 del d.d.l. in esame (v. ante).
La seconda modifica inserisce un comma 1-bis con il quale è introdotto un nuovo divieto di utilizzazione delle intercettazioni. Sussiste tale divieto quando in udienza preliminare o nel dibattimento emerga una diversa qualificazione del fatto e, in relazione alla nuova fattispecie, non si rientri nelle ipotesi previste dall’ art. 266 c.p.p. con riferimento all’ammissibilità delle intercettazioni.
La relazione al disegno di legge, sul punto precisa come l’intervento si giustifichi “in quanto i limiti di ammissibilità, non soltanto debbono sussistere al momento dell'autorizzazione, ma debbono anche essere riconosciuti dal giudice che utilizza la prova”.
L’articolo 9 integra con un comma 2-quater la formulazione dell’art. 292 del codice di procedura penale, in tema di ordinanza del giudice che dispone la misura cautelare.
L’art. 292 c.p.p. stabilisce che sulla richiesta di misura cautelare trasmessa dal pubblico ministero il giudice provvede con ordinanza (comma 1).
Il contenuto dell’ordinanza che dispone la misura è, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio, il seguente: a) le generalità dell'imputato o quanto altro valga a identificarlo; b) la descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate; c) l'esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato; c-bis) l'esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all'articolo 274 non possono essere soddisfatte con altre misure; d) la fissazione della data di scadenza della misura, in relazione alle indagini da compiere, allorché questa è disposta al fine di garantire l'esigenza cautelare di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 274; e) la data e la sottoscrizione del giudice (comma 2). L'ordinanza contiene altresì la sottoscrizione dell'ausiliario che assiste il giudice, il sigillo dell'ufficio e, se possibile, l'indicazione del luogo in cui probabilmente si trova l'imputato) (comma 2-bis). L'ordinanza è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico e a favore dell'imputato, di cui all'articolo 358, nonché all'articolo 327-bis (comma 2-ter).
L'incertezza circa il giudice che ha emesso il provvedimento ovvero circa la persona nei cui confronti la misura è disposta esime gli ufficiali e gli agenti incaricati dal darvi esecuzione (comma 3).
Il comma 2-quater, prevede che l’ordinanza che autorizza una misura cautelare possa fare riferimento solo al contenuto delle intercettazioni e non riportare il loro testo integrale. Il testo integrale delle intercettazioni va inserito in apposito fascicolo da allegare agli atti.
L’articolo 10 novella i primi due commi dell’art. 329 del codice di rito in materia di atti coperti dal segreto.
Con la prima delle due modifiche è precisato al comma 1 che il segreto copre, oltre che gli atti, anche le attività d’indagine compiuti dal PM e dalla polizia giudiziaria.
Con la seconda modifica, al comma 2 dell’art. 329, è stabilito che la eventuale autorizzazione alla pubblicazione di singoli atti o di parti di essi sia disposta non più dal pubblico ministero ma dal giudice delle indagini preliminari su richiesta del primo.
L’articolo 11 integra la disciplina dell’art. 380 c.p.p prevedendo l’arresto obbligatorio in flagranza anche per il delitto di associazione per delinquere finalizzata a commettere particolari ipotesi di furti aggravati, furto in abitazione e furto con strappo.
A seguito della novella introdotta con l’articolo in commento, è possibile effettuare le intercettazioni anche per i suddetti casi di associazione per delinquere finalizzata a commettere furti aggravati, furto in abitazione e furto con strappo.
Si ricorda infatti che Iil nuovo testo dell'articolo 266, comma 1, lettera b), come modificato dall’art. 3 del ddl in esame, prevede la possibilità di effettuare le intercettazioni per i reati di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), numero 7) del codice di procedura penale, ossia i casi di associazione a delinquere quando è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
Si tratta in particolare:
§ del delitto di furto, quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall'articolo 4 della legge 8 agosto 1977, n. 533 (su armi, munizioni od esplosivi in armerie) quella prevista dall'articolo 625, primo comma, numero 2), prima ipotesi, del codice penale (violenza sulle cose), salvo che, in quest'ultimo caso, ricorra la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale (danno o lucro di speciale tenuità);
§ delitti di furto previsti dall'articolo 624-bis del codice penale, (chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa; chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona) salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, primo comma, numero 4), del codice penale;
L'articolo 12 contiene alcune modifiche agli artt. 89 e 129 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, contenente le disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale.
Il vigente art. 89 (Verbale e nastri registrati delle intercettazioni) disp. att. c.p.p. prevede che Il verbale delle operazioni d’intercettazione contiene l'indicazione degli estremi del decreto che ha le disposte, la descrizione delle modalità di registrazione, l'annotazione del giorno e dell'ora di inizio e di cessazione della intercettazione nonché i nominativi delle persone che hanno preso parte alle operazioni (comma 1).
I nastri contenenti le registrazioni, racchiusi in apposite custodie numerate e sigillate, sono collocati in un involucro sul quale sono indicati il numero delle registrazioni contenute, il numero dell'apparecchio controllato, i nomi, se possibile, delle persone le cui conversazioni sono state sottoposte ad ascolto e il numero che, con riferimento alla registrazione consentita, risulta dal registro delle intercettazioni previsto dall'articolo 267 comma 5 del codice (comma 2),
Le modifiche all’art. 89 riguardano:
- il comma 1, che viene abrogato per esigenze di coordinamento con l’art. 268, comma 2 (come novellato dall’art. 5 del d.d.l.) che ne riprende il contenuto;
- il comma 2, che non prevede più che le registrazioni siano contenute su nastro, bensì su supporto informatico;
- lo stesso comma 2 che prevede che l’involucro che contiene i nastridelle registrazioni riporti anche il numero che risulta dal registro delle notizie di reato:
- un comma aggiuntivo 2-bis che prevede la designazione - da parte del procuratore della Repubblica – di un funzionario responsabile del servizio intercettazioni nonchédella tenuta sia del registro (vedi l’ art. 4 del d.d.l. in esame) che dell’archivio riservato delle intercettazioni. (vedi l’art. 6 del d.d.l.)
Un secondo gruppo di modifiche è inerente all’art. 129 (Informazioni sull’azione penale).
L’art. 129, disp. att. c.p.p. stabilisce che il PM, in sede di esercizio dell'azione penale nei confronti di un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico, informi l'autorità da cui l'impiegato dipende, dando notizia dell'imputazione. Quando si tratta di personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica, ne dà comunicazione anche al comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato (comma 1).
Quando l'azione penale è esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un religioso del culto cattolico, l'informazione è inviata all'Ordinario della diocesi a cui appartiene l'imputato (comma 2).
Quando esercita l'azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l'erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei conti, dando notizia della imputazione (comma 3).
Il pubblico ministero invia la informazione contenente la indicazione delle norme di legge che si assumono violate anche quando taluno dei soggetti indicati nei commi 1 e 2 è stato arrestato o fermato ovvero si trova in stato di custodia cautelare (comma 3-bis).
La prima novella, al comma 1, integra il contenuto delle notizie che - in caso di esercizio dell’azione penale nei confronti di un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico, il pubblico ministero procedente deve fornire all'autorità da cui l'impiegato dipende. Oltre alla notizia dell'imputazione, il PM dovrà menzionare anche le norme di legge che si ritengono violate nonché la data e luogo del fatto illecito.
Con le ulteriori modifiche all’art. 129, come recita la relazione al provvedimento in esame “si provvede a recepire il risultato degli accordi intercorsi tra Stato e Chiesa”:
§ il riformulato comma 2 individua le autorità ecclesiastiche che, in relazione alle cariche ricoperte, sono destinatarie delle informazioni sull’avvio dell’azione penale verso ecclesiastici o religiosi del culto cattolico;
§ tali autorità ecclesiastiche sono determinate dai nuovi commi 2-ter e 2-quater: le informazioni sono fornite al cardinale Segretario di Stato, quando indagato o imputato sia un vescovo diocesano o autorità religiosa equiparata; quando invece siano indagati o imputati sacerdoti secolari e assimilati le informazioni sono fornite all’ordinario diocesanonella cui circoscrizione territoriale ha sede la procura procedente;
§ un’ulteriore novità riguarda un comma aggiuntivo 2-bis che estende gli obblighi informativi dell’autorità inquirente anche quando siano applicate le misure coercitive personali del fermo, dell’arresto o della custodia cautelare ad impiegati dello Stato o ecclesiastici e religiosi del culto cattolico; gli obblighi informativi all’autorità ecclesiastica, sussistono anche nei casi di applicazione di altre misure cautelari personali nonché di invio dell’informazione di garanzia;
§ per esigenze di coordinamento con il contenuto del nuovo comma 2-bis viene, infine, soppresso il comma 3-bis.
L’articolo 13 apporta modifiche al codice penale.
In particolare, la lettera a) sostituisce l’articolo 379-bis c.p. in tema di rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale.
La fattispecie penale, come modificata dal disegno di legge, prevede la reclusione da 1 a 5 anni per chiunque dolosamente riveli, o comunque agevoli la conoscenza, di segreti inerenti a un procedimento penale, dei quali sia venuto a conoscenza a causa del proprio ufficio o servizio (comma 1).
Se il delitto è colposo, la reclusione è fino a un anno (comma 2); stessa pena si applica a colui che, dopo aver rilasciato dichiarazioni nella fase delle indagini preliminari, non osservi il divieto imposto dal PM di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine (ex art. 391-quinquies c.p.p.).
La lettera b) novella l’articolo 614 del codice penale in tema di violazione di domicilio.
Attualmente, in base all’art. 614, è punito, a querela della persona offesa (comma 3), con la reclusione fino a 3 anni chiunque:
a)si introduce nell'abitazione altrui, o in altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi contro la volontà espressa o tacita di colui che ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si introduca clandestinamente o con l'inganno (comma 1);
b)si trattiene nei luoghi sopra indicati contro l'espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo, oppure vi si trattiene clandestinamente o con l'inganno (comma 2).
Il delitto è aggravato, e la pena va da 1 a 5 anni di reclusione, se il fatto è commesso con violenza sulle cose (es. forzando una serratura per entrare in un alloggio); se è commesso con violenza sulle persone (es. percuotendo il padrone di casa); se è commesso da persona palesemente armata (comma 4). Qualora il delitto in questione sia realizzato allo scopo di compiere un furto, non si ha violazione di domicilio, ma furto aggravato, in quanto la violazione di domicilio finalizzata a rubare costituisce una specifica circostanza aggravante del furto.
Il disegno di legge interviene sul primo comma dell’art. 614 per sostituire l’espressione «luogo di privata dimora» con l’espressione «luogo privato»: ciò comporta una estensione dell’ambito applicativo della fattispecie penale della violazione di domicilio.
Sino ad oggi, la giurisprudenza ha inteso per “privata dimora” qualsiasi luogo destinato permanentemente o transitoriamente alla esplicazione della vita privata o delle attività lavorative (cfr. Cassazione, Sez. V, sent. n. 10531 del 7 dicembre 1983). Il concetto di privata dimora è, pertanto, più ampio di quello di casa di abitazione, rientrando in esso ogni altro luogo, diverso dalla casa di abitazione, dove la persona si sofferma per compiere, anche in modo contingente e provvisorio, atti della sua vita privata (di commercio, di lavoro, di studio, di svago ecc.).
E’ peraltro vero che, anche recentemente, la Cassazione – proprio trattando il tema delle intercettazioni (ex art. 266, comma secondo) - ha escluso che rappresenti un luogo di privata dimora, ad esempio, l’abitacolo dell’autovettura (cfr., da ultimo, Sez. 6, Sentenza n. 4125 del 17 ottobre 2006: «Ai fini dell'ammissibilità di intercettazioni tra presenti, l'abitacolo di un'autovettura, in quanto spazio destinato naturalmente al trasporto delle persone o al trasferimento di oggetti da un luogo a un altro e in quanto sfornito dei conforti minimi necessari per potervi risiedere stabilmente per un apprezzabile lasso di tempo, non può essere considerato luogo di privata dimora, giacché in esso non si compiono, di norma, atti caratteristici della vita domestica»[26]), consentendo così che in tale luogo si effettuassero c.d. intercettazioni ambientali, a prescindere dal fatto che si tratti di luoghi ove si stia svolgendo attività criminosa.
Si osserva che l’articolo 3del disegno di legge che sostituisce l’art. 266 del codice di procedura, ha eliminato ogni riferimento all’art. 614 c.p.
Nella sua formulazione attuale, l'articolo 266, comma 2, del codice di procedura penale prevede che le intercettazioni ambientale siano consentite in tutti i casi in cui sono consentite quella telefoniche. E’ altresì previsto che qualora l'intercettazione debba essere effettuata presso l'abitazione di una persona o altro luogo di privata dimora, nel quale si compiono, cioè, gli atti caratteristici della vita domestica (art. 614 c.p.), essa è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.
La lettera c) inserisce nel codice penale l’articolo 617-septies, rubricato “Accesso abusivo ad atti del procedimento penale”. La norma sanziona con la reclusione da 1 a 3 anni chiunque illecitamente prende cognizione di atti del procedimento penale coperti dal segreto.
Infine, le lettere d) ed e) novellano la contravvenzione prevista dall’articolo 684 del codice penale, in tema di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale.
L’art. 684 c.p. punisce con l'arresto fino a trenta giorni o con l'ammenda da 51 a 258 euro chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d'informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione.
Il disegno di legge prevede:
§ un inasprimento della sanzione (arresto fino a 6 mesi e ammenda da 250 a 750 euro);
§ un’aggravante per l’ipotesi in cui la pubblicazione riguardi intercettazioni (arresto da 1 a 3 anni e ammenda da 500 a 1.032 euro).
L’articolo 14 estende l’applicazione della disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001[27], al reato di cui all’art. 684 c.p. (Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale).
Il D.Lgs. n. 231/2001 prevede che per una serie di reati espressamente individuati possano essere applicate alla persona giuridica - mediante accertamento giudiziale - oltre a sanzioni interdittive (interdizione dall'esercizio dell'attività, sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, etc.) anche sanzioni di natura pecuniaria, applicate per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille; l'importo di una quota varia da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1.548 euro.
Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell'ente, nonché dell'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti. L'importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente allo scopo di assicurare l'efficacia della sanzione.
In particolare, l’articolo 14 inserisce nel d. lgs n. 231/2001 l’articolo 25-nonies, rubricato “Responsabilità per il reato di cui all'articolo 684 del codice penale” in forza del quale laddove sia accertato il reato di cui all’art. 684 c.p. il giudice dovrà applicare all’ente (presumibilmente si tratta dell’editore) la sanzione pecuniaria da 100 a 300 quote.
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo, l’ente può non essere ritenuto responsabile dell’illecito se prova che:
a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b).
L’articolo 15 del disegno di legge novella l’articolo 8 della legge sulla stampa (l. n. 47 del 1948[28]), in tema di diritto di rettifica.
Come è noto, il bilanciamento tra l'interesse del pubblico ad essere informato (alla cui realizzazione è strumentale l'esercizio del diritto di cronaca e di critica da parte di chi informa) e l'interesse della persona, fisica o giuridica, a non essere lesa nella sua identità personale è realizzato dall'art. 8, comma 1, della legge sulla stampa, che riconosce il diritto alla pubblicazione di dichiarazioni o rettifiche ai «soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità», sulla base del loro personale sentire, indipendentemente dal fatto che lesione della dignità effettivamente vi sia stata (comma 1).
Il direttore del giornale (o altro responsabile) è tenuto, nei tempi e con le modalità fissate dalla legge (pubblicazione della risposta o rettifica nella stessa pagina ove si trovava la notizia “incriminata” ed entro 2 giorni dalla richiesta per i quotidiani; entro i due numeri successivi per i periodici), all'integrale pubblicazione dello scritto di rettifica, purché contenuto nelle dimensioni di trenta righe (comma 4), essendogli inibito qualsiasi sindacato sostanziale, salvo quello diretto a verificare che la rettifica non abbia contenuto tale da poter dare luogo ad azione penale.
Ai sensi del comma 5, se – trascorsi i termini previsti dalla legge – la rettifica non è stata pubblicata, l’interessato può rivolgersi in via d’urgenza al tribunale affinché, in via d'urgenza, ordini al direttore la immediata pubblicazione ovvero, ai sensi dell'articolo 700 c.p.c., disponga la pubblicazione. La mancata o incompleta ottemperanza all'obbligo di pubblicazione della rettifica è punita con la sanzione amministrativa da 7.747 a 12.911 euro (comma 6) e con la pubblicazione della sentenza (comma 7).
Il disegno di legge apporta le seguenti modifiche all’art. 8:
§ inserisce un ulteriore comma con il quale dispone che per le trasmissioni radiofoniche o televisive, il diritto di rettifica si esercita ai sensi dell’art. 32 del testo unico della radiotelevisione (d.lgs. n. 177/2005[29]).
L’articolo 32 del testo unico disciplina l’esercizio del diritto di rettifica in relazione a telegiornali e giornali radio. La disposizione, ricalcando quando previsto dalla legge sulla stampa, prevede che la rettifica sia effettuata entro 48 ore dalla data di ricezione della richiesta, in fascia oraria e con il rilievo corrispondenti a quelli della trasmissione che ha dato origine alla lesione degli interessi. Trascorso detto termine senza che la rettifica sia stata effettuata, l'interessato può rivolgersi all’autorità giudiziaria ovvero, se l’emittente contesta il diritto alla rettifica, all’Autorità delle comunicazioni che si pronuncerà entro 5 giorni.
§ lo stesso nuovo comma dispone che per i siti internet la rettifica sia pubblicata entro 48 ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferisce.
§ novellando l’attuale comma 4 dell’articolo 8, precisa che la pubblicazione della rettifica non deve essere accompagnata da commenti;
§ inserisce un ulteriore comma con il quale disciplina l’esercizio del diritto di rettifica in relazione alla stampa non periodica. In particolare, il disegno di legge prevede che l'autore dello scritto (o, in mancanza, l’editore o, in mancanza, lo stampatore) debba provvedere, su richiesta della persona offesa, alla pubblicazione della rettifica, a proprie spese, su massimo 2 quotidiani a tiratura nazionale indicati dall’offeso. Tale pubblicazione dovrà essere effettuata entro 7 giorni dalla richiesta;
§ coordina la disposizione dell’attuale comma 5, relativa all’azione a tutela del diritto di rettifica, con le modifiche apportate al resto dell’articolo 8;
§ inserisce un ulteriore comma per prevedere che il ricorso al tribunale a garanzia dell’effettività del diritto di rettifica sia consentito anche all’autore della pubblicazione quando altri (direttore responsabile del quotidiano/periodico o responsabile della trasmissione) si rifiutino di pubblicare la rettifica richiesta.
L’articolo 16 abroga l’articolo 13 del d.l. n. 152 del 1991[30] in tema di lotta alla criminalità organizzata ai fini di coordinamento con le modifiche apportate dall’articolo 4 del ddl, in particolare con l’inserimento nell’art. 267 del codice di rito del comma 3-bis.
L’articolo 13 stabilisce che in deroga a quanto disposto dall'articolo 267 del codice di procedura penale, l'autorizzazione a disporre le intercettazioni è data, con decreto motivato, quando l'intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono in ordine ai quali sussistano sufficienti indizi. Nella valutazione dei sufficienti indizi si applica l'articolo 203 del codice di procedura penale. Quando si tratta di intercettazione di comunicazioni tra presenti disposta in un procedimento relativo a un delitto di criminalità organizzata e che avvenga nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale, l'intercettazione è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l'attività criminosa (comma 1).
Nei casi di cui al comma 1, la durata delle operazioni non può superare i quaranta giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di venti giorni, qualora permangano i presupposti indicati nel comma 1. Nei casi di urgenza, alla proroga provvede direttamente il pubblico ministero; in tal caso si osservano le disposizioni del comma 2 dell'articolo 267 del codice di procedura penale (comma 2).
Negli stessi casi di cui al comma 1 il pubblico ministero e l'ufficiale di polizia giudiziaria possono farsi coadiuvare da agenti di polizia giudiziaria (comma 3).
L’articolo 17 interviene sul c.d. Codice della privacy (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196), in primo luogo per novellare l’articolo 139, in tema di codice di deontologia relativo ad attività giornalistiche.
L’articolo 139 del Codice della privacy stabilisce che il Garante debba farsi promotore dell’adozione, da parte del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, di un codice di deontologia relativo al trattamento dei dati e definisce la procedura da seguire per giungere all’emanazione del Codice stesso. Infine dispone che, in caso di violazione delle prescrizioni contenute nel codice di deontologia, il Garante possa vietare il trattamento dei dati.
In particolare, il disegno di legge:
§ interviene sul comma 5 dell’art. 139 per stabilire che in caso di violazione del codice deontologico o delle norme generali sul trattamento dei dati (art. 11) o delle norme specifiche relative al trattamento per finalità giornalistiche (art. 137), il garante può bloccare o vietare il trattamento (ex art. 143, co. 1, lett. c). Il Garante può inoltre, a tutela dell’interessato imporre la pubblicazione o diffusione in una o più testate della decisione che accerta la violazione;
§ inserisce il comma 5-bis, in forza del quale nell’ambito del procedimento che conduce alla decisione del Garante (v. sopra), il Consiglio nazionale, il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti competente, eventuali associazioni rappresentative di editori, possono far pervenire documenti e la richiesta di essere sentiti;
§ inserisce il comma 5-ter, che prevede che la pubblicazione o diffusione della decisione del Garante (v. comma 5), sia effettuata gratuitamente e nel rispetto delle modalità fissate dallo stesso Garante. Se la pubblicazione deve essere effettuata anche su testate diverse da quella che ha commesso la violazione, per le modalità e le spese si osservano le disposizioni del regolamento sulle procedure istruttorie dell’Antitrust in materia di pubblicità ingannevole e comparativa (D.P.R. n. 284 del 2003[31], art. 15);
§ con finalità di coordinamento con le modifiche già descritte, il disegno di legge novella l’art. 170 del Codice, così da prevedere la reclusione da 3 mesi a 2 anni per chiunque, essendovi tenuto, non osserva un provvedimento del Garante. Nell’elenco dei provvedimenti la cui violazione comporta responsabilità penale viene inserito il provvedimento di cui all’art. 139, comma 5 (v. sopra).
L’articolo 18, comma 1, prevede che le disposizioni della legge non si applichino ai procedimenti penali pendenti alla data della sua entrata in vigore.
Si ricorda che il concetto di procedimento penale è più ampio di quello di processo penale: il procedimento penale ha inizio con l'iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro (art. 335 c.p.p.) tenuto dall'ufficio del pubblico ministero e prosegue con la fase delle indagini preliminari, finalizzata ad assumere le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale (art. 326 c.p.p.). A conclusione delle indagini preliminari e solo se il pubblico ministero decide di esercitare l’azione penale (ai sensi dell’art. 405 c.p.p. con la formulazione dell’imputazione o con la richiesta di rinvio a giudizio), si apre il processo penale vero e proprio.
Si ritiene pertanto che, nell’ambito dei procedimenti pendenti, e dunque dei procedimenti per i quali la notizia di reato sia stata iscritta nell’apposito registro (ex art. 335 c.p.p.) aprendo la fase delle indagini preliminari, sarà comunque possibile continuare a richiedere e a svolgere le intercettazioni sulla base della pregressa normativa.
Il comma 2 specifica inoltre che le disposizioni di cui al comma 3 dell’art. 268 - in tema di svolgimento delle operazioni di intercettazione attraverso impianti installati presso ogni distretto di corte d’appello (v. sopra, commento art. 5 d.d.l.) - si applicano decorsi tre mesi dalla pubblicazione del decreto con il quale il ministro della giustizia dispone l'entrata in funzione dei centri di intercettazione telefonica. Fino ad allora si continuerà ad applicare l’art. 268 comma 3 attualmente in vigore.
Nella riunione del 1-2 giugno 2006, il Consiglio giustizia e affari interni ha raggiunto un orientamento generale sulla proposta di decisione quadro relativa alla creazione di un mandato europeo di ricerca delle prove diretto all'acquisizione di oggetti, documenti e dati da utilizzare a fini probatori nei procedimenti penali (COM(2003)688), presentata dalla Commissione il 14 novembre 2003.
L'accordo a cui il Consiglio è pervenuto è basato su un testo di compromesso presentato dall’allora Presidenza lussemburghese dell’UE, volto a trovare un consenso su due aspetti della proposta molto dibattuti: le disposizioni della proposta relative alla possibilità di un rifiuto di esecuzione del mandato europeo di ricerca delle prove[32] e la definizione dei reati[33]. I lavori per la formulazione del testo sono poi proseguiti, fino al mese di dicembre 2007, in seno agli organi di lavoro del Consiglio[34].
In base al testo di compromesso (come anche della originaria proposta della Commissione europea) si intende per mandato europeo di ricerca delle prove una decisione giudiziaria resa da un’autorità competente di uno Stato membro allo scopo di acquisire oggetti, documenti e dati da un altro Stato membro ai fini del loro utilizzo nei seguenti procedimenti:
a)procedimenti penali;
b)procedimenti avviati dalle autorità amministrative in relazione a fatti punibili in base al diritto nazionale dello Stato membro di emissione, perché configurino una violazione di legge e quando la decisione può dar luogo ad un procedimento davanti ad una giurisdizione competente in particolare in materia penale;
c)procedimenti avviati dalle autorità amministrative in relazione a fatti punibili in base al diritto nazionale dello Stato membro di emissione, perché configurino una violazione di legge e quando la decisione può dar luogo a ulteriori procedimenti davanti ad una giurisdizione competente in particolare in materia penale;
d)procedimenti di cui ai punti (a), (b) e (c) relativi a reati per i quali può essere giudicata responsabile una persona giuridica nello Stato di emissione.
Gli Stati membri saranno tenuti a dare esecuzione al mandato europeo di ricerca delle prove in base al principio del reciproco riconoscimento ed in conformità alle disposizioni della decisione quadro, una volta in vigore.
Il testo di compromesso sottolinea espressamente che la decisione quadro in questione non ha l’effetto di modificare l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi giuridici fondamentali sanciti dall’articolo 6 TUE e che pertanto qualsiasi obbligo incomba alle autorità giudiziarie al riguardo rimane impregiudicato.
Il testo stabilisce che il mandato europeo di ricerca delle prove non venga emesso allo scopo di richiedere all’autorità di esecuzione di:
· condurre interrogatori, raccogliere dichiarazioni o avviare altri tipi di audizioni di indiziati, testimoni o periti, o qualsiasi altra parte;
· procedere ad accertamenti corporali o prelevare materiale biologico o dati biometrici direttamente dal corpo di una persona, ivi compresi i campioni di DNA o impronte digitali;
· acquisire informazioni in tempo reale, ad esempio attraverso l’intercettazione di comunicazioni, la sorveglianza discreta dell’indiziato o il controllo dei movimenti su conti bancari;
· condurre analisi di oggetti, dei documenti o dei dati esistenti;
· ottenere dati sulle comunicazioni conservati dai fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche accessibili al pubblico o di una rete pubblica di comunicazione[35] .
In base al testo di compromesso, tuttavia, il mandato europeo di ricerca delle prove può essere emesso per acquisire mezzi di prova esistenti, che rientrino nelle categorie suindicate, qualora essi fossero già stati raccolti prima dell'emissione del mandato.
Per quanto concerne la definizione dei reati la proposta prevede che, per 32 categorie di reato, lo Stato di esecuzione non possa addurre la doppia incriminabilità come motivo del rifiuto di eseguire un mandato europeo di ricerca delle prove (anche nel caso in cui sia necessario effettuare una perquisizione o un sequestro), qualora il reato in questione sia punibile nello Stato di emissione con una pena privativa della libertà della durata di almeno tre anni. Il Consiglio ha sottolineato che tale impostazione è in linea con precedenti strumenti come il mandato di cattura europeo, le decisioni di blocco o sequestro, le sanzioni pecuniarie[36].
Le 32 categorie comprendono i seguenti reati: partecipazione a un'organizzazione criminale; terrorismo; tratta di esseri umani; sfruttamento sessuale dei bambini e pornografia infantile; traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope; traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi;corruzione; frode, compresa la frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee ai sensi della convenzione del 26 luglio 1995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee; riciclaggio di proventi di reato; falsificazione e contraffazione di monete, tra cui l'euro; criminalità informatica; criminalità ambientale, compreso il traffico illecito di specie animali protette e il traffico illecito di specie e di essenze vegetali protette; favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno illegali; omicidio volontario, lesioni personali gravi; traffico illecito di organi e tessuti umani; rapimento, sequestro e presa di ostaggi;razzismo e xenofobia; rapina organizzata o a mano armata; traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti d'antiquariato e le opere d'arte; truffa;racket e estorsioni; contraffazione e pirateria in materia di prodotti; falsificazione di atti amministrativi e traffico di documenti falsi; falsificazione di mezzi di pagamento; traffico illecito di sostanze ormonali ed altri fattori di crescita; traffico illecito di materie nucleari e radioattive; traffico di veicoli rubati; violenza sessuale; incendio doloso; reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale; dirottamento di aereo/nave; sabotaggio.
La proposta di decisione quadro definisce inoltre i principi procedurali e i sistemi di garanzie per lo Stato membro di emissione e per quello di esecuzione.
In particolare la proposta prevede che ciascuno Stato membroadotti ogni provvedimento atto ad assicurare che il mandato europeo di ricerca delle prove sia emesso soltanto quando l'autorità di emissione è certa che siano soddisfatte le seguenti condizioni:
- ottenere gli oggetti, documenti o dati richiesti è necessario e proporzionato ai fini dei procedimenti indicati dalla proposta stessa (vedi supra);
- tali oggetti, documenti o dati possono essere acquisiti in base alla legislazione dello Stato di emissione in un caso analogo, qualora disponibili anche nel territorio dello Stato di emissione, sebbene in applicazione di misure procedurali eventualmente diverse;
Per quanto riguarda le condizioni di utilizzo di dati di carattere personale, il testo di compromesso stabilisce che i dati possano essere utilizzati dallo Stato di emissione:
- ai fini dei procedimenti per i quali può essere emesso un mandato europeo di ricerca delle prove;
- ai fini di altri procedimenti giudiziari e amministrativi direttamente connessi con i procedimenti indicati al paragrafo precedente;
- ai fini della prevenzione di un pericolo grave e immediato per la sicurezza pubblica.
Per qualsiasi altro fine, diverso da quanto enunciato al primo comma, i dati di carattere personale possono essere utilizzati soltanto previa autorizzazione dello Stato di esecuzione, salvo che lo Stato di emissione abbia ottenuto il consenso della persona interessata.
La proposta prevede infine metodi di impugnazione e dispone il risarcimento degli eventuali danni.
La proposta segue la procedura di consultazione. Il Parlamento europeo ha espresso il suo parere sulla proposta della Commissione europea il 31 marzo 2004. ll Segretariato generale del Consiglio ha informato che, in seguito alle modifiche sostanziali del testo apportate dal Consiglio alla proposta originaria della Commissione europea, il Parlamento europeo dovrebbe presumibilmente essere riconsultato, al fine di esprimere un nuovo parere al più tardi entro il 23 ottobre 2008.
Il 4 ottobre 2005 la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione quadro (COM(2005)475), relativa alla protezione dei dati personali nel quadro della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
La proposta di decisione quadro comprende norme generali sulla legittimità del trattamento dei dati personali e disposizioni concernenti: le forme specifiche di trattamento (trasmissione e messa a disposizione di dati personali alle autorità competenti degli altri Stati membri, ulteriore trattamento e trasmissione dei dati ricevuti o resi disponibili dalle autorità competenti degli altri Stati membri); i diritti delle persone cui i dati si riferiscono; la riservatezza e la sicurezza del trattamento; i ricorsi giurisdizionali; le sanzioni; le autorità di controllo e un gruppo di lavoro sulla protezione delle persone con riguardo al trattamento dei dati personali ai fini della prevenzione, della ricerca, dell'accertamento e del perseguimento dei reati penali. La proposta definisce, tra le altre cose, gli obblighi di informazione del responsabile del trattamento nei confronti dell’interessato, anche nei casi in cui i dati non siano stati ottenuti direttamente dall’interessato o siano stati ottenuti senza che egli ne fosse a conoscenza
La proposta di decisione, che segue la procedura di consultazione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo, in prima lettura, nella seduta plenaria del 23 settembre 2008. Il Consiglio Giustizia e Affari interni del 9 novembre 2007 ha raggiunto un approccio comune sulla proposta, confermando l’orientamento, già emerso nella riunione del 18 settembre 2007, secondo cui il testo si applicherà esclusivamente allo scambio di dati a livello transfrontaliero[37], e la trasmissione di dati a paesi terzi sarà possibile solo a determinate condizioni e previo accordo dello Stato membro di origine dell’informazione.
Si ricorda infine che il 13 novembre 2007 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva (COM(2007)698) nel settore dei servizi di comunicazioni elettroniche che modifica alcune direttive, tra cui la direttiva 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche.
La proposta è volta a rafforzare alcuni diritti dei consumatori e degli utenti (in particolare al fine di migliorare l'accessibilità e promuovere una società dell'informazione aperta a tutti), facendo in modo che le comunicazioni elettroniche siano affidabili, sicure ed attendibili e garantiscano un livello elevato di tutela della vita privata e dei dati a carattere personale.
La proposta prevede, tra le altre cose, l’introduzione della notifica obbligatoria delle violazioni alla sicurezza che comportano la perdita dei dati personali degli utenti o che compromettono i dati stessi.
In particolare, qualora si produca una violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la rivelazione non autorizzata o l'accesso ai dati personali trasmessi, memorizzati o comunque elaborati nel contesto della fornitura di servizi di comunicazione accessibili al pubblico nella Comunità, il fornitore dei servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico è tenuto a comunicare senza indugio l'avvenuta violazione all'abbonato e all'autorità nazionale di regolamentazione. La comunicazione all'abbonato deve contenere almeno una descrizione della natura della violazione ed elencare le misure raccomandate per attenuarne i possibili effetti negativi. Gli Stati membri saranno tenuti a determinare le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali di attuazione della direttiva e a prendere tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione.
La proposta di direttiva, che segue la procedura di codecisione, dovrebbe essere esaminata dal Parlamento europeo in prima lettura nella seduta plenaria del 2 settembre 2008.
Le disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) che appaiono di più immediato rilievo ai fini di una valutazione di compatibilità dei progetti di legge in titolo sono contenute nell’articolo 8 CEDU ai sensi del quale: “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza non sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
La Corte EDU ha in più occasioni esaminato la questione del rispetto dell’articolo 8 in relazione alle intercettazioni di comunicazioni.
Relativamente alle comunicazioni telefoniche ed ambientali, tale Corte, dopo aver chiarito cheesserientrano nelle nozioni di “vita privata” e di “corrispondenza” ai sensi dell'articolo 8, ha affermato che la loro intercettazione si traduce in una “ingerenza di un’autorità pubblica” nell'esercizio di un diritto garantito dal paragrafo 1 (Malone c. Regno Unito,sentenza del 2 agosto 1984, Valenzuela Contreras c. Spagna, sentenza del 30 luglio 1998). Tale ingerenza, ad avviso della Corte, viola l’art. 8, a meno che sia prevista dalla legge, persegua uno o più scopi legittimi elencati dal paragrafo 2 e sia necessaria in una società democratica per raggiungere tali scopi.
L’espressione “prevista dalla legge”, nel significato dell’art. 8. par. 2, impone non solo che la misura contestata abbia un fondamento nel diritto interno, ma, per ciò che attiene alla qualità di tale fondamento e in conformità al principio di legalità, che la relativa previsione normativa sia accessibile e prevedibile nelle conseguenze: argomenta la Corte che, quando si verte in tema di misure segrete di sorveglianza o di intercettazione delle comunicazioni da parte delle autorità pubbliche, l’assenza del controllo pubblico e il rischio di abuso di potere impongono l’adozione da parte dell’ordinamento nazionale di misure volte a proteggere l’individuo contro le ingerenze arbitrarie nei diritti garantiti dall’art. 8. Ne discende, pertanto, la necessità che la legge utilizzi termini molto chiari per indicare in modo sufficiente in quali circostanze e in base a quali condizioni i pubblici poteri sono autorizzati ad adottare tali misure di sorveglianza segrete, fissandone la portata, le modalità di esercizio ed i limiti.
In tal senso,é la sentenza Kopp c. Svizzera, del 25 marzo 1998, nella quale la Corte EDU ha rilevato l’esigenza che sia chiarito il rapporto tra segreto professionale e intercettazioni, nonché la questione dell’intercettabilità delle comunicazioni delle persone che possono sottrarsi alla testimonianza.
Per la Corte europea, analoga tutela del diritto alla vita privata e della corrispondenza va apprestata anche nel caso di acquisizione dei tabulati telefonici (Malone c. Regno Unito cit.).
Relativamente alla problematica della tutela da apprestare agli interlocutori le cui comunicazioni siano state casualmente intercettate, pur non presentando alcun collegamento con l’oggetto delle indagini, la Corte EDU, nella causa Lambert c. Francia (sentenza del 24 agosto 1998) ha affermato che la legge nazionale deve assicurare adeguate garanzie non solo nei confronti del titolare della linea telefonica intercettata, ma anche dei terzi le cui conversazioni vengano ad essere intercettate per il solo fatto di avere contatti con l’utenza sottoposta a controllo.
Dalle sentenze Dimitri Pupescu c. Romania del 26 luglio 2007, Matheron c. Francia del 29 marzo 2005, Kruslin c. Francia e Huvig c. Francia del 24 aprile 1990 emerge la seguente giurisprudenza:
§ l’ordinamento deve individuare le categorie di persone nonchè i reati per i quali le intercettazioni possono essere disposte, stabilendone un termine di durata;
§ l’ordinamento deve altresì precisare le modalità di redazione dei verbali di sintesi con i quali vengono consegnate le registrazioni delle intercettazioni, nonchè le precauzioni da adottare per comunicare in modo integrale e completo le registrazioni stesse, a fini dell’eventuale controllo del giudice e della difesa e, infine, le circostanze in cui possono essere cancellate le medesime registrazioni;
§ le intercettazioni ambientali e il posizionamento di microfoni devono essere oggetto di previsione normativa; inoltre, poichè le conversazioni effettuate dai detenuti nei parlatori costituiscono comunicazioni private, la loro intercettabilità deve avere base normativa.
In tema di divulgazione del contenuto delle intercettazioni di comunicazioni telefoniche, si segnala la sentenza pronunciata dalla Corte nella causa Craxi n. 2 c. Italia (sentenza 17 luglio 2003), in cui è stata stigmatizzata la pubblicazione su quotidiani nazionali di alcune conversazioni di natura strettamente privata rispetto ai fatti per i quali erano in corso le indagini giudiziarie. In tale sentenza la Corte ha dichiarato la violazione dell’art. 8 ravvisando nell’ordinamento italiano la carenza di strumenti atti a salvaguardare il diritto di cui al paragrafo 1 per la mancanza della previsione di un’udienza preliminare per lo stralcio di intercettazioni irrilevanti.
Recentemente la Corte di Strasburgo è tornata sul tema delle intercettazioni, nella causa Panarisi c. Italia (sentenza 10 aprile 2007), in cui è stata dichiarata non sussistente la violazione dell’art. 8 CEDU. In particolare la Corte ha sostenuto che le intercettazioni realizzano un’ingerenza dello Stato nella vita privata , necessaria in una società democratica, quando costituiscono mezzo principale d’investigazione e l’imputato dispone di rimedi giuridici per contestarle.
[1] Tale principio è affermato anche nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, approvata dall'ONU il 10 dicembre 1948: all'art. 12 è statuito infatti che «nessun individuo potrà essere sottoposto a interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua casa» e che «ogni individuo ha diritto di essere tutelato dalla legge contro tali interferenze e lesioni».
Ugualmente la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 4 novembre 1950 -resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848- garantisce che «ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio...» (art. 8).
[2] Il D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni pone, ad esempio, agli addetti il divieto di dare a terzi informazioni scritte o verbali sull'esistenza o sul contenuto di corrispondenze, di comunicazioni o di messaggi nonché sulle operazioni richieste od eseguite, tranne che nei casi previsti dalla legge (art. 10, Segretezza della corrispondenza e di qualsiasi comunicazione od operazione postale).
[3] Il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali, stabilisce (art. 32) l’obbligo del fornitore di un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico di informare gli abbonati e, ove possibile, gli utenti, se sussiste un particolare rischio di violazione della sicurezza della rete Ne è un esempio, la possibilità di apprendere in modo non intenzionale il contenuto di comunicazioni o conversazioni da parte di soggetti ad esse estranei.
[4] Legge 16 febbraio 1987 n. 81, Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale.
[5] Legge 1° marzo 2001, n. 63, Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell' articolo 111 della Costituzione.
[6] Legge 14 febbraio 2006, n. 56, Modifica all’articolo 295 del codice di procedura penale, in materia di intercettazioni per la ricerca del latitante
[7] Legge 23 dicembre 1993, n. 547 “Modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica”.
[8] D.L. 13 maggio 1991, n. 152 "Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa", convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.
[9] D.L. 18 ottobre 2001, n. 374 “Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale” convertito, con, modificazioni dalla legge 15 dicembre 2001, n. 438.
[10] Legge 20 giugno 2003, n. 140 "Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato".
[11] Cfr. C. Malavenda, Così l’eliminazione compromette la difesa, in “Il Sole 24 Ore - Guida al Diritto”, numero 47 del 9 dicembre 2006, pag. 22 e ss. Per un commento al decreto legge e alla relativa legge di conversione si vedano anche D. Manzione, E. Marzaduri, E. Mengoni, C. Favilli, in Legislazione penale, 2007, n. 1.
[12] D.P.R. 19 settembre 1997, n. 318, Regolamento per l'attuazione di direttive comunitarie nel settore delle telecomunicazioni.
[13] D.M. 26 aprile 2001, Approvazione del listino relativo alle prestazioni obbligatorie per gli organismi di telecomunicazioni.
[14] D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, Codice delle comunicazioni elettroniche.
[15] Decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.
[16] L’articolo 684 è inserito nel Paragrafo 1 (Delle contravvenzioni concernenti la tutela preventiva dei segreti) della Sezione III (Delle contravvenzioni concernenti la prevenzione di talune specie di reati) del Capo I (Delle contravvenzioni concernenti la polizia di sicurezza) del Titolo I (Delle contravvenzioni di polizia) del Libro III (Delle contravvenzioni in particolare) del codice penale.
[17] La pena di morte per i delitti previsti dal codice penale è stata abolita dall'art. 1 del Decreto legislativo 10 agosto 1944, n. 224.
[18] ,Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
[19] Per la descrizione delle fattispecie di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a) si rinvia al commento all’articolo 3 dell’AC 1415.
[20] Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche.
[21] Ai sensi del citato articolo 240, comma 2, il pubblico ministero dispone l'immediata segretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti. Allo stesso modo provvede per i documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni. Di essi è vietato effettuare copia in qualunque forma e in qualunque fase del procedimento ed il loro contenuto non può essere utilizzato.
[22] Tutela della riservatezza e della libertà e segretezza delle comunicazioni.
[23] Per l’illustrazione dei contenuti dei commi 82 e 83 si rinvia al quadro normativo.
[24] La Corte costituzionale, con la sentenza 28 novembre-3 dicembre 1990, n. 529, ha dichiarato, fra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 127, comma decimo, c.p.p., nella parte in cui, dopo la parola «redatto», prevede «soltanto» anziché «di regola».
[25] Si rinvia per la descrizione del contenuto degli articoli citati, al commento dell’art. 3 del ddl in esame.
[26] Ancor prima, con la sentenza n. 47180 del 1 dicembre 2005, la Sez. I, aveva affermato che: «In tema di intercettazioni ambientali, l'abitacolo di un'autovettura non può essere considerato luogo di privata dimora, essendo sfornito dei conforti minimi necessari per potervi risiedere stabilmente per un apprezzabile lasso di tempo». In tema si vedano anche Sez. I, Sentenza n. 2613 del 20 dicembre 2004; Sez. V, Sentenza n. 43426 del 25 maggio 2004; Sez. VI, Sentenza n. 26010 del 23 aprile 2004.
[27] D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della L. 29 settembre 2000, n. 300.
[28] L. 8 febbraio 1948, n. 47, Disposizioni sulla stampa.
[29] D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177, Testo unico della radiotelevisione.
[30] D.L. 13 maggio 1991, n. 152 "Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa", convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.
[31] D.P.R. 11 luglio 2003, n. 284, Regolamento recante norme sulle procedure istruttorie dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di pubblicità ingannevole e comparativa.
[32] La proposta originaria della Commissione prevedeva che lo Stato di esecuzione possa opporsi al riconoscimento o all'esecuzione del mandato europeo di ricerca delle prove qualora:
- la sua esecuzione sia contraria al principio ne bis in idem nell'ambito di un procedimento avviato in uno Stato terzo; o
- il diritto dello Stato di esecuzione preveda immunità o privilegi che rendono impossibile l'esecuzione dello stesso;
Il Consiglio ha convenuto di includerle nel testo anche una clausola di territorialità, prevedendo la possibilità di rifiuto di riconoscimento o esecuzione nei casi in cui il reato in questione sia stato commesso interamente o in parte nel territorio dello Stato di esecuzione, ma stabilendo nel contempo che la decisione di rifiuto deve essere presa eccezionalmente e caso per caso. Inoltre, ogni volta uno Stato membro ritenga opportuno far ricorso alla clausola di territorialità, dovrà preliminarmente consultare Eurojust. Qualora non vi sia accordo con il parere di Eurojust, lo Stato membro in questione sarà tenuto a motivare la sua decisione e ad informare il Consiglio.
Ulteriori motivi di non esecuzione, introdotti nel testo di compromesso, riguardano: l’eventualità che il fatto non costituisca reato a norma della legislazione dello Stato di esecuzione; la non disponibilità di misure di esecuzione adeguate; la possibilità che, in un caso specifico, l’esecuzione leda interessi essenziali riguardanti la sicurezza nazionale, metta in pericolo la fonte delle informazioni o comporti l’uso di informazioni classificate riguardanti attività di intelligence specifiche; compilazione incompleta o manifestamente scorretta del formulario di richiesta.
[33] Vedi infra
[34] Registro del Consiglio, documento n.13076/07
[35] Questo ultimo paragrafo non compariva nell’originaria proposta della Commissione, ma è stato aggiunto dal Consiglio.
[36] Tuttavia, il Consiglio ha convenuto che la Germania possa, mediante una dichiarazione, riservarsi il diritto di subordinare l'esecuzione di un mandato europeo di ricerca delle prove alla verifica della doppia incriminabilità nei casi riguardanti il terrorismo, la criminalità informatica, il razzismo e la xenofobia, il sabotaggio, il racket e l'estorsione o la truffa se è necessario effettuare una perquisizione o un sequestro per l'esecuzione del mandato europeo di ricerca delle prove, salvo se l'autorità di emissione abbia dichiarato che, ai sensi della legislazione dello Stato di emissione, il reato in questione soddisfa i criteri indicati nella dichiarazione. Le disposizioni relative alla territorialità e alla possibilità per la Germania di non partecipare alla definizione dei reati saranno riesaminate dal Consiglio entro 5 anni dall'entrata in vigore della decisione quadro.
Il testo della dichiarazione è stato presentato dalla Germania il 14 luglio 2008 (registro del Consiglio doc. n. 10100/08).
[37] In accordo con la posizione sostenuta dal Regno Unito.