Camera dei deputati Dossier GI0062 NormalSegreteria

Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Reati ministeriali - A.C. 891 (Schede di lettura e riferimenti normativi)
Riferimenti:
AC N. 891/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 47
Data: 22/09/2008
Descrittori:
REATI MINISTERIALI     
Organi della Camera: II-Giustizia


Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

SERVIZIO STUDI

 

Progetti di legge

Reati ministeriali

A.C. 891

 

 

 

 

 

n. 47

 

 

22 settembre 2008

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dipartimento giustizia

SIWEB

 

 

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File: gi0062.doc

 

 



INDICE

Schede di lettura

Quadro normativo:  il procedimento relativo ai reati ministeriali3

Contenuto della proposta di legge  7

§      L.Cost. 16 gennaio 1989, n. 1. Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione.12

§      L. 5 giugno 1989, n. 219. Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall'articolo 90 della Costituzione.15

Camera dei deputati

-       Assemblea - Deliberazione per l'elevazione di un conflitto di attribuzione nei confronti dell'autorità giudiziaria

Seduta del 16 maggio 2007  23

Corte Costituzionale

§     

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello stato (merito) depositato in cancelleria il 3 marzo 2008  (della Camera dei deputati)  (n. 9, 28 giugno 2007-3 marzo 2008) (GU n. 14 del 26.03.2008 )31

§      Ciancio A., Art. 96,  in Commentario alla Costituzione, Utet, Torino, 2007, volume II65

 





Quadro normativo:
il procedimento relativo ai reati ministeriali

L’articolo 96 della Costituzione, nel testo introdotto dalla legge costituzionale n. 1 del 1989[1], stabilisce che «il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale».

 

La riforma del 1989 ha soppresso la disciplina precedente che, analogamente a quella del procedimento d’accusa nei confronti del Presidente della Repubblica, prevedeva per i cosiddetti reati ministeriali la messa in stato di accusa da parte del Parlamento in seduta comune e il giudizio di fronte alla Corte costituzionale. L’avvio al processo di riforma è stato dato dall’esito positivo del referendum del novembre 1987 sulla abrogazione di alcuni articoli della legge n. 170 del 1978[2], che disciplinava la fase istruttoria dei procedimenti di accusa, dalla quale è derivata la perdita, da parte della Commissione parlamentare per i procedimenti di accusa (così detta Commissione inquirente) dei suoi poteri istruttori.

 

La legge costituzionale n. 1 del 1989 e le norme attuative, introdotte dalla legge 5 giugno 1989, n. 219[3], hanno dunque ridisegnato ex novo il procedimento per i reati ministeriali, che si configura come speciale per ciò che concerne la fase delle indagini preliminari e della autorizzazione a procedere.

 

La riforma non ha però risolto il problema della definizione di reato ministeriale (idoneo ad attivare le speciali procedure previste dall’art. 96 Cost.), né quello della distinzione dal comune illecito penale eventualmente commesso dai ministri per il quale, viceversa, non è prevista alcuna deroga al rito ordinario[4].

 

L’intera competenza per la fase delle indagini preliminari è affidata ad un apposito collegio di magistrati (c.d. Tribunale dei ministri), costituito preventivamente presso il Tribunale del capoluogo di distretto di Corte d’Appello competente per territorio, il quale procede alle indagini con tutti i poteri che, nel rito ordinario, spettano rispettivamente al pubblico ministero e al giudice per le indagini preliminari[5].

 

Ai sensi dell’art. 7 della legge costituzionale n. 1/1989, il collegio è composto di tre membri effettivi e tre supplenti, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio nei tribunali del distretto che abbiano da almeno cinque anni la qualifica di magistrato di tribunale o abbiano qualifica superiore. Il collegio è presieduto dal magistrato con funzioni più elevate, o, in caso di parità di funzioni, da quello più anziano d'età (comma 1). Il collegio si rinnova ogni due anni ed è immediatamente integrato in caso di cessazione o di impedimento grave di uno o più dei suoi componenti. Alla scadenza del biennio, per i procedimenti non definiti, è prorogata la funzione del collegio nella composizione con cui ha iniziato le indagini (comma 2).

 

Il c.d. Tribunale dei ministri ha 90 giorni di tempo per compiere le indagini preliminari, al termine delle quali, sentito il pubblico ministero, può:

-       archiviare con decreto non impugnabile[6], se la notizia di reato è infondata, ovvero manca una condizione di procedibilità (diversa dall'autorizzazione a procedere), se il reato è estinto, se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se l'indiziato non lo ha commesso;

-       archiviare e trasmettere gli atti all'autorità giudiziaria competente a conoscere del reato, se il fatto integra un reato diverso da quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione (cioè se si tratta di un reato comune e non di un reato ministeriale) (art. 2, l. 219/1989);

-       trasmettere gli atti con relazione motivata al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente per ottenere l’autorizzazione a procedere.

 

Il procedimento parlamentare

La competenza per l’autorizzazione spetta all’una o all’altra Camera a seconda che dell’una o dell’altra sia componente il ministro indagato. Spetta al Senato se questi non appartiene a nessuna delle due Camere, o se il procedimento riguarda persone appartenenti a Camere diverse.

L’articolo 9 della legge costituzionale n. 1 del 1989 prevede che il Parlamento possa, a maggioranza assoluta, negare l’autorizzazione, con deliberazione motivata, soltanto «ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo».

L’esame delle domande di autorizzazione è disciplinato, oltre che dall’articolo sopra citato, dagli articoli 18-bis, 18-ter e 18-quater del regolamento della Camera e dagli articoli 19, comma 5, e 135-bis del regolamento del Senato.

Le domande sono esaminate dalla Giunta competente in materia di immunità e dall’Assemblea, che si riunisce entro il termine massimo di 60 giorni dalla data in cui gli atti sono pervenuti al Presidente della Camera o del Senato.

La proposta della Giunta, nel caso in cui si tratti di proposta di concessione, non viene posta in votazione ma viene direttamente data per approvata, a meno che 20 deputati, o 20 senatori, formulino una proposta motivata in senso difforme. Se le proposte di diniego non sono approvate dalla maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea, l’autorizzazione si intende concessa.

Infine occorre ricordare che il procedimento può riguardare, oltre che i ministri, anche eventuali coindagati, cosiddetti “laici”. Il procedimento parlamentare si svolge anche nei loro confronti con le modalità adottate per il ministro.

Specifica autorizzazione della Camera competente è richiesta per sottoporre, nell’ambito di un procedimento per i reati di cui all’articolo 96 della Costituzione, il Presidente del Consiglio e i ministri a misure limitative della libertà personale, a intercettazioni, sequestro di corrispondenza o perquisizioni. Su tale autorizzazione la Camera competente deve deliberare entro 15 giorni dalla richiesta.

Dopo l’autorizzazione della Camera competente il procedimento continua secondo le regole del rito ordinario. In casi di eccezionale gravità, la pena per i reati ministeriali è aumentata fino ad un terzo[7].

 

Il procedimento a carico dei ministri per reati diversi da quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione

Come accennato sopra, se il Tribunale dei ministri all’esito delle indagini preliminari ritiene che il fatto integra un reato diverso da quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione, e dunque un reato comune, deve, a norma dell’articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989 disporre la trasmissione degli atti all'autorità giudiziaria ordinaria competente a conoscere del reato. Ciò, in base alla lettera della legge ordinaria, che nega in questo caso al Parlamento la possibilità di esprimere una valutazione sulla natura giuridica (reato comune o reato ministeriale) dei fatti ascritti al parlamentare.

 

Si ricorda, peraltro, con riguardo al profilo della qualificazione della natura giuridica (reato comune o reato ministeriale) dei fatti ascritti al parlamentare, che, nella seduta del 16 maggio 2007 (vedi allegato), la Camera dei deputati ha sollevato davanti alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato.

 

La Camera ha contestato la legittimità costituzionale della procedura seguita dall’autorità giudiziaria, nello specifico dal Tribunale dei ministri di Firenze che, investito da parte della procura della Repubblica di Genova di una ipotesi di reato riguardante il senatore Matteoli, all'epoca dei fatti deputato e Ministro dell'ambiente, ha dichiarato la propria incompetenza funzionale, valutando i fatti ascritti al senatore Matteoli come non commessi nell'esercizio della funzione ministeriale, e ha disposto l'archiviazione rimettendo gli atti al competente giudice ordinario.

Nel ricorso (vedi allegato) – depositato in data 3 marzo 2008 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale- Serie speciale del 26 marzo 2008 - si sostiene che la mancata richiesta alla Camera dei deputati dell'autorizzazione a procedere di cui l'articolo 96 della Costituzione abbia leso le prerogative ad essa spettanti in base alla richiamata disposizione costituzionale.

In particolare, la Camera chiede alla Corte costituzionale:

§         di sollevare, di propria iniziativa, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989, per poi dichiararlo costituzionalmente illegittimo perchè non prevede che debba richiedersi l’autorizzazione a procedere alla Camera competente anche nell’ipotesi in cui il Tribunale dei ministri decida per l’archiviazione in ragione della ritenuta non ministerialità del reato,  in contrasto con l’articolo 96, Cost. nonché con l'articolo 8 della legge costituzionale n. 1 del 1989. Quest’ultima, infatti, prefigurerebbe due sole possibilità per il Collegio: l'archiviazione della notizia di reato o la domanda di autorizzazione a procedere al competente ramo del Parlamento;

§         di affermare, conseguentemente, che le prerogative della Camera dei deputati sono state lese laddove le si è impedito di valutare l'esistenza del presupposto della guarentigia costituzionale.

 

Tale conflitto, dichiarato ammissibile con ordinanza della Corte costituzionale n. 8 del 2008, è tuttora pendente.



Contenuto della proposta di legge

 

L’articolo unico della proposta di legge A.C. 891[8] mira a modificare l’articolo 2 della legge n. 219 del 1989 così da prevedere che, anche laddove il fatto contestato ad un membro del governo integri un reato diverso da quelli indicati dall’articolo 96 della Costituzione, e dunque un reato comune, il c.d. Tribunale dei ministri debba trasmettere gli atti al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente.

In sostanza, quindi, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della p.d.l., se il c.d. Tribunale dei ministri conferisce al fatto una qualificazione diversa da quella indicata dall'articolo 96 della Costituzione, deve disporre la trasmissione degli atti non più - come attualmente previsto - all'autorità giudiziaria competente a conoscere del diverso reato, bensì al Procuratore della Repubblica ai fini del successivo invio alla Camera competente ai sensi dell'articolo 5 della legge costituzionale n. 1 del 1989.

La proposta di legge in esame, quindi, stabilendo una pronuncia parlamentare per i casi in cui il Tribunale non ravvisi una ipotesi di reato commesso nell’esercizio delle funzioni ministeriali, prevede che l’ultima parola circa la natura giuridica dei fatti ascritti al ministro – se siano riconducibili a un reato ministeriale ex art. 96 Cost. o a un reato comune – spetti alla Camera competente.

 

Il comma 2 dell’articolo dispone che la nuova disciplina debba essere applicata anche ai procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore della riforma.

 



Testo a fronte

 

Normativa vigente

AC 891

 

 

Legge 5 giugno 1989, n. 219

Art. 2

1. Il collegio, sentito il pubblico ministero e dopo lo svolgimento di ulteriori indagini ove richiesto dal procuratore della Repubblica ai sensi del comma 3 dell'articolo 8 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, dispone l'archiviazione di cui al comma 2 del predetto articolo 8, se la notizia di reato è infondata, ovvero manca una condizione di procedibilità diversa dall'autorizzazione di cui all'articolo 96 della Costituzione, se il reato è estinto, se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se l'indiziato non lo ha commesso ovvero se il fatto integra un reato diverso da quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione; in tale ultima ipotesi il collegio dispone altresì la trasmissione degli atti all'autorità giudiziaria competente a conoscere del diverso reato.

1. Il collegio, sentito il pubblico ministero e dopo lo svolgimento di ulteriori indagini ove richiesto dal procuratore della Repubblica ai sensi del comma 3 dell'articolo 8 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, dispone l'archiviazione di cui al comma 2 del predetto articolo 8, se la notizia di reato è infondata, ovvero manca una condizione di procedibilità diversa dall'autorizzazione di cui all'articolo 96 della Costituzione, se il reato è estinto, se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se l'indiziato non lo ha commesso ovvero se il fatto integra un reato diverso da quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione; in tale ultima ipotesi il collegio trasmette gli atti con relazione motivata al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente ai sensi dell'articolo 5 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1; a tale Camera è riservata la valutazione circa la riconducibilità dei reati a quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione.

2. Quando sopravvengano nuove prove il decreto di archiviazione indicato nel comma 1 può essere revocato dal collegio, su richiesta del procuratore della Repubblica competente ai sensi dell'articolo 6 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 , ed osservate le forme ivi previste. Se dispone la revoca, il collegio provvede ai sensi dell'articolo 8 della predetta legge costituzionale e il termine di novanta giorni ivi previsto decorre dalla data del ricevimento della richiesta del procuratore della Repubblica.

2. Identico.

 

 

 





 

RESOCONTO STENOGRAFICO

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158.

 

Seduta di mercoledì 16 maggio 2007

 

presidenza del vicepresidente PIERLUIGI CASTAGNETTI

 

(omissis)



Inserimento all'ordine del giorno dell'assemblea di una deliberazione per l'elevazione di un conflitto di attribuzione nei confronti dell'autorità giudiziaria.

ANTONIO LEONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, le chiedo di inserire ai sensi dell'articolo 27 del Regolamento all'ordine del giorno una deliberazione, adottata dall'Ufficio di Presidenza, per l'elevazione di un conflitto di attribuzione nei confronti dell'allora deputato Matteoli, che credo si possa votare tranquillamente.

PRESIDENTE. L'onorevole Leone, a nome del gruppo di Forza Italia, ha chiesto l'inserimento all'ordine del giorno della seduta odierna di una deliberazione relativa all'elevazione di un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale nei confronti dell'autorità giudiziaria.

Ricordo che, ai sensi dell'articolo 27, comma 2 del Regolamento, l'Assemblea può deliberare su materie non iscritte Pag. 102all'ordine del giorno previa deliberazione con votazione palese mediante procedimento elettronico con registrazione dei nomi e a maggioranza dei tre quarti dei votanti.

Su tale proposta darò la parola, ove ne sia fatta richiesta, ad un deputato contro e ad uno a favore per non più di cinque minuti ciascuno, ai sensi dell'articolo 41 comma 1, del Regolamento.

Nessuno chiedendo di parlare, passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla proposta avanzata dall'onorevole Leone di inserire all'ordine del giorno della seduta odierna la deliberazione relativa all'elevazione di un conflitto di attribuzione nei confronti dell'autorità giudiziaria.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 428

Votanti 396

Astenuti 32

Maggioranza dei tre quarti quarti dei votanti 297

Hanno votato394

Hanno votato no 2).

Prendo atto che le deputate Dato e Mondello non sono riuscite a votare e che il deputato Marcenaro avrebbe voluto esprimere voto contrario.

Deliberazione per l'elevazione di un conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale nei confronti della autorità giudiziaria.

PRESIDENTE. A seguito della deliberazione testè assunta dall'Assemblea ai sensi dell'articolo 27, comma 2, del Regolamento, l'ordine del giorno reca l'esame di una deliberazione per l'elevazione di un conflitto di attribuzioni nel confronti dell'autorità giudiziaria.

Comunico che è stata sottoposta all'Ufficio di Presidenza, nella riunione di oggi 16 maggio 2007, la richiesta di elevazione da parte della Camera dei deputati di un conflitto di attribuzione nei confronti dell'autorità giudiziaria avanzata dal senatore Matteoli.

Considerato che con la richiesta avanzata viene contestata la procedura seguita dal Collegio per i reati ministeriali di cui all'articolo 7 della legge costituzionale n. 1 del 1989, istituito presso il tribunale di Firenze che, investito da parte della procura della Repubblica di Genova di una ipotesi di reato riguardante il senatore Matteoli, all'epoca dei fatti Ministro dell'ambiente, ha dichiarato, con provvedimento in data 4 aprile 2005, la sua incompetenza funzionale in materia, valutando i fatti ascritti al senatore Matteoli come non commessi nell'esercizio della funzione ministeriale, e ha disposto l'archiviazione rimettendo gli atti al competente giudice ordinario. Tenuto conto che il senatore Matteoli ha chiesto alla Camera dei deputati di elevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ritenendo che la mancata richiesta alla Camera dei deputati dell'autorizzazione a procedere di cui l'articolo 96 della Costituzione abbia leso le prerogative ad essa spettanti in base alla richiamata disposizione costituzionale. Visto il documento approvato dalla Giunta per le autorizzazioni in data 3 maggio 2007, nonché le risultanze dell'ulteriore approfondimento istruttorio svolto dalla Giunta medesima, su richiesta dell'Ufficio di Presidenza, comunicata al Presidente della Camera con lettera del Presidente della Giunta per le autorizzazioni in data 16 maggio 2007. Preso atto che la Giunta - «senza esprimere giudizio alcuno sul merito delle accuse mosse all'ex Ministro Matteoli né sulla "ministerialità" del fatto ascrittogli» - ha ritenuto che l'articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989, nella parte in cui prevede tra i motivi di archiviazione da parte del Collegio per i reati ministeriali anche l'ipotesi che il fatto integri un reato diverso da quello ministeriale, prevedendo in tal caso la trasmissione degli atti all'autorità giudiziaria Pag. 103competente a conoscere del diverso reato, sia in contrasto con l'articolo 8 della legge costituzionale n. 1 del 1989, il quale prefigurerebbe, ad avviso della Giunta, due sole possibilità per il Collegio per i reati ministeriali: l'archiviazione della notizia di reato o la domanda di autorizzazione a procedere al competente ramo del Parlamento. Preso atto che, secondo la Giunta per le autorizzazioni, l'asserita illegittimità della richiamata disposizione della legge ordinaria, applicata nel caso di specie dal Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze, consentirebbe di aggirare la prerogativa autorizzatoria prevista dall'articolo 96 della Costituzione.

Considerato che la Giunta per le autorizzazioni ha espresso l'orientamento per cui la Camera dei deputati attivi lo strumento del conflitto di attribuzione per dolersi della lesione delle proprie prerogative, "dovuta non già all'illegittimo comportamento di un altro potere, bensì determinata dall'illegittimità costituzionale del citato articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989. Considerato, altresì, che secondo quanto rappresentato dalla Giunta per le autorizzazioni sussiste attualmente l'interesse della Camera dei deputati a ricorrere giacché il provvedimento assunto dal Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze - sulla base del citato articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989 - fu adottato quando il senatore Matteoli ricopriva la carica di deputato e che in tale qualità aveva già investito della questione i competenti organi della Camera nella scorsa legislatura nonché in considerazione del fatto che nel caso in questione non si tratta di prospettare una lesione dei poteri previsti da norme costituzionali bensì di sollecitare una pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma la cui applicazione conduce ad una lesione delle prerogative costituzionalmente attribuite alle Camere.

Tutto ciò premesso, l'Ufficio di Presidenza, nella riunione di oggi, mercoledì 16 maggio 2007, concordando sulle conclusioni cui è pervenuta la Giunta per le autorizzazioni, ha deliberato di proporre all'Assemblea di sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato innanzi alla Corte costituzionale nei confronti del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze e nei confronti del Tribunale di Livorno, innanzi al quale è attualmente pendente il giudizio nei confronti del senatore Matteoli, ai sensi dell'articolo 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per sentire affermare - previa declaratoria di incostituzionalità dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989 - che la Camera dei deputati è stata lesa nella facoltà di valutare l'esistenza del presupposto della guarentigia costituzionale anche nella fattispecie prevista in legge ordinaria dal citato articolo.

Su tale proposta darò la parola, ai sensi dell'articolo 41, comma 1 del Regolamento, a un oratore contro ed uno a favore per non più di cinque minuti ciascuno.

Ha chiesto di parlare contro, l'onorevole Vacca. Ne ha facoltà.

ELIAS VACCA. Onorevoli colleghi, mi rivolgo a chi, nel corso della lettura dello speech (che non è stato breve) non avesse avuto l'opportunità o l'attenzione sufficiente per poter seguire l'argomento. La questione è così riassumibile: l'ex ministro Matteoli, attuale senatore, è imputato del delitto di favoreggiamento per aver avvisato un prefetto che l'utenza telefonica di quest'ultimo era stata posta sotto controllo. Questa è la fattispecie di reato, rispetto alla quale si è pronunciato il Tribunale dei ministri, il quale (checché si possa pensare sulla possibilità di sollevare questioni di costituzionalità e conflitti di attribuzione) è l'organo deputato a qualificare come ministeriale o meno un fatto di reato.

La qualificazione di non ministerialità del reato e, quindi, di reato comune, ha portato il senatore Matteoli a scrivere a questa istituzione chiedendo, in modo singolare (si riconoscerà infatti non vi sono precedenti in questo senso), la sollevazione di un conflitto di attribuzione come ipotesi residuale. Ci si è, quindi, posti la seguente domanda: considerato che non esiste, per legge, un meccanismo che consenta la Pag. 104contestazione della qualificazione del fatto reato come non ministeriale, quid iuris se la Camera non condividesse l'impostazione del Tribunale dei ministri?

A mio personale giudizio, e non solo mio (anche qualche altro commissario in Giunta ha votato contro tale proposta), l'indicazione è invece chiarissima: la qualificazione spetta all'autorità giudiziaria ordinaria. Posto ciò, non ritengo di poter aderire alla proposta formulata prima dal relatore, poi dalla Giunta e, infine, dalla Presidenza.

Aggiungerò, inoltre, che lo stesso relatore, nell'illustrazione alla Giunta, aveva prospettato l'esigenza di sollevare il conflitto di attribuzione per «fare giurisprudenza», per creare cioè un caso ed una pronuncia su un fatto mai verificatosi prima, naturalmente nell'epoca successiva all'approvazione della legge costituzionale rispetto alla quale si assume il contrasto. Sono sempre molto perplesso quando le sentenze vengono utilizzate per creare un precedente, a maggior ragione quando si utilizza la Corte costituzionale. Vorrei ricordare a tutti i colleghi che in materia, ad esempio, di sindacabilità o meno delle opinioni espresse dai deputati, esiste un conflitto (ormai abbastanza evidente) tra la Corte costituzionale e questa Istituzione, sui criteri rispetto ai quali si possa concedere l'insindacabilità, con il risultato che molti dei conflitti di attribuzione che la Camera solleva, la vedono soccombente, tra l'altro anche con un non trascurabile dispendio di risorse economiche.

Poiché mi sembra che non sia il caso di continuare a sollevare dinanzi alla Corte costituzionale conflitti di attribuzione improbabili e, qualche volta, anche stravaganti, reitero il voto contrario. Aggiungo, peraltro, che la richiesta di chiarimento pervenuta oggi alla Giunta per le autorizzazioni, con lettera della Presidenza, è stata risolta in un modo che «la dice lunga» sulla capacità di orientarsi rispetto a questo problema, perché ci si è chiesti, persino, rispetto a quale autorità dovrebbe essere sollevato il conflitto di attribuzione. Poiché non si può - non è che non si sappia, ma non si può - rispondere a questa domanda, si è detto che il conflitto di attribuzione andrebbe sollevato tanto rispetto al Tribunale dei ministri, che ha qualificato il fatto come non ministeriale, quanto rispetto all'autorità giudiziaria ordinaria dinanzi alla quale è stato convenuto in giudizio il senatore Matteoli.

Pertanto, ritengo che quando si vuole sollevare un caso, ponendo una questione di costituzionalità di una norma o un conflitto di attribuzione che riguarda un senatore della Repubblica si potrebbe, almeno, evitare di «sparare a pallettoni» cercando di capire, quantomeno, rispetto a quale autorità sollevare il conflitto. Per questi motivi esprimerò voto contrario e sollecito i colleghi a fare altrettanto.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare a favore l'onorevole Tenaglia. Ne ha facoltà.

LANFRANCO TENAGLIA. Signor Presidente, questa materia è stata molto approfondita sia dalla precedente Giunta per le autorizzazioni, sia da quella attualmente in carica. Si è pervenuti a questa decisione sulla base di assunti di principio molti precisi. Il primo è dato dalla considerazione che la Corte costituzionale è l'unico giudice in grado di dirimere i conflitti di attribuzione e le questioni di costituzionalità; è il giudice cui la nostra Costituzione assegna la competenza in ordine alla delimitazione delle prerogative delle Camere. Pertanto, quando si tratta di delimitare le prerogative dei componenti delle Camere, la Corte costituzionale è il giudice che decide. Non si tratta di un conflitto proprio cioè, come ben detto nella relazione dell'Ufficio di Presidenza, di un conflitto con cui si contesta l'illegittimo uso del potere da parte dell'autorità giudiziaria. Nessuno contesta la potestà dell'autorità giudiziaria di qualificare il reato e procedere all'accertamento dei fatti. Si tratta di un conflitto de residuo, ritenuto ammissibile già in precedenza dalla Corte costituzionale, cioè di un conflitto che la Camera o altro potere dello Stato sollevano in mancanza di altri strumenti per far valere l'illegittimità costituzionale di una norma. Questo è il solo ambito di giudizio.Pag. 105

L'autorità nei cui confronti si solleva il conflitto è quella giudiziaria, intesa come parte di un procedimento complesso. Pertanto, sia il Tribunale dei ministri, in quanto autorità che ha emesso il provvedimento sulla base della norma che si assume incostituzionale, sia l'autorità giudiziaria ordinaria, il tribunale di Livorno, che sta procedendo sulla base di questo provvedimento. Non si è trattato di allargare lo spettro, ma solamente di individuare l'autorità giudiziaria nel suo complesso. Sarà la Corte costituzionale, qualora ritenga fondata l'ammissibilità del conflitto, a stabilire quale sia l'autorità parte del giudizio, cui vada indirizzata la notifica. Ritengo che questi siano gli ambiti e i confini molto stretti del conflitto che si intende sollevare e che siano pienamente ammissibili sia il conflitto sia, poi, la decisione di merito della Corte costituzionale.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico, senza registrazione di nomi, la proposta dell'Ufficio di Presidenza di deliberare l'elevazione di un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale nei confronti dell'autorità giudiziaria.

(È approvata per 305 voti di differenza).



 

(omissis)

 





 

 

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello stato (merito) depositato in cancelleria il 3 marzo 2008
(della Camera dei deputati)

(n. 9, 28 giugno 2007-3 marzo 2008)

(GU n. 14 del 26.03.2008 )

 

 

 

Provvedimento del Tribunale dei Ministri di Firenze in data 31 marzo - 4 aprile 2005, emesso nel procedimento penale a carico del Ministro Altero Matteoli per il reato di favoreggiamento, avente ad oggetto la dichiarazione della propria incompetenza funzionale, in conseguenza della ritenuta natura comune e non ministeriale del reato contestato, e la trasmissione degli atti alla Procura del Tribunale territorialmente competente - Provvedimento del Tribunale di Livorno, Sezione di Cecina, in composizione monocratica, di reiezione della richiesta formulata dal difensore dell'imputato di rinvio del procedimento penale per consentire al Parlamento una preliminare valutazione dei fatti contestati all'ex ministro Matteoli - Ricorso per conflitto tra poteri sollevato dalla Camera dei deputati - Denunciata violazione delle guarantigie costituzionali per i reati ministeriali - Richiesta alla Corte di dichiarare la non spettanza al Tribunale dei Ministri di Firenze di trasferire al giudice penale competente per territorio il procedimento instaurato ai sensi dell'art. 96 Cost., senza aver prima richiesto l'autorizzazione camerale e, comunque, senza aver previamente trasmesso alla Camera dei deputati gli atti del procedimento medesimo in modo da consentirle di valutare la sussistenza dei presupposti per l'attivazione delle guarantigie di cui trattasi, nonche' la non spettanza al Tribunale di Livorno, Sezione distaccata di Cecina, di proseguire il giudizio, non ritenendo necessario richiedere l'autorizzazione a procedere della Camera dei deputati - Conseguente richiesta di annullamento degli atti stessi - Richiesta alla Corte, ove escluda la possibilita' di interpretazione dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219/1989, nel senso della necessita' di investire la Camera di appartenenza della valutazione circa la natura non ministeriale del reato ascritto, di sollevare dinanzi a se' stessa questione di legittimita' costituzionale della norma stessa in relazione all'art. 96 Cost. e agli artt. 8 e 9 della legge costituzionale n. 1/1989. - Provvedimento del Tribunale dei Ministri di Firenze 4 aprile 2005; Provvedimento del Tribunale di Livorno - Sez. distaccata di Cecina 4 dicembre 2006. - Costituzione, art. 96; legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, art. 8, comma 1. (GU n. 14 del 26.03.2008 )

 

Ricorso  della  Camera  dei  deputati,  in  persona del Presidente
Fausto  Bertinotti,  come da deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza
n. 65/2007  in  data 16 maggio 2007 e dell'Assemblea della Camera dei
deputati in data 16 maggio 2007, rappresentato e difeso, in virtu' di
procura  ad  litem  per notar Paolo Silvestro, in Roma, rep. n. 82991
del  25  giugno 2007, dall'avv. prof. Roberto Nania, ed elettivamente
domiciliato  presso  il  suo studio in Roma, via Carlo Poma n. 2, nei
confronti  del  Tribunale  dei  Ministri di Firenze; del Tribunale di
Livorno, Sezione distaccata di Cecina, in relazione:
     al  provvedimento  in  data  31 marzo - 4 aprile 2005, intestato
Tribunale dei Ministri di Firenze, con cui il predetto Collegio per i
reati  ministeriali  presso  il Tribunale di Firenze, nell'ambito del
procedimento  iscritto  al  n. 12976/04  R.G.N.R.N.  (N.  01/05  R.G.
Tribunale  dei  ministri  di  Firenze)  pendente a carico dell'allora
Ministro  Altero  Matteoli, il quale all'epoca ricopriva la carica di
membro della Camera dei deputati, ha disposto - in forza dell'art. 2,
comma 1, della legge n. 219 del 1989 - una volta accertata la propria
incompetenza   funzionale   a  giudicare  dei  reati  a  quest'ultimo
contestati   in   quanto   ritenuti   non  ministeriali,  la  diretta
trasmissione  degli  atti  alla  Procura  della  Repubblica presso il
tribunale  competente,  senza  che  venisse preventivamente richiesta
alla  Camera  dei deputati l'autorizzazione di cui all'art. 96, Cost.
nonche'  all'art.  8,  comma 1, legge costituzionale 16 gennaio 1989,
n. 1;
     al provvedimento in data 4 dicembre 2006 con cui il Tribunale di
Livorno,  Sezione  distaccata di Cecina, in composizione monocratica,
ha ribadito, nell'ambito della prosecuzione del medesimo procedimento
penale  nei  confronti  del deputato Altero Matteoli (n. 7256/06 R.G.
dib.   -   2114/05   R.G.N.R.)  -  sempre  in  forza  della  predetta
disposizione  legislativa  -  la  non operativita' nel caso di specie
dell'obbligo   di   avanzare   richiesta   alla   Camera   competente
dell'autorizzazione  a  procedere  di cui sopra, non essendo previsto
che  la Camera stessa debba comunque interloquire nel procedimento in
questione.
                              F a t t o
   Nel  corso  delle  indagini relative ad un procedimento penale nei
confronti  di  un  magistrato  del Tribunale di Livorno e dell'allora
Prefetto  di  Livorno,  la  Procura  della  Repubblica  di  Genova  -
ravvisando  ipotesi  di  reati  commessi  da un Ministro - inviava la
relativa   notitia   criminis   alla  Procura  di  Firenze,  ritenuta
competente per territorio.
   La  Procura  della  Repubblica di Firenze, previa formulazione dei
capi  d'imputazione,  trasmetteva  gli  atti  al Collegio per i reati
ministeriali presso il Tribunale di Firenze (cosiddetto Tribunale dei
ministri),  davanti  al  quale  veniva  incardinato  il  procedimento
iscritto  al  n. 12976/04  R.G.N.R.N.  (N. 01/05 R.G. - Tribunale dei
ministri),  a  carico dell'on. Matteoli, all'epoca dei fatti Ministro
dell'ambiente,   per   le  ipotesi  di  reato  di  favoreggiamento  e
rivelazione di segreto d'ufficio.
   All'esito  delle  indagini espletate, il Tribunale dei ministri di
Firenze  riteneva  che  i reati ipotizzati a carico dell'on. Matteoli
non  potessero  qualificarsi  come reati ministeriali, trattandosi di
fatti  non  connessi, se non per mero rapporto di occasionalita', con
la carica istituzionalmente ricoperta.
   Sicche',  con  provvedimento  in data 31 marzo - 4 aprile 2005, il
Tribunale  dei ministri dichiarava la propria incompetenza funzionale
e  ordinava  contestualmente  la trasmissione degli atti alla procura
competente  -  individuata  nella  Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Pisa - affinche' proseguisse il giudizio secondo il rito
ordinario.
   Riteneva  infatti  che,  una  volta  appurata  detta  incompetenza
funzionale,  ne derivasse «l'applicabilita' delle ordinarie regole di
procedura  penale  cosi'  come  disposto dall'art. 2, comma 1, ultima
parte, della legge n. 219/1989».
   La  Procura  di Pisa trasmetteva a sua volta gli atti alla Procura
di  Livorno, ritenuta competente per territorio, la quale - a seguito
di  parziale  rigetto  della  richiesta  di  archiviazione  da  parte
dell'ordinanza  del  g.i.p.  in  data  19  aprile 2006 - disponeva il
rinvio  a  giudizio  con  riferimento  alla  sola ipotesi di reato di
favoreggiamento.
   Nel  corso  del processo, con ordinanza assunta nell'udienza del 4
dicembre  2006,  il Tribunale di Livorno dichiarava di condividere le
argomentazioni in base alle quali il predetto Collegio di Firenze era
pervenuto  ad escludere la natura ministeriale delle ipotesi di reato
di cui trattasi.
   Inoltre, il Tribunale di Livorno escludeva che - prima di disporre
la  prosecuzione del giudizio presso l'autorita' ordinaria competente
- il Collegio per i reati ministeriali di Firenze avesse l'obbligo di
inviare,  ai  sensi dell'art. 8 della legge costituzionale n. 1/1989,
gli  atti  al  Procuratore  della  Repubblica  per  la loro immediata
trasmissione  al  Presidente della Camera competente ex art. 5, della
stessa legge.
   Osservava  difatti  che - alla stregua dell'art. 2, comma 1, della
legge  n. 219/1989  -  una  volta ritenuta la non ministerialita' dei
fatti  contestati,  la  legge  imponesse  al  Tribunale  dei ministri
soltanto  l'obbligo di trasmettere gli atti all'autorita' giudiziaria
competente  a conoscere il diverso reato. Interpretazione questa che,
secondo  il Tribunale di Livorno, non si porrebbe in contrasto con la
legge  costituzionale  n. 1/1989,  in  quanto  la  legge ordinaria si
limiterebbe  a disciplinare una ipotesi non prevista dalla menzionata
legge    costituzionale    (quella   appunto   della   ritenuta   non
ministerialita'  del  reato)  ed  a  fronte  della quale non potrebbe
operare, per espressa volonta' legislativa, l'obbligo di trasmissione
alla Camera di cui si e' detto.
   Con le richiamate statuizioni, l'autorita' giudiziaria, e per essa
il  Tribunale  dei ministri di Firenze nonche' il Tribunale penale di
Livorno  (innanzi  al  quale  e' tutt'ora pendente il giudizio di cui
trattasi),  ha  posto  in  essere  una convergente applicazione della
legge  n. 219/1989,  che  tuttavia  -  attese  le  serie  censure  di
incostituzionalita'  che  possono  investire la legge di cui e' stata
fatta  applicazione  in parte qua, come in prosieguo si dimostrera' -
risulta  conseguentemente  lesiva  delle  attribuzioni costituzionali
della ricorrente Camera dei deputati, per i seguenti motivi di
                            D i r i t t o
   Per  la migliore intelligenza dei termini del presente ricorso per
conflitto  di  attribuzione,  e' bene anticipare subito che la Camera
dei  deputati  prospetta  in  questa  sede  una lesione delle proprie
attribuzioni  derivante  dall'applicazione,  cui  hanno proceduto gli
atti  in epigrafe, dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989.
Disposizione quest'ultima suscettibile, secondo la Camera ricorrente,
di   dar   luogo   appunto   ad  applicazioni  lesive  delle  proprie
prerogative,   la'   dove   stabilisce   che   il  Collegio  «dispone
l'archiviazione  ...  se  il fatto integra un reato diverso da quelli
indicati  nell'art.  96 della Costituzione; in tale ultima ipotesi il
collegio  dispone  altresi' la trasmissione degli atti alla autorita'
giudiziaria  competente  a  conoscere  del  diverso  reato»; ma senza
prescrivere  che  anche in detta ipotesi si debba comunque richiedere
l'autorizzazione a procedere alla Camera competente.
                  Sulla ammissibilita' del ricorso
   1. - Giova preliminarmente osservare che nella specie sussistono i
requisiti richiesti ai fini della ammissibilita' del presente ricorso
per conflitto di attribuzione.
   In  punto  di  legittimazione  attiva,  e' appena da precisare che
secondo  la  consolidata  giurisprudenza costituzionale la Camera dei
deputati,  in  quanto  abilitata  ad  esprimere  in via definitiva la
volonta' del potere che essa rappresenta, e' facoltizzata a sollevare
conflitto  di  attribuzione mediante il quale deduca la lesione delle
proprie  prerogative  costituzionali (cfr., tra le altre, le sentenze
nn.  225/2001;  263/2003;  284/2004;  451/2005)  ed  e'  legittimata,
segnatamente,  ad  essere parte nell'ambito di giudizi riguardanti le
prerogative di cui all'art. 96, Cost. (cfr. l'ordinanza n. 217/1994 e
la sentenza n. 403/1994).
   In ordine alla legittimazione passiva degli organi giurisdizionali
indicati  in  epigrafe,  giova  rammentare  che  la  gia'  richiamata
giurisprudenza  costituzionale  ha  riconosciuto  «la  legittimazione
degli  organi  giudiziari  che  hanno  adottato  i  provvedimenti  in
relazione  ai quali e' promosso il conflitto di attribuzione a essere
parti  del  medesimo, poiche', come ripetutamente affermato da questa
Corte  (da ultimo, ordinanze n. 84, n. 37 e n. 6 del 2002), i singoli
organi   giurisdizionali   sono   legittimati,  nell'esercizio  della
funzione  a  essi assegnata dalla Costituzione ed esercitata in piena
indipendenza,   a   essere  parti  nei  conflitti  costituzionali  in
questione» (cosi' l'ordinanza n. 126/2002).
   E'  da  evidenziare  che  tale ratio decidendi, e' stata applicata
dalla Corte proprio con specifico riferimento al Collegio per i reati
ministeriali  in  quanto  «abilitato  ad  esercitare,  nella materia,
attribuzioni   proprie   ad   esso   conferite   da  norme  di  rango
costituzionale» (cfr. l'ord. n. 217/1994, cit.).
   Quanto  ai  requisiti  oggettivi  del  conflitto  di attribuzione,
nessun  dubbio  puo'  esservi  sulla loro sussistenza. E' noto che il
conflitto risolvibile ai sensi degli articoli 134, Cost., e 37, legge
n. 87/1953,  si  configura  quando  -  sia  sotto forma di vindicatio
potestatis,  sia  sotto  forma  di  conflitto  da  menomazione  o  da
interferenza  -  si  controverta  in  ordine alla delimitazione della
sfera delle attribuzioni costituzionali di cui sono titolati i poteri
dello Stato.
   Ora,  che  nella  specie  la controversia presenti siffatta natura
risulta di immediata evidenza, chiedendosi alla Corte di stabilire se
mediante  i  provvedimenti  giurisdizionali  di  cui  si  tratta, pur
adottati in applicazione di una disposizione di legge incidente sulla
materia  della  guarentigia  di cui all'art. 96, Cost., non risultino
menomate  le attribuzioni della Camera, attesa la incostituzionalita'
dell'art.  2,  comma 1, della legge n. 219/1989, per violazione delle
disposizioni  di  rango  costituzionale che attribuiscono alla Camera
competenze  in  materia:  e cio' con particolare riguardo, come sara'
ulteriormente  dimostrato  nella parte sul merito del conflitto, alla
competenza  rimessa  alla  Camera stessa di verificare la sussistenza
nel  caso  di  specie  -  e quindi anche in caso di archiviazione per
ritenuta  non ministerialita' del reato - dei presupposti prefigurati
dall'art.   96,  Cost.  (ossia  che  si  tratti  di  «reati  commessi
nell'esercizio delle loro funzioni» da parte dei Ministri) nonche' ad
adottare  se  del  caso  le  ulteriori valutazioni di cui all'art. 9,
comma  3,  legge cost. n. 1/ 1989 (ossia che «l'inquisito abbia agito
per   la  tutela  di  un  interesse  dello  Stato  costituzionalmente
rilevante  ovvero  per  il  perseguimento  di un preminente interesse
pubblico nell'esercizio della funzione di Governo»).
   Quanto   all'interesse  specifico  della  Camera  dei  deputati  a
proporre il presente ricorso per conflitto di attribuzioni, giova sin
d'ora  osservare  che la prosecuzione del giudizio penale nei termini
sopra  descritti ha leso la prerogativa di cui la Camera dei deputati
era  titolare  all'epoca  dell'omissivo  comportamento dell'autorita'
giudiziaria.
   Ne'  potrebbe avere alcuna influenza il successivo mutamento della
Camera  di appartenenza da parte del Ministro in questione, posto che
l'art.  96,  Cost.,  radica  a  tal  fine  la  competenza nell'Organo
parlamentare    di    appartenenza   avendo   riguardo   al   momento
dell'esercizio  delle  funzioni ministeriali da parte dell'inquisito;
sicche'   non  puo'  qui  operare  la  competenza  del  Senato  della
Repubblica  (art.  5,  seconda parte, della legge cost. n. 1/1989) la
quale  muove  dal diverso presupposto che il ministro interessato non
abbia mai rivestito la carica di parlamentare. Merita aggiungersi che
il  procedimento  che  ha portato alla determinazione della Camera di
elevare  il  presente conflitto ha preso l'avvio sin dalla precedente
legislatura,  ossia  quando  l'ex  ministro  ricopriva  la  carica di
deputato  ed  al  contempo  esercitava le funzioni ministeriali (cfr.
resoconto  della seduta della Giunta per le autorizzazioni in data 27
aprile 2005).
   Tale impostazione e' peraltro coerente con la ratio che informa il
sistema  delle  prerogative  di carattere «funzionale» - a cominciare
dalla  guarentigia  della  insindacabilita' di cui all'art. 68, primo
comma,  Cost.  -  rispetto alle quali i poteri connessi all'esercizio
della  prerogativa  spettano  sempre  alla  Camera  cui  il  soggetto
interessato  appartenga  al momento del fatto, essendo irrilevante la
posizione  che quest'ultimo ricopre nel momento in cui e' chiamato in
giudizio (cfr. sent. Corte cost. nn. 252/1999 e 154/2004).
   Su   questa   linea   d'altronde  si  e'  mossa  la  stessa  Corte
costituzionale con la sentenza n. 403/1994, quando ha riconosciuto la
perdurante  legittimazione soggettiva della Camera dei deputati in un
conflitto  riguardante  l'autorizzazione  a  procedere  nonostante il
ministro  indagato  avesse  perduta la posizione di parlamentare. Ne'
puo'   essere  omessa  la  sentenza  n. 154  del  2004,  dove  si  e'
riconosciuta la legittimazione al conflitto di un ex Presidente della
Repubblica,  proprio  assumendo,  a parte le ulteriori particolarita'
della   fattispecie,   il   carattere  funzionale  della  prerogativa
dell'immunita'  presidenziale,  con  la  conseguente perduranza della
possibilita'  di far valere la lesione prodottasi durante la pendenza
dell'esercizio delle funzioni presidenziali.
   Diversamente  opinando,  del  resto, la lesione prodottasi sarebbe
destinata  a rimanere priva di tutela, essendo soltanto la Camera dei
deputati,  in  capo  alla quale la lesione stessa si e' consumata, ad
essere legittimata a dolersene sotto il profilo qui considerato.
   Resta  poi  ferma  l'ammissibilita'  del  conflitto a fronte della
circostanza   -  evidenziata  fin  dalla  parte  introduttiva  -  che
nell'ambito   del   conflitto  stesso  viene  proposta  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, ultima parte, della
legge n. 219/1989.
   E'   invero   da  rammentare  al  riguardo  che  il  conflitto  di
attribuzioni  e'  preordinato  alla  garanzia della integrita' «della
sfera  di  attribuzioni  determinata  per  i  vari  poteri  da  norme
costituzionali»  (art.  37,  legge  n. 87/1953),  a prescindere dalla
«natura  degli  atti  da  cui possa derivare la lesione all'anzidetta
"sfera  di  attribuzioni"»,  specie considerando che «il giudizio per
conflitto  di attribuzioni non e' giudizio sulla legittimita' di atti
(anche  se, a seconda dell'esito del giudizio stesso, puo' conseguire
l'annullamento   dell'atto   lesivo)   ma   e'  garanzia  dell'ordine
costituzionale delle competenze» (cosi', la sentenza n. 457/1999).
   Dal  che discende che l'impugnazione di atti mediante conflitto di
attribuzione  potrebbe  anche riguardare in via diretta provvedimenti
legislativi,  quando  il  Potere  interessato non abbia la facolta' -
come  nella specie certamente non l'avrebbe la Camera ricorrente - di
far  valere  l'illegittimita' costituzionale della legge sotto alcuna
delle modalita' previste dal nostro ordinamento in vista dell'accesso
al  relativo  giudizio davanti alla Corte costituzionale (cfr. ancora
la  sentenza  n. 457/1999;  nonche'  la  sentenza  n. 139/2001, dove,
tenendosi fermo l'assunto di cui sopra, una parziale inammissibilita'
del  ricorso  ha  riguardato  le  sole  censure di illegittimita' non
suscettibili  di ridondare «di per se' in lesione delle attribuzioni»
del potere ricorrente).
   Nel  medesimo  senso  depone  inoltre  la circostanza - deducibile
dalla  giurisprudenza  della Corte - che alla Camera sarebbe precluso
anche  l'intervento  nell'eventuale  giudizio  incidentale  in quanto
estranea  al  giudizio  a  quo,  pur  quando si verta su norme che ne
definiscano   attribuzioni   «ancorche'  ricollegabili,  in  tesi,  a
previsioni  di  rango costituzionale; attribuzioni alla cui tutela e'
invero  predisposto  il  distinto  strumento del conflitto» (sentenza
n. 163/2005).
   Fermo  quanto  appena  osservato,  e' da dire che tanto piu' certa
risulta  l'ammissibilita'  del  conflitto  laddove  esso,  come nella
specie,  venga elevato a fronte di specifici provvedimenti giudiziari
rispetto  ai quali sia logicamente pregiudiziale la risoluzione della
questione di costituzionalita' della legge che ne costituisce la base
legale, beninteso sotto il profilo strettamente inerente alla dedotta
lesione  delle  competenze  costituzionali  della ricorrente. Che sia
cosi'  e' comprovato dal fatto che la Corte costituzionale, quando e'
stata  chiamata a risolvere conflitti in relazione ad atti emanati in
applicazione  di  norme sospettate di incostituzionalita', non ha mai
esitato, accertatane la rilevanza, a sollevare - anche d'ufficio - la
relativa  questione  di  legittimita'  costituzionale  innanzi  a se'
medesima,  sospendendo  il  giudizio  per  conflitto  in attesa della
risoluzione   di   detta   questione  pregiudiziale  (cfr.  ordinanza
n. 44/1978,  sentenza  n. 68/1978,  sentenza n. 69/1978; e cio' anche
nei   conflitti  tra  enti,  cfr.  ordinanza  n. 42/2001  e  sentenza
n. 288/2001).
                             Sul merito
   2. - Venendo adesso al merito, si e' gia' avuto modo di rammentare
che   il   Tribunale   dei  ministri  di  Firenze  -  archiviando  il
procedimento  innanzi  a  se' - ha dichiarato la propria incompetenza
funzionale  a  «delibare  il  fumus della fondatezza della accusa» in
quanto,  a  suo  avviso,  i  reati  contestati  all'ex  ministro  non
avrebbero  «alcun  rapporto  - se non di mera occasionalita' - con la
sua  carica  istituzionale»  (provvedimento 31 marzo - 4 aprile 2005,
pag.  6).  Di conseguenza, facendo applicazione dell'art. 2, comma 1,
ultima  parte  della  legge  n. 219/1989,  il  predetto  Tribunale ha
trasmesso  gli atti alla Procura della Repubblica presso il tribunale
ritenuto  competente  per  territorio  (inizialmente  individuato nel
Tribunale  di  Pisa). Di talche' la predetta autorita' giudiziaria ha
ritenuto  di  non  dover  previamente  richiedere  l'autorizzazione a
procedere  da  parte della Camera dei deputati ai sensi dell'art. 96,
Cost., e art. 8 legge cost., n.1/1989.
   Convergente valutazione e' stata espressa dal Tribunale di Livorno
(dichiaratosi  effettivamente  competente per territorio a seguito di
ricevimento  del  fascicolo da parte della Procura di Pisa), il quale
ha  peraltro  esplicitamente  affermato  come  nella specie non fosse
necessaria  l'autorizzazione  camerale «per procedere con riferimento
al  reato non ministeriale» (ord. cit., in data 4 dicembre 2006, pag.
2).
   Come  si  vede,  il modus procedendi dell'autorita' giudiziaria e'
basato  sul  presupposto  che  ai  sensi  della normativa vigente non
sussiste  a  carico della medesima autorita' giudiziaria l'obbligo di
trasmettere  gli  atti  alla Camera onde consentirle di esercitare le
proprie  competenze al riguardo. Per cui, ai fini della soluzione del
presente  conflitto,  risulta  pregiudiziale  che  venga accertata la
incostituzionalita' della legge n. 219/1989, e segnatamente dell'art.
2,  comma  1, ultima parte, in quanto idonea a determinare la lesione
delle  prerogative  che sono costituzionalmente assegnate alla Camera
ricorrente  mediante  gli  atti  che,  come  nella  specie,  vi diano
applicazione.
  A)  E'  da  ricordare  che  l'art.  96, Cost., nel testo novellato
dall'art.  1  della legge cost. n. 1/1989, stabilisce che i ministri,
anche se cessati dalla carica, «sono sottoposti, per i reati commessi
nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  alla giurisdizione ordinaria,
previa  autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei
deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale».
   Tali  norme  di  attuazione  -  che l'art. 96 vuole siano di rango
costituzionale  - sono state introdotte dai successivi articoli della
stessa  legge  cost.  n. 1/1989,  cit.,  che  hanno  disciplinato  le
modalita'  di esercizio della menzionata guarentigia. In particolare,
l'art.  9,  comma  3,  della  legge  citata, stabilisce che la Camera
competente,  a maggioranza assoluta dei suoi componenti, puo' «negare
l'autorizzazione    a   procedere   ove   reputi,   con   valutazione
insindacabile,  che  l'inquisito  abbia  agito  per  la  tutela di un
interesse  dello  Stato  costituzionalmente  rilevante  ovvero per il
perseguimento  di  un  preminente  interesse  pubblico nell'esercizio
della funzione di Governo».
   Come si sa, la competenza dell'Organo parlamentare a conoscere dei
reati   ministeriali   al   fine   di   individuare   -  escludendone
l'antigiuridicita'  -  quelli  che  siano  preordinati alla tutela di
interessi   di  rilievo  costituzionale  o  di  preminenti  interessi
pubblici,  rappresenta  il definitivo superamento dell'ormai obsoleto
ruolo  accusatorio  originariamente  appartenuto al Parlamento. Ruolo
accusatorio,   risalente   nella   nostra  esperienza  costituzionale
all'ordinamento   statutario   (che  riconosceva  la  prerogativa  di
accusare i ministri del Re quale «diritto» della Camera dei deputati;
cfr. l'art. 47, Statuto), fatto proprio dalla precedente formulazione
dell'art.  96,  Cost., a mente della quale i ministri potevano essere
posti «in stato d'accusa dal Parlamento in seduta comune, per i reati
commessi nell'esercizio delle loro funzioni».
   Invero, anche il mutamento dei rapporti fra i poteri dello Stato -
e  segnatamente  dei rapporti fra Parlamento e Governo - ha spinto il
legislatore   costituzionale  ad  innovare  l'istituto  in  questione
convertendolo  da  anomalo  strumento  preordinato  a  far  valere la
responsabilita'  del  Governo innanzi alle Camere rappresentative, in
istituto  posto  a  garanzia  del  corretto funzionamento del sistema
democratico-parlamentare    e   della   integrita'   delle   funzioni
dell'organo esecutivo e dei suoi componenti (art. 94 ss., Cost.).
   In  ragione  del profondo mutamento dell'istituto sopra descritto,
l'art.  8  della menzionata legge cost. n. 1/1989, al fine di rendere
concretamente   operante  detta  prerogativa,  prevede  che  -  prima
dell'esercizio  dell'azione  penale  -  le  ipotesi  di  reato di cui
all'art.  96,  Cost.,  vengano  sottoposte  ad un duplice vaglio: una
prima valutazione, in ordine alla meritevolezza circa la prosecuzione
del  procedimento,  e'  assegnata  ad  un  Collegio  specializzato in
materia di reati ministeriali (il cosiddetto Tribunale dei ministri);
una  seconda valutazione, riguardante l'esistenza dei presupposti per
l'attivazione  della  relativa guarentigia, spetta invece alla Camera
competente.
   La  legge  costituzionale  stabilisce  infatti  che il procuratore
della  Repubblica  trasmetta tutte le denunzie concernenti i reati di
cui all'art. 96, Cost., al Collegio per i reati ministeriali il quale
«se  non ritiene che si debba disporre l'archiviazione, trasmette gli
atti  con  relazione  motivata al Procuratore della Repubblica per la
loro  immediata  rimessione  al Presidente della Camera competente ai
sensi  dell'art.  5»  (art. 8, comma 1). Mentre, «in caso diverso, il
collegio,  sentito il pubblico ministero, dispone l'archiviazione con
decreto non impugnabile» (art. 8, comma 2).
   La  ratio  della  ineludibile  alternativa di fronte alla quale la
legge costituzionale pone il Collegio per i reati ministeriali appare
chiara. A meno che il processo penale non sia destinato ad arrestarsi
in  via  definitiva a seguito della palese infondatezza della notizia
di   reato   (ovvero  delle  ulteriori  ipotesi  che  ne  determinano
l'immediata  conclusione),  la  Camera  interessata deve essere messa
nelle  condizioni  di  avere  adeguata cognizione delle imputazioni a
carico dei membri del Governo, al fine di esprimere le valutazioni di
propria    spettanza:   pronunziarsi   anzitutto   in   ordine   alla
ministerialita'   dell'ipotesi   di   reato  ed  in  via  logicamente
successiva  in  ordine  alle  motivazioni  e  alle  finalita' cui sia
eventualmente preordinato l'ipotetico illecito ministeriale.
   Basti  dire,  a  conferma  di  quanto  postulato  in  ordine  alla
indispensabilita'  di  siffatto  passaggio  parlamentare  in  cui  si
esprime   l'esigenza   di   cognizione   da  parte  della  Camera  di
appartenenza  della  vicenda  penale  riguardante un ministro, che il
medesimo  articolo  in esame dispone che l'obbligo di informativa nei
confronti  dell'organo  parlamentare grava sull'autorita' giudiziaria
anche nell'ipotesi della definitiva archiviazione non accompagnata da
alcuna  ulteriore disposizione relativa alla translatio judicii (art.
8, comma 4, legge cost. n. 1/1989).
   B)  Quanto  svolto  trova ulteriore riprova nel fatto che la legge
costituzionale n. 1/1989 tipizza una rigorosa cadenza procedimentale,
la  quale scaturisce dalla formulazione dell'imputazione da parte del
Procuratore  della  Repubblica ed e' destinata a concludersi - ove la
competente  autorita'  giudiziaria  ritenga il giudizio meritevole di
prosecuzione  - con la concessione o la negazione dell'autorizzazione
a procedere da parte della Camera competente.
   A  tale  scopo,  la  richiamata  legge  costituzionale  ha cura di
fissare  anche  i termini che ogni singola fase del procedimento deve
rispettare:  e'  difatti previsto che, ove riceva la notizia di reato
rispetto   alla   quale  ravvisi  un  fumus  di  ministerialita',  il
Procuratore   della   Repubblica  -  omessa  ogni  indagine  -  debba
trasmettere,  entro  quindici  giorni,  gli  atti  al  Tribunale  dei
ministri,  informando  gli interessati (art. 6, comma 2, legge cost.,
n. 1/1989);  ricevuti  gli  atti,  il  Collegio  del  tribunale  ha a
disposizione  novanta  giorni per pronunziarsi sull'archiviazione che
e'   disposta  con  decreto  non  impugnabile,  sentito  il  pubblico
ministero (art. 8, commi 1 e 2); il procuratore della Repubblica puo'
richiedere  lo  svolgimento di ulteriori indagini, da compiersi entro
il termine di ulteriori sessanta giorni (art. 8, comma 3).
   E'  ancora  previsto  che,  entro  il  medesimo termine (novanta o
centocinquanta  giorni),  il  Collegio - ove disponga la prosecuzione
del  giudizio  - debba trasmettere nuovamente gli atti al Procuratore
per  la  loro  «immediata remissione» alla Camera competente (art. 8,
comma  1), il cui Presidente invia «immediatamente» gli atti ricevuti
alla  Giunta  per le autorizzazioni a procedere (art. 9, comma 1), di
modo  che  quest'ultima  possa  predisporre una relazione scritta per
relazionare l'Assemblea (art. 9, comma 2). L'Assemblea, in ogni caso,
deve  riunirsi  entro  sessanta  giorni dalla ricezione degli atti da
parte del Presidente per concedere o negare l'autorizzazione (art. 9,
comma  3), salva l'ipotesi di propria incompetenza (art. 18-ter, reg.
Camera,  e  art.  135-bis,  reg.  Senato).  E'  infine  stabilito che
l'Assemblea,  in  caso di prosecuzione del giudizio, rimetta gli atti
al Collegio perche' il procedimento continui secondo le norme vigenti
(art. 9, comma 4).
   C)  Come  si  vede,  l'iniziale  valutazione  del procuratore, cui
spetta pronunziarsi in merito alla connessione del fatto reato con la
funzione  ministeriale  (cfr.  Cass.  pen.,  sez.  VI, n. 8854 del 20
maggio  1998),  condiziona  la  successiva  fase d'indagine che viene
conseguentemente   ad  essere  irreggimentata  nell'ambito  del  quel
peculiare  procedimento  prefigurato  dalla  legge  cost.  n. 1/1989;
procedimento,  che  -  una volta fissato il capo di imputazione sulla
cui  base  viene individuata la competenza del Tribunale dei ministri
(cfr.,  Cass.  pen.,  sez.  I,  n. 5581  del 1° novembre 1995, ove si
afferma,  sottolineando  in  tal  modo  la  portata  vincolante della
imputazione,  che  detta  competenza non puo' estendersi ad ulteriori
ipotesi  non  previste  nell'imputazione  stessa)  -  non  puo'  piu'
transitare  al giudice penale ordinario senza il previo passaggio per
la via parlamentare.
   Ne'  puo' accadere diversamente la' dove il Tribunale dei ministri
intenda  tornare,  qualora  cio'  si  renda possibile, sulla iniziale
qualificazione del fatto ad opera della stessa autorita' giudiziaria,
ipotizzando  la  sussistenza  di reati cosi' detti «comuni», ossia di
competenza della magistratura ordinaria.
   Come  si  e'  visto,  infatti,  la  richiesta  di autorizzazione a
procedere  - non implicando peraltro una valutazione nel merito delle
accuse  (Cass.  pen.,  sez.  VI,  n. 706  del  19 febbraio 1997) - si
configura  esclusivamente come alternativa procedurale alla decisione
di archiviazione, e deve quindi essere disposta in ragione dell'unica
circostanza  che  il  Tribunale  dei ministri ritenga il procedimento
meritevole  di  prosecuzione,  e senza che possa rilevare di fronte a
quale  autorita'  giudiziaria  debba svolgersi la fase successiva del
giudizio.
   Tanto  piu'  che, a seguito della decisione n. 134/2002 di codesta
Corte,  successivamente  all'autorizzazione  camerale,  non  e'  dato
distinguere  fra  ipotesi  di competenza del Tribunale dei ministri e
ipotesi   di  competenza  del  giudice  ordinario,  essendo  soltanto
quest'ultimo ad essere sempre e comunque investito, «secondo le norme
vigenti»,  del  prosieguo  del  giudizio  nella  fase successiva alle
indagini  (art.  9,  comma  4, legge cost., n. 1/1989; cfr., in senso
conforme, l'art. 3, comma 1, della legge n. 219/1989).
   In   conclusione,   anche   ad  ammettere  la  possibilita'  della
riqualificazione  dell'ipotesi  di reato da parte del Tribunale per i
ministri,  l'Organo  parlamentare  mantiene intatta la prerogativa di
essere  destinatario  della  richiesta  di autorizzazione per il solo
fatto  che  il  procedimento  e' destinato a proseguire oltre la fase
dell'indagine  sommaria,  e  cio' al fine di concorrere alla verifica
circa  la  sussistenza dei presupposti del reato ministeriale, se del
caso   anche  declinando  la  propria  competenza  si'  da  imprimere
carattere definitivo all'ipotesi avanzata dal Tribunale medesimo.
   3.  - Fatte queste considerazioni in ordine alla esatta fisionomia
delle   attribuzioni   che  la  normazione  di  rango  costituzionale
deferisce  alla  Camera  dei  deputati e alla disciplina di carattere
procedimentale  che  e'  volta  a  consentirne l'esercizio, e' ora da
esaminare l'art. 2, comma 1, della legge ordinaria n. 219/1989.
   Ebbene,  la  menzionata  disposizione  si  limita, nella sua prima
parte,  ad  esplicitare  quelle ipotesi di archiviazione da ritenersi
gia'  implicitamente racchiuse nella lettera dell'art. 8, legge cost.
n. 1/1989. Si tratta delle fattispecie cosi' elencate: «se la notizia
di  reato e' infondata, ovvero manca una condizione di procedibilita'
diversa dall'autorizzazione di cui all'art. 96 della Costituzione, se
il  reato  e'  estinto,  se il fatto non e' previsto dalla legge come
reato,  se l'indiziato non lo ha commesso». Dal canto suo, la seconda
ed  ultima  parte  della stessa disposizione - che assume rilievo nel
caso  di  specie - stabilisce che il Collegio dispone l'archiviazione
«........se  il  fatto  integra  un  reato diverso da quelli indicati
nell'art.  96  della Costituzione; in tale ultima ipotesi il collegio
dispone   altresi'   la   trasmissione   degli  atti  alla  autorita'
giudiziaria competente a conoscere del diverso reato».
   A) E' da dire che non si puo' escludere che codesta Corte, facendo
uso  dei  poteri  interpretativi  che le appartengono, possa arrivare
alla  seguente  conclusione:  che  anche  la parte dispositiva appena
riportata  -  dove  e' appunto contenuto il riferimento a quel «reato
diverso»  rispetto  al  quale  il Collegio deve «altresi» disporre la
trasmissione  degli  atti all'Autorita' giudiziaria ordinaria - letta
nel  quadro  normativo  costituzionale  in cui si inscrive, si presti
appunto  ad  una  interpretazione  che la renda immune da conseguenze
lesive delle attribuzioni camerali.
   Si  potrebbe  difatti ritenere che tale disposizione non possa che
avere  riguardo  all'ipotesi  di archiviazione «successiva», ossia al
caso  in  cui,  a fronte della trasmissione degli atti ai sensi della
legge  n. 1/1989,  l'organo  parlamentare  abbia declinato la propria
competenza   in   ragione   dell'insussistenza  del  requisito  della
ministerialita' del reato, con conseguente restituzione degli atti al
Collegio.  Sarebbe solo a questo punto che il Collegio medesimo - non
sussistendo  nella  evenienza profilata impedimento alla prosecuzione
del giudizio secondo le norme ordinarie - e' facoltizzato a dar luogo
alla  archiviazione  ed  alla  translatio  judicii di cui all'art. 2,
comma 1, legge n. 219/1989.
   Cosi'  considerata,  la  legge  in questione si limita piuttosto a
disciplinare  il seguito della procedura, prospettando opportunamente
gli  adempimenti  successivi  all'intervento camerale che abbia avuto
l'esito  anzidetto.  E  cio'  in  simmetria  peraltro con l'ulteriore
ipotesi  di archiviazione «successiva» disposta dall'art. 4, comma 2,
della  stessa  legge,  che  e'  prevista  nel  caso  di diniego della
autorizzazione a procedere da parte del competente ramo parlamentare.
   Ne'  dovrebbe  trascurarsi in questa prospettiva il richiamo fatto
dalla  legge  ordinaria  agli  articoli della legge costituzionale ai
quali  essa  e'  correlata. Ci si riferisce alla parte iniziale della
disposizione   in   commento  dove  si  trova  esplicito  e  puntuale
riferimento alla «archiviazione di cui al comma 2 del predetto art. 8
[ndr.,  della  legge costituzionale n. 1/1989]». Il che porterebbe di
per se' ad escludere che la disposizione abbia preteso distaccarsi da
quanto  disposto dalla legge costituzionale oggetto di richiamo e men
che  meno  modificarla  in  ordine  all'alternativa  ivi  fissata tra
archiviazione e richiesta di autorizzazione a procedere.
   B)  In  caso di differente interpretazione, vale a dire qualora si
ritenga  che la legge legittimi una archiviazione «preventiva» (ossia
antecedente alla fase parlamentare) per non ministerialita' del reato
e  che  cio'  valga  ad  escludere  la  trasmissione  degli  atti  al
competente  ramo  del  Parlamento,  non  puo'  sfuggire  che la legge
ordinaria  verrebbe a scompaginare radicalmente il combinato disposto
dell'art. 96, Cost., e dell'art. 8 della legge cost. n. 1/1989.
   Non  vi  e'  che da ribadire che quest'ultima disposizione delinea
un'alternativa netta e non eludibile fra archiviazione che mette fine
alla  procedura (per cui non si fa luogo alla trasmissione degli atti
alla  Camera)  e  prosecuzione  del  giudizio penale (in relazione al
quale la detta trasmissione e' sempre necessaria).
   Lo   stesso  dato  letterale  si  dimostra  sotto  questo  aspetto
risolutivo,   atteso  che  il  legislatore  costituzionale  ha  usato
un'espressione («in caso diverso») che sta chiaramente a contrapporre
l'ipotesi  della  prosecuzione  del procedimento penale (che richiede
immancabilmente il previo intervento parlamentare) e quella ipotesi -
la  cui  «diversita» proprio in cio' risiede - in cui il procedimento
debba trovare la sua conclusione mediante l'archiviazione (e nel qual
caso  non  e'  ovviamente da attivare la procedura intesa ad ottenere
l'autorizzazione parlamentare).
   D'altro  canto,  lo schema adottato dal legislatore costituzionale
e' perfettamente coincidente con la ordinaria funzione che l'istituto
della  archiviazione  assolve nel sistema processual-penalistico, che
e'  appunto  quella di precludere l'ulteriore corso del procedimento.
Ne'  vi  e'  nella  legge  costituzionale  il benche' minimo appiglio
letterale  che  possa  far  ritenere che si sia voluto introdurre una
ulteriore  ed  anomala variante dell'istituto dell'archiviazione, per
cui   nonostante   l'intervento   della   archiviazione   stessa   il
procedimento    possa    egualmente    proseguire    a    prescindere
dall'intervento parlamentare.
   Ma  vi  sono  due  ulteriori  notazioni  da avanzare a conferma di
quanto  svolto.  La  prima  e'  che  come a rendere vieppiu' forte il
carattere  conclusivo  della  archiviazione da parte del Collegio dei
ministri,    la   legge   costituzionale   in   esame   precisa   che
l'archiviazione  stessa  viene disposta «con decreto non impugnabile»
(cosi'  recita ancora l'art. 8, comma 2). La seconda e' che, ai sensi
dell'art. 8, comma 4, in detta ipotesi si prevede che «il Procuratore
della  Repubblica  da'  comunicazione  dell'avvenuta archiviazione al
Presidente  della  Camera  competente»:  il  che  sta  a  denotare la
volonta'   del   legislatore  costituzionale  di  rendere  edotto  il
competente ramo del Parlamento che il mancato inoltro della richiesta
di  autorizzazione  a procedere e' dovuto esclusivamente al fatto che
il  procedimento  penale  a  carico  del  ministro non e' destinato a
proseguire,  attesa  appunto  la  decisione  assunta  dal Collegio in
ordine alla sua archiviazione.
   Come  si  vede,  non  si  puo'  ritenere  che  la  legge ordinaria
n. 219/1989,  e segnatamente la indicata disposizione di cui all'art.
2,  si  sia  limitata  ad  introdurre  in  materia  un meccanismo non
previsto  dalla  legge  costituzionale,  ma  comunque compatibile con
questa  e  semmai  volto  a  coprire una lacuna pretesamente lasciata
aperta  dalla medesima legge costituzionale. Di lacuna infatti non e'
plausibile   parlare   davanti   ad   una   disposizione   di   grado
costituzionale  che  a  chiare lettere testimonia l'esatto contrario,
ossia  che  alle diverse evenienze che possono darsi nei procedimenti
per reati ministeriali si ricollegano precise conseguenze in rapporto
alle  competenze  parlamentari  (quella della indispensabilita' della
autorizzazione  parlamentare  in  tutti  i  casi  di prosecuzione del
procedimento,  quella  della comunicazione in caso di conclusione del
procedimento stesso).
   E  comunque  sia,  la disciplina della pretesa lacuna recata dalla
legge  ordinaria  -  per  ipotesi  introduttiva della possibilita' di
trasmettere  gli  atti all'autorita' giudiziaria ordinaria in caso di
archiviazione per non ministerialita' del reato e senza alcun obbligo
di   domandare   in  via  preventiva  l'autorizzazione  della  Camera
competente  -  risulta  incompatibile  con il sistema delineato dalle
norme  costituzionali gia' esaminate: non si puo' che ribadire che da
esse  si  trae  la  indispensabile  presenza della Camera stessa ogni
qualvolta  il  procedimento  a  carico del ministro debba proseguire,
quale che sia la qualificazione che l'autorita' giudiziaria all'esito
delle  indagini  attribuisca  al  relativo  reato (ministeriale o non
ministeriale).
   In   altre   parole,  non  si  sostiene  qui  l'esistenza  di  una
attribuzione  che  consista  nel potere della Camera di apprezzare in
via  esclusiva il carattere ministeriale del reato, sibbene quella di
poter   esprimere,  secondo  le  apposite  cadenze  procedurali,  una
autonoma  valutazione  al  riguardo  e  se  del  caso  in ordine alla
ricorrenza delle esimenti indicate dalla norma costituzionale.
   D'altro  canto  - e questo e' un ulteriore, ma convergente profilo
di  illegittimita'  costituzionale  della  disciplina in oggetto - il
meccanismo censurato mette per di piu' a repentaglio lo stesso nucleo
delle  competenze di cui in materia e' titolare la Camera competente.
Risulta  infatti chiaro che, essendo quelli della Camera e quelli del
Collegio    poteri    concorrenti,    suscettibili    di    reciproco
condizionamento,   non  si  puo'  ammettere  che  la  legge  consenta
all'Autorita'  giudiziaria  di paralizzare, a propria discrezione, le
prerogative  costituzionali  attribuite  alla  Camera dei deputati in
materia  di  reati  ministeriali:  cio' significa infatti che sarebbe
sufficiente  l'archiviazione  per  non  ministerialita' del reato per
«aggirare  la  prerogativa autorizzatoria prevista dall'art. 96 della
Costituzione»  (cfr.  il parere della Giunta per le autorizzazioni in
data 3 maggio 2007).
   Sotto  questo  aspetto, la disposizione censurata contrasta per un
verso   con   elementari  esigenze  di  certezza  delle  attribuzioni
costituzionali  e  che  operano  con particolare intensita' nel campo
delle  prerogative  parlamentari;  per altro verso, viene a ledere il
principio  costituzionale  di  leale  cooperazione  fra  Poteri dello
Stato, in relazione all'esercizio delle competenze di cui si parla ed
alle  disposizioni costituzionali che le contemplano, posto che detto
principio  e'  senz'altro  suscettibile di trovare applicazione anche
nell'ambito  dei  rapporti tra il Collegio per i reati ministeriali e
l'Organo parlamentare (come affermato da codesta Corte nella sentenza
n. 403  del  1994, il potere attribuito a detto Collegio «si atteggia
anche come obbligo di leale collaborazione» con il concorrente potere
riconosciuto, in tale materia, alla Camera interessata).
   Se  e'  vero  infatti  che  la  materia e' tale da respingere ogni
soluzione  che diverga dal principio di leale collaborazione, nonche'
dal   canone   che   vi   si  ricollega  del  ragionevole  equilibrio
nell'esercizio  delle competenze rispettivamente attribuite ai Poteri
dello  Stato, ne viene la conferma del vizio prospettato, dal momento
che  il  potere  autorizzatorio delle Camere, stante la disciplina di
legge  di cui si controverte, viene messo irragionevolmente nel nulla
a  seguito  di  una  unilaterale  valutazione  operata dall'Autorita'
giudiziaria  relativamente al carattere non ministeriale del reato di
cui si tratti.
   C)   Infine,  e'  da  osservare  che  l'incostituzionalita'  della
disposizione e del meccanismo potenzialmente elusivo ivi previsto, e'
da  ravvisare  nella  circostanza  non  disconoscibile  che  la legge
ordinaria  ha  comunque  determinato  una sensibile modificazione, in
senso  peggiorativo, della disciplina di rango costituzionale volta a
definire  i  rapporti  tra  procedimento penale a carico dei ministri
(con   riguardo   ai   relativi   poteri   attribuiti   all'autorita'
giudiziaria) ed i poteri autorizzatori delle Camere.
   In  particolare,  si viene ad incidere, alterandolo profondamente,
sul  bilanciamento  che rappresenta il fulcro dell'art. 96 Cost.: qui
difatti   si   fissa   la   regola  della  sottoposizione  dei  reati
ministeriali  alla  «giurisdizione  ordinaria»,  ma  richiedendosi al
contempo  la  «previa  autorizzazione  del  Senato della Repubblica o
della  Camera  dei  deputati,  secondo  le  norme stabilite con legge
costituzionale».
   Ora,   e'   largamente  noto  che  la  materia  delle  guarentigie
costituzionali  puo'  trovare  la  sua  regolamentazione fondamentale
esclusivamente  in fonti di livello costituzionale. Perche' se non e'
consentito  alla legge ordinaria ampliare l'area delle prerogative in
questione  cosi'  come disegnata dalla fonte di grado superiore, deve
ritenersi   che  nemmeno  le  e'  dato  di  integrare  o  restringere
l'anzidetta  area (cfr. le sentenze nn. 24/2004 e 120/2004). Sicche',
giammai  una  disposizione  di rango ordinario potrebbe impingere nel
nucleo  essenziale  dell'istituto,  specie  considerando il ruolo che
l'art.  96, Cost., e' chiamato ad assolvere nell'assetto basilare dei
rapporti  tra  organi  di vertice dello Stato, come a suo tempo si e'
chiarito: mentre e' fuor di dubbio che la rimozione del passaggio per
via  parlamentare,  in caso di ritenuta sussistenza di una ipotesi di
reato  comune,  comporti una marcata modificazione del ruolo che alle
Camere e' assegnato nel corso del procedimento, in virtu' della legge
n.1/1989,  tale  da  espropriarle  della  competenza  ad  adottare le
valutazioni  e  le decisioni di loro pertinenza anche a fronte di una
qualificazione giudiziaria del reato come non ministeriale.
   Va    da   se'   che,   ove   la   Corte   costituzionale   adotti
l'interpretazione   conforme   a   costituzione   che   si  e'  sopra
prospettata,  ne  discende  l'automatico  e  conseguente accertamento
dell'avvenuta  lesione  nella  specie  delle prerogative riconosciute
alla  Camera  ricorrente dalle disposizioni di livello costituzionale
nei termini enunciati.
   In caso contrario, si insiste nel ritenere che la Corte stessa non
possa  esimersi  dal sollevare innanzi a se' medesima la questione di
legittimita' costituzionale della menzionata disposizione legislativa
-  perche'  non  prevede  che  debba  richiedersi  l'autorizzazione a
procedere  della  Camera  competente  anche  nella  ipotesi in cui il
Collegio  dei  ministri  decida  per l'archiviazione in ragione della
ritenuta  non  ministerialita' del reato, ma il procedimento prosegua
davanti all'autorita' giudiziaria ordinaria - in relazione agli artt.
96,  Cost.;  8  e  9,  legge cost., n. 1/1989, nonche' per violazione
delle  medesime  disposizioni  in  rapporto  al  principio  di  leale
cooperazione  ed  al  principio  di  ragionevolezza di cui all'art. 3
Cost.:  cio'  stante  la  serieta' dei dubbi di costituzionalita' che
sono stati avanzati nei confronti della disposizione in oggetto sotto
l'aspetto  della  sua idoneita' ad impedire illegittimamente, tramite
gli  atti  che  ne  facciano  applicazione, che la Camera eserciti le
attribuzioni  che  le sono rimesse dalle disposizioni costituzionali,
come   tali  probanti  della  sussistenza  del  requisito  della  non
manifesta infondatezza della questione.
   Quanto    alla   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale,  si  e' gia' piu' volte osservato che i provvedimenti
giudiziari  oggetto  del  presente  conflitto  hanno  dichiaratamente
proceduto  all'applicazione dell'art. 2, comma 1, ultima parte, legge
n. 219/1989.  Ne  deriva  che ove tale disposizione, sotto il profilo
qui  considerato,  venisse dichiarata incostituzionale, la lesione in
tal   modo   prodottasi  nei  confronti  delle  prerogative  camerali
resterebbe  priva  di  fondamento  legale, con conseguente ripristino
delle attribuzioni dell'odierno potere ricorrente in materia di reati
ministeriali.

 

P. Q. M.
   Si  chiede che la Corte costituzionale - previa sollevazione della
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, della
legge  n. 219/1989  in  parte  qua,  ai  fini  della  declaratoria di
incostituzionalita'  della  predetta  disposizione  di legge - voglia
statuire  che  nella  specie  non spetta al Tribunale dei ministri di
Firenze  trasferire  al  giudice  penale  ordinario,  competente  per
territorio,  il procedimento instaurato ai sensi dell'art. 96, Cost.,
senza  aver  prima  richiesto  l'autorizzazione camerale e, comunque,
senza  avere  previamente trasmesso alla Camera dei deputati gli atti
del  procedimento  medesimo  in  modo  da  consentirle di valutare la
sussistenza  dei  presupposti  per l'attivazione della guarentigia di
cui  trattasi; cosi' come non spetta al Tribunale di Livorno, Sezione
distaccata di Cecina, proseguire il giudizio non ritenendo necessario
che  nella  specie  si richieda l'autorizzazione a procedere e che la
Camera  dei  deputati  comunque  interloquisca  nel procedimento. Con
conseguente annullamento degli atti indicati in epigrafe.
 
     Roma, addi' 28 giugno 2007
     Il Presidente Fausto Bertinotti - Prof. avv. Roberto Nania
 
 
Avvertenza
   L'ammissibilita'  del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza  n. 8/2008  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª s.s.,
n. 4 del 23 gennaio 2008.

 



 

 

Ordinanza n. 8 del 2008

 

Nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito del provvedimento in data 31 marzo - 4aprile 2005 del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze, con cui - stabilita, nell'ambito del procedimento penale a carico dell'allora ministro Altero Matteoli, il quale all'epoca ricopriva la carica di membro della Camera dei deputati, la propria incompetenza funzionale a giudicare di reati ritenuti non ministeriali - veniva disposta, in forza dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall'articolo 90 della Costituzione), la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente senza l'autorizzazione della Camera dei deputati e del provvedimento in data 4 dicembre 2006, con il quale il Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, ribadiva l'insussistenza nel caso di specie dell'obbligo di avanzare richiesta alla Camera competente dell'autorizzazione a procedere di cui sopra, promosso con ricorso della Camera dei deputati depositato in cancelleria il 2 luglio 2007 ed iscritto al n. 9 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 2 luglio 2007, la Camera dei deputati ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze, in relazione al provvedimento del 31 marzo 2005 con cui è stata disposta la «diretta trasmissione» alla Procura della Repubblica presso il tribunale competente degli atti concernenti il procedimento pendente a carico dell'allora ministro Altero Matteoli, il quale all'epoca ricopriva la carica di membro della Camera dei deputati, «senza che venisse preventivamente richiesta» alla Camera medesima l'autorizzazione di cui all'art. 96 della Costituzione, nonché all'art. 8, comma 1, della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione);

che, con il medesimo ricorso, la Camera ha sollevato, altresì, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, in relazione al provvedimento in data 4 dicembre 2006, con cui sarebbe stata ribadita, nell'ambito del medesimo procedimento penale, «la non operatività nel caso di specie dell'obbligo di avanzare la richiesta alla Camera competente dell'autorizzazione a procedere»;

che, premette la ricorrente, nel corso di indagini vertenti su altri soggetti, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova ha ravvisato un'ipotesi di reato a carico del deputato Matteoli, all'epoca Ministro dell'ambiente, e ha trasmesso la relativa notitia criminis alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, competente per territorio;

che, prosegue la Camera dei deputati, la Procura della Repubblica di Firenze, a propria volta, ha inoltrato gli atti al Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze istituito ai sensi dell'art. 7 della legge costituzionale n. 1 del 1989 (così detto Tribunale dei ministri);

che, all'esito delle indagini, il Tribunale dei ministri di Firenze, ritenendo che i fatti per cui si procedeva non fossero stati commessi nell'esercizio delle funzioni ministeriali, con provvedimento del 31 marzo 2005, ha dichiarato la propria incompetenza funzionale e ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pisa, perché proseguisse il giudizio secondo il rito ordinario, ai sensi dell'art. 2 della legge 5 giugno 1989, n. 219 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall'articolo 90 della Costituzione);

che la Procura della Repubblica di Pisa, a sua volta, ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Livorno, ritenuta competente per territorio, la quale ha disposto la citazione a giudizio del deputato Matteoli per un reato comune;

che nel corso di tale giudizio, il Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, con ordinanza del 4 dicembre 2006, ha affermato di condividere la valutazione operata dal Tribunale dei ministri di Firenze circa la natura non ministeriale del reato contestato all'imputato, negando la sussistenza dell'obbligo, da parte di quel Collegio, di investire del procedimento il competente ramo del Parlamento, anche nell'ipotesi in cui il reato contestato sia stato ritenuto privo del carattere ministeriale;

che, ad avviso della Camera dei deputati, detti provvedimenti del Tribunale dei ministri di Firenze e del Tribunale di Livorno sarebbero lesivi delle proprie attribuzioni costituzionali;

che tale lesione deriverebbe dall'applicazione dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989, il quale stabilisce - a parere della ricorrente in modo costituzionalmente illegittimo - che se il fatto per cui si procede integra un reato diverso da quelli di cui all'art. 96 Cost., il tribunale dei ministri dispone la trasmissione degli atti all'autorità giudiziaria, «senza prescrivere che anche in detta ipotesi si debba comunque richiedere l'autorizzazione a procedere alla Camera competente»;

che, secondo la ricorrente, non sarebbe discutibile né la propria legittimazione a sollevare il conflitto, né quella delle Autorità giudiziarie a resistervi;

che ricorrerebbe parimenti il requisito oggettivo del conflitto, «attesa l'incostituzionalità dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989 per violazione delle disposizioni di rango costituzionale che attribuiscono alla Camera competenze in materia», anche nell'ipotesi in cui il tribunale dei ministri escluda che il reato sia stato commesso nell'esercizio delle funzioni ministeriali;

che la Camera dei deputati avrebbe interesse a proporre il ricorso, dal momento che la prosecuzione del procedimento penale avrebbe leso la prerogativa di cui essa era titolare al momento «dell'omissivo comportamento dell'Autorità giudiziaria»;

che irrilevante, ai fini della permanenza di tale interesse, sarebbe il successivo mutamento della Camera di appartenenza del ministro Matteoli - eletto, nelle more del giudizio penale, al Senato della Repubblica -, dal momento che l'art. 96 Cost. radicherebbe la competenza in capo all'organo che ne disponeva al momento dell'esercizio delle funzioni ministeriali da parte dell'imputato;

che, in ogni caso, il procedimento in esame avrebbe preso avvio nel corso della precedente legislatura, quando l'ex ministro Matteoli ricopriva anche la carica di deputato;

che, pertanto, essendo la Camera dei deputati il soggetto in capo al quale la lesione si è consumata, essa sarebbe l'unica legittimata a dolersene;

che, secondo la ricorrente, competerebbe a questa Corte decidere il conflitto, dopo avere sollevato innanzi a sé in via incidentale la pregiudiziale questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge n. 219 del 1989, di cui i provvedimenti impugnati sarebbero fedele applicazione;

che, infatti, l'art. 96 della Costituzione e la legge costituzionale n. 1 del 1989 imporrebbero di investire della richiesta di autorizzazione a procedere la Camera competente, quand'anche si reputi comune il reato per il quale si procede, allo scopo di consentirle l'apprezzamento di tale qualità dell'ipotesi criminosa, e di esperire l'eventuale ricorso alla Corte costituzionale tramite conflitto di attribuzione, per difendere, in caso di conclusione contraria, le proprie prerogative;

che la Corte costituzionale potrebbe esimersi dal sollevare tale questione di legittimità costituzionale, solo ove intendesse dare all'art. 2 della legge n. 219 del 1989 un'interpretazione conforme a Costituzione, ritenendo che esso disciplini la procedura successiva all'intervento della Camera nel caso in cui questa abbia declinato la propria competenza per mancanza del requisito della ministerialità del reato;

che, nel caso in cui, invece, la disposizione fosse interpretata nel senso di legittimare una archiviazione, stante il carattere comune del reato, antecedente alla fase parlamentare, essa contrasterebbe con il combinato disposto degli artt. 96 Cost. e 8 della legge cost. n. 1 del 1989, il quale delineerebbe una netta alternativa tra archiviazione che conclude la procedura e per la quale non vi è trasmissione degli atti alla Camera, e prosecuzione del giudizio penale, in relazione alla quale la trasmissione sarebbe sempre necessaria;

che ciò sarebbe confermato dal fatto per cui, ai sensi dell'art. 8, comma 4, della 1egge cost. n. 1 del 1989, in caso di archiviazione il Procuratore della Repubblica dà comunicazione al Presidente del competente ramo del Parlamento dell'avvenuta archiviazione: tale previsione denoterebbe la volontà del legislatore di rendere edotta la Camera competente che la mancanza della richiesta di autorizzazione a procedere è dovuta esclusivamente al fatto che il procedimento penale a carico del ministro non è destinato a proseguire;

che, secondo la ricorrente, le disposizioni costituzionali attribuirebbero infatti alla Camera competente il potere di esprimere una autonoma valutazione in ordine al carattere ministeriale del reato e, se del caso, in ordine alla sussistenza delle esimenti indicate nell'art. 9 della legge cost. n. 1 del 1989;

che, a ritenere diversamente, si ammetterebbe che l'autorità giudiziaria possa paralizzare discrezionalmente le prerogative delle Camere in relazione ai reati ministeriali, aggirando, attraverso l'archiviazione per difetto di ministerialità del reato, la competenza prevista dall'art. 96 Cost.;

che, pertanto, la Camera dei deputati chiede alla Corte costituzionale, previa autorimessione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge n. 219 del 1989, di dichiarare che «non spetta al Tribunale dei ministri di Firenze trasferire al Giudice penale ordinario, competente per territorio, il procedimento instaurato ai sensi dell'art. 96 Cost., senza aver prima richiesto l'autorizzazione camerale e, comunque, senza avere previamente trasmesso alla Camera dei deputati gli atti del procedimento medesimo in modo da consentirle di valutare la sussistenza dei presupposti per l'attivazione della guarentigia», e di dichiarare parimenti che non spetta al Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, di proseguire il giudizio senza chiedere l'autorizzazione a procedere, con conseguente annullamento dei provvedimenti giurisdizionali adottati.

 

Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale è chiamata a delibare senza contraddittorio in ordine all'ammissibilità del conflitto di attribuzione, sotto il profilo della sussistenza della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;

che, quanto alla sussistenza dei requisiti soggettivi, e impregiudicata ogni ulteriore e diversa valutazione, la Camera dei deputati è legittimata a sollevare conflitto, al fine di difendere le attribuzioni che le spettano ai sensi dell'articolo 96 della Costituzione (sentenza n. 403 e ordinanza n. 217 del 1994);

che la legittimazione a resistere nel presente conflitto va parimenti riconosciuta in capo al Tribunale dei ministri di Firenze, in quanto esclusivo titolare delle attribuzioni previste dall'art. 8 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione) (sentenza n. 403 e ordinanza n. 217 del 1994);

che è ugualmente legittimato a resistere il Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, quale organo competente a dichiarare definitivamente, nel procedimento di cui è investito, la volontà del potere cui appartiene, in ragione dell'esercizio di funzioni giurisdizionali svolte in posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita (da ultimo, sentenza n. 290 del 2007);

che, con riguardo ai presupposti oggettivi, il ricorso è indirizzato a garanzia di una sfera di attribuzioni costituzionali, desumibili, secondo la prospettazione della Camera dei deputati, dall'art. 96 Cost. e dalla legge costituzionale n. 1 del 1989;

che questa preliminare valutazione, adottata prima facie ed in assenza di contraddittorio, lascia impregiudicata ogni ulteriore e diversa determinazione concernente la stessa ammissibilità del ricorso, avuto riguardo, fra l'altro, alla natura degli atti asseritamente lesivi e alla sussistenza di un'idonea "materia di conflitto";

che, ai sensi dell'art. 37, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, va disposta la notificazione anche al Senato della Repubblica, stante l'identità della posizione costituzionale dei due rami del Parlamento in relazione alle questioni di principio da trattare (sentenze n. 263 del 2003 e n. 7 del 1996; ordinanze n. 178 del 2001 e n. 470 del 1995).

 

P.Q.M.

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dalla Camera dei deputati nei confronti del Tribunale dei ministri di Firenze e del Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, con il ricorso in epigrafe;

 

dispone:

 

a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla ricorrente Camera dei deputati;

b) che, a cura della ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Tribunale dei ministri di Firenze e al Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, nonché al Senato della Repubblica, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, a norma dell'art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2008.






[1]    Legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale n. 1 del 1953 e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all’articolo 96 della Costituzione.

[2]    Legge 10 maggio 1978, n. 170, Nuove norme sui procedimenti d'accusa di cui alla L. 25 gennaio 1962, n. 20.

[3]    Legge 5 giugno 1989, n. 219, Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall’articolo 90 della Costituzione.

[4]    In tema si veda A. Ciancio, Art. 96, in Commentario alla Costituzione, pp. 1864-1872 (contributo allegato al presente dossier).

[5]    La Corte di cassazione ha affermato che «l'attribuzione al Collegio competente per i reati ministeriali dei poteri di pubblico ministero in materia di indagini preliminari, la limitazione della sfera delle attribuzioni del pubblico ministero ai momenti di iniziativa e di partecipazione, il potere propositivo e decisionale riconosciuto al Collegio con riguardo sia all'archiviazione sia alla trasmissione della richiesta al presidente della Camera competente nonché il potere di conferire al fatto una qualificazione diversa da quella indicata dall'art. 96 della Costituzione, con trasmissione degli atti direttamente all'autorità giudiziaria competente, sono aspetti che conferiscono al Collegio natura e caratterizzazione tali da rendere non compatibile la riconduzione di esso e delle relative funzioni agli attributi processuali del giudice per le indagini preliminari e, quindi, di definire la dialettica processuale tra il Collegio ed il pubblico ministero entro l'area dei rapporti tra giudice per le indagini preliminari e pubblico ministero nella fase stessa delle indagini disciplinata dal vigente codice di procedura penale» (cfr. Cass., Sez. VI, sent. n. 598 del 1993).

[6]    Le sezioni unite della Cassazione hanno sostenuto che il provvedimento di archiviazione emesso dal Tribunale dei ministri «ha formalmente e sostanzialmente natura non di sentenza, ma di decreto di archiviazione, come tale privo di efficacia preclusiva di ulteriore esercizio dell'azione penale. Pertanto esso non è impugnabile, anche se abnorme o di forma del tutto anomala» (cfr. Cass., Sez. U., sent. n. 7 del 1989).

[7]    Articolo 4 della legge costituzionale n. 1 del 1989.

[8]    Si ricorda che la proposta di legge in esame ripropone, pressoché integralmente, il contenuto della proposta di legge A.C. 1785, presentata dall’On. Consolo durante la scorsa legislatura e della quale la Commissione giustizia non ha però avviato l’esame.

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