Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento giustizia | ||
Titolo: | Reati ministeriali - A.C. 891 (Schede di lettura e riferimenti normativi) | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 47 | ||
Data: | 22/09/2008 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | II-Giustizia |
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Camera dei deputati |
XVI LEGISLATURA |
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SERVIZIO STUDI |
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Progetti di legge |
Reati ministeriali A.C. 891 |
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n. 47 |
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22 settembre 2008 |
Dipartimento giustizia
SIWEB
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File: gi0062.doc
INDICE
Quadro normativo: il procedimento relativo ai reati ministeriali
Contenuto della proposta di legge
§ L.Cost. 16 gennaio 1989, n. 1. Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione.
§ L. 5 giugno 1989, n. 219. Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall'articolo 90 della Costituzione.
§
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello stato (merito) depositato in cancelleria il 3 marzo 2008 (della Camera dei deputati) (n. 9, 28 giugno 2007-3 marzo 2008) (GU n. 14 del 26.03.2008 )§ Ciancio A., Art. 96, in Commentario alla Costituzione, Utet, Torino, 2007, volume II
L’articolo 96 della Costituzione, nel testo introdotto dalla legge costituzionale n. 1 del 1989[1], stabilisce che «il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale».
La riforma del 1989 ha soppresso la disciplina precedente che, analogamente a quella del procedimento d’accusa nei confronti del Presidente della Repubblica, prevedeva per i cosiddetti reati ministeriali la messa in stato di accusa da parte del Parlamento in seduta comune e il giudizio di fronte alla Corte costituzionale. L’avvio al processo di riforma è stato dato dall’esito positivo del referendum del novembre 1987 sulla abrogazione di alcuni articoli della legge n. 170 del 1978[2], che disciplinava la fase istruttoria dei procedimenti di accusa, dalla quale è derivata la perdita, da parte della Commissione parlamentare per i procedimenti di accusa (così detta Commissione inquirente) dei suoi poteri istruttori.
La legge costituzionale n. 1 del 1989 e le norme attuative, introdotte dalla legge 5 giugno 1989, n. 219[3], hanno dunque ridisegnato ex novo il procedimento per i reati ministeriali, che si configura come speciale per ciò che concerne la fase delle indagini preliminari e della autorizzazione a procedere.
La riforma non ha però risolto il problema della definizione di reato ministeriale (idoneo ad attivare le speciali procedure previste dall’art. 96 Cost.), né quello della distinzione dal comune illecito penale eventualmente commesso dai ministri per il quale, viceversa, non è prevista alcuna deroga al rito ordinario[4].
L’intera competenza per la fase delle indagini preliminari è affidata ad un apposito collegio di magistrati (c.d. Tribunale dei ministri), costituito preventivamente presso il Tribunale del capoluogo di distretto di Corte d’Appello competente per territorio, il quale procede alle indagini con tutti i poteri che, nel rito ordinario, spettano rispettivamente al pubblico ministero e al giudice per le indagini preliminari[5].
Ai sensi dell’art. 7 della legge costituzionale n. 1/1989, il collegio è composto di tre membri effettivi e tre supplenti, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio nei tribunali del distretto che abbiano da almeno cinque anni la qualifica di magistrato di tribunale o abbiano qualifica superiore. Il collegio è presieduto dal magistrato con funzioni più elevate, o, in caso di parità di funzioni, da quello più anziano d'età (comma 1). Il collegio si rinnova ogni due anni ed è immediatamente integrato in caso di cessazione o di impedimento grave di uno o più dei suoi componenti. Alla scadenza del biennio, per i procedimenti non definiti, è prorogata la funzione del collegio nella composizione con cui ha iniziato le indagini (comma 2).
Il c.d. Tribunale dei ministri ha 90 giorni di tempo per compiere le indagini preliminari, al termine delle quali, sentito il pubblico ministero, può:
- archiviare con decreto non impugnabile[6], se la notizia di reato è infondata, ovvero manca una condizione di procedibilità (diversa dall'autorizzazione a procedere), se il reato è estinto, se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se l'indiziato non lo ha commesso;
- archiviare e trasmettere gli atti all'autorità giudiziaria competente a conoscere del reato, se il fatto integra un reato diverso da quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione (cioè se si tratta di un reato comune e non di un reato ministeriale) (art. 2, l. 219/1989);
- trasmettere gli atti con relazione motivata al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente per ottenere l’autorizzazione a procedere.
La competenza per l’autorizzazione spetta all’una o all’altra Camera a seconda che dell’una o dell’altra sia componente il ministro indagato. Spetta al Senato se questi non appartiene a nessuna delle due Camere, o se il procedimento riguarda persone appartenenti a Camere diverse.
L’articolo 9 della legge costituzionale n. 1 del 1989 prevede che il Parlamento possa, a maggioranza assoluta, negare l’autorizzazione, con deliberazione motivata, soltanto «ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo».
L’esame delle domande di autorizzazione è disciplinato, oltre che dall’articolo sopra citato, dagli articoli 18-bis, 18-ter e 18-quater del regolamento della Camera e dagli articoli 19, comma 5, e 135-bis del regolamento del Senato.
Le domande sono esaminate dalla Giunta competente in materia di immunità e dall’Assemblea, che si riunisce entro il termine massimo di 60 giorni dalla data in cui gli atti sono pervenuti al Presidente della Camera o del Senato.
La proposta della Giunta, nel caso in cui si tratti di proposta di concessione, non viene posta in votazione ma viene direttamente data per approvata, a meno che 20 deputati, o 20 senatori, formulino una proposta motivata in senso difforme. Se le proposte di diniego non sono approvate dalla maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea, l’autorizzazione si intende concessa.
Infine occorre ricordare che il procedimento può riguardare, oltre che i ministri, anche eventuali coindagati, cosiddetti “laici”. Il procedimento parlamentare si svolge anche nei loro confronti con le modalità adottate per il ministro.
Specifica autorizzazione della Camera competente è richiesta per sottoporre, nell’ambito di un procedimento per i reati di cui all’articolo 96 della Costituzione, il Presidente del Consiglio e i ministri a misure limitative della libertà personale, a intercettazioni, sequestro di corrispondenza o perquisizioni. Su tale autorizzazione la Camera competente deve deliberare entro 15 giorni dalla richiesta.
Dopo l’autorizzazione della Camera competente il procedimento continua secondo le regole del rito ordinario. In casi di eccezionale gravità, la pena per i reati ministeriali è aumentata fino ad un terzo[7].
Come accennato sopra, se il Tribunale dei ministri all’esito delle indagini preliminari ritiene che il fatto integra un reato diverso da quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione, e dunque un reato comune, deve, a norma dell’articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989 disporre la trasmissione degli atti all'autorità giudiziaria ordinaria competente a conoscere del reato. Ciò, in base alla lettera della legge ordinaria, che nega in questo caso al Parlamento la possibilità di esprimere una valutazione sulla natura giuridica (reato comune o reato ministeriale) dei fatti ascritti al parlamentare.
Si ricorda, peraltro, con riguardo al profilo della qualificazione della natura giuridica (reato comune o reato ministeriale) dei fatti ascritti al parlamentare, che, nella seduta del 16 maggio 2007 (vedi allegato), la Camera dei deputati ha sollevato davanti alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato.
La Camera ha contestato la legittimità costituzionale della procedura seguita dall’autorità giudiziaria, nello specifico dal Tribunale dei ministri di Firenze che, investito da parte della procura della Repubblica di Genova di una ipotesi di reato riguardante il senatore Matteoli, all'epoca dei fatti deputato e Ministro dell'ambiente, ha dichiarato la propria incompetenza funzionale, valutando i fatti ascritti al senatore Matteoli come non commessi nell'esercizio della funzione ministeriale, e ha disposto l'archiviazione rimettendo gli atti al competente giudice ordinario.
Nel ricorso (vedi allegato) – depositato in data 3 marzo 2008 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale- Serie speciale del 26 marzo 2008 - si sostiene che la mancata richiesta alla Camera dei deputati dell'autorizzazione a procedere di cui l'articolo 96 della Costituzione abbia leso le prerogative ad essa spettanti in base alla richiamata disposizione costituzionale.
In particolare, la Camera chiede alla Corte costituzionale:
§ di sollevare, di propria iniziativa, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989, per poi dichiararlo costituzionalmente illegittimo perchè non prevede che debba richiedersi l’autorizzazione a procedere alla Camera competente anche nell’ipotesi in cui il Tribunale dei ministri decida per l’archiviazione in ragione della ritenuta non ministerialità del reato, in contrasto con l’articolo 96, Cost. nonché con l'articolo 8 della legge costituzionale n. 1 del 1989. Quest’ultima, infatti, prefigurerebbe due sole possibilità per il Collegio: l'archiviazione della notizia di reato o la domanda di autorizzazione a procedere al competente ramo del Parlamento;
§ di affermare, conseguentemente, che le prerogative della Camera dei deputati sono state lese laddove le si è impedito di valutare l'esistenza del presupposto della guarentigia costituzionale.
Tale conflitto, dichiarato ammissibile con ordinanza della Corte costituzionale n. 8 del 2008, è tuttora pendente.
L’articolo unico della proposta di legge A.C. 891[8] mira a modificare l’articolo 2 della legge n. 219 del 1989 così da prevedere che, anche laddove il fatto contestato ad un membro del governo integri un reato diverso da quelli indicati dall’articolo 96 della Costituzione, e dunque un reato comune, il c.d. Tribunale dei ministri debba trasmettere gli atti al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente.
In sostanza, quindi, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della p.d.l., se il c.d. Tribunale dei ministri conferisce al fatto una qualificazione diversa da quella indicata dall'articolo 96 della Costituzione, deve disporre la trasmissione degli atti non più - come attualmente previsto - all'autorità giudiziaria competente a conoscere del diverso reato, bensì al Procuratore della Repubblica ai fini del successivo invio alla Camera competente ai sensi dell'articolo 5 della legge costituzionale n. 1 del 1989.
La proposta di legge in esame, quindi, stabilendo una pronuncia parlamentare per i casi in cui il Tribunale non ravvisi una ipotesi di reato commesso nell’esercizio delle funzioni ministeriali, prevede che l’ultima parola circa la natura giuridica dei fatti ascritti al ministro – se siano riconducibili a un reato ministeriale ex art. 96 Cost. o a un reato comune – spetti alla Camera competente.
Il comma 2 dell’articolo dispone che la nuova disciplina debba essere applicata anche ai procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore della riforma.
Normativa vigente |
AC 891 |
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Legge 5 giugno 1989, n. 219 |
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Art. 2 |
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1. Il collegio, sentito il pubblico ministero e dopo lo svolgimento di ulteriori indagini ove richiesto dal procuratore della Repubblica ai sensi del comma 3 dell'articolo 8 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, dispone l'archiviazione di cui al comma 2 del predetto articolo 8, se la notizia di reato è infondata, ovvero manca una condizione di procedibilità diversa dall'autorizzazione di cui all'articolo 96 della Costituzione, se il reato è estinto, se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se l'indiziato non lo ha commesso ovvero se il fatto integra un reato diverso da quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione; in tale ultima ipotesi il collegio dispone altresì la trasmissione degli atti all'autorità giudiziaria competente a conoscere del diverso reato. |
1. Il collegio, sentito il pubblico ministero e dopo lo svolgimento di ulteriori indagini ove richiesto dal procuratore della Repubblica ai sensi del comma 3 dell'articolo 8 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, dispone l'archiviazione di cui al comma 2 del predetto articolo 8, se la notizia di reato è infondata, ovvero manca una condizione di procedibilità diversa dall'autorizzazione di cui all'articolo 96 della Costituzione, se il reato è estinto, se il fatto non è previsto dalla legge come reato, se l'indiziato non lo ha commesso ovvero se il fatto integra un reato diverso da quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione; in tale ultima ipotesi il collegio trasmette gli atti con relazione motivata al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente ai sensi dell'articolo 5 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1; a tale Camera è riservata la valutazione circa la riconducibilità dei reati a quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione. |
2. Quando sopravvengano nuove prove il decreto di archiviazione indicato nel comma 1 può essere revocato dal collegio, su richiesta del procuratore della Repubblica competente ai sensi dell'articolo 6 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 , ed osservate le forme ivi previste. Se dispone la revoca, il collegio provvede ai sensi dell'articolo 8 della predetta legge costituzionale e il termine di novanta giorni ivi previsto decorre dalla data del ricevimento della richiesta del procuratore della Repubblica. |
2. Identico. |
RESOCONTO STENOGRAFICO
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158.
Seduta di mercoledì 16 maggio 2007
presidenza del vicepresidente PIERLUIGI CASTAGNETTI
(omissis)
Inserimento all'ordine del giorno dell'assemblea di una deliberazione per l'elevazione di un conflitto di attribuzione nei confronti dell'autorità giudiziaria.
ANTONIO LEONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO LEONE. Signor Presidente, le chiedo di inserire ai sensi dell'articolo 27 del Regolamento all'ordine del giorno una deliberazione, adottata dall'Ufficio di Presidenza, per l'elevazione di un conflitto di attribuzione nei confronti dell'allora deputato Matteoli, che credo si possa votare tranquillamente.
PRESIDENTE. L'onorevole Leone, a nome del gruppo di Forza Italia, ha chiesto l'inserimento all'ordine del giorno della seduta odierna di una deliberazione relativa all'elevazione di un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale nei confronti dell'autorità giudiziaria.
Ricordo che, ai sensi dell'articolo 27, comma 2 del Regolamento, l'Assemblea può deliberare su materie non iscritte Pag. 102all'ordine del giorno previa deliberazione con votazione palese mediante procedimento elettronico con registrazione dei nomi e a maggioranza dei tre quarti dei votanti.
Su tale proposta darò la parola, ove ne sia fatta richiesta, ad un deputato contro e ad uno a favore per non più di cinque minuti ciascuno, ai sensi dell'articolo 41 comma 1, del Regolamento.
Nessuno chiedendo di parlare, passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla proposta avanzata dall'onorevole Leone di inserire all'ordine del giorno della seduta odierna la deliberazione relativa all'elevazione di un conflitto di attribuzione nei confronti dell'autorità giudiziaria.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 428
Votanti 396
Astenuti 32
Maggioranza dei tre quarti quarti dei votanti 297
Hanno votato sì 394
Hanno votato no 2).
Prendo atto che le deputate Dato e Mondello non sono riuscite a votare e che il deputato Marcenaro avrebbe voluto esprimere voto contrario.
Deliberazione per l'elevazione di un conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale nei confronti della autorità giudiziaria.
PRESIDENTE. A seguito della deliberazione testè assunta dall'Assemblea ai sensi dell'articolo 27, comma 2, del Regolamento, l'ordine del giorno reca l'esame di una deliberazione per l'elevazione di un conflitto di attribuzioni nel confronti dell'autorità giudiziaria.
Comunico che è stata sottoposta all'Ufficio di Presidenza, nella riunione di oggi 16 maggio 2007, la richiesta di elevazione da parte della Camera dei deputati di un conflitto di attribuzione nei confronti dell'autorità giudiziaria avanzata dal senatore Matteoli.
Considerato che con la richiesta avanzata viene contestata la procedura seguita dal Collegio per i reati ministeriali di cui all'articolo 7 della legge costituzionale n. 1 del 1989, istituito presso il tribunale di Firenze che, investito da parte della procura della Repubblica di Genova di una ipotesi di reato riguardante il senatore Matteoli, all'epoca dei fatti Ministro dell'ambiente, ha dichiarato, con provvedimento in data 4 aprile 2005, la sua incompetenza funzionale in materia, valutando i fatti ascritti al senatore Matteoli come non commessi nell'esercizio della funzione ministeriale, e ha disposto l'archiviazione rimettendo gli atti al competente giudice ordinario. Tenuto conto che il senatore Matteoli ha chiesto alla Camera dei deputati di elevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ritenendo che la mancata richiesta alla Camera dei deputati dell'autorizzazione a procedere di cui l'articolo 96 della Costituzione abbia leso le prerogative ad essa spettanti in base alla richiamata disposizione costituzionale. Visto il documento approvato dalla Giunta per le autorizzazioni in data 3 maggio 2007, nonché le risultanze dell'ulteriore approfondimento istruttorio svolto dalla Giunta medesima, su richiesta dell'Ufficio di Presidenza, comunicata al Presidente della Camera con lettera del Presidente della Giunta per le autorizzazioni in data 16 maggio 2007. Preso atto che la Giunta - «senza esprimere giudizio alcuno sul merito delle accuse mosse all'ex Ministro Matteoli né sulla "ministerialità" del fatto ascrittogli» - ha ritenuto che l'articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989, nella parte in cui prevede tra i motivi di archiviazione da parte del Collegio per i reati ministeriali anche l'ipotesi che il fatto integri un reato diverso da quello ministeriale, prevedendo in tal caso la trasmissione degli atti all'autorità giudiziaria Pag. 103competente a conoscere del diverso reato, sia in contrasto con l'articolo 8 della legge costituzionale n. 1 del 1989, il quale prefigurerebbe, ad avviso della Giunta, due sole possibilità per il Collegio per i reati ministeriali: l'archiviazione della notizia di reato o la domanda di autorizzazione a procedere al competente ramo del Parlamento. Preso atto che, secondo la Giunta per le autorizzazioni, l'asserita illegittimità della richiamata disposizione della legge ordinaria, applicata nel caso di specie dal Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze, consentirebbe di aggirare la prerogativa autorizzatoria prevista dall'articolo 96 della Costituzione.
Considerato che la Giunta per le autorizzazioni ha espresso l'orientamento per cui la Camera dei deputati attivi lo strumento del conflitto di attribuzione per dolersi della lesione delle proprie prerogative, "dovuta non già all'illegittimo comportamento di un altro potere, bensì determinata dall'illegittimità costituzionale del citato articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989. Considerato, altresì, che secondo quanto rappresentato dalla Giunta per le autorizzazioni sussiste attualmente l'interesse della Camera dei deputati a ricorrere giacché il provvedimento assunto dal Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze - sulla base del citato articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989 - fu adottato quando il senatore Matteoli ricopriva la carica di deputato e che in tale qualità aveva già investito della questione i competenti organi della Camera nella scorsa legislatura nonché in considerazione del fatto che nel caso in questione non si tratta di prospettare una lesione dei poteri previsti da norme costituzionali bensì di sollecitare una pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma la cui applicazione conduce ad una lesione delle prerogative costituzionalmente attribuite alle Camere.
Tutto ciò premesso, l'Ufficio di Presidenza, nella riunione di oggi, mercoledì 16 maggio 2007, concordando sulle conclusioni cui è pervenuta la Giunta per le autorizzazioni, ha deliberato di proporre all'Assemblea di sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato innanzi alla Corte costituzionale nei confronti del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze e nei confronti del Tribunale di Livorno, innanzi al quale è attualmente pendente il giudizio nei confronti del senatore Matteoli, ai sensi dell'articolo 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per sentire affermare - previa declaratoria di incostituzionalità dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989 - che la Camera dei deputati è stata lesa nella facoltà di valutare l'esistenza del presupposto della guarentigia costituzionale anche nella fattispecie prevista in legge ordinaria dal citato articolo.
Su tale proposta darò la parola, ai sensi dell'articolo 41, comma 1 del Regolamento, a un oratore contro ed uno a favore per non più di cinque minuti ciascuno.
Ha chiesto di parlare contro, l'onorevole Vacca. Ne ha facoltà.
ELIAS VACCA. Onorevoli colleghi, mi rivolgo a chi, nel corso della lettura dello speech (che non è stato breve) non avesse avuto l'opportunità o l'attenzione sufficiente per poter seguire l'argomento. La questione è così riassumibile: l'ex ministro Matteoli, attuale senatore, è imputato del delitto di favoreggiamento per aver avvisato un prefetto che l'utenza telefonica di quest'ultimo era stata posta sotto controllo. Questa è la fattispecie di reato, rispetto alla quale si è pronunciato il Tribunale dei ministri, il quale (checché si possa pensare sulla possibilità di sollevare questioni di costituzionalità e conflitti di attribuzione) è l'organo deputato a qualificare come ministeriale o meno un fatto di reato.
La qualificazione di non ministerialità del reato e, quindi, di reato comune, ha portato il senatore Matteoli a scrivere a questa istituzione chiedendo, in modo singolare (si riconoscerà infatti non vi sono precedenti in questo senso), la sollevazione di un conflitto di attribuzione come ipotesi residuale. Ci si è, quindi, posti la seguente domanda: considerato che non esiste, per legge, un meccanismo che consenta la Pag. 104contestazione della qualificazione del fatto reato come non ministeriale, quid iuris se la Camera non condividesse l'impostazione del Tribunale dei ministri?
A mio personale giudizio, e non solo mio (anche qualche altro commissario in Giunta ha votato contro tale proposta), l'indicazione è invece chiarissima: la qualificazione spetta all'autorità giudiziaria ordinaria. Posto ciò, non ritengo di poter aderire alla proposta formulata prima dal relatore, poi dalla Giunta e, infine, dalla Presidenza.
Aggiungerò, inoltre, che lo stesso relatore, nell'illustrazione alla Giunta, aveva prospettato l'esigenza di sollevare il conflitto di attribuzione per «fare giurisprudenza», per creare cioè un caso ed una pronuncia su un fatto mai verificatosi prima, naturalmente nell'epoca successiva all'approvazione della legge costituzionale rispetto alla quale si assume il contrasto. Sono sempre molto perplesso quando le sentenze vengono utilizzate per creare un precedente, a maggior ragione quando si utilizza la Corte costituzionale. Vorrei ricordare a tutti i colleghi che in materia, ad esempio, di sindacabilità o meno delle opinioni espresse dai deputati, esiste un conflitto (ormai abbastanza evidente) tra la Corte costituzionale e questa Istituzione, sui criteri rispetto ai quali si possa concedere l'insindacabilità, con il risultato che molti dei conflitti di attribuzione che la Camera solleva, la vedono soccombente, tra l'altro anche con un non trascurabile dispendio di risorse economiche.
Poiché mi sembra che non sia il caso di continuare a sollevare dinanzi alla Corte costituzionale conflitti di attribuzione improbabili e, qualche volta, anche stravaganti, reitero il voto contrario. Aggiungo, peraltro, che la richiesta di chiarimento pervenuta oggi alla Giunta per le autorizzazioni, con lettera della Presidenza, è stata risolta in un modo che «la dice lunga» sulla capacità di orientarsi rispetto a questo problema, perché ci si è chiesti, persino, rispetto a quale autorità dovrebbe essere sollevato il conflitto di attribuzione. Poiché non si può - non è che non si sappia, ma non si può - rispondere a questa domanda, si è detto che il conflitto di attribuzione andrebbe sollevato tanto rispetto al Tribunale dei ministri, che ha qualificato il fatto come non ministeriale, quanto rispetto all'autorità giudiziaria ordinaria dinanzi alla quale è stato convenuto in giudizio il senatore Matteoli.
Pertanto, ritengo che quando si vuole sollevare un caso, ponendo una questione di costituzionalità di una norma o un conflitto di attribuzione che riguarda un senatore della Repubblica si potrebbe, almeno, evitare di «sparare a pallettoni» cercando di capire, quantomeno, rispetto a quale autorità sollevare il conflitto. Per questi motivi esprimerò voto contrario e sollecito i colleghi a fare altrettanto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare a favore l'onorevole Tenaglia. Ne ha facoltà.
LANFRANCO TENAGLIA. Signor Presidente, questa materia è stata molto approfondita sia dalla precedente Giunta per le autorizzazioni, sia da quella attualmente in carica. Si è pervenuti a questa decisione sulla base di assunti di principio molti precisi. Il primo è dato dalla considerazione che la Corte costituzionale è l'unico giudice in grado di dirimere i conflitti di attribuzione e le questioni di costituzionalità; è il giudice cui la nostra Costituzione assegna la competenza in ordine alla delimitazione delle prerogative delle Camere. Pertanto, quando si tratta di delimitare le prerogative dei componenti delle Camere, la Corte costituzionale è il giudice che decide. Non si tratta di un conflitto proprio cioè, come ben detto nella relazione dell'Ufficio di Presidenza, di un conflitto con cui si contesta l'illegittimo uso del potere da parte dell'autorità giudiziaria. Nessuno contesta la potestà dell'autorità giudiziaria di qualificare il reato e procedere all'accertamento dei fatti. Si tratta di un conflitto de residuo, ritenuto ammissibile già in precedenza dalla Corte costituzionale, cioè di un conflitto che la Camera o altro potere dello Stato sollevano in mancanza di altri strumenti per far valere l'illegittimità costituzionale di una norma. Questo è il solo ambito di giudizio.Pag. 105
L'autorità nei cui confronti si solleva il conflitto è quella giudiziaria, intesa come parte di un procedimento complesso. Pertanto, sia il Tribunale dei ministri, in quanto autorità che ha emesso il provvedimento sulla base della norma che si assume incostituzionale, sia l'autorità giudiziaria ordinaria, il tribunale di Livorno, che sta procedendo sulla base di questo provvedimento. Non si è trattato di allargare lo spettro, ma solamente di individuare l'autorità giudiziaria nel suo complesso. Sarà la Corte costituzionale, qualora ritenga fondata l'ammissibilità del conflitto, a stabilire quale sia l'autorità parte del giudizio, cui vada indirizzata la notifica. Ritengo che questi siano gli ambiti e i confini molto stretti del conflitto che si intende sollevare e che siano pienamente ammissibili sia il conflitto sia, poi, la decisione di merito della Corte costituzionale.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico, senza registrazione di nomi, la proposta dell'Ufficio di Presidenza di deliberare l'elevazione di un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale nei confronti dell'autorità giudiziaria.
(È approvata per 305 voti di differenza).
(omissis)
Ricorso per conflitto di
attribuzione tra poteri dello stato (merito) depositato in cancelleria il 3
marzo 2008
(della Camera dei deputati)
(n. 9, 28 giugno 2007-3 marzo 2008)
(GU n. 14 del 26.03.2008 )
Provvedimento del Tribunale dei Ministri di Firenze in data 31 marzo - 4 aprile 2005, emesso nel procedimento penale a carico del Ministro Altero Matteoli per il reato di favoreggiamento, avente ad oggetto la dichiarazione della propria incompetenza funzionale, in conseguenza della ritenuta natura comune e non ministeriale del reato contestato, e la trasmissione degli atti alla Procura del Tribunale territorialmente competente - Provvedimento del Tribunale di Livorno, Sezione di Cecina, in composizione monocratica, di reiezione della richiesta formulata dal difensore dell'imputato di rinvio del procedimento penale per consentire al Parlamento una preliminare valutazione dei fatti contestati all'ex ministro Matteoli - Ricorso per conflitto tra poteri sollevato dalla Camera dei deputati - Denunciata violazione delle guarantigie costituzionali per i reati ministeriali - Richiesta alla Corte di dichiarare la non spettanza al Tribunale dei Ministri di Firenze di trasferire al giudice penale competente per territorio il procedimento instaurato ai sensi dell'art. 96 Cost., senza aver prima richiesto l'autorizzazione camerale e, comunque, senza aver previamente trasmesso alla Camera dei deputati gli atti del procedimento medesimo in modo da consentirle di valutare la sussistenza dei presupposti per l'attivazione delle guarantigie di cui trattasi, nonche' la non spettanza al Tribunale di Livorno, Sezione distaccata di Cecina, di proseguire il giudizio, non ritenendo necessario richiedere l'autorizzazione a procedere della Camera dei deputati - Conseguente richiesta di annullamento degli atti stessi - Richiesta alla Corte, ove escluda la possibilita' di interpretazione dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219/1989, nel senso della necessita' di investire la Camera di appartenenza della valutazione circa la natura non ministeriale del reato ascritto, di sollevare dinanzi a se' stessa questione di legittimita' costituzionale della norma stessa in relazione all'art. 96 Cost. e agli artt. 8 e 9 della legge costituzionale n. 1/1989. - Provvedimento del Tribunale dei Ministri di Firenze 4 aprile 2005; Provvedimento del Tribunale di Livorno - Sez. distaccata di Cecina 4 dicembre 2006. - Costituzione, art. 96; legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, art. 8, comma 1. (GU n. 14 del 26.03.2008 )
Ricorso della Camera dei deputati, in persona del Presidente
Fausto Bertinotti, come da deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza
n. 65/2007 in data 16 maggio 2007 e dell'Assemblea della Camera dei
deputati in data 16 maggio 2007, rappresentato e difeso, in virtu' di
procura ad litem per notar Paolo Silvestro, in Roma, rep. n. 82991
del 25 giugno 2007, dall'avv. prof. Roberto Nania, ed elettivamente
domiciliato presso il suo studio in Roma, via Carlo Poma n. 2, nei
confronti del Tribunale dei Ministri di Firenze; del Tribunale di
Livorno, Sezione distaccata di Cecina, in relazione:
al provvedimento in data 31 marzo - 4 aprile 2005, intestato
Tribunale dei Ministri di Firenze, con cui il predetto Collegio per i
reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze, nell'ambito del
procedimento iscritto al n. 12976/04 R.G.N.R.N. (N. 01/05 R.G.
Tribunale dei ministri di Firenze) pendente a carico dell'allora
Ministro Altero Matteoli, il quale all'epoca ricopriva la carica di
membro della Camera dei deputati, ha disposto - in forza dell'art. 2,
comma 1, della legge n. 219 del 1989 - una volta accertata la propria
incompetenza funzionale a giudicare dei reati a quest'ultimo
contestati in quanto ritenuti non ministeriali, la diretta
trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il
tribunale competente, senza che venisse preventivamente richiesta
alla Camera dei deputati l'autorizzazione di cui all'art. 96, Cost.
nonche' all'art. 8, comma 1, legge costituzionale 16 gennaio 1989,
n. 1;
al provvedimento in data 4 dicembre 2006 con cui il Tribunale di
Livorno, Sezione distaccata di Cecina, in composizione monocratica,
ha ribadito, nell'ambito della prosecuzione del medesimo procedimento
penale nei confronti del deputato Altero Matteoli (n. 7256/06 R.G.
dib. - 2114/05 R.G.N.R.) - sempre in forza della predetta
disposizione legislativa - la non operativita' nel caso di specie
dell'obbligo di avanzare richiesta alla Camera competente
dell'autorizzazione a procedere di cui sopra, non essendo previsto
che la Camera stessa debba comunque interloquire nel procedimento in
questione.
F a t t o
Nel corso delle indagini relative ad un procedimento penale nei
confronti di un magistrato del Tribunale di Livorno e dell'allora
Prefetto di Livorno, la Procura della Repubblica di Genova -
ravvisando ipotesi di reati commessi da un Ministro - inviava la
relativa notitia criminis alla Procura di Firenze, ritenuta
competente per territorio.
La Procura della Repubblica di Firenze, previa formulazione dei
capi d'imputazione, trasmetteva gli atti al Collegio per i reati
ministeriali presso il Tribunale di Firenze (cosiddetto Tribunale dei
ministri), davanti al quale veniva incardinato il procedimento
iscritto al n. 12976/04 R.G.N.R.N. (N. 01/05 R.G. - Tribunale dei
ministri), a carico dell'on. Matteoli, all'epoca dei fatti Ministro
dell'ambiente, per le ipotesi di reato di favoreggiamento e
rivelazione di segreto d'ufficio.
All'esito delle indagini espletate, il Tribunale dei ministri di
Firenze riteneva che i reati ipotizzati a carico dell'on. Matteoli
non potessero qualificarsi come reati ministeriali, trattandosi di
fatti non connessi, se non per mero rapporto di occasionalita', con
la carica istituzionalmente ricoperta.
Sicche', con provvedimento in data 31 marzo - 4 aprile 2005, il
Tribunale dei ministri dichiarava la propria incompetenza funzionale
e ordinava contestualmente la trasmissione degli atti alla procura
competente - individuata nella Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Pisa - affinche' proseguisse il giudizio secondo il rito
ordinario.
Riteneva infatti che, una volta appurata detta incompetenza
funzionale, ne derivasse «l'applicabilita' delle ordinarie regole di
procedura penale cosi' come disposto dall'art. 2, comma 1, ultima
parte, della legge n. 219/1989».
La Procura di Pisa trasmetteva a sua volta gli atti alla Procura
di Livorno, ritenuta competente per territorio, la quale - a seguito
di parziale rigetto della richiesta di archiviazione da parte
dell'ordinanza del g.i.p. in data 19 aprile 2006 - disponeva il
rinvio a giudizio con riferimento alla sola ipotesi di reato di
favoreggiamento.
Nel corso del processo, con ordinanza assunta nell'udienza del 4
dicembre 2006, il Tribunale di Livorno dichiarava di condividere le
argomentazioni in base alle quali il predetto Collegio di Firenze era
pervenuto ad escludere la natura ministeriale delle ipotesi di reato
di cui trattasi.
Inoltre, il Tribunale di Livorno escludeva che - prima di disporre
la prosecuzione del giudizio presso l'autorita' ordinaria competente
- il Collegio per i reati ministeriali di Firenze avesse l'obbligo di
inviare, ai sensi dell'art. 8 della legge costituzionale n. 1/1989,
gli atti al Procuratore della Repubblica per la loro immediata
trasmissione al Presidente della Camera competente ex art. 5, della
stessa legge.
Osservava difatti che - alla stregua dell'art. 2, comma 1, della
legge n. 219/1989 - una volta ritenuta la non ministerialita' dei
fatti contestati, la legge imponesse al Tribunale dei ministri
soltanto l'obbligo di trasmettere gli atti all'autorita' giudiziaria
competente a conoscere il diverso reato. Interpretazione questa che,
secondo il Tribunale di Livorno, non si porrebbe in contrasto con la
legge costituzionale n. 1/1989, in quanto la legge ordinaria si
limiterebbe a disciplinare una ipotesi non prevista dalla menzionata
legge costituzionale (quella appunto della ritenuta non
ministerialita' del reato) ed a fronte della quale non potrebbe
operare, per espressa volonta' legislativa, l'obbligo di trasmissione
alla Camera di cui si e' detto.
Con le richiamate statuizioni, l'autorita' giudiziaria, e per essa
il Tribunale dei ministri di Firenze nonche' il Tribunale penale di
Livorno (innanzi al quale e' tutt'ora pendente il giudizio di cui
trattasi), ha posto in essere una convergente applicazione della
legge n. 219/1989, che tuttavia - attese le serie censure di
incostituzionalita' che possono investire la legge di cui e' stata
fatta applicazione in parte qua, come in prosieguo si dimostrera' -
risulta conseguentemente lesiva delle attribuzioni costituzionali
della ricorrente Camera dei deputati, per i seguenti motivi di
D i r i t t o
Per la migliore intelligenza dei termini del presente ricorso per
conflitto di attribuzione, e' bene anticipare subito che la Camera
dei deputati prospetta in questa sede una lesione delle proprie
attribuzioni derivante dall'applicazione, cui hanno proceduto gli
atti in epigrafe, dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989.
Disposizione quest'ultima suscettibile, secondo la Camera ricorrente,
di dar luogo appunto ad applicazioni lesive delle proprie
prerogative, la' dove stabilisce che il Collegio «dispone
l'archiviazione ... se il fatto integra un reato diverso da quelli
indicati nell'art. 96 della Costituzione; in tale ultima ipotesi il
collegio dispone altresi' la trasmissione degli atti alla autorita'
giudiziaria competente a conoscere del diverso reato»; ma senza
prescrivere che anche in detta ipotesi si debba comunque richiedere
l'autorizzazione a procedere alla Camera competente.
Sulla ammissibilita' del ricorso
1. - Giova preliminarmente osservare che nella specie sussistono i
requisiti richiesti ai fini della ammissibilita' del presente ricorso
per conflitto di attribuzione.
In punto di legittimazione attiva, e' appena da precisare che
secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale la Camera dei
deputati, in quanto abilitata ad esprimere in via definitiva la
volonta' del potere che essa rappresenta, e' facoltizzata a sollevare
conflitto di attribuzione mediante il quale deduca la lesione delle
proprie prerogative costituzionali (cfr., tra le altre, le sentenze
nn. 225/2001; 263/2003; 284/2004; 451/2005) ed e' legittimata,
segnatamente, ad essere parte nell'ambito di giudizi riguardanti le
prerogative di cui all'art. 96, Cost. (cfr. l'ordinanza n. 217/1994 e
la sentenza n. 403/1994).
In ordine alla legittimazione passiva degli organi giurisdizionali
indicati in epigrafe, giova rammentare che la gia' richiamata
giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto «la legittimazione
degli organi giudiziari che hanno adottato i provvedimenti in
relazione ai quali e' promosso il conflitto di attribuzione a essere
parti del medesimo, poiche', come ripetutamente affermato da questa
Corte (da ultimo, ordinanze n. 84, n. 37 e n. 6 del 2002), i singoli
organi giurisdizionali sono legittimati, nell'esercizio della
funzione a essi assegnata dalla Costituzione ed esercitata in piena
indipendenza, a essere parti nei conflitti costituzionali in
questione» (cosi' l'ordinanza n. 126/2002).
E' da evidenziare che tale ratio decidendi, e' stata applicata
dalla Corte proprio con specifico riferimento al Collegio per i reati
ministeriali in quanto «abilitato ad esercitare, nella materia,
attribuzioni proprie ad esso conferite da norme di rango
costituzionale» (cfr. l'ord. n. 217/1994, cit.).
Quanto ai requisiti oggettivi del conflitto di attribuzione,
nessun dubbio puo' esservi sulla loro sussistenza. E' noto che il
conflitto risolvibile ai sensi degli articoli 134, Cost., e 37, legge
n. 87/1953, si configura quando - sia sotto forma di vindicatio
potestatis, sia sotto forma di conflitto da menomazione o da
interferenza - si controverta in ordine alla delimitazione della
sfera delle attribuzioni costituzionali di cui sono titolati i poteri
dello Stato.
Ora, che nella specie la controversia presenti siffatta natura
risulta di immediata evidenza, chiedendosi alla Corte di stabilire se
mediante i provvedimenti giurisdizionali di cui si tratta, pur
adottati in applicazione di una disposizione di legge incidente sulla
materia della guarentigia di cui all'art. 96, Cost., non risultino
menomate le attribuzioni della Camera, attesa la incostituzionalita'
dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219/1989, per violazione delle
disposizioni di rango costituzionale che attribuiscono alla Camera
competenze in materia: e cio' con particolare riguardo, come sara'
ulteriormente dimostrato nella parte sul merito del conflitto, alla
competenza rimessa alla Camera stessa di verificare la sussistenza
nel caso di specie - e quindi anche in caso di archiviazione per
ritenuta non ministerialita' del reato - dei presupposti prefigurati
dall'art. 96, Cost. (ossia che si tratti di «reati commessi
nell'esercizio delle loro funzioni» da parte dei Ministri) nonche' ad
adottare se del caso le ulteriori valutazioni di cui all'art. 9,
comma 3, legge cost. n. 1/ 1989 (ossia che «l'inquisito abbia agito
per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente
rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse
pubblico nell'esercizio della funzione di Governo»).
Quanto all'interesse specifico della Camera dei deputati a
proporre il presente ricorso per conflitto di attribuzioni, giova sin
d'ora osservare che la prosecuzione del giudizio penale nei termini
sopra descritti ha leso la prerogativa di cui la Camera dei deputati
era titolare all'epoca dell'omissivo comportamento dell'autorita'
giudiziaria.
Ne' potrebbe avere alcuna influenza il successivo mutamento della
Camera di appartenenza da parte del Ministro in questione, posto che
l'art. 96, Cost., radica a tal fine la competenza nell'Organo
parlamentare di appartenenza avendo riguardo al momento
dell'esercizio delle funzioni ministeriali da parte dell'inquisito;
sicche' non puo' qui operare la competenza del Senato della
Repubblica (art. 5, seconda parte, della legge cost. n. 1/1989) la
quale muove dal diverso presupposto che il ministro interessato non
abbia mai rivestito la carica di parlamentare. Merita aggiungersi che
il procedimento che ha portato alla determinazione della Camera di
elevare il presente conflitto ha preso l'avvio sin dalla precedente
legislatura, ossia quando l'ex ministro ricopriva la carica di
deputato ed al contempo esercitava le funzioni ministeriali (cfr.
resoconto della seduta della Giunta per le autorizzazioni in data 27
aprile 2005).
Tale impostazione e' peraltro coerente con la ratio che informa il
sistema delle prerogative di carattere «funzionale» - a cominciare
dalla guarentigia della insindacabilita' di cui all'art. 68, primo
comma, Cost. - rispetto alle quali i poteri connessi all'esercizio
della prerogativa spettano sempre alla Camera cui il soggetto
interessato appartenga al momento del fatto, essendo irrilevante la
posizione che quest'ultimo ricopre nel momento in cui e' chiamato in
giudizio (cfr. sent. Corte cost. nn. 252/1999 e 154/2004).
Su questa linea d'altronde si e' mossa la stessa Corte
costituzionale con la sentenza n. 403/1994, quando ha riconosciuto la
perdurante legittimazione soggettiva della Camera dei deputati in un
conflitto riguardante l'autorizzazione a procedere nonostante il
ministro indagato avesse perduta la posizione di parlamentare. Ne'
puo' essere omessa la sentenza n. 154 del 2004, dove si e'
riconosciuta la legittimazione al conflitto di un ex Presidente della
Repubblica, proprio assumendo, a parte le ulteriori particolarita'
della fattispecie, il carattere funzionale della prerogativa
dell'immunita' presidenziale, con la conseguente perduranza della
possibilita' di far valere la lesione prodottasi durante la pendenza
dell'esercizio delle funzioni presidenziali.
Diversamente opinando, del resto, la lesione prodottasi sarebbe
destinata a rimanere priva di tutela, essendo soltanto la Camera dei
deputati, in capo alla quale la lesione stessa si e' consumata, ad
essere legittimata a dolersene sotto il profilo qui considerato.
Resta poi ferma l'ammissibilita' del conflitto a fronte della
circostanza - evidenziata fin dalla parte introduttiva - che
nell'ambito del conflitto stesso viene proposta questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, ultima parte, della
legge n. 219/1989.
E' invero da rammentare al riguardo che il conflitto di
attribuzioni e' preordinato alla garanzia della integrita' «della
sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme
costituzionali» (art. 37, legge n. 87/1953), a prescindere dalla
«natura degli atti da cui possa derivare la lesione all'anzidetta
"sfera di attribuzioni"», specie considerando che «il giudizio per
conflitto di attribuzioni non e' giudizio sulla legittimita' di atti
(anche se, a seconda dell'esito del giudizio stesso, puo' conseguire
l'annullamento dell'atto lesivo) ma e' garanzia dell'ordine
costituzionale delle competenze» (cosi', la sentenza n. 457/1999).
Dal che discende che l'impugnazione di atti mediante conflitto di
attribuzione potrebbe anche riguardare in via diretta provvedimenti
legislativi, quando il Potere interessato non abbia la facolta' -
come nella specie certamente non l'avrebbe la Camera ricorrente - di
far valere l'illegittimita' costituzionale della legge sotto alcuna
delle modalita' previste dal nostro ordinamento in vista dell'accesso
al relativo giudizio davanti alla Corte costituzionale (cfr. ancora
la sentenza n. 457/1999; nonche' la sentenza n. 139/2001, dove,
tenendosi fermo l'assunto di cui sopra, una parziale inammissibilita'
del ricorso ha riguardato le sole censure di illegittimita' non
suscettibili di ridondare «di per se' in lesione delle attribuzioni»
del potere ricorrente).
Nel medesimo senso depone inoltre la circostanza - deducibile
dalla giurisprudenza della Corte - che alla Camera sarebbe precluso
anche l'intervento nell'eventuale giudizio incidentale in quanto
estranea al giudizio a quo, pur quando si verta su norme che ne
definiscano attribuzioni «ancorche' ricollegabili, in tesi, a
previsioni di rango costituzionale; attribuzioni alla cui tutela e'
invero predisposto il distinto strumento del conflitto» (sentenza
n. 163/2005).
Fermo quanto appena osservato, e' da dire che tanto piu' certa
risulta l'ammissibilita' del conflitto laddove esso, come nella
specie, venga elevato a fronte di specifici provvedimenti giudiziari
rispetto ai quali sia logicamente pregiudiziale la risoluzione della
questione di costituzionalita' della legge che ne costituisce la base
legale, beninteso sotto il profilo strettamente inerente alla dedotta
lesione delle competenze costituzionali della ricorrente. Che sia
cosi' e' comprovato dal fatto che la Corte costituzionale, quando e'
stata chiamata a risolvere conflitti in relazione ad atti emanati in
applicazione di norme sospettate di incostituzionalita', non ha mai
esitato, accertatane la rilevanza, a sollevare - anche d'ufficio - la
relativa questione di legittimita' costituzionale innanzi a se'
medesima, sospendendo il giudizio per conflitto in attesa della
risoluzione di detta questione pregiudiziale (cfr. ordinanza
n. 44/1978, sentenza n. 68/1978, sentenza n. 69/1978; e cio' anche
nei conflitti tra enti, cfr. ordinanza n. 42/2001 e sentenza
n. 288/2001).
Sul merito
2. - Venendo adesso al merito, si e' gia' avuto modo di rammentare
che il Tribunale dei ministri di Firenze - archiviando il
procedimento innanzi a se' - ha dichiarato la propria incompetenza
funzionale a «delibare il fumus della fondatezza della accusa» in
quanto, a suo avviso, i reati contestati all'ex ministro non
avrebbero «alcun rapporto - se non di mera occasionalita' - con la
sua carica istituzionale» (provvedimento 31 marzo - 4 aprile 2005,
pag. 6). Di conseguenza, facendo applicazione dell'art. 2, comma 1,
ultima parte della legge n. 219/1989, il predetto Tribunale ha
trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica presso il tribunale
ritenuto competente per territorio (inizialmente individuato nel
Tribunale di Pisa). Di talche' la predetta autorita' giudiziaria ha
ritenuto di non dover previamente richiedere l'autorizzazione a
procedere da parte della Camera dei deputati ai sensi dell'art. 96,
Cost., e art. 8 legge cost., n.1/1989.
Convergente valutazione e' stata espressa dal Tribunale di Livorno
(dichiaratosi effettivamente competente per territorio a seguito di
ricevimento del fascicolo da parte della Procura di Pisa), il quale
ha peraltro esplicitamente affermato come nella specie non fosse
necessaria l'autorizzazione camerale «per procedere con riferimento
al reato non ministeriale» (ord. cit., in data 4 dicembre 2006, pag.
2).
Come si vede, il modus procedendi dell'autorita' giudiziaria e'
basato sul presupposto che ai sensi della normativa vigente non
sussiste a carico della medesima autorita' giudiziaria l'obbligo di
trasmettere gli atti alla Camera onde consentirle di esercitare le
proprie competenze al riguardo. Per cui, ai fini della soluzione del
presente conflitto, risulta pregiudiziale che venga accertata la
incostituzionalita' della legge n. 219/1989, e segnatamente dell'art.
2, comma 1, ultima parte, in quanto idonea a determinare la lesione
delle prerogative che sono costituzionalmente assegnate alla Camera
ricorrente mediante gli atti che, come nella specie, vi diano
applicazione.
A) E' da ricordare che l'art. 96, Cost., nel testo novellato
dall'art. 1 della legge cost. n. 1/1989, stabilisce che i ministri,
anche se cessati dalla carica, «sono sottoposti, per i reati commessi
nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria,
previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei
deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale».
Tali norme di attuazione - che l'art. 96 vuole siano di rango
costituzionale - sono state introdotte dai successivi articoli della
stessa legge cost. n. 1/1989, cit., che hanno disciplinato le
modalita' di esercizio della menzionata guarentigia. In particolare,
l'art. 9, comma 3, della legge citata, stabilisce che la Camera
competente, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, puo' «negare
l'autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione
insindacabile, che l'inquisito abbia agito per la tutela di un
interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il
perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio
della funzione di Governo».
Come si sa, la competenza dell'Organo parlamentare a conoscere dei
reati ministeriali al fine di individuare - escludendone
l'antigiuridicita' - quelli che siano preordinati alla tutela di
interessi di rilievo costituzionale o di preminenti interessi
pubblici, rappresenta il definitivo superamento dell'ormai obsoleto
ruolo accusatorio originariamente appartenuto al Parlamento. Ruolo
accusatorio, risalente nella nostra esperienza costituzionale
all'ordinamento statutario (che riconosceva la prerogativa di
accusare i ministri del Re quale «diritto» della Camera dei deputati;
cfr. l'art. 47, Statuto), fatto proprio dalla precedente formulazione
dell'art. 96, Cost., a mente della quale i ministri potevano essere
posti «in stato d'accusa dal Parlamento in seduta comune, per i reati
commessi nell'esercizio delle loro funzioni».
Invero, anche il mutamento dei rapporti fra i poteri dello Stato -
e segnatamente dei rapporti fra Parlamento e Governo - ha spinto il
legislatore costituzionale ad innovare l'istituto in questione
convertendolo da anomalo strumento preordinato a far valere la
responsabilita' del Governo innanzi alle Camere rappresentative, in
istituto posto a garanzia del corretto funzionamento del sistema
democratico-parlamentare e della integrita' delle funzioni
dell'organo esecutivo e dei suoi componenti (art. 94 ss., Cost.).
In ragione del profondo mutamento dell'istituto sopra descritto,
l'art. 8 della menzionata legge cost. n. 1/1989, al fine di rendere
concretamente operante detta prerogativa, prevede che - prima
dell'esercizio dell'azione penale - le ipotesi di reato di cui
all'art. 96, Cost., vengano sottoposte ad un duplice vaglio: una
prima valutazione, in ordine alla meritevolezza circa la prosecuzione
del procedimento, e' assegnata ad un Collegio specializzato in
materia di reati ministeriali (il cosiddetto Tribunale dei ministri);
una seconda valutazione, riguardante l'esistenza dei presupposti per
l'attivazione della relativa guarentigia, spetta invece alla Camera
competente.
La legge costituzionale stabilisce infatti che il procuratore
della Repubblica trasmetta tutte le denunzie concernenti i reati di
cui all'art. 96, Cost., al Collegio per i reati ministeriali il quale
«se non ritiene che si debba disporre l'archiviazione, trasmette gli
atti con relazione motivata al Procuratore della Repubblica per la
loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente ai
sensi dell'art. 5» (art. 8, comma 1). Mentre, «in caso diverso, il
collegio, sentito il pubblico ministero, dispone l'archiviazione con
decreto non impugnabile» (art. 8, comma 2).
La ratio della ineludibile alternativa di fronte alla quale la
legge costituzionale pone il Collegio per i reati ministeriali appare
chiara. A meno che il processo penale non sia destinato ad arrestarsi
in via definitiva a seguito della palese infondatezza della notizia
di reato (ovvero delle ulteriori ipotesi che ne determinano
l'immediata conclusione), la Camera interessata deve essere messa
nelle condizioni di avere adeguata cognizione delle imputazioni a
carico dei membri del Governo, al fine di esprimere le valutazioni di
propria spettanza: pronunziarsi anzitutto in ordine alla
ministerialita' dell'ipotesi di reato ed in via logicamente
successiva in ordine alle motivazioni e alle finalita' cui sia
eventualmente preordinato l'ipotetico illecito ministeriale.
Basti dire, a conferma di quanto postulato in ordine alla
indispensabilita' di siffatto passaggio parlamentare in cui si
esprime l'esigenza di cognizione da parte della Camera di
appartenenza della vicenda penale riguardante un ministro, che il
medesimo articolo in esame dispone che l'obbligo di informativa nei
confronti dell'organo parlamentare grava sull'autorita' giudiziaria
anche nell'ipotesi della definitiva archiviazione non accompagnata da
alcuna ulteriore disposizione relativa alla translatio judicii (art.
8, comma 4, legge cost. n. 1/1989).
B) Quanto svolto trova ulteriore riprova nel fatto che la legge
costituzionale n. 1/1989 tipizza una rigorosa cadenza procedimentale,
la quale scaturisce dalla formulazione dell'imputazione da parte del
Procuratore della Repubblica ed e' destinata a concludersi - ove la
competente autorita' giudiziaria ritenga il giudizio meritevole di
prosecuzione - con la concessione o la negazione dell'autorizzazione
a procedere da parte della Camera competente.
A tale scopo, la richiamata legge costituzionale ha cura di
fissare anche i termini che ogni singola fase del procedimento deve
rispettare: e' difatti previsto che, ove riceva la notizia di reato
rispetto alla quale ravvisi un fumus di ministerialita', il
Procuratore della Repubblica - omessa ogni indagine - debba
trasmettere, entro quindici giorni, gli atti al Tribunale dei
ministri, informando gli interessati (art. 6, comma 2, legge cost.,
n. 1/1989); ricevuti gli atti, il Collegio del tribunale ha a
disposizione novanta giorni per pronunziarsi sull'archiviazione che
e' disposta con decreto non impugnabile, sentito il pubblico
ministero (art. 8, commi 1 e 2); il procuratore della Repubblica puo'
richiedere lo svolgimento di ulteriori indagini, da compiersi entro
il termine di ulteriori sessanta giorni (art. 8, comma 3).
E' ancora previsto che, entro il medesimo termine (novanta o
centocinquanta giorni), il Collegio - ove disponga la prosecuzione
del giudizio - debba trasmettere nuovamente gli atti al Procuratore
per la loro «immediata remissione» alla Camera competente (art. 8,
comma 1), il cui Presidente invia «immediatamente» gli atti ricevuti
alla Giunta per le autorizzazioni a procedere (art. 9, comma 1), di
modo che quest'ultima possa predisporre una relazione scritta per
relazionare l'Assemblea (art. 9, comma 2). L'Assemblea, in ogni caso,
deve riunirsi entro sessanta giorni dalla ricezione degli atti da
parte del Presidente per concedere o negare l'autorizzazione (art. 9,
comma 3), salva l'ipotesi di propria incompetenza (art. 18-ter, reg.
Camera, e art. 135-bis, reg. Senato). E' infine stabilito che
l'Assemblea, in caso di prosecuzione del giudizio, rimetta gli atti
al Collegio perche' il procedimento continui secondo le norme vigenti
(art. 9, comma 4).
C) Come si vede, l'iniziale valutazione del procuratore, cui
spetta pronunziarsi in merito alla connessione del fatto reato con la
funzione ministeriale (cfr. Cass. pen., sez. VI, n. 8854 del 20
maggio 1998), condiziona la successiva fase d'indagine che viene
conseguentemente ad essere irreggimentata nell'ambito del quel
peculiare procedimento prefigurato dalla legge cost. n. 1/1989;
procedimento, che - una volta fissato il capo di imputazione sulla
cui base viene individuata la competenza del Tribunale dei ministri
(cfr., Cass. pen., sez. I, n. 5581 del 1° novembre 1995, ove si
afferma, sottolineando in tal modo la portata vincolante della
imputazione, che detta competenza non puo' estendersi ad ulteriori
ipotesi non previste nell'imputazione stessa) - non puo' piu'
transitare al giudice penale ordinario senza il previo passaggio per
la via parlamentare.
Ne' puo' accadere diversamente la' dove il Tribunale dei ministri
intenda tornare, qualora cio' si renda possibile, sulla iniziale
qualificazione del fatto ad opera della stessa autorita' giudiziaria,
ipotizzando la sussistenza di reati cosi' detti «comuni», ossia di
competenza della magistratura ordinaria.
Come si e' visto, infatti, la richiesta di autorizzazione a
procedere - non implicando peraltro una valutazione nel merito delle
accuse (Cass. pen., sez. VI, n. 706 del 19 febbraio 1997) - si
configura esclusivamente come alternativa procedurale alla decisione
di archiviazione, e deve quindi essere disposta in ragione dell'unica
circostanza che il Tribunale dei ministri ritenga il procedimento
meritevole di prosecuzione, e senza che possa rilevare di fronte a
quale autorita' giudiziaria debba svolgersi la fase successiva del
giudizio.
Tanto piu' che, a seguito della decisione n. 134/2002 di codesta
Corte, successivamente all'autorizzazione camerale, non e' dato
distinguere fra ipotesi di competenza del Tribunale dei ministri e
ipotesi di competenza del giudice ordinario, essendo soltanto
quest'ultimo ad essere sempre e comunque investito, «secondo le norme
vigenti», del prosieguo del giudizio nella fase successiva alle
indagini (art. 9, comma 4, legge cost., n. 1/1989; cfr., in senso
conforme, l'art. 3, comma 1, della legge n. 219/1989).
In conclusione, anche ad ammettere la possibilita' della
riqualificazione dell'ipotesi di reato da parte del Tribunale per i
ministri, l'Organo parlamentare mantiene intatta la prerogativa di
essere destinatario della richiesta di autorizzazione per il solo
fatto che il procedimento e' destinato a proseguire oltre la fase
dell'indagine sommaria, e cio' al fine di concorrere alla verifica
circa la sussistenza dei presupposti del reato ministeriale, se del
caso anche declinando la propria competenza si' da imprimere
carattere definitivo all'ipotesi avanzata dal Tribunale medesimo.
3. - Fatte queste considerazioni in ordine alla esatta fisionomia
delle attribuzioni che la normazione di rango costituzionale
deferisce alla Camera dei deputati e alla disciplina di carattere
procedimentale che e' volta a consentirne l'esercizio, e' ora da
esaminare l'art. 2, comma 1, della legge ordinaria n. 219/1989.
Ebbene, la menzionata disposizione si limita, nella sua prima
parte, ad esplicitare quelle ipotesi di archiviazione da ritenersi
gia' implicitamente racchiuse nella lettera dell'art. 8, legge cost.
n. 1/1989. Si tratta delle fattispecie cosi' elencate: «se la notizia
di reato e' infondata, ovvero manca una condizione di procedibilita'
diversa dall'autorizzazione di cui all'art. 96 della Costituzione, se
il reato e' estinto, se il fatto non e' previsto dalla legge come
reato, se l'indiziato non lo ha commesso». Dal canto suo, la seconda
ed ultima parte della stessa disposizione - che assume rilievo nel
caso di specie - stabilisce che il Collegio dispone l'archiviazione
«........se il fatto integra un reato diverso da quelli indicati
nell'art. 96 della Costituzione; in tale ultima ipotesi il collegio
dispone altresi' la trasmissione degli atti alla autorita'
giudiziaria competente a conoscere del diverso reato».
A) E' da dire che non si puo' escludere che codesta Corte, facendo
uso dei poteri interpretativi che le appartengono, possa arrivare
alla seguente conclusione: che anche la parte dispositiva appena
riportata - dove e' appunto contenuto il riferimento a quel «reato
diverso» rispetto al quale il Collegio deve «altresi» disporre la
trasmissione degli atti all'Autorita' giudiziaria ordinaria - letta
nel quadro normativo costituzionale in cui si inscrive, si presti
appunto ad una interpretazione che la renda immune da conseguenze
lesive delle attribuzioni camerali.
Si potrebbe difatti ritenere che tale disposizione non possa che
avere riguardo all'ipotesi di archiviazione «successiva», ossia al
caso in cui, a fronte della trasmissione degli atti ai sensi della
legge n. 1/1989, l'organo parlamentare abbia declinato la propria
competenza in ragione dell'insussistenza del requisito della
ministerialita' del reato, con conseguente restituzione degli atti al
Collegio. Sarebbe solo a questo punto che il Collegio medesimo - non
sussistendo nella evenienza profilata impedimento alla prosecuzione
del giudizio secondo le norme ordinarie - e' facoltizzato a dar luogo
alla archiviazione ed alla translatio judicii di cui all'art. 2,
comma 1, legge n. 219/1989.
Cosi' considerata, la legge in questione si limita piuttosto a
disciplinare il seguito della procedura, prospettando opportunamente
gli adempimenti successivi all'intervento camerale che abbia avuto
l'esito anzidetto. E cio' in simmetria peraltro con l'ulteriore
ipotesi di archiviazione «successiva» disposta dall'art. 4, comma 2,
della stessa legge, che e' prevista nel caso di diniego della
autorizzazione a procedere da parte del competente ramo parlamentare.
Ne' dovrebbe trascurarsi in questa prospettiva il richiamo fatto
dalla legge ordinaria agli articoli della legge costituzionale ai
quali essa e' correlata. Ci si riferisce alla parte iniziale della
disposizione in commento dove si trova esplicito e puntuale
riferimento alla «archiviazione di cui al comma 2 del predetto art. 8
[ndr., della legge costituzionale n. 1/1989]». Il che porterebbe di
per se' ad escludere che la disposizione abbia preteso distaccarsi da
quanto disposto dalla legge costituzionale oggetto di richiamo e men
che meno modificarla in ordine all'alternativa ivi fissata tra
archiviazione e richiesta di autorizzazione a procedere.
B) In caso di differente interpretazione, vale a dire qualora si
ritenga che la legge legittimi una archiviazione «preventiva» (ossia
antecedente alla fase parlamentare) per non ministerialita' del reato
e che cio' valga ad escludere la trasmissione degli atti al
competente ramo del Parlamento, non puo' sfuggire che la legge
ordinaria verrebbe a scompaginare radicalmente il combinato disposto
dell'art. 96, Cost., e dell'art. 8 della legge cost. n. 1/1989.
Non vi e' che da ribadire che quest'ultima disposizione delinea
un'alternativa netta e non eludibile fra archiviazione che mette fine
alla procedura (per cui non si fa luogo alla trasmissione degli atti
alla Camera) e prosecuzione del giudizio penale (in relazione al
quale la detta trasmissione e' sempre necessaria).
Lo stesso dato letterale si dimostra sotto questo aspetto
risolutivo, atteso che il legislatore costituzionale ha usato
un'espressione («in caso diverso») che sta chiaramente a contrapporre
l'ipotesi della prosecuzione del procedimento penale (che richiede
immancabilmente il previo intervento parlamentare) e quella ipotesi -
la cui «diversita» proprio in cio' risiede - in cui il procedimento
debba trovare la sua conclusione mediante l'archiviazione (e nel qual
caso non e' ovviamente da attivare la procedura intesa ad ottenere
l'autorizzazione parlamentare).
D'altro canto, lo schema adottato dal legislatore costituzionale
e' perfettamente coincidente con la ordinaria funzione che l'istituto
della archiviazione assolve nel sistema processual-penalistico, che
e' appunto quella di precludere l'ulteriore corso del procedimento.
Ne' vi e' nella legge costituzionale il benche' minimo appiglio
letterale che possa far ritenere che si sia voluto introdurre una
ulteriore ed anomala variante dell'istituto dell'archiviazione, per
cui nonostante l'intervento della archiviazione stessa il
procedimento possa egualmente proseguire a prescindere
dall'intervento parlamentare.
Ma vi sono due ulteriori notazioni da avanzare a conferma di
quanto svolto. La prima e' che come a rendere vieppiu' forte il
carattere conclusivo della archiviazione da parte del Collegio dei
ministri, la legge costituzionale in esame precisa che
l'archiviazione stessa viene disposta «con decreto non impugnabile»
(cosi' recita ancora l'art. 8, comma 2). La seconda e' che, ai sensi
dell'art. 8, comma 4, in detta ipotesi si prevede che «il Procuratore
della Repubblica da' comunicazione dell'avvenuta archiviazione al
Presidente della Camera competente»: il che sta a denotare la
volonta' del legislatore costituzionale di rendere edotto il
competente ramo del Parlamento che il mancato inoltro della richiesta
di autorizzazione a procedere e' dovuto esclusivamente al fatto che
il procedimento penale a carico del ministro non e' destinato a
proseguire, attesa appunto la decisione assunta dal Collegio in
ordine alla sua archiviazione.
Come si vede, non si puo' ritenere che la legge ordinaria
n. 219/1989, e segnatamente la indicata disposizione di cui all'art.
2, si sia limitata ad introdurre in materia un meccanismo non
previsto dalla legge costituzionale, ma comunque compatibile con
questa e semmai volto a coprire una lacuna pretesamente lasciata
aperta dalla medesima legge costituzionale. Di lacuna infatti non e'
plausibile parlare davanti ad una disposizione di grado
costituzionale che a chiare lettere testimonia l'esatto contrario,
ossia che alle diverse evenienze che possono darsi nei procedimenti
per reati ministeriali si ricollegano precise conseguenze in rapporto
alle competenze parlamentari (quella della indispensabilita' della
autorizzazione parlamentare in tutti i casi di prosecuzione del
procedimento, quella della comunicazione in caso di conclusione del
procedimento stesso).
E comunque sia, la disciplina della pretesa lacuna recata dalla
legge ordinaria - per ipotesi introduttiva della possibilita' di
trasmettere gli atti all'autorita' giudiziaria ordinaria in caso di
archiviazione per non ministerialita' del reato e senza alcun obbligo
di domandare in via preventiva l'autorizzazione della Camera
competente - risulta incompatibile con il sistema delineato dalle
norme costituzionali gia' esaminate: non si puo' che ribadire che da
esse si trae la indispensabile presenza della Camera stessa ogni
qualvolta il procedimento a carico del ministro debba proseguire,
quale che sia la qualificazione che l'autorita' giudiziaria all'esito
delle indagini attribuisca al relativo reato (ministeriale o non
ministeriale).
In altre parole, non si sostiene qui l'esistenza di una
attribuzione che consista nel potere della Camera di apprezzare in
via esclusiva il carattere ministeriale del reato, sibbene quella di
poter esprimere, secondo le apposite cadenze procedurali, una
autonoma valutazione al riguardo e se del caso in ordine alla
ricorrenza delle esimenti indicate dalla norma costituzionale.
D'altro canto - e questo e' un ulteriore, ma convergente profilo
di illegittimita' costituzionale della disciplina in oggetto - il
meccanismo censurato mette per di piu' a repentaglio lo stesso nucleo
delle competenze di cui in materia e' titolare la Camera competente.
Risulta infatti chiaro che, essendo quelli della Camera e quelli del
Collegio poteri concorrenti, suscettibili di reciproco
condizionamento, non si puo' ammettere che la legge consenta
all'Autorita' giudiziaria di paralizzare, a propria discrezione, le
prerogative costituzionali attribuite alla Camera dei deputati in
materia di reati ministeriali: cio' significa infatti che sarebbe
sufficiente l'archiviazione per non ministerialita' del reato per
«aggirare la prerogativa autorizzatoria prevista dall'art. 96 della
Costituzione» (cfr. il parere della Giunta per le autorizzazioni in
data 3 maggio 2007).
Sotto questo aspetto, la disposizione censurata contrasta per un
verso con elementari esigenze di certezza delle attribuzioni
costituzionali e che operano con particolare intensita' nel campo
delle prerogative parlamentari; per altro verso, viene a ledere il
principio costituzionale di leale cooperazione fra Poteri dello
Stato, in relazione all'esercizio delle competenze di cui si parla ed
alle disposizioni costituzionali che le contemplano, posto che detto
principio e' senz'altro suscettibile di trovare applicazione anche
nell'ambito dei rapporti tra il Collegio per i reati ministeriali e
l'Organo parlamentare (come affermato da codesta Corte nella sentenza
n. 403 del 1994, il potere attribuito a detto Collegio «si atteggia
anche come obbligo di leale collaborazione» con il concorrente potere
riconosciuto, in tale materia, alla Camera interessata).
Se e' vero infatti che la materia e' tale da respingere ogni
soluzione che diverga dal principio di leale collaborazione, nonche'
dal canone che vi si ricollega del ragionevole equilibrio
nell'esercizio delle competenze rispettivamente attribuite ai Poteri
dello Stato, ne viene la conferma del vizio prospettato, dal momento
che il potere autorizzatorio delle Camere, stante la disciplina di
legge di cui si controverte, viene messo irragionevolmente nel nulla
a seguito di una unilaterale valutazione operata dall'Autorita'
giudiziaria relativamente al carattere non ministeriale del reato di
cui si tratti.
C) Infine, e' da osservare che l'incostituzionalita' della
disposizione e del meccanismo potenzialmente elusivo ivi previsto, e'
da ravvisare nella circostanza non disconoscibile che la legge
ordinaria ha comunque determinato una sensibile modificazione, in
senso peggiorativo, della disciplina di rango costituzionale volta a
definire i rapporti tra procedimento penale a carico dei ministri
(con riguardo ai relativi poteri attribuiti all'autorita'
giudiziaria) ed i poteri autorizzatori delle Camere.
In particolare, si viene ad incidere, alterandolo profondamente,
sul bilanciamento che rappresenta il fulcro dell'art. 96 Cost.: qui
difatti si fissa la regola della sottoposizione dei reati
ministeriali alla «giurisdizione ordinaria», ma richiedendosi al
contempo la «previa autorizzazione del Senato della Repubblica o
della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge
costituzionale».
Ora, e' largamente noto che la materia delle guarentigie
costituzionali puo' trovare la sua regolamentazione fondamentale
esclusivamente in fonti di livello costituzionale. Perche' se non e'
consentito alla legge ordinaria ampliare l'area delle prerogative in
questione cosi' come disegnata dalla fonte di grado superiore, deve
ritenersi che nemmeno le e' dato di integrare o restringere
l'anzidetta area (cfr. le sentenze nn. 24/2004 e 120/2004). Sicche',
giammai una disposizione di rango ordinario potrebbe impingere nel
nucleo essenziale dell'istituto, specie considerando il ruolo che
l'art. 96, Cost., e' chiamato ad assolvere nell'assetto basilare dei
rapporti tra organi di vertice dello Stato, come a suo tempo si e'
chiarito: mentre e' fuor di dubbio che la rimozione del passaggio per
via parlamentare, in caso di ritenuta sussistenza di una ipotesi di
reato comune, comporti una marcata modificazione del ruolo che alle
Camere e' assegnato nel corso del procedimento, in virtu' della legge
n.1/1989, tale da espropriarle della competenza ad adottare le
valutazioni e le decisioni di loro pertinenza anche a fronte di una
qualificazione giudiziaria del reato come non ministeriale.
Va da se' che, ove la Corte costituzionale adotti
l'interpretazione conforme a costituzione che si e' sopra
prospettata, ne discende l'automatico e conseguente accertamento
dell'avvenuta lesione nella specie delle prerogative riconosciute
alla Camera ricorrente dalle disposizioni di livello costituzionale
nei termini enunciati.
In caso contrario, si insiste nel ritenere che la Corte stessa non
possa esimersi dal sollevare innanzi a se' medesima la questione di
legittimita' costituzionale della menzionata disposizione legislativa
- perche' non prevede che debba richiedersi l'autorizzazione a
procedere della Camera competente anche nella ipotesi in cui il
Collegio dei ministri decida per l'archiviazione in ragione della
ritenuta non ministerialita' del reato, ma il procedimento prosegua
davanti all'autorita' giudiziaria ordinaria - in relazione agli artt.
96, Cost.; 8 e 9, legge cost., n. 1/1989, nonche' per violazione
delle medesime disposizioni in rapporto al principio di leale
cooperazione ed al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3
Cost.: cio' stante la serieta' dei dubbi di costituzionalita' che
sono stati avanzati nei confronti della disposizione in oggetto sotto
l'aspetto della sua idoneita' ad impedire illegittimamente, tramite
gli atti che ne facciano applicazione, che la Camera eserciti le
attribuzioni che le sono rimesse dalle disposizioni costituzionali,
come tali probanti della sussistenza del requisito della non
manifesta infondatezza della questione.
Quanto alla rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale, si e' gia' piu' volte osservato che i provvedimenti
giudiziari oggetto del presente conflitto hanno dichiaratamente
proceduto all'applicazione dell'art. 2, comma 1, ultima parte, legge
n. 219/1989. Ne deriva che ove tale disposizione, sotto il profilo
qui considerato, venisse dichiarata incostituzionale, la lesione in
tal modo prodottasi nei confronti delle prerogative camerali
resterebbe priva di fondamento legale, con conseguente ripristino
delle attribuzioni dell'odierno potere ricorrente in materia di reati
ministeriali.
P. Q. M.
Si chiede che la Corte costituzionale - previa sollevazione della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, della
legge n. 219/1989 in parte qua, ai fini della declaratoria di
incostituzionalita' della predetta disposizione di legge - voglia
statuire che nella specie non spetta al Tribunale dei ministri di
Firenze trasferire al giudice penale ordinario, competente per
territorio, il procedimento instaurato ai sensi dell'art. 96, Cost.,
senza aver prima richiesto l'autorizzazione camerale e, comunque,
senza avere previamente trasmesso alla Camera dei deputati gli atti
del procedimento medesimo in modo da consentirle di valutare la
sussistenza dei presupposti per l'attivazione della guarentigia di
cui trattasi; cosi' come non spetta al Tribunale di Livorno, Sezione
distaccata di Cecina, proseguire il giudizio non ritenendo necessario
che nella specie si richieda l'autorizzazione a procedere e che la
Camera dei deputati comunque interloquisca nel procedimento. Con
conseguente annullamento degli atti indicati in epigrafe.
Roma, addi' 28 giugno 2007
Il Presidente Fausto Bertinotti - Prof. avv. Roberto Nania
Avvertenza
L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa con
ordinanza n. 8/2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª s.s.,
n. 4 del 23 gennaio 2008.
Nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito del provvedimento in data 31 marzo - 4aprile 2005 del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze, con cui - stabilita, nell'ambito del procedimento penale a carico dell'allora ministro Altero Matteoli, il quale all'epoca ricopriva la carica di membro della Camera dei deputati, la propria incompetenza funzionale a giudicare di reati ritenuti non ministeriali - veniva disposta, in forza dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall'articolo 90 della Costituzione), la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente senza l'autorizzazione della Camera dei deputati e del provvedimento in data 4 dicembre 2006, con il quale il Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, ribadiva l'insussistenza nel caso di specie dell'obbligo di avanzare richiesta alla Camera competente dell'autorizzazione a procedere di cui sopra, promosso con ricorso della Camera dei deputati depositato in cancelleria il 2 luglio 2007 ed iscritto al n. 9 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 2 luglio 2007, la Camera dei deputati ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze, in relazione al provvedimento del 31 marzo 2005 con cui è stata disposta la «diretta trasmissione» alla Procura della Repubblica presso il tribunale competente degli atti concernenti il procedimento pendente a carico dell'allora ministro Altero Matteoli, il quale all'epoca ricopriva la carica di membro della Camera dei deputati, «senza che venisse preventivamente richiesta» alla Camera medesima l'autorizzazione di cui all'art. 96 della Costituzione, nonché all'art. 8, comma 1, della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione);
che, con il medesimo ricorso, la Camera ha sollevato, altresì, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, in relazione al provvedimento in data 4 dicembre 2006, con cui sarebbe stata ribadita, nell'ambito del medesimo procedimento penale, «la non operatività nel caso di specie dell'obbligo di avanzare la richiesta alla Camera competente dell'autorizzazione a procedere»;
che, premette la ricorrente, nel corso di indagini vertenti su altri soggetti, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova ha ravvisato un'ipotesi di reato a carico del deputato Matteoli, all'epoca Ministro dell'ambiente, e ha trasmesso la relativa notitia criminis alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, competente per territorio;
che, prosegue la Camera dei deputati, la Procura della Repubblica di Firenze, a propria volta, ha inoltrato gli atti al Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Firenze istituito ai sensi dell'art. 7 della legge costituzionale n. 1 del 1989 (così detto Tribunale dei ministri);
che, all'esito delle indagini, il Tribunale dei ministri di Firenze, ritenendo che i fatti per cui si procedeva non fossero stati commessi nell'esercizio delle funzioni ministeriali, con provvedimento del 31 marzo 2005, ha dichiarato la propria incompetenza funzionale e ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pisa, perché proseguisse il giudizio secondo il rito ordinario, ai sensi dell'art. 2 della legge 5 giugno 1989, n. 219 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall'articolo 90 della Costituzione);
che la Procura della Repubblica di Pisa, a sua volta, ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Livorno, ritenuta competente per territorio, la quale ha disposto la citazione a giudizio del deputato Matteoli per un reato comune;
che nel corso di tale giudizio, il Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, con ordinanza del 4 dicembre 2006, ha affermato di condividere la valutazione operata dal Tribunale dei ministri di Firenze circa la natura non ministeriale del reato contestato all'imputato, negando la sussistenza dell'obbligo, da parte di quel Collegio, di investire del procedimento il competente ramo del Parlamento, anche nell'ipotesi in cui il reato contestato sia stato ritenuto privo del carattere ministeriale;
che, ad avviso della Camera dei deputati, detti provvedimenti del Tribunale dei ministri di Firenze e del Tribunale di Livorno sarebbero lesivi delle proprie attribuzioni costituzionali;
che tale lesione deriverebbe dall'applicazione dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989, il quale stabilisce - a parere della ricorrente in modo costituzionalmente illegittimo - che se il fatto per cui si procede integra un reato diverso da quelli di cui all'art. 96 Cost., il tribunale dei ministri dispone la trasmissione degli atti all'autorità giudiziaria, «senza prescrivere che anche in detta ipotesi si debba comunque richiedere l'autorizzazione a procedere alla Camera competente»;
che, secondo la ricorrente, non sarebbe discutibile né la propria legittimazione a sollevare il conflitto, né quella delle Autorità giudiziarie a resistervi;
che ricorrerebbe parimenti il requisito oggettivo del conflitto, «attesa l'incostituzionalità dell'art. 2, comma 1, della legge n. 219 del 1989 per violazione delle disposizioni di rango costituzionale che attribuiscono alla Camera competenze in materia», anche nell'ipotesi in cui il tribunale dei ministri escluda che il reato sia stato commesso nell'esercizio delle funzioni ministeriali;
che la Camera dei deputati avrebbe interesse a proporre il ricorso, dal momento che la prosecuzione del procedimento penale avrebbe leso la prerogativa di cui essa era titolare al momento «dell'omissivo comportamento dell'Autorità giudiziaria»;
che irrilevante, ai fini della permanenza di tale interesse, sarebbe il successivo mutamento della Camera di appartenenza del ministro Matteoli - eletto, nelle more del giudizio penale, al Senato della Repubblica -, dal momento che l'art. 96 Cost. radicherebbe la competenza in capo all'organo che ne disponeva al momento dell'esercizio delle funzioni ministeriali da parte dell'imputato;
che, in ogni caso, il procedimento in esame avrebbe preso avvio nel corso della precedente legislatura, quando l'ex ministro Matteoli ricopriva anche la carica di deputato;
che, pertanto, essendo la Camera dei deputati il soggetto in capo al quale la lesione si è consumata, essa sarebbe l'unica legittimata a dolersene;
che, secondo la ricorrente, competerebbe a questa Corte decidere il conflitto, dopo avere sollevato innanzi a sé in via incidentale la pregiudiziale questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge n. 219 del 1989, di cui i provvedimenti impugnati sarebbero fedele applicazione;
che, infatti, l'art. 96 della Costituzione e la legge costituzionale n. 1 del 1989 imporrebbero di investire della richiesta di autorizzazione a procedere la Camera competente, quand'anche si reputi comune il reato per il quale si procede, allo scopo di consentirle l'apprezzamento di tale qualità dell'ipotesi criminosa, e di esperire l'eventuale ricorso alla Corte costituzionale tramite conflitto di attribuzione, per difendere, in caso di conclusione contraria, le proprie prerogative;
che la Corte costituzionale potrebbe esimersi dal sollevare tale questione di legittimità costituzionale, solo ove intendesse dare all'art. 2 della legge n. 219 del 1989 un'interpretazione conforme a Costituzione, ritenendo che esso disciplini la procedura successiva all'intervento della Camera nel caso in cui questa abbia declinato la propria competenza per mancanza del requisito della ministerialità del reato;
che, nel caso in cui, invece, la disposizione fosse interpretata nel senso di legittimare una archiviazione, stante il carattere comune del reato, antecedente alla fase parlamentare, essa contrasterebbe con il combinato disposto degli artt. 96 Cost. e 8 della legge cost. n. 1 del 1989, il quale delineerebbe una netta alternativa tra archiviazione che conclude la procedura e per la quale non vi è trasmissione degli atti alla Camera, e prosecuzione del giudizio penale, in relazione alla quale la trasmissione sarebbe sempre necessaria;
che ciò sarebbe confermato dal fatto per cui, ai sensi dell'art. 8, comma 4, della 1egge cost. n. 1 del 1989, in caso di archiviazione il Procuratore della Repubblica dà comunicazione al Presidente del competente ramo del Parlamento dell'avvenuta archiviazione: tale previsione denoterebbe la volontà del legislatore di rendere edotta la Camera competente che la mancanza della richiesta di autorizzazione a procedere è dovuta esclusivamente al fatto che il procedimento penale a carico del ministro non è destinato a proseguire;
che, secondo la ricorrente, le disposizioni costituzionali attribuirebbero infatti alla Camera competente il potere di esprimere una autonoma valutazione in ordine al carattere ministeriale del reato e, se del caso, in ordine alla sussistenza delle esimenti indicate nell'art. 9 della legge cost. n. 1 del 1989;
che, a ritenere diversamente, si ammetterebbe che l'autorità giudiziaria possa paralizzare discrezionalmente le prerogative delle Camere in relazione ai reati ministeriali, aggirando, attraverso l'archiviazione per difetto di ministerialità del reato, la competenza prevista dall'art. 96 Cost.;
che, pertanto, la Camera dei deputati chiede alla Corte costituzionale, previa autorimessione della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge n. 219 del 1989, di dichiarare che «non spetta al Tribunale dei ministri di Firenze trasferire al Giudice penale ordinario, competente per territorio, il procedimento instaurato ai sensi dell'art. 96 Cost., senza aver prima richiesto l'autorizzazione camerale e, comunque, senza avere previamente trasmesso alla Camera dei deputati gli atti del procedimento medesimo in modo da consentirle di valutare la sussistenza dei presupposti per l'attivazione della guarentigia», e di dichiarare parimenti che non spetta al Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, di proseguire il giudizio senza chiedere l'autorizzazione a procedere, con conseguente annullamento dei provvedimenti giurisdizionali adottati.
Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte costituzionale è chiamata a delibare senza contraddittorio in ordine all'ammissibilità del conflitto di attribuzione, sotto il profilo della sussistenza della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza»;
che, quanto alla sussistenza dei requisiti soggettivi, e impregiudicata ogni ulteriore e diversa valutazione, la Camera dei deputati è legittimata a sollevare conflitto, al fine di difendere le attribuzioni che le spettano ai sensi dell'articolo 96 della Costituzione (sentenza n. 403 e ordinanza n. 217 del 1994);
che la legittimazione a resistere nel presente conflitto va parimenti riconosciuta in capo al Tribunale dei ministri di Firenze, in quanto esclusivo titolare delle attribuzioni previste dall'art. 8 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione) (sentenza n. 403 e ordinanza n. 217 del 1994);
che è ugualmente legittimato a resistere il Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, quale organo competente a dichiarare definitivamente, nel procedimento di cui è investito, la volontà del potere cui appartiene, in ragione dell'esercizio di funzioni giurisdizionali svolte in posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita (da ultimo, sentenza n. 290 del 2007);
che, con riguardo ai presupposti oggettivi, il ricorso è indirizzato a garanzia di una sfera di attribuzioni costituzionali, desumibili, secondo la prospettazione della Camera dei deputati, dall'art. 96 Cost. e dalla legge costituzionale n. 1 del 1989;
che questa preliminare valutazione, adottata prima facie ed in assenza di contraddittorio, lascia impregiudicata ogni ulteriore e diversa determinazione concernente la stessa ammissibilità del ricorso, avuto riguardo, fra l'altro, alla natura degli atti asseritamente lesivi e alla sussistenza di un'idonea "materia di conflitto";
che, ai sensi dell'art. 37, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, va disposta la notificazione anche al Senato della Repubblica, stante l'identità della posizione costituzionale dei due rami del Parlamento in relazione alle questioni di principio da trattare (sentenze n. 263 del 2003 e n. 7 del 1996; ordinanze n. 178 del 2001 e n. 470 del 1995).
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dalla Camera dei deputati nei confronti del Tribunale dei ministri di Firenze e del Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, con il ricorso in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla ricorrente Camera dei deputati;
b) che, a cura della ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Tribunale dei ministri di Firenze e al Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, nonché al Senato della Repubblica, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, a norma dell'art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2008.
[1] Legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale n. 1 del 1953 e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all’articolo 96 della Costituzione.
[2] Legge 10 maggio 1978, n. 170, Nuove norme sui procedimenti d'accusa di cui alla L. 25 gennaio 1962, n. 20.
[3] Legge 5 giugno 1989, n. 219, Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall’articolo 90 della Costituzione.
[4] In tema si veda A. Ciancio, Art. 96, in Commentario alla Costituzione, pp. 1864-1872 (contributo allegato al presente dossier).
[5] La Corte di cassazione ha affermato che «l'attribuzione al Collegio competente per i reati ministeriali dei poteri di pubblico ministero in materia di indagini preliminari, la limitazione della sfera delle attribuzioni del pubblico ministero ai momenti di iniziativa e di partecipazione, il potere propositivo e decisionale riconosciuto al Collegio con riguardo sia all'archiviazione sia alla trasmissione della richiesta al presidente della Camera competente nonché il potere di conferire al fatto una qualificazione diversa da quella indicata dall'art. 96 della Costituzione, con trasmissione degli atti direttamente all'autorità giudiziaria competente, sono aspetti che conferiscono al Collegio natura e caratterizzazione tali da rendere non compatibile la riconduzione di esso e delle relative funzioni agli attributi processuali del giudice per le indagini preliminari e, quindi, di definire la dialettica processuale tra il Collegio ed il pubblico ministero entro l'area dei rapporti tra giudice per le indagini preliminari e pubblico ministero nella fase stessa delle indagini disciplinata dal vigente codice di procedura penale» (cfr. Cass., Sez. VI, sent. n. 598 del 1993).
[6] Le sezioni unite della Cassazione hanno sostenuto che il provvedimento di archiviazione emesso dal Tribunale dei ministri «ha formalmente e sostanzialmente natura non di sentenza, ma di decreto di archiviazione, come tale privo di efficacia preclusiva di ulteriore esercizio dell'azione penale. Pertanto esso non è impugnabile, anche se abnorme o di forma del tutto anomala» (cfr. Cass., Sez. U., sent. n. 7 del 1989).
[7] Articolo 4 della legge costituzionale n. 1 del 1989.
[8] Si ricorda che la proposta di legge in esame ripropone, pressoché integralmente, il contenuto della proposta di legge A.C. 1785, presentata dall’On. Consolo durante la scorsa legislatura e della quale la Commissione giustizia non ha però avviato l’esame.