Camera dei deputati Dossier GI0344 servizio studi

Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Esecuzione domiciliare delle pene detentive e messa alla prova - A.C. 3291 - Schede di lettura e riferimenti normativi
Riferimenti:
AC N. 3291/XVI     
Serie: Progetti di legge    Numero: 316
Data: 02/04/2010
Descrittori:
DOMICILIO RESIDENZA DIMORA   PENE DETENTIVE
Organi della Camera: II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di

Progetti di legge

Esecuzione domiciliare delle pene detentive e messa alla prova

A.C. 3291

Schede di lettura e riferimenti normativi

 

 

 

 

 

 

n. 316

 

 

 

2 aprile 2010

 



Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

( 066760-9148 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

 

 

 

 

 

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File: gi0344.doc

 



INDICE

Schede di lettura

Il “Piano carceri”3

Art. 1 (Esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno)4

Art. 2 (Modifiche all’articolo 385 del codice penale)11

Art. 3 (Modifiche al codice penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova)12

Art. 4 (Modifiche al codice di procedura penale)17

Art. 5 (Modifiche al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271)21

Art. 6 (Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354 e al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230)22

Art. 7 (Modifiche alla legge 24 novembre 1981, n. 689)24

Art. 8 (Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313)25

Art. 9 (Regolamento)26

Art. 10 (Clausola di invarianza)27

Riferimenti normativi

Codice penale (artt. 102, 105, 108 e 385)31

Codice procedura penale (artt. 555 e 656)34

L. 26 luglio 1975, n. 354. Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. (artt. 4-bis, 14-bis, 14-ter, 47, 47-ter, 51-bis, 51-ter, 56, 58, 58-quater, 69-bis, 72)39

L. 24 novembre 1981, n. 689. Modifiche al sistema penale. (art. 56)53

D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448. Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni. (artt. 28 e 29)54

D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281. Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. (art. 8)55

D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà. (art. 23)57

D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313. Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti. (art. 3)59

 





Il “Piano carceri”

Il disegno di legge in esame si inserisce nel quadro della politica di deflazione carceraria annunciata dal Governo in occasione dell’adozione del Piano straordinario penitenziario (Consiglio dei ministri del 13 gennaio 2010).

 

Il Piano Straordinario penitenziario, che ha visto confermato come Commissario il Capo del D.A.P., si basa su quattro filoni di intervento:

Alla base del Piano, c’è la dichiarazione dello stato di emergenza in cui versa attualmente il sistema penitenziario italiano, deliberata con DPCM lo stesso 13 gennaio e che durerà fino al 31 dicembre 2010.

Il primo pilastro consiste nell’adozione di interventi di edilizia penitenziaria per i quali il Commissario straordinario potrà procedere in deroga alle ordinarie competenze, velocizzando procedure e semplificando le gare d'appalto per la costruzione, entro il 2010, di 47 nuovi padiglioni, utilizzando il modello adottato per il dopo-terremoto a L'Aquila. L’attribuzione di poteri speciali al Commissario straordinario per la realizzazione del Piano carceri e le disposizioni per prevenire infiltrazioni della criminalità organizzata nei relativi interventi sono contenuti negli artt. 17-ter e 17-quater del decreto-legge n. 195 del 2009 convertito dalla legge n. 26 del 2010.

A partire dal 2011, poi, saranno realizzate le altre strutture di edilizia straordinaria (secondo pilastro) - 18 nuove carceri di cui 10 “flessibili” (probabilmente di prima accoglienza o destinate a detenuti con pene lievi) - cui se ne aggiungeranno altre 8 in aree strategiche anch'esse “flessibili". Secondo il Governo gli interventi porteranno alla creazione di 21.709 nuovi posti negli istituti penitenziari (circa 4.000 in più rispetto ai 18 mila iniziali) e al raggiungimento di una capienza totale di 80mila unità. Per realizzare questo progetto saranno utilizzati 500 milioni di euro già stanziati dalla Finanziaria 2010 e altri 100 milioni di euro provenienti dal bilancio della Giustizia.

Sul piano normativo (terzo pilastro), dovrebbero essere introdotte novità al sistema sanzionatorio ovvero misure di accompagnamento che prevedono, da un lato, la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua e, dall’altro, la messa alla prova delle persone imputabili per reati fino a tre anni, che potranno così svolgere lavori di pubblica utilità con conseguente sospensione del processo.

Il quarto pilastro del Piano del Ministro della Giustizia prevede l’assunzione di 2000 nuovi agenti di Polizia Penitenziaria.

 

Il provvedimento in esame mira ad attuare le previsioni del “terzo pilastro” del Piano straordinario penitenziario.

 



Art. 1
(Esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno)

L’articolo 1 del provvedimento introduce la possibilità di scontare presso la propria abitazione o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza la pena detentiva (anche residua di pena maggiore) non superiore ad un anno (comma 1).

La relazione illustrativa spiega che, al settembre 2009, circa il 32% dei detenuti scontava pene detentive non superiori a un anno, sottolineando che tale dato è in costante crescita. Alla medesima data, il numero complessivo di detenuti, secondo i dati forniti dal Ministero della giustizia, era pari a 64.595 (al 13 gennaio 2010, a 65.067), per cui la misura a tale data avrebbe portato ad una riduzione del numero di detenuti di quasi 21.000 unità.

 

Si tratta, quindi, di una forma particolare di detenzione domiciliare che tuttavia, come spiega la relazione illustrativa, differisce dall’istituto previsto dall’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario, “sia per la minor durata della pena da eseguire (non superiore a dodici mesi, anziché a due anni, o, in casi particolari, a quattro), sia per una procedura semplificata che assicuri decisioni rapide”.

 

In relazione ai limiti di pena, l’art. 47-ter O.P. prevede – in considerazione di specifiche condizioni personali del beneficiario[1] – la possibilità di scontare in detenzione domiciliare nella propria abitazione (o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza) la pena della reclusione non superiore a 4 anni (anche ove costituisca parte residua di pena maggiore), nonché la pena dell'arresto (comma 1).

Indipendentemente dai limiti di pena, con esclusione di chi è condannato per una serie di reati di particolare gravità ed allarme sociale specificatamente individuati, può scontare la reclusione in detenzione domiciliare la persona che, al momento dell'inizio dell'esecuzione della pena, o dopo l'inizio della stessa, abbia compiuto i 70 anni di età (purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza né sia stato mai condannato con l'aggravante della recidiva) (comma 01).

Al condannato cui sia stata applicata la recidiva reiterata prevista dall'articolo 99, quarto comma, c.p., può essere concessa la detenzione domiciliare se la pena detentiva inflitta, anche se costituente parte residua di maggior pena, non supera 3 anni (comma 1.1.). La detenzione domiciliare può poi essere applicata per l'espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a 2 anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1 quando non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati. Tale ultima previsione non si applica ai condannati per i gravi reati di cui all'articolo 4-bis O.P. (su cui infra) e a quelli cui sia stata applicata la recidiva reiterata(1-bis).

Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena (ai sensi degli articoli 146 e 147 c.p.), il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. L'esecuzione della pena prosegue durante l’esecuzione della detenzione domiciliare (comma 1-ter.).

Se l'istanza di applicazione della detenzione domiciliare è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza cui la domanda deve essere rivolta può disporre l'applicazione provvisoria della misura, quando ricorrono i requisiti di cui ai commi 1 e 1-bis. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 47, comma 4, relativo all’istanza di affidamento in prova al servizio sociale dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena (comma 1-quater).

Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare, ne fissa le modalità secondo quanto stabilito dall'articolo 284 c.p.p., determina e impartisce altresì le disposizioni per gli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la detenzione domiciliare (comma 4). Nel disporre la detenzione domiciliare il tribunale di sorveglianza, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte delle autorità preposte al controllo, può prevedere modalità di verifica per l'osservanza delle prescrizioni imposte anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 275-bis del codice di procedura penale, relativo all’adozione da parte del giudice di particolari modalità di controllo nel caso di arresti domiciliari (comma 4-bis ).

Il condannato in detenzione domiciliare non è sottoposto al regime penitenziario previsto dall’ordinamento penitenziario e dal relativo regolamento di esecuzione. Nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica del condannato che trovasi in detenzione domiciliare (comma 5). La detenzione domiciliare è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure (comma 6) e nel caso in cui cessano le condizioni previste nei commi 1 e 1-bis (comma 7).

Il condannato che, essendo in stato di detenzione nella propria abitazione o in un altro dei luoghi indicati nel comma 1, se ne allontana, è punito a titolo di evasione ai sensi dell'articolo 385 del codice penale. Si applica la disposizione dell'ultimo comma dello stesso articolo, relativo alla diminuzione di pena per il caso di costituzione in carcere dell’evaso prima della condanna (comma 8). La denuncia per il delitto di cui al comma 8 importa la sospensione del beneficio e la condanna ne importa la revoca (comma 9). Se la misura di cui al comma 1-bis è revocata ai sensi dei commi precedenti la pena residua non può essere sostituita con altra misura (ultimo comma).

Una ulteriore forma di detenzione domiciliare, denominata permanenza domiciliare (art. 52, DPR 274/2000), può, invece, essere disposta dal giudice di pace penale per reati per i quali non si applica la sola pena della multa o dell’ammenda ovvero in caso di recidiva reiterata ultraquinquennale. I limiti di applicabilità della misura restrittiva sono dettati dall’art. 53 del medesimo DPR n. 274.

I commi 2 e 3 dell’art. 1 stabiliscono che:

§         se il condannato non è ancora detenuto (si è, quindi, nella fase di esecuzione della pena detentiva ai sensi dell’art. 656, comma 1, c.p.p.) il pubblico ministero (organo competente per l’esecuzione) – ricorrendo il presupposto di una pena detentiva da eseguire non superiore a 12 mesi – deve sospendere l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmettere senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza, indicando il luogo di esecuzione della pena;

§         se, invece, il condannato è già detenuto spetta alla direzione dell’istituto penitenziario trasmettere al magistrato di sorveglianza una relazione che attesti la condotta del detenuto, indicando il luogo per la detenzione domiciliare. Si tratta del caso in cui il periodo da trascorrere in esecuzione extramuraria costituisce residuo di pena già parzialmente scontata.

 

Si richiama l’art. 656, comma 5, c.p.p. che prevede che se la pena detentiva da eseguire, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a 3 anni (o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del DPR 309/1990, TU stupefacenti), il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9[2], ne sospende l'esecuzione. L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l'avviso che entro 30 gg. può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione (affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare e semilibertà) previste dalla legge 354/1975 (artt. 47, 47-ter e 50) e di cui all'articolo 94 del citato TU stupefacenti (affidamento in prova di tossicodipendenti) ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 dello stesso testo unico (sospensione dell’esecuzione per 5 anni ove la persona abbia commesso il reato in relazione al proprio stato di tossicodipendenza e si sia positivamente sottoposta a programma riabilitativo). L'avviso informa altresì che, ove non sia presentata l'istanza o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico, l'esecuzione della pena avrà corso immediato. Il successivo comma 6 stabilisce che l’istanza deve essere presentata dal condannato o dal difensore (in mancanza,allo scopo nominato dal pubblico ministero) il quale la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero. Se l'istanza non è corredata dalla documentazione utile, questa, salvi i casi di inammissibilità, può essere depositata nella cancelleria del tribunale di sorveglianza fino a cinque giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'articolo 666, comma 3. Resta salva, in ogni caso, la facoltà del tribunale di sorveglianza di procedere anche d'ufficio alla richiesta di documenti o di informazioni, o all'assunzione di prove a norma dell'articolo 666, comma 5. Il tribunale di sorveglianza decide entro quarantacinque giorni dal ricevimento dell'istanza (comma 6).

La sospensione dell'esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 del TU stupefacenti (comma 7).

In base al comma 9 dell’art. 656 la sospensione dell'esecuzione non può essere disposta: a) nei confronti dei condannati per numerosi delitti di grave allarme sociale, tra cui quelli di cui all'articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario; b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva; c) nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, c.p. (recidiva reiterata).

 

In base al comma 4, la decisione sull’esecuzione domiciliare della pena detentiva breve è di competenza del magistrato di sorveglianza (attualmente, sia la decisione sulla detenzione domiciliare sia la sospensione dell’esecuzione della pena breve ex art. 656 c.p.p., sono di competenza del tribunale di sorveglianza); il rinvio all’art. 69-bis dell’ordinamento penitenziario, relativo alle decisioni sulle istanze di liberazioni anticipata, prefigura un iter dell’istanza particolarmente snello.

 

L’articolo 69-bis o.p. dispone che il magistrato di sorveglianza provveda con ordinanza camerale (adottata senza la presenza delle parti), comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nell'articolo 127 del codice di procedura penale (parti, soggetti interessati e difensori) non prima di 15 giorni dalla richiesta del parere al pubblico ministero e anche in assenza di esso. Avverso l'ordinanza, il difensore, l'interessato e il pubblico ministero possono, entro 10 giorni dalla comunicazione o notificazione, proporre reclamo al tribunale di sorveglianza competente per territorio, che decide ai sensi dell'articolo 678 del codice di procedura penale (che a sua volta rinvia al procedimento di esecuzione delineato dall’articolo 666 c.p.p. e, nel caso di dubbio sull’identità fisica di una persona, dall’articolo 667 c.p.p.). In particolare, il tribunale decide sul reclamo con ordinanza, che viene comunicata o notificata senza ritardo alle parti e ai difensori, che possono proporre ricorso per cassazione.

Il medesimo art. 69-bis O.P. rinvia, inoltre, all’applicazione delle disposizioni in materia di incompatibilità di cui ai commi quinto e sesto dell'articolo 30-bis dell’ordinamento penitenziario. In forza di tale rinvio il magistrato di sorveglianza non può far parte del collegio che decide sul reclamo avverso il provvedimento da lui emesso sull’esecuzione domiciliare. Se, applicando tale disposizione, non è possibile comporre la sezione di sorveglianza con i magistrati di sorveglianza del distretto, si procede all'integrazione della sezione temporaneamente destinando un giudice con qualifica di magistrato di cassazione, di appello o di tribunale ad esercitare le funzioni del magistrato di sorveglianza mancante o impedito.

 

L’articolo 1, comma 5, prevede una serie di cause ostative alla concessione del beneficio dell’esecuzione della detenzione presso il proprio domicilio. La misura non sarà infatti applicabile:

§         agli autori dei delitti di cui all’art. 4-bis della legge 354/1975 sull’ordinamento penitenziario, di cui è presupposta la rilevante pericolosità sociale; il richiamo generico all’articolo 4-bis fa presumere l’esclusione dell’applicazione della detenzione domiciliare per tutti i reati contemplati dalla disposizione.

 

L’art. 4-bis o.p. esclude o limita l’applicazione dei benefici penitenziari in relazione a reati di particolare pericolosità sociale. Tralasciando nello specifico le condizioni cui è subordinata l’applicazione di tali benefici, i reati contemplati dalla disposizione sono i seguenti: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, associazione mafiosa e delitti commessi avvalendosi del vincolo associativo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose, delitti di riduzione in schiavitù, prostituzione minorile, pornografia minorile, tratta di persone, commercio di schiavi, violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti o di sigarette (comma 1); omicidio, compimento di atti sessuali con minore in cambio di denaro o altra utilità economica, diffusione di materiale pornografico, turismo sessuale, rapine aggravata, estorsione aggravata, contrabbando di tabacchi lavorati esteri aggravato, produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope aggravati, associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati in materia di contraffazione, di delitti contro la personalità individuale, di violenza sessuale, atti sessuali con minorenni e violenza sessuale di gruppo, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, delitti in materia di violenza sessuale (commi 1-ter e 1-quater). Il comma 3-bis inoltre fa riferimento, ai fini dell’esclusione di talune specifiche misure, ai delitti dolosi per i quali il Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunichi l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.

 

§         ai soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza di cui agli artt. 102, 105 e 108 del codice penale;

 

L’art. 102 c.p. stabilisce che sia dichiarato delinquente abituale chi, dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a 5 anni per tre delitti non colposi della stessa indole, commessi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta un'altra condanna per un delitto, non colposo, della stessa indole, e commesso entro dieci anni successivi all'ultimo dei delitti precedenti. L’art. 105 c.p. prevede che chi, trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità nel reato, riporta condanna per un altro reato, è dichiarato delinquente o contravventore professionale qualora, avuto riguardo alla natura dei reati, alla condotta e al genere di vita del colpevole e alle altre circostanze indicate nel capoverso dell'articolo 133 (relative alla gravità del reato), debba ritenersi che egli viva abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato. L’art. 108 c.p. prevede sia dichiarato delinquente per tendenza chi, sebbene non recidivo o delinquente abituale o professionale, commette un delitto non colposo, contro la vita o l'incolumità individuale, il quale, per sé e unitamente alle circostanze indicate nel capoverso dell'art. 133, riveli una speciale inclinazione al delitto, che trovi sua causa nell'indole particolarmente malvagia del colpevole. La dichiarazione della tendenza a delinquere non si applica se l'inclinazione al delitto è originata dal vizio totale o parziale di mente.

§         a coloro che sono sottoposti, ai sensi dell’art. 14-bis dell’ordinamento penitenziario, al regime di sorveglianza particolare in carcere (a meno che non sia stato accolto il relativo reclamo);

Secondo l’art. 14-bis O.P: possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte in misura non superiore ogni volta a tre mesi, i condannati, gli internati e gli imputati: a) che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti; b) che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati; c) che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti.

§         ai soggetti ai quali è stata revocata la detenzione domiciliare concessa ai sensi dell’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario.

 

In base all’articolo 47-ter, sesto e settimo comma, la detenzione domiciliare è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione della misura; nel caso in cui vengono a cessare le condizioni previste nei commi 1 e 1-bis della medesima disposizione (su cui sopra); nel caso di condanna del soggetto in stato di detenzione per essersi allontanato dalla propria abitazione o dagli altri luoghi indicati dal comma 1.

 

 

Il comma 6 prevede, in relazione al nuovo istituto, l’applicazione, nei limiti della compatibilità, di una serie di disposizioni dell’ordinamento penitenziario e delle corrispondenti norme contenute nel relativo regolamento di attuazione (DPR 230/2000).

Si tratta delle norme che disciplinano la detenzione domiciliare (art. 47-ter); le ipotesi di sopravvenienza di nuovi titoli di detenzione (art. 51-bis); la sospensione cautelativa della misura alternativa alla detenzione (art. 51-ter); la relativa comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza (art. 58); le ipotesi di divieto e limitazione nella concessione delle misure di favore (art. 58-quater). Dall’esplicita esclusione dell’applicazione del comma 7-bis di tale ultima disposizione deriva che l’istituto dell’esecuzione domiciliare della pena detentiva può essere concesso più di una volta anche al condannato cui sia stata applicata la recidiva reiterata prevista dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale.

 

Sull’applicazione della disciplina della detenzione domiciliare si rinvia a quanto già detto; le altre disposizioni richiamate sono le seguenti:

- l’art. 51-bis prevede che, ove sopravvenga un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il direttore dell'istituto penitenziario o il direttore del centro di servizio sociale debba informare immediatamente il magistrato di sorveglianza; questi, tenuto conto del cumulo delle pene e della permanenza delle condizioni di legge, dispone con decreto la prosecuzione provvisoria dell’esecuzione domiciliare in corso o, in caso contrario, ne dispone la sospensione. Il magistrato di sorveglianza trasmette quindi gli atti al tribunale di sorveglianza che deve decidere nel termine di venti giorni la prosecuzione o la cessazione della misura;

- l’art. 51-ter prevede che, se il soggetto in esecuzione domiciliare ponga in essere comportamenti tali da determinare la revoca della misura, il magistrato di sorveglianza competente ne disponga con decreto motivato la provvisoria sospensione, ordinando l'accompagnamento del trasgressore in istituto; trasmette quindi immediatamente gli atti al tribunale di sorveglianza per le decisioni di competenza. Il provvedimento di sospensione del magistrato di sorveglianza cessa di avere efficacia se la decisione del tribunale di sorveglianza non interviene entro 30 giorni dalla ricezione degli atti.

- l’art. 58 prevede l’obbligo, a cura della cancelleria, di comunicare l’adozione dei provvedimenti adottati dal magistrato o dalla sezione di sorveglianza all'autorità provinciale di pubblica sicurezza,

- l’art. 58-quater contempla il divieto di concedere i benefici: al condannato che sia stato riconosciuto colpevole di evasione o a cui sia stata revocato l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare o la semilibertà (il divieto di concessione opera per un periodo di 3 anni dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca);  al condannato per i delitti di cui agli articoli 289-bis e 630 c.p. (sequestro di persona a scopo di terrorismo o di estorsione) che abbia cagionato la morte del sequestrato, prima che effettivamente abbia espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno 26 anni;  al condannato per taluno dei gravi delitti indicati dall'art. 4-bis, comma 1 (su cui cfr. sopra) nei cui confronti si procede o è pronunciata condanna per un delitto doloso punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni (ai fini dell'applicazione della disposizione, l'autorità che procede per il nuovo delitto ne dà comunicazione al magistrato di sorveglianza del luogo di ultima detenzione dell'imputato; il divieto di concessione del beneficio opera per 5 anni dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca della misura).

 



Art. 2
(Modifiche all’articolo 385 del codice penale)

 

L’articolo 2 prevede aumenti di pena per il delitto di evasione di cui all’art. 385 del codice penale. Tale fattispecie di reato è applicabile anche nel caso di allontanamento dall’abitazione o dal luogo presso il quale sia in atto l’esecuzione domiciliare della pena ai sensi del precedente art. 1.

Rispetto all’esecuzione domiciliare trovano infatti applicazione, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 47-ter o.p.; l’ottavo comma di tale ultima disposizione punisce ai sensi dell’articolo 385 c.p. il condannato in stato di detenzione domiciliare che si allontani dalla propria abitazione o da un altro dei luoghi indicati.

 

L’art. 385 c.p. punisce chiunque evade, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, con la reclusione da 6 mesi ad un anno (primo comma).

Se l’evasione è commessa usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione, la pena è della reclusione da 1 a 3 anni; se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite la pena della reclusione è da 3 a 5 anni (secondo comma).

Le disposizioni precedenti si applicano anche all'imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale (terzo comma). Quando l'evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita (quarto comma).

 

L’art. 2, novellando l’art 385 c.p., sanziona:

§      la fattispecie ordinaria con la reclusione da uno a tre anni (anziché da 6 mesi ad un anno).

§      la fattispecie aggravata dalla violenza o minaccia alle persone o dall’effrazione con la reclusione da due a cinque anni (anziché da 1 a 3 anni);

§      la fattispecie aggravata dalla circostanza che sia commessa con armi o da più persone riunite con la reclusione da tre a sei anni (anziché da 3 a 5 anni).

 



Art. 3
(Modifiche al codice penale in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova)

L’articolo 3 estende anche al processo penale ordinario in relazione a reati di criminalità medio-piccola la sospensione del processo con messa alla prova, istituto attualmente previsto nel solo processo penale minorile.

La messa alla prova nel processo minorile

La messa alla prova, introdotta con il codice penale minorile del 1988 (DPR 22 settembre 1988, n. 448) – a differenza della probation di origine anglosassone, che presuppone una sentenza di condanna – opera una sospensione del procedimento penale.

L’istituto è previsto dall’art. 28 del DPR 448/1988 e può essere applicato sia in sede di udienza preliminare che di dibattimento; esso si sostanzia nella decisione del giudice, assunta con ordinanza, di sospendere il procedimento in corso e di affidare il minore (o il maggiorenne, minore all’epoca della commissione del reato) ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia; a tali servizi, spetterà svolgere nei suoi confronti attività di osservazione, sostegno e controllo, anche in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali.

Il processo viene sospeso:

- per un massimo di 3 anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a 12 anni;

- per un periodo non superiore a un anno negli altri casi.

L’applicabilità della misura con la quale il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato non è compromessa né dall'eventuale esistenza di precedenti giudiziari e penali né da precedenti applicazioni dell’istituto né dalla tipologia di reato; la decisione del giudice si fonda sugli elementi acquisiti attraverso l'indagine di personalità prevista dall'art. 9 del D.P.R. 448/88.

Il provvedimento di messa alla prova, revocabile in caso di ripetute gravi violazioni delle prescrizioni imposte con l’ordinanza, è ricorribile per cassazione dal pubblico ministero, dall'imputato e dal suo difensore. La giurisprudenza ha precisato che è ricorribile solo l’ordinanza che ammette la messa alla prova e non quella reiettiva della relativa istanza, che secondo la regola generale di cui all’art. 586 c.p.p. è, invece, impugnabile in appello unitamente alla sentenza.

In caso di esito positivo della prova (in base al comportamento del minorenne ed alla evoluzione della sua personalità), il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza "estinto il reato" e il minore imputato viene prosciolto dai fatti addebitatigli; l'esito negativo comporta invece la prosecuzione del procedimento (art. 29 D.P.R. 448/88).

 

La probation di origine anglosassone (a cura del Servizio biblioteca)

Nell’ambito del sistema delle misure alternative alla detenzione, la legislazione inglese (così come quella statunitense) prevede la possibilità, a fini di riabilitazione ed emendazione del reo, di scontare la condanna a una pena detentiva in regime di libertà vigilata. Ciò può avvenire in esecuzione di un’ordinanza del giudice ed a seguito di un complesso procedimento assolto dal servizio cd. di probation. Ogni città ha infatti un servizio di probation che procede ad una complessa istruzione prima di arrivare ad una decisione sulla eventuale messa alla prova: dall’analisi delle denunce pervenute alla polizia, all’ascolto dei testimoni, ai colloqui con i familiari e il datore di lavoro del soggetto, ai precedenti penali, alle dichiarazioni delle vittime del reato ecc. L’ufficio di probation competente per territorio si avvale anche della collaborazione di appositi ispettorati presso ogni istituto penitenziario e spesso anche dei servizi sociali degli enti locali; la sua funzione fondamentale consiste quindi nel valutare, sulla base dell’istruzione effettuata, se il soggetto appaia meritevole del beneficio e se la concessione della misura possa comportare un rischio per il pubblico. In caso positivo, il tribunale può emettere un probation order che pone il reo sotto la supervisione di un probation officer, funzionario dei servizi di probation, per un periodo determinato tra i sei mesi e i tre anni. Con la “messa alla prova”, possono essere imposti al condannato (che deve avere almeno 16 anni) obblighi specifici, come risiedere in un certa località, frequentare un determinato luogo, occuparsi di specifiche attività (per un massimo di 60 giorni, o più se condannato per reati sessuali) o, ancora, sottoporsi a trattamento psichiatrico o di riabilitazione per disintossicazione da droghe o alcool presso comunità terapeutiche. In caso di violazione degli obblighi imposti col probation order, il probation officer può far ricondurre il soggetto davanti al tribunale che può, in tal caso, multare il condannato e far continuare l’esecuzione della misura ovvero emettere una nuova sentenza per il reato originario. Un soggetto che commette un altro crimine durante il periodo di probation può essere condannato dal tribunale per entrambi i reati. L’ufficio di probation, in collaborazione con i servizi sociali degli enti locali, appresta abitualmente centri di assistenza per i detenuti, i quali sono obbligati a seguire programmi di riabilitazione.

Con l’Offender Management Act 2007 del 2007 sono state concentrate in capo al Ministro le competenze generali relative all’affidamento dei probation services, da esercitare in modo diretto (specie con riguardo alle attività di contenuto specialistico o di costo elevato) oppure attraverso la definizione di indirizzi da attuare nel più ristretto ambito regionale o locale. È riservata altresì al Ministro la potestà relativa all’individuazione dei requisiti (di qualificazione, esperienza, aggiornamento) del personale destinato ad operare a contatto con i condannati, nonché quella di definire criteri generali ai quali debbono attenersi, in modo uniforme sul territorio nazionale, gli operatori del settore tanto pubblici che privati. Per converso, con specifico riguardo ai servizi connessi con l’attività giurisdizionale, è previsto che tale potestà ministeriale debba esplicarsi non in modo diretto bensì attraverso i probation trusts, dei quali la legge medesima disciplina l’istituzione (in luogo dei precedenti probation boards).

 

L’art. 3 aggiunge, a tal fine, quattro nuovi articoli al codice penale (da 168-bis a 168-quinquies), nell’ambito del Capo I (Della estinzione del reato) del Titolo VI del Libro I.

L’art. 168-bis prevede l’applicazione del nuovo istituto della sospensione del procedimento e con messa alla prova dell’imputato in relazione a reati minori.

Tratti essenziali dell’istituto, che valgono a differenziarlo dall’analogo istituto previsto nel processo minorile, sono i seguenti:

§      il giudice non ha poteri di impulso autonomi ma “può” agire soltanto su istanza dell’imputato;

§      esso si applica soltanto in relazione ai reati punibili con la pena pecuniaria o pena detentiva non superiore nel massimo a tre anni (sola o congiunta a pena pecuniaria); ai fini del computo non si tiene conto delle circostanze, fatta eccezione per quelle ad effetto speciale e quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria prevista per il reato.

 

Il beneficio, inoltre, non può essere concesso:

§      più di una volta per reati della stessa indole e, comunque, non più di due volte;

§      ai plurirecidivi che abbiano riportato condanne per delitti della stessa indole rispetto a quello per cui si procede.

 

La sospensione del procedimento con messa alla prova è infine subordinata alla prestazione del lavoro di pubblica utilità (di cui al nuovo art. 168-quinquies)

 

Il nuovo articolo 168-ter prevede, inoltre, la sospensione del decorso della prescrizione del reato durante il periodo di messa alla prova nonché - analogamente a quanto previsto nel processo minorile – l’estinzione del reato all’esito positivo della prova (la cui durata è stabilita dal nuovo art. 464-quater c.p.p., su cui infra); l’estinzione, tuttavia, non travolge le eventuali sanzioni amministrative accessorie previste dalla legge, che rimangono, quindi, applicabili.

L’esito negativo della prova e le sue conseguenze processuali sono, invece, disciplinate dal nuovo art. 464-sexies c.p.p. (su cui infra).

 

Il nuovo art. 168-quater c.p. individua i casi di revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova nei seguenti:

·         rifiuto della prestazione del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 168-quinquies;

·         grave o reiterata trasgressione degli obblighi relativi alla prestazione del lavoro di pubblica utilità;

·         commissione da parte dell’imputato, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede.

 

Tra le ipotesi di revoca, non è specificamente indicato il caso di violazione delle prescrizioni e degli obblighi imposti con la misura, disposti con l’ordinanza che opera la sospensione del procedimento, ai sensi del nuovo art. 464-quinquies.

 

Il nuovo art. 168-quinquies c.p. è, infine, relativo al lavoro di pubblica utilità.

 

Il lavoro di pubblica utilità è, attualmente, sanzione irrogabile dal giudice di pace, nell’ambito delle sue limitate competenze in campo penale, per reati per i quali non sia prevista la sola pena della multa o dell’ammenda.

L’art. 54 del D.Lgs n. 274 del 2000 prevede che il giudice di pace può applicare la pena del lavoro di pubblica utilità solo su richiesta dell'imputato.

La sanzione non può essere inferiore a 10 giorni né superiore a 6 mesi e consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. L'attività viene svolta nella provincia di residenza del condannato e comporta la prestazione di non più di 6 ore di lavoro settimanale (un periodo maggiore è ammesso solo se lo richieda il condannato) da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. La durata giornaliera della prestazione non può comunque oltrepassare le 8 ore. Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro. Le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità sono state determinate con il D.M. giustizia 26 marzo 2001

 

Il contenuto della prestazione, modellata su quello previsto dal citato art. 54 del D.Lgs 274/2000, consiste nell’attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato.

Maggiore, ovviamente, la durata della sanzione che, in ragione della maggior gravità del reato, è prevista dall’art. 168-quinquies in un periodo, minimo e massimo, compreso tra i 10 giorni ed i 2 anni.

Il luogo di svolgimento dell’attività è individuato nel comune di residenza del messo alla prova (ovvero la provincia, se ciò non sia possibile).

Per quanto riguarda le modalità della prestazione, si stabilisce un orario minimo di 4 e massimo di 12 ore settimanali (con una durata giornaliera massima di 4 ore); come nel citato art. 54, lo svolgimento del lavoro non deve pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute della persona.

La prestazione del lavoro di pubblica utilità è subordinata al consenso dell’imputato; al mancato consenso consegue l’inapplicabilità di tutti gli istituti in cui è la prestazione è prevista come presupposto di concessione (tra i quali appunto la messa alla prova).

In forza del rinvio operato agli articoli 146 e 147 (limitatamente al primo comma, nn. 2 e 3, e terzo comma) del codice penale, anche l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità è soggetta alle ipotesi di rinvio obbligatorio e, in parte, facoltativo dell’esecuzione della pena.

Il rinvio obbligatorio (art. 146 c.p.) del lavoro di pubblica opera, quindi: 1) nei confronti di donna incinta; 2) nei confronti di madre di bambino di età inferiore ad un anno; 3) nei confronti di persona affetta da AIDS conclamata o HIV ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le condizioni di salute risultano incompatibili con il lavoro di pubblica utilità, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.

 

Nei casi previsti dai numeri 1) e 2) il differimento non opera o, se concesso, è revocato se la gravidanza si interrompe, se la madre è dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio, il figlio muore, viene abbandonato ovvero affidato ad altri, sempreché l'interruzione di gravidanza o il parto siano avvenuti da oltre 2 mesi.

 

Il rinvio facoltativo (art. 147 c.p.) potrà, invece, avvenire se il lavoro di pubblica utilità deve essere eseguito da chi si trova in condizioni di grave infermità fisica o nei confronti di madre di prole di età inferiore a 3 anni.

 

Come nel rinvio obbligatorio, in tale ultima ipotesi, il differimento è revocato, quando la madre sia dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio, il figlio muoia, venga abbandonato ovvero affidato ad altri che alla madre.



 

Art. 4
(Modifiche al codice di procedura penale)

L’articolo 4 del disegno di legge apporta modifiche al codice di procedura penale, conseguenti all’introduzione del nuovo istituto della messa alla prova.

La norma aggiunge un nuovo titolo V-bis (rubricato “Della sospensione del procedimento con messa alla prova”) al libro VI del c.p.p. relativo ai Procedimenti speciali (art. 4, comma 1, lett. a).

Il nuovo titolo è composto da 5 nuovi articoli, da 464-bis a 464-sexies, che disciplinano la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, il procedimento per l’applicazione dell’istituto, l’esito della prova.

 

Per quanto riguarda la richiesta, essa può essere formulata (in forma sia scritta che orale) sia in fase processuale sia, anteriormente, durante le indagini preliminari.

L’art. 464-bis fissa il termine entro il quale – a processo avviato – l’imputato può chiedere la sospensione con messa alla prova:

§      in udienza preliminare, fino al termine della discussione, prima della formulazione delle conclusioni da parte del PM e dei difensori (art. 421 e 422 c.p.p.)[3];

§      in caso di giudizio direttissimo (art. 449 c.p.p.), quindi con citazione diretta a giudizio, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento da parte del giudice;

§      nel giudizio immediato (art. 453 c.p.p.), ove già notificato il relativo decreto, il termine di proposizione della richiesta di sospensione con messa alla prova e le forme sono analoghi a quanto previsto per la richiesta di giudizio abbreviato ex art. 458 c.p.p.: entro 15 giorni dalla data della notificazione, la richiesta va depositata presso la cancelleria del GIP con la prova dell’avvenuta notifica al PM.

La medesima disposizione precisa che la volontà dell’imputato deve essere espressa personalmente o a mezzo procuratore speciale e che la sottoscrizione deve essere autenticata da un pubblico ufficiale.

L’art. 464-ter riguarda invece l’ipotesi in cui la sospensione con messa alla prova viene chiesta nel corso delle indagini preliminari (quindi nei confronti dell’indagato). In tal caso, notificata la richiesta alla persona offesa dal reato (notifica che non è prevista nel caso di richiesta avanzata nel corso del processo), il giudice chiede che il PM si esprima con un consenso od un dissenso, fissando con decreto un termine per la decisione; se il PM consente, il giudice dà corso alla richiesta nei termini di cui all’art. 464-quater.

 

L’art. 464-quater concerne le ulteriori fasi del procedimento e la pronuncia del giudice.

Se il giudice ritiene che il fatto-reato sia correttamente qualificato, che non sussistono cause di non punibilità che comporterebbero il proscioglimento[4] e che l’imputato si asterrà dalla recidiva, sospende con ordinanza il procedimento e mette alla prova l’imputato affidandolo ai servizi sociali per le opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno.

Per quanto riguarda la durata della sospensione, che decorre dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova (previsto dall’articolo 464-quinquies, comma 2), essa è fissata:

§         in 2 anni se si procede per reato punito con pena detentiva sola o congiunta a quella pecuniaria;

§         in 1 anno se per il reato è prevista la sola sanzione pecuniaria.

Anche a procedimento sospeso, il giudice può assumere le prove non rinviabili per motivi di urgenza; in ragione della non applicabilità del comma 3 dell’art. 75 c.p.p.; non è invece sospeso il processo civile avviato dal danneggiato nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale.

 

Se, invece, il giudice ritiene insussistenti i presupposti per la concessione della misura di favore, rigetta la richiesta con ordinanza.

 

Avverso la decisione è proponibile unicamente ricorso per cassazioneda parte dell’imputato e del PM (anche su istanza della persona offesa dal reato). A differenza da quanto previsto per il processo minorile, non è specificata la ricorribilità per cassazione da parte del difensore. L’art. 464-quater specifica inoltre che l’impugnazione non sospende il procedimento e che, in caso di rigetto della richiesta, le questioni relative alla sospensione del procedimento con messa alla prova non possono costituire motivo di impugnazione della sentenza.

 

L’art. 464-quinquies riguarda gli obblighi e le prescrizioni incombenti sull’imputato-indagato durante il periodo di messa alla prova. L’ordinanza che dispone la misura, immediatamente trasmessa ai servizi sociali cui spetta la presa in carico dell’imputato, contiene in particolare:

§        le prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale cui è affidato il beneficiario della misura; alla sua libertà di movimento; alla dimora, al lavoro, al divieto di frequentare specifici locali. Le prescrizioni sono modificabili all’occorrenza dal giudice, anche su impulso dei servizi sociali, obbligati a relazionare periodicamente sull’esito della prova:

§         gli obblighi inerenti i rapporti con l’offeso dal reato, ovvero mitigare, per quanto possibile, gli effetti dannosi dell’illecito mediante il risarcimento del danno, le restituzioni o attività riparatorie.

 

L’art. 464-sexies riguarda l’esito della messa alla prova. Al termine del periodo di prova (annuale o biennale), il giudice - dopo aver ricevuto dai servizi sociali la relazione finale sul comportamento dell’imputato:

§      se ritiene che la prova abbia avuto esito positivo, dichiara con sentenza estinto il reato;

§      se la prova ha invece avuto esito negativo, adotta una nuova ordinanza con cui revoca la misura e dispone la prosecuzione del procedimento penale.

Se la misura è revocata in corso d’esecuzione (ex art. 168-quater) ovvero, al termine del periodo di prova, per esito negativo, la sospensione del procedimento con messa alla prova non può essere riproposta.

 

Con riferimento al comma 3, che fa riferimento al caso di “revoca ovvero di esito negativo della prova”, al fine di escludere la riproposizione della richiesta di messa alla prova, posto che l’esito negativo della prova costituisce di per sé causa di revoca dell’ordinanza, occorre valutare l’opportunità di esplicitare che i casi di revoca cui si riferisce la disposizione sono quelli contemplati dal nuovo art. 168-quater c.p.

 

L’art. 4, comma 1, lett. b) del disegno di legge detta una norma di coordinamento che, novellando il comma 2 dell’art. 555 c.p.p., prevede che in caso di citazione diretta a giudizio, l’imputato - prima della dichiarazione di apertura del dibattimento in udienza di comparizione – possa chiedere (oltre che il giudizio abbreviato e l’oblazione) anche la sospensione del processo con messa alla prova.

 

L’art. 4, comma 1, lett. c) aggiunge al codice di procedura penale un nuovo art. 657-bis che prevede in caso di revoca della messa alla prova che:

-       il PM computi il periodo di prova nella determinazione quantitativa della pena;

-       ai fini del computo, 5 giorni del periodo di prova equivalgono ad un giorno di pena detentiva o a 250 euro di pena pecuniaria e non si considerano periodi di prova inferiori a cinque giorni.



Art. 5
(Modifiche al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271)

 

L’articolo 5 del disegno di legge aggiunge l’art. 191-bis alle disposizioni di attuazione del codice processuale penale (D.Lgs n. 271 del 1989).

La nuova norma individua gli uffici di servizio sociale competenti per la messa alla prova negli uffici per l’esecuzione penale esterna (cd. UEPE) del Ministero della giustizia[5].

Il rinvio all’applicazione dell’art. 72 dell’ordinamento penitenziario, comporta, anche in relazione alla messa alla prova, le ordinarie attività di competenza degli UEPE nell’applicazione delle misure alternative.

 

Gli uffici per l’esecuzione penale esterna (art. 72 OP): a) svolgono, su richiesta dell'autorità giudiziaria, le inchieste utili a fornire i dati occorrenti per l'applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza; b) svolgono le indagini socio-familiari per l'applicazione delle misure alternative alla detenzione ai condannati; c) propongono all'autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare; d) controllano l'esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative, ne riferiscono all'autorità giudiziaria, proponendo eventuali interventi di modificazione o di revoca; e) su richiesta delle direzioni degli istituti penitenziari, prestano consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario; f) svolgono ogni altra attività prescritta dalla legge e dal regolamento.



Art. 6
(Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354 e al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230)

L’articolo 6 introduce modifiche alla disciplina dell’affidamento in prova al servizio sociale dettata dall’art. 47 dell’ordinamento penitenziario (L. 354/1975)e a quella relativa alle modalità d’ingresso in carcere di cui all’art. 23 del regolamento di esecuzione della legge 354/1975 (DPR 230 del 2000).

In particolare, all’art. 47 OP sono aggiunti:

§      un comma 5-bis che, come per la messa alla prova, subordina la concessione dell’affidamento al consenso dell’interessato alla prestazione del lavoro di pubblica utilità;

Secondo la relazione illustrativa, il “principio che si intende affermare è che la misura alternativa alla detenzione può essere concessa solo in presenza di una riparazione a favore della collettività”.

§      un comma 12-ter con cui è introdotta una causa ostativa per una seconda concessione dell’affidamento in prova, il fatto di avere usufruito per due volte della sospensione del procedimento con messa alla prova.

All’art. 23 del regolamento penitenziario è, invece, integrato il contenuto del primo comma prevedendo, in capo alla direzione dell’istituto carcerario, l’obbligo, all’ingresso in istituto, di rilevare al detenuto o all’internato anche l’impronta fonica nonché altri eventuali dati biometrici.

Detta norma prevede attualmente che, all’ingresso in istituto del detenuto o dell’internato, la direzione cura che questi sia sottoposto a perquisizione personale, al rilievo delle impronte digitali e che sia messo in grado di informare immediatamente i congiunti e le altre persone da essi eventualmente indicate[6] del loro ingresso in carcere (o dell'avvenuto trasferimento) con le modalità di cui all'articolo 62 (con mezzo postale ordinario o telegrafico). Il soggetto è sottoposto a visita medica non oltre il giorno successivo.

Nella normativa vigente manca una definizione di “dati biometrici”. Il riferimento ai medesimi dati è contenuto in alcune disposizioni in materia di documentazione amministrativa; da ultimo, l’articolo 66 del d.lgs. n. 82 del 2005 prevede che la carta d’identità elettronica possa contenere a richiesta dell’interessato, ove si tratti di dati sensibili, i dati biometrici indicati con il decreto di cui al comma 1, con esclusione in ogni caso del DNA. Il precedente D.P.C.M. n. 437 del 1999, adottato in attuazione dell’analoga disposizione in materia contenuta nell’art. 36 del D.P.R. n. 445 del 2000, a parte il riferimento alla statura (contemplata tra i dati identificativi della persona) non contiene alcuna esplicazione della nozione di “dati biometrici”.

In materia, si segnala che il Gruppo per la tutela dei dati personali (organo consultivo indipendente dell'UE, istituito a norma dell'articolo 29 della direttiva 95/46/CE) il 1° agosto 2003 ha adottato il documento di lavoro sulla biometria; in tale documento, i dati biometrici vengono definiti dati di carattere speciale in quanto riguardano le caratteristiche comportamentali e fisiologiche di un individuo e  tali da consentirne l'identificazione univoca del medesimo. Si ricorre al trattamento di dati biometrici nelle procedure automatizzate di autenticazione/verifica e di identificazione, in particolare per il controllo dell'accesso ad aree tanto fisiche quanto virtuali (accesso a determinati sistemi o servizi elettronici). Si possono distinguere due categorie principali di tecniche biometriche a seconda che vengano utilizzati dati stabili o dati comportamentali dinamici.

Esistono, in primo luogo, tecniche di tipo fisico e fisiologico che misurano le caratteristiche fisiologiche di una persona. Esse comprendono: la verifica delle impronte digitali, l'analisi dell'immagine delle dita, il riconoscimento dell'iride, l'analisi della retina, il riconoscimento del volto, la geometria della mano, il riconoscimento della forma dell'orecchio, il rilevamento dell'odore del corpo, il riconoscimento vocale, l'analisi della struttura del DNA, l'analisi dei pori della pelle ecc.. In secondo luogo esistono tecniche di tipo comportamentale che misurano il comportamento di una persona. Esse comprendono la verifica della firma manoscritta, l'analisi della battitura su tastiera, l'analisi dell'andatura ecc.

 

A fronte della generica nozione di “dato biometrico”, la disposizione non definisce quali di tali dati devono essere rilevati dall’istituto né le tecniche per l’acquisizione dei medesimi, limitandosi a rinviare ad un D.M. del Ministero della giustizia per la determinazione delle modalità di raccolta e conservazione di tali dati.

Posto, inoltre, che la rilevazione di tali dati potrebbe anche presupporre l’analisi della struttura del DNA, sembra necessario un coordinamento con la legge n. 85 del 2009, che, in attuazione del Trattato di Prum, ha istituito la banca dati del DNA.

In proposito, si segnala che tale legge:

§      identifica diversamente le categorie sottoposte a prelievo di campione biologico ai fini dell’inserimento del profilo del DNA. In particolare l’articolo 9 della legge fa riferimento a soggetti detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile, per delitto non colposi, per i quali è consentito l’arresto obbligatorio in flagranza ed esclude talune categorie di reati;

§      prevede specifiche garanzie procedurali per la raccolta di tali campioni, affermando in generale il principio del rispetto della dignità, del decoro e della riservatezza di chi vi è sottoposto.

 

Si segnala inoltre che la medesima disposizione novella direttamente con legge una fonte di rango secondario.



Art. 7
(Modifiche alla legge 24 novembre 1981, n. 689)

L’articolo 7 novella l’art. 56, comma 1, della legge 689/1981 aggiungendo tra gli obblighi connessi alla libertà controllata anche quello di svolgere il lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 168-quinquies c.p.

 

La libertà controllata è, con la semidetenzione, una delle due sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi previste dalla legge 689/1981.

In particolare, il giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna, quando ritiene di dovere determinare la durata della pena detentiva entro il limite di un anno, può sostituirla con la libertà controllata (art. 53). La libertà controllata comporta in ogni caso (art. 56): 1) il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, salvo autorizzazione concessa di volta in volta ed esclusivamente per motivi di lavoro, di studio, di famiglia o di salute; 2) l'obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno, nelle ore fissate compatibilmente con gli impegni di lavoro o di studio del condannato, presso il locale ufficio di pubblica sicurezza o, in mancanza di questo, presso il comando dell'Arma dei carabinieri territorialmente competente; 3) il divieto di detenere a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se è stata concessa la relativa autorizzazione di polizia; 4) la sospensione della patente di guida; 5) il ritiro del passaporto, nonché la sospensione della validità, ai fini dell'espatrio, di ogni altro documento equipollente; 6) l'obbligo di conservare e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia e nel termine da essi fissato l'ordinanza emessa a norma dell'articolo 62 e l'eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena, adottato a norma dell'articolo 64.

 

Posto che lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità presuppone il consenso del condannato, occorre valutare se introdurre il riferimento a tale consenso, in mancanza del quale non può essere disposta la libertà controllata, anche nell’art. 56 della legge 689/1981 (così come previsto nel testo novellato dell’art. 47 O.P. per l’affidamento in prova ai servizi sociali).

 



Art. 8
(Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313)

 

L’articolo 8 del disegno di legge integra il contenuto dell’art. 3 del T.U. sul casellario giudiziale (DPR n. 313 del 2002) stabilendo che, nel casellario, vadano iscritti, per estratto, anche le ordinanze che dispongono la sospensione del procedimento penale con messa alla prova (art. 1, lett. i-bis).



Art. 9
(Regolamento)

L’articolo 9, infine, prevede l’adozione di due distinti decreti del Ministro della giustizia nel termine di 180 gg. dall’entrata in vigore del provvedimento.

Il primo di tali decreti (comma 1), da adottarsi di intesa con la Conferenza unificata, ha la funzione di individuare:

a) le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità;

b)  le funzioni esercitate dal D.A.P. (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) in materia di messa alla prova e lavoro di pubblica utilità.

 

Si ricorda che il DM 26 marzo 2001[7] disciplina lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità applicato, su richiesta dell’imputato, dal giudice di pace in sede penale.

Il secondo di tali provvedimenti (comma 2), adottato col concerto dei Ministri dell’interno e della difesa, sentito il Garante per la privacy, dovrà stabilire le modalità di raccolta e conservazione dei dati biometrici rilevati dalle direzioni degli istituti carcerari ai sensi del novellato art. 23 del regolamento penitenziario (art. 6, comma 2, del disegno di legge).



Art. 10
(Clausola di invarianza)

L’articolo 10 reca la clausola di invarianza finanziaria.

 

 





Codice penale
(artt. 102, 105, 108 e 385)

 

 

Art. 102.

Abitualità presunta dalla legge.

E' dichiarato delinquente abituale (1) chi, dopo essere stato condannato [c.p. 103, 106, 107, 109] alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi [c.p. 43], della stessa indole [c.p. 101], commessi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta un'altra condanna per un delitto, non colposo, della stessa indole, e commesso entro dieci anni successivi all'ultimo dei delitti precedenti.

Nei dieci anni indicati nella disposizione precedente non si computa il tempo in cui il condannato ha scontato pene detentive o è stato sottoposto a misure di sicurezza detentive [c.p. 151, 215, 216] (2).

 

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(1) In materia di contrabbando vedi l'art. 83, L. 17 luglio 1942, n. 907, e gli artt. 297, 299, 342, D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43. Vedi, anche, l'art. 11, n. 2, R.D. 18 giugno 1931, n. 773, di approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nonché l'art. 9, primo comma, L. 18 aprile 1975, n. 110, sul controllo di armi, munizioni ed esplosivi.

(2) Alla eventuale revoca della dichiarazione di delinquenza abituale professionale o per tendenza provvede il magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art. 69, quarto comma, L. 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario. La Corte costituzionale, con sentenza 21-28 novembre 1972, n. 168 (Gazz. Uff. 6 dicembre 1972, n. 317), ha dichiarato, tra l'altro, non fondate le questioni di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 27, terzo comma, Cost. La stessa Corte, con sentenza 24-30 gennaio 1974, n. 19 (Gazz. Uff. 6 febbraio 1974, n. 35), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost.; con sentenza 15-22 giugno 1976, n. 143 (Gazz. Uff. 30 giugno 1976, n. 170), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all'art. 111, comma primo, Cost. e con sentenza 8-27 luglio 1982, n. 140 (Gazz. Uff. 4 agosto 1982, n. 213), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento all'art. 25 Cost.

 

 

Art. 105.

Professionalità nel reato. (1)

Chi, trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità [c.p. 102, 103], riporta condanna [c.p. 106, 107] per un altro reato, è dichiarato [c.p. 109] delinquente o contravventore professionale [c.p.p. 314] qualora, avuto riguardo alla natura dei reati, alla condotta e al genere di vita del colpevole e alle altre circostanze indicate nel capoverso dell'articolo 133, debba ritenersi che egli viva abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato [c.p. 151, 164, n. 1, 179, 216, 230, n. 3] (2).

 

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(1) Alla eventuale revoca della dichiarazione di delinquenza abituale professionale o per tendenza provvede il magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art. 69, quarto comma, L. 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario. Vedi gli artt. 298, 299 e 342, D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, in materia doganale.

(2) Vedi l'art. 11, n. 2, R.D. 18 giugno 1931, n. 773, di approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, e gli artt. 4, lett. c, 7, R.D. 18 giugno 1931, n. 778, per il servizio del casellario giudiziale e l'art. 84, L. 17 luglio 1942, n. 907, sul monopolio di sali e tabacchi. La Corte costituzionale, con sentenza 24-30 gennaio 1974, n. 19 (Gazz. Uff. 6 febbraio 1974, n. 35), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata la questione di legittimità del presente articolo, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost.

 

 

Art. 108.

Tendenza a delinquere.

E' dichiarato [c.p. 109] delinquente per tendenza chi, sebbene non recidivo [c.p. 99] o delinquente abituale [c.p. 102, 103, 104, 151] o professionale [c.p. 105], commette un delitto non colposo [c.p. 43], contro la vita o l'incolumità individuale, anche non preveduto dal capo primo del titolo dodicesimo del libro secondo di questo codice [c.p. 575], il quale, per sé e unitamente alle circostanze indicate nel capoverso dell'art. 133, riveli una speciale inclinazione al delitto, che trovi sua causa nell'indole particolarmente malvagia del colpevole (1).

La disposizione di questo articolo non si applica se l'inclinazione al delitto è originata dall'infermità preveduta dagli articoli 88 e 89 (2).

 

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(1) Vedi l'art. 11, n. 2, R.D. 18 giugno 1931, n. 773, di approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza; nonché l'art. 7, R.D. 18 giugno 1931, n. 778, per il servizio del casellario giudiziale e l'art. 9, primo comma, L. 18 aprile 1975, n. 110, sul controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi.

(2) Alla eventuale revoca della dichiarazione di delinquenza abituale professionale o per tendenza provvede il magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art. 69, quarto comma, L. 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario.

(omissis)

Capo II

Dei delitti contro l'autorità delle decisioni giudiziarie

 

Art. 385.

Evasione.

Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade [c.p. 214] è punito con la reclusione da sei mesi ad un anno.

La pena è della reclusione da uno a tre anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da tre a cinque anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite [c.p. 29, 32, 112, 386, 586].

Le disposizioni precedenti si applicano anche all'imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale (1).

Quando l'evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita [c.p. 65] (2).

 

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(1) Comma così sostituito dall'art. 29, L. 12 agosto 1982, n. 532, recante provvedimenti sulla libertà personale.

(2) Articolo così sostituito dall'art. 15, L. 12 gennaio 1977, n. 1, sull'ordinamento penitenziario. L'art. 3, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, in L. 12 luglio 1991, n. 203, in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa, così dispone: «È consentito l'arresto anche fuori dei casi di flagranza della persona che ha posto in essere una condotta punibile a norma dell'articolo 385 del codice penale. Nell'udienza di convalida il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone l'applicazione di una delle misure coercitive previste dalla legge anche al di fuori dei limiti previsti dall'articolo 280 del codice di procedura penale». La Corte costituzionale, con sentenza 7-15 marzo 1994, n. 87 (Gazz. Uff. 23 marzo 1994, n. 13 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del quarto comma del presente articolo in riferimento all'art. 3 Cost.



Codice procedura penale
(artt. 555 e 656)

 

Art. 555.

Udienza di comparizione a seguito della citazione diretta.

1. Almeno sette giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione, le parti devono, a pena di inammissibilità, depositare in cancelleria le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell'articolo 210 di cui intendono chiedere l'esame.

2. Prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l'imputato o il pubblico ministero può presentare la richiesta prevista dall'articolo 444, comma 1; l'imputato, inoltre, può richiedere il giudizio abbreviato o presentare domanda di oblazione.

3. Il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, verifica se il querelante è disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione.

4. Se deve procedersi al giudizio, le parti, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, indicano i fatti che intendono provare e chiedono l'ammissione delle prove; inoltre, le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva.

5. Per tutto ciò che non è espressamente previsto si osservano le disposizioni contenute nel libro settimo, in quanto compatibili (1).

 

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(1) L'intero libro VIII, originariamente composto dagli articoli da 549 a 567, è stato così sostituito, con gli attuali articoli da 549 a 559, ai sensi dell'art. 44, L. 16 dicembre 1999, n. 479. Il testo dell'art. 555, come modificato dall'art. 2, L. 16 luglio 1997, n. 234 (Gazz. Uff. 25 luglio 1997, n. 234) e dall'art. 192, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Gazz. Uff. 20 marzo 1998, n. 66, S.O.), con effetto dal 2 giugno 1999, in virtù di quanto disposto dall'art. 247, dello stesso decreto, come modificato dall'art. 1, L. 16 giugno 1998, n. 188, così disponeva: «Decreto di citazione a giudizio.

1. Il decreto di citazione a giudizio contiene:

a) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private, con l'indicazione dei difensori;

b) l'indicazione della persona offesa, qualora risulti identificata;

c) l'enunciazione del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge;

d) l'indicazione del giudice competente per il giudizio nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia;

e) l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato può chiedere, mediante richiesta depositata nell'ufficio del pubblico ministero entro quindici giorni dalla notificazione, il giudizio abbreviato ovvero l'applicazione della pena a norma dell'articolo 444 ovvero presentare domanda di oblazione;

f) l'avviso che l'imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore d'ufficio;

g) l'avviso che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato nella segreteria del pubblico ministero e che le parti e i loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia;

h) la data e la sottoscrizione del pubblico ministero e dell'ausiliario che lo assiste.

2. Il decreto è nullo se non è preceduto dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'articolo 375, comma 3, ovvero se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dal comma 1 lettere c), d), f).

3. Il decreto è notificato all'imputato e al suo difensore almeno quarantacinque giorni prima della data fissata per il giudizio».

In merito a tale formulazione la Corte costituzionale si è così pronunciata: con sentenza 12-19 gennaio 1993, n. 10 (Gazz. Uff. 27 gennaio 1993, n. 4 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità del terzo comma, nella parte in cui non prevede che il decreto di citazione a giudizio debba essere notificato all'imputato straniero, che non conosce la lingua italiana, anche nella traduzione nella lingua da lui compresa; con sentenza 12-19 gennaio 1995, n. 27 (Gazz. Uff. 25 gennaio 1995, n. 4 - Prima serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità del comma 2, in relazione all'art. 414 del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 24 Cost.; con sentenza 23 novembre-11 dicembre 1995, n. 497 (Gazz. Uff. 20 dicembre 1995, n. 52, Prima serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del secondo comma nella parte in cui non prevede la nullità del decreto di citazione a giudizio per mancanza o insufficiente indicazione del requisito previsto dal comma 1, lettera e).

 

 

Art. 656.

Esecuzione delle pene detentive.

1. Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione. Copia dell'ordine è consegnata all'interessato.

2. Se il condannato è già detenuto, l'ordine di esecuzione è comunicato al Ministro di grazia e giustizia e notificato all'interessato.

3. L'ordine di esecuzione contiene le generalità della persona nei cui confronti deve essere eseguito e quant'altro valga a identificarla, l'imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie all'esecuzione. L'ordine è notificato al difensore del condannato.

4. L'ordine che dispone la carcerazione è eseguito secondo le modalità previste dall'articolo 277.

5. Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione. L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l'avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all'articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 dello stesso testo unico. L'avviso informa altresì che, ove non sia presentata l'istanza o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico, l'esecuzione della pena avrà corso immediato (1).

6. L'istanza deve essere presentata dal condannato o dal difensore di cui al comma 5 ovvero allo scopo nominato dal pubblico ministero, il quale la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero. Se l'istanza non è corredata dalla documentazione utile, questa, salvi i casi di inammissibilità, può essere depositata nella cancelleria del tribunale di sorveglianza fino a cinque giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'articolo 666, comma 3. Resta salva, in ogni caso, la facoltà del tribunale di sorveglianza di procedere anche d'ufficio alla richiesta di documenti o di informazioni, o all'assunzione di prove a norma dell'articolo 666, comma 5. Il tribunale di sorveglianza decide entro quarantacinque giorni dal ricevimento dell'istanza (2).

7. La sospensione dell'esecuzione per la stessa condanna non può essere disposta più di una volta, anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in ordine a diversa misura alternativa, sia in ordine alla medesima, diversamente motivata, sia in ordine alla sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.

8. Salva la disposizione del comma 8-bis, qualora l'istanza non sia tempestivamente presentata, o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell'esecuzione (3). Il pubblico ministero provvede analogamente quando l'istanza presentata è inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, nonché, nelle more della decisione del tribunale di sorveglianza, quando il programma di recupero di cui all'articolo 94 del medesimo testo unico non risulta iniziato entro cinque giorni dalla data di presentazione della relativa istanza o risulta interrotto (4). A tal fine il pubblico ministero, nel trasmettere l'istanza al tribunale di sorveglianza, dispone gli opportuni accertamenti (5).

8-bis. Quando è provato o appare probabile che il condannato non abbia avuto effettiva conoscenza dell'avviso di cui al comma 5, il pubblico ministero può assumere, anche presso il difensore, le opportune informazioni, all'esito delle quali può disporre la rinnovazione della notifica (6).

9. La sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta:

a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 423-bis, 624, quando ricorrono due o più circostanze tra quelle indicate dall’articolo 625, 624-bis del codice penale, e per i delitti in cui ricorre l’aggravante di cui all’articolo 61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni (7);

b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva;

c) nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale» (8) (9).

10. Nella situazione considerata dal comma 5, se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il pubblico ministero sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda alla eventuale applicazione di una delle misure alternative di cui al comma 5. Fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli adempimenti previsti dall'articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, provvede in ogni caso il magistrato di sorveglianza (10) (11).

 

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(1) Comma così modificato dall'art. 10, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4 e poi dall'art. 4-undevicies, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, con L. 21 febbraio 2006, n. 49.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «5. Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni ovvero a quattro anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l'esecuzione. L'ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l'avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all'articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'articolo 90 dello stesso testo unico. L'avviso informa altresì che, ove non sia presentata l'istanza nonché la certificazione da allegare ai sensi degli articoli 91, comma 2, e 94, comma 1, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, l'esecuzione della pena avrà corso immediato».

(2) Comma così modificato dall'art. 10, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4 e poi dall'art. 4-undevicies, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, con L. 21 febbraio 2006, n. 49. La Corte costituzionale, con sentenza 10-12 giugno 2009, n. 178 (Gazz. Uff. 17 giugno 2009, n. 24 - Prima Serie speciale), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità del presente comma, in riferimento agli articoli 25, primo comma, 111, secondo comma, e 97, primo comma, Cost.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «6. L'istanza deve essere presentata dal condannato o dal difensore di cui al comma 5 ovvero allo scopo nominato dal pubblico ministero, il quale la trasmette, unitamente alla documentazione, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero. Se l'istanza non è corredata dalla documentazione prescritta o necessaria, questa può essere depositata nella cancelleria del tribunale di sorveglianza fino a cinque giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'articolo 666, comma 3. Resta salva, in ogni caso, la facoltà del tribunale di sorveglianza di procedere anche d'ufficio alla richiesta di documenti o di informazioni, o all'assunzione di prove a norma dell'articolo 666, comma 5. Il tribunale di sorveglianza decide entro quarantacinque giorni dal ricevimento dell'istanza».

(3) Comma così modificato dall'art. 10, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «8. Qualora l'istanza non sia tempestivamente presentata, o il tribunale di sorveglianza la dichiari inammissibile o la respinga, il pubblico ministero revoca immediatamente il decreto di sospensione dell'esecuzione».

(4) Periodo aggiunto dall'art. 4-undevicies, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, con L. 21 febbraio 2006, n. 49.

(5) Periodo aggiunto dall'art. 4-undevicies, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, con L. 21 febbraio 2006, n. 49.

(6) Comma aggiunto dall'art. 10, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4.

(7) Lettera così modificata prima dall'art. 4-undevicies, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, con L. 21 febbraio 2006, n. 49 e poi dalla lettera m) del comma 1 dell'art. 2, D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in legge, con modificazioni, con L. 24 luglio 2008, n. 125.

Il testo della presente lettera prima delle modifiche disposte dalla suddetta legge di conversione n. 125 del 2008 era il seguente:

«a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 423-bis, 600-bis, 624-bis, e 628 del codice penale, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.».

Il testo della presente lettera in vigore prima della modifica disposta dal citato D.L. n. 92 del 2008 era il seguente:

«a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.».

Il testo in vigore prima della modifica disposta dal citato decreto-legge n. 272 del 2005 era il seguente:

«a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni.».

(8) Sui limiti di applicabilità delle disposizioni della presente lettera vedi l'art. 4, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272.

(9) Comma così sostituito dall'art. 9, L. 5 dicembre 2005, n. 251.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente:«9. La sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta:

a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni;

b) nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere nel momento in cui la sentenza diviene definitiva.».

(10) Comma così modificato dall'art. 10, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4.

Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «10. Nella situazione considerata dal comma 5, se il condannato si trova agli arresti domiciliari per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il pubblico ministero sospende l'esecuzione dell'ordine di carcerazione e trasmette gli atti senza ritardo al tribunale di sorveglianza perché provveda, senza formalità, all'eventuale applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare. Fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti. Agli adempimenti previsti dall'articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, provvede in ogni caso il magistrato di sorveglianza». Di tale formulazione la Corte costituzionale, con sentenza 27 ottobre-4 novembre 1999, n. 422 (Gazz. Uff. 10 novembre 1999, n. 45 - Prima serie speciale), aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità in riferimento agli artt. 24 3 e 27 Cost.

(11) Articolo così sostituito dall'art. 1, L. 27 maggio 1998, n. 165. Vedi gli artt. da 89 a 95, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, di approvazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, nonché la L. 15 dicembre 1990, n. 395, sull'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria ed il D.Lgs. 30 ottobre 1992, n. 443.

Il testo dell'articolo precedentemente in vigore così disponeva: «Esecuzione delle pene detentive.

1. Quando deve essere eseguita una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero emette ordine di esecuzione con il quale, se il condannato non è detenuto, ne dispone la carcerazione. Copia dell'ordine è consegnata all'interessato.

2. Se la pena non è superiore a sei mesi e non vi è pericolo di fuga, il pubblico ministero fa notificare al condannato ordine di esecuzione con l'ingiunzione di costituirsi in carcere entro cinque giorni. Se il condannato non si costituisce nel termine predetto, il pubblico ministero dispone la carcerazione.

3. Se il condannato è già detenuto, l'ordine di esecuzione è comunicato al ministro di grazia e giustizia e notificato all'interessato.

4. L'ordine di esecuzione contiene le generalità della persona nei cui confronti il provvedimento deve essere eseguito e quanto altro valga a identificarla, l'imputazione, il dispositivo del provvedimento e le disposizioni necessarie alla esecuzione. L'ordine è notificato al difensore del condannato.

5. L'ordine che dispone la carcerazione è eseguito secondo le modalità previste dall'articolo 277».



L. 26 luglio 1975, n. 354.
Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

(artt. 4-bis, 14-bis, 14-ter, 47, 47-ter, 51-bis, 51-ter, 56, 58, 58-quater, 69-bis, 72)

 

 

(1) (2)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 9 agosto 1975, n. 212, S.O.

(2)  Vedi, anche, la L. 10 ottobre 1986, n. 663.

 

 

Art. 4-bis.

Divieto di concessione dei benefìci e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti (3).

1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell'articolo 58-ter della presente legge: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-octies, e 630 del codice penale, all'articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Sono fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies e 17-bis del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni (4) .

1-bis. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno dei delitti ivi previsti, purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, altresì nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall'articolo 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall'articolo 114 ovvero dall'articolo 116, secondo comma, del codice penale (5).

1-ter. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, secondo e terzo comma, 600-ter, terzo comma, 600-quinquies, 628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice penale, all'articolo 291-ter del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, all'articolo 73 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, del medesimo testo unico, all’articolo 416, primo e terzo comma, del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474 del medesimo codice, e all'articolo 416 del codice penale, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del medesimo codice, dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale e dall'articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni (6).

1-quater. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies del codice penale solo sulla base dei risultati dell'osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell'articolo 80 della presente legge. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano in ordine al delitto previsto dall'articolo 609-bis del codice penale salvo che risulti applicata la circostanza attenuante dallo stesso contemplata (7).

2. Ai fini della concessione dei benefìci di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell'istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.

2-bis. Ai fini della concessione dei benefìci di cui al comma 1-ter, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni (8).

3. Quando il comitato ritiene che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali (9).

3-bis. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunica, d'iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3 (10) (11) (12).

 

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(3)  Rubrica così sostituita dall'art. 15, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

(4) Comma sostituito dall'art. 15, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, modificato dall'art. 11, D.L. 24 novembre 2000, n. 341, dall'art. 6, L. 19 marzo 2001, n. 92 e dall'art. 12, comma 3- sexies del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, inserito dall'art. 11, comma 1, L. 30 luglio 2002, n. 189, sostituito dall'art. 1, L. 23 dicembre 2002, n. 279, modificato dall'art. 15, L. 6 febbraio 2006, n. 38, sostituito, con gli attuali commi da 1 a 1-quater, dall'art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione e, da ultimo, così modificato dal n. 1) della lettera a) del comma 27 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.

In relazione al testo precedentemente in vigore la Corte costituzionale, con sentenza 19-27 luglio 1994, n. 357 (Gazz. Uff. 3 agosto 1994, n. 32 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo comma, secondo periodo, nella parte in cui non prevede che i benefici di cui al primo periodo del medesimo comma possano essere concessi anche nel caso in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, come accertata nella sentenza di condanna, renda impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. La stessa Corte, con sentenza 22 febbraio-1° marzo 1995, n. 68 (Gazz. Uff. 8 marzo 1995, n. 10 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis, primo comma, secondo periodo, come sostituito dall'art. 15, D.L. 8 giugno 1992, n. 306, nella parte in cui non prevede che i benefìci di cui al primo periodo del medesimo comma possano essere concessi anche nel caso in cui l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile renda impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata; con sentenza 11-14 dicembre 1995, n. 504 (Gazz. Uff. 20 dicembre 1995, n. 52 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui prevede che la concessione di ulteriori permessi premio sia negata nei confronti dei condannati per i delitti indicati nel primo periodo del comma 1 dello stesso art. 4-bis, che non si trovino nelle condizioni per l'applicazione dell'art. 58-ter della L. 26 luglio 1975, n. 354, anche quando essi ne abbiano già fruito in precedenza e non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata. Con altra sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 445 (Gazz. Uff. 7 gennaio 1998, n. 1, Serie speciale), la stessa Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che il beneficio della semilibertà possa essere concesso nei confronti dei condannati che, prima della data di entrata in vigore dell'art. 15, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata; con sentenza 14-22 aprile 1999, n. 137 (Gazz. Uff. 28 aprile 1999, n. 17 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore dell'art. 15, comma 1, del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.

(5) Comma aggiunto dall'art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

(6) Comma aggiunto dall'art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione, e poi così modificato dal comma 6 dell’art. 15, L. 23 luglio 2009, n. 99.

(7) Comma aggiunto dall'art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione, e poi così modificato dal n. 2) della lettera a) del comma 27 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.

(8)  Comma aggiunto dall'art. 1, D.L. 14 giugno 1993, n. 187 e poi così modificato dall'art. 1, L. 23 dicembre 2002, n. 279 e dall'art. 3, D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, come sostituito dalla relativa legge di conversione.

(9)  Articolo aggiunto dall'art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152.

(10)  Comma aggiunto dall'art. 15, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

(11)  La Corte costituzionale, con ordinanza 5-23 luglio 2001, n. 280 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis sollevata in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Cost.

(12)  La Corte costituzionale, con ordinanza 12-25 luglio 2001, n. 307 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis, inserito dall'art. 1 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152 convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, come modificato dall'art. 15 del D.L. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Cost.

La stessa Corte con altra ordinanza 12-25 luglio 2001, n. 308 (Gazz. Uff. 1° agosto 2001, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4- bis, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Cost.

 

 

Art. 14-bis.

Regime di sorveglianza particolare.

1. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte in misura non superiore ogni volta a tre mesi, i condannati, gli internati e gli imputati:

a) che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti;

b) che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati;

c) che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti.

2. Il regime di cui al precedente comma 1 è disposto con provvedimento motivato dell'amministrazione penitenziaria previo parere del consiglio di disciplina, integrato da due degli esperti previsti dal quarto comma dell'articolo 80.

3. Nei confronti degli imputati il regime di sorveglianza particolare è disposto sentita anche l'autorità giudiziaria che procede.

4. In caso di necessità ed urgenza l'amministrazione può disporre in via provvisoria la sorveglianza particolare prima dei pareri prescritti, che comunque devono essere acquisiti entro dieci giorni dalla data del provvedimento. Scaduto tale termine l'amministrazione, acquisiti i pareri prescritti, decide in via definitiva entro dieci giorni decorsi i quali, senza che sia intervenuta la decisione, il provvedimento provvisorio decade.

5. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare, fin dal momento del loro ingresso in istituto, i condannati, gli internati e gli imputati, sulla base di precedenti comportamenti penitenziari o di altri concreti comportamenti tenuti, indipendentemente dalla natura dell'imputazione, nello stato di libertà. L'autorità giudiziaria segnala gli eventuali elementi a sua conoscenza all'amministrazione penitenziaria che decide sull'adozione dei provvedimenti di sua competenza.

6. Il provvedimento che dispone il regime di cui al presente articolo è comunicato immediatamente al magistrato di sorveglianza ai fini dell'esercizio del suo potere di vigilanza (18).

 

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(18)  Articolo aggiunto dall'art. 1, L. 10 ottobre 1986, n. 663.

 

 

Art. 14-ter.

Reclamo.

1. Avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare può essere proposto dall'interessato reclamo al tribunale di sorveglianza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo. Il reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento.

2. Il tribunale di sorveglianza provvede con ordinanza in camera di consiglio entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo.

3. Il procedimento si svolge con la partecipazione del difensore e del pubblico ministero. L'interessato e l'amministrazione penitenziaria possono presentare memorie.

4. Per quanto non diversamente disposto si applicano le disposizioni del capo II-bis del titolo II (19) (20) (21) (22).

 

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(19)  Articolo aggiunto dall'art. 2, L. 10 ottobre 1986, n. 663.

(20)  La Corte costituzionale, con sentenza 8-16 febbraio 1993, n. 53 (Gazz. Uff. 24 febbraio 1993, n. 9 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 14-ter, primo, secondo e terzo comma e dell'art. 30-bis, nella parte in cui non consentono l'applicazione degli artt. 666 e 678 c.p.p. nel procedimento di reclamo avverso il decreto del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della detenzione il periodo trascorso in permesso-premio.

(21)  La Corte costituzionale, con sentenza 14-18 ottobre 1996, n. 351 (Gazz. Uff. 23 ottobre 1996, n. 43, Serie speciale), ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis, secondo comma, e dell'art. 14-ter, sollevata in riferimento agli artt. 13, secondo comma, 3, primo comma, 27, terzo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione. Con successiva sentenza 26 novembre-5 dicembre 1997, n. 376 (Gazz. Uff. 10 dicembre 1997, n. 50, Serie speciale), la stessa Corte ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis comma 2, e dell'art. 14-ter, sollevate in riferimento agli artt. 3, 13, 24, 25, 27, secondo e terzo comma, e 113 della Costituzione. Successivamente la Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla stessa questione, con ordinanza 20-26 maggio 1998, n. 192 (Gazz. Uff. 3 giugno 1998, n. 22, Serie speciale), ne ha dichiarato la manifesta infondatezza.

(22) La Corte costituzionale, con sentenza 8 - 23 ottobre 2009, n. 266 (Gazz. Uff. 28 ottobre 2009, n. 43, 1ª Serie speciale), ha dichiarato, fra l’altro, inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14-ter, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, primo comma, 27, terzo comma, 97, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 113 della Costituzione, «ed ai principi generali sulla giurisdizione».

 

 

Capo VI

Misure alternative alla detenzione e remissione del debito

 

Art. 47.

Affidamento in prova al servizio sociale.

1. Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell'istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare (87).

2. Il provvedimento è adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.

3. L'affidamento in prova al servizio sociale può essere disposto senza procedere all'osservazione in istituto quando il condannato, dopo la commissione del reato, ha serbato comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2 (88) (89).

4. Se l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo dell'esecuzione, cui l'istanza deve essere rivolta, può sospendere l'esecuzione della pena e ordinare la liberazione del condannato, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga. La sospensione dell'esecuzione della pena opera sino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti, e che decide entro quarantacinque giorni. Se l'istanza non è accolta, riprende l'esecuzione della pena, e non può essere accordata altra sospensione, quale che sia l'istanza successivamente proposta (90) (91).

5. All'atto dell'affidamento è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro.

6. Con lo stesso provvedimento può essere disposto che durante tutto o parte del periodo di affidamento in prova il condannato non soggiorni in uno o più comuni, o soggiorni in un comune determinato; in particolare sono stabilite prescrizioni che impediscano al soggetto di svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati.

7. Nel verbale deve anche stabilirsi che l'affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare.

8. Nel corso dell'affidamento le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza.

9. Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita.

10. Il servizio sociale riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto (92).

11. L'affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.

12. L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale. Il tribunale di sorveglianza, qualora l'interessato si trovi in disagiate condizioni economiche, può dichiarare estinta anche la pena pecuniaria che non sia stata già riscossa (93) (94) (95).

12-bis. All'affidato in prova al servizio sociale che abbia dato prova nel periodo di affidamento di un suo concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità, può essere concessa la detrazione di pena di cui all'articolo 54. Si applicano gli articoli 69, comma 8, e 69-bis nonché l'articolo 54, comma 3 (96) (97).

 

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(87)  La Corte costituzionale, con sentenza 4-11 luglio 1989, n. 386 (Gazz. Uff. 19 luglio 1989, n. 28 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 47, primo comma, così come sostituito dall'art. 11, L. 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevede che nel computo delle pene, ai fini della determinazione del limite dei tre anni, non si debba tener conto anche della pena espiata. Per l'interpretazione autentica del comma 1 dell'art. 47, vedi l'art. 14-bis, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

(88)  La Corte costituzionale, con riferimento alla disposizione precedente alla sostituzione disposta dall'art. 3, L. 27 maggio 1998, n. 165, con sentenza 13-22 dicembre 1989, n. 569 (Gazz. Uff. 27 dicembre 1989, n. 52 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47, terzo comma, nella parte in cui non prevede che, anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare, il condannato possa essere ammesso all'affidamento in prova al servizio sociale se, in presenza delle altre condizioni, abbia serbato un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al precedente comma 2 dello stesso articolo.

(89)  Comma così sostituito dall'art. 2, L. 27 maggio 1998, n. 165.

(90)  Comma così sostituito dall'art. 2, L. 27 maggio 1998, n. 165.

(91)  La Corte costituzionale, con ordinanza 14-28 luglio 1999, n. 375 (Gazz. Uff. 4 agosto 1999, n. 31, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, comma 4, come sostituito, da ultimo, dall'art. 2 della legge 27 maggio 1998, n. 165, sollevata in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, 27, terzo comma, 101 e 112 della Costituzione, e dell'art. 47-ter, comma 1-quater, aggiunto dall'art. 4 della predetta legge n. 165 del 1998, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione. La stessa Corte con successiva ordinanza 17-29 dicembre 2008, n. 446 (Gazz. Uff. 7 gennaio 2009, n. 1, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, comma 4, come sostituito dall'art. 2 della legge 27 maggio 1998, n. 165 sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

(92)  La Corte costituzionale, con sentenza 15 ottobre 1987, n. 343 (Gazz. Uff. 4 novembre 1987, n. 46 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del decimo comma dell'art. 47 nella parte in cui - in caso di revoca del provvedimento di ammissione all'affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova - non consente al Tribunale di sorveglianza di determinare la residua pena detentiva da espiare, tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il trascorso periodo di affidamento in prova.

(93)  Comma così modificato dall'art. 4-vicies semel, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

(94)  Articolo prima modificato dall'art. 4, L. 12 gennaio 1977, n. 1 (Gazz. Uff. 18 gennaio 1977, n. 15), dall'art. 7, L. 13 settembre 1982, n. 646 e dall'art. 4-bis, D.L. 22 aprile 1985, n. 144, e poi così sostituito dall'art. 11, L. 10 ottobre 1986, n. 663. In relazione al testo precedentemente in vigore, la Corte costituzionale aveva emesso due sentenze: con la prima (sent. 12-13 giugno 1985, n. 185) aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo in questione nella parte in cui non consentiva che valesse come espiazione di pena il periodo di affidamento in prova al servizio sociale, in caso di annullamento dei provvedimenti di ammissione; con la seconda (sent. 3 dicembre 1985, n. 312) aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del medesimo articolo nella parte in cui non prevedeva che valesse come espiazione di pena il periodo di affidamento al servizio sociale, nel caso di revoca del provvedimento di ammissione per motivi dipendenti dall'esito negativo della prova.

(95)  La Corte costituzionale, con ordinanza 17-24 giugno 1997, n. 199 (Gazz. Uff. 2 luglio 1997, n. 27, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, comma dodicesimo, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione.

(96)  Comma aggiunto dall'art. 3, L. 19 dicembre 2002, n. 277. Vedi, anche, l'art. 4 della stessa legge.

(97) La Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 78 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 - Prima serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 47, 48 e 50, ove interpretati nel senso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno, sia in ogni caso precluso l'accesso alle misure alternative da essi previste.

 

 

Art. 47-ter.

Detenzione domiciliare.

01. La pena della reclusione per qualunque reato, ad eccezione di quelli previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, e dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, dall' articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e dall'articolo 4-bis della presente legge, può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell'inizio dell'esecuzione della pena, o dopo l'inizio della stessa, abbia compiuto i settanta anni di età purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza né sia stato mai condannato con l'aggravante di cui all' articolo 99 del codice penale (100).

1. La pena della reclusione non superiore a quattro anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell'arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di:

a) donna incinta o madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente (101);

b) padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole;

c) persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presìdi sanitari territoriali;

d) persona di età superiore a sessanta anni, se inabile anche parzialmente;

e) persona minore di anni ventuno per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia (102).

1.1. Al condannato, al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall' articolo 99, quarto comma, del codice penale, può essere concessa la detenzione domiciliare se la pena detentiva inflitta, anche se costituente parte residua di maggior pena, non supera tre anni (103).

1-bis. La detenzione domiciliare può essere applicata per l'espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1 quando non ricorrono i presupposti per l'affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati. La presente disposizione non si applica ai condannati per i reati di cui all'articolo 4-bis e a quelli cui sia stata applicata la recidiva prevista dall' articolo 99, quarto comma, del codice penale (104).

1-ter. Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. L'esecuzione della pena prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare (105).

1-quater. Se l'istanza di applicazione della detenzione domiciliare è proposta dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza cui la domanda deve essere rivolta può disporre l'applicazione provvisoria della misura, quando ricorrono i requisiti di cui ai commi 1 e 1-bis. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 47, comma 4 (106) (107).

2. [La detenzione domiciliare non può essere concessa quando è accertata l'attualità di collegamenti del condannato con la criminalità organizzata o di una scelta di criminalità] (108).

3. [Se la condanna di cui al comma 1 deve essere eseguita nei confronti di persona che trovasi in stato di libertà o ha trascorso la custodia cautelare, o la parte terminale di essa, in regime di arresti domiciliari, si applica la procedura di cui al comma 4 dell'articolo 47] (109).

4. Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare, ne fissa le modalità secondo quanto stabilito dall'articolo 284 del codice di procedura penale. Determina e impartisce altresì le disposizioni per gli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la detenzione domiciliare (110).

4-bis. Nel disporre la detenzione domiciliare il tribunale di sorveglianza, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte delle autorità preposte al controllo, può prevedere modalità di verifica per l'osservanza delle prescrizioni imposte anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 275-bis del codice di procedura penale (111).

5. Il condannato nei confronti del quale è disposta la detenzione domiciliare non è sottoposto al regime penitenziario previsto dalla presente legge e dal relativo regolamento di esecuzione. Nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica del condannato che trovasi in detenzione domiciliare.

6. La detenzione domiciliare è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure.

7. Deve essere inoltre revocata quando vengono a cessare le condizioni previste nei commi 1 e 1-bis (112) (113).

8. Il condannato che, essendo in stato di detenzione nella propria abitazione o in un altro dei luoghi indicati nel comma 1, se ne allontana, è punito ai sensi dell'articolo 385 del codice penale. Si applica la disposizione dell'ultimo comma dello stesso articolo (114).

9. La denuncia per il delitto di cui al comma 8 importa la sospensione del beneficio e la condanna ne importa la revoca (115).

9-bis. Se la misura di cui al comma 1-bis è revocata ai sensi dei commi precedenti la pena residua non può essere sostituita con altra misura (116).

 

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(100)  Comma così premesso dall'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

(101) La Corte costituzionale, con sentenza 10-12 giugno 2009, n. 177 (Gazz. Uff. 17 giugno 2009, n. 24 - Prima Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 47-ter, commi 1, lettera a), seconda parte, e 8, nella parte in cui non limita la punibilità ai sensi dell'art. 385 del codice penale al solo allontanamento che si protragga per più di dodici ore, come stabilito dal comma 2, dell’art. 47-sexies, sul presupposto, di cui all'art. 47-quinquies, comma 1, che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.

(102)  L'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, ha sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1, 1-bis,1-ter e 1-quater. Successivamente l'art.7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, ha così sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1 e 1.1. In precedenza la Corte costituzionale, con sentenza 24 novembre-5 dicembre 2003, n. 350 (Gazz. Uff. 10 dicembre 2003, n. 49 - Prima serie speciale), aveva dichiarato l'illegittimità della lettera a) del presente comma, nella parte in cui non prevedeva la concessione della detenzione domiciliare anche nei confronti della madre condannata, e, nei casi previsti dalla lettera b) del presente comma, del padre condannato, conviventi con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante. La stessa Corte, con riferimento al testo vigente prima della sostituzione disposta dall'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, con sentenza 4-13 aprile 1990, n. 215 (Gazz. Uff. 18 aprile 1990, n. 16 - Serie speciale), aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 47-ter, primo comma, n. 1, nella parte in cui non prevedeva che la detenzione domiciliare, concedibile alla madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, potesse essere concessa, nelle stesse condizioni, anche al padre detenuto, qualora la madre fosse deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole.

(103)  Gli attuali commi 1 e 1.1 così sostituiscono il comma 1 ai sensi di quanto disposto dall'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

(104)  L'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, ha sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1, 1-bis,1-ter e 1-quater. Successivamente l'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione, ha così sostituito il presente comma 1-bis.

(105)  L'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, ha così sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1, 1-bis, 1-ter e 1-quater.

(106)  L'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165, ha così sostituito il comma 1 con gli attuali commi 1, 1-bis, 1-ter e 1-quater.

(107) La Corte costituzionale, con ordinanza 20 giugno-1° luglio 2005, n. 255 (Gazz. Uff. 6 luglio 2005, n. 27, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47-ter, comma 1-quater, introdotto dall'art. 4 della legge 27 maggio 1998, n. 165, sollevata in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione.

(108)  Comma abrogato dall'art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152.

(109)  Comma abrogato dall'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165.

(110)  Comma così modificato dall'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165.

(111)  Comma aggiunto dall'art. 17, D.L. 24 novembre 2000, n. 341. Vedi, anche gli artt. 18 e 19 dello stesso decreto.

(112)  Comma così modificato dall'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165.

(113)  La Corte costituzionale con sentenza 16-24 maggio 1996, n. 165 (Gazz. Uff. 29 maggio 1996, n. 22, Serie speciale), aveva dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della precedente formulazione dell'art. 47-ter, primo comma, numero 3, e settimo comma, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione.

(114) La Corte costituzionale, con sentenza 10-12 giugno 2009, n. 177 (Gazz. Uff. 17 giugno 2009, n. 24 - Prima Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 47-ter, commi 1, lettera a), seconda parte, e 8, nella parte in cui non limita la punibilità ai sensi dell'art. 385 del codice penale al solo allontanamento che si protragga per più di dodici ore, come stabilito dal comma 2, dell’art. 47-sexies, sul presupposto, di cui all'art. 47-quinquies, comma 1, che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.

(115)  Articolo aggiunto dall'art. 13, L. 10 ottobre 1986, n. 663. Pertanto, la Corte costituzionale, con sentenza 6-19 novembre 1991, n. 414 (Gazz. Uff. 27 novembre 1991, n. 47 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47-ter, nel testo introdotto dall'art. 13 della L. 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevede che la reclusione militare sia espiata in detenzione domiciliare quando trattasi di «persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i presìdi sanitari territoriali». Con sentenza 5-13 giugno 1997, n. 173 (Gazz. Uff. 18 giugno 1997, n. 25 - Serie speciale), la stessa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47-ter, ultimo comma, nella parte in cui fa derivare automaticamente la sospensione della detenzione domiciliare dalla presentazione di una denuncia per il reato previsto del comma 8 dello stesso articolo.

(116)  Comma aggiunto dall'art. 4, L. 27 maggio 1998, n. 165.

 

 

Art. 51-bis.

Sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà.

1. Quando durante l'attuazione dell'affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare o della detenzione domiciliare speciale o del regime di semilibertà sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il direttore dell'istituto penitenziario o il direttore del centro di servizio sociale informa immediatamente il magistrato di sorveglianza. Se questi, tenuto conto del cumulo delle pene, rileva che permangono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 47 o ai commi 1 e 1-bis dell'articolo 47-ter o ai commi 1 e 2 dell'articolo 47-quinquies o ai primi tre commi dell'articolo 50, dispone con decreto la prosecuzione provvisoria della misura in corso; in caso contrario dispone la sospensione della misura stessa. Il magistrato di sorveglianza trasmette quindi gli atti al tribunale di sorveglianza che deve decidere nel termine di venti giorni la prosecuzione o la cessazione della misura (130) (131).

 

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(130)  Articolo aggiunto dall'art. 15, L. 10 ottobre 1986, n. 663, e poi così modificato dall'art. 8, L. 8 marzo 2001, n. 40.

(131)  La Corte costituzionale, con ordinanza 3-7 aprile 2000, n. 96 (Gazz. Uff. 12 aprile 2000, n. 16, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 51-bis, sollevata in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 32 e 101, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte con successiva ordinanza 9 - 24 aprile 2003, n. 139 (Gazz. Uff. 30 aprile 2003, n. 17, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 51-bis sollevata in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.

 

 

Art. 51-ter.

Sospensione cautelativa delle misure alternative.

1. Se l'affidato in prova al servizio sociale o l'ammesso al regime di semilibertà o di detenzione domiciliare o di detenzione domiciliare speciale pone in essere comportamenti tali da determinare la revoca della misura, il magistrato di sorveglianza nella cui giurisdizione essa è in corso ne dispone con decreto motivato la provvisoria sospensione, ordinando l'accompagnamento del trasgressore in istituto. Trasmette quindi immediatamente gli atti al tribunale di sorveglianza per le decisioni di competenza. Il provvedimento di sospensione del magistrato di sorveglianza cessa di avere efficacia se la decisione del tribunale di sorveglianza non interviene entro trenta giorni dalla ricezione degli atti (132).

 

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(132)  Articolo aggiunto dall'art. 16, L. 10 ottobre 1986, n. 663, e poi così modificato dall'art. 8, L. 8 marzo 2001, n. 40.

 

 

Art. 56.

Remissione del debito.

[1. Il debito per le spese di procedimento e di mantenimento è rimesso nei confronti dei condannati e degli internati che si trovano in disagiate condizioni economiche e hanno tenuto regolare condotta ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 30-ter. La relativa domanda può essere proposta fino a che non sia conclusa la procedura per il recupero delle spese] (138) (139).

 

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(138)  Articolo così sostituito dall'art. 19, L. 10 ottobre 1986, n. 663 e successivamente abrogato dall'art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall'art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell'art. 302 dello stesso decreto. Vedi, ora, l'art. 6 del citato D.P.R. n. 115 del 2002. La Corte costituzionale, con sentenza 11-15 luglio 1991, n. 342 (Gazz. Uff. 24 luglio 1991, n. 29 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 56, nella parte in cui non prevede che, anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per custodia cautelare, al condannato possano essere rimesse le spese del procedimento se, in presenza del presupposto delle «disagiate condizioni economiche», abbia serbato in libertà una «condotta regolare».

(139)  La Corte costituzionale, con sentenza 7-17 luglio 1998, n. 271 (Gazz. Uff. 22 luglio 1998, n. 29, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56, come sostituito dall'art. 19, della legge 10 ottobre 1986, n. 663, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.

 

 

Art. 58.

Comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza.

Dei provvedimenti previsti dal presente capo ed adottati dal magistrato o dalla sezione di sorveglianza è data immediata comunicazione all'autorità provinciale di pubblica sicurezza a cura della cancelleria (141).

 

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(141)  Articolo così modificato dall'art. 299, D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dall'art. 299, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, con la decorrenza indicata nell'art. 302 dello stesso decreto.

 

 

Art. 58-quater.

Divieto di concessione di benefìci.

1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio, l'affidamento in prova al servizio sociale, nei casi previsti dall'articolo 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi al condannato che sia stato riconosciuto colpevole di una condotta punibile a norma dell' articolo 385 del codice penale (146).

2. La disposizione del comma 1 si applica anche al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa ai sensi dell'art. 47, comma 11, dell'art. 47-ter, comma 6, o dell'art. 51, primo comma (147) (148) (149).

3. Il divieto di concessione dei benefìci opera per un periodo di tre anni dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca indicato nel comma 2 (150).

4. I condannati per i delitti di cui agli articoli 289-bis e 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni (151).

5. Oltre a quanto previsto dai commi 1 e 3, l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI non possono essere concessi, o se già concessi sono revocati, ai condannati per taluni dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis, nei cui confronti si procede o è pronunciata condanna per un delitto doloso punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, commesso da chi ha posto in essere una condotta punibile a norma dell'articolo 385 del codice penale ovvero durante il lavoro all'esterno o la fruizione di un permesso premio o di una misura alternativa alla detenzione (152).

6. Ai fini dell'applicazione della disposizione di cui al comma 5, l'autorità che procede per il nuovo delitto ne dà comunicazione al magistrato di sorveglianza del luogo di ultima detenzione dell'imputato (153).

7. Il divieto di concessione dei benefìci di cui al comma 5 opera per un periodo di cinque anni dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca della misura (154).

7-bis. L'affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall'articolo 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi più di una volta al condannato al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall' articolo 99, quarto comma, del codice penale (155).

 

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(146)  Comma così sostituito dall'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 79 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità del presente comma, nella parte in cui non prevede che i benefici in esso indicati possano essere concessi, sulla base della normativa previgente, nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore della citata legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti.

(147)  La Corte costituzionale, con sentenza 22 novembre-1° dicembre 1999, n. 436 (Gazz. Uff. 9 dicembre 1999, n. 49, Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità del presente comma 2, nella parte in cui si riferisce ai minorenni.

(148)  La Corte costituzionale, con sentenza 27-31 maggio 1996, n. 181 (Gazz. Uff. 5 giugno 1996, n. 23, Serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 58-quater, commi 1 e 2, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. La stessa Corte con successiva ordinanza 19-26 giugno 2002, n. 289 (Gazz. Uff. 3 luglio 2002, n. 26, serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 58-quater comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.

(149)  La Corte costituzionale, con ordinanza 26 febbraio-9 marzo 2004, n. 87 (Gazz. Uff. 17 marzo 2004, n. 11, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 58-quater, commi 2 e 3, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione.

(150)  La Corte costituzionale, con ordinanza 26 febbraio-9 marzo 2004, n. 87 (Gazz. Uff. 17 marzo 2004, n. 11, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 58-quater, commi 2 e 3, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione.

(151)  Articolo aggiunto dall'art. 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione.

(152)  Comma aggiunto dall'art. 14, D.L. 8 giugno 1992, n. 306 e poi così modificato dalla lettera b) del comma 27 dell’art. 2, L. 15 luglio 2009, n. 94.

(153)  Comma aggiunto dall'art. 14, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

(154)  Comma aggiunto dall'art. 14, D.L. 8 giugno 1992, n. 306.

(155)  Comma aggiunto dall'art. 7, L. 5 dicembre 2005, n. 251 (Gazz. Uff. 7 dicembre 2005, n. 285), entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione. Successivamente, la Corte costituzionale, con sentenza 5-16 marzo 2007, n. 79 (Gazz. Uff. 21 marzo 2007, n. 12 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità del presente comma, nella parte in cui non prevede che i benefici in esso indicati possano essere concessi, sulla base della normativa previgente, nei confronti dei condannati che, prima della entrata in vigore della citata legge n. 251 del 2005, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti.

 

 

Art. 69-bis.

Procedimento in materia di liberazione anticipata.

1. Sull'istanza di concessione della liberazione anticipata, il magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza, adottata in camera di consiglio senza la presenza delle parti, che è comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nell'articolo 127 del codice di procedura penale.

2. Il magistrato di sorveglianza decide non prima di quindici giorni dalla richiesta del parere al pubblico ministero e anche in assenza di esso.

3. Avverso l'ordinanza di cui al comma 1 il difensore, l'interessato e il pubblico ministero possono, entro dieci giorni dalla comunicazione o notificazione, proporre reclamo al tribunale di sorveglianza competente per territorio.

4. Il tribunale di sorveglianza decide ai sensi dell'articolo 678 del codice di procedura penale. Si applicano le disposizioni del quinto e del sesto comma dell'articolo 30-bis.

5. Il tribunale di sorveglianza, ove nel corso dei procedimenti previsti dall'articolo 70, comma 1, sia stata presentata istanza per la concessione della liberazione anticipata, può trasmetterla al magistrato di sorveglianza (162) (163).

 

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(162)  Articolo aggiunto dall'art. 1, comma 2, L. 19 dicembre 2002, n. 277. Vedi, anche, quanto disposto dal comma 3 dello stesso articolo 1.

(163)  La Corte costituzionale, con ordinanza 24 novembre-5 dicembre 2003, n. 352 (Gazz. Uff. 10 dicembre 2003, n. 49, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 69-bis sollevata in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione. La stessa Corte, con successiva ordinanza 7-19 luglio 2005, n. 291 (Gazz. Uff. 27 luglio 2005, n. 30, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 69-bis aggiunto dall'art. 1, comma 2, della legge 19 dicembre 2002, n. 277 sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione.

 

 

Capo III

Esecuzione penale esterna ed assistenza (178)

 

Art. 72.

Uffici locali di esecuzione penale esterna.

1. Gli uffici locali di esecuzione penale esterna dipendono dal Ministero della giustizia e la loro organizzazione è disciplinata con regolamento adottato dal Ministro ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni.

2. Gli uffici:

a) svolgono, su richiesta dell'autorità giudiziaria, le inchieste utili a fornire i dati occorrenti per l'applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza;

b) svolgono le indagini socio-familiari per l'applicazione delle misure alternative alla detenzione ai condannati;

c) propongono all'autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare;

d) controllano l'esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative, ne riferiscono all'autorità giudiziaria, proponendo eventuali interventi di modificazione o di revoca;

e) su richiesta delle direzioni degli istituti penitenziari, prestano consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario;

f) svolgono ogni altra attività prescritta dalla legge e dal regolamento (179).

 

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(178)  Rubrica così sostituita dall'art. 3, comma 1, L. 27 luglio 2005, n. 154.

(179)  Articolo così sostituito dall'art. 3, comma 1, L. 27 luglio 2005, n. 154. Vedi, anche, il comma 2 dello stesso articolo 3.



L. 24 novembre 1981, n. 689.
Modifiche al sistema penale.

(art. 56)

 

 

(1) (2) (3)

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(1) Pubblicata nella Gazz. Uff. 30 novembre 1981, n. 329, S.O.

(2)  La presente legge reca molteplici modificazioni al codice penale ed a quello di procedura penale.

(3)  La Corte costituzionale, con ordinanza 24 marzo-2 aprile 1999, n. 117 (Gazz. Uff. 14 aprile 1999, n. 15, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della legge 24 novembre 1981, n. 689, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione.

 

 

Art. 56.

Libertà controllata.

La libertà controllata comporta in ogni caso:

1) il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, salvo autorizzazione concessa di volta in volta ed esclusivamente per motivi di lavoro, di studio, di famiglia o di salute;

2) l'obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno, nelle ore fissate compatibilmente con gli impegni di lavoro o di studio del condannato, presso il locale ufficio di pubblica sicurezza o, in mancanza di questo, presso il comando dell'Arma dei carabinieri territorialmente competente;

3) il divieto di detenere a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se è stata concessa la relativa autorizzazione di polizia;

4) la sospensione della patente di guida;

5) il ritiro del passaporto, nonché la sospensione della validità, ai fini dell'espatrio, di ogni altro documento equipollente;

6) l'obbligo di conservare e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia e nel termine da essi fissato l'ordinanza emessa a norma dell'articolo 62 e l'eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena, adottato a norma dell'articolo 64.

Nei confronti del condannato il magistrato di sorveglianza può disporre che i centri di servizio sociale previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354 , svolgano gli interventi idonei al suo reinserimento sociale (97).

Nei confronti del condannato tossicodipendente che abbia in corso un programma terapeutico residenziale o semiresidenziale presso una delle strutture di cui all'articolo 94 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, e che ne faccia richiesta, l'obbligo di cui al numero 2) del primo comma può essere sostituito dalla attestazione di presenza da parte del responsabile della struttura (98).

 

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(97)  Vedi, anche, gli artt. 56 e 62, D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274.

(98)  Comma aggiunto dall'art. 4-vicies bis, D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, nel testo integrato della relativa legge di conversione.



D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448.
Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.

(artt. 28 e 29)

 

(1) (2)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 24 ottobre 1988, n. 250, S.O.

(2)  Con D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 272, sono state emanate le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del presente decreto.

 

Art. 28.

Sospensione del processo e messa alla prova.

1. Il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all'esito della prova disposta a norma del comma 2. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo è sospeso il corso della prescrizione (26).

2. Con l'ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato.

3. Contro l'ordinanza possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore.

4. La sospensione non può essere disposta se l'imputato chiede il giudizio abbreviato o il giudizio immediato (27).

5. La sospensione è revocata in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte.

 

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(26)  Comma così modificato dall'art. 44, D.Lgs. 14 gennaio 1991, n. 12 (Gazz. Uff. 16 gennaio 1991, n. 13).

(27)  Con sentenza 5-14 aprile 1995, n. 125 (Gazz. Uff. 19 aprile 1995, n. 16 - Serie speciale), la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 28, comma 4, nella parte in cui prevede che la sospensione non può essere disposta se l'imputato chiede il giudizio abbreviato; ai sensi dell'art. 27, L. 11 marzo 1953, n. 87, ha dichiarato, inoltre, l'illegittimità dell'art. 28, comma 4, nella parte in cui prevede che la sospensione non può essere disposta se l'imputato chiede il giudizio immediato.

 

Art. 29.

Dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della prova.

1. Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia dato esito positivo. Altrimenti provvede a norma degli articoli 32 e 33.



D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281.
Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

(art. 8)

 

 

(1)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 30 agosto 1997, n. 202.

 

 

Capo III
Conferenza unificata

 

Art. 8.

Conferenza Stato-città ed autonomie locali e Conferenza unificata.

1. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane, con la Conferenza Stato-regioni (12).

2. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali nella materia di rispettiva competenza; ne fanno parte altresì il Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica, il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro della sanità, il presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia - ANCI, il presidente dell'Unione province d'Italia - UPI ed il presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani - UNCEM. Ne fanno parte inoltre quattordici sindaci designati dall'ANCI e sei presidenti di provincia designati dall'UPI. Dei quattordici sindaci designati dall'ANCI cinque rappresentano le città individuate dall'articolo 17 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo, nonché rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici (13).

3. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è convocata almeno ogni tre mesi, e comunque in tutti i casi il presidente ne ravvisi la necessità o qualora ne faccia richiesta il presidente dell'ANCI, dell'UPI o dell'UNCEM (14).

4. La Conferenza unificata di cui al comma 1 è convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non è conferito, dal Ministro dell'interno (15).

 

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(12) La Corte costituzionale con sentenza 10-14 dicembre 1998, n. 408 (Gazz. Uff. 16 dicembre 1998, n. 50, Serie speciale), ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, prima parte, sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto siciliano ed agli artt. 3, 5, 92, 95, 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 76, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 2 e 3, e dell'art. 9, commi 5, 6 e 7, sollevata in riferimento all'art. 76 della Costituzione;

ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, dell'art. 8, commi 1 e 4, e dell'art. 9, sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto siciliano e agli artt. 3, 5, 92, 95, 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 5 e 6, sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione.

(13) Comma così modificato dal comma 21 dell'art. 1, D.L. 18 maggio 2006, n. 181.

(14)  Vedi, anche, l'art. 28, L. 8 marzo 2000, n. 53.

(15)  La Corte costituzionale con sentenza 10-14 dicembre 1998, n. 408 (Gazz. Uff. 16 dicembre 1998, n. 50, Serie speciale), ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, prima parte, sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto siciliano ed agli artt. 3, 5, 92, 95, 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 76, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, commi 2 e 3, e dell'art. 9, commi 5, 6 e 7, sollevata in riferimento all'art. 76 della Costituzione;

ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, dell'art. 8, commi 1 e 4, e dell'art. 9, sollevate dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 14, 15, 17 e 20 dello Statuto siciliano e agli artt. 3, 5, 92, 95, 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione, e dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 5 e 6, sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, sollevata dalla Regione Puglia, in riferimento agli artt. 5, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione.



D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230.
Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà.

(art. 23)

 

(1) (2)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 22 agosto 2000, n. 195, S.O.

(2)  Con riferimento al presente provvedimento è stata emanata la seguente istruzione:

- Ministero della giustizia: Circ. 25 settembre 2003, n. 21.

 

 

Art. 23.

Modalità dell'ingresso in istituto.

1. La direzione cura che il detenuto o l'internato all'atto del suo ingresso dalla libertà sia sottoposto a perquisizione personale, al rilievo delle impronte digitali e messo in grado di esercitare la facoltà prevista dal primo comma dell'articolo 29 della legge, con le modalità di cui all'articolo 62 del presente regolamento. Il soggetto è sottoposto a visita medica non oltre il giorno successivo.

2. Fermo restando quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 24, qualora dagli accertamenti sanitari o altrimenti, risulti che una persona condannata si trovi in una delle condizioni previste dagli articoli 146 e 147, primo comma, numeri 2) e 3), del codice penale, la direzione dell'istituto trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza per i provvedimenti di rispettiva competenza. La direzione provvede analogamente, quando la persona interessata si trovi in custodia cautelare, trasmettendo gli atti alla autorità giudiziaria procedente.

3. Un esperto dell'osservazione e trattamento effettua un colloquio con il detenuto o internato all'atto del suo ingresso in istituto, per verificare se, ed eventualmente con quali cautele, possa affrontare adeguatamente lo stato di restrizione. Il risultato di tali accertamenti è comunicato agli operatori incaricati per gli interventi opportuni e al gruppo degli operatori dell'osservazione e trattamento di cui all'articolo 29. Gli eventuali aspetti di rischio sono anche segnalati agli organi giudiziari indicati nel comma 2. Se la persona ha problemi di tossicodipendenza, è segnalata anche al Servizio tossicodipendenze operante all'interno dell'istituto.

4. Dopo l'espletamento delle operazioni di cui ai commi precedenti e nel più breve tempo possibile, la direzione dell'istituto richiede al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria notizia su eventuali precedenti detenzioni, al fine di acquisire la preesistente cartella personale.

5. Il direttore dell'istituto, o un operatore penitenziario da lui designato, svolge un colloquio con il soggetto, al fine di conoscere le notizie necessarie per le iscrizioni nel registro, previsto dall'articolo 7 del Regolamento per l'esecuzione del codice di procedura penale di cui al decreto ministeriale 30 settembre 1989, n. 334, e per iniziare la compilazione della cartella personale, nonché allo scopo di fornirgli le informazioni previste dal primo comma dell'articolo 32 della legge e di consegnargli l'estratto indicato nel comma 2 dall'articolo 69 del presente regolamento. In particolare, vengono forniti chiarimenti sulla possibilità di ammissione alle misure alternative alla detenzione e agli altri benefìci penitenziari.

6. Qualora il detenuto o l'internato si rifiuti di fornire le sue generalità o quando vi siano fondati motivi per ritenere che le generalità fornite siano false, e sempre che non si riesca a conoscere altrimenti le esatte generalità, il soggetto è identificato sotto la provvisoria denominazione di «sconosciuto» a mezzo di fotografia e di riferimenti a connotati e contrassegni fisici e ne è fatto rapporto all'autorità giudiziaria.

7. Nel corso del colloquio il soggetto è invitato a segnalare gli eventuali problemi personali e familiari che richiedono interventi immediati. Di tali problemi la direzione informa il centro di servizio sociale.

8. Gli oggetti consegnati dal detenuto o dall'internato, nonché quelli rinvenuti sulla sua persona e che non possono essere lasciati in suo possesso, sono ritirati e depositati presso la direzione. Gli oggetti che non possono essere conservati sono venduti a beneficio del soggetto o inviati, a sue spese, alla persona da lui designata. Delle predette operazioni viene redatto verbale.

9. Degli oggetti consegnati dall'imputato o rinvenuti sulla sua persona è data notizia all'autorità giudiziaria che procede.

10. I contatti e gli interventi degli operatori penitenziari, degli assistenti volontari di cui all'articolo 78 della legge, dei rappresentanti della comunità esterna autorizzati ai sensi dell'articolo 17 della legge, nonché quelli degli operatori sociali e sanitari delle strutture e dei servizi assistenziali territoriali intesi alla prosecuzione dei programmi terapeutici o di trattamento educativo-sociale, istituzionalmente svolti con gli imputati, i condannati e gli internati, non si considerano colloqui e ad essi non si applicano pertanto le disposizioni contenute nell'articolo 18 della legge e nell'articolo 37 del presente regolamento.



D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313.
Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti.

(art. 3)

 

(Testo A) (1) (2) (3)

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(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 13 febbraio 2003, n. 36, S.O.

(2)  Il presente testo unico raccoglie le disposizioni legislative e regolamentari contenute nel D.Lgs. 14 novembre 2002, n. 311 e nel D.P.R. 14 novembre 2002, n. 312. Tali disposizioni sono contrassegnate nel testo, rispettivamente, con le lettere "L" e "R".

(3)  Con riferimento al presente provvedimento sono state emanate le seguenti istruzioni:

- Ministero della giustizia: Circ. 26 marzo 2003; Circ. 31 marzo 2003. Circ. 23 maggio 2003; Circ. 17 giugno 2003, n. 3194; Circ. 17 giugno 2004, n. 3194; Circ. 7 luglio 2004; Circ. 15 settembre 2004, n. 4880;

- Ministero delle attività produttive: Ris. 11 agosto 2003, n. 556118; Circ. 11 ottobre 2003, n. 556118.

 

 

TITOLO II

Casellario giudiziale.

 

Articolo 3 (L)

Provvedimenti iscrivibili.
(art. 686 c.p.; art. 194 att. c.p.p.; artt. 4 e 14, R.D. n. 778/1931; art. 24, parte del sesto comma, R.D.L. 1404/1934, convertito, con modificazioni, L. n. 835/1935; art. 58-bis, L. n. 354/1975; art. 73, L. n. 689/1981)

1. Nel casellario giudiziale si iscrivono per estratto:

a) i provvedimenti giudiziari penali di condanna definitivi, anche pronunciati da autorità giudiziarie straniere se riconosciuti ai sensi degli articoli 730 e seguenti del codice di procedura penale, salvo quelli concernenti contravvenzioni per le quali la legge ammette la definizione in via amministrativa, o l'oblazione limitatamente alle ipotesi di cui all'articolo 162 del codice penale, sempre che per quelli esclusi non sia stata concessa la sospensione condizionale della pena;

b) i provvedimenti giudiziari definitivi concernenti le pene, compresa la sospensione condizionale e la non menzione, le misure di sicurezza personali e patrimoniali, gli effetti penali della condanna, l'amnistia, l'indulto, la grazia, la dichiarazione di abitualità, di professionalità nel reato, di tendenza a delinquere;

c) i provvedimenti giudiziari concernenti le pene accessorie;

d) i provvedimenti giudiziari concernenti le misure alternative alla detenzione;

e) i provvedimenti giudiziari concernenti la liberazione condizionale;

f) i provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l'imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità, o disposto una misura di sicurezza;

g) i provvedimenti giudiziari definitivi di condanna alle sanzioni sostitutive e i provvedimenti di conversione di cui all'articolo 66, terzo comma, e all'articolo 108, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689;

h) i provvedimenti giudiziari del pubblico ministero previsti dagli articoli 656, comma 5, 657 e 663 del codice di procedura penale;

i) i provvedimenti giudiziari di conversione delle pene pecuniarie;

l) i provvedimenti giudiziari definitivi concernenti le misure di prevenzione della sorveglianza speciale semplice o con divieto o obbligo di soggiorno;

m) i provvedimenti giudiziari concernenti la riabilitazione;

n) i provvedimenti giudiziari di riabilitazione, di cui all'articolo 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327;

o) i provvedimenti giudiziari di riabilitazione speciale relativi ai minori, di cui all'articolo 24 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, e successive modificazioni;

p) i provvedimenti giudiziari definitivi di interdizione e inabilitazione e quelli di revoca, nonché i decreti che istituiscono, modificano o revocano l'amministrazione di sostegno (4);

q) [i provvedimenti giudiziari che dichiarano fallito l'imprenditore; quelli di omologazione del concordato fallimentare; quelli di chiusura del fallimento; quelli di riabilitazione del fallito] (5);

r) i provvedimenti giudiziari relativi all'espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come sostituito dall'art. 15 della legge 30 luglio 2002, n. 189;

s) i provvedimenti amministrativi di espulsione e i provvedimenti giudiziari che decidono il ricorso avverso i primi, ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dall'art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189;

t) i provvedimenti di correzione, a norma di legge, dei provvedimenti già iscritti;

u) qualsiasi altro provvedimento che concerne a norma di legge i provvedimenti già iscritti, come individuato con decreto del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro della giustizia.

 

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(4)  Lettera così modificata dall'art. 18, L. 9 gennaio 2004, n. 6, in vigore dal 19 marzo 2004 ai sensi di quanto disposto dall'articolo 20 della stessa legge.

(5) Lettera abrogata dal comma 1 dell'art. 21, D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, con la decorrenza ed i limiti indicati nell'art. 22 dello stesso decreto. Vedi, anche, il comma 2 del citato articolo 21.




[1]    Donna incinta o madre di prole di età inferiore a 10 anni con lei convivente; padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore a 10 anni con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole; persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali; persona di età superiore a 60 anni, se inabile anche parzialmente; minore di 21 anni per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia.

[2]    Ovvero quando la sospensione è stata già chiesta una volta e quando esistono ulteriori cause ostative.

[3]    Quindi, nel caso ordinario di cui all’art. 421, al termine della discussione in udienza preliminare; al termine della discussione nella ulteriore udienza preliminare fissata dal giudice ex art. 422 in caso di integrazione delle indagini.

[4]    Ex art. 129 c.p.p., quando il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso o il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero il reato è estinto o manca una condizione di procedibilità.

[5]    La Direzione generale per l’esecuzione penale esterna è incardinata all’interno del DAP (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria).

[6]    L’ingresso nell'istituto di stranieri è comunicato all'autorità consolare.

[7]    Norme per la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità applicato in base all'art. 54, comma 6, del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274.

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