TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 653 di Mercoledì 20 giugno 2012
MOZIONI CONCERNENTI MISURE A FAVORE DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE IN MATERIA DI ACCESSO AL CREDITO E PER LA TEMPESTIVITÀ DEI PAGAMENTI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
La Camera,
premesso che:
il sistema delle piccole e medie imprese costituisce il motore dell'intera economia italiana, costituendo il 99 per cento del sistema imprenditoriale, impiegando circa l'80 per cento degli addetti totali e generando quasi il 72 per cento del valore aggiunto complessivo;
è in corso un drammatico fenomeno di restrizione del credito per tutte le imprese, aggravato dal fatto che quel poco credito erogato ha raggiunto costi altissimi, soprattutto per le piccole e medie imprese; secondo recenti dati forniti dalla Banca d'Italia, il tasso di crescita su base annua del credito al sistema industriale è in forte rallentamento: a maggio 2011 era del 6,1 per cento, a ottobre 2011 del 5,8 per cento, a novembre 2011 del 4,9 per cento, mentre a dicembre 2011 del 3,1 per cento; ma il dato più preoccupante è che, mentre fino a novembre 2011 lo stock di credito erogato alle imprese non finanziarie era comunque aumentato, se pur ad un tasso decrescente, a dicembre 2011, in termini assoluti, ha mostrato una contrazione di circa 20 miliardi di euro; anche per il primo quadrimestre 2012 la situazione è drammatica: da un sondaggio su 130.000 imprese associate ad Unimpresa, risulta che i finanziamenti degli istituti di credito alle aziende siano diminuiti del 50 per cento rispetto al 2011; la stretta è diffusa in tutti i settori industriali, con alcuni picchi in quello dell'edilizia e del commercio; nonostante l'immissione di liquidità nel sistema bancario e il fatto che la Banca d'Italia affermi che l'afflusso di finanziamenti sia cresciuto nel 2012, le piccole imprese continuano a soffrire di mancanza di credito;
purtroppo, il credit crunch ha radici ormai lontane: è dal 2008, infatti, data nella quale la crisi si è manifestata in tutta la sua drammaticità, che le imprese devono affrontare il tema della restrizione del credito, in una prima fase a causa «soltanto» della crisi del sistema finanziario e bancario, in una seconda fase a causa anche del rallentamento dell'economia reale;
dall'autunno 2011 la crisi dei debiti sovrani ha ulteriormente penalizzato il sistema bancario, indebolendone la capacità di raccolta e la posizione finanziaria, e gli interventi delle autorità bancarie europee hanno definitivamente messo in ginocchio tutto il sistema, rendendo difficile ottenere prestiti dalle banche, ad un prezzo, oltretutto, altissimo: lo spread sull'euribor a tre mesi pagato dalle imprese nel 2007 era pari allo 0,6 per cento, mentre a fine 2011 ha raggiunto il 2,75 per cento; addirittura, le piccole e medie imprese pagano un differenziale pari a 3,6 punti; il costo complessivo delle nuove operazioni può, quindi, raggiungere il 3,8 per cento per le grandi e il 5 per cento per le piccole imprese;
la restrizione del credito al sistema produttivo comporta, quindi, l'aumento dei margini di interesse, la richiesta di sempre maggiori garanzie reali da parte delle banche, l'accorciamento della durata dei finanziamenti;
la genesi della pesante crisi economico-finanziaria aveva aperto la discussione sulla patrimonializzazione degli istituti di credito e sugli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono; il crac di Lehman brothers di quattro anni fa ha fatto drammaticamente emergere l'abuso della leva finanziaria da parte degli istituti di credito e il problema della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse;
il Comitato dei governatori delle banche centrali europee ha riscritto l'accordo cosiddetto Basilea 2 per arrivare al «Basilea 3», che mira a rafforzare il patrimonio delle banche, al fine di dare stabilità al sistema finanziario per scongiurare il pericolo di nuove catastrofi finanziarie; il prezzo da pagare, però, è un ulteriore rallentamento dell'economia: già il comitato di Basilea ed il Fondo monetario internazionale avevano stimato che ad ogni punto in più di capitale richiesto corrisponde una riduzione media del prodotto interno lordo pari allo 0,04 per cento;
successivamente agli accordi di «Basilea 3», l'Eba-European banking authority, nell'autunno 2011, ha imposto requisiti patrimoniali più stringenti per le banche, accrescendone le difficoltà e accelerando il processo di riduzione del proprio indebitamento a seguito della necessità di una forte ricapitalizzazione; l'effetto è stato generalizzato in tutta l'Unione europea, ma in Italia lo è stato ancora di più a causa dell'introduzione dei nuovi criteri per il calcolo dei requisiti patrimoniali che prevedono la valutazione a prezzi di mercato dei titoli del debito pubblico, superando le disposizioni precedenti che prevedevano la contabilizzazione dei titoli iscritti nel portafoglio bancario al valore di acquisto; il risultato è una pesante crisi di fiducia verso le banche e una forte crisi di liquidità che sta penalizzando, in particolare, le piccole e medie imprese;
per le piccole e medie imprese il credito bancario rappresenta la principale fonte di finanziamento e Prometeia stima che siano 25.000 le piccole e medie imprese a rischio chiusura proprio per le difficoltà a reperire finanziamenti bancari e per la congiuntura economica negativa;
la revisione dei requisiti patrimoniali di «Basilea 3» ed Eba sta portando ad un aumento del capitale di vigilanza delle banche pari al 31,25 per cento, con una distribuzione su tutte le posizioni attive bancarie e, quindi, anche sui portafogli crediti erogati alle piccole e medie imprese; secondo Confindustria, però, i portafogli crediti delle piccole e medie imprese risultano sicuramente meno rischiosi rispetto a quelli delle grandi imprese, grazie alla minore correlazione, dimostrata da analisi empiriche, tra gli attivi delle piccole e medie imprese e l'andamento economico generale; sarebbe, perciò, opportuno introdurre meccanismi correttivi, tali da permettere un trattamento prudenziale da parte delle banche meno stringente per le piccole e medie imprese; tali correttivi consentirebbero alle banche di accantonare meno capitale a fronte dei crediti erogati alle piccole e medie imprese in modo da recuperare liquidità, limitando gli effetti restrittivi nell'erogazione del credito alle piccole e medie imprese stesse; la proposta di Confindustria, condivisa dalle altre organizzazioni imprenditoriali europee, ha portato la Commissione europea ed Eba a prendere in considerazione l'introduzione di alcuni meccanismi correttivi, impegnandosi a monitorare gli effetti dell'applicazione dell'accordo di «Basilea 3» sulle piccole e medie imprese;
in questa fase economica, al fine di limitare la prociclicità di «Basilea 3», è necessario vigilare sul livello di credito erogato alle imprese, intervenendo a livello europeo per armonizzare i criteri ed i modelli di valutazione dei rischi, oggi molto diversi tra loro; tali differenze provocano distorsioni della concorrenza tra banche di diversi Paesi e rischiano di vanificare il raggiungimento dell'obiettivo della stabilità del sistema finanziario e, conseguentemente, del sistema industriale; tali criteri penalizzano decisamente gli istituti di credito italiani più concentrati sulle attività tradizionali, che, però, a livello europeo vengono considerate ad alto assorbimento di capitale;
in Italia, poi, il tema della corretta valutazione del merito del credito verso le imprese ha assunto assoluta importanza; si assiste ad una valutazione sempre più rigida del rating aziendale a scapito della valutazione degli elementi più qualitativi che possono qualificare in positivo l'attività imprenditoriale: affidabilità del management, contratti, organizzazione aziendale sono alcuni degli elementi che le nostre banche potrebbero considerare nell'analisi complessiva dell'affidabilità aziendale;
non secondario è il tema dei ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni: attanagliati dalle morse del patto di stabilità, i tempi dei pagamenti delle forniture degli enti locali, delle aziende sanitarie, delle aziende ospedaliere si sono allungati all'inverosimile, appesantendo la posizione finanziaria delle piccole e medie imprese; molte sono le imprese che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico e se fino a quindici anni fa lavorare per il pubblico era per un'azienda garanzia di affidabilità e solvibilità, oggi è sinonimo di difficoltà finanziaria e di alta esposizione bancaria; una delle proposte della Lega Nord è quella di favorire la compensazione tra debiti e crediti tra le piccole e medie imprese e pubblica amministrazione, includendo non solo quelli commerciali, ma anche e soprattutto quelli tributari; la crisi sta evidenziando molte situazioni nelle quali l'imprenditore non riesce a pagare le imposte, pur avendo presentato nei tempi e nei modi previsti le dichiarazioni fiscali; la compensazione di questi debiti costituirebbe sicuramente una boccata di ossigeno per tutte le piccole e medie imprese; l'alternativa sarebbe quella di garantire una rateazione del debito tributario più lunga e flessibile ad un costo ragionevole per il debitore, in modo da contemperare le esigenze dell'erario con quelle dell'imprenditore;
l'annosa questione dei ritardi dei pagamenti alle imprese è stata affrontata nel Consiglio dei ministri del 22 maggio 2012, nel quale sono stati adottati quattro decreti che consentirebbero di sbloccare i crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione. In particolare, due decreti interessano la certificazione dei crediti scaduti nei confronti di amministrazioni statali, enti locali, regioni ed enti del servizio sanitario nazionale; un terzo riguarda la compensazione dei crediti con i debiti verso il fisco iscritti a ruolo alla data del 30 aprile 2012; l'ultimo decreto agisce sul fondo centrale di garanzia per agevolare le imprese che intendono cedere i propri crediti presso intermediari finanziari riconosciuti;
a completamento delle suddette misure, si aggiunge la firma di un accordo tra l'Associazione bancaria italiana e le associazioni imprenditoriali, che istituisce un plafond del valore iniziale di 10 miliardi di euro, riservato allo smobilizzo dei crediti verso lo Stato;
sono circa centocinquantamila le aziende italiane che lavorano con il settore pubblico per un debito totale, da parte di quest'ultimo, che ammonta a circa 70 miliardi di euro e, sulla base di quanto si apprende dalla stampa, già dalla fine del 2012 dovrebbero essere sbloccati debiti per una cifra compresa tra i 20 e i 30 miliardi di euro, attraverso un meccanismo che, tramite certificazione da parte della pubblica amministrazione, consentirà alle imprese di recarsi in banca per farsi anticipare o cedere i crediti scaduti ed ottenere così la liquidità necessaria per il prosieguo dell'attività;
circa due terzi del debito nei confronti delle imprese appartiene agli enti pubblici ed è per tale ragione che uno dei due decreti sulla certificazione dei crediti necessita del parere della Conferenza Stato-regioni, la quale non si è ancora espressa. Attualmente, nessuno dei quattro decreti adottati dal Governo è in vigore e quello che rappresenta un provvedimento necessario ed urgente per la crescita delle imprese rischia di rimanere soltanto l'ennesimo annuncio mediatico di questo Governo;
è ormai indispensabile un decisivo intervento dello Stato nei confronti del sistema bancario italiano che sappia limitare il fenomeno del credit crunch, introducendo innovativi sistemi di garanzia degli affidamenti,
impegna il Governo:
ad intervenire a livello europeo chiedendo l'attuazione rapida dei correttivi chiesti dalle organizzazioni imprenditoriali alla regolamentazione relativa ai requisiti prudenziali per le banche, al fine di riservare un trattamento meno stringente per le piccole e medie imprese, che possa consentire alle banche di recuperare liquidità da utilizzare per erogare crediti alle piccole e medie imprese stesse, e ad assumere iniziative affinché siano resi omogenei i criteri e le metodologie per ponderare i rischi degli attivi bancari, in modo da garantire effettiva concorrenza tra le banche dei differenti Paesi e da non penalizzare l'attività delle banche italiane, sicuramente meno rischiosa, ma considerata ad alto assorbimento di capitale;
ad aiutare il sistema creditizio, tramite il rafforzamento dei sistemi di garanzia, a cambiare l'approccio troppo prudente verso le piccole e medie imprese, considerato che l'eccessiva prudenza nell'erogazione del credito rischia di impedire alle imprese di continuare ad operare, con conseguenze drammatiche per l'intero sistema economico;
ad intervenire rapidamente, nell'ambito delle proprie competenze, per ridurre significativamente i tempi dei pagamenti dello Stato, degli enti locali e delle aziende pubbliche, attivandosi anche a livello europeo per allentare i vincoli del patto di stabilità, posto che gli attuali tempi di pagamento non sono più sostenibili per le piccole e medie imprese e, soprattutto, per le piccole e medie imprese che lavorano quasi esclusivamente per il settore pubblico e che è necessario favorire linee di credito a basso costo per le imprese che vantano crediti verso la pubblica amministrazione, garantiti direttamente dallo Stato con l'emissione di titoli di Stato o con le proprie riserve auree, ciò sino all'effettivo incasso delle somme stesse, permettendo così ai piccoli e medi imprenditori di poter continuare a sviluppare la propria attività e a pagare lo stipendio dei propri dipendenti, favorendo così un circolo virtuoso nell'economia;
ad aiutare le piccole e medie imprese nell'assolvimento dei propri debiti tributari e contributivi, introducendo rateazioni più lunghe e più flessibili;
ad adottare le opportune iniziative affinché vengano resi immediatamente operativi i decreti ministeriali per la disciplina dei rapporti di credito e debito tra pubblica amministrazione ed imprese fornitrici, garantendo a queste ultime la liquidità necessaria da poter investire nella crescita e nello sviluppo.
(1-00896)
(Nuova formulazione) «Montagnoli, Dozzo, Fugatti, Forcolin, Comaroli, Fogliato, Lussana, Fedriga, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».
(28 febbraio 2012)
La Camera,
premesso che:
le piccole e medie imprese, pur costituendo la spina dorsale dell'economia italiana, rappresentando il 98 per cento del totale delle aziende italiane e dando lavoro al 74,8 per cento del totale degli addetti, stanno vivendo un momento estremamente difficile, strette da una parte dal cosiddetto credit crunch e dall'altra dalla mancata riscossione dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione;
i problemi connessi alla crisi dei debiti sovrani e gli interventi regolamentari, che hanno imposto alle banche di procedere ad ingenti ricapitalizzazioni, contribuiscono notevolmente all'acutizzarsi delle difficoltà nell'accesso al credito;
i più alti requisiti di capitale imposti dall'accordo cosiddetto Basilea 3 e dall'Eba-European banking authority non stanno diffondendo quella fiducia che era nelle intenzioni dei proponenti. Al contrario, accrescono le difficoltà delle banche che hanno avviato un processo di riduzione dell'indebitamento. A tal proposito, interessanti appaiono quelle proposte avanzate nei mesi scorsi dall'Abi in ordine all'introduzione di specifici coefficienti (quali il Pmi supporting factor da applicare all'ammontare destinato a riserva secondo i parametri di «Basilea 3») per fare in modo che le difficoltà degli istituti bancari nel fronteggiare i più rigidi requisiti patrimoniali richiesti, non abbiano effetti restrittivi ulteriori nell'erogazione del credito alle piccole e medie imprese;
sono auspicabili misure dirette ad una maggiore elasticità nella concessione di finanziamenti nel breve periodo, attraverso un ampliamento del sistema di garanzia pubblico, tramite il rafforzamento del fondo di garanzia e di altri strumenti quali il fondo italiano d'investimento;
la crescita vertiginosa dello spread nei mesi passati ha appesantito la stretta creditizia di 1,5 per cento negli ultimi tre mesi e del 2,2 per cento nel solo mese di dicembre 2011. Il sistema produttivo è stato gravato da un costo aggiuntivo nei tassi d'interesse di 3,7 miliardi di euro, mentre le insolvenze hanno superato gli 80 miliardi di euro (più 36 per cento rispetto al 2010);
il credit crunch, quella condizione di calo significativo o di inasprimento improvviso delle condizioni dell'offerta di credito da parte del sistema bancario, produce un avvitamento finanziario che danneggia la fisiologia interna delle piccole e medie imprese, poiché ne mina la residua base patrimoniale;
d'altra parte il nostro sistema bancario non concede anticipazioni o apre linee di credito allo scopo di finanziare progetti, ma si muove nella logica esclusiva delle garanzie. È evidente allora che le difficoltà di accesso al credito, già in essere per le piccole e medie imprese italiane, legate a questo modus operandi delle banche e alla minore capacità delle imprese più piccole di fornire solide garanzie, si accentueranno a tal punto che si paventa il rischio concreto di una paralisi degli investimenti, del sistema produttivo e, quindi, dell'economia tutta;
la crisi economica ha fatto diminuire del 30 per cento il fatturato delle piccole aziende, inducendo gli istituti di credito a chiedere loro un piano di rientro dai fidi in tempi ristrettissimi;
è pari al 43,3 per cento il numero di piccole e medie imprese con meno di venti dipendenti che negli ultimi tre mesi ha avuto problemi di accesso a un finanziamento bancario e, nella maggioranza dei casi, per il 57,1 per cento la richiesta di credito serve a colmare una carenza di liquidità;
recentemente il Governo si è fatto promotore di una moratoria di 12 mesi sui prestiti bancari alle piccole e medie imprese in bonis, cioè senza debiti in sofferenza, incagliati, ristrutturati o esposizioni scadute da oltre 90 giorni, con lo scopo di assicurare loro liquidità e traghettarle oltre la crisi economica. Ne potranno beneficiare le imprese con meno di 250 dipendenti, fatturato inferiore a 50 milioni di euro, oppure con un attivo di bilancio fino a 43 milioni;
presso il Ministero dello sviluppo economico è istituito il fondo centrale di garanzia che ha lo scopo di favorire l'accesso al credito delle piccole e medie imprese, attraverso il rilascio di una garanzia pubblica sui finanziamenti erogati dalle banche. Grazie alle risorse disponibili nel fondo, infatti, lo Stato si fa garante del rimborso del prestito da parte dell'impresa, consentendo così una più facile erogazione del finanziamento, il cui plafond complessivo è stato progressivamente incrementato e portato, nel 2009, a circa 2 miliardi di euro, ancora insufficienti e disponibili soltanto fino a tutto il 2012;
per quanto riguarda l'altro elemento di difficoltà, considerato una tra le piaghe peggiori che gravano sul sistema produttivo italiano, relativo ai ritardi di pagamento dalla pubblica amministrazione, che ha portato quest'ultima a contrarre circa 70 miliardi di euro di debiti nei confronti delle aziende private, provocando il fallimento di una su tre di esse, i dati numerici divulgati dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture hanno restituito un'immagine preoccupante: i tempi di pagamento oscillano in un range compreso tra un minimo di 92 giorni ed un massimo di 664 giorni. L'entità dei ritardi mediamente accumulati è circa doppia rispetto a quanto si registra nel resto dell'Unione europea: mediamente 128 giorni contro i 65 che si computano a livello europeo;
la complessità dell'organizzazione delle procedure amministrative e dei criteri per il trasferimento dei fondi tra le varie strutture burocratiche (tra questi i vincoli del patto di stabilità) e l'ampio potere di mercato della pubblica amministrazione sono fattori determinanti che contribuiscono all'allungamento delle tempistiche di pagamento. La principale conseguenza di questi ritardi è la mancanza di liquidità nelle casse delle imprese fornitrici. Ne consegue, anzitutto, la difficoltà nell'onorare i pagamenti ai propri fornitori e, in subordine, l'impossibilità di porre in essere gli investimenti necessari;
a tutto ciò si aggiunga che, inevitabilmente, non solo è limitata la capacità di queste aziende di prevenire il ritardo dei pagamenti in sede di contrattazione con le pubbliche amministrazioni, ma è ridotta anche la possibilità di ricorrere alla tutela giurisdizionale, in ragione dei costi economici e sociali che questa comporta;
il ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione, fenomeno che ha ormai raggiunto e superato i livelli di guardia, finisce, quindi, con il trasferire alle imprese fornitrici il problema di liquidità del settore pubblico;
nonostante sia in difetto, lo Stato non manca di chiedere alle imprese massima regolarità nel pagamento dei contributi previdenziali, la qual cosa per molte aziende risulta quasi impossibile a causa della mancanza di liquidità, aggravata proprio dal ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, e paradossalmente richiede, per ricevere il pagamento dei crediti accumulati con gli enti pubblici, la presentazione del durc (documento unico di regolarità contributiva);
con l'approvazione del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, è possibile compensare i crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione, ma ciò vale solo per i debiti iscritti a ruolo e per i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, e comunque con procedure molto complesse;
anche il decreto-legge sulle liberalizzazioni, appena approvato dal Senato della Repubblica, rappresenta un tiepido segnale di apertura del Governo al problema, prevedendo, all'articolo 35, lo sblocco di circa 6 miliardi di euro attraverso un incremento delle dotazioni dei fondi speciali (somma certo rilevante, ma ancora inadeguata rispetto ai 70 miliardi di euro di debiti), a cui va affiancato lo statuto delle imprese, che, all'articolo 10, anticipa la scadenza per il recepimento della direttiva europea 2011/7/UE sui ritardi di pagamento;
la suddetta direttiva europea rientra nello Small business act ed obbliga le pubbliche amministrazioni a pagare i fornitori entro 30 giorni e, in casi eccezionali, entro 60 giorni per forniture sanitarie e per imprese a capitale pubblico; superato tale termine, nelle transazioni commerciali, la pubblica amministrazione dovrà versare interessi di mora pari all'8 per cento maggiorati del tasso di riferimento della Banca centrale europea. Tra imprese private, la scadenza è fissata a 60 giorni a meno di diverse intese stipulate tra le parti e a condizione che non si tratti di patti bilaterali iniqui;
lo stesso anticipato recepimento della direttiva non risolverà comunque immediatamente il problema dell'enorme debito pregresso della pubblica amministrazione nei confronti delle piccole e medie imprese, in quanto è evidente che le pubbliche amministrazioni non sono in grado in un breve lasso di tempo di onorare i debiti già assunti;
nessuna ipotesi di uscita dalla recessione è immaginabile senza una tempestiva riattivazione di flussi di finanziamento verso le piccole e medie imprese, le sole che finora hanno sfidato la grave congiuntura economica senza alcun paracadute,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative normative dirette ad introdurre nel nostro ordinamento un meccanismo di compensazione dei crediti vantati nei confronti di amministrazioni pubbliche dalle piccole e medie imprese con i propri debiti e relativi accessori dovuti nei confronti della pubblica amministrazione, tramite un rinvio dei pagamenti senza interessi da effettuare attraverso la semplice certificazione da parte di consulenti del lavoro;
ad assumere iniziative normative per incrementare, al fine di renderlo operativo per i prossimi anni, il fondo centrale di garanzia, la cui dotazione è insufficiente e disponibile soltanto fino a tutto il 2012.
(1-00901)
«Lombardo, Commercio, Lo Monte, Oliveri, Brugger».
(5 marzo 2012)
La Camera,
premesso che:
la crisi finanziaria che ha preso avvio nel 2007 sta generando impatti rilevanti sia sui mercati finanziari sia sull'economia reale: in particolare, l'Italia, oltre a subire pressioni sul mercato del debito sovrano, presenta un tasso di crescita potenziale troppo contenuto ed è entrata in una fase recessiva;
le cause di questa fase di forte instabilità sono riconducibili sia ad aspetti relativi all'economia reale sia a profili relativi all'economia finanziaria, a cui le autorità monetarie, di vigilanza e politiche hanno cercato di far fronte, nel corso dell'ultimo triennio, con un ampio spettro di normative;
in particolare, la normativa europea di recepimento dell'accordo di «Basilea 3» prevede un generalizzato inasprimento dei requisiti patrimoniali per le banche, che se, per un verso, è necessario per ripristinare la fiducia nella solvibilità delle banche, rischia, tuttavia, di tradursi in maggiori costi e difficoltà di accesso al credito per il sistema produttivo, in particolare per le piccole e medie imprese;
sebbene la piena applicazione dei nuovi requisiti entrerà a regime solo nel 2019, l'annuncio delle nuove regole ha generato pressioni da parte degli investitori e delle controparti affinché le banche si adeguino prima dei tempi previsti, accumulando riserve di capitale e di liquidità nonostante l'attuale difficile situazione di mercato e del sistema produttivo;
il 9 dicembre 2011 l'Autorità bancaria europea (Eba) ha adottato una raccomandazione che prevede la creazione, in via eccezionale e temporanea, entro la fine di giugno 2012, di una riserva supplementare di fondi propri da parte delle banche;
l'8 dicembre 2011, la Banca centrale europea ha lanciato due rifinanziamenti straordinari (ltro, long term refinancing operation) della durata di 36 mesi a favore delle banche, allo scopo di garantire l'accesso alle liquidità agli istituti di credito: le due aste, che si sono tenute il 21 dicembre 2011 e il 29 febbraio 2012, hanno assegnato alle banche, rispettivamente, 489,19 miliardi di euro e 529,53 miliardi di euro a tasso fisso, con l'opzione di ripagare, in tutto o in parte, l'ammontare dopo un anno e successivamente secondo scadenze prefissate; secondo una nota diffusa dalla Banca d'Italia, le banche italiane hanno partecipato alla seconda operazione ltro per una quota pari a 139 miliardi di euro lordi, pari a circa 80 miliardi di euro al netto del riassorbimento di operazioni di scadenza più breve;
è stato il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ad invitare gli istituti di credito ad approfittare dell'offerta, senza alcun timore di suscitare sospetto, per evitare il credit crunch in atto e riparare i bilanci e i mercati, abbreviando i tempi della ripresa;
anche il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, nel suo intervento al 18o congresso Assiom Forex del 18 febbraio 2012, ha affermato che: «a distanza di pochi anni le imprese si trovano nuovamente a fronteggiare un inasprimento delle condizioni creditizie; anche in questa occasione sarà essenziale la capacità delle banche di valutare attentamente il merito di credito, senza far mancare il sostegno finanziario ai clienti solvibili e meritevoli. Un adeguato e stabile volume di finanziamenti è essenziale per l'attività delle stesse banche»;
l'analisi annuale per la crescita 2012, presentata dalla Commissione europea il 23 novembre 2011 (COM(2011)815 def.), prevede espressamente, nell'ambito dell'obiettivo «ripristinare la normale erogazione di prestiti all'economia», l'esigenza di «garantire che le banche rafforzino i propri coefficienti patrimoniali consolidando le proprie posizioni patrimoniali e non limitando indebitamente l'erogazione di prestiti all'economia reale» e di «rivedere le norme prudenziali per evitare che penalizzino indebitamente l'erogazione di prestiti alle piccole e medie imprese»,
impegna il Governo:
ad assumere, per quanto di competenza, tutte le iniziative necessarie affinché la liquidità ottenuta dalle banche italiane nelle operazioni long term refinancing operation si traduca effettivamente in un sostegno all'economia reale e all'accesso al credito delle imprese e delle famiglie;
ad adoperarsi in sede europea affinché:
a) le nuove regole siano coerenti con l'attuale fase ciclica dell'economia europea e italiana, facendo sì che le nuove regole sui requisiti di capitale siano un fattore di stabilizzazione dei mercati di lungo periodo e non un freno per le banche nel sostegno alle imprese e alle famiglie, evitando che le proposte, le loro modalità di attuazione ed i relativi tempi determinino indesiderati effetti prociclici;
b) siano introdotti nella normativa europea di recepimento dell'accordo di «Basilea 3» accorgimenti regolamentari che incentivino, riducendone il costo, i prestiti in favore delle piccole e medie imprese, in particolare prevedendo misure che, di fatto, sterilizzino gli incrementi di capitale, a fronte dei prestiti erogati alle piccole e medie imprese, che si determinerebbero nel caso di applicazione indifferenziata delle nuove regole sul capitale;
c) si provveda a chiarire che, nei casi in cui un finanziamento è supportato dalla garanzia di un consorzio di garanzia collettiva fidi, il criterio di assorbimento patrimoniale relativo all'accantonamento richiesto al confidi non possa risultare superiore al risparmio di capitale ottenuto dalla banca in conseguenza dell'intervento del confidi stesso;
a proseguire nell'impegno, già assunto in sede di approvazione alla Camera dei deputati della risoluzione n. 6-00097, sottoscritta da esponenti di tutti i gruppi parlamentari, a far sì che l'attuazione delle misure che dovrebbero essere adottate dalle banche europee per colmare il deficit di capitale eventualmente emerso a seguito dell'esercizio dell'Autorità bancaria europea sia dilazionata nel tempo, in maniera da ridurne gli effetti prociclici e metterle in fase con la congiuntura economica.
(1-00910)
«Fluvi, Causi, Albini, Carella, D'Antoni, Fogliardi, Graziano, Marchignoli, Piccolo, Pizzetti, Sposetti, Strizzolo, Vaccaro, Verini, Vico».
(9 marzo 2012)
La Camera,
premesso che:
l'economia italiana è fondata su un sistema di piccole e medie imprese, che costituisce il fulcro del sistema imprenditoriale complessivo;
la crisi del 2007 ha ristretto il credito per le piccole e medie imprese con effetti negativi sul prodotto interno lordo;
la crisi dei debiti sovrani ha penalizzato il sistema bancario, indebolendone la capacità di raccolta del risparmio e la posizione finanziaria;
l'accordo «Basilea 3», varato dal Comitato dei governatori delle banche centrali dei Paesi europei, ha come primo obiettivo il rafforzamento del patrimonio bancario, al fine di dare stabilità al sistema ed evitare il rischio di una nuova crisi finanziaria, con conseguenze però penalizzanti per le grandi banche italiane, che hanno dovuto introdurre nuovi criteri per il calcolo dei requisiti patrimoniali basati sulla valutazione a prezzi di mercato dei titoli del debito pubblico;
tuttora il tasso di crescita annuo del credito al sistema industriale è in forte rallentamento, nonostante i provvedimenti della Banca centrale europea riguardanti gli acquisti di titoli e la concessione alle banche italiane di oltre 230 milioni di euro con tasso di interesse all'1 per cento;
il restringimento del credito ha pesanti ripercussioni sull'aumento dei margini di interesse, sulla richiesta di sempre maggiori garanzie reali da parte delle banche, nonché sulla riduzione della durata dei finanziamenti erogati;
il patto di stabilità, poiché incide anche sui tempi dei pagamenti delle forniture delle pubbliche amministrazioni alle imprese e soprattutto alle piccole e medie, va mantenuto attenuandone gli effetti attraverso la compensazione fra debiti e crediti, commerciali e tributari, tra le piccole e medie imprese e la pubblica amministrazione,
impegna il Governo:
a valutare la possibilità di intervenire, a livello europeo, al fine di ottenere:
a) l'unificazione dei criteri e delle metodologie per ponderare i rischi delle attività bancarie, per proteggere le banche italiane;
b) correttivi tendenti a mettere le banche in condizione di poter riservare un trattamento meno stringente per i crediti alle piccole e medie imprese;
c) una riduzione dei tempi, a livelli medi europei, di liquidazione dei crediti delle imprese verso lo Stato e le pubbliche amministrazioni.
(1-00911)
«Misiti, Iapicca, Miccichè, Fallica, Grimaldi, Mario Pepe (Misto-R-A), Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova».
(9 marzo 2012)
La Camera,
premesso che:
gli istituti bancari svolgono il ruolo di raccogliere fondi dai risparmiatori e trasferirli a imprese e privati che ne hanno bisogno per le proprie esigenze personali o aziendali. Oltre a concedere prestiti a imprese e famiglie, le banche svolgono anche attività finanziarie di varia natura: ad esempio, comprano titoli di aziende e Stati, concedono finanziamenti ad altri intermediari finanziari. Si tratta di un'attività fondamentale per l'economia moderna, senza la quale l'intero sistema economico attuale non potrebbe esistere. Un'attività quella del credito che mantiene la qualità fondamentale di servizio;
la principale legge italiana che regola il funzionamento dell'attività bancaria è il testo unico bancario, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, con tutte le successive modificazioni e integrazioni. Secondo questo testo unico, l'attività bancaria è definita come l'esercizio congiunto dell'attività di raccolta di risparmio tra il pubblico e dell'attività di concessione del credito (articolo 10). In Italia ci sono circa 800 banche, delle quali circa il 30 per cento ha la forma di società per azioni. Poco meno di 50 le banche popolari, più di 400 le banche «di credito cooperativo» e circa 80 le succursali delle banche estere;
il ruolo della banca è senza alcun dubbio cruciale per ogni economia avanzata, e non solo; la storia d'Europa e il suo sviluppo evidenziano in maniera esemplare come il ruolo del credito rappresenti uno dei pilasti fondamentali delle economie più sviluppate. Senza il ricorso al credito, aziende e persone dovrebbero occuparsi personalmente di trovare finanziatori per le proprie attività, con costi elevati e scarse probabilità di successo. Attraverso le banche, invece, possono accedere al risparmio di altri soggetti, reso disponibile attraverso il sistema bancario. Allo stesso modo, senza le banche i risparmiatori dovrebbero valutare da soli gli investimenti e verificare il regolare andamento dei pagamenti degli interessi e la restituzione del capitale prestato. In ragione di questa importanza, le leggi italiane, comunitarie e internazionali regolano l'attività bancaria con norme specifiche, diverse da quelle che riguardano gli altri intermediari finanziari;
la costituzione di un'impresa bancaria è sottoposta ad autorizzazioni da parte della Banca d'Italia, che svolge anche un importante ruolo di controllo durante l'attività bancaria;
nell'ultima indagine trimestrale, la Banca d'Italia, in oltre metà delle imprese, ha dichiarato di vedere un peggioramento della situazione economica nei prossimi mesi ed è quasi raddoppiata, al 28,6 per cento dal 15,2 per cento della precedente inchiesta, la quota delle imprese per le quali le condizioni di accesso al credito sono peggiorate;
le ragioni di queste difficoltà sono di due tipi. In primo luogo, c’è da parte delle banche un problema di liquidità, soprattutto per quanto riguarda gli impieghi a medio termine. L'instabilità dello scenario finanziario ha inaridito molti dei tradizionali canali di finanziamento, da quelli più semplici, come l'interbancario, a quelli più complessi, riferibili alle operazioni sovranazionali in valuta. Le banche si trovano così nell'esigenza di garantire la copertura delle operazioni correnti e devono ridurre gli spazi per i finanziamenti alle imprese;
in secondo luogo, c’è un problema di costi. Per le banche è sempre più oneroso aumentare la propria raccolta e ottenere capitali per il forte rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani. C’è in questo periodo una vera e propria rincorsa ad offrire condizioni sempre più appetibili a chi deposita i propri soldi in banca: un anno fa era già un successo spuntare un tasso dell'1 per cento sui depositi, mentre ora, con un vincolo di un anno, si supera tranquillamente quota 4 per cento. I risparmiatori sono avvantaggiati, ma chi chiede soldi in prestito deve accettare tassi decisamente più elevati;
per le piccole e medie imprese le prospettive rischiano, poi, di essere ancora più difficili, perché il sistema bancario continua ad essere fortemente impegnato verso i grandi gruppi, che non attraversano anch'essi un momento favorevole;
le imprese, quindi, hanno di fronte un credito difficile e più caro proprio in un momento come questo in cui sarebbero necessari forti investimenti per rinnovare gli impianti, accrescere la competitività, finanziare la ricerca;
anche il mercato immobiliare risente delle crisi; infatti, l'andamento del mercato del credito alle famiglie continuerà a essere comunque influenzato dal contesto economico internazionale e la richiesta di finanziamenti, attualmente in calo, è determinata anche dalle prospettive di sacrificio previste per gli italiani dalle recenti manovre e dall'impennata dei tassi per i prodotti di credito. Per i prossimi mesi, quindi, ci si attende ancora una contrazione dei mutui e quindi degli acquisti;
il ruolo delle banche negli ultimi trent'anni è profondamente mutato. Infatti, gli istituti bancari nel dopoguerra hanno svolto un ruolo cruciale per lo sviluppo economico del sistema capitalista, incentrato a quell'epoca sulla relazione virtuosa tra il settore bancario e le imprese che producono beni e servizi non-finanziari: le linee di credito concesse dalle banche a tali imprese – i cui obiettivi erano definiti con riferimento al medio-lungo periodo – permisero la produzione di valore aggiunto attraverso la remunerazione dei lavoratori delle imprese, i quali potevano disporre della loro capacità di acquisto sui mercati dei prodotti, al fine di avere un tenore di vita dignitoso senza dover ricorrere all'indebitamento personale;
la finanziarizzazione dell'economia, iniziata negli anni ’80 del secolo scorso, ha trasformato i nostri sistemi economici radicalmente, marginalizzando poco alla volta il ruolo delle banche commerciali, inducendo queste ultime a diventare delle società finanziarie attive su scala globale e operanti a 360 gradi sui mercati finanziari (una sorta di «supermercati finanziari» alla ricerca del massimo profitto nel minor tempo possibile);
il 21 dicembre 2011 le banche europee hanno ottenuto circa 500 miliardi di euro di nuovi fondi, in occasione della prima asta di rifinanziamento organizzata dalla Banca centrale europea, in base alle nuove regole volute dalle autorità dell'Unione europea per combattere il credit crunch; di questi, gli istituti italiani hanno ricevuto 116 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento;
la Banca centrale europea ha più volte dichiarato che tali risorse erano vincolate ad una precisa finalizzazione: dare credito all'economia reale in modo da permettere alle banche di avere più liquidità ad un costo basso da mettere a disposizione di imprese e famiglie;
le imprese e le famiglie italiane vedono sempre più ristretta la possibilità di accedere al credito; convenzioni e confidi vengono disdetti e gli interessi arrivano al 12 per cento;
appare evidente come il rilancio dello sviluppo del sistema sia collegato alla capacità effettiva di credito, che gli istituti bancari possono e dovrebbero concedere alle imprese, in particolare alle piccole e medie imprese; senza il rafforzamento delle linee di credito appare estremamente complicato ipotizzare che si possa davvero procedere ad un rilancio dello sviluppo del sistema, per il quale, specie in Italia, il ruolo delle piccole imprese è determinante, sia in termine di produzione che di impiego di forza lavoro;
inoltre, si aggiunge il problema del ritardo con cui la pubblica amministrazione provvede al pagamento dei corrispettivi inerenti all'esecuzione dei contratti pubblici, che suscita, ormai da anni, l'interesse (ma soprattutto l'allarme) degli imprenditori che operano nel mercato italiano;
tale problematica è particolarmente avvertita dalle piccole e medie imprese, che, soprattutto nell'attuale congiuntura economica di difficile accesso al credito bancario, risentono in maniera grave della mancanza di liquidità;
stando al quadro fornito dall'Osservatorio sul credito di Confcommercio-Format, la situazione dei finanziamenti per le aziende nell'ultimo trimestre del 2011 è stata, infatti, particolarmente difficile, soprattutto per le imprese del Mezzogiorno e le microimprese del settore commerciale e turistico e il trimestre appena concluso del 2012 conferma uno scenario ancora in peggioramento;
i dati rilevati da Confcommercio sono i peggiori di tutto il 2011 e, sostanzialmente, riflettono la situazione descritta dalle indagini sul credito alle imprese della Banca d'Italia e della Banca centrale europea;
i recenti tragici avvenimenti che stanno avvenendo in Italia, i suicidi da parte di piccoli imprenditori, quali artigiani, commercianti e imprenditori agricoli, i quali in questa forte contrazione dei flussi creditizi e vessati dai crescenti oneri fiscali e contributivi sono sopraffatti da stati d'animo di disperazione e sconforto, confermano la drammaticità dell'attuale situazione, che minaccia di travolgere, in virtù di un devastante effetto «domino», l'intera struttura economica e sociale del Paese: dal sistema delle imprese, ai redditi delle famiglie, alle forme di sicurezza sociale;
il ritardo nei pagamenti non incide solo sul contraente privato che si trova a sostenere un'attesa ingiustificata nella percezione dei corrispettivi dovuti da parte dell'amministrazione appaltante, ma si riflette in termini negativi anche sull'indotto a valle dell'appalto, investendo le imprese subappaltatrici e subfornitrici, sulle quali i ritardi vengono sovente ulteriormente ribaltati,
impegna il Governo:
ad istituire un tavolo permanente tecnico con rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana, della Banca d'Italia, delle principali associazioni di categoria e dei consumatori e dell'Istat, al fine di avanzare proposte operative per il sostegno del credito a favore delle imprese e delle famiglie, e, in particolare, ad adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché la seconda tranche di prestiti che la Banca centrale europea ha messo a disposizione delle banche vada a sostegno delle imprese e delle famiglie e ad adottare iniziative che agevolino con tassi d'interesse favorevoli l'accesso al credito per le imprese e le famiglie;
ad adoperarsi, altresì, nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea, in modo da:
a) sospendere l'entrata in vigore delle misure volte a fissare livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche e introdurre un nuovo schema internazionale per la liquidità (accordo «Basilea 3»);
b) eliminare la valutazione a prezzi di mercato che l'Eba applica ai titoli di Stato italiani, comportando una loro sottovalutazione nel patrimonio delle banche italiane, che detengono bot e btp per un valore di 160 miliardi di euro;
c) intervenire in merito ai requisiti patrimoniali delle banche affinché siano introdotti meccanismi correttivi per la ponderazione del rischio di credito relativo ai prestiti alle piccole e medie imprese, in modo da compensare l'incremento quantitativo del requisito patrimoniale minimo;
ad assumere iniziative normative volte a prevedere forme di compensazione per le imprese che vantino crediti nei confronti di amministrazioni statali, con i debiti gravanti a loro carico, relativi ad obbligazioni tributarie;
ad assumere iniziative dirette a prevedere in tempi rapidi, l'istituzione di un fondo di solidarietà presso il Ministero dello sviluppo economico in collaborazione con Consorzi Fidi, i cui beneficiari rientranti nelle categorie dei piccoli imprenditori, commercianti, artigiani e imprenditori agricoli, individuati dal codice civile, inclusi coloro che sono segnalati alla centrale rischi finanziari (Crif), purché svolgano attualmente l'attività lavorativa, possano usufruire una tantum di un contributo a fondo perduto, in caso di rigetto da parte degli istituti di credito o società d'intermediazione creditizia e finanziaria, di domande di finanziamento o revoca di affidamento o revoca di fidi;
ad adottare iniziative normative volte ad accelerare il pagamento dei crediti della pubblica amministrazione, al fine di recepire la nuova direttiva europea 2011/7/UE concernente il contrasto ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
(1-00913)
(Nuova formulazione) «Crosetto, Vignali, Bernardo, Santelli, Berardi, Del Tenno, Laboccetta, Leo, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Savino, Ventucci, De Girolamo, Giammanco, Antonino Foti, Cicu, Cosenza».
(12 marzo 2012)
La Camera,
premesso che:
le attuali difficoltà che le famiglie e le aziende, ed in particolare le piccole e le medie imprese, incontrano nell'accesso al credito dipendono da più cause e, dunque, per essere affrontate necessitano di una politica complessiva che deve agire su più fronti;
il credito bancario al settore privato non finanziario – secondo i dati forniti dalla Banca d'Italia – continua a risentire sia di una ridotta domanda di finanziamenti da parte delle imprese, a causa della difficile congiuntura economica, sia di un orientamento ancora restrittivo dei criteri di offerta da parte del pubblico. Le indagini sulle condizioni di accesso al credito, condotte presso le banche e presso le imprese, hanno rilevato che permane elevata la quota di imprese che dichiara di non ottenere l'ammontare di finanziamenti desiderati;
i nuovi accordi di «Basilea 3» hanno modificato i criteri già stabiliti con «Basilea 1» (1998) e «Basilea 2» (2008): essi fissano, alzandoli, i requisiti minimi di capitale delle banche proporzionalmente ai rischi che assumono, prevedono una serie di «cuscinetti» (liquidità) di capitale aggiuntivi (pari al 2,5 per cento, ma che potrebbero aumentare fino al 5) nelle fasi economiche a rischio, prevedono sanzioni nel caso di violazione delle nuove regole, quale il divieto di pagare bonus ai manager o cedole ai soci;
l'allineamento alle regole di Basilea 3 comporta dei costi, in quanto la migliore qualità ed una maggiore quantità di capitale di garanzia potrà essere raggiunto solo attraverso un rimodellamento della struttura di ciascun istituto. Il rischio maggiore è quello di un inasprimento del costo del denaro;
l'Autorità bancaria europea (European Banking Authority – Eba) ha chiesto di aumentare il «Core Tier 1» delle banche entro giugno 2012 al 9 per cento;
per la valutazione del rischio, l'Autorità bancaria europea ha usato il criterio mark to market, ossia l'attribuzione non del valore nominale o cedolare dei titoli ma il prezzo corrente di mercato, che ha messo in moto per i btp, già in crisi di spread, un meccanismo deleterio per le banche che, qualora volessero evitare la ricapitalizzazione, dovrebbero vendere i titoli, deprezzati del 15-20 per cento del valore nominale, con effetti dirompenti sia sui mercati che sulle fortissime minusvalenze dei conti;
il sistema creditizio italiano, tra i suoi asset, ha titoli di Stato italiani per 160 miliardi di euro e titoli di Stato degli altri Paesi «Pigs» per 3 miliardi di euro. A fronte di questo, le banche italiane hanno titoli «tossici» (essenzialmente mutui subprime) per una quota pari al 6,8 per cento del patrimonio di vigilanza, contro una media europea del 65,3 per cento. Secondo le nuove norme di valutazione degli asset stabilite dall'Autorità bancaria europea, si è al paradosso: i titoli di Stato in portafoglio vengono considerati «tossici» per le banche italiane, peggio di quanto non lo siano i subprime per le banche straniere;
questa decisione dell'Autorità bancaria europea, invece di dimostrare equilibrio ed equità, ha finito per penalizzare il sistema bancario italiano che ha meno titoli tossici e strumenti derivati rispetto alle banche francesi o tedesche;
queste circostanze hanno reso ancor più difficile l'accesso al credito per molte piccole e medie imprese;
si deve, comunque, considerare che la Banca centrale europea ha fornito un'enorme liquidità alle banche che usufruiscono del notevole differenziale tra i tassi di approvvigionamento dei fondi (dalla Banca centrale europea all'1 per cento e dai privati con un tasso di poco superiore) e quelli a cui li offrono a prestito. Il 29 febbraio 2012 la Banca centrale europea ha prestato 530 miliardi di euro per tre anni alle banche europee, una somma simile a quella già elargita nel dicembre 2011. Soldi che non serviranno, l'esperienza del prestito della Banca centrale europea precedente lo attesta, a finanziare le imprese e le famiglie. Infatti, quell'operazione è servita sopratutto a sostenere la domanda di titoli di Stato;
l'operazione a tre anni del 21 dicembre 2011 vide una richiesta di prestiti per 489 miliardi di euro, che furono tutti assegnati. I prestiti sono andati in parte a sostituire altre operazioni di politica monetaria, ragion per cui l'incremento netto di finanziamenti concessi dalla Banca centrale europea al sistema bancario europeo è stato, in realtà, molto inferiore: 193 miliardi di euro. Con riferimento al nostro Paese, le banche italiane usufruirono di un finanziamento di 116 miliardi di euro in quell'operazione, ma l'incremento netto di liquidità fornita dalla Banca d'Italia nel mese di dicembre 2011 è stato della metà, 57 miliardi di euro;
le banche italiane hanno in buona parte utilizzato i soldi presi a prestito dalla Banca centrale europea per acquistare titoli di Stato, contribuendo alla riduzione dei tassi d'interesse sul debito pubblico italiano. Nello stesso tempo, le banche hanno stretto l'offerta di credito, sia riducendo la quantità sia aumentando il costo dei finanziamenti;
le somme ricevute dalla Banca centrale europea sono state usate anche per rimborsare obbligazioni bancarie, un'operazione che sarebbe stata troppo costosa rinnovare ai tassi di mercato. Nel bimestre dicembre 2011-gennaio 2012, le banche italiane hanno anche acquistato titoli di Stato per 32,6 miliardi di euro. Nello stesso periodo, i prestiti bancari alle imprese e alle famiglie italiane si sono ridotti di 20 miliardi di euro;
le banche italiane, come rilevano le associazioni dei consumatori, continuano ad applicare tassi di interesse più elevati dello 0,67 per cento sui mutui, in Italia al 4,6 per cento, contro il 3,93 per cento della media dell'Unione europea. Nel gennaio 2012, in Italia il costo dei finanziamenti alle imprese (nuove operazioni) era di 1,3 punti percentuali più alto rispetto allo stesso mese del 2011 (passando dal 2,7 per cento al 4 per cento), a parità di tasso di politica monetaria (1 per cento). Nello stesso periodo, il tasso d'interesse sui mutui immobiliari è salito di un punto percentuale (dal 3,15 per cento al 4,15 per cento). Sempre nello stesso periodo, il differenziale tra il tasso medio sui prestiti a imprese e famiglie e il tasso medio sulla raccolta è aumentato di mezzo punto percentuale (dal 2,2 per cento al 2,7 per cento);
va, inoltre, ricordato che l'articolo 8 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (la cosiddetta manovra Monti «Salva-Italia») ha fornito alle banche la garanzia dello Stato sui prestiti ottenuti (in larga misura dalla Banca centrale europea), garanzia che ha consentito loro di sopportare con qualche patema d'animo in meno la situazione difficile dei mercati finanziari;
il 28 febbraio 2012 Governo, Confindustria, l'Associazione bancaria italiana e altre associazioni imprenditoriali hanno firmato l'accordo su «Le nuove misure per il credito alle Pmi». L'accordo ha validità fino al 31 dicembre 2012 e individua interventi finanziari a favore delle piccole e medie imprese «in bonis». L'accordo prevede le seguenti operazioni: sospensione per 12 mesi del pagamento della quota capitale delle rate dei finanziamenti a medio-lungo termine (anche i mutui assistiti da contributo pubblico in conto capitale e/o interessi) e della quota capitale implicita nei canoni di operazioni di leasing immobiliare (6 mesi per il leasing mobiliare); allungamento della durata dei finanziamenti a medio-lungo termine (anche i mutui assistiti da contributo pubblico in conto capitale e/o interessi); allungamento delle scadenze delle anticipazioni su crediti verso clienti fino a un massimo di 270 giorni;
l'articolo 11, comma 4, del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, ha introdotto la garanzia dello Stato sugli interventi del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, quale garanzia di ultima istanza. Di conseguenza, in relazione al requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito, alle esposizioni assistite dal fondo nella forma della garanzia diretta e della controgaranzia a prima richiesta, si applica il fattore di ponderazione associato allo Stato italiano («ponderazione zero»), in quanto più favorevole di quello del soggetto debitore, nei limiti dell'importo che il fondo di garanzia è tenuto a versare in caso di inadempimento del debitore principale ovvero del confido garantito;
nel caso della garanzia diretta, il fondo interviene nella misura massima del 60 per cento dell'importo di ciascuna operazione finanziaria. Tale percentuale è elevata fino all'80 per cento in casi particolari (per le piccole e medie imprese a prevalente partecipazione femminile, per le piccole e medie imprese ubicate nelle zone 87.3.a) del Trattato dell'Unione europea, (per le piccole e medie imprese aderenti alla programmazione negoziata). Nel caso di controgaranzia, il fondo interviene invece nella misura massima del 90 per cento della garanzia prestata dai confidi o dagli altri fondi di garanzia. Il moltiplicatore calcolato sul «finanziato», dato dal rapporto è pari a circa 16. Con un euro di dotazione del fondo sono, dunque, attivabili 16 euro di finanziamenti. Il moltiplicatore calcolato sul «garantito» è invece pari a circa 8. Un euro di dotazione del fondo consente, pertanto, di attivare circa 8 euro di garanzia;
il fondo è stato finanziato per un miliardo e mezzo di euro per il quadriennio 2009-2012. L'importo garantito dal fondo di garanzia per le piccole e medie imprese è stato innalzato, con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 9 aprile 2009, da 500 mila euro a un milione e mezzo di euro. L'intervento del fondo, inoltre, è stato esteso, per la prima volta, alle imprese artigiane, estendendo notevolmente la platea dei potenziali beneficiari. I circa 250 confidi dell'artigianato contano, infatti, circa 700 mila imprese associate;
dai dati citati appare evidente come l'entità dei finanziamenti a disposizione, il tetto dell'importo garantito, le percentuali su cui si applica la garanzia, siano del tutto insufficienti e non consentono di fornire uno sostegno adeguato alle piccole e medie imprese, incluse le imprese artigiane, in particolare in questa fase di crisi;
la peculiarità del tessuto produttivo ed economico del nostro Paese, la fortissima presenza di piccole imprese, la forte vocazione manifatturiera, rendono le banche il canale principale di erogazione delle risorse;
è, comunque, innegabile che, specie in Italia, le aziende devono essere aiutate a fare passi in avanti nella loro aggregazione. L'Italia è un Paese che deve la sua ossatura produttiva alle piccole e medie imprese, ma che ha un sistema economico molto chiuso, carente di quella capacità di innovare che è la molla necessaria per la competitività. L'ovvia conseguenza è che le piccole e medie imprese italiane risultano avere un livello di capitalizzazione basso. Per le imprese italiane, storicamente sottocapitalizzate e ancora basate sul pluriaffidamento bancario a breve, quello di capitalizzazione sarà l'indicatore che darà più preoccupazioni nella determinazione del rating aziendale. Le imprese italiane, soprattutto quelle di minori dimensioni, non sono adeguatamente trasparenti. Regole severe con sanzioni effettive per chi nasconde e occulta i dati contabili consentirebbero alle banche di rischiare di più e chiedere meno garanzie;
la crisi del credito per le piccole e medie imprese è ulteriormente aggravata dai dati sui tempi di pagamento alle piccole imprese che fanno emergere attese anche di 600 giorni, per recuperare i crediti vantati nei confronti degli enti pubblici. Il tempo medio di attesa per riscuotere un credito da una pubblica amministrazione si attesta sui 128 giorni contro i 67 della media dell'Unione europea, ma anche le aziende private saldano i propri fornitori in 88 giorni. Questi ritardi costano 934 milioni di euro l'anno e a farne le spese sono proprio le piccole e medie imprese che hanno molte difficoltà nell'accesso al credito. Secondo alcune stime, i crediti vantati dalle imprese nei confronti di amministrazioni centrali ed enti sanitari locali superano i 70 miliardi di euro;
allo scopo di ricondurre il problema a dimensioni fisiologiche è stata adottata la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/35/CE del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, recepita nell'ordinamento interno, in attuazione dell'articolo 26 della legge 1o marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001), dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231. Tale direttiva fissa a 30 giorni il termine massimo dei pagamenti della pubblica amministrazione, con sanzioni del 5 per cento per ogni giorno di ritardo;
tale situazione non è nuova. Nella metà degli anni Ottanta la necessità di una politica restrittiva in termini di cassa aveva posto al legislatore il problema (derivato) di garantire alle imprese il puntuale pagamento dei crediti vantati. Infatti, decine di migliaia di imprese erano costrette ad indebitarsi con il sistema bancario in attesa di ricevere quanto dovuto ed erano sull'orlo del fallimento. La soluzione, saggia anche se transitoria, fu il ricorso ad una normativa di compensazione-cessione dei crediti vantati verso la pubblica amministrazione, recata dal comma 9 dell'articolo 1 del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 1986, n. 11;
al fine di accelerare il pagamento dei crediti commerciali esistenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 1 del 2012 (cosiddetto «decreto liberalizzazioni») connessi a transazioni commerciali per l'acquisizione di servizi e forniture, certi, liquidi ed esigibili, corrispondenti a residui passivi del bilancio dello Stato, con le disposizioni di cui all'articolo 35 del medesimo decreto, il Governo ha messo a disposizione complessivamente 5,7 miliardi di euro. Una somma molto al di sotto del debito complessivo delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle aziende fornitrici di beni e servizi;
si tratta di una somma che potrà essere spesa in parte per cassa, in parte con l'assegnazione di titoli del debito pubblico se, a chiedere questa misura alternativa di pagamento saranno i creditori (fino ad un massimo di 2 miliardi di euro, inclusi nel totale complessivo dei 5,7 miliardi di euro già citato);
slitta, invece, la norma che sanziona i futuri ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese e che prevedeva l'introduzione di un interesse di mora pari all'8 per cento. La misura era stata messa a punto dal Ministro per le politiche comunitarie al fine di recepire la direttiva europea per il contrasto ai ritardi dei pagamenti;
il rispetto del patto di stabilità, inoltre, aggrava la situazione mettendo a rischio pagamenti, cantieri in corso e manutenzioni indispensabili per garantire la sicurezza dei cittadini. Tra il 2009 e il 2012, il blocco delle entrate si è tradotto in una riduzione di circa nove miliardi di euro, difficilmente sostenibile per i comuni che hanno dovuto far fronte alla crescente domanda di servizi sociali. I comuni hanno subito il taglio di due miliardi e mezzo di euro di trasferimenti erariali e la fissazione del loro contribuito al risanamento della finanza pubblica per una somma pari a 4 miliardi e mezzo di euro. Tutto ciò ha generato un blocco generalizzato dei pagamenti, in particolare di quelli in conto capitale;
la procedura dei rimborsi dell'iva, che le società maturano trimestralmente nei confronti dell'erario, attualmente risulta troppo articolata e molto onerosa per le aziende. La vigente legislazione in materia di crediti iva, infatti, prevede, in virtù dell'articolo 8, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 542 del 1999, la possibilità di compensare il proprio credito iva con le altre imposte dovute. Il limite di compensazione ammesso, già dall'anno 2001 e tuttora vigente, ha un plafond di 516.456,90 euro fissato dall'articolo 34 della legge n. 388 del 2000;
inoltre, a seguito di recenti introduzioni legislative entrate in vigore dal l o gennaio 2010, detta procedura è stata resa ancora più onerosa, sia in termini di costi che in termini di tempi rendendoli ancora più diluiti, obbligando le aziende con crediti iva superiori a 15 mila euro alla certificazione del credito da parte di professionisti abilitati i quali, al fine di rilasciare detta certificazione, debbono acquisire in azienda un grande volume di documenti fiscali da controllare. In sintesi, per i crediti iva maturati nel corso dell'anno, l'attuale normativa consente di utilizzare in compensazione solo fino al tetto citato, mentre la differenza viene chiesta a rimborso la cui liquidazione, una volta completata la presentazione della documentazione prevista, corredata di apposita ed onerosa polizza fideiussoria atta a garantire il credito chiesto a rimborso, genera tempi di attesa enormi che attualmente si aggirano intorno ai 18-24 mesi, tempi che penalizzano fortemente le aziende costringendole ad anticipare le proprie risorse finanziarie, o a dover ricorrere al credito bancario per far fronte agli impegni gestionali;
un altro elemento che penalizza fortemente le piccole e medie imprese in termini di liquidità disponibile concerne il pagamento dell'iva su fatture emesse ma non effettivamente riscosse. Occorre, dunque, rendere permanente per i piccoli operatori economici il pagamento dell'iva al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo modificando l'articolo 7 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che prevedeva la sospensione del pagamento dell'iva solo per un anno, ed aumentare il volume d'affari massimo (200 mila euro) previsto per l'applicazione della norma,
impegna il Governo:
per quanto concerne l'accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese:
a) a farsi promotore nelle debite sedi di proposte volte al coordinamento, almeno europeo, nell'applicazione omogenea delle nuove regole dell'accordo «Basilea 3» nei Paesi membri, ed a intervenire in tutte le sedi europee necessarie per ottenere la revisione del criterio che vede l'attribuzione ai titoli di Stato non del valore nominale o cedolare, ma del loro prezzo corrente di mercato, criterio che penalizza pesantemente gli istituti di credito italiani;
b) ad adottare le opportune iniziative normative al fine di prevedere che gli istituti di credito, che beneficiano della garanzia di cui all'articolo 8 decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, forniscano opportune garanzie in merito alla concessione del credito alle piccole e medie imprese ed alle famiglie, monitorandone l'attività;
c) ad aprire un confronto con gli istituti di credito e le loro associazioni rappresentative al fine di ottenere che una percentuale dei prestiti ricevuti dagli istituti di credito nazionali da parte della Banca centrale europea con tasso agevolato dell'uno per cento sia impiegata per erogare finanziamenti alle famiglie e alle piccole e medie imprese;
d) ad adottare le opportune iniziative normative volte ad assicurare la continuità negli anni e l'estensione dell'attività di garanzia del fondo rivolto alle piccole e medie imprese, di cui all'articolo 15 della legge n. 266 del 1997, valutando la possibilità di incrementare in maniera consistente le risorse a disposizione del fondo di garanzia, il tetto dell'importo del credito garantito e le percentuali sulle quali si applica la garanzia;
per quanto concerne il ritardo nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni:
a) a fornire periodicamente al Parlamento i necessari elementi per un monitoraggio della situazione;
b) a dare definitiva attuazione nel nostro ordinamento ai principi sanciti a livello comunitario in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni;
c) a valutare la possibilità di consentire alla Cassa depositi e prestiti, in considerazione del suo ruolo di soggetto finanziatore delle amministrazioni pubbliche, e in particolare di quelle locali, l'effettuazione di operazioni di cessione dei crediti scaduti ed esigibili, anche mediante cartolarizzazione degli stessi, con costi ed oneri finanziari a carico delle amministrazioni debitrici;
d) ad adottare le opportune iniziative normative volte a consentire ai creditori della pubblica amministrazione di potere richiedere alle amministrazioni debitrici la certificazione delle somme dovute e, conseguentemente, cedere il relativo credito ad un istituto di credito che ne assume la piena titolarità, previo pagamento dell'intero ammontare del credito;
e) ad ampliare il ricorso a soluzioni tecnico-giuridiche che permettano di utilizzare, per il pagamento almeno di parte del debito delle pubbliche amministrazioni, previa opzione del creditore, titoli del debito pubblico facilmente liquidabili;
f) a prevedere che una quota significativa delle risorse per il rifinanziamento del fondo residui perenti venga destinata, in via prioritaria, al pagamento dei residui in conto trasferimenti delle regioni e degli enti locali al fine di consentire agli stessi di procedere al pagamento dei crediti commerciali certi, liquidi ed esigibili vantati dalle imprese nei loro confronti, derivanti dall'acquisizione di beni e servizi, elaborando, altresì, parametri di individuazione delle priorità di pagamento dei crediti certi, liquidi ed esigibili vantati dalle imprese verso gli enti locali (ad esempio, anzianità del credito, esigenze di liquidità dell'impresa e altro);
per quanto concerne le misure fiscali, ad adottare le opportune iniziative normative al fine di:
a) provvedere ad una riforma strutturale di tutta la procedura dei rimborsi dei crediti iva, disciplinata dall'articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e successive modificazioni, prendendo in considerazione l'ipotesi di aumentare considerevolmente l'attuale limite della compensazione almeno per quelle imprese che abitualmente, proprio in virtù del meccanismo suddetto, si trovano sistematicamente con un credito iva infrannuale da chiedere come rimborso o in compensazione, oppure, in alternativa, consentendo alle aziende di compensare, per tutto l'anno, il credito iva vantato nei confronti dell'erario con tutto ciò che gli adempimenti fiscali impongono di pagare mensilmente, in particolar modo tutte le imposte erariali ed i contributi, concorrendo in tal modo ad operare anche una semplificazione fiscale, in quanto si eviterebbe il sovrapporsi di domande di rimborso da erogare e si richiederebbe la presentazione di una sola polizza fideiussoria alla fine dell'anno ove si evidenzierebbe il residuo credito iva al netto delle compensazioni effettuate nell'anno stesso;
b) rendere permanente, per i piccoli operatori economici, il pagamento dell'iva al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo, modificando l'articolo 7 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che prevedeva la sospensione del pagamento dell'iva solo per un anno, ed aumentare il volume d'affari massimo di 200 mila euro previsto per l'applicazione della norma.
(1-00916)
«Borghesi, Barbato, Messina, Di Stanislao, Donadi, Cimadoro, Piffari, Paladini».
(12 marzo 2012)
La Camera,
premesso che:
le piccole e medie imprese costituiscono la struttura portante della realtà industriale italiana e una risorsa essenziale per il ruolo strategico che ricoprono nel sistema economico del Paese;
sono consapevoli, queste imprese, di rappresentare un riferimento macroeconomico unitario, tanto che cinque confederazioni nazionali, circa 600 associazioni locali e 2 milioni e mezzo di artigiani e commercianti si sono uniti nella « Rete Imprese Italia» per affermare la loro soggettività imprenditoriale in un mercato che pretende riduzione dei costi e competitività nella salvaguardia di sempre più stringenti principi di concorrenza;
un recente studio della Commissione europea condotto sulle piccole e medie imprese ne conferma l'importanza per la loro capacità di puntare sull'innovazione e di creare nuova occupazione. Mentre il rapporto Rehn, nella prospettiva della competizione di sistema, ammonisce sulla stringente esigenza di un dimensionamento aziendale e produttivo capace di sopportare le sfide dei mercati globali, dallo studio della Commissione europea è emerso come, tra il 2002 e il 2010, l'85 per cento dei nuovi posti di lavoro è stato creato dalle piccole e medie imprese; nello specifico sono le microimprese che hanno contribuito con più forza alla crescita dell'occupazione. Tuttavia, nel periodo compreso tra il 2009 e il 2010 la crisi ha prodotto effetti dannosi, soprattutto per le piccole imprese che hanno subito un calo medio annuo dei posti di lavoro del 2,4 per cento rispetto alla riduzione dello 0,95 per cento di quelle di grandi dimensioni; un puntuale riscontro si ricava dal dato del decremento del numero delle piccole imprese italiane nella misura di 30.000 unità proprio nell'anno 2009;
così come, secondo la valutazione di Unioncamere, mentre l'affidabilità complessiva delle piccole e medie imprese si attesta al 34 per cento, quella delle sole imprese di medie dimensioni si colloca oltre il 50 per cento;
in Italia, su un totale di 4,5 milioni di imprese dell'industria e dei servizi, il 95 per cento di esse sono rappresentate da aziende con meno di 10 addetti, garantendo l'occupazione al 47 per cento dei lavoratori del settore, pari a circa 17,5 milioni;
date le particolari caratteristiche strutturali di tali aziende, un elemento essenziale da sottolineare è rappresentato da un forte vincolo di dipendenza dal credito bancario. Nel caso delle piccole e medie imprese, infatti, circa il 40 per cento delle loro passività è costituito dal debito nei confronti delle banche;
secondo i dati della Banca d'Italia, le forti pressioni esercitate sul mercato dei titoli italiani, ma anche la crisi sui debiti sovrani di molti Stati, hanno prodotto conseguenze negative sulle operazioni di raccolta delle banche che, a loro volta, hanno inciso profondamente sulle condizioni di offerta di credito all'economia reale;
ne è derivata una forte contrazione dei prestiti alle famiglie e un deciso rallentamento dei finanziamenti alle imprese che, di conseguenza, ne penalizza la competitività determinando minori investimenti e ridotte possibilità di crescita, a fronte di un dato secondo il quale le piccole e medie imprese, anche nel corso di questa crisi prolungata, mantengono una propensione all'investimento nella misura dell'80 per cento, contando per il 53 per cento su mezzi propri e per il 39,1 per cento sul credito bancario;
in un'indagine condotta dalla Banca d'Italia, in collaborazione con Il Sole 24 ore, nel mese di dicembre 2011, la quota di imprese che segnala un peggioramento delle condizioni di accesso al credito è pari al 49,7 per cento, rispetto al 28,6 per cento registrato a settembre 2011: un valore superiore a quello raggiunto nel 2008 al culmine della crisi finanziaria;
sempre secondo le statistiche di Banca d'Italia, a gennaio 2012 il tasso di crescita sui dodici mesi dei prestiti al settore privato è sceso all'1,6 per cento dal 2,3 per cento di dicembre 2011. Su tali dati ha inciso in particolar modo la riduzione dei prestiti alle società non finanziarie scesa all'1,3 per cento dal 2,6 per cento, mentre il tasso di crescita dei prestiti alle famiglie si è ridotto al 3,1 per cento dal 3,4 per cento;
le difficoltà di raccolta e di liquidità delle banche italiane, che hanno portato alla stretta creditizia, il cosiddetto credit crunch, si sono ulteriormente aggravate alla fine del 2011;
i ripetuti interventi della Banca centrale europea hanno evitato che la stretta sul credito producesse effetti ancor più devastanti sull'economia reale. L'obiettivo, infatti, è stato quello di immettere nel sistema bancario liquidità illimitata e a basso prezzo, per dare fiato alle imprese e nuovo slancio ai bilanci bancari. Ciò nonostante, i risultati ottenuti sono stati di gran lunga inferiori rispetto alle aspettative;
le banche italiane, infatti, in occasione dell'operazione realizzata dalla Banca centrale europea nel dicembre 2011, hanno utilizzato buona parte del prestito di 116 miliardi di euro per acquistare titoli di Stato, cosa che ha sì garantito una riduzione dei tassi d'interesse sul debito pubblico italiano, ma, nello stesso periodo, ha prodotto un calo dei prestiti bancari ad imprese e famiglie di 20 miliardi di euro, a fronte di un aumento a gennaio 20121 del costo dei finanziamenti alle imprese stesse dell'1,3 per cento rispetto allo stesso mese del 2011;
nel 2011 ben il 71 per cento dell'afflusso di risorse è derivato dalla Banca centrale europea con un apporto pari a 159 miliardi di euro, mentre solo l'11 per cento da depositi e obbligazioni, per un ammontare pari a 24 miliardi di euro;
recentemente la Banca centrale europea ha avviato un'altra operazione di rifinanziamento all'1 per cento per tre anni, assegnando alle banche un prestito pari a circa 530 miliardi di euro, ancora una volta con lo scopo di porre un freno alla stretta del credito, sostenere il debito sovrano degli Stati e dare nuovo respiro alle imprese europee. Gli istituti italiani avrebbero chiesto circa 139 miliardi di euro;
i ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione aggravano ulteriormente i problemi di liquidità di molte imprese italiane. La Confindustria stima che nel 2011, per la liquidazione delle fatture, le imprese hanno atteso in media 180 giorni a fronte dei 128 giorni nel 2009. Secondo stime ufficiose, il debito della pubblica amministrazione ammonterebbe a circa 70 miliardi di euro: condizione di sofferenza accentuata e aggravata dal fatto che le imprese sovente ricorrono al credito bancario esclusivamente per il circolante, cioè per garantire la loro sopravvivenza in un tempo in cui l'incasso delle fatture commerciali è divenuto del tutto aleatorio;
è di fine febbraio 2012 l'accordo contenente le «Nuove misure per il credito alle piccole e medie imprese» sottoscritto dall'Associazione bancaria italiana, alcune associazioni di categoria, il Ministro dello sviluppo economico ed il Viceministro dell'economia e delle finanze. L'accordo prevede diverse tipologie di interventi finanziari a favore delle piccole e medie imprese in modo da garantire loro adeguate risorse e di sostenere la ripresa dell'economia reale;
è il momento di non indugiare in abusati quanto pleonastici peana in favore delle piccole e medie imprese del sistema Italia per garantire loro il sostegno attivo consentito dalla cornice legislativa comunitaria e dallo sforzo finanziario di tutto il Paese; peraltro, gli interventi mirati qualitativamente e quantitativamente al consolidamento del potenziale produttivo e occupazionale delle piccole e medie imprese entrano a pieno diritto nel novero del rilancio economico dell'intero Paese;
è condivisibile il discusso sentimento secondo il quale quello delle medie imprese può e deve costituire un modello efficace da sostenere, favorire e irrobustire,
impegna il Governo:
ad adottare le opportune iniziative al fine di aumentare le possibilità di accesso al credito delle piccole e medie imprese, finalizzato ad investimenti in miglioramenti dell'efficienza tecnologica e organizzativa, anche attraverso sistemi più trasparenti nella gestione delle informazioni aziendali e nelle modalità di determinazione dei rating delle aziende da parte delle banche, come presupposto per la costituzione di un fondo finanziato annualmente, a valere sul bilancio del Ministero dello sviluppo economico, che si faccia carico delle spese di accesso al credito delle piccole e medie imprese presso il sistema bancario, nei casi documentati di crediti a bilancio nei confronti di pubbliche amministrazioni centrali e territoriali e dei loro enti di riferimento, nonché di crediti commerciali;
ad assumere iniziative normative che dispongano di privilegiare, negli interventi a favore delle piccole e medie imprese, quelli che sviluppino in maniera documentata progetti produttivi fondati sul valore della prossimità territoriale, in particolare nei distretti industriali, implementino i processi di economie di filiera e evidenzino efficienti programmazioni di riduzione della delocalizzazione produttiva;
ad assumere iniziative di semplificazione e di vantaggio per i processi di condivisione tra le piccole e medie imprese delle attività di ricerca e sviluppo, nella logica imprenditoriale condivisa della costruzione di sinergie territoriali, dando priorità alle aziende che avviino concreti progetti interregionali;
a dare immediata esecuzione all'accordo sottoscritto a fine febbraio 2012, al fine di sostenere le piccole e medie imprese e garantire la ripresa dell'economia reale;
ad assumere ogni altra iniziativa volta a recuperare le risorse necessarie per risolvere l'annosa questione dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione e ridurre in tal modo il debito non più tollerabile nei confronti delle piccole e medie imprese, senza traslazione di oneri sui bilanci delle famiglie.
(1-00924)
«Mosella, Fabbri, Lanzillotta, Pisicchio, Tabacci, Versace, Vernetti, Brugger».
(13 marzo 2012)
La Camera,
premesso che:
il tessuto imprenditoriale italiano è composto da 4,5 milioni di aziende, di cui il 99,8 per cento sono classificabili come micro, piccole e medie imprese, con una quota degli occupati pari circa all'81,7 per cento del totale, con un livello del valore aggiunto prodotto che si attesta intorno al 72,5 per cento del valore complessivo;
sul totale delle micro, piccole e medie imprese, le statistiche mostrano che le microimprese (meno di 10 addetti) costituiscono la stragrande maggioranza, con una quota pari al 94,8 per cento;
appare necessario, stante la grave crisi che coinvolge soprattutto le micro, piccole e medie imprese, attuare manovre e applicare norme che consentano alle stesse di usufruire di un po’ di ossigeno per non rischiare che entrino nel tunnel della chiusura definitiva della propria attività, con le conseguenze facilmente immaginabili per l'occupazione e per l'economia del Paese;
le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale prospettano un rischio recessione per la l'economia, con un calo del prodotto interno lordo del 2,2 per cento nel 2012;
ciò pone la classe dirigente del Paese, la politica e il Governo davanti all'urgenza di scelte immediate e non più rinviabili, stante l'assunto da tutti riconosciuto che senza una ripresa dello sviluppo si è condannati al fallimento;
la crisi ha, comunque, accentuato le difficoltà – invero presenti da numerosi anni – per il cuore del sistema economico italiano, le piccole e medie imprese, di reperire le risorse necessarie per continuare ad operare e crescere in un mercato dominato da una logica di profitto a breve termine, in cui i capitali vengono attirati dalle attività più speculative, determinando un preoccupante e dannoso deficit di risorse per il settore, che rappresenta la maggior parte dell'occupazione in Italia e che contraddistingue un tessuto economico basato sull'innovazione, la flessibilità e la solidarietà;
infatti, dagli anni Novanta è iniziata una commistione tra le attività finanziarie ordinarie, rappresentate dai depositi, i mutui, i prestiti alle imprese, e le attività speculative che, negli ultimi anni in particolare, hanno mostrato la loro vera natura minacciando di gettare il mondo in una depressione economica senza paragoni. Di fronte a questa prospettiva, Governi e le banche centrali hanno attuato numerosi salvataggi, caricando sui contribuenti ulteriori debiti prodotti da chi ha speculato per conto proprio;
è necessario garantire che il sistema finanziario sia al servizio dell'economia reale, a differenza della tendenza degli ultimi anni in cui le attività puramente speculative hanno preso il sopravvento sul resto dell'economia, provocando anche un forte deficit di investimenti nei beni e servizi necessari per mantenere e accrescere il tenore di vita della popolazione;
la Commissione europea, già nel 2008, pubblicò lo small business Act che stabiliva i 10 principi che si sarebbero dovuti adottare dai Governi per garantire il sostegno delle piccole e medie imprese, ovvero: dar vita a un contesto in cui imprenditori e imprese familiari possano prosperare e che sia gratificante per lo spirito imprenditoriale; far sì che imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l'insolvenza, ottengano rapidamente una seconda possibilità; formulare regole conformi al principio «pensare anzitutto in piccolo»; rendere le pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle piccole e medie imprese; adeguare l'intervento pubblico alle esigenze delle piccole e medie imprese; facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici e usare meglio le possibilità degli aiuti di Stato per le piccole e medie imprese; agevolare l'accesso delle piccole e medie imprese al credito e sviluppare un contesto giuridico ed economico che favorisca la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali; aiutare le piccole e medie imprese a beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico; promuovere l'aggiornamento delle competenze nelle piccole e medie imprese e ogni forma di innovazione; permettere alle piccole e medie imprese di trasformare le sfide ambientali in opportunità; incoraggiare e sostenere le piccole e medie imprese perché beneficino della crescita dei mercati;
l'Italia ha dato attuazione alla comunicazione della Commissione europea del 2008 con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2010 sullo small business Act;
dai monitoraggi effettuati nel corso degli anni, è risultato che l'Italia è il Paese dell'Unione europea con il maggior numero di imprese di piccole dimensioni. Infatti, più di una piccola e media impresa europea su cinque è italiana e le piccole e medie imprese nel loro insieme rappresentano il 99,8 per cento del totale delle imprese europee. Più di nove su dieci hanno meno di dieci dipendenti e in esse trovano occupazione due terzi dei lavoratori europei. Le aziende artigiane, inoltre, sono 5 milioni e la microimpresa italiana crea il 31,5 per cento del valore aggiunto del Paese, mentre in altri Paesi come Inghilterra e Germania il dato è circa la metà;
nonostante la grave crisi economica e finanziaria che ha colpito il nostro Paese, le piccole e medie imprese costituiscono ancora il volano dell'occupazione italiana;
le difficoltà che le micro, piccole e medie imprese sono chiamate ad affrontare in un periodo di grave crisi economica sono di carattere legislativo, creditizio e finanziario;
la crisi economica e finanziaria ha ridotto drasticamente la possibilità delle piccole e medie imprese di accedere al credito. Ciò le priva, in molti casi, di quell'ossigeno necessario alla sopravvivenza e impedisce alle stesse imprese di programmare nuovi investimenti;
l'origine finanziaria della crisi globale ha evidenziato la necessità di intervenire, nell'ottica di patrimonializzare, sugli istituti di credito e sugli eccessivi livelli di rischio che essi assumono;
al fine di scongiurare il verificarsi di una nuova crisi finanziaria si è intervenuti apportando significative modifiche all'accordo noto con il nome di «Basilea 2», stilando il testo del «Basilea 3». In base agli accordi raggiunti, il requisito minimo per il common equity – la componente di capitale con la maggiore capacità di assorbire le perdite – sarà innalzato dall'attuale livello del 2 per cento al 4,5 per cento;
il nuovo coefficiente sarà introdotto con gradualità entro il 1o gennaio 2015;
il requisito per il patrimonio di base, che, oltre al common equity, comprenderà altri strumenti finanziari computabili sulla base di criteri più stringenti rispetto agli attuali, sarà elevato dal 4 al 6 per cento nell'arco dello stesso periodo;
è stato, altresì, stabilito che il capital conservation buffer (cuscinetto di protezione del patrimonio), aggiuntivo rispetto ai requisiti minimi regolamentari, sia calibrato al 2,5 per cento e costituito da common equity al netto delle deduzioni e sarà applicato a seconda delle specifiche situazioni nazionali;
lo scopo del nuovo buffer di capitale è quello di assicurare che le banche mantengano un cuscinetto di capitale da poter impiegare per assorbire le perdite durante i periodi di stress finanziario ed economico. Da un lato, le banche potranno attingere a tale risorsa in situazioni di stress, dall'altro, quanto più i loro coefficienti patrimoniali regolamentari si avvicineranno al requisito minimo, tanto maggiori saranno i vincoli posti alla distribuzione degli utili. Tali coefficienti patrimoniali sono integrati da un indice di leva finanziaria non basato sul rischio, che funge da supporto ai coefficienti descritti in precedenza basati sul rischio;
inoltre, è stato deciso di sperimentare un coefficiente minimo di leva finanziaria per il patrimonio di base del 3 per cento durante il corrispondente periodo di sperimentazione;
a seconda dei risultati della fase sperimentale, gli eventuali aggiustamenti definitivi saranno apportati nella prima metà del 2017, con l'obiettivo di trasformarlo, a partire dal 1o gennaio 2018, in requisito minimo nell'ambito del primo pilastro del regime di «Basilea 2», subordinatamente a un'appropriata revisione delle regole di calcolo e alla fissazione del livello di calibrazione;
sono state previste disposizioni transitorie per l'applicazione dei nuovi standard, fatto che contribuirà ad assicurare che il settore bancario sia in grado di rispettare coefficienti patrimoniali più elevati, attraverso ragionevoli politiche di accantonamento degli utili e di aumenti di capitale, assicurando in pari tempo il credito all'economia;
in aggiunta, dopo un periodo di osservazione che prenderà avvio nel 2011, l'indice di copertura della liquidità a breve sarà introdotto il 1o gennaio 2015. L'indicatore strutturale dell'equilibrio finanziario sarà trasformato in requisito minimo il 1o gennaio 2018;
in sintesi: i principali timori di «Basilea 3» sono riconducibili, da un lato, all'utilità e all'efficacia dell'accordo e, dall'altro, alle conseguenze che esso potrebbe avere sulle imprese e, più in generale, sull'economia reale;
ad essere maggiormente penalizzati sono i Paesi con modelli di business come l'Italia, fondati, cioè, sul canale del credito bancario per il finanziamento alle imprese;
le lentezze di ordine burocratico e i tempi ormai incredibilmente lunghi della giustizia civile costituiscono degli ulteriori ostacoli per le piccole e medie imprese che ne escono fortemente penalizzate per la difficoltà di veder soddisfatti i propri crediti in tempi ragionevoli,
impegna il Governo:
a verificare e, se necessario, ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia assicurata l'erogazione del credito, al fine di prevenire e scongiurare che le stesse imprese e le famiglie debbano pagare le eventuali conseguenze negative dell'applicazione dei nuovi parametri patrimoniali previsti da «Basilea 3»;
a migliorare il rapporto tra pubblica amministrazione e aziende, potenziando, se necessario, il fondo di garanzia al fine di rendere meno difficoltoso l'accesso al credito dei piccoli e medi imprenditori;
a promuovere un quadro organico di interventi a favore delle micro, piccole e medie imprese, asse portante dell'economia italiana;
a promuovere le necessarie iniziative normative per ovviare ai ritardi nei pagamenti delle transazioni, in particolar modo quelle che interessano le pubbliche amministrazioni;
ad attivare politiche tese a ridurre la pressione fiscale, in particolare sulle imprese di piccole e medie dimensioni e sulle famiglie;
a sostenere l'internazionalizzazione, l'innovazione e la ricerca, la cooperazione in reti, oltre che la tutela del made in Italy, presupposto indispensabile per mantenere in vita molte imprese artigiane;
a verificare la possibilità di assumere iniziative per una proroga dei pagamenti dovuti all'erario per le imprese colpite, a vario titolo, dagli ultimi eventi atmosferici disastrosi a partire dalla zone dove è stato riconosciuto lo stato di calamità.
(1-00929)
«Polidori, Moffa, Calearo Ciman, Catone, D'Anna, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».
(15 marzo 2012)
La Camera,
premesso che:
i problemi connessi alla crisi dei debiti sovrani e gli interventi regolamentari che hanno imposto alle banche di procedere ad ingenti ricapitalizzazioni contribuiscono all'acutizzarsi delle difficoltà nell'accesso al credito;
conseguentemente, le piccole e medie imprese, che costituiscono la spina dorsale del tessuto economico e produttivo del nostro Paese e che, nel loro complesso, rappresentano i tre quarti della forza lavoro dipendente ed il 98 per cento delle aziende italiane, stanno correndo un grossissimo rischio, quello di vedersi chiudere totalmente i «rubinetti» del credito. Tutto ciò va ad aggiungersi ai ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni;
la normativa europea di recepimento dell'accordo di «Basilea 3», prevede un generale inasprimento dei requisiti patrimoniali per le banche che, se da una parte accresce la fiducia nella solvibilità delle banche medesime, dall'altra rischia di tradursi in maggiori costi per il sistema produttivo, specialmente per le piccole e medie imprese che sono da sempre «banco-centriche», mentre le poche grandi aziende italiane si rivolgono direttamente al mercato;
la crisi economica ha fatto diminuire il fatturato delle piccole e medie imprese italiane del 30 per cento, inducendo le banche a chiedere loro il rientro dai fidi concessi in tempi ristretti e il numero percentuale delle piccole e medie imprese che negli ultimi mesi ha avuto problemi di accesso ad un finanziamento bancario è pari al 43 per cento;
l'Autorità bancaria europea (european banking Authority) ha adottato una raccomandazione che prevede la creazione, entro il prossimo mese di giugno 2012, di una riserva supplementare di fondi propri da parte delle banche, chiedendo di aumentare il «Core Tier 1» delle banche stesse, portandolo al 9 per cento minimo. Tali requisiti non stanno diffondendo la fiducia che l'Autorità bancaria europea si proponeva;
per la valutazione del rischio, l'Autorità bancaria europea ha usato il criterio market to market, ossia l'attribuzione non del valore nominale o cedolare dei titoli ma il prezzo corrente di mercato, che per i titoli sovrani italiani detenuti dalle banche italiane ha significato un deprezzamento di oltre il 15 per cento del valore nominale, con effetti pesanti sui mercati e sulle minusvalenze dei conti;
l'Associazione bancaria italiana ha proposto l'introduzione di specifici coefficienti, per esempio, il pmi supporting factor da applicare all'ammontare destinato a riserva secondo i parametri di «Basilea 3» per far sì che i rigidi requisiti patrimoniali richiesti non si traducano una restrizione ulteriore di erogazione del credito alle piccole e medie imprese;
la Banca centrale europea ha attivato, l'8 dicembre 2011, due finanziamenti straordinari (il long term refinancing operation-ltro), della durata di 36 mesi a favore delle banche, allo scopo di garantire l'accesso alla liquidità agli istituti di credito, per oltre 1.000 miliardi di euro e più precisamente, il 21 dicembre 2011, la prima asta ha visto assegnare oltre 489 miliardi di euro e la seconda, il 29 febbraio 2012, quasi 530 miliardi di euro, al tasso fisso dell'1 per cento. Le banche italiane hanno fatto ricorso a questo finanziamento rispettivamente per 116 miliardi di euro la prima volta e per 139 di euro miliardi la seconda, che in parte sono andati al riassorbimento di operazioni in scadenze a breve;
il governatore della Banca d'Italia, in suo recente intervento all'Assiom Forex, ha detto che: «le imprese si trovano a dover fronteggiare un inasprimento delle condizioni creditizie» ed ha invitato le banche a «valutare attentamente il merito di credito, senza far mancare il sostegno finanziario ai clienti solvibili e meritevoli»;
presso il Ministero dello sviluppo economico è istituito il fondo centrale di garanzia con lo scopo di favorire l'accesso al credito delle piccole e medie imprese, attraverso il rilascio di una garanzia pubblica sui finanziamenti erogati dalle banche;
l'analisi annuale per la crescita 2012, presentata dalla Commissione europea il 23 novembre 2011 (COM(2011)815 def.) prevede espressamente di «ripristinare la normale erogazione di prestiti all'economia» e pone «l'esigenza di garantire che le banche rafforzino i propri coefficienti patrimoniali consolidando le proprie posizioni patrimoniali e non limitando indebitamente l'erogazione di prestiti all'economia reale» e di «rivedere le norme prudenziali per evitare che penalizzino indebitamente l'erogazione di prestiti alle piccole e medie imprese»;
altro fattore di forte criticità per le imprese è dato dai ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione: l'ammontare complessivo viene stimato intorno ai 70 miliardi di euro e l'entità dei ritardi accumulati ammonta mediamente a 128 giorni, contro una media europea di 65 giorni, con un range che va da un minimo di 92 ad un massimo di 664 giorni,
impegna il Governo:
ad adottare le opportune iniziative al fine di aumentare le possibilità di accesso al credito delle piccole e medie imprese, finalizzato ad investimenti per l'innovazione dei prodotti e dei processi;
ad adoperarsi in sede europea al fine di:
a) sospendere l'entrata in vigore delle misure volte a fissare livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche;
b) intervenire in merito ai requisiti patrimoniali delle banche affinché siano introdotti meccanismi correttivi per la ponderazione del rischio di credito relativo ai prestiti alle piccole e medie imprese;
ad adottare iniziative normative volte a rendere più veloci i pagamenti dei crediti della pubblica amministrazione, accellerando il recepimento e l'applicazione della direttiva 2011/7/UE;
ad assumere iniziative volte a istituire un fondo presso la Cassa depositi e prestiti, atto ad accollarsi l'onere della parte di debiti, delle autonomie locali, verso le piccole e medie imprese garantiti da disponibilità a bilancio ma non utilizzabili per i vincoli del rispetto del patto di stabilità interno.
(1-00948)
«Cambursano, Giulietti, Giorgio Merlo, Barbi, Zampa, Mario Pepe (PD), Portas, Marmo, La Forgia, Santagata, Recchia».
(21 marzo 2012)
La Camera,
premesso che:
sebbene sia stata innescata dai crack finanziari di soggetti privati internazionali prima e dai rischi di insolvenza dei debiti sovrani in seguito, la crisi che sta attraversando l'Italia ha origini più antiche ed interne poiché l'Italia registrava bassi tassi di sviluppo già dall'inizio degli anni 2000;
le piccole e medie imprese rappresentano un patrimonio di fondamentale importanza per l'economia italiana e uno dei principali elementi di vitalità del nostro Paese, ma rappresentano altresì il settore che sta maggiormente soffrendo dell'attuale contingenza economica;
nell'attuale scenario, oltre al calo della domanda interna ed estera, le difficoltà incontrate dalle piccole e medie imprese sono di ordine finanziario e possono essere principalmente ricondotte a due ordini di problemi: le difficoltà di accesso al credito e di rientro dei prestiti ricevuti dalle banche; i ritardi dei pagamenti dei crediti vantati nei confronti sia della pubblica amministrazione, sia dei clienti privati;
in tema di credito non ha certo giovato l'introduzione dei nuovi requisiti patrimoniali per gli istituti bancari, previsti dall'accordo «Basilea 3», per garantire la stabilità del sistema che ha determinato effetti restrittivi nell'erogazione del credito alle piccole e medie imprese;
oltre agli effetti derivanti dall'accordo «Basilea 3», le banche italiane devono scontare anche le conseguenze derivanti dalla richiesta dell'Autorità bancaria europea alle banche europee di aumentare la propria capitalizzazione, al fine di rafforzare la fiducia dei mercati nella capacità degli istituti di credito di fronteggiare gli shock provenienti dal fronte dei debiti sovrani;
la seconda long term refinancing operation (ltro) della Banca centrale europea ha assegnato 529,53 miliardi di euro in asta a 36 mesi al tasso dell'1 per cento e segue quella di 489 miliardi di euro collocati a dicembre 2011, entrambe finalizzate a stimolare la concessione di prestiti da parte delle banche;
in questa delicata fase, i consorzi di garanzia collettiva dei fidi hanno continuato a svolgere un'importante funzione e a rappresentare uno strumento efficace nel migliorare le condizioni di accesso ai prestiti e nell'aumentare la qualità del credito bancario alle imprese, soprattutto di minore dimensione, consentendo, in particolare, a quelle associate a consorzi di garanzia di ottenere linee di credito a tassi d'interesse più bassi rispetto a quelle non associate;
in tal senso, infatti, l'Italia rappresenta un caso di successo in termini di penetrazione della garanzia sul totale dei finanziamenti concessi alle imprese;
tuttavia, mentre i Paesi esteri si caratterizzano per la presenza di schemi di filiera della garanzia semplici e strettamente correlati alle politiche economiche e industriali «centrali», nonché per l'assenza di capillarità distributiva e contribuzione privata alla formazione delle risorse a sostegno della filiera stessa, l'Italia, al contrario, presenta un modello distributivo molto sviluppato e con forti legami sul territorio, basato essenzialmente sul soggetto confidi quale attore principale della garanzia diretta e di primo livello, ma, al contempo, la filiera è lunga e complessa, con molte sovrapposizioni tra i diversi attori, istituzionali e non, e una minore focalizzazione di politica economica;
i diversi accordi denominati «moratoria» concordati tra le organizzazioni di impresa, l'Abi e i Ministeri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico hanno consentito a tutte le piccole e medie imprese di attenuare gli effetti della carenza di liquidità attraverso la sospensione delle rate di mutui e di leasing;
la nuova «moratoria», resa possibile anche grazie alla liquidità messa a disposizione dalla Banca centrale europea, riguarda un'ampia gamma di linee di credito aperte dalle imprese, così da consentire ad un gran numero di piccole e medie imprese di beneficiare della sospensione delle rate di mutui e di leasing o dell'allungamento delle anticipazioni bancarie;
in tema di ritardo nei pagamenti dalla pubblica amministrazione in Italia (che costano alle piccole e medie imprese 3,7 miliardi di euro di oneri finanziari), è stato stimato che, al termine contrattuale di 90 giorni, si somma un ritardo medio di altri 90 giorni, per un totale di 180 giorni, il che rende la pubblica amministrazione italiana il peggiore pagatore d'Europa. Tuttavia, sebbene nel Mezzogiorno il cliente prevalente delle imprese è la pubblica amministrazione, nel Nord e nel Centro, invece, i clienti sono soprattutto privati e anche qui la situazione è difficilissima, anche perché le azioni legali sono costose per la lunghezza dei tempi della giustizia e spesso inefficaci;
su questo tema sono stati recentemente adottati appositi decreti attuativi da parte del Governo per agevolare la certificazione dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione, nonché per rendere possibile la compensazione tra posizioni creditorie e debitorie delle stesse imprese nei confronti dello Stato. Inoltre, è stato sottoscritto un nuovo accordo tra l'Abi e le rappresentanze delle imprese, che mira ad agevolare e rendere più conveniente per le imprese le operazioni di «smobilizzo» dei crediti che queste ultime vantano nei confronti della pubblica amministrazione, in linea con quanto previsto dagli stessi decreti attuativi;
la scarsa liquidità e l'insolvibilità non spiegano da sole la crisi che sta attraversando il mondo delle piccole e medie imprese;
esistono anche altri fattori che hanno determinato questa situazione legati alla redditività e alla capacità delle imprese di restare competitive,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative presso le competenti sedi europee al fine di mitigare gli effetti, in particolare con riferimento all'accesso al credito delle piccole e medie imprese, derivanti dall'applicazione delle nuove regole stabilite dall'Unione europea in materia di coefficienti patrimoniali e di capitalizzazione delle banche italiane (come, ad esempio, il supporto all'iniziativa promosso dall'Abi e dalle altre rappresentanze di impresa per l'applicazione di uno specifico coefficiente che sterilizzi gli effetti avversi di «Basilea 3» sui prestiti alle piccole e medie imprese);
ad adottare iniziative volte a rafforzare il ruolo e l'operatività dei consorzi di garanzia collettiva fidi;
a ridefinire e semplificare la filiera italiana delle garanzie oggetto di finanziamento ai privati (retail), preservandone la natura fortemente sussidiaria e basata sullo strumento dei confidi;
a vigilare, per quanto di competenza, affinché la nuova normativa in tema di compensazione tra i crediti commerciali verso la pubblica amministrazione e i debiti tributari venga applicata correttamente, producendo così i risultati sperati;
a recepire tempestivamente, nell'ambito della delega contenuta nell'articolo 10 della legge n. 180 del 2011, cosiddetto statuto delle imprese, la direttiva comunitaria sui ritardi di pagamento, anche per ridurre il rischio di far accumulare nuovi debiti da parte della pubblica amministrazione e dei clienti privati.
(1-00970)
(Nuova formulazione) «Ciccanti, Galletti, Anna Teresa Formisano, Ruggeri, Pezzotta, Occhiuto, Compagnon, Naro, Volontè, Poli, Libè».
(26 marzo 2012)
La Camera,
premesso che:
in questi ultimi mesi il nostro Paese affronta una crisi economica di portata continentale e mondiale. La crisi, nata come finanziaria, si è presto rivelata molto più profonda, mostrando in poco tempo la sua natura economica e produttiva; il rischio reale è che possa sfociare in una crisi anche sociale. Anche per evitare questa possibile quanto pericolosa degenerazione è nato il Governo del senatore Monti, la cui genesi è stata accompagnata dalla maturata consapevolezza del baratro che anche il nostro Paese aveva ed ha di fronte a sé. Un baratro in cui non si può cadere perché in tal caso l'Italia trascinerebbe con sé l'intera Europa, una nuova realtà ma fondamentale per il mantenimento degli equilibri mondiali;
la globalizzazione ha posto e pone di fronte alla consapevolezza che il destino dell'Italia è legato indissolubilmente a quello degli altri Paesi. Le decisioni che si prendono in ogni singolo Paese hanno oggi ripercussioni ed effetti su realtà che fino a pochi anni fa si potevano considerare molto più distanti di quanto non siano oggi. Questa consapevolezza, è bene sottolinearlo, aumenta e deve aumentare il grado di responsabilità di chi è chiamato a decidere;
ebbene, l'attuale Governo sta agendo su più fronti, consapevole che il tempo è un fattore determinante della sua azione. In pochi mesi ha affrontato liberalizzazioni, semplificazioni, riforma del sistema pensionistico, ora quella del mercato del lavoro. Su quest'ultima è in corso un confronto necessario. Si tratta di provvedimenti che sono destinati a lasciare il segno nel tessuto sociale del nostro Paese; tanto più sarà profondo tale segno, tanto più sarà dimostrata l'efficacia delle scelte fatte;
rigore e sviluppo sono i riferimenti cardine su cui si sta muovendo l'azione riformatrice. Ma se per ciò che attiene al rigore l'intervento legislativo e normativo può certo considerarsi direttamente efficace, per quanto riguarda lo sviluppo la sua efficacia non può essere considerata altrettanto diretta. L'intervento normativo nell'ottica del rilancio dello sviluppo può, cioè, essere certamente utile, ma come premessa, come fattore agevolativo e semplificativo, non certo come fattore determinante. Lo sviluppo non si può creare per decreto, sono le forze produttive del Paese a poterlo determinare, ma queste vanno messe nelle condizioni adeguate per farlo; questo è il compito della politica e delle istituzioni che la rappresentano;
in questo senso molto c’è da fare, se il rigore voluto e perseguito sta producendo effetti avvertiti quotidianamente dai cittadini italiani, ebbene le scelte propedeutiche al rilancio del Paese devono avere la stessa efficacia, devono essere avvertite nella stessa maniera dai nostri concittadini;
la pubblica amministrazione riveste in questo quadro un ruolo centrale; può e deve essere considerata come uno strumento fondamentale per il rilancio del sistema economico italiano; può essere il volano della ripresa;
invece, uno dei principali ostacoli sulla strada del possibile rilancio del Paese è rappresentato proprio dal ritardo cronico dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche, una situazione questa non più sostenibile. Attualmente la realizzazione di importanti opere pubbliche, necessarie per ammodernare il Paese e riprendere il ciclo dello sviluppo economico, sono a rischio per il blocco della liquidità dell'amministrazione pubblica;
investire nel rilancio delle opere pubbliche rappresenta un'opzione non di secondo piano per il rilancio dell'economia e della produttività del sistema Italia, ma, di fatto, questa possibilità viene resa impraticabile;
gli enti locali in Lombardia pagano mediamente in 120 giorni, in Campania pagano con 365 giorni di ritardo, in Calabria addirittura si raggiunge il tetto di ben 600 giorni. Bisogna, però, tener conto che vi sono pure al Nord realtà in cui è ben evidente questa patologia del rapporto fra le imprese fornitrici di beni e servizi e gli enti locali. Ottenere una commessa per un'impresa privata in queste condizioni può rappresentare una vera e propria iattura per il proprio conto economico;
questa situazione tiene lontani gli investimenti pubblici e privati da un'area come quella del Mezzogiorno, che, non va sottaciuto, rappresenta un mercato di consumo per le imprese del Nord e potrebbe diventare un'area strategica per il rilancio dell'economia dell'intero Paese;
il rilancio degli investimenti infrastrutturali al Sud e nelle altre aree depresse del Paese rappresenta un'opportunità che deve essere colta, anche perché una scelta del genere contribuirebbe a sviluppare sul territorio quella serie di piccole e medie imprese private che potrebbero ridare, con la loro stessa esistenza, linfa all'intero Meridione e non solo;
lo Stato, le regioni e gli enti locali possono rappresentare un'opzione in più, uno strumento importante, attraverso i loro investimenti, per veicolare, diffondere e invogliare l'iniziativa privata sul territorio. Nell'interesse, si badi bene, non solo delle aree eventualmente interessate, ma dell'intero sistema Paese e delle aziende non solo locali che potrebbero essere coinvolte in un piano nazionale di investimenti sul territorio;
fino a qualche anno fa le regioni riuscivano a pagare i fornitori di beni e servizi con più tempestività, perché potevano utilizzare i fondi di riequilibrio o, comunque, ricorrevano con maggiore possibilità all'indebitamento. Entrambe le ipotesi oggi non sono più percorribili. Inoltre, è necessario tenere conto del vincolo imposto dal patto di stabilità. In virtù proprio del patto di stabilità, si è di fronte ad una situazione particolare per la quale alcune regioni, pur avendo risorse disponibili, non possono utilizzarle, mentre altre non hanno praticamente denaro in cassa. Dunque, in una situazione di crisi come quella attuale, esistono risorse che di fatto si rendono indisponibili;
di fronte a questa situazione i Repubblicani Azionisti hanno proposto la necessità di discutere nelle sedi opportune l'ipotesi che le risorse finanziarie inutilizzate possano essere rimesse in circolo con l'istituzione di un fondo di garanzia, attraverso il quale il Governo sia garante dei pagamenti anche delle autonomie locali;
una proposta avanzata anche in virtù della consapevolezza che il Governo ha da poco messo a disposizione ben 1 miliardo di euro al di fuori del patto di stabilità e sta lavorando per diminuire l'incidenza dei vincoli esistenti, scelta questa che comporta la spesa di ingenti risorse economiche; di fronte a tale impegno, pensare di rendere utilizzabili risorse attualmente rese indisponibili appare vieppiù necessario;
una necessità ancora più evidente; in una fase come quella attuale, nella quale anche il sistema bancario mostra evidenti segnali di difficoltà e l'accesso al credito diventa sempre più difficile, l'azione della pubblica amministrazione, come detto, può diventare una valvola di stabilità fondamentale. Essa può ridare ossigeno a moltissime imprese di tutto il Paese del Sud e forse e soprattutto del Nord;
in occasione di un dibattito in Assemblea, il rappresentante del Governo ha ricordato i numerosi interventi effettuati negli ultimi anni, per cercare di risolvere la criticità del ritardo dei pagamenti: dall'articolo 9 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, al più recente articolo 13, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183, sino alla previsione di una disciplina da definire con un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata. Per quanto utili e necessari gli interventi citati non sono risultati risolutivi, almeno non così sono stati percepiti ed avvertiti;
una consapevolezza questa che aumenta di fronte alla drammatica carenza di liquidità cui sono sottoposte le piccole e medie imprese del Paese, che rappresentano, come è noto, la spina dorsale del sistema produttivo italiano;
in Italia l'iniziativa imprenditoriale, infatti, non manca: il numero di aziende che il Paese vanta è pari a 3,8 milioni; è quasi il doppio di quelle che si possono contare nella locomotiva d'Europa, ovvero in Germania (2 milioni e 38 mila). Ma quasi il 95 per cento delle imprese italiane ha una dimensione ridotta con un numero di dipendenti inferiore a dieci. In particolare, in Italia su un totale di 3.849.258 di imprese, il 94,5 per cento è costituito da micro imprese, il 4,9 per cento da piccole, lo 0,5 da medie e solo lo 0,1 per cento da grandi;
il credit crunch a cui sono sottoposte le piccole e medie imprese produce un avvitamento finanziario che danneggia non solo la fisiologia interna delle piccole e medie imprese, ma la natura stessa del sistema imprenditoriale italiano;
di fronte a questa situazione, se lo statuto dei lavoratori nel 1970 ha avuto il merito di socializzare l'impresa, oggi appare necessario ribadire e rinsaldare il ruolo sociale degli istituti bancari, la cui attività resta sì fondamentale per l'economia moderna, ma deve mantenere la qualità basilare di servizio;
nell'ultima indagine trimestrale, condotta dalla Banca d'Italia, è quasi raddoppiata, al 28,6 per cento dal 15,2 per cento della precedente inchiesta, la quota delle imprese per le quali le condizioni di accesso al credito sono peggiorate;
le ragioni di queste difficoltà sono principalmente di due tipi. In primo luogo, c’è da parte delle banche un problema di liquidità, soprattutto per quanto riguarda gli impieghi a medio termine, posto che le banche si trovano di fronte all'esigenza di garantire la copertura delle operazioni correnti e devono ridurre gli spazi per i finanziamenti alle imprese; in secondo luogo, c’è un problema di costi. Per le banche è sempre più oneroso aumentare la propria raccolta e ottenere capitali per il forte rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani;
di fronte a questa situazione sono proprio le piccole e medie imprese a rischiare maggiormente, perché il sistema bancario continua ad essere fortemente impegnato verso i grandi gruppi, anche loro spesso in difficoltà;
le imprese, quindi, hanno di fronte un credito difficile e più caro proprio in un momento in cui sarebbero invece necessari forti investimenti per rinnovare gli impianti e accrescere la competitività;
va ricordato che il 21 dicembre 2011 le banche europee hanno ottenuto circa 500 miliardi di euro di nuovi fondi, in occasione della prima asta di rifinanziamento organizzata dalla Banca centrale europea, allo scopo di fronteggiare il credit crunch; di queste risorse, gli istituti italiani hanno ricevuto 116 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento;
la Banca centrale europea ha più volte dichiarato che tali risorse sono vincolate allo scopo di offrire credito all'economia reale, in modo da permettere alle banche di avere più liquidità da poter mettere a disposizione, in particolare, delle imprese. Questa scelta è stata dettata dalla consapevolezza che il rilancio dello sviluppo del sistema non può che essere collegato alla capacità effettiva di credito, che gli istituti bancari dovrebbero concedere alle imprese, in particolare a quelle piccole e medie;
senza il rafforzamento delle linee di credito appare, infatti, estremamente complicato ipotizzare che si possa davvero procedere ad un rilancio dello sviluppo del sistema, per il quale, specie in Italia, il ruolo delle piccole imprese è determinante, sia in termine di produzione che di impiego di forza lavoro;
la mancanza di liquidità è, dunque, la ragione principale del ristagno dell'economia ed è l'obiettivo principale da perseguire se si vuole rilanciare il sistema Italia. Le cause principali di questa carenza sono evidentemente, da un lato, la mancanza di credito alle imprese da parte del sistema bancario, dall'altro la mancanza di investimenti pubblici in settori strategici e il patologico quanto insostenibile ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione a tutti i suoi livelli;
recentemente il Governo ha predisposto un decreto ministeriale con specifico riguardo proprio alla compensazione dei crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione. Una decisione questa assolutamente condivisibile. Però, il testo in questione prevede che questa misura di compensazione non si attui in quelle regioni sottoposte a piani di rientro oppure che siano state commissariate, regioni prevalentemente del Mezzogiorno, dove la crisi economica è sempre più forte. Si tratta, evidentemente, di una scelta non condivisibile ed estremamente grave, perché produrrebbe effetti direttamente contrari agli obiettivi che si vogliono raggiungere;
si tratterebbe, qualora confermata, di una scelta evidentemente discriminatoria che scarica sulle aziende e sulle imprese colpe e responsabilità che non hanno e di cui non possono pagare il prezzo;
l'origine di tale eventuale, inaccettabile ed insostenibile discriminazione non è da addebitare ad una scelta o a un errore del Governo. Il problema è, invece, originato dai vincoli di una direttiva europea, che, difatti, escluderebbero dalle compensazioni le regioni che già hanno usufruito del piano di rientro, per ristabilire l'equilibrio economico-finanziario,
impegna il Governo:
ad intervenire, nel rispetto delle proprie ed altrui competenze, affinché l'ipotesi avanzata di rendere disponibili le risorse attualmente inutilizzate, da parte di alcune regioni, attraverso la creazione di un fondo nazionale per garantire i pagamenti delle pubbliche amministrazioni ed anche delle autonomie locali, fondo di cui il Governo nazionale sia gestore e garante, possa essere discussa e vagliata come eventuale risorsa aggiuntiva per risolvere il problema cronico dei ritardi dei pagamenti e contribuire così al rilancio del sistema nel suo complesso;
ad istituire nel più breve tempo possibile un tavolo permanente con i rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana, della Banca d'Italia, delle principali associazioni di categoria e dei consumatori, al fine di avanzare proposte operative per il sostegno del credito a favore delle imprese e delle famiglie;
ad intervenire, nei limiti delle proprie competenze, affinché i prestiti che la Banca centrale europea ha messo a disposizione delle banche siano effettivamente utilizzati per sostenere l'accesso al credito per le imprese;
ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, affinché sia possibile per i creditori della pubblica amministrazione richiedere alle amministrazioni debitrici la certificazione delle somme dovute e, quindi, nel caso, cedere il relativo credito ad un istituto bancario che ne assuma la piena titolarità;
ad intervenire nelle sedi europee competenti affinché si adottino provvedimenti mirati a garantire effettivamente l'accesso al credito per imprese e famiglie;
a chiarire quale siano le soluzioni tecnico-normative che il Governo intende adottare, per rimuovere un vincolo che creerebbe un'inaccettabile discriminazione ed estendere, quindi, i benefici delle compensazioni a tutte quelle regioni, che sono prevalentemente del Sud, che ne resterebbero escluse pur avendone più bisogno.
(1-01011)
(Nuova formulazione) «Ossorio, Nucara, Brugger».
(17 aprile 2012)
La Camera,
premesso che:
la crisi economica che ha coinvolto tutto il vecchio continente sta, lentamente, facendo danni irreparabili a tutto il sistema produttivo italiano e, in modo particolare, a quello del Sud;
se è vero che il rigore è necessario per mettere in sicurezza i conti ed il bilancio pubblico, è altrettanto vero che senza una seria politica di crescita l'uscita dal tunnel della crisi appare sempre più lontana, se non impossibile;
inoltre, in Italia, una serie di problematiche ne acuiscono il problema. Se, da un lato, la pressione fiscale è aumentata, dall'altro, i crediti vantati dalle imprese nei confronti dello Stato appaiono sempre di più come un miraggio irraggiungibile;
anche dal punto di vista del credito le cose non vanno meglio. Gli istituti bancari italiani fanno fatica a finanziare le imprese e le famiglie, pur avendo ottenuto cospicui prestiti dalla Banca centrale europea (circa 400 miliardi di euro) ad un tasso di particolare favore;
inoltre, anche dal punto di vista territoriale il costo del denaro varia. È un dato di fatto che, al Sud, il costo del denaro sia superiore di quattro punti percentuali rispetto al Nord, con un conseguente danno alle famiglie ed al sistema produttivo del Mezzogiorno che viene ulteriormente penalizzato,
impegna il Governo:
ad assumere, con immediatezza, iniziative per saldare i debiti che la pubblica amministrazione ha nei confronti delle imprese private, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese;
a prendere tutte le misure necessarie affinché gli istituti di credito, beneficiari di liquidità ad un tasso bassissimo, diano reale sostegno alle imprese e alle famiglie italiane in questo delicato momento di congiuntura negativa e, in modo particolare, per incentivare le banche a concedere mutui, con un tasso di particolare favore, per le giovani coppie ed i giovani precari e per evitare che al Sud si impongano tassi di gran lunga superiori rispetto al resto del Paese, mettendo in ginocchio un'economia già in difficoltà.
(1-01060)
«Iannaccone, Belcastro, Porfidia, Brugger».
(30 maggio 2012)
MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A TUTELA DEI LAVORATORI ESPOSTI ALL'AMIANTO NELLO STABILIMENTO GOODYEAR DI CISTERNA DI LATINA E DEI FAMILIARI DELLE VITTIME
La Camera,
premesso che:
la società multinazionale Goodyear ha attuato, durante il periodo della propria presenza in Italia, una politica industriale sostanzialmente impostata su un'attività concentrata in stabilimenti collocati in aree del Paese a basso tasso di sviluppo, anche in modo da usufruire delle agevolazioni fiscali della «Cassa per il Mezzogiorno»;
quando le condizioni economiche e imprenditoriali non hanno più consentito alla società di sviluppare in tal modo la propria produzione, la Goodyear ha scelto la strada di abbandonare l'Italia (e, in particolare, lo stabilimento di Cisterna di Latina), smantellando repentinamente i macchinari utilizzati negli stabilimenti italiani, coibentati in amianto, che sono stati trasferiti in Paesi in via di sviluppo che possiedono normative più deboli in materia di sicurezza sul lavoro;
purtroppo, numerosi lavoratori impiegati dalla società presso i propri stabilimenti, negli anni di permanenza in Italia, hanno accusato gravissime patologie derivanti dall'esposizione agli agenti dell'amianto, che sono state riscontrate in modo oggettivo – e non contestabile – dai competenti organismi sanitari;
in questo contesto, nell'estate del 2008 il tribunale di Latina ha condannato a complessivi 21 anni di reclusione nove ex dirigenti della Goodyear italiana nel processo per le morti, causate dall'esposizione all'amianto, nello stabilimento di Cisterna di Latina, che produceva pneumatici e ha definitivamente chiuso nel 2000;
dopo la sentenza, gli eredi delle vittime restano ancora in attesa dell'erogazione del risarcimento e l'azienda si rifiuta di corrispondere il dovuto, nonostante i reiterati ordini dei giudici di versare immediatamente le somme indicate;
secondo l'autorità giudiziaria, l'assoluta carenza dei dispositivi di protezione individuali e collettivi, nonché la violazione delle norme poste a tutela degli operai, hanno determinato la morte di decine di operai, esposti all'amianto, alle ammine aromatiche e ad altre sostanze altamente tossiche;
il 6 giugno 2012 è prevista presso il tribunale di Latina una nuova udienza, nell'ambito del processo penale di appello, mentre sta per iniziare presso il medesimo tribunale il dibattimento penale cosiddetto «Goodyear-bis» con dodici ex dirigenti della multinazionale in questione imputati di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose aggravate nei confronti di altri 20 operai, di cui 19 morti per tumore;
in data 15 settembre 2010 è stata approvata all'unanimità, da parte della XI Commissione (lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati, la risoluzione n. 8-00089, con la quale, proprio per far fronte a tale grave situazione e ad altre analoghe, il Governo si era impegnato a mettere in campo le iniziative più opportune, nell'interesse primario dei lavoratori drammaticamente coinvolti e delle loro famiglie, anche nell'ambito di un confronto generale con tutti i soggetti istituzionalmente coinvolti, nella prospettiva di portare all'attenzione e monitorare tutte le questioni ancora aperte;
allo stato, non risulta che il Governo abbia dato seguito ai richiamati impegni assunti a livello parlamentare, mentre un'iniziativa di mediazione, avviata a livello privato – anche a seguito delle reiterate richieste di versamento dei risarcimenti – con il coinvolgimento della società multinazionale, ha prodotto risultati assolutamente inaccettabili e deludenti;
occorre, dunque, intraprendere tutte quelle azioni tese a salvaguardare i diritti legittimamente rivendicati dai lavoratori danneggiati e dai familiari delle vittime e a garantire il rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro nel territorio,
impegna il Governo
ad attivare immediatamente un tavolo di confronto istituzionale con tutti i soggetti coinvolti, intraprendendo qualsiasi iniziativa idonea a salvaguardare i diritti dei lavoratori danneggiati e dei familiari delle vittime, con particolare riferimento al caso di cui in premessa, in ottemperanza agli impegni già assunti nelle competenti sedi parlamentari.
(1-01034)
«Moffa, Antonino Foti, Damiano, Poli, Paladini, Pelino, Razzi, Siliquini, Lehner, Gianni, D'Anna, Scilipoti, Taddei, Binetti».
(17 maggio 2012)
La Camera,
premesso che:
l'amianto è sostanza particolarmente insidiosa perché può provocare 2 diverse malattie: l'asbestosi, frutto dell'accumulo nell'organismo di fibre del materiale, altamente invalidante, e il mesotelioma pleurico, tumore maligno per la cui insorgenza, anche a distanza di decenni dall'esposizione, è sufficiente l'azione anche di pochissime fibre;
è stato, pertanto, riconosciuto che l'esposizione all'amianto è fortemente nociva, in quanto provoca tumori maligni della pleura e del peritoneo; con legge 27 marzo 1992, n. 257, si è disciplinata la cessazione dell'impiego di amianto nelle attività produttive di qualsiasi tipo, con l'obiettivo di sottrarre il lavoratore alla fonte di rischio;
purtroppo, in Italia numerosi sono i lavoratori impiegati presso multinazionali che hanno contratto la malattia o addirittura sono deceduti, perché le medesime aziende, in violazione delle norme vigenti, non hanno preso le dovute precauzioni per evitare l'esposizione all'amianto dei propri lavoratori;
gli eredi delle vittime attendono ancora il dovuto risarcimento da parte delle aziende condannate, le quali si rifiutano di pagare nonostante siano state emanate sentenze;
è dovere del Governo attivarsi a tutti i livelli per monitorare le questioni ancora insolute, a tutela dei lavoratori lesi, delle famiglie delle vittime e di tutti i soggetti danneggiati dal mancato rispetto delle norme sulla sicurezza dei lavoratori e dei luoghi di lavoro;
in data 15 settembre 2010 la Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati ha approvato all'unanimità la risoluzione n. 8-00089, per impegnare il Governo, con particolare riferimento alla vicenda della Goodyear, ad aprire un tavolo di confronto con tutti i soggetti istituzionalmente coinvolti, per portare all'attenzione e monitorare tutte le questioni ancora aperte, nonché a valutare l'eventuale esigenza di adottare possibili iniziative volte a garantire i diritti legittimamente rivendicati dai familiari delle vittime,
impegna il Governo
a dar seguito nell'immediato agli impegni già assunti in sede parlamentare e a relazionare al Parlamento sui risultati del monitoraggio, individuando quali e quante aziende coinvolte in sentenze risarcitorie non hanno ancora a tutt'oggi provveduto alla corresponsione del dovuto ai familiari delle vittime.
(1-01067)
«Fedriga, Dozzo, Bonino, Caparini, Munerato, Lanzarin, Dussin, Togni, Laura Molteni, Fabi, Martini, Rondini».
(4 giugno 2012)
MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA NEGOZIAZIONE DI ACCORDI BILATERALI CON PAESI NON APPARTENENTI ALL'UNIONE EUROPEA IN MATERIA DI TASSAZIONE DEL RISPARMIO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA CONFEDERAZIONE ELVETICA
La Camera,
premesso che:
il vantaggio in termini di stabilità di cui ha goduto la Svizzera per decenni, unitamente al fatto che il sistema bancario ha offerto un efficace apparato di protezione dei clienti, ha consentito alla piazza finanziaria elvetica di attrarre il 30 per cento dei patrimoni offshore a livello mondiale (circa 2.680 miliardi di euro – secondo il Global wealth report del 2011) e di gestire 5.500 miliardi di franchi (circa 6.700 miliardi di euro);
nel corso dell'anno 2008, anche a causa della crisi finanziaria che obbliga gli Stati sovrani al recupero di fondi su tutti i fronti, inizia un procedimento civile e penale negli Usa contro Ubs (il più importante istituto di credito svizzero), nell'ambito del quale il dipartimento della giustizia e l'Internal revenue service (Irs) chiedono informazioni su 52 mila contribuenti clienti di Ubs. Il 19 agosto 2009 l'Amministrazione federale delle contribuzioni sigla con l'Internal revenue service un accordo che limita la richiesta a 4.450 nomi (vedi Mauro Guerra in «Apologia del segreto bancario» – Limes n. speciale 2011 – L'importanza di essere Svizzera);
nel 2010, in seguito al caso della cosiddetta «lista Falciani» (un elenco di 127 mila correntisti esteri della banca svizzera Hsbc trafugato da un ex-dipendente dell'istituto di credito) sono scoppiate polemiche tra le autorità svizzere e quelle statunitensi e francesi. Si scoprì, inoltre, che vi comparivano 5.728 contribuenti italiani, i quali avrebbero depositato denaro nella filiale svizzera, evadendo il fisco, per un totale di 6,9 miliardi di dollari (circa 5 miliardi di euro);
i rapporti esistenti sul terreno fiscale tra l'Unione europea e la Confederazione svizzera hanno vissuto le seguenti tappe fondamentali: il 23 luglio 1972 viene firmato l'Accordo di libero scambio tra la Comunità europea e la Confederazione elvetica; il 3 giugno 2003 è approvata definitivamente la direttiva europea sul risparmio n. 2003/48/CE (recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 18 aprile 2005, n. 84); il 1o luglio 2005 entra in vigore l'accordo tra l'Unione europea e la Confederazione svizzera sul risparmio, siglato in data 26 ottobre 2004; il 13 febbraio 2007 viene emessa la decisione della Commissione economica europea sul sistema fiscale elvetico; nel mese di settembre 2009 la Svizzera sigla l'ultima delle dodici convenzioni di doppia imposizione contenenti la clausola dell'assistenza amministrativa ampliata in materia fiscale ed esce dalla lista grigia dell'Ocse. Essa ottiene di limitare l'assistenza a singoli casi, di escludere la valenza giuridica delle fishing expedition (ossia le richieste di informazioni bancarie non già sul singolo individuo, ma su gruppi o categorie di individui senza elementi specifici di sospetta evasione fiscale) e delle informazioni ottenute con sottrazione di dati, di migliorare l'accesso al mercato delle prestazioni finanziarie transfrontaliere; convenzioni fiscali con Germania (10 agosto 2011) e Gran Bretagna (24 agosto 2011) secondo il cosiddetto modello «Rubik»; nel 2011 il Consiglio dell'Unione europea (Ecofin) intende modificare la direttiva sul risparmi Liechtenstein o del 2003 (proposta di direttiva del Consiglio presentata dalla Commissione europea – COM(2008)727 definitivo), mentre la Commissione europea starebbe facendo pressione affinché Berlino e Londra modifichino, sulla scorta delle indicazioni provenienti da Bruxelles, le convenzioni sottoscritte nei mesi scorsi;
nel 2013 entrerà in vigore negli Usa il nuovo Foreign account tax compliance act (Fatca), in base al quale qualsiasi banca che voglia continuare a gestire conti di clienti statunitensi, o avere accesso al mercato statunitense, dovrà segnalare all'Internal revenue service le informazioni relative a questi clienti o, in alternativa, pagare un'imposta del 30 per cento su tutti i pagamenti e gli investimenti di origine statunitense;
pochi giorni fa, Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Usa hanno ufficializzato la volontà di adottare un approccio comune finalizzato all'applicazione in Europa della normativa del Foreign account tax compliance act (Fatca);
per effetto della «direttiva sul risparmio» (2003/48/CE) approvata definitivamente dal Consiglio il 3 giugno 2003 dopo una gestazione sofferta e prolungatasi per oltre cinque anni, dal 1o luglio 2005 è scattato l'obbligo per le banche e gli altri intermediari finanziari operanti in Italia, e in ventuno altri Stati dell'Unione europea, di comunicare periodicamente all'Agenzia delle entrate i dati relativi al pagamento di interessi effettuati a favore di persone fisiche residenti in altri Stati membri dell'Unione europea. L'Agenzia delle entrate deve inviare le informazioni così ottenute all'amministrazione fiscale del Paese di residenza di ogni singolo percettore e ricevere le medesime informazioni da parte di altri ventuno Stati dell'Unione europea;
in tre Stati dell'Unione europea (Austria, Belgio e Lussemburgo) e in cinque Stati extra Unione europea (Svizzera, Liechtenstein, Andorra, San Marino e Principato di Monaco), invece, le banche e gli intermediari locali non effettuano alcuna comunicazione, ma prelevano un'imposta del 15 per cento sugli interessi pagati a persone fisiche residenti in altri paesi dell'Unione europea. Il 25 per cento del gettito complessivo di questa imposta viene trattenuto dall'erario del singolo Stato, mentre il 75 per cento verrà da questo rimesso all'erario del Paese di residenza della persona;
questa ritenuta è stata aumentata progressivamente, per passare dal 15 per cento nel 2005 al 35 per cento nel luglio 2011;
questo accordo assicura alla Svizzera un vantaggio, ossia l'abolizione della tassazione alla fonte dei dividendi, dei redditi e dei canoni di licenza tra imprese associate, aumentando in tal modo l'attrattiva della Svizzera per le società attive a livello internazionale;
secondo le statistiche ufficiali elaborate dall'amministrazione elvetica, se si considera il 2007, secondo anno completo di applicazione dell'accordo, i soggetti pagatori svizzeri hanno operato ritenute alla fonte (15 per cento) sugli interessi aventi come beneficiari persone fisiche per un ammontare pari a circa 653 milioni di franchi svizzeri (corrispondenti a 435 milioni di euro). Di questo ammontare il 75 per cento è stato inoltrato ai vari Paesi facenti parte dell'Unione europea;
l'amministrazione italiana ha beneficiato di entrate per circa 125 milioni di franchi svizzeri, ponendosi al secondo posto tra i vari Stati europei. Inoltre, 63.000 beneficiari di interessi hanno optato per la perdita dell'anonimato, autorizzando l'agente pagatore a comunicare i dati alla competente autorità amministrativa (procedura di divulgazione volontaria);
l'interesse che determina una ritenuta del 15 per cento, pari a 653 milioni di franchi svizzeri, è stimato in 4.353 milioni di franchi svizzeri (2.898 milioni di euro). Il capitale sottostante potrebbe essere: se si ipotizza un rendimento del 2 per cento di 217 miliardi di franchi svizzeri (144 miliardi di euro); se, invece, si stima un rendimento del 4 per cento, di 108.5 miliardi di franchi svizzeri (72 miliardi di euro);
per quanto concerne l'Italia, se il 75 per cento della ritenuta è pari a 125 milioni di franchi svizzeri, la ritenuta totale è pari a circa 167 milioni di franchi svizzeri, determinata da interessi per circa 1.100 milioni di franchi svizzeri. Il relativo capitale potrebbe essere pari a circa 56 miliardi di franchi svizzeri (circa 37 miliardi di euro, con il 2 per cento di rendimento) oppure 28.000 milioni di franchi svizzeri (18,5 miliardi di euro, con il 4 per cento di rendimento);
per l'anno 2010, sono stati invece riscossi 432 milioni di franchi. I tre quarti di questo importo (pari a 324 milioni di euro) sono stati retrocessi agli Stati membri mentre un quarto del gettito (108 milioni di euro) spettava alla Svizzera;
l'accordo sulla fiscalità tra Svizzera e Unione europea del 2005, con il quale il Governo svizzero si impegnava a trattenere un'imposta alla fonte e riversarla agli Stati dell'Unione europea di residenza dei propri correntisti, ha dato scarsi esiti secondo il parere degli ex Ministri delle finanze di Germania e Italia, Steinbrück e Tremonti;
infatti, l'onere fiscale può essere facilmente aggirato: la direttiva si applica solo agli interessi versati a una persona fisica. Basta intestare il conto a una società (magari costituita in un altro paradiso fiscale) e il gioco è fatto. Il risultato di tutto questo è che: gli Stati maggiormente interessati ad avere informazioni continuano a non averne; l'evasione fiscale, favorita dal segreto bancario dei Paesi che possono continuare a mantenerlo, non ne soffre minimamente; chi si attendeva introiti favolosi per le esangui casse erariali è rimasto deluso;
peraltro, emerge una contraddizione per quanto concerne l'Italia: a partire dal 1o luglio 2011 la Svizzera opera una ritenuta del 35 per cento sugli interessi che rientrano nell'accordo: il 25 per cento resta alla Svizzera e il 75 per cento è inviato al Paese di residenza del beneficiario. Ne consegue che l'amministrazione italiana tributaria riceve, senza espletare alcun tipo di attività, il 75 per cento del 35 per cento, cioè il 26,25 per cento. Se il residente italiano avesse riportato in Italia i suoi capitali investendoli, ad esempio, in un normale conto corrente bancario, l'amministrazione italiana avrebbe introitato, a parità di capitale e di interesse, il 20 per cento, aliquota un po’ inferiore al 26,25 per cento. Mentre se l'investimento nel nostro Paese fosse in titoli di Stato, l'amministrazione italiana avrebbe introitato solo il 12,50 per cento, ritenuta di gran lunga inferiore al 26,50 per cento percepito nel primo caso. Da questo breve esempio si perverrebbe alla conclusione che il mantenimento di depositi in Svizzera da parte di soggetti residenti in Italia arrecherebbe teoricamente un sensibile vantaggio, in termini di flussi di imposte, all'amministrazione italiana;
l'accordo con la Svizzera, per la parte relativa al recepimento della direttiva sul risparmio, fa riferimento esclusivamente – come già detto – alle persone fisiche. Proprio questo si è rivelato, nel corso degli anni, un limite notevole al corretto funzionamento dell'accordo: l'interposizione di schermi societari ha, di fatto, attenuato le prospettive positive che erano attese dalla sua firma;
come porre rimedio a questa situazione è un compito al quale si sta dedicando la Commissione europea (vedi la proposta di direttiva del Consiglio presentata dalla Commissione dell'Unione europea – COM(2008)727 definitivo), il cui intervento si pone due obbiettivi: a) da un lato, il passaggio dalla nozione formalistica di beneficiario effettivo a quella di beneficiario economico; b) dall'altro, l'allargamento del campo di applicazione della direttiva a nuovi prodotti finanziari;
il Consiglio dell'Unione europea, il 17 maggio 2011, ha svolto un dibattito orientativo sul modo di procedere relativamente alla proposta citata, volta a rafforzare le disposizioni della direttiva dell'Unione europea in materia di tassazione dei redditi da risparmio;
la Presidenza del Consiglio dei ministri ha dichiarato che rifletterà sul modo di far avanzare i lavori, tenuto conto dei progressi compiuti;
le modifiche alla direttiva 2003/48/CE proposte sono intese a evitare l'elusione della direttiva, tenendo conto dell'evoluzione dei prodotti da risparmio e del comportamento degli investitori dalla sua prima applicazione nel 2005. Esse si prefiggono di ampliare il campo d'applicazione della direttiva per includervi non solo i pagamenti di interessi ma anche tutti i redditi da risparmio, nonché i prodotti che generano interessi o redditi equivalenti;
il Consiglio dell'Unione europea (Ecofin) intende modificare la direttiva sul risparmio del 2003 già citata. Tale direttiva è arrivata al termine del periodo transitorio e l'Ecofin intende promulgare un testo che prevede il passaggio automatico di informazioni tra Paesi. Austria e Lussemburgo continueranno ad applicare una ritenuta alla fonte, preservando l'anonimato dei contribuenti, mentre la Svizzera è chiamata a negoziare con l'Unione europea un riesame dell'accordo nei termini di quello siglato con Germania e Inghilterra;
è presumibile che la Confederazione elvetica difenderà il segreto bancario con molta forza e per molti anni e, stante che abolirlo o limitarlo in maniera significativa, potrebbe – secondo stime autorevoli – dimezzare il prodotto interno lordo generato dal settore finanziario (l'11 per cento del prodotto interno lordo svizzero), settore che occupa in Svizzera più di 200 mila persone;
la convenzione fiscale siglata il 10 agosto 2011, per le persone residenti in Germania, prevede il pagamento a posteriori di un'imposta sulle loro attuali relazioni bancarie in Svizzera. Al riguardo, esse possono effettuare un pagamento unico d'imposta oppure dichiarare i loro conti. I futuri redditi e gli utili dei capitali di clienti bancari tedeschi in Svizzera saranno soggetti a un'imposta liberatoria, il cui provento sarà trasferito dalla Svizzera alle autorità tedesche. Con la convenzione i due Paesi intendono, inoltre, migliorare l'accesso ai reciproci mercati per i fornitori di servizi finanziari;
grazie all'imposta liberatoria la Germania dovrebbe incassare un miliardo di euro l'anno. In più, riceverà una decina di miliardi a titolo di «risarcimento» per i casi di evasione fiscale del passato;
il testo della convenzione rispetta – secondo i sottoscrittori – da un canto, la sfera privata dei clienti bancari e, dall'altro, garantisce l'osservanza di pretese fiscali giustificate. Entrambe le parti convengono che, per l'effetto esplicato, il sistema concordato corrisponderà a lungo termine allo scambio automatico di informazioni per i redditi di capitali. Il testo completo della convenzione sarà pubblicato, come di consueto, dopo la firma di entrambi i Governi tra alcune settimane e potrebbe entrare in vigore all'inizio del 2013;
la convenzione tra Svizzera e Germania contiene in particolare i seguenti punti:
a) l'imposta liberatoria per il futuro: i futuri redditi e utili di capitali saranno direttamente assoggettati a un'imposta liberatoria. L'aliquota unica è stata fissata al 26,375 per cento, che corrisponde all'aliquota dell'imposta liberatoria in vigore in Germania. L'imposta liberatoria è un'imposta alla fonte. Con il suo versamento, l'obbligo fiscale nei confronti dello Stato di domicilio è, in linea di principio, soddisfatto;
b) allo scopo di impedire che nuovi averi non tassati vengano depositati in Svizzera, è stato convenuto un meccanismo di garanzia che permette alle autorità tedesche di presentare domande di informazioni che devono indicare il nome del cliente ma non necessariamente quello della banca. In termini numerici, queste domande sono limitate e devono basarsi su motivi plausibili. Per un periodo di due anni il numero delle domande sarà compreso tra 750 e 999; successivamente sarà adeguato sulla base dei risultati. La ricerca generalizzata e indiscriminata di informazioni, la cosiddetta fishing expedition (ossia le richieste di informazioni bancarie non già sul singolo individuo, ma su gruppi o categorie di individui senza elementi specifici di sospetta evasione fiscale), è esclusa;
c) il recupero d'imposta: ai fini della tassazione a posteriori delle attuali relazioni bancarie in Svizzera, le persone residenti in Germania devono avere, in via eccezionale, la possibilità di pagare un'imposta calcolata in modo forfettario. L'ammontare di questo onere fiscale oscilla tra il 19 e il 34 per cento dei valori patrimoniali e sarà stabilito in funzione della durata della relazione con il cliente nonché dell'importo iniziale e finale del capitale. In luogo di tale pagamento, gli interessati hanno la possibilità di dichiarare alle autorità tedesche la loro relazione bancaria in Svizzera;
d) altri punti: Svizzera e Germania hanno deciso di agevolare agli istituti finanziari l'accesso ai reciproci mercati. In particolare, sarà semplificata l'applicazione della procedura di esenzione (freistellungsverfahren) per le banche svizzere in Germania e abrogato l'obbligo di avviare le relazioni con i clienti tramite un istituto sul posto. Inoltre, è stata risolta la problematica dell'acquisto di dati rilevanti ai fini fiscali: si esclude la valenza giuridica delle informazioni ottenute con sottrazione di dati. Il pacchetto comprende anche la soluzione della questione di possibili procedimenti penali contro i collaboratori delle banche;
per garantire un gettito minimo a titolo di recupero d'imposta e dare corpo alla volontà di attuare la convenzione, le banche svizzere si sono impegnate a fornire una prestazione di garanzia di 2 miliardi di franchi (1,6 miliardi di euro). Il denaro anticipato dalle banche sarà compensato attraverso gli ulteriori pagamenti d'imposta e restituito alle banche;
la convenzione fiscale tra la Svizzera e il Regno Unito è impostata in maniera analoga a quella con la Germania, parafata il 10 agosto 2011. Le aliquote fiscali per la regolarizzazione del passato sono identiche. Le differenze sono dovute essenzialmente ai diversi regimi tributari e riguardano in particolare l'ammontare delle aliquote fiscali su redditi futuri e le particolarità del diritto procedurale. Il differente importo anticipato dalle banche è in funzione del diverso volume del fatturato;
la convenzione tra Svizzera e Regno Unito contiene in particolare i seguenti punti:
a) l'imposta liberatoria per il futuro: l'aliquota concordata è stata fissata tra il 27 e il 48 per cento a seconda della categoria del reddito da capitale. Le aliquote sono leggermente inferiori a quelle consuete marginali britanniche;
b) in termini numerici le domande di informazioni sono limitate e devono basarsi su motivi plausibili. Il numero delle domande sarà compreso tra qualche centinaio e un massimo di 500 all'anno; successivamente sarà adeguato sulla base dei risultati;
c) ai fini della tassazione a posteriori delle attuali relazioni bancarie in Svizzera, si applicano le stesse modalità previste dalla convenzione con la Germania;
d) altri punti: Svizzera e Regno Unito hanno deciso di agevolare agli istituti finanziari l'accesso ai reciproci mercati. Analogamente è stata esclusa la valenza giuridica delle informazioni ottenute con sottrazione di dati. Il pacchetto comprende anche la soluzione della questione di possibili procedimenti penali contro collaboratori delle banche;
la convenzione contiene norme speciali per i cosiddetti «soggetti non domiciliati nel Regno Unito», vale a dire per le persone che soggiornano in Gran Bretagna senza avere un domicilio durevole;
per garantire un gettito minimo a titolo di recupero d'imposta e dare corpo alla volontà di attuare la convenzione, le banche svizzere si sono impegnate a fornire una prestazione di garanzia di 500 milioni di franchi;
la Banca d'Italia ha recentemente pubblicato una ricerca dal titolo emblematico «Alla ricerca dei capitali perduti: una stima delle attività all'estero non dichiarate dagli italiani», dalla quale emerge che i capitali italiani illegalmente esportati all'estero ammontano attualmente tra 124 e 194 miliardi di euro;
a seguito dei cosiddetti «scudi fiscali» del Governo Berlusconi-Tremonti, due terzi dei rimpatri sono arrivati proprio dalla Svizzera. Se si ipotizza per un momento che tale proporzione valga anche per i capitali stimati ancora all'estero, in Svizzera ve ne sarebbero tra 82 e 130 miliardi di euro. Immaginando solo per un attimo un accordo dell'Italia con la Svizzera come quello fatto dalla Germania, se ne sarebbero ricavati qualche cosa come 9 miliardi di euro secondo una stima del quotidiano Il Sole 24 Ore;
anche l'Austria, il 13 aprile 2012, ha stipulato un accordo analogo a quelli sottoscritti dalla Germania e dal Regno unito;
dopo un primo parere contrario, il 17 aprile 2012, il Commissario europeo Semeta ha affermato in conferenza stampa che gli accordi bilaterali stipulati da Germania, Austria e Regno Unito con la Svizzera sono compatibili con il diritto dell'Unione europea;
secondo quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri in conferenza stampa il 30 aprile 2012, il Governo sarebbe pronto a «considerare ex novo l'intera materia»;
nel mese di maggio 2012 è stata anche risolta con le autorità svizzere la controversia relativa al blocco, da parte Svizzera, dei ristorni dei lavoratori frontalieri italiani. In data 8 maggio 2012, la Svizzera ha effettuato l'ordine di pagamento a favore dell'Italia. Sussistono, quindi, ora che questa controversia è stata risolta, i presupposti perché il confronto si sviluppi verso obiettivi ulteriori;
ad oggi, l'Italia non ha stipulato alcun accordo bilaterale con alcun paradiso fiscale, neppure con San Marino, con il risultato che, mentre sono obbligati a rispondere in modo adeguato agli altri Paesi, tali Stati possono essere molto evasivi con l'Italia,
impegna il Governo
ad avviare con la massima urgenza negoziati con le autorità elvetiche in vista della conclusione di un accordo bilaterale analogo a quelli stipulati dalla Gran Bretagna, dalla Germania e dall'Austria, inserendo, altresì, disposizioni contro l'elusione e valutando l'opportunità di inserire una clausola rivolta a tassare non solo il deposito, ma anche il transito di denaro entrato clandestinamente in Svizzera, ed a sottoscrivere accordi bilaterali anche con gli altri «paradisi fiscali», ampliando i meccanismi di informazione relativi ai clienti italiani degli istituti di credito di tali Paesi.
(1-00898)
(Ulteriore nuova formulazione) «Donadi, Borghesi, Evangelisti, Barbato, Messina, Paladini».
(29 febbraio 2012)
La Camera,
premesso che:
la crisi economica e finanziaria globale che imperversa dal 2008 ha indotto i Governi di svariate nazioni ad adottare misure di salvataggio dei rispettivi sistemi finanziari e ampie misure di sostegno alle loro economie. Nello sforzo di evitare crisi di portata drammatica e di proteggere le proprie popolazioni dalle conseguenze di tali crisi, Governi, Parlamenti e banche centrali hanno dato vita a nuovi meccanismi di regolazione dei mercati finanziari per contrastare, da un lato, le tendenze speculative e, dall'altro, per attivare con più decisione politiche di risanamento del debito pubblico. In particolare, sotto questo profilo, lo sforzo maggiore è stato prodotto dai Paesi dell'area euro dell'Unione europea per contrastare la crisi dovuta in primo luogo dal debito pubblico, con manovre che incidono prima di tutto a livello fiscale. Molti Governi hanno attivato, con grandi decisioni, politiche antievasione e di contrasto alla fuga dei capitali;
le politiche antievasione avviate dall'Unione europea e da altri Stati hanno spinto numerose piazze finanziarie internazionali ad adeguare gli strumenti di cooperazione tra Paesi per la lotta all'evasione fiscale. La Svizzera, ad esempio, ha ampliato il modello degli accordi sulla doppia imposizione fiscale, integrandolo con l'articolo sull'assistenza amministrativa e lo scambio d'informazioni conforme allo standard dell'Ocse, al fine di contrastare l'evasione fiscale;
la Germania e il Regno Unito hanno stipulato, nella seconda metà del 2011, una convenzione con la Svizzera sulla tassazione alla fonte delle attività finanziarie detenute da propri cittadini o persone fisiche residenti che hanno investito o depositato i capitali in Svizzera. Con tali convenzioni i contraenti hanno individuato una soluzione per regolarizzare somme di denaro non dichiarate nel passato e per convenire la tassazione dei futuri redditi da capitale. Entrambe le convenzioni sono state integrate e completate a inizio 2012;
una convenzione analoga, corrispondente in larga misura a quelle firmate con la Germania e il Regno Unito, volta a sanare l'evasione pregressa per le attività finanziarie detenute presso le sedi bancarie svizzere, è stata firmata anche dall'Austria nel mese di aprile 2012;
tali convenzioni – previa ratifica dei rispettivi Parlamenti – prevedono che i cittadini, che hanno investito o depositato i propri capitali in Svizzera, dovranno pagare ai rispettivi Paesi di appartenenza una tassa liberatoria. Le aliquote del prelievo fissato nella convenzione con la Germania, ovvero l'aliquota fiscale minima e massima per la regolarizzazione del passato, oscillano tra il 21 per cento e il 41 per cento. In base alla clausola della «nazione più favorita» contenuta nel protocollo di modifica stipulato il 20 marzo 2012 tra la Svizzera e il Regno Unito, le aliquote fiscali minime e massime si allineano a quelle della convenzione con la Germania (dal 21 al 41 per cento). Tale modifica non si applica ai soggetti non domiciliati nel Regno Unito in modo durevole («non UK domiciled individual»), per i quali resta l'aliquota del 34 per cento. La convenzione firmata con l'Austria il 13 aprile 2012 fissa, invece, le aliquote tra il 15 e il 38 per cento per il calcolo del pagamento unico forfetario, a seconda della durata della relazione bancaria e del patrimonio, mentre per la tassazione dei futuri redditi da capitale è stabilita un'aliquota unica del 25 per cento, corrispondente alla tassazione austriaca sul reddito;
tali accordi prevedono che la tassazione sui capitali evasi all'estero non si traduca in una sorta di condono una tantum, ma che diventi un elemento strutturale e permanente; infatti, nel caso in cui i suddetti cittadini decidano di continuare a detenere attività finanziarie presso sedi svizzere, dovranno pagare una tassa sui redditi da capitale pari al 26,3 per cento (i cittadini tedeschi) e pari a un tasso oscillante fra il 27 e il 48 per cento (i cittadini britannici); dunque, a fronte di una prevista sanzione per gli anni pregressi, si procederebbe per gli anni a venire con l'imposizione di una tassazione annuale mediante il conferimento alla Svizzera del ruolo di esattore, quale sostituto d'imposta per conto del Paese contraente l'accordo. Sempre sulla base di tali accordi, la Svizzera otterrebbe il mantenimento del segreto bancario e una serie di facilitazioni per l'accesso delle proprie banche su territorio tedesco e britannico;
secondo alcune autorevoli stime, la metà dei capitali depositati in Svizzera, pari complessivamente a circa 4.000 miliardi di franchi svizzeri (3.330 miliardi di euro), sarebbe di origine straniera. In particolare, circa 180 miliardi apparterrebbero ad investitori tedeschi, 120 miliardi a investitori italiani e circa 70 miliardi ad investitori britannici;
secondo uno studio della Banca d'Italia – «Alla ricerca dei capitali perduti: una stima delle attività all'estero non dichiarate dagli italiani» – i capitali italiani esportati all'estero ammontano tra i 124 e i 194 miliardi di euro, mentre, sulla base degli esiti derivanti dai cosiddetti «scudi fiscali» varati dal Governo Berlusconi-Tremonti, si calcola che i due terzi dei rimpatri dei capitali italiani evasi deriverebbero dalla sola Svizzera;
la complessa materia inerente alla tassazione dei redditi da risparmio e al negoziato con la Svizzera va considerata anche alla luce delle difficili relazioni in materia fiscale tra il nostro Paese e la Confederazione elvetica, contrassegnate da visioni non sempre condivise, da svariate controversie e da decisioni inaccettabili per l'Italia, come il blocco parziale (50 per cento) dei ristorni del prelievo fiscale sulle retribuzioni dei lavoratori transfrontalieri italiani, messo in atto dal Canton Ticino nel 2011, e dalla perdurante decisione dell'Italia di mantenere la Svizzera nelle cosiddette black list;
la riapertura delle trattative fra Italia e Svizzera per regolare le questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, e per negoziare una nuova convenzione per evitare le doppie imposizioni fiscali, rappresenta uno snodo sempre più urgente e rilevante, anche in considerazione dell'interscambio esistente fra i due Paesi, che ammonta a ben 29 miliardi di euro, quasi sei volte il l'interscambio dell'Italia con il gigante India, e un saldo notevole di quasi due miliardi di franchi svizzeri a favore del nostro Paese. Attualmente, oltre mezzo milione di connazionali vive stabilmente nella Confederazione, mentre 50 mila cittadini svizzeri vivono in Italia. Inoltre, sono oltre 55mila i lavoratori frontalieri italiani occupati oltre confine. La Svizzera non è soltanto un mercato del lavoro di grande interesse per lo sbocco occupazionale per tanti italiani, ma anche un considerevole partner per l'Italia sotto il profilo economico e degli investimenti;
l'annuncio di un prossimo incontro di lavoro tra la Presidente della Confederazione elvetica Eveline Widmer-Schlumpf e il Presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti rappresenta, dunque, un passo importante per la ripresa del dialogo sulle questioni fiscali tra la Svizzera e il nostro Paese, e dà finalmente un seguito positivo alla richiesta formulata nella mozione Narducci ed altri 1-00631, approvata all'unanimità dalla Camera dei deputati poco meno di un anno fa, il 7 giugno 2011;
l'annuncio congiunto, dato dal Governo italiano e svizzero di voler riaprire il dialogo e di avviare il negoziato per pervenire a una costruttiva convergenza sulle questioni fiscali, ha prodotto immediatamente un risultato importante, cioè lo sblocco della vertenza che per due anni ha alimentato forti tensioni fra il Canton Ticino e le regioni italiane confinanti: la Svizzera ha confermato lo sblocco dei ristorni fiscali con il pagamento effettuato dal Cantone Ticino a favore dell'Italia;
per quanto attiene alla regolazione della materia fiscale nell'area dell'Unione europea, rileva la direttiva n. 2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio, attualmente in vigore relativamente ai rapporti dell'Unione europea stessa con i Paesi terzi, in particolare con la Svizzera. La Commissione europea, in esito al monitoraggio sull'applicazione della citata direttiva e dell'accordo con la Svizzera, ne ha evidenziato l'agevole elusione da parte dalle persone fisiche, che hanno la possibilità di evitare il prelievo del 35 per cento, avvalendosi dell'interposizione di società, trust o altri istituti giuridici simili. Ciò è dimostrato anche dai dati relativi all'ammontare delle imposte riscosse dalla Confederazione elvetica a carico di soggetti residenti nell'Unione europea, che sono state pari a 535 milioni di franchi nel 2009 e a soli 432 milioni di franchi nel 2010, di cui 57 milioni di franchi trasferiti all'Italia;
è da valutare positivamente la proposta di revisione della direttiva n. 2003/48/CE presentata dalla Commissione europea il 13 novembre 2008 (COM( 2008)727), volta a rafforzare e ad estenderne l'ambito di applicazione, al fine di includervi non solo i pagamenti di interessi, ma anche tutti i redditi da risparmio, nonché i prodotti che generano interessi o redditi equivalenti, e a rinegoziare gli accordi con i Paesi terzi, in particolare con la Svizzera;
la revisione della citata direttiva europea è, tuttavia, un obiettivo difficile da raggiungere entro il termine previsto del 31 dicembre 2012. Ne è conferma il recente mancato accordo all'Ecofin sul conferimento del mandato alla Commissione europea a negoziare la tassazione del risparmio in Paesi terzi. L'intesa – che avrebbe dovuto far partire il negoziato dell'Unione Europea per rafforzare gli strumenti atti a combattere l'evasione fiscale a livello comunitario e a inibire gli accordi fiscali stipulati con la Svizzera su base bilaterale – non è stata raggiunta per la mancanza di consenso unanime dei 27 Paesi membri;
nonostante il parere contrario sulla prima formulazione delle convenzioni stipulate bilateralmente dalla Svizzera con Germania, Regno Unito e Austria, il 17 aprile 2012 il Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale Algirdas Semeta ha rilasciato un'importante dichiarazione, affermando che la versione riformulata delle convenzioni bilaterali summenzionate è compatibile con il diritto dell'Unione europea e, quindi, esse sono euro-conformi;
secondo quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri Monti, in conferenza stampa il 30 aprile 2012, il Governo sarebbe pronto a «considerare ex novo l'intera materia»;
l'applicazione in Italia di una convenzione simile a quella già stipulata dalla Svizzera con altri Paesi europei potrebbe assicurare, a breve e medio termine, il reperimento di significative risorse e costituirebbe un passo fondamentale nella direzione della lotta all'evasione fiscale,
impegna il Governo:
a sostenere un approccio europeo alla lotta all'evasione fiscale, approntando strumenti più efficaci per fronteggiare il fenomeno e garantire la giustizia fiscale del risparmio, in particolare esercitando un'adeguata e pressante azione politico-diplomatica volta a rimuovere il dissenso di alcuni membri sulla proposta di revisione della direttiva 2003/48/CE sulla tassazione del risparmio;
ad avviare i negoziati tra l'Italia e la Svizzera al fine di concludere una convenzione bilaterale che regolamenti transitoriamente la questione dell'imposizione fiscale dei capitali italiani depositati presso aziende di credito in Svizzera, nel caso non si consideri raggiungibile in tempi certi un accordo sulla revisione della direttiva comunitaria attualmente bloccata dal veto di alcuni Paesi membri, e prevedendo in ogni caso nell'accordo l'applicazione di aliquote fiscali significativamente comparabili con quelle vigenti in Italia e secondo il modello ritenuto compatibile con il diritto comunitario, alla luce della recente posizione assunta dal Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale;
a sostenere, nell'ambito dei negoziati fra Italia e Svizzera in materia di tassazione dei redditi da risparmio, la necessità di pervenire ad una nuova convenzione volta ad evitare la doppia imposizione fiscale sui redditi e sulle sostanze, a tutela dei lavoratori italiani transfrontalieri.
(1-01037)
(Nuova formulazione) «Narducci, Gozi, Tempestini, Boccia, Gianni Farina, Vannucci, Maran, Farinone, Garavini, Giachetti, Losacco, Lucà, Luongo, Merloni, Pompili, Barbi, Colombo, Corsini, Fedi, Pistelli, Porta, Touadi, Marantelli, Codurelli».
(17 maggio 2012)
La Camera,
premesso che:
la direttiva 2003/48/CE, in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi, entrata in vigore il 1o luglio del 2005, nasce dall'esigenza di contrastare la concorrenza fiscale e assicurare che i pagamenti di interessi effettuati nell'Unione europea, in favore di persone fisiche che hanno la residenza fiscale in uno Stato membro diverso da quello in cui sono pagati gli interessi stessi, siano soggetti a un'imposizione effettiva secondo la legislazione nazionale del loro Stato membro di residenza;
al fine di evitare distorsioni nei movimenti di capitali tra Stati membri, incompatibili con il mercato interno, la direttiva introduce un sistema di scambio di informazioni nominative tra le amministrazioni finanziarie degli Stati dell'Unione europea. Solo in via transitoria alcuni di questi (Austria, Belgio e Lussemburgo), caratterizzati da rigide disposizioni in materia di segreto bancario, in luogo dello scambio di informazioni, applicheranno una ritenuta alla fonte nel caso in cui corrispondano pagamenti di interessi direttamente a persone fisiche residenti in un altro Stato membro. Misure equivalenti a quelle previste dalla direttiva dovranno essere applicate anche dai cosiddetti Paesi terzi (Andorra, Liechtenstein, Monaco, San Marino e Svizzera), nonché da parte dei territori dipendenti o associati degli Stati membri;
la Commissione europea il 13 novembre 2008 ha voluto modificare tale direttiva, ampliando l'ambito di applicazione anche a tutti i redditi da risparmio e i prodotti che generano interessi o redditi equivalenti, e soprattutto ha inteso rinegoziare gli accordi con i Paesi terzi, in particolare con la Svizzera;
la Svizzera ha proposto alla Germania e all'Inghilterra degli accordi bilaterali, cosiddetti accordi di Rubik, concernenti l'imposizione sui redditi finanziari prodotti dai patrimoni dei cittadini di tali Paesi, che disciplinano la tassazione a cui sono assoggettati gli interessi da risparmio percepiti dai cittadini tedeschi e britannici e corrisposti dagli istituti di credito svizzeri; essi comprendono misure dirette a garantire l'imposizione in conformità alla legislazione dello Stato di residenza del beneficiario;
una convenzione analoga, volta a sanare l'evasione pregressa per le attività finanziarie detenute presso le sedi bancarie svizzere, è stata firmata anche dall'Austria nel mese di aprile 2012;
tali accordi prevedono che gli intermediari svizzeri effettuino direttamente un prelievo di un'imposta liberatoria, quantificata tra il 15 ed il 41 per cento, calcolata in funzione del capitale alla fine dell'anno di apertura del rapporto. Tale imposta copre le imposte evase, sia nello Stato Svizzero che nello Stato di residenza, e le dovute sanzioni amministrative o penali. Quest'applicazione di imposta non è facoltativa e, qualora il contribuente non acconsenta ad essere assoggettato all'imposta, determinerà la comunicazione dei nominativi degli intestatari dei rapporti di conto corrente ai vari Stati di residenza;
il Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale, il lituano Algirdas Semeta, il 17 aprile 2012, dopo aver concluso una specifica indagine sulla compatibilità con la normativa comunitaria di questi due patti, ha ritenuto gli accordi sottoscritti dalla Svizzera con Germania, Regno Unito e Austria conformi al diritto comunitario;
il Presidente del Consiglio dei ministri recentemente ha dichiarato di voler riaprire il dialogo con la Svizzera relativamente ad un modello di convenzione fiscale per regolarizzare i capitali illecitamente detenuti in territorio elvetico da contribuenti italiani e introdurre un'imposta alla fonte sui futuri redditi da capitale; a tale scopo il giorno 11 maggio 2012 si è incontrato con la Presidente della Confederazione elvetica;
il Consiglio dei Ministri dell'economia e delle finanze dell'Unione europea (Ecofin) si è riunito il 15 maggio 2012 per discutere, tra l'altro, della possibilità di raggiungere un accordo tra l'Unione europea e la Svizzera sulla tassazione del risparmio: in particolare, i Ministri hanno discusso della concessione alla Commissione europea di una delega per negoziare un eventuale accordo con Paesi terzi e, quindi, anche con la Confederazione elvetica;
l'obiettivo dell'Ecofin era di attribuire alla Commissione europea il mandato per negoziare accordi più stringenti con la Svizzera e altri «paradisi fiscali» come San Marino, Montecarlo, Liechtenstein e Andorra sugli evasori di tasse europei che portano capitali all'estero: l'obbiettivo dell'Unione europea era quello di allineare il più possibile i cinque citati Paesi alle regole comunitarie in materia di tassazione dei capitali di cittadini non residenti;
tali trattative non sono andate a buon fine per l'opposizione di Lussemburgo e Austria, che sono contrari al negoziato,
impegna il Governo:
a intraprendere le opportune e necessarie iniziative presso le competenti autorità dell'Unione europea, per giungere ad un'equa giustizia fiscale, che supporti la lotta all'evasione fiscale nei singoli Paesi;
a promuovere la sottoscrizione di un accordo bilaterale Italia-Svizzera che regoli i rapporti fra i due Stati sui temi fiscali in base a quanto concordato tra la Svizzera e altri Stati dell'Unione europea.
(1-01039)
«Miccichè, Misiti, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pittelli, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova».
(21 maggio 2012)
La Camera,
premesso che:
a partire dal 2008 sono emersi in modo drammatico gli elementi di fragilità e ingovernabilità dei sistemi finanziari ed è diventata volontà diffusa quella di fare ogni sforzo per rendere più trasparenti i mercati dei servizi bancari e finanziari a livello globale; accanto a questa volontà, tutti gli Stati europei si sono mossi in maniera decisa per ridurre il proprio deficit ed il proprio debito, mettendo in campo misure severe, con imponenti tagli di spesa, che stanno sfociando, in alcuni casi, in vere e proprie crisi sociali, con conseguenze drammatiche anche in termini di perdita di vite umane;
nell'ambito delle politiche «antievasione» dei Paesi dell'Unione europea, notevoli sono gli sforzi per scovare i capitali detenuti in altri Paesi che sfuggono ad imposizione: Germania e Regno Unito hanno stipulato nel 2011 una convenzione con la Svizzera sulla tassazione alla fonte delle attività finanziarie detenute da propri cittadini o persone fisiche residenti che hanno investito o depositato i capitali in Svizzera; scopo delle convenzioni è regolarizzare le somme di denaro non dichiarate nel passato e convenire la tassazione dei futuri redditi da capitale;
la convenzione Germania-Svizzera stabilisce che sui futuri redditi e utili da valori patrimoniali sarà riscossa un'imposta con effetto liberatorio, mentre per i valori patrimoniali non tassati collocati in Svizzera da contribuenti tedeschi si procederà ad un'imposizione a posteriori;
è prevista, quindi, l'introduzione di un'imposta liberatoria per i redditi da capitali di contribuenti tedeschi in Svizzera, con un'aliquota che corrisponde a quella applicata in Germania, ovvero del 25 per cento, con un ulteriore 5,5 per cento sull'imposta riscossa, in modo da garantire che i redditi da capitali vengano tassati in modo identico in Svizzera e in Germania e che, quindi, non sussistano più distorsioni della concorrenza, dovute al diverso trattamento fiscale, tra il mercato finanziario tedesco e quello svizzero;
per i redditi conseguiti nel passato è possibile procedere ad un recupero d'imposta forfettario e anonimo sotto forma di pagamento unico a favore del fisco tedesco, con un'aliquota che varia tra il 19 ed il 34 per cento; il contribuente tedesco può optare, in luogo dell'imposizione forfettaria per il passato, per la comunicazione alle autorità fiscali tedesche dei dati necessari ai fini di una tassazione individuale;
per il futuro è prevista, inoltre, l'introduzione di un meccanismo di garanzia, per cui vige per le autorità svizzere un obbligo di informazione che va al di là dell'attuale standard minimo Ocse e vige il divieto, per entrambe le parti, del cosiddetto fishing expedition, cioè della ricerca generalizzata ed indiscriminata di informazioni;
sugli stessi principi si basa la convenzione fiscale tra Svizzera e Regno Unito: l'imposta liberatoria per il futuro prevede un'aliquota tra il 27 e il 48 per cento, a seconda della categoria del reddito da capitale; anche in questo casa vale il divieto del fishing expedition, con un numero massimo di domande all'anno; ai fini della tassazione a posteriori delle attuali relazioni bancarie in Svizzera, vengono applicate le medesime modalità previste dalla convenzione con la Germania;
attraverso queste convenzioni, comunque, vengono garantite sia la tutela della sfera privata dei clienti bancari, sia la garanzia della riscossione delle imposte sui capitali da parte degli Stati di residenza;
dopo Germania e Regno Unito, anche l'Austria, nel 2012, ha stipulato un accordo analogo con la Svizzera;
dopo un primo parere contrario che aveva frenato il Governo italiano nell'avviare concrete trattative con le autorità svizzere, poche settimane fa, il Commissario europeo Semeta ha affermato in conferenza stampa che gli accordi bilaterali stipulati da Germania, Regno Unito ed Austria con la Svizzera sono compatibili con il diritto dell'Unione europea;
le stime sull'ammontare di capitali esteri in Svizzera parlano di circa 1.500 miliardi di euro complessivi, di cui 180 provenienti dalla Germania, 70 dal Regno Unito e 120 dall'Italia;
si ritiene ormai improcrastinabile la riapertura del dialogo e delle trattative fra Italia e Svizzera per regolare le questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, aggiornando la convenzione in essere ormai datata; i rapporti tra i due Stati sono, infatti, al di là dei rapporti ufficiali, strettissimi: la lingua, la storia, i costumi, le radici culturali hanno accomunato nei secoli gli abitanti del Canton Ticino e del Canton Grigioni con quelli delle province del Verbano Cusio Ossola, di Como, di Varese e di Sondrio, generando un'area omogenea che travalica i confini amministrativi tra Svizzera ed Italia; oggi sono più di 50.000 i lavoratori italiani che ogni giorno si recano in Svizzera per svolgere la propria attività lavorativa, partendo dai comuni di frontiera della Lombardia e del Piemonte, apportando un contributo indispensabile all'economia elvetica; si sottolinea, in particolare, come negli ultimi due anni di crisi internazionale questo trend sia cresciuto di almeno 2.000 unità, segno che l'apporto delle professionalità italiane, spesso di alto livello di specializzazione, è sostanziale per il dinamismo dell'economia svizzera;
oggi la Confederazione ha un prodotto interno lordo pro capite tra i più alti d'Europa e un'economia fiorente e solida, è Paese membro degli accordi di Schengen sulla libera circolazione ed è allineata alla normativa comunitaria in base agli accordi bilaterali con l'Unione europea e merita sicuramente di essere definitivamente esclusa dalla cosiddetta black list, in relazione al concreto rispetto delle regole sulla trasparenza finanziaria; in relazione a questo punto la Camera dei deputati, in data 7 giugno 2011, ha specificatamente impegnato il Governo pro tempore in sede di approvazione delle mozioni sulle iniziative concernenti i rapporti tra Italia e Svizzera, con particolare riferimento alle doppie imposizioni e ad altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio;
nelle ultime settimane, indubbiamente, i segnali di un riavvicinamento delle parti, dopo le tensioni degli ultimi anni, sono incoraggianti: il blocco dei ristorni ai comuni italiani di confine, quale compensazione delle spese sostenute dai comuni italiani in relazione alla residenza dei frontalieri sul loro territorio, si è risolto anche per l'impegno diretto degli esponenti della Lega Nord sia in Parlamento, sia nei territori di confine lombardi; il 9 maggio 2012 il consigliere diplomatico del Ministro dell'economia e delle finanze italiano, Carlo Baldocci, e il segretario di Stato del Dipartimento federale delle finanze svizzero, Michael Ambühl, capo della Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali, si sono incontrati, manifestando esplicitamente la volontà di affrontare tutte le problematiche aperte tra i due Stati, programmando la partenza di un tavolo di lavoro che già si riunirà il 24 maggio 2012;
indubbiamente l'accordo dovrà affrontare anche la revisione degli accordi esistenti, in particolare sul meccanismo di pagamento dei ristorni, che oggi sono versati dalla Svizzera allo Stato italiano e, successivamente, riversati ai comuni di confine: trattandosi di trasferimenti a destinazione specifica è giusto, anche in ottica federalista, che siano versati direttamente dal fisco elvetico ai nostri enti locali, eliminando un passaggio che oggi comporta ritardi e conseguenti crisi di liquidità per le casse comunali,
impegna il Governo:
ad adoperarsi attraverso ulteriori iniziative, presso le competenti sedi internazionali, affinché la Svizzera possa essere definitivamente esclusa dalla cosiddetta black list, in relazione al concreto rispetto delle regole sulla trasparenza finanziaria, e ad adottare tutte le iniziative utili per garantire l'effettiva reciprocità nei rapporti Italia-Svizzera, in modo da sostenere le imprese italiane che intrattengono rapporti economici e commerciali con la Svizzera stessa;
a proseguire i negoziati tra Italia e Svizzera, appena iniziati, al fine di stipulare in tempi rapidi una convenzione bilaterale secondo gli stessi principi di quelle concluse dalla Confederazione elvetica con la Germania, il Regno Unito e l'Austria, dal momento che anche il Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale ha dichiarato la piena compatibilità di tali accordi con il diritto comunitario;
ad assumere iniziative normative per modificare le modalità di versamento dei ristorni fiscali, in modo che essi siano versati dal fisco svizzero direttamente ai comuni italiani di confine, evitando il passaggio dalla tesoreria statale, inutile e foriero di ritardi insostenibili per le casse degli enti locali.
(1-01040)
«Crosio, Dozzo, Nicola Molteni, Rivolta».
(21 maggio 2012)
La Camera,
premesso che:
secondo stime ufficiose, sia internazionali che elvetiche, la Confederazione elvetica gestisce patrimoni per circa 4 mila miliardi di franchi svizzeri, di cui la metà di origine estera. Più del 50 per cento dei capitali esteri sarebbe legato a investitori istituzionali, mentre il resto è riconducibile a investitori privati e si stima che una parte significativa di quest'ultima area sia «non fiscalizzata»;
sempre secondo stime ufficiose, i patrimoni italiani non fiscalizzati attualmente ammonterebbero a circa 130/150 miliardi di euro;
la possibilità di un accordo con la Svizzera, analogo a quello firmato nel 2011 da Germania e Regno Unito, alimenta in Italia un intenso dibattito;
per i due Paesi suddetti, in cambio del mantenimento del segreto bancario, le banche svizzere applicheranno sui capitali dei cittadini tedeschi e britannici un prelievo una tantum sullo stock del capitale e una ritenuta annuale sui rendimenti;
i clienti potranno sottrarsi al prelievo una tantum sullo stock del capitale con la comunicazione dei propri dati all'amministrazione finanziaria di residenza;
la novità della Confederazione elvetica è far emergere il denaro non dichiarato attraverso l'introduzione di un'imposta liberatoria e ulteriori misure destinate a incoraggiare l'onestà fiscale dei clienti delle banche e a ridurre in tal modo i rischi legali;
il tema della percorribilità di un'iniziativa analoga a quella tracciata con gli accordi di Germania e Regno Unito è ora all'attenzione dell'attuale Governo, per un più approfondito esame. E sono all'attenzione della Commissione europea i profili di compatibilità con la «direttiva risparmio» 2003/48/CE;
la «direttiva risparmio» parte dal presupposto (comune ai recenti accordi) che i redditi di capitale vadano tassati in modo adeguato anche se realizzati fuori dello Stato di residenza; ma, a differenza di essi, la direttiva ha un perimetro di applicazione molto più limitato, quanto all'ambito di applicazione oggettivo e soggettivo: riguarda, infatti, solo gli interessi direttamente destinati a persone fisiche residenti in un altro Stato membro;
l'altra rilevante differenza è costituita dallo scambio automatico di informazioni tra gli Stati membri interessati, che la direttiva individua come lo strumento principale attraverso cui ottenere il suo principale obiettivo, ossia la tassazione degli interessi transfrontalieri nel Paese di residenza,
impegna il Governo:
ad intraprendere le necessarie iniziative con la Confederazione elvetica al fine di stipulare un accordo bilaterale analogo a quello stipulato dalla Germania;
a favorire accordi bilaterali anche con i Paesi definiti «paradisi fiscali», ampliando i meccanismi di informazione relativi ai clienti italiani degli istituti di credito di tali Paesi.
(1-01041)
«Bernardo, Ventucci, Ravetto, Berardi, Del Tenno, Laboccetta, Leo, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Savino».
(21 maggio 2012)
La Camera,
premesso che:
i Governi dei principali Paesi occidentali hanno attivato politiche contro l'evasione fiscale e contro la fuga di capitali all'estero;
dal 2013 in Usa entrerà in vigore il Fatca (Foreign Account Tax Compliance Act), atto in base al quale ogni banca che gestisce capitali statunitensi o che opera con il mercato statunitense dovrà inviare all'autorità Usa le informative su questi clienti o, in alternativa, pagare una tassa del 30 per cento su queste transazioni;
nel 2011 la Germania e il Regno Unito hanno firmato una convenzione con la Svizzera, in base alla quale coloro che hanno depositato capitali non dichiarati dovranno pagare una tassa liberatoria ai loro Paesi di origine per mantenere l'anonimato e la Svizzera si farà garante come sostituto d'imposta;
tali convenzioni non prevedono solamente una tassa liberatoria, ma anche una forma di tassazione permanente sulla redditività annuale di tali capitali;
le aliquote previste da tali accordi variano a seconda del regime fiscale di Germania e Regno Unito, comunque oscillanti tra il 20 e il 48 per cento;
nel 2012 anche l'Austria ha firmato un accordo analogo con la Svizzera;
le stime dei capitali italiani all'estero arrivano sino a oltre 190 miliardi di euro (studio di Banca d'Italia sui capitali perduti) e, in base ai rilievi dei capitali scudati durante il Governo Berlusconi, si evince che i due terzi arrivano dalla Svizzera;
diventa, quindi, di vitale importanza riaprire un dialogo con il Governo elvetico, al fine di normare questo «fenomeno», anche perché i due Paesi hanno rapporti commerciali e lavorativi in essere importanti;
sono oltre 50.000 i cittadini svizzeri che vivono in Italia e circa 55.000 i lavoratori italiani transfrontalieri;
il 17 aprile 2012 il Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale, Algirdas Semeta, ha dichiarato che le convenzioni stipulate da Germania e Regno Unito sono compatibili con il diritto dell'Unione europea;
il 30 aprile 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri Monti ha dichiarato di essere pronto a rivedere l'intera materia;
tale convenzione, oltre a normare un'importante materia, porterebbe alle casse dello Stato, nel medio periodo, un significativo gettito, utilizzabile per lo sviluppo dell'economia,
impegna il Governo
ad attivare i negoziati tra Italia e Svizzera al fine di definire una convenzione sulla traccia di quelle firmate da Germania e Regno Unito, al fine di garantire la giustizia fiscale e la lotta all'evasione fiscale.
(1-01043)
«Moffa, Marmo, Razzi, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Gianni, Lehner, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».
(21 maggio 2012)
La Camera,
premesso che:
Germania e Regno Unito hanno siglato nel 2011 – e l'Austria nel 2012 – un accordo con la Confederazione elvetica in base al quale, in cambio del mantenimento del segreto bancario, verrà applicata sui capitali dei cittadini tedeschi e britannici, depositati presso gli istituti finanziari elvetici, un prelievo una tantum sull'ammontare del capitale e una ritenuta annuale sui rendimenti del medesimo, a meno che i clienti optino per la comunicazione dei propri dati all'amministrazione finanziaria di residenza;
il prelievo straordinario si configura come una liberatoria e sarà applicato con aliquote che variano, in ragione dell'ammontare del capitale e degli anni di giacenza, dal 19 al 34 per cento per la Germania e dal 20 al 34 per cento per il Regno Unito, mentre, sui rendimenti annuali dei capitali custoditi, saranno invece applicate aliquote esattamente corrispondenti a quelle dovute al proprio erario (per la Germania l'aliquota è fissata al 26,375 per cento, mentre per il Regno Unito si applicano aliquote diversificate che variano dal 27 al 48 per cento);
secondo le stime più accreditate, i capitali italiani depositati in Svizzera ammonterebbero ad una cifra compresa tra i 130 e i 150 miliardi di euro e un eventuale prelievo medio del 25 per cento, come quello previsto negli accordi con Regno Unito e Germania, potrebbe garantire potenziali incassi per l'erario di oltre 30 miliardi di euro;
dall'entrata in vigore dell'accordo, si è molto discusso in Italia sull'opportunità e percorribilità di un'intesa analoga a quella siglata da Germania e Regno Unito, ora all'attenzione dell'attuale Governo, per un più approfondito esame;
in sede europea, la Commissione aveva sollevato alcuni dubbi sulla compatibilità comunitaria di questi accordi in rapporto alla direttiva europea sul risparmio n. 2003/48/CE, anche se potevano essere studiate e realizzate convergenze sugli aspetti più problematici;
il 17 aprile 2012, il Commissario europeo Semeta ha affermato in conferenza stampa che gli accordi bilaterali stipulati da Germania, Regno Unito ed Austria con la Svizzera sono compatibili con il diritto dell'Unione europea;
è opportuno ricordare che esistono rapporti secolari strettissimi tra Italia e Svizzera, in generale, e tra gli abitanti del Canton Ticino e del Cantone dei Grigioni con quelli delle province del Verbano Cusio Ossola, di Como, di Varese e di Sondrio in particolare. Sono, infatti, più di 50.000 i lavoratori italiani che ogni giorno si recano in Svizzera per svolgere la propria attività lavorativa, partendo dai comuni di frontiera della Lombardia e del Piemonte, e che apportano un contributo indispensabile all'economia elvetica;
a seguito dei recenti sviluppi a livello europeo e della positiva soluzione della questione concernente il blocco dei ristorni dei frontalieri, Italia e Svizzera hanno convenuto l'istituzione di un gruppo di pilotaggio che lavori per individuare una soluzione alle questioni fiscali e finanziarie pendenti;
la prima riunione del gruppo di pilotaggio italo-svizzero sui temi finanziari e fiscali si è svolta il 24 maggio 2012 a Roma presso il Ministero dell'economia e delle finanze e il gruppo si riunirà nuovamente entro la fine di giugno 2012 a Berna. Nel corso del primo incontro sono stati approfonditi diversi temi, tra i quali il modello di convenzione sulla regolarizzazione dei valori patrimoniali detenuti in Svizzera da contribuenti non residenti, l'introduzione di un'imposta alla fonte sui futuri redditi da capitale, l'accesso ai mercati finanziari, le black list esistenti, la revisione della convenzione bilaterale per evitare le doppie imposizioni (anche con riferimento allo scambio di informazioni) e l'accordo relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri,
impegna il Governo:
a procedere speditamente nell'adozione di una convenzione bilaterale sul modello di quelle concluse dalla Confederazione elvetica con la Germania, il Regno Unito e l'Austria, anche alla luce della dichiarata piena compatibilità di tali accordi con il diritto comunitario da parte della Commissione europea;
a destinare le risorse derivanti dall'applicazione della citata convezione a misure per favorire lo sviluppo e l'occupazione nel Paese.
(1-01077)
«Ciccanti, Galletti, Compagnon, Rao, Naro, Volontè, Adornato Libè, Occhiuto, Calgaro, Cera».
(14 giugno 2012)
MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN AMBITO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO IN RELAZIONE ALLA SITUAZIONE IN SIRIA
La Camera,
premesso che:
nel marzo del 2011 le proteste sono giunte anche in Siria, dopo aver interessato i Paesi del Maghreb e del Mashrek (avvenimenti ormai noti come «primavera araba»);
tutto è iniziato a Daraa, città nel sud del Paese, quando i residenti si sono riversati in piazza in quello che venne poi ribattezzato il «giorno della rabbia», per chiedere il rilascio di circa 15 studenti arrestati e presumibilmente torturati dopo aver scritto su un muro slogan che riprendevano gli stessi apparsi nel corso delle rivolte in Tunisia ed Egitto;
attualmente è ancora in atto una dura rivolta contro il regime alawita di Bashar Al Assad, Presidente dal luglio 2000, succeduto al padre, Hafez Al Assad, Presidente ininterrottamente dal 1971 al 2000 (la famiglia Al Assad appartiene alla minoranza islamica degli alawiti, di orientamento sciita, che fornisce la maggior parte dei quadri dirigenti del Ba'ath siriano);
il Governo di Damasco sta, purtroppo, rispondendo a queste legittime richieste di cambiamento con un uso sproporzionato della forza militare; stando agli ultimi dati diffusi dalle Nazioni Unite, infatti, tale violenta reazione avrebbe provocato finora la morte di oltre 10.000 persone; non è ovviamente possibile avere esatta contezza del numero dei morti ma l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), al 4 aprile 2012, parla di 10.281 persone, di cui 7.432 civili (tra cui 1.110 tra bambini e adolescenti e 232 donne), 2.281 forze militari governative e 568 disertori documentati finora; le persone attualmente arrestate sarebbero circa 21.000, di cui 482 minorenni e 237 donne; il Consiglio nazionale siriano, invece, parla di oltre 12.000 morti, di cui 11.188 civili (870 minori, 761 donne) e 1.081 soldati che si sono rifiutati di eseguire gli ordini;
si tratta in ogni caso di numeri inaccettabili, ancor più se si pensa che si parla di cifre destinate a crescere giorno per giorno: proprio il 27 maggio 2012, infatti, hanno perso la vita 108 persone, fra cui 49 bambini, in un nuovo, efferato massacro a Hula; il portavoce dell'Alto commissariato Onu per i diritti umani (Unhcr), Ruper Colville, ha spiegato che solo una ventina dei siriani morti in questo ennesimo eccidio sono stati causati dai colpi dell'artiglieria e dei carri armati; lo stesso ha anche denunciato che «la mancanza di un accordo nel Consiglio di sicurezza dell'Onu sulla Siria sembra aver incoraggiato le autorità di Damasco a portare avanti un massacro ancora più indiscriminato di dissidenti e crimini contro l'umanità»; ma l'ultimo bilancio delle violenze in Siria è del 30 maggio 2012, quando a Deir Ezzor si è verificato un altro massacro con 98 morti, tra cui 61 civili, nove ribelli e 28 soldati governativi; secondo il presidente dell'Osservatorio siriano per i diritti umani con sede a Londra, Rami Abdel Rahman, «le vittime sono state giustiziate con un proiettile nella testa, secondo le prime informazioni provenienti dalla regione»;
la Lega araba, nel corso di riunione del 12 febbraio 2012 al Cairo, attraverso i suoi Ministri degli affari esteri, aveva chiesto al Consiglio di sicurezza dell'Onu l'avvio di una missione, in sostituzione di quella fallita il 28 gennaio 2012, che prevedesse l'invio in Siria di una forza di pace internazionale mista, composta da rappresentanti arabi e rappresentanti scelti dalle Nazioni Unite, finalizzata a porre fine ai massacri che insanguinano, da ormai un anno, il Paese arabo; nel corso della stessa riunione era stato chiesto ai Paesi arabi di sospendere ogni forma di cooperazione diplomatica con il regime di Damasco e di intensificare le sanzioni economiche e l'apertura di canali di comunicazione con le opposizioni, ancorché divise;
l'11 aprile 2012 il Governo siriano, dopo un trionfalistico annuncio sulla sconfitta dei «terroristi» e la ripresa totale di controllo del territorio, si era detto pronto ad attuare la tregua a partire dal giorno successivo, mantenendo, peraltro, le truppe pronte a nuovi interventi, ma la stessa veniva rispettata solo parzialmente, poiché nelle 36 ore successive le forze governative uccidevano una trentina di persone, come sempre dopo il consueto venerdì di preghiera;
dopo l'ennesimo massacro, il 14 aprile 2012 veniva approvata all'unanimità dal Consiglio di sicurezza dell'Onu la risoluzione 2042, in cui si consentiva l'invio immediato di una missione esplorativa in Siria, composta da non più di trenta osservatori militari non armati, allo scopo di controllare il rispetto del cessate il fuoco, ma anche degli altri punti del piano di pace sottoposto ad Assad da Kofi Annan, con particolare riguardo al ritiro delle forze militari e degli armamenti pesanti dai centri abitati;
dopo l'inizio della missione di osservatori dell'Onu, la situazione nel Paese è rimasta difficile e l'Onu ha preso atto che la tregua è stata rispettata solo parzialmente dal regime, il quale, dal canto suo, sempre appoggiato dalla Russia, ne addossava la responsabilità ai combattenti definiti terroristi; di qui la decisione di approvare il 21 aprile 2012 una seconda risoluzione, la 2043, la cui urgenza era stata particolarmente sostenuta dalla Russia, votando all'unanimità l'invio progressivo di un contingente di non più di trecento osservatori militari disarmati, oltre alla necessaria componente civile; dopo l'eccidio di Hula, anche Russia e Cina hanno, infatti, poi sottoscritto la ferma condanna del Consiglio di sicurezza, dopo che per due volte avevano esercitato il potere di veto;
la missione deliberata (Unsmis, United nations supervision mission in Syria), della durata iniziale di 90 giorni e sulla quale già in precedenza le Nazioni Unite avevano firmato un protocollo d'intesa con il Governo siriano, sarà soggetta a una frequente periodica valutazione da parte del Segretario generale dell'Onu che riferirà al Consiglio, soprattutto in ordine all'effettivo rispetto – finora solo parziale – del cessate il fuoco;
gli attivisti dei comitati di coordinamento che si oppongono in Siria al regime non hanno nascosto la propria delusione, sostenendo che la missione fallirà il proprio obiettivo, in quanto insufficiente a coprire il vasto territorio siriano, e si risolverà solo in un'ulteriore concessione di tempo al regime di Assad; la perdurante repressione in atto nel Paese e i già menzionati massacri sembrano dare loro ragione;
il 23 aprile 2012, stante la violazione dell'impegno a cessare il fuoco, nuove sanzioni europee e americane hanno colpito la Siria: in particolare, quelle decise dal Presidente Usa Obama rivolte, soprattutto, verso una serie di tecnologie, con le quali il regime sarebbe in grado di rintracciare e colpire gli oppositori mediante il controllo dei telefoni cellulari e dei social network della rete internet;
nelle stesse ore la Turchia, preoccupata soprattutto degli effetti destabilizzanti a catena che un'eventuale partizione della Siria potrebbe provocare, ha ventilato la possibilità di portare in sede Nato la situazione di tensione del proprio confine con la Siria;
nemmeno le elezioni legislative del 7 maggio 2012 hanno segnato una qualche ricomposizione dei contrasti: piuttosto, esse sono state boicottate anche da forze di opposizione moderata non colpite finora dalla repressione, in quanto giudicate solo un'operazione cosmetica del regime, che, invece, le ha ritenute democratiche, in realtà, come poi è stato acclarato, si è trattato di elezioni-farsa;
l'8 maggio 2012 Kofi Annan ha rilevato come gran parte del suo piano per il cessate il fuoco non sia stato finora attuato, ma ha espresso fiducia nell'azione dei trecento osservatori che entro la fine di maggio 2012 dovrebbero essere tutti al lavoro in Siria, e tra loro vi sono 17 militari italiani (dei quali 5 sono partiti il 15 maggio 2012 alla volta di Damasco), come deciso dal Governo con comunicazione al Parlamento in un'informativa alle Commissioni riunite esteri e difesa della Camera dei deputati il 9 maggio 2012;
il 13 maggio 2012 il Ministro degli affari esteri Giulio Terzi ha ricevuto a Roma il capo del Consiglio nazionale siriano, Burhan Ghalioun, ma le sue successive e improvvise dimissioni non rappresentano certamente un segnale positivo;
di fronte alle violenze e alla crisi diplomatica internazionale, il nostro Paese, a lungo uno dei principali partner commerciali della Siria, il 14 marzo 2012 aveva iniziato con la sospensione dell'attività della propria ambasciata a Damasco, rimpatriandone lo staff della sede diplomatica; altri Paesi si erano mossi in tale direzione;
con l'aggravarsi della situazione, a seguito delle efferate violenze contro la popolazione civile di Hula, ascrivibili alle responsabilità del Governo siriano, e a fronte del fallimento di quanto messo in campo sinora in sede Onu, con le risoluzioni 2042 e 2043, è stato concordato da Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Spagna di provvedere all'espulsione degli ambasciatori della Siria dal territorio nazionale, provvedimento esteso anche ad alcuni funzionari dell'ambasciata; anche gli Stati Uniti, l'Australia, il Giappone, il Canada e la Turchia hanno provveduto in tal senso, mentre la Russia ha, invece, criticato l'espulsione degli ambasciatori siriani, definendola una mossa «controproducente»;
il Premier turco Recep Tayyip Erdogan, nel condannare l'eccidio di Hula, ha sottolineato che «la pazienza del mondo si sta esaurendo» e ha anche fatto sapere di essere disposto e preparato a ricevere profughi siriani per proteggerli dalle forze armate lealiste e a ospitare le forze armate libere della Siria, escludendo in maniera assoluta un coinvolgimento militare;
a conferma, comunque, che il conflitto potrebbe estendersi pericolosamente, si è avuta notizia di spari dell'esercito siriano al confine con il Libano che hanno causato la morte di un contadino libanese; intanto l'opposizione siriana fa sapere di essere pronta a prendere il controllo degli arsenali chimici di Assad, non appena il regime crollerà;
al di là delle inevitabili ripercussioni sugli assetti politico-istituzionali dell'intera area geografica, tale situazione sta generando un forte allarme umanitario per i violenti massacri che da mesi continuano a perpetrarsi ai danni della popolazione civile e che rischia di provocare delle inevitabili e gravi ripercussioni sui già delicati equilibri dell'intero territorio mediorientale, per cui risulta quanto mai urgente e prioritario un decisivo e unanime intervento della comunità internazionale;
alla luce di una crisi economica e finanziaria che si aggrava sempre più a livello globale, i Governi occidentali restano ancora molto riluttanti a intervenire, avendo anche ben presente il complesso quadro regionale e internazionale in cui si colloca la crisi siriana; inoltre, va tenuto in debita considerazione il fatto che in Siria una delle principali incognite è caratterizzata dalla frammentarietà dell'opposizione al regime, dominata da una maggioranza sunnita sostenuta dai Fratelli musulmani e da Paesi arabi del Golfo e rappresentata da un insieme di gruppi in esilio che si fa chiamare Consiglio nazionale siriano (Cns), con una prevalenza sempre più consistente di movimenti e partiti islamisti sunniti, a fronte della presenza sciita di matrice iraniana; proprio l'Iran, ovviamente, ha dimostrato di essere particolarmente attento a quel che accade in Siria, offrendo innanzitutto l'appoggio alle forze del regime e alla repressione della rivolta nel Paese;
quella in atto in Siria appare ormai sempre più una guerra civile ampiamente iniziata, piuttosto che qualcosa in procinto di accadere, con conseguenze ancora più devastanti per la popolazione,
impegna il Governo:
a farsi promotore, nelle opportune sedi internazionali, di iniziative volte a:
a) favorire un deciso intervento diplomatico, di concerto con le istituzioni europee, per rafforzare la pressione internazionale sul regime siriano, far cessare qualsiasi atto di violenza nei confronti della sua popolazione, assicurare un forte sostegno politico alla già fragile e composita opposizione siriana nella direzione di evitare un'ulteriore degenerazione della situazione;
b) far sì che il Consiglio di sicurezza dell'Onu si pronunci nel più breve tempo possibile nel senso di:
1) fornire una più stringente e decisa risposta all'inaccettabile susseguirsi di violenze e repressione in Siria attraverso l'adozione di misure più rigorose, tra cui sanzioni economiche, contro il regime siriano;
2) valutare la possibilità di avviare una missione di peacekeeping congiunta Onu-Paesi arabi nell'estremo tentativo di dissuasione nei confronti del Presidente siriano;
3) prevedere l'aumento del numero degli osservatori militari delle Nazioni Unite già previsti dalla risoluzione 2043 e rafforzare il mandato della missione Unsmis;
ad adoperarsi nelle sedi internazionali per sostenere con forza che la commissione internazionale indipendente d'inchiesta, istituita dal Consiglio Onu dei diritti umani, possa entrare in Siria e verificare le denunce di violazioni commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto;
ad attivarsi perché vengano celermente avviate le necessarie procedure, previste dall'articolo 5 della legge 3 marzo 1951, n. 178, volte a revocare l'onorificenza concessa al Presidente siriano Bashar Al-Assad.
(1-00975)
(Ulteriore nuova formulazione) «Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Leoluca Orlando, Di Stanislao».
(27 marzo 2012)
La Camera,
premesso che:
in numerosi Paesi della riva sud del Mediterraneo con la caduta di regimi non democratici si sono avviati percorsi di costruzione istituzionale verso assetti democratici ed in alcuni casi si sono svolte elezioni valutate non negativamente dagli osservatori internazionali;
per la prima volta, partiti islamici si sono affermati in modo estremamente significativo, con la conseguente formazione, in alcuni casi, di maggioranze in cui partiti islamici e partiti di ispirazione laica tradizionale operano insieme;
in alcuni casi, come in Egitto, la maggioranza di partiti islamici ed il Governo laico militare non hanno potuto finora definire l'assetto stabile per il medio e lungo periodo, anche in vista delle elezioni presidenziali;
in altri casi, come la Libia, la fragilità dell'equilibrio di governo transitorio e l'incertezza della prospettiva elettorale concorrono a rendere la situazione sul terreno incerta ed insicura;
nel caso della Siria, si assiste a sterili esercizi di consultazione e veti che impediscono al Consiglio di sicurezza dell'Onu ed alla comunità internazionale di far cessare la strage di civili innocenti a Damasco, nella città martire di Homs ed altrove;
sinora l'azione dell'Unione europea è stata, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, debole ed incapace di indurre i grandi attori non europei, dalla Cina alla Russia, ad atteggiamenti responsabili, volti, anzitutto, all'uscita di scena del regime siriano ed alla fine della violenza, ma anche, più in generale, alla definizione di politiche globali con cui seguire i complessi fenomeni sociali e politici che si manifestano nel mondo arabo;
invece, l'azione e la capacità di visionare della Lega araba si sono dimostrate efficaci ed in grado quantomeno di ricercare un consenso più ampio in sostegno ai popoli della regione, durante e dopo le fasi conclusive dei regimi e nell'attuale drammatica e non risolta crisi siriana;
l'Italia, anche a seguito della constatazione della scarsa efficacia delle più recenti iniziative euro-mediterranee, può e deve rivendicare la propria responsabilità di promuovere, con l'Europa, un nuovo patto mediterraneo per affrontare con i Paesi arabi le sfide antiche e recenti della sicurezza, prosperità, arricchimento culturale ed evoluzione democratica nelle istituzioni e nelle società;
così come accadde durante la guerra fredda, per superare distanze ed incomprensioni è utile pensare ad un patto globale euro-arabo, che veda protagonisti la Lega araba e l'Unione europea, per ricercare un dialogo ampio e paritario come nel caso della Conferenza per la sicurezza e cooperazione in Europa (Csce);
un'intesa globale euro-araba avrebbe, anzitutto, il potenziale per l'ulteriore coinvolgimento di attori essenziali, dalla Turchia alla Russia agli Stati Uniti, per parlare finalmente con una sola voce di stop alle violenze in Siria, di sicurezza, democrazia e diritti nel rispetto delle storie e tradizioni nazionali, di prosperità e ruolo dei giovani nella regione mediterranea allargata;
il Governo, anche alla luce delle esperienze che la diplomazia italiana ha avviato e sviluppato negli ultimi dieci anni, può e deve, abbandonando le regole ed i riti sinora privi di risultato, affrontare la strada, tutta politica, dell'interlocuzione aperta, a partire da un vertice fondativo Unione europea-Lega araba, per definire un patto ricco di azioni concrete con l'assunzione reciproca e paritaria di responsabilità, affinché i primi attori regionali nel Mediterraneo «allargato» – appunto Unione europea e Lega araba – possano guidare, e non subire, iniziative strategiche cui altri attori internazionali si possano associare,
impegna il Governo
a promuovere un'iniziativa politica con cui Unione europea e Lega araba insieme rafforzino il dialogo e la cooperazione sui temi concreti della cessazione immediata delle violenze in Siria, della sicurezza, della democrazia e della prosperità, assumendo insieme le conseguenti iniziative di coinvolgimento degli Stati mediterranei e degli altri attori internazionali, il cui contributo possa aiutare lo sviluppo di tali politiche.
(1-00986)
(Nuova formulazione) «Cicchitto, Frattini, Pianetta, Renato Farina, Angeli, Biancofiore, Boniver, Malgieri, Migliori, Osvaldo Napoli, Picchi».
(2 aprile 2012)
La Camera,
premesso che:
desta sempre maggior preoccupazione l'aggravarsi della crisi siriana, con un crescente e inarrestabile numero di morti e feriti nella popolazione civile, mentre il susseguirsi di notizie sulle stragi compiute, in particolare a Homs e poi a Hula, gettano un'ombra inquietante sui possibili ulteriori sviluppi per la popolazione civile;
negli ultimi mesi numerosi sono stati gli appelli e le denunce di organizzazioni internazionali in merito alle gravi violazioni di diritti umani fondamentali in Siria, in particolare nei confronti di donne e bambini, e la stessa Lega araba ha avanzato la proposta di un'inchiesta internazionale sui crimini contro i civili, commessi in Siria, in particolare nella città di Homs;
i tentativi fin qui condotti dalle Nazioni Unite per porre fine alla repressione e per garantire un accesso umanitario alle città più colpite, con l'invio dell'ex Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, si sono fin qui rivelati fallimentari e lo stesso invio degli osservatori internazionali si è rivelato del tutto inadeguato rispetto agli obiettivi prefissati;
a fine febbraio 2012 i Ministri degli esteri dell'Unione europea avevano approvato nuove sanzioni, prendendo di mira la Banca centrale siriana, per restringere ulteriormente i finanziamenti al regime, mentre il 14 marzo 2012 l'Italia, anche in considerazione delle gravi condizioni di sicurezza, ha – insieme ai principali partner dell'Unione europea – sospeso l'attività della propria ambasciata a Damasco e rimpatriato lo staff della sede diplomatica;
la crisi siriana si inscrive in un contesto regionale critico: i rischi evidenti per il Libano, il fondamentalismo qaedista e il conflitto sunnita/sciita, sullo sfondo, rendono più complesso il tentativo della comunità internazionale di portare l'Iran, attraverso le trattative di Mosca e la politica delle sanzioni, da fattore di instabilità ad un ruolo più collaborativo;
una soluzione politica della crisi siriana richiede un impegno convergente della comunità internazionale e, quindi, un cambio di orientamento della Russia: appare evidente che le sue aspirazioni ad un ruolo di primo piano in Medio Oriente mal si conciliano con il mantenimento del sostegno al regime di Assad, sempre più indebolito ed oggetto di condanna da parte della comunità internazionale;
a fronte dello stallo sul piano diplomatico e del progressivo irrigidimento del regime siriano, con un crescente massacro di civili, in particolare donne e bambini, si profila il rischio sempre più evidente dello scoppio di una vera e propria guerra civile dagli esiti incerti e con conseguenze ancora più devastanti per la popolazione già duramente provata,
impegna il Governo:
a continuare l'azione volta a favorire il rafforzamento dell'opposizione siriana per garantirne una maggiore unità e legittimazione;
ad adottare ogni iniziativa utile nelle opportune sedi internazionali ed europee, per un efficace rilancio del piano Annan attraverso un rafforzamento delle pressioni internazionali volte alla sua compiuta messa in opera, al fine, da un lato, di garantire il ripristino delle condizioni minime per alleviare le sofferenze della popolazione e, dall'altro, per evitare che un'ulteriore degenerazione della situazione conduca all'esplodere di una vera e propria guerra civile;
ad adottare ogni iniziativa utile, nelle opportune sedi internazionali ed europee, al fine di garantire il pieno coinvolgimento di tutti gli attori regionali coinvolti, per trovare una soluzione condivisa della crisi siriana che prefiguri il superamento dell'attuale regime.
(1-01082)
«Tempestini, Pistelli, Maran, Narducci, Veltroni, Barbi, Touadi, Colombo, Corsini, Fedi, Porta».
(18 giugno 2012)
La Camera,
premesso che:
dal marzo 2011 è in corso in Siria un processo insurrezionale che è ormai sfociato in una guerra civile;
si contrappone al regime di Damasco, guidato da Bashar al Assad, un gruppo assai composito di organizzazioni d'opposizione, tra le quali figurano le emanazioni locali della Fratellanza musulmana, movimenti di ispirazione salafita o wahabita, gruppi riconducibili alla galassia di Al Qaeda ed altri, che non fanno mistero di puntare alla liquidazione della minoranza sciita alawita ed all'espulsione dei cristiani dalla Siria;
le deprecabili violenze messe in atto dal regime di Assad si affiancano alle provocazioni poste in atto dalle opposizioni, in cui si annidano anche focolai terroristici, se è vero che Ayman Al Zawahiri, attuale capo di Al Qaeda, ha lanciato un appello per chiedere a tutti i musulmani di accorrere alla rivoluzione contro il regime di Assad; aumentano i sospetti che alcune azioni violente siano state attribuite al regime, ma in realtà siano state provocate dai ribelli per obbligare moralmente la comunità internazionale ad un nuovo esercizio della cosiddetta «responsabilità di proteggere», cioè a un intervento militare internazionale a fianco degli insorti;
tale intervento non ha finora avuto luogo per l'impossibilità di raggiungere un accordo nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove Russia e Cina eserciterebbero il proprio veto, e neanche la Lega araba, che pure rifornisce di armi e denaro i ribelli, si dichiara a favore dell'intervento;
crescono, però, le dichiarazioni di condanna anche da parte del Governo italiano, che potrebbero fare intravedere l'ineludibilità di un intervento militare anche in mancanza di una posizione unitaria a livello internazionale definita in un preciso mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;
nessuna azione militare può essere autorizzata dal nostro Paese senza un chiaro indirizzo parlamentare al Governo, né al di fuori della Carta delle Nazioni Unite e in ogni caso non dovrebbe ripetersi il vergognoso «gioco delle carte» che ha portato all'intervento in Libia, deciso in segreto in alcune cancellerie occidentali, senza un'adeguata conoscenza del Parlamento italiano, ed infine sanato in forme non condivise dai firmatari del presente atto di indirizzo da un'ambigua risoluzione dell'Onu;
non è ancora chiaro sino a che punto il Governo italiano intenda spingersi nel sostenere la causa dell'insurrezione in atto in Siria;
nell'attuale situazione di crisi economica che sta investendo pesantemente il nostro Paese e che già impegna le finanze italiane in uno sforzo solidale in ambito europeo a sostegno dei partner in difficoltà, le 22 missioni internazionali attualmente in essere a cui il nostro Paese prende parte a vario titolo comportano costi per 1 miliardo e 400 milioni di euro, un onere forse doveroso in condizioni normali, ma che forse non ci si può più permettere oggi,
impegna il Governo:
a non assumere a livello internazionale, con riferimento alla Siria, alcun ulteriore impegno militare, ancorché a carattere umanitario, senza un dibattito parlamentare esaustivo, preventivo a qualsiasi negoziato in tal senso in sede internazionale e senza un preciso e puntuale mandato delle Camere;
a non prendere parte ad iniziative internazionali a carattere militare in Siria, senza un preventivo mandato in tal senso da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;
in caso le circostanze impongano comunque un impegno militare nazionale in Siria, a compensarne il costo con una parallela riduzione degli oneri connessi al mantenimento dei contingenti dislocati in altri teatri, a partire dall'Afghanistan.
(1-01083)
«Dozzo, Stefani, Pini, Togni, Allasia, Gidoni, Chiappori, Molgora».
(18 giugno 2012)
La Camera,
premesso che:
gli eventi che hanno interessato nell'arco di un anno l'area nordafricana e mediorientale non hanno precedenti nella storia di quella macroregione;
le proteste di massa in quei Paesi, accomunati dalla presenza di sistemi autarchici e lontani dal modello di democrazia, hanno portato alla caduta di regimi che in alcuni casi duravano da oltre trent'anni (Tunisia e Egitto), ad una sanguinosa guerra civile (Libia) o spinto le leadership di altri Paesi a intraprendere una serie di riforme per venire incontro alle richieste delle piazze (Marocco e Giordania);
la «Primavera araba» ha investito anche la Siria, che ha cercato di soffocare subito le proteste di piazza con l'arresto e la probabile tortura dei rivoltosi, per lo più studenti;
attualmente è ancora in atto una dura rivolta contro il regime imposto dalla dinastia alawita Al Assad, che governa il Paese ininterrottamente dal 1971;
il Sottosegretario generale delle Nazioni Unite per le operazioni di pace, Herve Ladsous ha detto chiaramente che la Siria è in «guerra civile», che il Governo ha perso grandi parti di territorio, molte città sono passate all'opposizione e che il Governo medesimo vuole riprenderne il controllo;
l'Osservatorio dei diritti umani ha comunicato che, dall'inizio della rivolta contro il regime di Bashar al Assad nel marzo 2011, le violenze in Siria hanno fatto oltre 14.400 morti, per la maggior parte civili. Di questi, 2.300 persone sono rimaste uccise soltanto nel mese di maggio 2012. Delle «14.475 persone, 10.117 sarebbero i civili, 3.552 i soldati e 807 i disertori», secondo quanto dichiarato dal presidente dell'organizzazione non governativa che ha sede in Gran Bretagna;
le Nazioni Unite hanno denunciato in un rapporto le atrocità commesse contro i bambini, affermando che vengono uccisi, incarcerati e torturati, sono vittime di violenza sessuale e addirittura utilizzati come scudi umani;
in un nuovo rapporto pubblicato in questi giorni, Amnesty international fornisce nuove prove delle ampie e sistematiche violazioni dei diritti umani, tra cui crimini contro l'umanità e crimini di guerra, perpetrate nell'ambito di una politica di Stato destinata a compiere rappresaglie contro le comunità sospettate di sostenere l'opposizione siriana e a intimidire e assoggettare la popolazione;
in ritardo rispetto ai continui massacri, il Consiglio di sicurezza dell'Onu, prima con la risoluzione 2042, in cui si consentiva l'invio immediato di una missione esplorativa in Siria, e poi con la risoluzione 2043 del 21 aprile 2012, ha approvato la missione Unsmis, United nations supervision mission in Syria, con l'invio progressivo di un contingente di osservatori militari disarmati, oltre alla necessaria componente civile;
anche Russia e Cina hanno sottoscritto la ferma condanna del Consiglio di sicurezza, dopo che per due volte avevano esercitato il potere di veto;
i violenti scontri e l'elevato numero di morti, nonostante la presenza della missione Onu, hanno indotto il Governo prima a ritirare la delegazione diplomatica italiana in Siria e poi, in data 29 maggio 2012, unitamente ai Governi di Germania, Spagna, Francia, Canada, Australia, Olanda (seguiti poi anche dagli Stati Uniti, dal Giappone e dalla Turchia), ad espellere gli ambasciatori e altri diplomatici siriani dal Paese (mentre la Russia ha criticato l'espulsione degli ambasciatori siriani, definendola una mossa «controproducente»);
si teme che il conflitto possa ripercuotersi sull'intera area geografica e che possa crearsi una nuova emergenza umanitaria nello scacchiere mediorientale, che già sconta una precaria situazione;
il complesso quadro regionale e internazionale in cui si colloca la crisi siriana non ha favorito un'azione forte e decisa da parte delle istituzioni europee finalizzata a ricercare una soluzione alla drammatica vicenda;
una soluzione della crisi, attraverso la mediazione delle istituzioni europee ed internazionali, non è agevolata dall'atteggiamento indulgente nei confronti del regime di Assad da parte della Russia, che vuole continuare ad avere una sua zona d'influenza in quell'area mediorientale, mentre un’escalation della guerra civile potrebbe accentuare i rischi di un intervento diretto iraniano, con tutto quello che ne conseguirebbe, compresa un'azione decisa e diretta di Israele;
sono certamente da tenere in considerazione le implicazioni derivanti dall'eterogenea composizione delle forze che si oppongono al regime siriano di Assad, in cui si registra una forte presenza sunnita e in cui convivono un insieme di gruppi in esilio denominato Consiglio nazionale siriano (Cns), con una prevalenza sempre più consistente di movimenti e partiti islamisti sunniti, a fronte della presenza sciita di matrice iraniana;
il Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi, ha recentemente avuto una conversazione con il nuovo Presidente del Consiglio nazionale siriano, Abdel Basset Sieda, al quale ha espresso la forte preoccupazione dell'Italia per la situazione, sottolineandone i riflessi sulla sicurezza regionale e i gravi risvolti umanitari e confermando l'imminente invio in Siria e in Giordania di aiuti italiani per la cura dei feriti e la prossima attivazione di un ospedale da campo in Giordania. Il capo della diplomazia italiana si è, in particolare, soffermato sulla necessità che le opposizioni si uniscano attorno ad una piattaforma comune, inclusiva di tutte le componenti della società siriana;
secondo quanto emerge dagli ultimi incontri del Consiglio di sicurezza dell'Onu, non è previsto nessun accordo ufficiale per un intervento militare in Siria, anche se l'opinione internazionale è unanime nell'affermare che il regime siriano sia responsabile della violazione del diritto internazionale;
nella giornata di giovedì 14 giugno 2012 il Senato della Repubblica ha approvato il decreto-legge sulla partecipazione dell'Italia alla missione degli osservatori Onu in Siria, che passerà ora all'esame della Camera dei deputati;
sabato 16 giugno 2012 il generale norvegese Robert Mood, a capo della missione Onu in Siria Unsmis, ha annunciato la sospensione della missione internazionale, a causa dei crescenti atti di violenza nel Paese che mettono a rischio gli osservatori e tutto lo staff, e che la missione riprenderà solo quando ci saranno le condizioni di sicurezza necessarie al suo svolgimento;
la sospensione della missione decreta, di fatto, il fallimento dello stesso piano Annan per la Siria, che aveva l'obiettivo di fermare le ostilità tra i due fronti, ma il massacro di Hula di maggio 2012 ha ridestato i combattimenti in tutto il Paese,
impegna il Governo:
ad intraprendere ogni utile iniziativa, d'intesa con le istituzioni europee ed internazionali, per porre fine alle violenze in atto ai danni della popolazione siriana ed organizzare i soccorsi alla popolazione sofferente;
a sostenere la necessità di un'intesa tra l'Unione europea e la Lega araba per favorire un'evoluzione positiva della situazione con il più ampio consenso possibile delle popolazioni e dei Paesi interessati;
a favorire, tenuto conto degli ottimi rapporti esistenti con la Federazione russa, un maggior coinvolgimento della stessa nel ricercare una soluzione condivisa di una vicenda che rappresenta un'emergenza internazionale di primaria importanza;
a valutare l'opportunità di sostenere presso le istituzioni internazionali la necessità di una nuova e determinante risoluzione dell'Onu, anche alla luce della sospensione della missione Unsmis.
(1-01084)
«Adornato, Galletti, Volontè, Tassone, Compagnon, Ciccanti, Rao, Naro, Bosi, Marcazzan».
(18 giugno 2012)
La Camera,
premesso che:
la spirale di violenze indiscriminate, in cui la crisi del regime di Damasco è da mesi precipitata, aggrava le sofferenze della popolazione siriana e complica un quadro regionale pesantemente condizionato dall'espansionismo politico iraniano e dalla congenita fragilità degli equilibri mediorientali;
secondo l'Osservatorio siriano sui diritti umani più di 14.400 persone sono morte in 15 mesi di guerra civile e solo nell'ultimo mese ci sarebbero state 2.302 vittime, precisando che si tratta di 1.455 civili, 96 dissidenti e 751 soldati;
la politica delle sanzioni e dell'isolamento politico-diplomatico decisa dall'Unione europea nei confronti del regime siriano non ha finora indebolito, né arginato l'offensiva militare ai danni della popolazione civile e la missione esplorativa, avviata a seguito dell'approvazione della risoluzione 2042 da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, non ha consentito di raggiungere l'obiettivo del «cessate il fuoco»;
al contrario, il 16 giugno 2012 la missione degli osservatori Onu è stata ufficialmente sospesa proprio per l'intensificarsi delle violenze, né sembra poter proseguire senza diverse garanzie di protezione;
la situazione di stallo, che pregiudica la mediazione delle Nazioni Unite e gli impegni della stessa Lega araba, e il sostegno garantito al regime di Assad dalla Russia rendono quello di una guerra civile aperta e incontrollata lo scenario ad oggi più probabile e compromettono la possibilità di garantire forme di interposizione umanitaria a tutela della popolazione civile,
impegna il Governo:
a promuovere, con un più ampio e diverso mandato rispetto a quello previsto dalla risoluzione 2042, una missione Onu finalizzata a raggiungere gli obiettivi previsti dal cosiddetto piano Annan e fino ad oggi vanificati, in primo luogo, dall'indisponibilità del regime di Assad ad osservare gli impegni concordati con l'ex Segretario generale delle Nazioni Unite;
a sostenere l'opposizione democratica siriana per favorire l'apertura di un processo politico che possa portare, in forma pacifica, al superamento del regime di Assad e ad una transizione ordinata verso un sistema di libertà politica.
(1-01085) «Menia, Della Vedova».
(18 giugno 2012)
INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA
DI PIETRO e PALOMBA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
sono passati vent'anni dalla stagione delle stragi di mafia culminate con la morte dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: ma la piena ed integrale verità è ancora oscurata da una ragnatela di collusioni, silenzi e comportamenti omertosi;
quella stagione non può assolutamente essere archiviata in nome e nel rispetto di molte vittime di tanta barbarie, della nostra storia e dei principi tracciati dai nostri padri costituenti;
la magistratura, attraverso diverse procure della Repubblica, pur tra molte difficoltà, sta meritoriamente indagando se ci fu una trattativa tra Stato e mafia e quali ne furono i contorni, tema in merito al quale è vitale per la nostra democrazia conoscere gli eventuali responsabili;
altrettanto essenziale per la nostra democrazia è sapere se c’è chi vuole mantenere quella pagina di storia ancora oscura, sia omettendo di dare le informazioni, sia frapponendo ostacoli alle indagini;
da notizie di stampa, e segnatamente da Il Fatto quotidiano, si apprende anche che il procuratore della Repubblica di Palermo, dottor Messineo, ha rifiutato di assentire gli atti dei sostituti procuratori incaricati dello svolgimento delle indagini in questa materia, così «lasciandoli soli», come ha commentato parte della stampa;
un Paese può considerarsi libero e democratico quando non ha segreti e quando le istituzioni concorrono alla ricerca della verità, affinché i cittadini possano sapere e capire tutto ciò che è accaduto nella loro storia. Ciò tanto più vale trattandosi di un tema così grave come la mafia, che insanguina il Paese e accumula risorse sottraendole all'economia pulita, organizzazione criminale che potrebbe essere accostata allo Stato solo per la spietata lotta e non per trattative e collusioni;
quindi, la verità deve poter essere cercata senza guardare in faccia nessuno, neppure i potenti passati o presenti, per il debito che lo Stato ha verso se stesso, verso la giustizia e verso quei servitori delle istituzioni che persero la vita in quei primi mesi del 1992, anche affinché il loro sacrificio non sia stato vano –:
se non intenda avviare iniziative ispettive per verificare se la situazione in premessa giustifichi l'eventuale esercizio dei poteri di competenza. (3-02346)
(19 giugno 2012)
LUSETTI, GALLETTI, CAPITANIO SANTOLINI, BINETTI, VOLONTÈ, COMPAGNON, RAO, CICCANTI, NARO e CALGARO. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
nei giorni scorsi il Governo ha varato il piano nazionale per la famiglia, concludendo un percorso iniziato nel 2007 e atteso da quanti operano a favore della famiglia;
nel piano nazionale per la famiglia sono indicate le linee di indirizzo in materia di politiche familiari e sono individuate le priorità su cui intervenire con maggiore urgenza (esigenze abitative, aiuto alla disabilità e alla non autosufficienza, congedi parentali, servizi alla prima infanzia);
tuttavia, sembrerebbero non contemplate tra le priorità del piano quelle riguardanti i minori senza famiglia, il cui numero in Italia è cresciuto in modo esponenziale in questi ultimi anni, e le adozioni;
a riguardo si registra una forte crisi dell'adozione – sia nazionale che internazionale – che rischia di decimare le adozioni fino all'estinzione, prevedibile entro il 2020. A conferma di questo trend progressivo ci sono i dati ufficiali, relativi al calo dei decreti di idoneità (49 per cento, registrato tra il 2006 e il 2011) e al calo delle domande di disponibilità da parte delle coppie (35 per cento per l'adozione nazionale e 32 per cento per l'internazionale, tra il 2006 e il 2010);
secondo l'associazione Ai.Bi.-Amici dei bambini, si tratta di un'emergenza cui occorre rimediare attraverso un pacchetto di riforme a «costo zero che sarebbe opportuno inserire nel piano per la famiglia, che prevedono: riforma dell'adozione, con abbattimento dei costi, snellimento delle procedure e un cambiamento culturale; riforma dell'affido, con ingresso del privato sociale nella gestione degli affidi familiari; attivazione della banca dati dei minori fuori famiglia, per consentire l'adozione di centinaia di bambini residenti in Italia, oggi costretti a vivere nel “limbo” delle comunità educative; riconoscimento giuridico per le case famiglia, per sviluppare finalmente questa forma di accoglienza che è la vera alternativa alle comunità educative, nonché l'unica in grado di riattivare la relazione familiare per i minori fuori famiglia –:
se non ritenga di inserire nel piano nazionale per la famiglia le priorità indicate in premessa. (3-02347)
(19 giugno 2012)
DOZZO, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
l'ordinanza del Capo dipartimento n. 2 del 2 giugno 2012, relativa alle «procedure per la valutazione della sicurezza e dell'agibilità degli edifici ad uso produttivo in conseguenza agli eventi sismici nelle province di Bologna, Modena, Ferrara, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo di maggio 2012», stabilisce che il titolare dell'attività produttiva, che è responsabile della sicurezza secondo il decreto legislativo n. 81 del 2008, deve acquisire la certificazione di agibilità sismica a seguito della verifica di sicurezza prevista dalle norme sismiche vigenti, fatta da un professionista abilitato, e deve depositarla nel comune territorialmente competente. Il provvedimento viene applicato nei comuni interessati dagli eventi sismici dal 20 maggio 2012. Tale ordinanza, in sostanza, impone al datore di lavoro di verificare l'agibilità sismica dei capannoni e, dunque, costringe ad acquisire la relativa certificazione;
tale disposizione è stata pedissequamente riportata nel comma 7 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 79 del 2012, che dispone che, al fine di favorire la rapida ripresa delle attività produttive e delle normali condizioni di vita e di lavoro in condizioni di sicurezza adeguate nei comuni interessati dai fenomeni sismici iniziati il 20 maggio 2012, il titolare dell'attività produttiva deve acquisire la certificazione di agibilità sismica rilasciata, a seguito di verifica di sicurezza effettuata, ai sensi delle norme tecniche vigenti (capitolo 8 - costruzioni esistenti del decreto ministeriale del 14 gennaio 2008), da un professionista abilitato, e depositare la predetta certificazione al comune territorialmente competente;
le disposizioni in questione, seppure ispirate alla volontà di velocizzare le procedure tecniche ed amministrative per consentire la ripresa delle attività produttive delle aree colpite dal sisma, si stanno dimostrando meno efficaci e ad ogni modo più complesse di quanto auspicato e tra i professionisti abilitati sorgono dubbi e incertezze su quali criteri si debbano seguire per rilasciare una certificazione fino a prima non richiesta per quelle opere e secondo una definizione, quella di agibilità sismica, che non sembra essere prevista negli atti a disposizione dell'ordine degli ingegneri;
in effetti, operando sulla base di un semplice esame visivo e, quindi, basando il giudizio sulla presenza di danni significativi a seguito degli eventi sismici, potrebbe verificarsi il paradosso che strutture realizzate nelle zone colpite dal sisma, prima del 2003, quando queste non erano classificate tali e, quindi, non progettate con criteri antisismici, sarebbero certificate agibili. Così si avrebbe l'assurdo che un libero professionista dovrebbe certificare la sicurezza sismica di opere, pur nella consapevolezza che queste non sono state progettate e realizzate per fronteggiare le azioni sismiche;
per rendere effettivamente efficace ed attuabile la norma in oggetto, sempre rimanendo nell'ambito della sicurezza e dell'osservanza delle vigenti norme sulla sicurezza dei luoghi di lavoro e sulla sicurezza sismica degli immobili, sarebbe opportuno creare una task force diretta dalla Protezione civile di competenza nazionale, formata da ingegneri strutturisti, con certificate competenze di ingegneria sismica, provenienti dal sistema delle università e degli enti pubblici di ricerca, cui affidare il compito di esaminare le strutture industriali e le infrastrutture, per una prima ricognizione e classificazione delle tipologie di problematiche da affrontare;
l'obiettivo dovrebbe essere quello di favorire la rapida ripresa delle attività produttive e delle normali condizioni di vita e di lavoro in condizioni di sicurezza adeguate, nei comuni interessati dalla recente sequenza sismica della pianura padana emiliana, iniziata il 20 maggio 2012. In tali circostanze andrebbero evidenziate:
a) le strutture già rispondenti agli standard di sicurezza delle norme, da poter dichiarare agibili;
b) le strutture che potrebbero essere agibili a seguito di interventi alle strutture portanti e alle eventuali scaffalature, da effettuare con urgenza;
c) le strutture che richiedono interventi più impegnativi, fino alla demolizione e ricostruzione. Per queste, al fine di non bloccare l'attività produttiva, si potrebbero valutare spostamenti temporanei in aree vicine con coperture di rapida realizzazione. L'analisi dovrà riguardare anche eventuali strutture industriali progettate secondo le vigenti norme e dovrà tener conto dei valori effettivi dell'azione sismica, orizzontale e verticale, dei recenti eventi;
il team di esperti (task force) dovrebbe essere affiancato da tecnici delle amministrazioni locali ed eventualmente da professionisti abilitati, che potrebbero successivamente seguire i lavori necessari e occuparsi delle certificazioni nel futuro –:
se, al fine di favorire effettivamente e più celermente la rapida ripresa delle attività produttive e delle normali condizioni di vita e di lavoro in condizioni di sicurezza adeguate nelle aree colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012, non intenda attivarsi nelle sedi di competenza affinché sia adottata una specifica ordinanza del Capo dipartimento della Protezione civile volta ad integrare la precedente ordinanza del 2 giugno 2012 di cui in premessa e che preveda l'istituzione di un gruppo di lavoro, nominato dai presidenti delle regioni interessate dall'evento sismico, formato da ingegneri e professionisti strutturisti specializzati nella progettazione antisismica provenienti dalle università delle regioni coinvolte nell'evento sismico, dall'Enea e da altri enti competenti in materia sismica, se del caso associati in reti di laboratori di progettazione antisismica, con il compito di coordinare e supervisionare le verifiche delle strutture, anche sotto forma di esami a campione, e di indicare ai relativi professionisti abilitati, ai sindaci ed ai presidenti delle province interessate le azioni e le misure da adottare per il rilascio delle previste certificazioni di agibilità sismica.
(3-02348)
(19 giugno 2012)
PELUFFO, LETTA, BRAGA, MARCO CARRA, CODURELLI, COLANINNO, COLOMBO, CORSINI, DE BIASI, DUILIO, FARINONE, FERRARI, FIANO, MARANTELLI, MISIANI, MOSCA, PIZZETTI, POLLASTRINI, QUARTIANI, SANGA, ZACCARIA, ZUCCHI, MARAN e GIACHETTI. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
dall'assemblea di Assolombarda il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, ha annunciato di aver rimesso a disposizione del Presidente del Consiglio dei ministri l'incarico di commissario straordinario di Expo 2015 perché come ha spiegato: «Abbiamo posto e continuiamo a porre questioni che continuano a non avere risposte, anche perché nel Governo non abbiamo un interlocutore ben definito»;
con l'ordine del giorno 9/1972/86 la Camera dei deputati ha approvato il 14 gennaio 2009 l'impegno al Governo «a relazionare annualmente sulle attività e sullo stato patrimoniale della società di gestione e sullo stato di avanzamento delle opere e delle iniziative collegate per il raggiungimento di Expo 2015» –:
di quali elementi disponga circa le motivazioni del sindaco di Milano che lo hanno portato a rimettere il mandato di Expo 2015, quali siano le scelte del Governo su Expo 2015 e se non ritenga opportuno ed urgente dar seguito all'impegno di relazionare sullo stato attuale delle attività dell'Esposizione universale, in particolare per ciò che riguarda il timing del completamento di tutte le opere previste dal dossier di candidatura di Expo 2015 e la copertura finanziaria. (3-02349)
(19 giugno 2012)
PISICCHIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
in questi giorni gli importanti rapporti Svimez e Irpet hanno messo in luce la dimensione statistica della drammatica crisi italiana: oltre 200 mila famiglie hanno scoperto il triste spettro della disoccupazione negli ultimi 4 anni;
la dimensione più inquietante è quella della disoccupazione giovanile: sulle 436.000 unità espulse dal mercato del lavoro tra il 2008 e il 2010, il 70 per cento ha meno di 35 anni; è, inoltre, il reddito dei più giovani ad aver subito la contrazione più forte: -10,3 per cento;
i dati offerti dagli istituti di ricerca dimostrano, peraltro, come nel contesto di crisi si allarghi la già forte diseguaglianza territoriale: a Nord la perdita netta per ogni famiglia è stata nel 2008-2010 di 735 euro annue, a Sud di 880 euro, a fronte di un reddito medio che per i cittadini del Sud e delle Isole è stato di oltre il 40 per cento minore di quello dei cittadini del Nord –:
quali urgenti e concreti interventi in termini di welfare il Governo intenda porre in essere per alleviare la condizione di grave difficoltà in cui versano le famiglie italiane. (3-02350)
(19 giugno 2012)
D'ANNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
nella versione attualmente vigente, l'articolo 28-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, prevede che i creditori – tra gli altri enti – delle aziende sanitarie locali per somministrazione, forniture e appalti possano accedere al beneficio della compensazione con somme eventualmente dovute all'erario e iscritte a ruolo;
la possibilità di accedere all'anzidetto beneficio, tuttavia, è condizionata al rilascio della certificazione di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge n. 185 del 2008, ma, anche e soprattutto, all'individuazione delle modalità di attuazione della norma attraverso l'adozione di uno specifico decreto da parte del Ministero dell'economia e delle finanze;
l'articolo 31, comma 1-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, precisa che, in ogni caso, relativamente ai crediti «maturati nei confronti degli enti del servizio sanitario nazionale» si applica comunque quanto previsto dal comma 1-ter, secondo periodo, dello stesso articolo 31;
le anzidette norme, dunque, in carenza dei decreti ministeriali attuativi, non possono trovare applicazione;
i crediti vantati nei confronti degli enti del servizio sanitario nazionale, pur non essendo onorati, generano un reddito aziendale che impone il pagamento di imposte. A sua volta, l'impossibilità di fare fronte al pagamento di tali imposte, conseguente alla morosità delle aziende sanitarie locali, determina l'iscrizione a ruolo delle relative somme;
a ciò si aggiunga che, ai sensi dell'articolo 11, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010 e dell'articolo 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nell'ambito delle regioni già sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari «non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, fino al 31 dicembre 2011», termine poi prorogato fino al 31 dicembre 2012 dall'articolo 17, comma 4, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
da un lato, dunque, l'amministrazione intesa in senso lato non onora i suoi debiti e, in determinate contesti, ne impedisce finanche il recupero coattivo; dall'altro, è libera di iscrivere a ruolo le somme relative a imposte generate da un reddito solo virtuale, poiché conseguente a crediti da essa stessa non pagati;
in tali condizioni è, dunque, evidente che l'attuazione di quanto stabilito dal citato articolo 31, commi 1-bis e 1-ter, del decreto-legge n. 78 del 2010 rappresenta l'unico contraltare in grado di riequilibrare, almeno in parte, il sistema;
nelle ultime settimane i decreti attuativi erano stati preannunciati, ma, a tutt'oggi, non si ha notizia della loro effettiva adozione –:
se sia a conoscenza di tali fatti e se ritenga necessario assumere ogni iniziativa di competenza per l'attuazione delle suddette norme. (3-02351)
(19 giugno 2012)
BALDELLI e DISTASO. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
nel corso del 2011 è stato costruito un proficuo rapporto di cooperazione istituzionale rafforzata tra il Governo e le regioni, che ha consentito di avviare a realizzazione il piano nazionale per il Sud, approvato il 26 novembre 2010, e di accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati 2007-2013, scongiurando il rischio di disimpegno delle risorse comunitarie al 31 dicembre 2011;
il Governo italiano ha assunto, in sede europea, l'impegno ad attuare una serie di misure di politica economica volte a sostenere la crescita dell'economia, individuando tra queste la revisione strategica dei programmi – nazionali e regionali – cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013 che determini una maggiore concentrazione sugli investimenti, in grado di determinare effetti diretti sulla competitività e la crescita del Paese ed un maggior orientamento delle politiche ai risultati;
la delibera CIPE n. 62 del 3 agosto 2011, registrata alla Corte dei conti il 21 dicembre 2011 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2011, ha disposto il finanziamento, a valere sulle risorse del fondo di sviluppo e coesione di competenza regionale, di interventi prontamente cantierabili riguardanti le grandi opere strategiche nazionali e regionali ferroviarie e viarie, essenziali per ricucire Nord e Sud del Paese;
in particolare, la citata la delibera assegna 1,6 miliardi di euro a favore di interventi strategici nazionali e 5,8 miliardi di euro a favore di 128 infrastrutture di rilievo interregionale e regionale, riguardanti non soltanto strade e ferrovie, ma anche schemi idrici, porti e interporti, aree d'insediamento produttivo, banda larga;
la delibera CIPE n. 78 del 30 settembre 2011, registrata alla Corte dei conti il 9 gennaio 2012 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 21 gennaio 2012, e successivamente modificata dalla delibera 20 gennaio 2012, registrata alla Corte dei conti il 17 aprile 2012 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 23 aprile 2012, ha approvato un programma di investimenti nel sistema universitario delle regioni del Mezzogiorno che assegna, a valere sulle risorse del fondo di sviluppo e coesione di competenza regionale, 1.027 milioni di euro, di cui circa 84 milioni di euro a favore di due poli di ricerca di eccellenza in Calabria/Sicilia e Puglia e 943 milioni di euro in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia per il finanziamento di infrastrutture, quali laboratori didattici e di ricerca, biblioteche, mense, attrezzature tecnologiche e informatiche, case dello studente, ristrutturazioni e nuove costruzioni di edifici universitari;
il Cipe nella seduta del 23 marzo 2012, con delibera n. 41 registrata alla Corte dei conti il 7 giugno 2012, ha previsto che, ai fini dell'attuazione degli interventi previsti nelle delibere Cipe n. 62 del 2011 e 78 del 2011, si procede attraverso lo strumento del contratti istituzionali di sviluppo, nelle ipotesi nelle quali i soggetti attuatori siano costituiti da concessionari di pubblici servizi di rilevanza nazionale;
in tutti gli altri casi si procede mediante la stipula di specifici accordi di programma quadro;
complessivamente le risorse assegnate dalla citata delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011 ammontano a circa 7,5 miliardi di euro, che consentono di attivare un volume di investimenti di circa 30 miliardi di euro;
complessivamente le risorse assegnate dalla citata delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011 ammontano a circa 1 miliardo di euro, che consente di attivare un volume di investimenti di circa 1,2 miliardi di euro –:
quali siano le cause del ritardo nella stipula dei contratti istituzionali di sviluppo o degli accordi di programma quadro, atteso che le due delibere Cipe nn. 62 del 2011 e 78 del 2011, e successive modifiche, risultavano da tempo perfezionate anche con il previsto parere della Corte dei conti e in quali tempi si procederà alla stipula dei contratti istituzionali di sviluppo o degli accordi di programma quadro, al fine di far partire concretamente le opere e dare un impulso molto importante all'economia del Mezzogiorno.
(3-02352)
(19 giugno 2012)
GRANATA e MURO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il comune di Arzano già nel 2008 è stato colpito da un decreto di scioglimento per condizionamento camorristico;
dal 2010 vi è una nuova amministrazione che sta adottando dei provvedimenti che meritano controllo ed approfondimento:
il sindaco, dott. Giuseppe Antonio Fuschino, il 14 marzo 2012 ha dato parere favorevole ad una proposta di edilizia residenziale sociale ad opera di una cooperativa denominata Mi.Ru. per la realizzazione di 150 appartamenti su un suolo di trentacinquemila metri quadrati, in palese contraddizione con le reali esigenze del territorio in quanto dall'elaborazione del piano regolatore generale, peraltro bocciato, Arzano conta un esubero di circa 7.000 vani, come da interrogazione all'assessore regionale del consigliere regionale Luciano Schifone, con prot.gen. 2011.0031736/A del 24 novembre 2011:
da fonti di stampa risulterebbe che dietro a questa cooperativa, proponente il progetto, vi sia il clan dei casalesi che ne sarebbe il finanziatore occulto e che vi sarebbero legami tra alcuni componenti della cooperativa, come Michele Russo, noto imprenditore di San Cipriano di Aversa, e il boss Michele Zagaria, anche se di recente il citato presidente della cooperativa è stato sostituito con Enzo Marrazzo;
si evidenzia che il dirigente, l'ingegner Aldo Grimaldi, nel consiglio comunale del febbraio 2011 forniva una relazione contro il progetto, ma successivamente il dirigente comunale palesava che forse poteva esserci la possibilità della realizzazione del progetto se il comune avesse aumentato i propri standard e, infine, il 14 marzo 2012 il sindaco esprimeva parere positivo, senza peraltro adempiere a tutte le procedure;
per quanto concerne l'affidamento della gestione dei servizi di igiene urbana, risulta agli atti la delibera in cui si approva un capitolato di appalto per poi revocarlo dopo due mesi per le tante illegittimità presenti, deliberando una terza proroga all'attuale ditta con un incremento del 100 per cento delle spettanze come da capitolato;
la ditta beneficiaria della proroga, denominata Ecologia Falzarano, ha subito varie contestazioni dagli stessi dipendenti, in quanto manchevole nella gestione basilare, come la mancanza di automezzi come da capitolato, del capo vestiario, la totale mancanza igienico-sanitario dei locali, un deposito parzialmente sequestrato dall'azienda sanitaria locale di competenza per aver accantonato dei rifiuti speciali all'interno del deposito, la mancanza dei versamenti del trattamento di fine rapporto agli enti preposti e la mancanza dei versamenti alle finanziarie per prestiti accesi dai dipendenti anche se dalla busta paga erano sottratte le varie somme, circostanze queste a conoscenza del sindaco per le segnalazioni degli stessi dipendenti;
infine, la riscossione della tarsu affidata alla società SO.GE.R.T., società già citata nel decreto di scioglimento, affidamento questo, che come si legge nella relazione del collegio dei revisori dei conti, protocollo 10859 del 15 maggio 2012, avvenuto senza il rispetto di quanto previsto dalle norme di legge, che prevedono la possibilità di proroga entro i termini previsti, senza alcuna procedura di evidenza pubblica per le sole convenzioni già in essere; nel caso del comune di Arzano il contratto con la SO.GE.R.T. era cessato nel 2007 e, pertanto, il nuovo affidamento non si configura quale proroga di contratto;
a ciò deve aggiungersi che in due anni di amministrazione il sindaco ha nominato circa 15 assessori, ha visto dimissionari anche alcuni dirigenti di nomina sindacale, tanto da nominare anche se provvisoriamente, ma già da tre mesi, dirigente all'urbanistica il ragioniere capo, ha modificato la pianta organica, approvata solo qualche mese prima, per poter affidare al dirigente della polizia municipale il settore ambiente, ritornando così, a parere degli interroganti, all'anomalia che il controllato e il controllore sono la stessa persona;
si sono dimessi, senza che ne siano stati resi noti i motivi, due assessori con delega alla legalità, si è dimesso l'assessore al bilancio venti giorni prima dell'approvazione del bilancio di previsione in data 10 giugno 2011, con una lettera che evidenzia la manipolazione e la strumentalizzazione subita –:
se il Ministro interrogato intenda disporre accertamenti per verificare se sussistano dei condizionamenti della criminalità organizzata nell'amministrazione comunale di Arzano, traendone nel caso le doverose conseguenze. (3-02353)
(19 giugno 2012)