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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione X
3.
Martedì 31 gennaio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Dal Lago Manuela, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE CARATTERISTICHE ATTUALI DELLO SVILUPPO DEL SISTEMA INDUSTRIALE E IL RUOLO DELLE IMPRESE PARTECIPATE DALLO STATO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL SETTORE ENERGETICO

Audizione di rappresentanti di Cassa depositi e prestiti e SACE:

Dal Lago Manuela, Presidente ... 2 3 6 7 10 12 13
Froner Laura, Presidente ... 16
Bassanini Franco, Presidente di Cassa depositi e prestiti ... 2 3 8 9
Castellano Alessandro, Amministratore delegato di SACE ... 10 13 15
Formisano Anna Teresa, (UdCpTP) ... 12
Gorno Tempini Giovanni, Amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti ... 3 7 9
Mancini Rodolfo, Direttore affari legali e generali di SACE ... 15
Torazzi Alberto (LNP) ... 6
Vico Ludovico (PD) ... 6 12 15 16
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE X
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 31 gennaio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MANUELA DAL LAGO

La seduta comincia alle 11,10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Cassa depositi e prestiti e SACE.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo sviluppo del sistema industriale e il ruolo delle imprese partecipate dallo Stato, con particolare riferimento al settore energetico, l'audizione di rappresentanti di Cassa depositi e prestiti e SACE.
Per Cassa depositi e prestiti sono con noi il professor Franco Bassanini e il dottor Giovanni Gorno Tempini, che ringraziamo per la loro presenza.
Tornando ai nostri ospiti, vi chiederemmo intanto se avete documenti da lasciare agli atti della Commissione e poi di svolgere possibilmente una relazione sintetica, in modo da poter lasciare spazio anche ai parlamentari che intendano formulare dei quesiti o svolgere osservazioni.
Do quindi la parola i nostri ospiti per lo svolgimento della relazione.

FRANCO BASSANINI, Presidente di Cassa depositi e prestiti. Grazie, signor presidente. Noi abbiamo una relazione piuttosto dettagliata, che invieremo agli atti della Commissione, magari dopo avervi apportato alcune correzioni. Riteniamo giusto, infatti, che la Commissione abbia tutte le informazioni di dettaglio che noi riteniamo importanti per il suo lavoro.
Oggi svolgeremo un'esposizione sintetica, che vi porgerà, come è giusto, l'amministratore delegato, il dottor Giovanni Gorno Tempini, che è al mio fianco. Io vorrei soltanto sottolineare, prima di passarvi immediatamente la parola, che la Cassa depositi e prestiti, che i parlamentari presenti conoscono, ha subìto un'evoluzione molto consistente negli ultimi anni.
Per oltre centocinquant'anni la Cassa depositi e prestiti è stata un'istituzione pubblica e per molti di tali anni addirittura un'amministrazione dello Stato, il cui compito era raccogliere tramite il sistema postale il risparmio postale delle famiglie, un risparmio postale molto diffuso - sono 12 milioni le famiglie italiane che hanno strumenti del risparmio postale, siano essi libretti o buoni fruttiferi postali - e utilizzarlo per erogare prestiti alle amministrazioni pubbliche, prevalentemente ma non solo alle amministrazioni locali, per investimenti, rivolti principalmente a opere pubbliche.
Le risorse che risultavano in eccesso venivano depositate in un conto corrente di tesoreria e concorrevano al finanziamento della Tesoreria. Si trattava di un finanziamento della Tesoreria che non richiedeva emissione di titoli di debito sovrano.
Dal 2003, su proposta del Governo, ma anche per volontà del Parlamento, la Cassa depositi e prestiti è stata trasformata


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in una società per azioni, come, peraltro, lo sono già le sue consorelle tedesca e francese, ed è cominciata un'evoluzione che la sta portando sempre più ad assomigliare a queste importanti istituzioni finanziarie dei Paesi che ho citato.
Nell'azionariato, accanto allo Stato, che mantiene il 70 per cento, sono entrate 66 fondazioni di origine bancaria, che sono azioniste di minoranza per il 30 per cento.
Eurostat ha riconosciuto che la Cassa è al di fuori del perimetro della pubblica amministrazione e, quindi, è un soggetto privato, ancorché partecipato dallo Stato, come ce ne sono diversi altri. Il risparmio postale come tale, a questo punto, non rientra più nel debito pubblico, mentre ovviamente vi rientrano gli impieghi, se sono effettuati sotto forma di prestiti alle amministrazioni pubbliche.
Rientrano nel debito pubblico poi i mutui alle amministrazioni pubbliche, perché sono indebitamento delle pubbliche amministrazioni, statali o locali.

PRESIDENTE. Molto spesso adesso le amministrazioni pubbliche ricorrono direttamente alle banche locali.

FRANCO BASSANINI, Presidente di Cassa depositi e prestiti. Ricorrono alle banche locali, ma in misura negli ultimi tempi molto ridotta, ragion per cui la Cassa finisce per avere, in termini di flussi, più del 75 per cento del mercato del finanziamento alle amministrazioni pubbliche.
Rientra nel debito pubblico anche il nostro conto corrente di Tesoreria, perché considerato un prestito allo Stato. Non rientrano nel debito pubblico, invece, i finanziamenti che eroghiamo direttamente alle imprese o per finanziare infrastrutture o per sostenere l'economia, perché sono soggetti privati.
Dal punto di vista di Eurostat, perciò, la Cassa è una società privata, ancorché partecipata dallo Stato, che raccoglie il risparmio privato e lo presta, in quel caso, a soggetti privati. Ciò consente un canale di finanziamento che non va ad appesantire il debito pubblico.
Quest'operazione avviene in altri grandi Paesi, dalla Francia alla Germania, che sono gli esempi più notevoli. Ricordo, però, che, nel caso della Germania, KfW non solo è partecipata dallo Stato e da enti pubblici, ossia da Stato e Länder per il 100 per cento, a differenza di noi che abbiamo il 70 per cento, ma ha anche la garanzia totale dello Stato su tutte le sue obbligazioni, per esempio sui bond che emette sui mercati finanziari.
Il riconoscimento Eurostat non è un favore al nostro Paese, dunque, perché, al contrario, noi abbiamo alcune caratteristiche che, dal punto di vista delle regole, ci rendono più riconoscibili come soggetto privato a differenza delle istituzioni dei due grandi altri Paesi europei, Germania e Francia.
Mi fermo qui e lascio all'amministratore delegato il compito di riferirvi in sintesi come si è evoluta l'ormai complessa missione della Cassa depositi e prestiti.

GIOVANNI GORNO TEMPINI, Amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti. Buongiorno. La mia relazione di stamattina verterà, a completamento di quanto ha già detto in proposito il presidente, sull'attività generale della Cassa. Spenderò in proposito ancora poche parole, per rispettare la richiesta di sintesi da parte della presidente della Commissione, per poi entrare più specificatamente nel merito delle richieste dell'indagine, cioè il ruolo del Fondo strategico e le attività che la Cassa svolge nel settore dell'energia.
Per ritornare al quadro generale e completare quanto ha riferito il professor Bassanini, la collocazione della Cassa al di fuori del perimetro della pubblica amministrazione, oltre che dall'Eurostat, arriva anche da un preciso riconoscimento della Banca centrale europea, che dà alla Cassa la qualifica di istituzione finanziaria monetaria che si basa su due princìpi.
Il primo è che la Cassa opera come market unit, in un contesto nel quale vigono le regole di mercato, sempre di più anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, ancorché con alcuni distinguo.
Il secondo elemento è che la garanzia che protegge il risparmio postale è considerata


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come una garanzia di ultima istanza e, quindi, una garanzia di improbabile escussione.
Questi sono i due elementi che fanno sì che la Cassa abbia il riconoscimento che ho citato e che, di conseguenza, essa sia fuori dal perimetro della pubblica amministrazione.
Sottolineiamo questo aspetto, ribadendo quanto appena precisato anche da parte del presidente, perché, al di là di considerazioni di politica economica generale, che non spetta certamente a noi svolgere, è evidente che una possibile riclassificazione della Cassa nel perimetro della pubblica amministrazione avrebbe effetti assai negativi per quanto riguarda i saldi del debito pubblico italiano, con tutto ciò che ne consegue.
La Cassa, sempre per rimanere sulla descrizione generale e concludere la prima parte della trattazione, compie fondamentalmente tre attività.
La prima è quella tradizionale, ossia il finanziamento delle amministrazioni locali e della pubblica amministrazione in generale per quanto riguarda genericamente investimenti in infrastrutture - le tipologie più rilevanti sono i trasporti pubblici locali, i servizi locali e l'edilizia, tipiche attività infrastrutturali che poi si suddividono fra municipalità, province e regioni - con componenti importanti che riguardano anche le gare a carico dello Stato sulle grandi opere infrastrutturali. Questa era l'attività che ha caratterizzato gran parte della vita della Cassa fino alla trasformazione in Spa del 2003.
L'evoluzione della Cassa ha seguito questa radice, nel senso che, finanziando la Cassa infrastrutture, è stato naturale porsi il tema del perché non si possa anche finanziare le infrastrutture direttamente, senza essere mediata dal ruolo degli organi di governo locale. Con un dato avviamento, dunque, la Cassa ha cominciato a occuparsi anche di queste tematiche, assumendo rischi da un punto di vista dell'attività creditizia diversi da quelli che erano i rischi originari, che erano fondamentalmente quelli della pubblica amministrazione.
Finanziare direttamente un'infrastruttura significa intervenire in project financing - l'esempio più significativo nel recente passato è stata la BreBeMi, la più grande opera finanziata in project financing in Italia - ma anche finanziare aziende che, a loro volta, realizzano infrastrutture, per esempio le grandi municipalizzate, a partire da Hera, A2A e Iren.
Vi è poi una terza attività che la Cassa oggi svolge. Sempre seguendo uno sviluppo lineare del pensiero, ci si è chiesti, dal momento che essa si occupa di rischi che non sono solo quelli della pubblica amministrazione, ma che hanno più a che fare con rischi specifici aziendali, perché non si potesse fare in modo che si occupasse anche della tematica più generale dello sviluppo dell'economia e, quindi, favorire il credito alle imprese?
Il modo che si è scelto per sviluppare questo terzo filone di attività è mutuato da quello che avviene fra le altre consorelle europee a cui si faceva riferimento prima, non solo la KfW tedesca, ma anche la BEI. La Cassa finanzia, cioè, le banche con convenzioni specifiche che le obbligano, con una rendicontazione regolare, a dimostrare che i finanziamenti da noi rivolti agli istituti bancari vengono usati per specifiche attività.
Perché lo facciamo in modo indiretto? Molto banalmente, perché la Cassa ha una struttura di personale che oggi conta meno di 500 persone, il che renderebbe impossibile un'attività in presa diretta sulle imprese, che, peraltro, sarebbe anche in diretta concorrenza con il sistema bancario e cozzerebbe anche con il regime di vigilanza speciale di cui la Cassa gode.
Questo punto è importante, perché la Cassa è vigilata dalla Banca d'Italia, ancorché secondo un regime particolare. Per darvi un termine di paragone, il bilancio della Cassa alla fine del 2011 sarà di circa 260 miliardi e, come ricordavo, noi siamo circa 500 persone, mentre il bilancio della KfW è di oltre 500 miliardi, ma stiamo parlando di 6 mila persone. Come ordine di grandezza, questo spiega anche il modo in cui operiamo.


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Nell'ambito di ciò che la Cassa fa c'è stata un'evoluzione degli strumenti, perché tradizionalmente la Cassa è sempre stata finanziatrice con strumenti tipici del credito, quali mutui di scopo e finanziamenti. Nella recente evoluzione della Cassa si è ritenuto che fosse importante aggiungere, con la prudenza che è dovuta e che è assolutamente riconosciuta da tutti noi che lavoriamo all'interno per la natura stessa del risparmio postale, una componente di rischio azionario. La Cassa partecipa, dunque, non solo come finanziatrice, ma anche come investitrice in diverse aree.
Le aree di investimento sono quelle tipiche che citavo prima, ossia le infrastrutture e lo sviluppo economico. Nelle infrastrutture noi partecipiamo con capitali di rischio a una serie di fondi. Tale scelta è stata compiuta proprio per garantire il massimo della professionalità da parte di Cassa depositi e prestiti. Si tratta di fondi dedicati all'Italia per le infrastrutture, come per esempio F2I, che fanno parte di sforzi delle Casse europee, quali Marguerite e InfraMed. Questi ultimi hanno un obiettivo geografico più ampio, nell'un caso l'Europa dei 27 e nell'altro la parte del Mediterraneo, e riguardano sempre il settore delle infrastrutture.
Per quanto riguarda, invece, la terza macroarea di attività della Cassa, quella che genericamente noi definiamo di sviluppo economico, gli investimenti in equity più rilevanti sono fondamentalmente tre.
Il primo è quello che si chiama Fondo italiano di investimento, un fondo a cui la Cassa ha partecipato con un ruolo importante insieme ai più importanti istituti di credito italiani per investire nel capitale delle piccole e medie imprese.
Il secondo è il neo-nato, su cui poi mi soffermerò più a lungo, Fondo strategico italiano che, da un dato punto di vista, è il fratello maggiore del Fondo italiano di investimento.
La terza area, che pure è molto rilevante, è quella del social housing, dove la Cassa, attraverso una sua SGR, è stata promotrice della più importante iniziativa oggi in Italia sul social housing, la cui definizione direi è autoesplicativa. Sarò poi eventualmente a disposizione per rispondere a eventuali domande in merito.
Inquadrata l'attività di Cassa in generale, entro più specificatamente e più rapidamente nel secondo tema, il ruolo della Cassa in base alla legge n. 75 del 2011, cioè la legge istitutrice del Fondo strategico.
La legge stabilisce che l'attenzione del Fondo strategico deve essere in primis nei confronti di otto settori strategici, che sono la difesa, la sicurezza, i trasporti, le comunicazioni e le energie, le assicurazioni e l'intermediazione finanziaria, la ricerca e l'innovazione ad alto contenuto tecnologico, i pubblici servizi e le infrastrutture.
La citata legge stabilisce inoltre che possono essere considerate comunque di interesse strategico aziende che abbiano un fatturato e un numero di personale al di sopra di un determinato livello. Il fatturato è di 250 milioni di euro, che è esattamente il limite superiore del target di investimento del Fondo italiano.
Quali sono i criteri che il Fondo strategico usa nell'analisi dei possibili investimenti? Ricordo che il Fondo strategico ha iniziato la sua attività a ottobre 2011 e che sta portando a termine la sua fase di start-up. Ragionevolmente, la fase di investimento inizierà nel corso dei prossimi mesi.
Il Fondo si occupa di aziende che vanno bene, il che è in linea con il Fondo italiano di investimento e con i criteri di prudenza dettati dall'utilizzo del risparmio postale, e che hanno prospettive di crescita. Ancorché la legge non lo preveda, ciò significa che noi cercheremo fondamentalmente di usare il capitale, per quanto non esclusivamente come nuovo capitale per nuovi investimenti, ma con l'idea di assumere posizioni prevalentemente di minoranza e di agire come azionista partecipe della vita dell'azienda, ma con un imprenditore che abbia un progetto e un'idea di sviluppo a cui il Fondo può contribuire.
Le aziende in cui è possibile investire in Italia, aziende che abbiano più di 250 milioni di euro di fatturato sono poco più di 700. Senza una particolare attività di


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marketing, in questi primi mesi di attività sono venute a trovarci più di 250 aziende. Se questo è un indicatore - e per noi lo è - di un interesse, probabilmente è anche legato al fatto che la volatilità e l'incertezza del mercato borsistico di questi tempi rende difficile per un imprenditore guardare alla Borsa come a un fornitore di capitale di rischio per nuove imprese.
Che cosa caratterizza il Fondo strategico rispetto ad altri operatori del settore? Noi ci consideriamo un soggetto che opera con finalità non speculative, nel senso che abbiamo un orizzonte temporale lungo, con l'idea di accompagnare l'imprenditore per un periodo della vita dell'azienda, che permetta idealmente la realizzazione del progetto nel quale si è deciso di coinvestire. Inoltre, prevediamo un ritorno sul capitale che sia considerato equo, anche questo in coerenza con ciò che noi dobbiamo al risparmio postale, ma senza avere ritorni considerati eccessivamente alti, circostanza che ha caratterizzato l'industria del private equity in passato.
Questo è, a grandi linee - sono stato ovviamente sintetico per ragioni di tempo - la sintesi relativa al secondo tema, ossia che cosa fa il Fondo strategico.
Il terzo tema che intendo affrontare riguarda l'attività che svolge la Cassa nel settore energetico. Noi abbiamo alcune partecipazioni strategiche, di cui le più importanti e visibili sono Terna ed ENI, sulle quali francamente non credo che sia necessario soffermarsi oltre. Abbiamo recentemente concluso l'acquisizione dall'ENI di un gasdotto importante che ENI aveva dovuto cedere per questioni di Antitrust europea, gasdotto dal quale passa il 30 per cento delle forniture del gas italiane e che si chiama Tag.
Inoltre, abbiamo alcuni investimenti indiretti in fondi che si occupano di energia. Uno è l'F2I, che avevo già menzionato, che ha fra i suoi oggetti anche l'energia e detiene partecipazioni soprattutto nello stoccaggio e nella trasmissione del gas.
Un'altra attività di investimento che la Cassa compie è, insieme alla Commissione europea, in un nuovo fondo che si occupa di efficientamento energetico.
Da ultimo, vi descrivo come la Cassa opera a supporto delle piccole e medie imprese. Ho citato ciò che la Cassa compie dal punto di vista dell'investimento azionario, cioè il ruolo che essa svolge a supporto del capitale di rischio delle imprese.
Dal punto di vista del debito, invece, secondo la strumentazione cui ho accennato secondo le modalità di finanziamento della banca europea per gli investimenti (BEI), la Cassa oggi mette a disposizione delle piccole e medie imprese un plafond complessivo di 18 miliardi di euro che oggi, noi reputiamo, ha aiutato circa 40 mila imprese ad avere credito in condizioni di mercato che registrano le difficoltà che tutti ormai conoscono. Aiutiamo anche le imprese dal lato dell'export attraverso una specifica convenzione stipulata con l'ABI e la SACE.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ALBERTO TORAZZI. Vorrei alcune informazioni in più sul progetto che aveva sviluppato il precedente Ministro dell'economia e delle finanze Giulio Tremonti riguardo alla protezione di aziende italiane strategiche a rischio di scalata.
Noi avevamo anche presentato la documentazione, per esempio, sul caso della Prysmian, che, controllata al 28 per cento dal Fondo di investimento, è un'azienda ad alta tecnologia che favorisce lo sviluppo del nostro Paese, ma che in qualsiasi momento, come è successo per la Parmalat, potrebbe rapidamente essere preda di concorrenti stranieri.
Vorrei capire a che punto è questo progetto, che attività avete intrapreso, quali sono i meccanismi con i quali selezionate le imprese quotate in Borsa che hanno interesse da un punto di vista tecnologico e che sono vulnerabili. Grazie.

LUDOVICO VICO. Sarà certamente molto interessante avere la relazione scritta della Cassa depositi e prestiti sull'attività della svolta dalla società nel 2011.


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Rivolgendomi al professor Bassanini e al dottor Gorno Tempini, ricordo che quando ero consigliere comunale nel 1980, in un paese pugliese medio-grande, i problemi erano questi: si andava alla Cassa depositi e prestiti per costruire la scuola o la strada, ma ciò avveniva e avviene per taluni aspetti tuttora. Per fortuna c'era la Cassa depositi e prestiti, ma non ci espandevamo molto.
Vorrei ora porre alcune domande precise. In relazione alla struttura attuale della Cassa depositi e prestiti e al suo carattere espansivo in una fase di crisi, vorrei capire in che misura - questo è oggetto della discussione attuale e anche di dichiarazioni sia del Presidente del Consiglio in carica sia del ministro dell'economia precedente - può essere uno strumento importante per la riduzione del debito pubblico, nell'ambito del ruolo istituzionale che le viene riconosciuto.
Passando alla seconda domanda, il vostro Piano industriale è sempre in progress o siamo a un punto di definizione più avanzato? Nella sua relazione, anche se in sintesi, il dottor Gorno Tempini ci ha fornito un quadro abbastanza noto per tanti aspetti; ritengo quindi che sia necessario qualche ulteriore aggiornamento. Se penso al risparmio che si raccoglie, può essere utilizzato per avere tassi più bassi dei BTP? Vi chiedo un'opinione al riguardo sia in senso positivo che negativo. Inoltre, il Fondo di garanzia per gli enti locali si conferma uno strumento prezioso, mentre quello per le imprese ha avuto qualche difficoltà operativa. In che misura il Fondo di garanzia per le imprese è decisivo contro la stretta creditizia, con o senza le banche, e in che misura può metterci al riparo nella situazione della stretta creditizia?
In relazione al rapporto tra Cassa depositi e prestiti e SACE, che ascolteremo successivamente, SACE può considerarsi una sorta di doppione o la sua attività si può integrare meglio con quella della Cassa? Mi riferisco ad alcune operazioni di delocalizzazione per quanto riguarda il problema SACE, come FIAT Serbia, per citarne una. Potrei fare anche altri esempi al riguardo.
Infine, vengo agli aspetti della partecipazione ad altri fondi. Il dottor Gorno Tempini ci ha parlato di F2I e del Fondo italiano strategico. Il gasdotto TAG era un obbligo: ENI aveva un obbligo e Cassa depositi e prestiti ha risolto il problema, se posso esporre la questione in questo modo.
Il problema di Terna, Fintecna ed ENI è molto interessante e mi porta all'ultima domanda. Chiedo scusa, se ho parlato tanto, ma con Cassa depositi e prestiti la politica industriale italiana, che non ha una buona bussola, o meglio, che non ha ancora i punti cardinali fondamentali per usare la bussola, potrebbe esserci un terreno più ravvicinato? I problemi della crescita, comunque sia, non possono prescindere dagli indirizzi di politica industriale.
Infine, Cassa depositi e prestiti e Basilea 3 vanno d'accordo o ci sono piuttosto problemi di compatibilità? Se pongono problemi, non sono forse problemi del resto del Paese, se ho capito la vostra posizione?

PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Giovanni Gorno Tempini e al professor Franco Bassanini per la replica.

GIOVANNI GORNO TEMPINI, Amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti. Cercherò di essere altrettanto sintetico, ancorché i temi affrontati richiederebbero ben altro tempo a disposizione.
La prima domanda riguarda le aziende di interesse strategico. La risposta è stata data con il Fondo strategico. Il Fondo strategico è nato secondo princìpi che garantiscano la sua aderenza a posizioni di carattere comunitario e, per quanto riguarda la posizione di Cassa depositi e prestiti, come operatore di mercato.
Il Fondo strategico non può avere come interesse esplicito quello di favorire il mantenimento dell'italianità di un'impresa, ma è evidente che, investendo in aziende italiane, queste ultime possano contare su uno strumento in più che permetta loro di crescere senza dover


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guardare ad altre operazioni al di fuori dei confini nazionali.
Il Fondo strategico è operativo e, come ricordavo, sta analizzando già ora alcune opportunità di investimento nelle più importanti aziende italiane.
Lascio al presidente il compito di rispondere ad alcune domande e riservo per me solo alcune di quelle poste. È stato chiesto un approfondimento relativo al Piano industriale della Cassa depositi e prestiti. Il Piano industriale è stato presentato all'inizio del 2011 e prevedeva più di 40 miliardi di nuove risorse per il Paese, i quali corrispondono a circa il 2,5 per cento del prodotto interno lordo e che noi pensiamo dedicati alla crescita.
L'andamento del 2011 ci rende ottimisti sul fatto che i target che abbiamo fissato per il triennio saranno raggiunti. Il Piano è in progress, stiamo attuando quanto abbiamo dichiarato e saremo ben lieti di ritornare poi, se il sarà il caso, a presentarlo più specificatamente.
Il Fondo di garanzia non è oggetto di attenzione della Cassa perché è a fondo perduto. Essendo un'attività a fondo perduto, non può essere, per definizione, un'attività che svolge Cassa depositi e prestiti, proprio per il legame che la Cassa ha con il risparmio postale, che non è un risparmio a fondo perduto, in quanto il risparmiatore postale vuole un rendimento e vuole che i quattrini gli tornino indietro.
Questo punto mi permette di rispondere anche alla domanda sul motivo per cui i tassi del risparmio postale sono più bassi. Il risparmio postale è ovviamente molto legato al tasso dei titoli di Stato, se non altro per l'ovvia considerazione che c'è la garanzia dello Stato. I suoi titoli sono diversi e strutturalmente più bassi dei titoli di Stato per una ragione, cioè che il risparmiatore postale può richiedere il rimborso del proprio strumento alla pari ogni giorno.
Anche investendo in un buono che abbia una scadenza decennale o più lunga, l'attività della Cassa garantisce che ogni giorno il risparmiatore possa ottenere cento. Ciò che cambia è il livello del tasso di interesse, che è proporzionale alla durata del mantenimento dello strumento nel portafoglio. Il tasso di interesse è una funzione di mercato che dipende da come va il mercato dei BTP ed è più basso dei BTP per la ragione che citavo.
Quanto alla questione Cassa e Basilea 3, ho tenuto a sottolineare il legame della vigilanza, perché la Cassa è vigilata secondo un regime speciale dalla Banca d'Italia. Noi non siamo esplicitamente soggetti a Basilea 3, così come non lo è la Caisse des dépôts in Francia e come non lo è KfW in Germania, ma tendiamo a operare secondo un principio di presunzione come se lo fossimo. In primo luogo, lo facciamo perché, con tutti i limiti di Basilea 3, si tratta di uno strumento di sana e prudente gestione. La Cassa opera in base al proprio patrimonio e prende rischi in base al proprio patrimonio, a tutela del risparmio postale e del patrimonio che ci viene dato dagli azionisti.
C'è poi anche una ragione in più per cui lo facciamo, ossia perché non è detto che un domani non possa cambiare il regime di vigilanza e, se ciò dovesse succedere, preferiamo essere pronti piuttosto che troppo lontani dai criteri di Basilea.
Sulle altre domande, tra cui il ruolo della Cassa per ridurre il debito, lascio al Presidente l'onere di rispondere.

FRANCO BASSANINI, Presidente di Cassa depositi e prestiti. Risponderò brevissimamente, nel giro di cinque minuti. Potrò sembrare un po' reticente forse, ma è solo per ragioni di tempo.
Innanzitutto svolgo un'osservazione, perché credo che l'ultima domanda dell'onorevole Vico riguardasse anche un altro profilo. Il dottor Gorno Tempini ha risposto su noi e Basilea 3, però è anche vero che la Cassa da oltre due anni, insieme con la BEI, KfW e Caisse des dépôts, è unita in una sorta di federazione degli investitori di lungo termine, di cui fanno parte, peraltro, anche la Cina Development Bank e la Russian Development Bank.
Noi stiamo sostenendo da molto tempo che le regole macroprudenziali di vigilanza dovrebbero essere opportunamente differenziate per gli investitori di lungo termine,


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tra cui non ci sono soltanto le grandi istituzioni finanziarie partecipate dagli Stati, come quelle che ho citato sopra, ma anche i fondi pensione, le assicurazioni vita e via elencando.
Abbiamo svolto un'azione di lobby politico-culturale, nel senso più elevato del termine, tutti insieme per cercare di convincere i regolatori internazionali ed europei che ci sono regole che vanno bene per le banche commerciali e per le banche d'affari, ma che occorrono regole adatte anche al modello di business di istituzioni che possono investire nel lungo termine in investimenti che hanno molta importanza, perché hanno esternalità positive molto consistenti per la crescita e per l'economia dei diversi Paesi.
Finora i risultati sono stati modesti. Tuttavia, noi continuiamo in questo impegno, che riteniamo sia fondamentale per il Paese e non per noi. Come ha affermato Gorno Tempini, noi siamo sostanzialmente in regola con Basilea 3.

GIOVANNI GORNO TEMPINI, Amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti. Ho dimenticato di fare una precisazione. Ricordo che in Parlamento opera anche la Commissione bicamerale di vigilanza sulla Cassa che si riunisce periodicamente e a cui noi riferiamo.

FRANCO BASSANINI, Presidente di Cassa depositi e prestiti. Per rispondere alle altre domande, noi pensiamo che l'evoluzione delle missioni della Cassa sia un problema che riguarda, da un lato, i nostri regolatori, Governo e Parlamento e, dall'altro, i nostri azionisti. Noi ne siamo oggetto.
In questo momento, la missione che ci è stata affidata è quella di sostenere l'economia e l'infrastrutturazione del Paese. Il quadro che l'amministratore delegato vi ha fornito e che sarà ulteriormente arricchito dalla relazione scritta spiega che cosa stiamo facendo in questo senso. L'azione si è moltiplicata molto e anche le dimensioni in termini di attivi e, quindi, di risorse della Cassa si sono moltiplicate molto, prevalentemente per la crescita del risparmio postale, però queste sono oggi le nostre missioni.
Se ci sarà affidato, per decisioni che non ci competono, anche il compito di contribuire alla riduzione del debito pubblico, se regolatori e azionisti lo decidono, saremo pronti a farlo. Le condizioni che devono essere molto chiare sono, in primo luogo, di non mettere in discussione la classificazione della Cassa al di fuori del consolidato del debito pubblico. Ciò significherebbe non ridurre il debito, ma automaticamente aumentarlo di alcune decine di miliardi. Sarebbe un boomerang.
La seconda condizione è ovviamente quella di non mettere a rischio il risparmio postale e la terza quella di non pregiudicare la nostra funzione di sostegno all'infrastrutturazione del Paese e alla crescita economica, che in questo momento stiamo svolgendo, su cui accettiamo tutti i suggerimenti e le critiche, ma che pensiamo sia rilevante e importante, come avete sentito e come leggerete nella relazione.
Se ci sono operazioni di riduzione del debito pubblico che siano compatibili con queste condizioni, che sono, a nostro avviso, ovvie, noi siamo pronti a metterci a disposizione, ma le scelte non dipendono da noi. Lo stesso vale anche per tutte le ipotesi che avete citato. Le condizioni sono queste tre: non pregiudicare il risparmio postale, non pregiudicare la nostra classificazione fuori dal consolidato, perché ciò significherebbe aumentare il debito pubblico, e possibilmente tener conto del fatto che tale compito deve essere compatibile con il ruolo di sostegno alle infrastrutture e all'economia del Paese che stiamo svolgendo.
A questo punto, io mi fermerei, perché credo che la risposta fondamentale sia questa. È chiaro che il ruolo da riconoscere alla Cassa depositi e prestiti rientra in un ripensamento degli strumenti della politica industriale, che però sono più competenza vostra e del Governo che nostra. Noi siamo uno strumento, siamo esecutori, ci è stato dato questo ruolo e stiamo cercando di svolgerlo al meglio.
Naturalmente subire continui cambiamenti di missione ci ha impegnati al massimo. Noi abbiamo 500 persone, mentre


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i nostri partner europei sono dell'ordine di dieci o quindici volte le nostre dimensioni, come struttura di personale, pur realizzando, come attivi, la KfW il doppio di noi e Caisse des dépôts poco di più. Facciamo, dunque, il possibile per adempiere in maniera efficace alle missioni che Governo, Parlamento e azionisti ci affidano.

PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Bassanini e il dottor Gorno Tempini per il contributo offerto e per la documentazione che vorranno inviare.
Ringraziamo ora i rappresentanti di SACE per la presenza. La documentazione che vorranno eventualmente consegnare sarà distribuita a tutti i parlamentari. Chiedo ai nostri ospiti di essere sintetici per permettere ai parlamentari di porre successivamente le domande che riterranno opportune.
Do la parola al dottor Castellano, amministratore delegato di SACE.

ALESSANDRO CASTELLANO, Amministratore delegato di SACE. La documentazione che consegniamo agli atti della Commissione riassume brevemente sia il percorso giuridico, sia l'attuale operatività della SACE.
Il punto di snodo dell'attività dell'azienda è avvenuto nel 2004, perché da ente pubblico economico ex sezione dell'INA, la SACE è stata trasformata in società per azioni ed è controllata attualmente al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze.
A seguito della trasformazione in Spa ci sono stati conferiti crediti in bonis e non in bonis, che erano naturalmente parte di quello che era il trascorso della SACE, più il fondo di dotazione. Da quel giorno, ed è una questione che io puntualizzo, la SACE non ha ricevuto e non riceve più alcun tipo di contributo pubblico di nessuna natura. L'unica attività che abbiamo è che il capitale è detenuto dal Ministero dell'economia.
A seguito della trasformazione, anche in linea con i nostri principali concorrenti europei, sono stati effettuati alcuni altri interventi nelle finanziarie del 2005, 2006, 2008 e 2009 che hanno consentito all'azienda di operare come i principali concorrenti europei.
Un'altra considerazione che svolgo, perché anche questa è una questione che non molti conoscono, riguarda un deficit di competitività del nostro Paese, in quanto la nostra operatività sull'assicurazione del credito in termini di market share, cioè di quota di mercato, sulle nostre imprese è inferiore a quella dei nostri concorrenti, che sono, in particolare, la Francia con Eluer Hermes, che rientra in Allianz, una società italiana, e Coface, una società francese ex viscontea, che opera in Italia.
Al 2004 eravamo all'ultimo posto, ma abbiamo recuperato diverse posizioni e oggi siamo davanti all'Olanda e alla Spagna. Parliamo sempre di operatività in Italia su Italia, con una quota di mercato che è, però, inferiore a quella dei primi due concorrenti.
Vi riferisco alcuni principali dati economici, che non riprendo in dettaglio per sinteticità, ma che potrete leggere.
A pagina 4 della documentazione consegnata vedete che l'azienda offre alcuni prodotti che sono comunque in linea con quelli offerti dalla concorrenza oggi. In particolare, noi siamo nel settore creditizio, ragion per cui operiamo praticamente come una banca, ma non effettuiamo erogazione del credito. Tutta l'attività, che sia una fideiussione per la partecipazione ai lavori, una garanzia per un credito all'esportazione, un'assicurazione del credito per il fatturato di un'azienda o un project financing, comporta sempre per noi un rischio di controparte, cioè di mercato.
A pagina 5 vedete che il mondo è molto cambiato. Con la colorazione grigio scura sono indicati i Paesi dove noi non operiamo. Gli unici Paesi dove noi non operiamo sono quelli oggetto di sanzioni o dove non opera praticamente nessuno in termini commerciali, anche perché il Fondo monetario in questi Paesi, laddove opera, lo fa a termini concessionari, cioè


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di sussidio. I piccoli asterischi che vedete con il logo indicano la nostra rete estera in termini di assistenza alle imprese.
L'altro dato di chiarimento utile, secondo me, per le nostre attività è una notevole differenza tra quelle che erano le attività passate da quelle oggi presenti. Mentre in passato molti si ricordano la SACE come assicuratore di rischi politici, oggi in pratica le aziende vengono da noi perché vogliono, in particolare dopo il 2007, il mancato pagamento.
Come vedete, al 2010 la quota di rischio sovrano, ossia di rischio pubblico, presente sul nostro bilancio è meno del 20 per cento. La quota che noi oggi stanziamo con garanzie di altri Paesi è solo relativa ad alcune forniture della Finmeccanica nel settore militare, dove naturalmente i Governi degli altri Paesi offrono le garanzie.
I Governi dei Paesi occidentali hanno problemi di bilancio, ragion per cui non offrono più alcun tipo di garanzia, mentre i Paesi emergenti hanno il Fondo monetario e la Banca mondiale e, pertanto, a loro volta non hanno più alcuna intenzione né possibilità di dare garanzie di tipo sovrano in relazione a transazioni commerciali.
L'esposizione dei rischi è piuttosto ben diversificata per settore e per area geografica, ma comunque nelle nostre attività passate come nelle nostre attività presenti i due terzi della nostra esposizione a pagina 7 sono su Paesi cosiddetti emergenti, ossia Paesi lontani.
L'evoluzione del portafoglio rischi, che credo interessi alla Commissione, dal 2004, cioè dal momento in cui l'azienda si è dotata di normali strumenti di sviluppo commerciale, è passata da un'esposizione di 14,5 miliardi circa a un'esposizione di 32 miliardi, per quanto i macchinari e gli impianti e di 37 miliardi per i beni di consumo.
Ricordo un dato che credo sia interessante per capire le nostre attività. Quello che si muove nel mondo in termini di merci, beni di consumo o servizi è pagato a credito per l'80 per cento. Tutto ciò che riguarda i pagamenti che vengono effettuati nell'anno abitualmente tra i 90 e i 360 giorni viene a colpire beni di consumo, tutto ciò che, come macchinari semplici e di piccolo importo, passa a raffinerie, a impianti petrolchimici, a pipeline, a impianti elettrici o a navi e aeroplani va per un periodo di pagamento tra i dieci e i dodici anni.
Quanto agli utili, ho visto che la Commissione ha mandato una lettera che richiamava, credo non correttamente, se me lo consentite, alcune considerazioni sulle partecipate del Tesoro. È la prima volta che sono funzionario pubblico e lavoro sono nel settore pubblico e ho trovato non particolarmente buono e positivo che ci sia una situazione nella quale la stampa continua a richiamare il fatto che tutte le aziende pubbliche sono aziende in cui non si opera adeguatamente.
Questa è un'azienda, grazie soprattutto ai miei colleghi, che ha prodotto utili per circa 3,2 miliardi di euro in questi anni. Abbiamo distribuito dividendi per 2,1 miliardi e abbiamo restituito 3,5 miliardi di capitale nel 2007.
Per quanto riguarda ciò il ritorno dell'equity, credo che molti di voi sappiano che, in termini di ritorno per assicuratori e banche, il nostro mediamente è stato superiore al 5 per cento. L'anno scorso è stato del 7 per cento e, in generale, è vicino al 10. È un ritorno sul capitale che, con le attività che noi svolgiamo, è sicuramente superiore a quello ottenuto da intermediari creditizi e finanziari nel nostro Paese nel periodo.
Nell'ultima pagina abbiamo allegato un dato numero di operazioni, perché anche questo era un elemento che era stato percepito e che ancora oggi è percepito dal mercato in modo distorto. Noi abbiamo in questo momento 220 mila affidamenti. Di questi l'affidamento medio è di 100 mila euro. Naturalmente abbiamo anche affidamenti per l'ENI di un miliardo, però questo sfata l'altro credo, per cui la SACE era un'azienda che operava in particolare per le grandi e medie aziende.
In questi anni abbiamo completamente cambiato modello di business: abbiamo 220 mila affidamenti e, di conseguenza, altrettanti clienti. Si può sempre fare di


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più, si può sempre fare meglio, però ritengo che la nostra sia un'azienda che ha compiuto un percorso di risanamento, di ristrutturazione e di performance in termini numerici che non ha sicuramente da invidiare nulla ai nostri competitori o ai nostri concorrenti stranieri. Grazie.

PRESIDENTE. La ringrazio moltissimo anche per la completezza nella concisione e nella brevità della sua esposizione. Complimenti davvero. Credo che sia stato molto chiaro per ciò che ci ha riferito, nonostante il tempo sia stato molto relativo.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ANNA TERESA FORMISANO. Grazie, presidente. Ringrazio anche agli ospiti della SACE per essere venuti questa mattina, nonché per la mini-brochure, che credo sia molto utile per il nostro lavoro.
Vorrei porre due domande, svolgendo una premessa. Oltre a essere il capogruppo dell'UDCpTP in questa Commissione, sono anche componente della Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della quale fanno parte molti colleghi di questa Commissione, a tutela del made in Italy. Tale Commissione ha proposto per il momento alcune risoluzioni già approvate all'unanimità dall'Assemblea proprio a tutela dei nostri prodotti nel mondo e ha tenuto innumerevoli audizioni con i protagonisti del prodotto made in Italy, ma anche della tutela. Penso, per esempio, al procuratore Grasso, alla Simest, ai rappresentanti dell'ICE.
La prima domanda è qual sia il vostro rapporto con ICE e Simest, visto che l'ambito è comune. Ho letto anche il vostro slogan «Made in Italy forever» e presumo, dunque, che il vostro lavoro sia in raccordo stretto con Simest e ICE, atteso, però, che Simest e ICE in audizione da noi, sia in Commissione contraffazione, sia in questa Commissione, non hanno mai menzionato il rapporto con voi.
La seconda domanda è se voi siate a conoscenza della Commissione parlamentare istituita contro i fenomeni della contraffazione e, in caso positivo, perché non abbiate chiesto di venire in audizione, come hanno fatto un po' tutti.

LUDOVICO VICO. Personalmente sono dell'opinione che la SACE sia una società importante, anche se siamo in credito, dopo l'ultima audizione, di alcune ulteriori informazioni che avreste dovuto fornire alla Commissione. Lo cito solo per memoria, perché accade che nella vita ci si riveda!
La mission della SACE è chiara e importante ed è fuori discussione, però c'è un punto di carattere legislativo che va risolto. Mi riferisco esclusivamente all'articolo 1, comma 12, della legge n. 80 del 2005. I dirigenti della SACE, a partire dal dottor Castellano, hanno capito subito di che cosa stiamo parlando. Si tratta delle delocalizzazioni.
È opportuno chiarire la questione, anche se è competenza del legislatore, ed è utile che il contributo della SACE non sia, rispetto alla sua mission generale, assolutamente secondario.
Preciso questo punto non riferendomi alla significativa brochure che ci avete fornito, la cui sintesi è straordinaria anch'essa, ma portando come esempio, ai fini del chiarimento l'articolo 1, comma 12 del decreto-legge n. 35 del 2005 relativamente alla vicenda FIAT.
Nel 2004 fu data garanzia a SACE per una linea in Brasile, nel 2009 ci fu una joint venture quotata in India per 130 milioni, il 19 aprile 2011 avvenne la delocalizzazione in Serbia con garanzia di 230 milioni. L'ultima questione, più che le altre, faceva il paio con Termini Imerese.
Mi permetto di ricordare, pur sapendo che la questione dipende dal legislatore, che il passaggio dell'articolo 1, comma 12, stabilisce che non si possono applicare agevolazioni, garanzie e incentivi per le imprese che investono all'estero, se le stesse non prevedono il mantenimento nel territorio nazionale dell'attività di ricerca e di direzione commerciale, nonché di una parte sostanziale di attività produttiva.
Penso che per il legislatore, per la vostra mission, quella norma si dovrebbe


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adeguare alle dinamiche, ovviamente in sede legislativa, ma preliminarmente di risultato, della SACE. In verità, questo vale anche per Simest per taluni altri aspetti e per Cassa depositi e prestiti, che abbiamo appena audito.
Porto un esempio che nel contesto di alcuni minuti fa non ho sollevato. Nel momento in cui Cassa depositi e prestiti acquisisce impianti eolici in Belgio, nel Mare del Nord, li acquisisce con EDF, che contemporaneamente sta rilevando Edison. Sto facendo un esempio per sapere se la norma per voi è sufficientemente chiara. Io penso che ci sia un elemento di conflitto interpretativo, non di ordine industriale, e in tal senso mi chiedo se il vostro assenso non sarebbe secondario per un chiarimento, ovviamente di ordine legislativo.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

ALESSANDRO CASTELLANO, Amministratore delegato di SACE. La prima domanda riguarda, mi sembra di capire, il coordinamento con ICE e Simest, in particolare se abbiamo qualcosa da dire sulla contrattazione.
In relazione al rapporto con ICE e Simest dovremmo svolgere due considerazioni in più. L'ICE, a mio modo di vedere, è un'Agenzia o era un'Agenzia di promozione di quello che riguarda il made in Italy in generale, anche con ramificazioni di tipo turistico.
Io ho un peccato originale, perché vengo dalle banche, per tutta la mia vita ho lavorato anche nelle banche cattive, ragion per cui accetto critiche da questo punto di vista, però credo che ognuno debba svolgere il suo mestiere. Sono stato scelto perché ritengo che il Ministero dell'economia volesse un soggetto con il mio profilo, dopo anni in cui la SACE aveva segnato perdite molto rilevanti e la gestione della sottoscrizione dei rischi aveva accusato alcuni problemi.
Ritengo, dunque, che il mandato che abbiamo ricevuto dal Ministero dell'economia sia stato quello della sostenibilità economica dell'azienda, in quanto il Ministero dell'economia non aveva - credo che nel 2004 probabilmente la situazione era già migliore di oggi - nessuna possibilità di dare o di effettuare aumenti di capitale in azienda o di ripianare perdite che l'azienda avesse contratto.
Pertanto, nella gestione dell'azienda in questi anni è stato chiaro che il nostro modello è un modello di business in cui noi guadagniamo in larga parte dallo 0,5 al 2 per cento sulle polizze che emettiamo, ragion per cui, se emettiamo una polizza di 100 milioni, il massimo che guadagniamo è 2 milioni. Se sbagliamo un numero elevato di operazioni, dunque, andiamo immediatamente a gambe all'aria, se mi consentite l'espressione. Tale modello di business non ci consente di non valutare propriamente i rischi che sottoscriviamo. Svolta questa considerazione, le sinergie con l'ICE sono relativamente modeste o inesistenti da questo punto di vista.
Per quanto riguarda la Simest, ci sono due attività che la Simest svolge, un'attività di investimenti in capitale proprio - sono investimenti di capitale, mentre noi non effettuiamo attività di investimenti di capitale - e un servizio che definirei «pubblico», perché finanziato dallo Stato, che è quello sulla parte del contributo sui tassi di interesse.
In tali operazioni la banca che eroga il finanziamento presenta domanda, qualora il debitore voglia accedere a quel tipo di tasso, perché è il tasso fisso, e le nostre polizze hanno un finanziamento a tasso fisso.
Queste attività, però, corrono su binari paralleli, ognuna con specificità precise, ma che non hanno interrelazioni di tipo strategico sull'annualità o sulla quotidianità della loro attività.
Sulla contraffazione conosco, perché ho letto in merito e ne ho sentito parlare da parte di molti nostri clienti. In particolare, credo che ci sia stata recentemente - ero a Bruxelles per una riunione finanziaria - un'attività da parte dell'onorevole Tajani su questo tema e che ci siano altre attività sul tavolo a livello europeo per tutelare la contraffazione.


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Dal nostro punto di vista, però, quelle che si rivolgono a noi sono aziende che valutiamo in termini di rischio reputazionale. Il rischio reputazionale è quello di assistere aziende che possono contraffare altri marchi. Essendo, però, la maggior parte dei nostri clienti italiani, questo rischio, che è a noi conosciuto, è tutelato, a nostro avviso, dal fatto che non conduciamo business con aziende che hanno problematiche di questo tipo. Anche questo, però, è un problema, se mi si consente, molto esterno alla nostra attività.
Rispondendo, invece, al tema del made in Italy, che è molto delicato e su cui abbiamo avuto anche un'interpellanza parlamentare, se non ricordo male, alcuni mesi fa. Provo a illustrare ciò che noi facciamo e pensiamo e che tocca anche un po' la contraffazione.
Penso che sul tema del made in Italy oggi occorra svolgere alcune riflessioni, che devono essere svolte anche in senso lato. Il made in Italy ha significato molto per alcuni aspetti e molto meno per altri, perché è il brand quello che oggi viene individuato come la capacità del consumatore di selezionare un dato tipo di bene.
Vi porto alcuni esempi. Noi abbiamo tra i nostri primari clienti una società che si occupa di elettrodomestici ed è leader nel settore degli elettrodomestici. La produzione italiana rappresenta oggi il 20 per cento della sua produzione totale. La produzione di frigoriferi ed elettrodomestici di questa azienda, che è leader nel mercato, è in Turchia, in Russia e in India.
Chi costruisce frigoriferi e lavatrici mi riferisce che ognuno di questi mercati presenta alcune tipologie anche dimensionali, per esempio nei mercati asiatici , per la ristrettezza dei metri quadri in cui le persone sono costrette ad abitare non è conveniente costruire questo tipo di bene in tali Paesi. Lo stesso vale per un principale operatore di motorini o di vespe, che è un nostro grande cliente e che sta avendo tassi di crescita maggiori in due Paesi. Rispettivamente abbiamo finanziato le sue operazioni in India e in Vietnam. Lo stesso vale anche per una moltitudine di aziende che sono nostre clienti.
Il tema per noi di svolgere valutazioni scientifiche e oggettive sul grado di permanenza dell'occupazione italiana in relazione allo spostamento è un ragionamento anche dal punto di vista economico e scientifico molto complicato.
È chiaro che un'azienda elabora piani industriali che devono rispettare le regole di competitività della loro produzione. Come è stato affermato recentemente dalla cancelliera tedesca, il problema dell'Europa è quello di essere un continente competitivo per non rimanere un continente in cui si viene solo in vacanza.
Dal nostro punto di vista, il problema è quello del rischio e dell'azienda. Se un'azienda mantiene la propria capacità produttiva italiana, ma ha serie possibilità di entrare in difficoltà, ragion per cui potrebbe non ripagare la nostra garanzia e il nostro credito o vi potrebbe intervenire un sinistro, è chiaro che la nostra valutazione è negativa. Se, invece, è un'azienda che sta attuando una politica di delocalizzazione propria e non impropria, tale per cui questa politica mantiene gli stabilimenti, la proprietà e un po' di occupazione in Italia, ma sposta i centri produttivi, come Piano industriale, per aumentare la propria presenza all'estero, noi non possiamo fare commenti. Mi pare che la norma non preveda nemmeno che noi entriamo nel merito.
Dal punto di vista del legislatore si possono compiere altre operazioni che non ci competono relativamente all'utilizzo della cassa integrazione o di altri sussidi. Ricordo che le nostre operazioni sono operazioni al mercato. Noi non compiamo operazioni concessionarie.
Con il termine «concessionario» si indica chi eroga credito a termini che non sono di mercato e usufruisce di un sussidio. Le nostre operazioni sono operazioni al mercato. Se la FIAT, che è stata nominata, non trovasse sostegno da noi, potrebbe andare a chiederlo alla Svizzera, all'Austria o alla Francia. Il nostro è un mercato a livello europeo dove ormai il problema è solamente quello di ottenere le condizioni più competitive per il cliente.


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LUDOVICO VICO. Io avevo posto un altro interrogativo, non di quest'ordine. Il mio interrogativo, su cui, se vuole, può riservarsi di rispondere, riguarda l'articolo 1, comma 12, del decreto-legge n. 35 del 2005, su cui continuerò a proporre non solo interrogazioni e interpellanze, e anche la contraddizione di una sua eventuale norma non adeguata ad alcune valutazioni che il legislatore, su suggerimento anche della SACE, eventualmente potrebbe accogliere. Questa era la domanda fondamentale.
Se io sono un cittadino e non un legislatore e leggo quel comma - ho portato l'esempio FIAT, ma lo stesso potrebbe valere per le altre aziende che lei ha citato - ne deduco che la SACE non dovrebbe garantire. Il punto è che noi abbiamo bisogno di una legislazione, di una normativa o di alcuni commi che non sollevino questo conflitto.

RODOLFO MANCINI, Direttore affari legali e generali di SACE. Se lei ricorda, avevamo già discorso del tema. Ero presente io con alcuni miei colleghi proprio in questa Commissione. Il problema de iure condendo, cioè su ciò che si potrà eventualmente fare, esiste ed è sicuramente sul tavolo, ma non sui nostri tavoli.
In merito a quanto abbiamo cercato di fare, lei potrà vedere che tutti i nostri interventi non sono stati effettuati laddove vi era la violazione di queste regole e di queste norme. Come le avevo accennato nella nostra precedente occasione in cui abbiamo tenuto un'audizione, un conto è parlare di delocalizzazione e un altro è aprire nuovo business all'estero, senza diminuire quello in Italia.
Su questo punto, mi creda, la nostra attenzione è assoluta e totale, ma lo è anche da parte delle nostre divisioni istruttorie, quando valutano la possibilità di intervenire in un dato tipo di rischio o no. La risposta è sicuramente che, laddove vi è delocalizzazione, ossia spostamento di forza lavoro dall'Italia all'estero, c'è la violazione della norma ma, laddove, pur mantenendo il numero di impieghi in Italia, vi è una nuova opportunità di business all'estero, non si tratta di delocalizzazione, ai sensi della normativa da lei richiamata.
Le ripeto esattamente questo nostro proposito, che avevamo già avuto l'opportunità di condividere proprio con lei presso questa Commissione. Quest'attenzione c'è assolutamente da parte della SACE.

ALESSANDRO CASTELLANO, Amministratore delegato di SACE. Io non vedo la SACE quale soggetto per compiere valutazioni sull'estensione o la non estensione di questa norma. Se l'estensione della norma dispone che a qualunque azienda che operi compiendo un investimento all'estero è precluso il nostro intervento, allora è una norma chiara, con una presa di posizione chiara. Io non la condivido personalmente, però il Parlamento e il Governo sono liberi di fare quello che desiderano.
Il punto, secondo me, è che noi non diamo interpretazioni, ma agiamo con quello che noi riteniamo sia il buonsenso. Il buonsenso ci dice che tutte le volte in cui ci troviamo di fronte a primari clienti che ci mostrano un piano industriale che non prevede una delocalizzazione tout court delle loro attività, ma dimostra che alcune esigenze industriali di delocalizzazione degli insediamenti produttivi esistono, noi non svolgiamo commenti.
Le porto un esempio ma, se vuole, le mando anche l'informazione per iscritto. Secondo me, è palesemente chiaro qual sia il mondo in cui ci muoviamo. La SACE giapponese, che è di gran lunga la migliore SACE del mondo in termini di numeri e di dimensione, pubblica tutti gli anni nel suo bilancio un prospetto, in cui si mostra con alcuni istogrammi dal 1955 a oggi qual è il grado, il tipo di supporto che il Giappone presta alle proprie aziende.
Nel 1955 il 90 per cento del supporto avveniva attraverso il credito all'esportazione, cioè merci, beni e servizi prodotti in Giappone ed esportati nel resto del mondo. A mano a mano, con una gradualità impressionante, si è arrivati all'opposto, cioè in pratica oggi il Giappone supporta per il 10 per cento aziende che


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producono beni o servizi in Giappone e per il 90 per cento compie operazioni o di investimento, o di acquisizione o di acquisizione di equity. Ha stabilimenti Sony anche vicino a Bergamo e li supporta nella misura in cui la Sony produce televisori in Italia che vengono venduti a cittadini sia italiani, sia europei.
Su queste scelte che, se mi si consente, sono scelte industriali, noi abbiamo una capacità di valutazione. Svolgiamo una valutazione industriale della scelta che compie l'azienda. Se poi quell'azienda tre anni dopo, pur avendoci dichiarato che avrebbe mantenuto il presidio industriale in Italia, per scelte aziendali, decide di chiudere tale presidio e di sostituirlo completamente con un presidio in Slovenia, noi non possiamo e non abbiamo mezzi di ritorsione per tornare sul credito commerciale, che non è sussidiato e non ha alcun tipo di elemento di concessionarietà, e per andare dall'azienda per ricordarle che tre anni fa aveva dichiarato che avrebbe mantenuto questo tipo di occupazione, mentre oggi non la mantiene più.
Credo che la sua domanda sia giusta e che oggi questo sia un discorso molto valido, che però va affrontato in sedi diverse e per ragioni diverse, cioè per quello che riguarda l'azienda, la disoccupazione e la cassa integrazione ed altre questioni che hanno elementi di sussidiarietà. Sulle questioni di mercato, se l'azienda vuol bere, beve da noi, ma anche da altre parti. Questo tipo di atteggiamento è ininfluente per l'azienda: se non beve da noi, beve da qualcun altro.
Si verifica addirittura un circolo perverso. Se non beve da noi, la FIAT va in Francia e compra lì i macchinari che oggi ha comprato in Italia per compiere quell'investimento. Non li compra più in Italia. La FIAT compie un investimento tale per cui compra i macchinari da un dato numero di aziende che producono macchinari per la verniciatura, per la produzione di una catena di montaggio, per l'efficientamento dell'azienda e via di seguito.
Anche l'approvazione di norme punitive nei riguardi di aziende potrebbe avere su di noi un effetto, per così dire, masochistico, perché di fatto l'azienda compie lo stesso investimento e, invece di comprare macchinari o servizi in Italia, li andrebbe a comprare in altri Paesi europei. Non so se sono stato chiaro. Ha capito l'effetto masochistico della situazione?

LUDOVICO VICO. Devo risponderle in confidenza: ci provo, ma, se chiede la mia opinione, gliela riferisco non appena finisce l'audizione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LAURA FRONER

PRESIDENTE. Saluto i rappresentanti della SACE, li ringrazio e invito i colleghi a rimanere per dar seguito subito ai nostri lavori.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 12,35.

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