Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Strumento di esplorazione della sezione Lavori Digitando almeno un carattere nel campo si ottengono uno o più risultati con relativo collegamento, il tempo di risposta dipende dal numero dei risultati trovati e dal processore e navigatore in uso.

salta l'esplora

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Torna all'elenco delle indagini Torna all'elenco delle sedute
Commissione III
11.
Martedì 22 gennaio 2013
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Stefani Stefano, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI OBIETTIVI DELLA POLITICA MEDITERRANEA DELL'ITALIA NEI NUOVI EQUILIBRI REGIONALI

Esame e approvazione del documento conclusivo:

Stefani Stefano, Presidente ... 3 5 6
Galli Daniele (FLpTP) ... 5
Pianetta Enrico (PdL) ... 6
Tempestini Francesco (PD) ... 3

ALLEGATO: Documento conclusivo approvato dalla Commissione ... 7
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Intesa Popolare): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Centro Democratico: Misto-CD; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia - Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Italia Libera-Liberali per l'Italia-Partito Liberale Italiano: Misto-IL-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL; Misto-Diritti e Libertà: Misto-DL.

[Indietro]
COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 22 gennaio 2013


Pag. 7

ALLEGATO

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La III Commissione della Camera dei deputati, il 21 febbraio 2012, ha deliberato, ai sensi dell'articolo 144 del Regolamento, un'indagine conoscitiva sugli obiettivi della politica mediterranea dell'Italia nei nuovi equilibri regionali.
La Commissione, attraverso questa indagine, si è data la priorità di approfondire il ruolo dell'Italia in un'area geopolitica d'importanza cruciale per la proiezione internazionale del nostro Paese, ampliando il quadro informativo acquisito attraverso lo svolgimento di alcune importanti missioni in Israele, nei Territori palestinesi, in Egitto, in Tunisia ed in Turchia.
L'indagine si è pertanto incentrata su un primo ambito, prettamente politico-istituzionale, inteso a ricostruire le prospettive di sviluppo democratico dei Paesi interessati dalle «primavere arabe», approfondire i nodi legati alla presenza di movimenti fondamentalisti ed al ruolo delle correnti dell'islamismo politico moderato e delle formazioni democratica a matrice laica.
Un secondo filone dell'indagine si è focalizzato sui profili socio-culturali dei rivolgimenti dei paesi arabo-mediterranei, soffermandosi in particolare sull'evoluzione sociale in corso, sulla funzione di promozione dei valori democratici svolta dalle giovani generazioni, dalle donne e dagli intellettuali nella regione nonché sulle prospettive della presenza delle comunità cristiane presenti nella regione.
Un terzo ambito d'indagine è stato infine rappresentato dall'esame delle potenzialità e delle opportunità offerte dalle «primavere arabe» per gli interessi geopolitici nazionali, in vista di un rafforzamento della nostra penetrazione commerciale ed imprenditoriale e di un consolidamento della sicurezza energetica del Paese.
La Commissione ha avviato i propri lavori il 18 aprile 2012 svolgendo l'audizione dell'inviato speciale del Ministro degli Affari esteri per i Paesi del Mediterraneo e le primavere arabe, Maurizio Massari.
Le successive nove audizioni hanno permesso alla Commissione di acquisire - in un arco di tempo assai circoscritto - una panoramica rappresentativa delle interpretazioni offerte da autorevoli specialisti italiani e stranieri a riguardo dei moti politico-sociali che hanno interessato la sponda sud del Mediterraneo: il prof. John L. Esposito, direttore del Center for Muslim-Christian Understanding presso la Georgetown University (audito dalla Commissione il 24 maggio 2012), il dott. Roberto Aliboni, consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali (audito il 31 maggio), il dott. Lucio Caracciolo, direttore della rivista italiana di geopolitica Limes ed il prof. Olivier Roy, direttore del Programma Mediterraneo del Robert Schuman Center for Advanced Studies dell'Istituto universitario europeo (auditi il 4 luglio), il prof. Khaled Fouad Allam, docente di Sociologia del mondo musulmano all'Università di Trieste (audito il 24 luglio), il prof. Gianni Buquicchio, presidente della Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa (audito il 18 settembre), la prof.ssa Isabella Camera D'Afflitto, docente di lingua e letteratura araba moderna e contemporanea presso «La Sapienza» - Università di Roma ed il prof. Ciro Sbailò, docente di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi «Kore» di Enna (entrambi auditi l'11 dicembre).
Come accennato, la Commissione ha inteso altresì approfondire le conseguenze economiche delle primavere arabe ed i suoi riflessi sull'assetto e le prospettive delle nostre relazioni commerciali e della nostra presenza imprenditoriale in quella


Pag. 8

regione: in tale prospettiva sono state svolte le audizioni del dott. Mats Karlsson, direttore del Centro per l'integrazione del Mediterraneo presso la Banca Mondiale (30 ottobre) e del dott. Sergio Marini, segretario generale della Camera di commercio italo-araba (14 novembre) e di rappresentanti dell'Osservatorio permanente sull'economia del Mediterraneo (18 dicembre).

I fattori di criticità del quadro regionale.

Negli ultimi due anni la regione del Mediterraneo è stata attraversata da importanti e profonde trasformazioni. Al di là delle differenze e delle peculiarità delle singole realtà, i paesi arabo-mediterranei erano accomunati da problematiche politiche e socio-economiche simili: longevità dei regimi, autoritarismo, deficit democratico, forti restrizioni alle libertà individuali, pressione demografica e significativa percentuale di popolazione giovanile, elevata disoccupazione, soprattutto tra i giovani, povertà diffusa.
Tra le ragioni economiche che hanno portato alle sollevazioni in Tunisia e in Egitto, una prima causa è collegata all'instabilità derivante dall'inserimento in un'economia globalizzata e risiede nell'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di base che, per quanto in parte sovvenzionati, sono cresciuti del 15 per cento in tre mesi, quando oltre un quinto della popolazione ha un reddito inferiore a 2,4 dollari al giorno.
Una seconda causa riguarda l'esclusione di una gran parte dei giovani, soprattutto dei più istruiti, dal lavoro e dalla partecipazione civile, esclusione che coinvolge anche il genere femminile, non a caso fortemente attivo nella rivolta.
Una terza ragione è relativa alla grave disparità territoriale, poiché allo sviluppo delle città e della fascia costiera ha corrisposto un impoverimento delle zone interne e della campagna. Un'altra causa, infine, percepita come un'ingiustizia anche dai ceti medi, riguarda il funzionamento del mercato, del mercato del lavoro, delle banche e - in breve - la corruzione e la connivenza tra gruppi di imprenditori e potere politico, che ha determinato un'enorme e progressiva sperequazione.
La crescita delle disuguaglianze, dell'esclusione e della corruzione economica hanno progressivamente eroso ogni possibilità di consenso. Parallelamente, le rivendicazioni di libertà, dignità e uguaglianza diffuse attraverso i social network sono state alla base delle rivolte in Tunisia come in Egitto. La diffusione di Internet è cresciuta moltissimo in questi Paesi e tocca oggi circa il 30 per cento della popolazione.
La vittoria dei partiti di ispirazione islamica in un numero crescente di Paesi arabi è stato il primo importante risultato concreto delle rivolte. È l'elemento politico e sociale che accomuna tutti i paesi - dalla Tunisia al Marocco all'Egitto - in cui si sono svolte delle consultazioni elettorali. Soltanto in Libia gli islamisti non hanno vinto le elezioni ma svolgono comunque un ruolo importante.
I cambi di regime sono il frutto di una forte richiesta di cambiamento delle società civili: alcune già consolidate, altre confusamente nate insieme ai rivolgimenti politico-sociali.
La Tunisia dopo le elezioni di ottobre 2011 sembra avere imboccato la strada del cambiamento sotto la guida del partito islamico Ennahda, sebbene non manchino difficoltà e tensioni interne soprattutto con le forze salafiste. In Egitto il processo di transizione sotto la guida dei militari ha portato alle elezioni del giugno 2012 in cui l'esponente dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi, è diventato il primo presidente democraticamente eletto. Tuttavia, la situazione politica del Paese è lontana dall'essersi stabilizzata, le tensioni tra forze politiche permangono molto forti, soprattutto in relazione all'attuazione della nuova Costituzione, e cresce il timore di derive autoritarie da parte della nuova leadership, soprattutto da parte dei rappresentanti delle comunità cristiane e delle componenti laiche della società egiziana.


Pag. 9


Ancora più difficile e incerta è la situazione in Libia, nonostante il recente insediamento del nuovo governo. Se la produzione energetica ha ripreso quasi a pieno regime, il paese non è ancora pacificato - esistono ancora fazioni di ribelli armate - e si trova ad affrontare un processo di ricostruzione che deve iniziare dalla creazione di nuove istituzioni.
Il primo elemento di criticità è rappresentato dalla stabilità e dall'autorevolezza delle istituzioni. Tutte queste nuove leadership si trovano infatti a dover fronteggiare, accanto a un'emergenza economica, un deficit di governance: è stato questo uno dei principali fattori che hanno dato origine alle «primavere arabe»: corruzione, inadeguata rappresentanza politica, insufficienti garanzie dello Stato di diritto ed eccessive sperequazioni nella distribuzione del reddito caratterizzavano tutti i precedenti regimi autoritari ed il superamento di questi nodi problematici costituisce oggi, come ricordato nel corso di molte audizioni, il test principale per i nuovi governi.
Un secondo fattore di criticità riguarda la definizione del rapporto tra Islam e politica. L'Islam è parte centrale delle identità delle nuove democrazie arabe: non si può ignorare, a tale proposito, la storia dei Fratelli mussulmani, che fa parte della storia dell'Egitto, ma concentrare tutta l'attenzione esclusivamente su questi movimenti, può indurre a pericolosi errori di prospettiva poiché tale realtà non rappresenta l'unica componente delle società arabe: esiste infatti anche la componente laica, che è all'origine dei movimenti di «rinascita» del mondo arabo, alla fine dell'Ottocento, particolarmente vivaci in Egitto, nella regione siro-libanese e nell'Iraq.
Un terzo fattore di criticità - che concerne tutti i Paesi usciti dalle dittature - è costituito dalla ricerca di un difficile equilibrio tra la responsabilità per gli atti compiuti nel passato regime e l'esigenza della riconciliazione nazionale: una sfida di grande importanza per la stabilità interna di questi Paesi. Una sfida che appare ancora più dura per i Paesi dove le dittature sono state rimosse con l'azione violenta, come nel caso della Libia.

Le sfide del processo di transizione.

Sotto il profilo della governance istituzionale, il Mediterraneo e il Medio Oriente, fino al Golfo, sono entrati in una grande fase costituente. Ciò vale anche per Stati come la Giordania o anche il Bahrain, che stanno percorrendo un itinerario evolutivo più graduale. Tutto ciò avviene in contesti particolarmente difficili, dal punto di vista sociale ed economico, dove la crisi economica europea e globale prima, e l'anno delle rivoluzioni poi, hanno pesato sui tassi di crescita e sull'occupazione.
In Tunisia e Marocco la transizione democratica è nell'insieme ben avviata. Non bisogna tuttavia sottovalutare, anche in questi Paesi, le criticità, soprattutto di carattere socio-economico. In Tunisia la transizione politica è stata accompagnata da una contrazione del prodotto interno lordo e da un forte aumento della disoccupazione, mentre in Marocco si assiste invece ad una evoluzione, anziché a una rivoluzione, che ha avuto il suo momento centrale nella riforma della Costituzione, promossa dal re Maometto VI, e nelle successive elezioni politiche, che hanno registrato l'affermazione del partito islamico moderato, il Partito per la giustizia e lo sviluppo, che ha formato un esecutivo insieme ai partiti laici, dando finora prova di pragmatismo.
Più complessi appaiono i processi di state-building in Egitto ed in Libia. In Egitto il consolidamento della transizione ruota intorno a due sfide principali: il superamento dell'emergenza economica, senza pregiudizio per la stabilità sociale, da un lato, e la definizione di un assetto politico rappresentativo della complessità della società egiziana, dall'altro.
La stabilità sociale è inevitabilmente legata, in Egitto, almeno nel breve periodo, anche alla politica di spesa e al parziale mantenimento del sistema dei sussidi, che


Pag. 10

nel tempo dovranno tuttavia essere riformati per stabilizzare il quadro macroeconomico, per modernizzare l'economia e renderla competitiva. Il rilancio dell'economia è a sua volta legato al consolidamento del quadro politico ed istituzionale interno, che stenta ancora a definirsi.
Più in generale, in alcune audizioni è stato evidenziato come nei Paesi nord-africani interessati dalle «primavere arabe» si assista alla conclusione di un lungo ed ciclo politico-istituzionale apertosi all'indomani del crollo del comunismo in Europa.
In quella fase, si indebolisce, per certi aspetti, il peso geopolitico di questi Paesi, prima molto consistente per il problema del confronto con il comunismo sovietico, e cominciano delle riforme, sulla spinta dell'Occidente, che non è più disposto a tollerare questi regimi autocratici indefinitamente, in nome dell'equilibrio tra i due blocchi.
È stato sottolineato nel corso di alcune audizioni come, sotto il profilo delle riforme economico-sociali, l'Islam politico moderato, non sia «ideologicamente» contrario al libero mercato. Le politiche economiche fino ad ora espresse piuttosto confusamente dai Fratelli musulmani al potere in Egitto, per esempio, sembrano privilegiare l'attività imprenditoriale privata rispetto a quella statale, vista come il prodotto del precedente regime militare di Hosni Mubarak. Anche le politiche sociali a favore delle classi più svantaggiate, negli indirizzi di governo della Fratellanza, sono più un compito delle moschee che del governo.
I vecchi regimi avevano lasciato una situazione economica complessivamente non brillante, ma relativamente stabile. Le riforme economiche erano state compiute, anche se i benefici non avevano riguardato la maggioranza più povera di quei Paesi. Una nuova categoria di tecnocrati vicini alle dittature era diventata più ricca, gli altri più poveri. La crescita economica è comunque stata modesta negli ultimi trent'anni. Il peso del Nord Africa rimane scarso rispetto a all'incremento globale. A parità di potere d'acquisto, si è addirittura ridotto, arrivando solo all'1,37 per cento del PIL mondiale nel 2011.
Al contrario, la crescita della popolazione è stata relativamente sostenuta (la popolazione del Nord Africa nel 2011 è pari al 2,4 per cento circa di quella mondiale), rendendo nel tempo sempre più difficile la crescita del reddito pro capite. La forbice tra demografia e sviluppo economico insufficiente è stata, come accennato, una delle cause primarie dell'esplosione delle rivolte. Molti soggetti auditi hanno richiamato l'attenzione sul fatto che le «primavere arabe» hanno certamente avuto una valenza politica, ma anche quelle economico e sociali non devono essere sottovalutate.
La dinamica dei singoli paesi è nondimeno assai eterogenea. L'Egitto, il Paese più popoloso, ha aumentato seppur lentamente il suo peso (da 0,46 nel 1980 a 0,65 nel 2011). Marocco e Tunisia sostanzialmente hanno mantenuto le posizioni. Algeria e, soprattutto, Libia, mostrano una forte perdita di rilevanza economica a livello mondiale. È da notare che la Libia inizia la sua progressiva irrilevanza economica ben prima della crisi politica che ha portato al cambio di regime.
I Paesi dell'Africa settentrionale risultano eterogenei anche in termini di standard di vita e di composizione settoriale del PIL. Tunisia, Algeria e Libia rientrano nel gruppo di paesi che la Banca mondiale definisce a reddito medio-alto, mentre Egitto e Marocco sono paesi a reddito medio-basso.
Gli Stati che hanno vissuto proteste di piazza più violente e che hanno portato a profondi sconvolgimenti politici e sociali sono quelli che registrano il maggiore rallentamento della crescita. Il caso più evidente è quello libico. Tuttavia già dal 2012 si annuncia una ripresa. Le previsioni ufficiali fornite da istituzioni internazionali (come il Fondo Monetario Internazionale nel World Economic Outlook dell'ottobre 2012) mostrano per il 2013 e 2014 una crescita economica positiva per


Pag. 11

il Nord Africa, sebbene non molto elevata e comunque inferiore a quella del decennio passato.
La situazione macroeconomica complessiva dell'area, del resto, non mostra squilibri particolarmente gravi. Quindi, se i nuovi governi si manterranno su questa linea, i tassi di crescita del PIL dovrebbero continuare a essere mediamente superiori al 3 per cento. Sulla base di queste previsioni, e delle stime effettuate sulla variazione degli scambi al crescere del PIL dei paesi Nord africani, è possibile prevedere che gli scambi commerciali continueranno a crescere, ma a tassi ridotti rispetto agli anni precedenti alle «primavere arabe». Occorrerà comunque del tempo perché il PIL a prezzi costanti ritorni a un valore almeno pari a quello registrato nel 2010.
Altri effetti della crisi politica sulle variabili macroeconomiche riguardano le finanze pubbliche e il tasso di disoccupazione. Le prime nei paesi del Nord Africa sono in media più virtuose di quelle dei vicini della sponda nord del Mediterraneo, ma le politiche espansive adottate per fronteggiare la crisi stanno facendo crescere ovunque il peso del deficit sul PIL, che da livelli molto bassi sta salendo velocemente. Infine, con il rallentamento dell'attività economica, è aumentato il tasso di disoccupazione, in particolare in Egitto e Tunisia, dove supera il 10 per cento.

I riflessi delle «primavere arabe» sul Sistema-Paese.

Le esportazioni italiane in Nord Africa nell'ultimo decennio presentano una tendenza alla crescita nel tempo, ma si osservano due importanti episodi di contrazione. Nel 2009 gli effetti della crisi economica mondiale hanno fatto registrare una riduzione in valore nominale di circa il 12 per cento delle esportazioni italiane verso l'area, una contrazione tuttavia contenuta, se confrontata con il tasso di variazione delle esportazioni verso tutte le destinazioni extracomunitarie, pari a -18 per cento.
Legata alle vicende politiche regionali sembra essere invece la riduzione delle esportazioni nell'anno 2011 (-20 per cento), a fronte di un aumento di quasi il 15 per cento delle esportazioni al di fuori dell'UE. Occorre inoltre osservare che il tasso di variazione del valore delle esportazioni è maggiore di quello fatto registrare durante la crisi economica: l'influenza delle «primavere arabe» sul valore delle esportazioni complessivamente destinate all'area del Nord Africa è maggiore di quella esercitata dalla crisi economica.
Il valore complessivo dell'interscambio tra l'Italia e gli altri principali partner europei verso l'area formata da tutti i Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo (e che non sono membri dell'Unione europea) per il 2011 è stato pari a 57,7 miliardi e, secondo le stime fornite dall'Osservatorio permanente sull'economia del Mediterraneo, la crescita si posizionerà a 74 miliardi come valore atteso nel 2014.
L'Italia ha subìto una flessione rispetto al 2010, causata prevalentemente dal calo dell'interscambio energetico, che è una delle componenti più importanti dell'interscambio commerciale complessivo. Ciononostante, è saldamente tra i primi partner commerciali dell'insieme dell'area. Il nostro Paese può inoltre vantare un grado di specializzazione verso il Mediterraneo rispetto al totale dell'interscambio commerciale significativamente più alto degli altri Paesi, pari al 7,4 per cento. La Germania, che pure è molto ben posizionata come valori complessivi, ha un grado di specializzazione verso il Mediterraneo di solo 2,9 per cento, oltre il 4 per cento in meno rispetto all'Italia.
Un ulteriore dato rilevante per inquadrare le relazioni commerciali ed economiche del nostro Paese è quello che rivela come gran parte di questo interscambio italiano sia di carattere energetico, sostanzialmente petrolio; tale interscambio, pur calato dal 2010 al 2011 al 35,6 per cento, ed essendo tendenzialmente stazionario nel 2012, rimane una componente sensibilmente più alta di quella degli altri Paesi europei. Tuttavia, qualora si escludano dal


Pag. 12

computo i prodotti energetici - e tenuto conto che l'interscambio agricolo è minimo - sull'interscambio manifatturiero l'Italia da prima scende a terza, mentre la Germania diventa prima.
Tra i 36,9 miliardi di interscambio manifatturiero dell'Italia ed i 50,4 della Germania vi sono circa 13 miliardi: è evidente che c'è un mercato non teorico, ma già esistente, di beni e servizi, prevalentemente beni manifatturieri, che sono comprati dal venditore Germania, piuttosto che da un acquirente più prossimo e culturalmente più vicino come l'Italia. Si tratta di un mercato già esistente, rispetto al quale è plausibile porre l'obiettivo di una crescita dell'interscambio manifatturiero italiano almeno per colmare il gap che attualmente esiste tra l'interscambio italiano e quello tedesco.
Nel corso delle audizioni dedicate alle relazioni economiche e commerciali del nostro Paesi con i partner dell'area mediterranea, è emerso come il Nord-ovest rappresenti la prima macroregione per interscambio con 18,1 miliardi, mentre il Mezzogiorno è la seconda macroarea con 12,7 miliardi. Seguono il Nord-est, il centro e altre regioni che non sono specificate, nella misura in cui non sempre l'import-export ha una regione finale di destinazione.
Inoltre, il Mezzogiorno è la macroregione che ha il più alto grado di interscambio in valore percentuale rispetto al totale di interscambio con il resto del mondo.
L'interscambio del Mezzogiorno con l'area mediterranea è del 12,4 per cento, un dato più che doppio rispetto al centro-nord e comunque sensibilmente superiore a quello dell'Italia. Pertanto, mentre in termini assoluti il nord-ovest viene prima del Mezzogiorno, in proporzione al totale della sua economia e del suo interscambio la «vocazione» del Mezzogiorno verso il Mediterraneo risulta in modo molto chiaro dai numeri.
Questi dati sono confermati anche nel primo semestre del 2012: l'Italia evidenzia un tasso di crescita verso l'area del Mediterraneo pari all'8,1 per cento, molto più alto di quello degli altri Paesi. Nel primo semestre 2012, rispetto al primo semestre 2011, la Germania è cresciuta del solo 1 per cento per l'interscambio verso il Mediterraneo, mentre la Francia è addirittura calata. I valori, in termini di miliardi complessivi (33,7), si mantengono sostanzialmente in linea, ed è anche questo che fa prevedere una proiezione al 2014 di 74 miliardi di interscambio complessivo.
I dati osservati mostrano infatti che l'apertura dei paesi nord africani, i loro scambi commerciali e la loro attrattività per gli investimenti esteri hanno avuto un notevole impulso dopo l'entrata in vigore, a partire dal 1998, degli Accordi di associazione tra l'Unione Europea ed i singoli partner mediterranei. La rete di accordi - che prevedono la progressiva liberalizzazione del commercio di beni - si è tuttavia costituita con grande lentezza e ciò spiega le diverse velocità e il diverso grado d'intensità nelle relazioni economiche e commerciali dei partner mediterranei con l'Unione europea, nonché i ritardi nella creazione di un'area di libero scambio euro-mediterranea, inizialmente prevista per il 2010.
Se la Tunisia è stato il primo paese ad avere il libero scambio dei prodotti industriali con l'Unione europea a partire dal 1o gennaio 2008, la Siria rimane il fanalino di coda (i negoziati per l'Accordo di associazione sono stati sospesi una prima volta in seguito all'omicidio del premier libanese Rafik Hariri nel 2005 ed una seconda volta dopo lo scoppio della crisi siriana), mentre la Libia solo di recente sta cercando di recuperare l'esclusione dalle iniziative di cooperazione euro-mediterranea, conseguenza del suo isolamento internazionale negli anni Novanta e nella prima metà della scorsa decade.
Poiché gli accordi disciplinano soltanto lo scambio di beni, sarebbe opportuno che per i per i paesi più avanzati nelle relazioni economiche con l'Unione Europea progredisse anche la liberalizzazione dei prodotti agricoli e della pesca e dei servizi, oggetto di negoziati separati. Sarebbe inoltre importante che i negoziati per la creazione di deep and comprehensive free trade areas proposta dall'Unione Europea


Pag. 13

a Egitto, Giordania, Marocco e Tunisia nell'ambito delle iniziative europee per i paesi delle «primavere arabe», fossero avviati, almeno con quegli Stati in cui la situazione politica si presenta più stabile, per consentirne la progressiva integrazione economica nel mercato unico europeo.
L'impatto di questi eventi è importante anche per l'immigrazione, sia legale, sia illegale, non tanto in riferimento a quella proveniente dai Paesi mediterranei, quanto a quella che li attraversa. Quando ci sono state le rivolte, c'è stato un grave problema di contenimento e di controllo dell'immigrazione che veniva da questi Paesi, in particolare dalla Tunisia. Nella misura in cui la situazione di alcuni Paesi continuerà ad essere piuttosto caotica, come in Libia, possiamo immaginare che continueranno ad esserci problemi, specialmente per quanto riguarda l'immigrazione proveniente dal sud dei Paesi mediterranei meridionali.
L'impatto di questa dinamica è destinato ad avere conseguenze rilevanti anche sulla sicurezza interna. È evidente che occorre rispondere preventivamente, con una rafforzamento dell'organizzazione di sicurezza. A ben vedere, questo problema di disordine riguarda soprattutto la prospettiva della Libia e, assai meno, quella della Tunisia, sulla quale interviene la cooperazione internazionale e quella bilaterale coi Paesi europei e con l'Unione europea.
La questione riguarda, in generale, tutta la fascia litoranea dei Paesi mediterranei perché una delle conseguenze dei disordini che i rivolgimenti arabo-mediterranei hanno portato è l'aumento dell'instabilità nella fascia del Sahel: basti pensare alla gravissima crisi che ha investito in queste settimane il Mali settentrionale, dove è in atto il tentativo di fatto creare un'entità statale islamica fondamentalista che potrebbe avere ripercussioni sulla stabilità del regime algerino.

Per una nuova strategia nazionale nel Mediterraneo.

Nel corso delle audizioni si è più volte evidenziato come l'attenzione specifica ai Paesi mediterranei da parte della politica italiana sia stata in questi anni inferiore al peso, economico e non, che essi hanno per il nostro Paese. In parte ciò è dovuto al fatto che le relazioni economiche esterne sono state in larga misura demandate all'Unione europea, la quale, dopo aver promosso nel 1995 un'unione doganale asimmetrica a favore dell'Europa ed a oggi neppure completata, si è sostanzialmente data altre priorità, in primis l'allargamento ad est dei confini comunitari, privilegiando le aree che presentavano un maggiore interesse per i membri del centro Europa piuttosto che per l'Italia e per gli altri Paesi europei del Mediterraneo.
È emersa nel corso dell'indagine conoscitiva la diffusa consapevolezza che l'Italia possa contare in Europa e quindi sullo scenario internazionale in quanto riesca a recuperare credibilità nel Mediterraneo.
Quest'area geopolitica non deve essere più vista dalle classi dirigenti italiane come una questione di politica estera, ma piuttosto come una realtà che ha una duplice dimensione, interna ed esterna, innanzitutto perché molti degli abitanti di questa regione non solo risiedono nel nostro Paese ma lo vivono «in modo circolare», con le loro famiglie e le loro società d'origine, determinando la nostra immagine e la nostra influenza nella regione arabo-mediterranea.
È quindi essenziale utilizzare questo strumento, ad un tempo di economia ma anche di soft power, uno strumento culturale, che è il fatto di essere, se non altro per ragioni di prossimità geografica, il Paese principalmente attraversato da questo circuito mediterraneo.
La complessità del Mediterraneo allargato e del Medio Oriente post «primavere arabe» obbliga oggi il nostro Paese a sviluppare un approccio globale della regione, dal Nord Africa al Golfo. Non possiamo più trincerarci in una visione tradizionale circoscritta del Mediterraneo come «cortile di casa», tanto più che anche in quest'area, tradizionalmente connotata dalla nostra influenza, sono in atto processi di globalizzazione e si stanno


Pag. 14

affermati nuovi attori regionali, dalla Turchia all Consiglio di cooperazione del Golfo.
L'Italia tuttavia potrà cogliere queste opportunità soltanto se sarà in grado di attrezzarsi adeguatamente e se il Mediterraneo allargato diventerà per il nostro Paese, nei fatti concreti, una missione nazionale, con un coinvolgimento non episodico ma continuativo e sistematico di tutti gli attori del Sistema-Paese.
Alcuni soggetti intervenuti nelle audizioni hanno quindi auspicato l'avvio di una politica mediterranea che sostenga le nostre imprese e ne incentivi il coinvolgimento nei Paesi arabi, in particolare promuovendone gli investimenti diretti in quelle zone. Per questo andrebbero rafforzati gli strumenti bilaterali: linee di credito alle joint venture, creazione di task force bilaterali per promuovere e assistere gli investitori esterni e interni, garanzia pubblica dell'investimento, partecipazione anche pro tempore, ma con termini più lunghi di quelli attuali, al finanziamento dell'investimento eccetera.
Secondo tale impostazione, il sostegno all'investimento costa meno del sostegno all'export e gli investimenti sono oggi certamente il principale motore della crescita degli scambi. Per il Paese ospitante ciò produce un effetto positivo maggiore e più duraturo di quanto non faccia il finanziamento di un'opera pubblica. Un intervento di questo tipo può facilitare anche la sopravvivenza di piccole e medie imprese italiane oggi schiacciate dalla crisi interna.
Sul piano dell'azione comunitaria, l'Italia dovrebbe invece farsi promotrice di una nuova politica regionale finalmente estesa al Mediterraneo allargato, che ne consideri diversità, le valenze, le complementarità e le interdipendenze, puntando anche ad una cooperazione finanziaria con i Paesi del Golfo.
Questo approccio dovrebbe puntare soprattutto sulla creazione di piccole e medie imprese non attraverso forme assistenziali, che fino a oggi hanno prodotto risultati modesti, ma mediante un'incentivazione delle attività delle nostre piccole e medie imprese, promuovendo la loro aggregazione e concedendo un credito industriale e un'assicurazione del rischio, affinché, sia direttamente sia attraverso la creazione di società miste, contribuiscano alla creazione di posti di lavoro e a un miglioramento delle condizioni di base di quei Paesi.
Sul piano economico, l'Italia può giocare un ruolo importante con la sua presenza, ancor più che con la sua assistenza, dove la capacità di incidere è oggettivamente limitata. Nei settori dai quali maggiormente dipendono le opportunità di ripresa economica e occupazionale dei Paesi investiti dalle «primavere arabe» - cioè l'agricoltura, le piccole e medie imprese e il turismo - l'esperienza italiana è infatti vista con un interesse speciale e forti sono le potenzialità di cooperazione.
Il secondo pilastro di una nuova strategia nazionale si deve incentrare sul sostegno ai processi di transizione democratica, affinché l'ancoraggio alla dimensione economica, sociale e politica europea incentivi le classi dirigenti di quei Paesi a seguire gli standard internazionali nella lotta alla corruzione, nella promozione della democrazia, della libertà religiosa e dei diritti umani.
L'Italia può sostenere questi processi di state-building, stimolando un uso più efficiente e meno corrotto della rendita petrolifera e favorendo la formazione di nuove classi dirigenti democratiche.
Il terzo elemento fondante di una nuova strategia punta ad un maggior coinvolgimento dell'Unione europea che deve investire maggiormente, non soltanto in termini di risorse finanziarie, ma anche in termini di impegno e di visione politica, sul futuro dei rapporti euro-mediterranei. La risposta dell'Europa è stata percepita come debole dai Paesi arabo-mediterranei.
Non è facile dopo cinquant'anni di successivi e più o meno gravi fallimenti (politica mediterranea, nuova politica mediterranea, politica mediterranea rinnovata, processo di Barcellona, politica di vicinato, Unione per il Mediterraneo)


Pag. 15

proporre un nuovo modello credibile per i partner mediterranei profondamente delusi dai precedenti esercizi, specialmente in una situazione di transizione dei Paesi della riva sud e di debolezza delle economie dei Paesi della riva settentrionale del Mediterraneo. È importante allora che i modelli aggregativi regionali ed euro-mediterranei vadano ripensati a partire dall'Unione per il Mediterraneo.
Nel corso delle audizioni è stata più volte richiamata l'esigenza di adattarla alla nuova realtà della sponda sud del Mediterraneo, rilanciando l'intero discorso di integrazione in vista della creazione di un mercato euro-mediterraneo.
Le «primavere arabe» rappresentato un'opportunità per il nostro Paese e per il sistema Italia nel suo complesso che gode di un forte capitale di credibilità e simpatia in tutti questi Paesi, anche presso le nuove forze politiche e la società civile. Il Mediterraneo democratizzato potrà consentire all'Italia di approfondire, allargare e articolare ulteriormente i nostri rapporti con questi Paesi amici, cruciali per la sicurezza.

[Indietro]
Consulta resoconti delle indagini conoscitive
Consulta gli elenchi delle indagini conoscitive