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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
4.
Martedì 11 novembre 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Furio Colombo, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Audizione del presidente del National Democratic Party of Tibet, Chime Yungdrung:

Colombo Furio, Presidente ... 3 4 6 7 10 11
Yungdrung Chime, Presidente del National Democratic Party of Tibet ... 4 7 8 9 10
Farina Gianni (PD) ... 7
Mecacci Matteo (PD) ... 3 9
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 8
Pianetta Enrico (PdL) ... 7
Razzi Antonio (IdV) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di martedì 11 novembre 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DEL COMITATO FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 8,30.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del presidente del National Democratic Party of Tibet, Chime Yungdrung.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, l'audizione del presidente del National Democratic Party of Tibet, Chime Yungdrung.
Se siete d'accordo, chiederei all'onorevole Mecacci, che ha un filo particolare con gli eventi del Tibet e, in particolare, con la questione politica del rapporto tra i partiti tibetani in esilio e la situazione attuale che riguarda il Tibet, di introdurre ciò che ci apprestiamo ad ascoltare dal signor Chime Yungdrung, che ringraziamo.
Siamo lieti per avere avuto l'occasione di incontrarlo e di ospitarlo al Comitato permanente sui diritti umani della Commissione esteri.

MATTEO MECACCI. Signor presidente, la ringrazio per questa opportunità che è maturata negli ultimi giorni; quindi, ringrazio anche gli uffici per la flessibilità che hanno dimostrato nell'organizzare questa audizione in tempi così brevi.
Come potete vedere, il signor Chime Yungdrung rappresenta la nuova generazione della classe politica di attivisti tibetani che naturalmente, vista anche l'età, operano in esilio in India, in particolare a Dharamsala, dove ha sede il Governo tibetano in esilio.
L'occasione di incontro che abbiamo avuto come Partito radicale con il signor Chime Yungdrung e con migliaia di attivisti tibetani risale al marzo scorso, poco prima degli eventi che hanno portato a una dura repressione delle manifestazioni che si sono sviluppate in tutto il Tibet.
In quell'occasione, cinque organizzazioni - tra cui il National Democratic Party of Tibet che, lo voglio sottolineare, è il primo partito politico tibetano che opera in esilio, nell'ambito del sistema democratico che il Dalai Lama e le autorità tibetane in esilio hanno costruito - avevano preparato una marcia («Marcia fino al Tibet») per ricordare, nell'anno delle Olimpiadi, come ancora quella situazione fosse irrisolta e occorresse una mobilitazione, a partire dalla comunità tibetana in India, che comprende circa 200 mila persone che vivono nel nord e nel sud del Paese.
Si tratta di un movimento composto da decine di migliaia di attivisti ispirato ai princìpi della non violenza gandhiana. Noi marciammo con loro, con le immagini di Gandhi, oltre che del Dalai Lama, per alcuni giorni.
Va sottolineato - questo è un dato politico che credo interessi il Comitato -


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che queste persone sono su posizioni un po' più indipendentiste rispetto a quella del Dalai Lama. È in atto adesso un confronto, all'interno della società tibetana in esilio, in merito a quali debbano essere le strade da percorrere nel dialogo con la Repubblica Popolare Cinese.
Abbiamo ascoltato le dichiarazioni delle settimane scorse del Dalai Lama di quasi totale mancanza di fiducia nella possibilità di dialogo con il Governo cinese. Credo che l'appuntamento previsto tra pochi giorni, dal 17 novembre, a Dharamsala, dove si terranno gli Stati generali della società tibetana per decidere quale strategia seguire, sia un'occasione importante per valutare le scelte di questa leadership politica.
Credo che per noi sia importante avere l'opportunità di una presa diretta sulle quelle che sono le varie posizioni, anche all'interno del movimento tibetano.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Mecacci. Se il nostro ospite vorrà dedicare anche meno di un minuto, all'inizio della sua relazione, per comunicarci qualcosa in merito alla salute del Dalai Lama noi saremo felici di ascoltarlo.
Do la parola al presidente del National Democratic Party of Tibet, Chime Yungdrung.

CHIME YUNGDRUNG, Presidente del National Democratic Party of Tibet. Innanzitutto vorrei ringraziare calorosamente tutti voi, il presidente e tutti i membri del Comitato per i diritti umani, per avermi consentito di essere qui e per avermi dato l'opportunità di parlare del Tibet e delle condizioni di salute di Sua Santità, il Dalai Lama.
Il Dalai Lama qualche settimana fa non è stato in ottime condizioni di salute. Ha superato un intervento chirurgico e adesso sta molto meglio. L'operazione è andata molto bene. Questo è un fatto fondamentale per i tibetani e per tutti quelli che amano la pace. Non preoccupatevi, Sua Santità sta benissimo, si riprenderà presto. Lui stesso, qualche tempo fa, ha dichiarato che vivrà ancora per altri venti anni circa, quindi possiamo stare tranquilli.
Come ha detto il vostro collega nel presentarmi, io sono un attivista e sono presidente del Partito Democratico Nazionale del Tibet.
Voglio parlare dell'attuale situazione all'interno e fuori del Tibet. Innanzitutto vorrei presentare la nostra organizzazione, il Partito Democratico Nazionale del Tibet. L'NDPT è stato creato dal Tibetan Youth Congress il 2 settembre del 1994, a seguito dei consigli forniti dal Dalai Lama. Ora il Partito Democratico Nazionale è l'unico partito politico della società tibetana.
Tuttavia, la nostra organizzazione non è ufficialmente riconosciuta dal Governo tibetano come partito politico, perché non abbiamo ancora un sistema partitico, ma un sistema di province. Naturalmente, questo non può funzionare in un Parlamento. Stiamo cercando di giungere a un riconoscimento da parte del Governo tibetano: vogliamo che il nostro partito sia riconosciuto come partito politico, ma è difficile riuscirci, in assenza di una normativa che possa aiutare questo processo. Il riconoscimento di un partito, insomma, non è previsto da nessuna parte.
Stiamo ancora cercando di ottenere un riconoscimento dal Governo in esilio, anche perché alcuni dei nostri membri fanno parte del Parlamento, ma non abbiamo ancora una folta rappresentanza nel Parlamento tibetano stesso.
Adesso stiamo seguendo il sistema democratico avviato nel 1960 dal Dalai Lama. Un sistema democratico prevede un sistema partitico, ma il popolo tibetano non sa niente del sistema partitico e noi vorremmo, invece, che fosse più consapevole delle procedure democratiche. Innanzitutto, quindi, stiamo lavorando sull'educazione del popolo: stiamo cercando di insegnare al popolo tibetano cosa vuol dire sistema partitico, cosa vuol dire democrazia e quanto sia importante avere partiti politici in democrazia. Questo è il genere di educazione che stiamo cercando di impartire, negli insediamenti più remoti, al popolo tibetano. Innanzitutto, quindi, il popolo tibetano deve sapere cos'è la democrazia, cos'è un partito politico, quali sono le procedure da seguire, quali sono i


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diritti e quali i doveri. Finché i tibetani non avranno queste conoscenze non sarà possibile avere un vero sistema politico nel Tibet. Per questo stiamo educando il popolo tibetano sui temi della democrazia.
Il Governo in esilio ci ha riconosciuto come organizzazione non governativa, come ONG. Dunque, dobbiamo operare e occuparci della causa del Tibet come ONG.
Come ha detto il vostro collega, abbiamo organizzato la marcia verso il Tibet, abbiamo organizzato scioperi della fame e sit-in davanti ad ambasciate cinesi, abbiamo avviato discussioni politiche su varie questioni. Queste sono le attività di cui ci occupiamo.
Per quanto riguarda la marcia verso il Tibet, il nostro partito è stato uno dei principali co-organizzatori dell'evento. Ero con i dimostranti, eravamo quasi arrivati al confine, ma a un certo punto ci siamo dovuti dividere, perché in quel momento era particolarmente difficile attraversare il confine. Sono arrivato, con altri dieci colleghi, in un'altra località estremamente vicina al confine, al passo di Shipki La, che è la località più vicina al confine dello stato di Himachal Pradesh. Quando sono arrivato al checkpost con i miei dieci colleghi, mi stavano cercando. Avevano la mia foto prima che arrivassi lì, mi stavano cercando. Avevo camuffato il mio aspetto, avevo tagliato i capelli, per cui io non fui riconosciuto a quel posto di controllo e riuscimmo a superarlo.
Dopo il posto di controllo c'è un paesino chiamato Puh: sette dei nostri colleghi sono stati arrestati lì. Noi eravamo nell'albergo di quel paesino, vale a dire io, un membro del Tibetan Youth Congress e uno dei nostri fotografi. Gli altri sette del gruppo furono arrestati dalla polizia, mentre noi tre riuscimmo a nasconderci. Quindi, in tre non eravamo più abbastanza per poter intraprendere qualche altra iniziativa. Abbiamo continuato a camminare incessantemente fino ad arrivare vicinissimi al confine, a sette chilometri circa: potevamo vedere le montagne, la neve, il fiume del Tibet. Eravamo in un posto il cui nome significa «dare acqua ai prigionieri», in un'area remotissima, vicino al confine. La polizia di confine ci vide e ci fermò, chiedendoci dove stessimo andando. Risposi che stavamo andando a casa nostra, senza il loro permesso, perché non avevamo bisogno di avere un permesso per tornare a casa. L'agente di polizia mi disse che, senza un permesso, non sarebbe stato possibile entrare in Tibet. Gli chiesi, allora, se anche lui avesse bisogno di un permesso per andare a casa sua e, al suo «no», dissi che anche noi, quindi, potevamo andare a casa nostra senza un permesso. L'agente insistette dicendo che non potevamo. Comunque, noi abbiamo continuato a camminare e sette poliziotti, ovvero soldati, ci hanno fermati; ci siamo seduti, abbiamo sventolato la nostra bandiera nazionale e uno striscione con scritto Free Tibet Now («liberate il Tibet adesso»). Siamo rimasti lì per circa tre ore.
Da ultimo, i poliziotti - forse avevano fame - ci hanno detto di tornare a Dharamsala. Al nostro rifiuto, sono arrivati 17-18 poliziotti che ci hanno portato in prigione con un camion. Lì abbiamo incontrato i nostri sette colleghi arrestati precedentemente. La notte precedente il nostro arrivo erano stati duramente picchiati dalla polizia. Ho chiesto alla polizia per quale motivo li avessero picchiati e mi è stato risposto che, avendo chiesto ai nostri colleghi perché fossero lì e chi fosse il loro leader - loro avevano la mia fotografia - e non avendo ricevuto risposta, avevano deciso di picchiarli. Ho detto che avrei raccontato alla stampa che avevano percosso la mia gente.
Ho ribadito che non eravamo né ladri né assassini, ma stavamo lavorando per la nostra libertà e per la nostra nazione, dunque non c'era motivo che ci picchiassero. Mi hanno risposto che la situazione era diversa, che quelle erano persone dubbie e per questo erano state picchiate, e che, comunque, non ci avrebbero picchiato.
Siamo rimasti lì per quasi un mese. Tuttavia, è stata una buona esperienza, perché in ogni caso l'abbiamo inclusa nel


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lavoro che stiamo svolgendo per il nostro Paese. Questo è un piccolo aneddoto a margine dell'evento.
Siamo arrivati vicino al nostro confine, ho visto la nostra terra. Sono nato in India e non ho mai visto il mio Paese, quindi mi ritengo davvero fortunato per aver potuto vedere un piccolo pezzettino della mia patria. Credo che un giorno riuscirò ad attraversare il confine e saremo in grado di tornare nella nostra terra.
All'interno del Tibet, dal 14 marzo molti tibetani sono stati arrestati dalla polizia - e adesso saranno condannati a rimanere in prigione per svariati anni - e molti sono stati uccisi dai soldati cinesi. Credo che il popolo tibetano dovrebbe avere il diritto di esprimersi. Questa è la cosa importante: se si ha il diritto di espressione, allora si può dire se si è felici sotto il dominio cinese. Il Governo cinese sostiene che i tibetani sono contenti sotto il loro dominio. Se sono contenti della loro situazione, allora ci sia un referendum. Quanti tibetani sono favorevoli al perdurare dell'oppressione cinese o del dominio del Governo cinese? Lasciate che si esprimano. I tibetani che vivono in Tibet dovrebbero avere il diritto di esprimersi sulla situazione in cui sono costretti a vivere. Questo è l'aiuto politico di cui abbiamo bisogno adesso.
Fuori dal Tibet, per i tibetani è imminente un evento grandioso per noi, che si terrà dal 17 al 22 novembre, una seduta straordinaria del Parlamento. Sua Santità il Dalai Lama ha detto che è importante avere incontri del genere e avviare un dibattito sul futuro che ci attende. È tempo di discutere delle nostre idee ed è importante che un dibattito del genere si svolga in questa riunione di sei giorni prevista per la metà di novembre.
Se il Dalai Lama parlasse durante la riunione ovviamente nessuno potrebbe replicare, perché egli rappresenta l'autorità suprema. Noi crediamo nel Dalai Lama. Tuttavia, il Dalai Lama non parteciperà alla riunione - secondo una sua decisione personale - proprio perché quella seduta deve essere riservata alla gente tibetana, che dovrà dire, in quella occasione, cosa vuole e quali sono i suoi obiettivi.
Sono lieto del fatto che questo incontro sarà per noi un'occasione per esprimerci, un'opportunità per decidere qual è il modo migliore per continuare la nostra lotta per il Tibet.
Lo ha detto lo stesso Dalai Lama: «Ora sto perdendo fiducia nel Governo cinese e nella possibilità di un dialogo con esso.» È chiaro che siamo giunti a una svolta. Tra due anni avremo le elezioni per il Parlamento e le elezioni del nostro Primo ministro. Queste due elezioni sono fondamentali per il popolo tibetano, considerato che l'età del Dalai Lama sta avanzando. Il prossimo Primo ministro e il prossimo Parlamento saranno fondamentali per il popolo tibetano. Il Partito Democratico Nazionale ha un ruolo fondamentale da svolgere, deve assolutamente proporre candidati per le prossime elezioni politiche. Dobbiamo organizzare una campagna elettorale per l'elezione del Primo ministro e dei nuovi membri del Parlamento, per avere un buon Parlamento e un buon Primo ministro.
Abbiamo davvero un ruolo fondamentale da svolgere nei prossimi anni.
Questo è quello che sta avvenendo fuori e dentro il Tibet.
Vorrei chiedervi ancora una volta di aiutarci politicamente. Adesso abbiamo bisogno di un sostegno più forte che mai.
Sono davvero lieto di essere stato qui e spero di vedervi presto a Dharamsala. Se doveste recarvi lì, non esitate a contattarmi, in modo che io possa accogliervi e ospitarvi a Dharamsala.
Sarò lieto di ascoltare i vostri eventuali suggerimenti e consigli. Grazie ancora.

PRESIDENTE. Ringrazio il nostro ospite. Abbiamo ascoltato un'esposizione piuttosto utile che ha intelligentemente toccato gli aspetti psicologici, pratici, politici e gli eventi fisici della vicenda.
Signor Yungdrung, credo che lei si renda conto che questo è un Comitato parlamentare e che, quindi, noi non abbiamo alcun potere, mentre abbiamo il


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privilegio di poterci oggi confrontare con lei e ascoltare le cose che ha da dirci e portarle il più possibile agli altri. Questo è, grosso modo, il limite nel quale stiamo lavorando in questo momento.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIANNI FARINA. Signor presidente, innanzitutto vorrei rivolgere al signor Yungdrung gli auguri più sentiti per la coraggiosa battaglia sua e del suo popolo.
Certo, è molto difficile parlare di diritti umani e di autonomia del Tibet, di libertà del popolo tibetano, quando tutta la stampa impazza di gioia per il fatto che il Governo cinese ha investito 600 miliardi per rilanciare l'economia cinese e l'economia mondiale. Insomma, l'economia prevale sul diritto umano e questo mi fa naturalmente tristezza, ma purtroppo è una realtà dei nostri giorni.
Penso che, partendo dal Parlamento italiano, ma anche dai consessi internazionali che hanno a cuore la libertà dei popoli (penso all'Unione europea, al Consiglio d'Europa), per il Tibet si possa fare molto di più di quanto si faccia oggi. Naturalmente la Cina è un grande Paese con il quale dobbiamo avere rapporti straordinariamente amichevoli; è un Paese importantissimo nel contesto mondiale. Tuttavia, questo non ci toglie dall'obbligo di appoggiare tutte le battaglie che i popoli fanno, partendo dal suo popolo. Su questa questione, dunque, credo che dovremmo prestare molta più attenzione.
Infine, una domanda: qual è il rapporto di popolazione tra i tibetani residenti in Tibet e quelli esiliati, in India e altrove?

PRESIDENTE. Penso che sarebbe meglio ascoltare le risposte volta per volta.

CHIME YUNGDRUNG, Presidente del National Democratic Party of Tibet. Innanzitutto, la ringrazio per il sostegno da lei espresso al popolo tibetano.
Ci sono circa 120 mila tibetani fuori dal Tibet e 6 milioni all'interno. Non abbiamo, tuttavia, cifre esatte in merito alla popolazione tibetana all'interno del Tibet. I tibetani sicuramente stanno diventando una minoranza all'interno del Tibet dove, al momento, cinesi e tibetani sono ormai a un livello pari.
Secondo i cinesi, in Tibet ci sono quasi 7 milioni di tibetani, ma credo che questa cifra non sia veritiera, perché molti sono stati uccisi. Non credo, comunque, che i tibetani all'interno del Tibet siano così numerosi. È difficile, in realtà, dire effettivamente quanti sono.

ENRICO PIANETTA. Anche io desidero ringraziare il nostro ospite per quello che ci ha illustrato e rivolgergli una domanda.
Nel suo intervento ha accennato (del resto, anche i giornali lo hanno fatto) a una possibile modifica del comportamento - non più di dialogo - nei confronti della Repubblica Popolare Cinese. Penso che questo sia un argomento che voi discuterete lungamente nell'incontro di metà novembre. La politica di Sua Santità il Dalai Lama è stata in questi anni improntata al dialogo, alla possibilità di trovare un accordo, non per l'indipendenza, ma per un'autonomia forte della terra tibetana.
Se vi sarà un cambiamento di atteggiamento, quali sono gli elementi che potranno rappresentare la nuova possibile strategia del Governo in esilio a Dharamsala nei confronti della Repubblica Popolare Cinese?

CHIME YUNGDRUNG, Presidente del National Democratic Party of Tibet. La prossima riunione è molto importante per i tibetani, ma in questa occasione non si potrà pensare di cambiare la politica. Molti tibetani, dai vari insediamenti in tutto il mondo, arriveranno per discutere di varie questioni. A quella riunione parteciperanno anche tutti i membri del Parlamento.
Probabilmente, se i tibetani decideranno di voler cambiare la loro politica, dopo la riunione straordinaria i parlamentari tibetani presenti potranno riferire le posizioni emerse agli altri colleghi del Parlamento. I parlamentari hanno il potere di cambiare le politiche.


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Credo che bisognerebbe cambiare qualcosa. Questo è il mio pensiero personale. Per anni siamo andati avanti soltanto sulla base del dialogo, ma adesso il nostro governo e tutti i tibetani devono cambiare e cercare nuovi modi per portare avanti la lotta in nome della questione tibetana.
L'elemento centrale è che adesso abbiamo bisogno di un cambiamento. Questo è il fattore più importante. Senza cambiamenti non si ottengono risultati.
Il mio personale parere è che sicuramente, prima dell'inizio della riunione, dovremo pensare a un cambiamento, ma è ovvio che non sarà possibile pensare di cambiare la politica in quella occasione. Successivamente alla riunione straordinaria, con il contributo dei parlamentari, potremo pensare al cambiamento.

FIAMMA NIRENSTEIN. Rivolgo al nostro ospite un sentito ringraziamento per quello che ci ha voluto raccontare. Devo dire che sono stata particolarmente toccata dal racconto dell'avvicinamento al confine: tante cose si possono capire molto meglio attraverso un racconto diretto. Mi complimento, dunque, con lei anche per l'esposizione degli argomenti che ha inteso svolgere non soltanto in forma politica, ma anche umana e personale. Insomma, il suo racconto mi è piaciuto davvero molto.
Vorrei rivolgerle due domande. La prima riguarda il tema delle Olimpiadi. È stata data molta importanza, a quel tempo, al successo o meno che la Cina, dal punto di vista diplomatico e politico, avrebbe potuto incassare in quella importante occasione. Di fatto, però, il risultato della faccenda è rimasto piuttosto oscuro. Mi domando, dunque, come voi tibetani l'abbiate valutato.
Da questa parte si è registrato un continuo ondeggiamento di Ministri degli esteri e Capi di Stato fra l'intenzione di rifiutare e di accettare di presentarsi alle Olimpiadi. Mi domando, quindi, se questo sia un appuntamento mancato da parte della grande comunità dei diritti umani oppure se voi siate stati in grado di valutare che, dopo le Olimpiadi, la coscienza mondiale sulla questione tibetana sia cresciuta.
La seconda domanda riguarda la società tibetana. La maggiore obiezione che si muove all'idea di un completo distacco del Tibet dalla Cina riguarda, in genere, il tema della modernità. Talvolta alla cultura tibetana viene mossa l'accusa di non mettersi in una posizione di maggiore collaborazione e accettazione nei confronti del mondo esterno per quello che riguarda, ad esempio, i diritti delle donne e altri temi che hanno a che fare con i diritti umani.
I cinesi si basano molto su questa affermazione per conservare consensi e ripetono - citando la questione della ferrovia e altre - che il Tibet dovrebbe prendere più in considerazione l'importante rapporto con la mondializzazione e con i temi della modernità.

CHIME YUNGDRUNG, Presidente del National Democratic Party of Tibet. È chiaro che c'è una grande differenza tra quello che vediamo e quello che c'è dietro. Lhasa, la capitale del Tibet, è una bellissima città, ma che cosa c'è al suo interno? Credo che non abbiamo bisogno di vedere altri posti, perché Lhasa è già un esempio emblematico. È una bellissima città, sembra un po' sullo stile occidentale. A Lhasa c'è tutto. Ma di cosa hanno bisogno gli esseri umani? Quali sono i loro diritti fondamentali? Per il popolo tibetano è fondamentale essere felici dentro. Fuori si possono avere anche milioni di dollari, ma se dentro non si è felici a cosa serve tutto quello che c'è fuori?
In Tibet si è costruita la ferrovia per consentire collegamenti mondiali, ma non esiste la possibilità di esercitare alcun diritto. Penso al diritto di stampa, di espressione, di professione religiosa e a tutti i diritti di cui il popolo tibetano non dispone. Se i tibetani fossero felici sotto il dominio cinese, perché mai allora avrebbero sacrificato le loro vite dopo la marcia? Questa è la domanda fondamentale. A mio avviso, i tibetani, sotto il Governo cinese, non sono felici dentro.


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Come ho già detto, se vogliamo avere il diritto alla autodeterminazione, il diritto di espressione, dobbiamo poter dire se siamo felici o meno.
Le Nazioni Unite, l'Unione europea, Amnesty International devono sapere, attraverso un referendum all'interno del Tibet, se i tibetani sono felici. Solo allora sarà veramente chiaro se è vero o meno quello che i cinesi sostengono. I cinesi ora stanno costruendo una grande propaganda. La propaganda non è solo riferire la costruzione di una nuova linea ferroviaria: questo serve essenzialmente per mostrare al mondo che si sta facendo qualcosa per il popolo tibetano, ma non è la realtà. È vero, costruiscono ferrovie, ma lo fanno per la loro gente - ci sono tanti cinesi in Tibet - non per i tibetani. I tibetani hanno perso il loro lavoro e molti sono ancora in prigione. Quella cinese, dunque, è solo un'enorme propaganda. Del resto, tutti lo sanno e, soprattutto durante i giochi olimpici, il Governo cinese ha voluto mostrare quello che è veramente.
Alla sua domanda, dunque, rispondo che tutto quello che viene detto è propaganda, ma la propaganda non è realtà.

ANTONIO RAZZI. Vorrei congratularmi con la Commissione affari esteri per l'incontro di questa mattina con il presidente Chime Yungdrung. Ascoltando il suo discorso, ho ammirato il coraggio che l'ha spinto a voler vedere la sua terra. Questo è un diritto di tutti.
Ho avuto la possibilità e l'onore di incontrare, per tre volte, il Dalai Lama. Ammiro persone come loro, perché danno tutto per la propria patria.
Infine, una domanda: com'è il rapporto con la vicina Cina e, soprattutto, con Taiwan? Lo chiedo perché farò parte di una delegazione italiana che a dicembre visiterà questo Paese.

CHIME YUNGDRUNG, Presidente del National Democratic Party of Tibet. Non abbiamo relazioni politiche con Taiwan. Abbiamo relazioni con molti abitanti di Taiwan, che vengono due volte all'anno a Dharamsala, in enorme numero, per incontrare il Dalai Lama. Abbiamo, dunque, uno scambio di insegnamenti religiosi, poiché anche loro sono buddhisti.
Sul piano politico, a Taiwan vi sono un rappresentante governativo, una delegazione del Congresso dei giovani tibetani e alcune organizzazioni non governative, che stanno operando molto bene. Tuttavia, non possono pensare di ottenere grandi risultati perché molte limitazioni sono dovute alla normativa vigente, che impedisce loro di operare per la questione tibetana.
Anche a Taiwan si è protestato molto in favore del Tibet. A Dharamsala ho incontrato molti cittadini di Taiwan, che ci hanno espresso il loro sostegno e il loro impegno per la questione tibetana.
La nostra organizzazione non ha una sede, né filiali ufficiali né rappresentanze a Taiwan, ma siamo in contatto per portare avanti una causa comune. Questo è lo stato delle nostre relazioni. Sul piano politico non c'è una stretta connessione, ma stiamo cercando di stringere i nostri rapporti con gli abitanti di Taiwan.

MATTEO MECACCI. Vorrei esprimere una considerazione di carattere generale che riguarda il ruolo del Comitato sui diritti umani e della Commissione affari esteri. Rispetto alla situazione in Cina e in Tibet dobbiamo evidenziare un paradosso. Da un lato, assistiamo al crescente coinvolgimento della Cina nelle relazioni internazionali ed economiche, alla crescente interdipendenza e assunzione di responsabilità di questo Paese all'interno della comunità internazionale; dall'altro lato, in un momento in cui la Cina dovrebbe mostrare apertura e integrazione con il mondo e con le regole internazionali, emerge invece un indurimento sulle questioni come quella tibetana, degli uiguri o di Taiwan.
Credo che questo dipenda dal fatto che il Governo cinese, avendo perso come trait d'union l'ideologia comunista, sta recuperando nel nazionalismo un filo ideologico per tenere insieme il Paese.
Avere consapevolezza di questo aspetto è molto utile per noi parlamentari e per il nostro Governo, per capire come fare in


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modo che questo grande Paese, che ha un'importanza sempre maggiore a livello internazionale, diventi davvero responsabile.
Come Commissione affari esteri abbiamo approvato, lo scorso luglio, una risoluzione sulla questione specifica delle Olimpiadi e, più in generale, sulle relazioni del nostro Governo con la Cina, con un accento particolare sulla questione dei diritti umani.
Chiedo al presidente Yungdrung se può fornirci dei dati aggiornati relativamente alla situazione dei diritti umani in Cina: ad esempio, quante sono le persone che sono state condannate, arrestate, quante sono morte e quante sono rimaste ferite a seguito delle manifestazioni dello scorso marzo. Come Commissione affari esteri potremmo tornare a chiedere (in forma di interrogazione o di atto di indirizzo) al nostro Governo di intervenire su questo tema, magari offrendo un sostegno diretto ai movimenti - non necessariamente solo quello del presidente Yungdrung - che operano in India, in una società democratica, nel rispetto della legge, secondo i princìpi della non violenza, per la promozione dei diritti umani. Se la nostra cooperazione allo sviluppo ha un senso, certamente è anche quello di favorire lo sviluppo democratico nei Paesi in cui si opera. Si potrebbero utilizzare risorse economiche, anche per attività di formazione che potrebbe svolgersi in Italia, per sostenere i gruppi organizzati - come quello rappresentato in questa sede - che, a mio avviso, rappresentano per il Tibet ma anche per la Cina la migliore speranza di costruire una società migliore di quella attuale.
Chiedo al presidente Yungdrung, dunque, se può fornirci alcuni dati sulla situazione delle violazioni dei diritti umani all'interno del Tibet.

PRESIDENTE. Non essendovi altre richieste di intervento, chiederei al presidente Yungdrung, nel rispondere a questa domanda, di concludere, sapendo che per noi è stata una testimonianza molto importante e che persino quelli di noi che pensano e credono di sapere molto del Tibet questa mattina hanno potuto imparare qualcosa.
Grazie per la risposta conclusiva.

CHIME YUNGDRUNG, Presidente del National Democratic Party of Tibet. All'interno del Tibet questo è il momento non tanto delle uccisioni quanto della condanna di coloro che sono in carcere.
Alcuni tibetani vengono rilasciati dalla polizia ma, dopo il rilascio, continuano a essere spiati perché si vuole mantenere un controllo sulla loro attività all'interno del Tibet. Non conosco cifre esatte, ma è noto che quaranta persone sono state condannate dalla polizia cinese e lasciate in carcere. Le condanne sono state, ovviamente, di portata diversa (dieci o quattordici anni). Questo avviene all'interno del Tibet.
Fuori dal Tibet, invece, è in corso un dibattito acceso in vista della nostra riunione nazionale straordinaria. I tibetani si attendono dei cambiamenti. Per questo motivo, di recente abbiamo avuto un grande dibattito pubblico a Dharamsala. Molti tibetani vi hanno partecipato e hanno espresso i loro pareri. Anche i più giovani si attendono un approccio nuovo, improntato all'indipendenza. Credo che siano stanchi dell'approccio della «via di mezzo».
Non sappiamo ancora se la nostra politica cambierà o meno. Attendiamo prima lo svolgimento e la conclusione di questa riunione straordinaria. Ci aspettiamo una massiccia affluenza di rappresentanti della popolazione tibetana e di membri del Parlamento.
È dell'altro ieri una dichiarazione del Governo cinese che considera fallito il dialogo, addossando la colpa solo al Dalai Lama. Ma io non sono convinto che ciò sia vero. Sua Santità il Dalai Lama ha sempre detto, prima della dichiarazione del Governo cinese, che stava venendo meno la sua fiducia nel Governo cinese, e ora sono i cinesi a dire che il dialogo è fallito.
La cosa importante è pensare alla via che bisogna seguire. Cosa occorre adesso per una vera autonomia? Io penso a una


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genuina autonomia. Abbiamo tre province per le quali i cinesi, nella loro dichiarazione, hanno parlato di indipendenza e semi-indipendenza. Io credo che la semi-indipendenza coincida con la genuina autonomia, ma i cinesi non la concederanno mai. E allora come si può pensare a un buon esito del dialogo?
Adesso dobbiamo fare noi un passo avanti, altrimenti i cinesi non faranno nulla. I tibetani devono fare qualcosa, è il loro dovere. Alcuni sostenitori dei Tibetani sono a favore dell'approccio della «via di mezzo», altri vogliono invece l'indipendenza.
Credo che prima si debba chiarire quali sono i punti sui quali bisogna lavorare per il Tibet. Abbiamo bisogno di un sostegno esterno e vi chiediamo un aiuto incessante perché questo è un momento critico e cruciale. Anche in passato abbiamo ricevuto sostegno, ma ne abbiamo bisogno anche per il futuro.
È per questo che la ringrazio, signor presidente, per avermi dato la possibilità di parlare in questa sede e ringrazio tutti voi per avermi ascoltato.

PRESIDENTE. Siamo noi a ringraziare lei, signor Yungdrung. Può contare, nei limiti della nostra azione parlamentare, sul fatto che abbiamo ricevuto in pieno le indicazioni, i racconti, le testimonianze, la rappresentazione del problema che lei oggi ha voluto farci e che diventa parte della nostra memoria, sia dal punto di vista della registrazione nei nostri atti, sia dal punto di vista delle intenzioni di coloro che l'hanno ascoltata.
Comunico ai colleghi che per domani mattina alle 8,30 è prevista una riunione di questo Comitato per parlare di cosa vogliamo fare. Vi prego di essere presenti.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,30.

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