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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione V
4.
Giovedì 12 aprile 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Occhiuto Roberto, Presidente ... 2

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'INDIVIDUAZIONE DI INDICATORI DI MISURAZIONE DEL BENESSERE ULTERIORI RISPETTO AL PIL

Audizione del Capo del settore statistico dell'OCSE, Martine Durand:

Occhiuto Roberto, Presidente ... 2 6 12
Duilio Lino (PD) ... 6
Durand Martine, Capo del settore statistico dell'OCSE ... 2 7 9 10 12
Marchi Maino (PD) ... 10
Nannicini Rolando (PD) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE V
BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 12 aprile 2012


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO OCCHIUTO

La seduta comincia alle 14,05.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Capo del settore statistico dell'OCSE, Martine Durand.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'individuazione di indicatori di misurazione del benessere ulteriori rispetto al PIL, l'audizione del Capo del settore statistico dell'OCSE, Martine Durand, che ringrazio per aver accettato il nostro invito.
Do la parola a Martine Durand, che ha portato della documentazione a supporto della sua relazione, ringraziandola ancora per il suo contributo, molto atteso dalla nostra Commissione.

MARTINE DURAND, Capo del settore statistico dell'OCSE. Innanzitutto vi ringrazio di questa occasione che mi consente di dar conto del lavoro svolto dall'OCSE sulle misure del progresso e del benessere.
Nell'incontro odierno vorrei prima presentare quanto abbiamo fatto e poi sarò ovviamente disponibile per rispondere alle domande.
Dico subito qualcosa che può apparire scontato, ma che, comunque, è la motivazione a monte del lavoro dell'OCSE. Abbiamo preso le mosse dalla consapevolezza che mentre il PIL è l'ordine di grandezza fondamentale per orientare le attività macroeconomiche e misurare la produttività, la domanda di occupazione, non è però una valida unità di misura del benessere delle persone, anzi a volte è in contrasto con quella che può essere l'esperienza personale della gente. Ad esempio, anche prima della crisi che ancora stiamo attraversando, la maggior parte delle persone in realtà viveva in Paesi con un'alta crescita del PIL, ma non ne traeva alcun beneficio; i vantaggi della crescita, dunque, non erano distribuiti in modo da portare benefici a gran parte della popolazione, quindi si creava un divario tra i dati delle statistiche macroeconomiche - un elevato sviluppo economico - e l'esperienza quotidiana della gente, ad esempio relativamente al potere d'acquisto, all'occupazione e alla disoccupazione. Pertanto, l'idea che il PIL possa misurare il benessere personale è un'idea fallace.
In realtà, il PIL non è nato come indicatore del benessere. Se n'è parlato in passato perché si riteneva che se il PIL fosse cresciuto tutti si sarebbero sentiti meglio; abbiamo visto, però, durante la crisi e anche prima della crisi, che in realtà questo non è vero. È in questo contesto che l'OCSE, ma non solo l'OCSE, ha ritenuto di elaborare indicatori complementari al PIL. Non intendiamo - voglio sottolinearlo - sostituire, bensì integrare il PIL con una serie di indicatori del


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benessere più ampi. Tuttavia, misurare il benessere va al di là del PIL, anche per quanto riguarda gli aspetti concettuali: misurare il benessere significa mettere a confronto dei giudizi di valore. Che cosa è importante? Cosa conta? A cosa do valore? In questo caso, noi dobbiamo passare dal valore della misura (quindi misurare il PIL, il reddito) alla misura del valore, ossia misurare le cose che sono importanti. Ma questo implica un giudizio di valore, il che rende la misurazione difficoltosa. Tornerò su questo punto tra poco.
Prima di entrare nel dettaglio delle iniziative dell'OCSE, vorrei chiarire che noi siamo un'organizzazione internazionale, quindi seguiamo da vicino gli sviluppi nei vari Paesi. La questione di andare al di là del PIL è prioritaria a livello internazionale. Già nel 2009 il Presidente Sarkozy ha istituito la cosiddetta «Commissione Stiglitz», che ha prodotto un'importante relazione sulla misurazione del benessere e il progresso sociale.
A livello dell'Unione europea c'è stata una comunicazione sul PIL, «Al di là del PIL», e anche nell'Agenda 2020 si parla di trascendere il PIL. A livello di G20 i leader hanno sottolineato più volte che bisogna misurare altri indicatori al di là delle attività economiche, soprattutto di tipo ambientale e sociale.
Sono appena tornata da New York e, a livello di Nazioni Unite, è stata adottata una risoluzione presentata dal Bhutan, un piccolo Paese dell'Himalaya vicino all'India, che ha messo a punto un indice della felicità nazionale. Sulla base di questa risoluzione presentata dal Bhutan e avallata da tutti i Paesi dell'ONU, si richiede un nuovo approccio olistico allo sviluppo, in cui il benessere sia veramente al centro. Questa risoluzione, in realtà, va al di là del concetto di benessere: si parla addirittura di «felicità», un concetto ancor più complesso.
Scendiamo adesso al livello nazionale, laddove vi è una serie di iniziative che attualmente sono in fase di realizzazione. La nuova strategia di crescita del Governo giapponese pone il benessere al cuore della nuova strategia; poi vi è la Corea del sud, e anche la Cina sta mettendo a punto un indice della vivibilità, che abbraccia molti altri indicatori al di là del PIL.
Altri Paesi, tra cui ad esempio anche l'Italia, hanno avviato consultazioni e indagini conoscitive. Conoscete la situazione australiana e so che c'è stata un'audizione sulla misurazione del progresso australiano; consultazioni simili sono state predisposte in Spagna, in Lussemburgo e anche il Primo Ministro britannico Cameron ha avviato un processo di consultazioni e credo che anche il CNEL, in Italia, si sia attivato.
Vi sono anche Paesi che hanno istituito Commissioni parlamentari ad hoc, quindi sono molto lieta di poter illustrare a questa Commissione della Camera dei deputati quanto abbiamo fatto, ricordando che ci sono Commissioni parlamentari sul benessere e sulla sostenibilità in Germania, Danimarca, Norvegia. In Francia, c'è un fervore di attività per sviluppare nuovi indicatori. A livello del sistema statistico dell'Unione europea, sono state presentate cinquanta raccomandazioni volte a migliorare il sistema statistico per attuare la relazione Stiglitz. Dunque, c'è un grande fermento in tutto il mondo, non soltanto in Italia.
Tracciato il contesto generale, vorrei entrare nel dettaglio dell'attività dell'OCSE. Enrico Giovannini, che è stato il mio predecessore all'OCSE ed è l'attuale presidente dell'Istat, è il padre di questa iniziativa. Il lavoro è iniziato dieci anni fa. Sotto l'impulso di Giovannini abbiamo organizzato tre riunioni a Palermo, a Istanbul e a Busan in Corea del sud per lanciare un progetto globale sulla misurazione del progresso sociale. Tali iniziative, in realtà, avevano la funzione di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di andare oltre il PIL, ma non si sono tradotte in dati concreti.
L'anno scorso, invece, abbiamo lanciato l'iniziativa «Better Life», «vita migliore», titolo della mia presentazione, con lo scopo di andare al di là della bussola, cioè il PIL, e passare dalla bussola a un sistema GPS che dà ovviamente una visione molto


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più dettagliata e una batteria di indicatori che ci danno un'immagine più completa della società. Quindi è un sistema informativo che va al di là del mercato, al di là del PIL, ma anche al di là dei dati medi, delle medie. Non vogliamo guardare i risultati medi per la popolazione, vogliamo vedere quello che succede nei diversi segmenti della società, quali sono i gruppi sociali più svantaggiati, quali sono i gruppi per i quali è necessario l'intervento del Parlamento, il vostro intervento. Andiamo anche oltre l'hic et nunc, perché va bene migliorare il benessere oggi, ma ovviamente non a spese del domani. Dobbiamo anche pensare alle generazioni future. Oggi, infatti, potremmo migliorare il nostro benessere materiale, ma provocando danni ambientali o erodendo il capitale sociale. Dobbiamo, invece, pensare anche al domani.
L'iniziativa «per una vita migliore» è stata avviata l'anno scorso, basandosi sul lavoro svolto negli anni precedenti, ma iniziando a misurare le cose che contano di più nella vita delle persone, con due componenti. Il rapporto «How's life?» («Come va la vita?», di cui ho qui una copia per voi) mette a confronto lo stato del benessere in 34 Paesi OCSE e in alcune economie emergenti. Riteniamo importante dare diffusione a questo metodo e abbiamo creato uno strumento interattivo basato su Internet, «Your better life index» che vi mostrerò a breve.
Quando abbiamo festeggiato il cinquantesimo anniversario dell'OCSE, l'anno scorso, abbiamo lanciato uno slogan: politiche migliori per una vita migliore. Come responsabile del settore statistico e di questo progetto, io ho proposto di aggiungere «misurazioni migliori per politiche migliori per una vita migliore», ma mi rendo conto che sarebbe stato uno slogan un po' prolisso. Quindi, il benessere è al centro della nostra attenzione: il benessere delle persone, delle famiglie, non l'economia, non il prodotto nazionale lordo; i risultati, non gli «input», non gli «output» o i fattori di produzione. Insomma, non basta sapere quanto si spende per la scuola e per la sanità; è importante sapere se la gente gode di buona salute o se gli studenti usufruiscono di una istruzione valida, di alta qualità. È necessario misurare anche le diseguaglianze, la distribuzione, oltre ai dati medi.
C'è anche un aspetto nuovo: non vogliamo concentrarci soltanto su misurazioni oggettive, dove siamo bravi, ma anche sugli aspetti soggettivi del benessere. Quindi, si tratta di interpellare le persone direttamente.
Qual è il quadro complessivo? Abbiamo definito il benessere oggi, hic et nunc, con due settori principali: da un lato, la qualità della vita, dall'altro le condizioni di vita materiali. Dal punto di vista della qualità della vita, abbiamo una serie di dimensioni: la salute, l'equilibrio vita-lavoro, l'istruzione e le competenze, i rapporti sociali, l'impegno civico e la governance, le istituzioni, la qualità dell'ambiente, la sicurezza personale e il benessere soggettivo. Per quanto riguarda le condizioni di vita materiali, abbiamo considerato reddito e ricchezza, lavoro e guadagno, alloggio.
Pensando al domani, nel riquadro in basso, guardando la documentazione, possiamo vedere la sostenibilità del benessere nel tempo, che rende necessario preservare diversi tipi di capitale, non soltanto quello finanziario ed economico, ma ovviamente l'ambiente, il capitale umano e il capitale sociale. Questo quadro si basa in larga misura sul rapporto Stiglitz.
Una volta definite queste dimensioni, abbiamo individuato alcuni indicatori in grado di misurare nel modo migliore possibile e di darci informazioni su quanto avviene nei diversi Paesi dell'OCSE. Non è stato facile dal punto di vista statistico, perché ci sono alcuni indicatori agevoli, maneggevoli, altri più difficili. Come organizzazione internazionale, noi volevamo avere informazioni comparabili su vari Paesi e relative a tutti i Paesi, quindi abbiamo dovuto circoscrivere il numero di indicatori disponibili. Abbiamo lavorato di concerto con gli istituti statistici dei diversi Paesi dell'OCSE e abbiamo elaborato una serie di indicatori che trovate nel rapporto «Come va la vita?» («How's life?»).


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Ho parlato di queste dimensioni estrapolate in larga misura dal rapporto Stiglitz. È interessante vedere che ci sono iniziative a livello nazionale, in diversi Paesi. Le dimensioni sono più o meno le stesse nei diversi Paesi, quindi c'è un'ampia convergenza sulla percezione di ciò che conta nella vita delle persone. Nel Regno Unito, ad esempio, hanno svolto un'ampia consultazione a livello nazionale, che si basa sulla domanda «Che cosa è importante nella tua vita?», e sono emerse le stesse dimensioni. Anche in Italia, credo, gli esiti saranno più o meno gli stessi.
Riporto un esempio dei risultati riscontrati. Il grafico che vedete nella documentazione può apparire complesso, ma ve lo illustrerò in modo semplice. Abbiamo visto i risultati nei diversi Paesi a fronte degli indicatori e delle diverse dimensioni. Abbiamo selezionato due indicatori per ogni dimensione, quindi undici dimensioni e ventidue indicatori. I Paesi con la luce rossa sono quelli con i peggiori risultati e costituiscono il 20 per cento; la luce verde indica i Paesi che hanno i migliori risultati e la luce gialla quelli che stanno nel mezzo. Abbiamo collegato le luci rosse e le luci verdi e abbiamo visto che nessun Paese ha i risultati migliori per tutte le dimensioni. Ci sono undici luci verdi per Australia e Canada, la Danimarca ne ha dieci, ma su un totale di ventidue dimensioni, quindi su alcune dimensioni non hanno raggiunto i risultati migliori. L'Italia è nella media dell'OCSE: non va né molto bene in alcuna dimensione né molto male in alcuna dimensione.
Vediamo ora quali sono i punti di forza e i punti deboli nei diversi Paesi. Abbiamo tracciato undici dimensioni, da reddito e ricchezza a lavoro e guadagno e così via, come vedete nel grafico, normalizzando i punteggi, e vediamo che l'Italia è in rosso; di nuovo l'Italia è abbastanza in mezzo, a fronte della Germania e della Spagna. La Spagna va abbastanza bene per alcune dimensioni e molto meno per altre, mentre l'Italia si trova più o meno al centro per quasi tutte le dimensioni, tranne alcune: per la sanità è in una posizione un po' migliore della media, ma non per la scuola, non per i rapporti sociali, né per l'occupazione. Su questi aspetti magari torneremo tra breve.
Questa tabella ci consente di considerare i punteggi dei diversi Paesi. Si tratta di un raffronto utile, ma - lo ripeto - questa analisi è complementare rispetto alle analisi svolte a livello nazionale, perché in una data nazione possono esservi altre dimensioni rilevanti. Qui, però, abbiamo una base di raffronto tra i diversi Paesi e credo possa essere utile per tutti. I singoli Paesi potranno inserire o togliere ulteriori dimensioni, ma questa base analitica ci consente un primo raffronto.
Abbiamo chiesto cosa è importante per la gente, come possiamo coinvolgere la pubblica opinione. Ovviamente a livello nazionale è possibile avere delle consultazioni, mentre per l'OCSE è difficile, poiché i Paesi membri sono troppi. Abbiamo dunque creato un sito wiki, Wikiprogress, che contiene tutte queste informazioni; è condivisibile con tutti, le persone possono inserire, commentare, poiché vi è un blog, oltre allo strumento web tool interattivo di cui ho appena parlato. Tale strumento si chiama «Il tuo indice per una vita migliore». Abbiamo deciso di lasciare aperto questo indicatore, perché ovviamente ci sono tante dimensioni da aggregare per un indicatore singolo. Non crediamo che l'OCSE si possa arrogare il diritto di creare un indice unico, che può variare a seconda del periodo considerato, dei Paesi, dunque permettiamo alle persone di creare il proprio indice. Ogni fiore rappresenta un Paese, ogni petalo una dimensione, la dimensione del petalo rappresenta i risultati raggiunti dal Paese in quella dimensione. A destra vediamo un menu che ci consente di ponderare le diverse dimensioni. Una volta scelti i fattori di ponderazione, ovviamente si può comporre un indice. Vi incoraggio a visitare il sito; giocate con questo strumento che vi consente di comporre un indice modulare.
Abbiamo utilizzato i fattori di ponderazione e abbiamo ottenuto questo diagramma. Per tutte le persone che hanno


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visitato il sito e hanno creato un proprio indice la soddisfazione della vita ha il valore più elevato, poi vengono la salute, la scuola, l'ambiente, l'equilibrio vita-lavoro. Il reddito, come vedete, è quasi all'ultimo posto. Dunque, le persone sono interessate più ad altre cose che al reddito. Questo vale per tutti i Paesi.
Per quanto riguarda i risultati per l'Italia, la prima dimensione è la salute. Gli italiani che hanno visitato il sito ritengono che la salute sia la cosa più importante, poi la scuola, l'ambiente, il lavoro, l'equilibrio vita-lavoro e la soddisfazione esistenziale.
In Italia con riferimento alla salute va un po' meglio che negli altri Paesi, come abbiamo già detto; i risultati dell'Italia, però, non sono buoni per quanto riguarda l'istruzione, mentre la gente ritiene che l'istruzione sia importante. Questa è un'informazione preziosa per la politica, perché questo dice qualche cosa al Parlamento su dove mettere gli accenti e le priorità. Con riferimento all'ambiente l'Italia si trova nella media e l'ambiente è anche importante per la popolazione. Anche il lavoro e l'occupazione sono molto importanti; in Italia il tasso di occupazione è più basso della media OCSE e la disoccupazione giovanile più alta rispetto alla media OCSE. Si tratta di una dimensione molto importante per gli italiani, quindi forse a questo aspetto bisognerebbe annettere una maggiore priorità. Anche questa è un'informazione importante per la politica.
Prima di rispondere alle vostre domande, vi illustro cosa abbiamo nell'agenda dell'OCSE. Ci sono alcuni dati più facili da misurare rispetto ad altri, quindi dobbiamo migliorare la nostra attività di raccolta di dati statistici di concerto con gli istituti statistici nazionali, per quanto riguarda il benessere soggettivo, la ricchezza, la governance, e così via. C'è tuttavia un altro aspetto, ancora più importante: è necessario cercare di garantire che questi indicatori sottendano delle scelte politiche, e vi mostrerò un esempio al riguardo, e influenzino anche la fissazione e la definizione di priorità nei diversi Paesi.
Noi abbiamo operato a livello internazionale mettendo a confronto i Paesi, finora, ma adesso vorremmo scendere un po' più nel dettaglio e approfondire l'analisi per i singoli Paesi, al fine di avere uno strumento diagnostico da mettere a disposizione della politica, del Parlamento, segnatamente nei Paesi in cui è richiesto maggiore impegno. Alcuni Paesi, come l'Australia, la Nuova Zelanda e il Regno Unito, hanno già intrapreso questa strada, e noi vogliamo andare avanti in questa direzione. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio il capo del settore statistico dell'OCSE per la sua relazione e per il documento che ci ha voluto fornire.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

LINO DUILIO. Ho chiesto di parlare subito poiché, a causa della sovrapposizione dei lavori di un'altra Commissione, dovrò assentarmi e me ne scuso. Tenevo, tuttavia, a intervenire su questa questione che noi riteniamo molto importante, ed è questa la ragione per la quale abbiamo avviato una serie di approfondimenti, sulla base peraltro di un'idea di un collega - mi piace dirlo in questa sede, magari ci sta ascoltando - che è assente per ragioni di salute e che saluto.
Vorrei porre alcune brevi domande. Lei, un po' giocando con le parole - lo dico evidentemente nel senso buono - ha affermato che bisogna passare dal valore della misura alla misura del valore. Sostanzialmente, si tratta di misurare il valore affinché si possano integrare gli elementi che oggi concorrono a definire questa grandezza che la fa da padrona - come lei sa, da noi si chiama «prodotto interno lordo» - con altri elementi che possano farla diventare meno grezza, meno arida, forse un po' meno cinica.
La mia domanda, però, è questa: si può misurare il valore? Si può assumere come parametro di riferimento una grandezza che, sulla base anche di quello che lei diceva alla fine, vede - per ragioni di


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costume, di cultura, ragioni diverse che non sto qui a enumerare - le diverse realtà nazionali attribuire magari a uno stesso cespite un valore diverso?
In Italia la salute è al primo posto e perfino una canzone recita «basta la salute e un paio di scarpe nuove per girare tutto il mondo». In un altro Paese magari si può avere un'idea diversa, ma ci sono elementi culturali che determinano l'individuazione di un valore. Questo evidentemente può anche portare, in una graduatoria all'interno del singolo Paese, alla possibilità di stabilire una gerarchia, ma rende molto problematico, o quasi impossibile, utilizzare quell'indice per una comparazione tra Paesi, perché sappiamo bene che le comparazioni vanno fatte sulla base di un quadro comparativo omogeneo, non eterogeneo.
Condivido quanto lei dice, anche per ragioni etiche, in quanto, secondo me, sottesa a questo discorso c'è l'ambizione di dare un'anima all'economia, con qualcosa che non sia misurato semplicemente dal prezzo di ciò che si scambia, poiché alcune cose non si scambiano. Tuttavia, secondo me la questione è molto complicata, ed è una delle ragioni per cui ne stiamo parlando da cinquant'anni, complessivamente, e pur avendo fatto passi in avanti, c'è ancora molta strada da percorrere.
La seconda domanda è di ordine più tecnico e statistico - chiedo scusa se, non essendo uno statistico, inciamperò sul problema - e nasce da alcune precedenti audizioni. Molte delle questioni che determinano l'attuale complicazione, in termini di misurazione, e anche il carattere un po' rozzo di alcuni indici, non derivano dal fatto che si assume il valore medio anziché il valore mediano come elemento di riferimento per misurare le grandezze? Dunque, ci si sofferma su un dato di sintesi, che è il valore medio, anziché sugli elementi che sono all'interno della distribuzione, che sono molto più corretti per elaborare l'indice di un determinato fenomeno e la sua quantificazione, che sia assumibile statisticamente in termini più corretti. Grazie.

MARTINE DURAND, Capo del settore statistico dell'OCSE. Lei ha ragione, effettivamente è molto complesso. Come dicevo all'inizio, quando si avvia un progetto come questo si vuole arrivare a dei dati; ovviamente se ne può parlare tanto, si possono indicare valori, ma quando si passa alla misurazione, all'inserimento di un dato o di un numero, diventa tutto molto più complesso, proprio per queste considerazioni che chiamerei filosofiche, di valore.
In realtà si è parlato di indice, ma noi non vogliamo produrre un indice aggregato; noi vogliamo presentare uno strumentario che contiene diverse dimensioni, non un indice composito, ma una serie di dimensioni da comporre. Quando si avvia una consultazione di questo tipo, in Australia o nel Regno Unito, si chiede alle persone cosa conta di più nella loro vita; si pone una domanda molto aperta, senza a questo punto attribuire un fattore di ponderazione. Tuttavia, le dimensioni che emergono sembrano essere universali, ovviamente nell'ambito dei Paesi sviluppati; se interpellassimo la gente nei Paesi in via di sviluppo i risultati potrebbero essere diversi, ma nei Paesi OCSE più o meno le dimensioni sono le stesse. Ovviamente, a livello di singolo Paese i fattori di ponderazione possono essere diversi: abbiamo visto che in Italia al primo posto è la salute, mentre in altri Paesi è la scuola. Per questo è importante che in ciascun Paese, e collettivamente anche nell'ambito delle consultazioni avviate nei singoli Paesi, si consideri quello che conta per la società. Questa è una base informativa, non è un indice aggregato.
Naturalmente diverse culture porteranno ad attribuire diversi fattori di ponderazione alle diverse dimensioni. Si è anche parlato, in vari Paesi, di misurare la felicità. C'è un nuovo filone di indagine economica da parte di illustri studiosi che parlano della felicità, dell'economia della felicità, ma questo diventa estremamente difficile. Noi non abbiamo voluto imboccare questa strada.
Quello che abbiamo fatto dà risultati piuttosto omogenei. Se si vuole scendere a


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livello nazionale il quadro diventa ancora più omogeneo, ma quello che è importante per voi è capire cosa sta a cuore della gente nel vostro Paese, ad esempio in Italia, in Francia, e così via. Un raffronto è possibile, poiché gli indicatori sono obiettivi. Ad esempio, se vogliamo misurare lo stato di salute in Francia e in Italia, lo si può fare; se vogliamo paragonare i risultati raggiunti dai sistemi educativi e scolastici ci sono degli strumenti che consentono questo confronto. Se l'istruzione è importante nel vostro Paese e l'Italia non ha risultati eccellenti, si può guardare quali politiche negli altri Paesi hanno consentito di migliorare i risultati.
Gli indicatori che abbiamo scelto sono indicatori obiettivi, che consentono la misurazione e il confronto. Siamo stati molto attenti nel selezionare indicatori comparabili con gli stessi concetti, con statistiche standardizzate che sottendono questi indicatori. Abbiamo escluso gli indicatori che non consentivano il confronto. Certo, le culture sono diverse, ci sono istituzioni diverse, e questa è ovviamente una dimensione complementare rispetto al lavoro svolto nei singoli Paesi, dove c'è un maggiore livello di omogeneità.
Quanto alla differenza tra medio e mediano, lei ha perfettamente ragione. Noi non ci limitiamo a guardare il valore medio, ma guardiamo anche la distribuzione. Questo è quello che conta. Se consideriamo il reddito, abbiamo il reddito medio, ma questo non ci consente di vedere l'1 per cento rispetto al 99 per cento; noi sappiamo bene che negli ultimi anni, anche prima e durante la crisi, c'è stata una crescita del reddito per l'1 per cento al vertice e c'è stata, invece, una contrazione per il ceto medio e per la parte ancora inferiore, con grossi problemi politici in tutti i Paesi. I movimenti degli «indignati» fioriscono in tanti Paesi. Per il momento noi non siamo in grado di produrre, nei Paesi dell'OCSE, un dato del reddito mediano nei diversi Paesi. I dati non sono disponibili; abbiamo avviato un progetto per andare oltre il reddito medio e per avere anche il reddito mediano, grazie a un coefficiente di distribuzione.
Lei ha dunque perfettamente ragione, ma per 34 Paesi oggi non abbiamo la necessaria base informativa. Se vogliamo allargare lo sguardo per abbracciare il settore della governance, le cose si fanno ancora più complesse, perché la distribuzione a questo punto non si limita al reddito, ma dobbiamo vedere la distribuzione incrociata, cioè le persone che si trovano nella fascia più bassa del reddito, dell'istruzione, della salute, quindi con svantaggi che si cumulano, e questo richiede di spingerci fino a microdati individuali.
Sono sicura che l'ISTAT e Giovannini lo faranno per l'Italia, ma per l'OCSE è difficile, per questioni di riservatezza, di privacy, utilizzare i dati individuali. Per vedere quali sono le persone per le quali si cumulano tutti questi svantaggi dovremmo avere l'autorizzazione di accedere a questi dati in 34 Paesi; un'autorizzazione che per il momento noi non abbiamo. Stiamo lavorando, incoraggiamo i Paesi a farlo nel proprio interno, poiché alcuni di essi hanno questi dati e ci consentono anche di accedervi. A quel punto, sarà possibile anche un raffronto a livello internazionale.
Lei ha perfettamente ragione quando afferma che il PIL è un dato medio, ma è insufficiente; esso ci consegna questo dato, ma non sappiamo chi ne trae vantaggio.

ROLANDO NANNICINI. Grazie, dottoressa. Non invidio il suo lavoro perché comprendo come sia difficile avere a disposizione i dati in Italia e in Europa. Avverto una difficoltà in tal senso. Dovremmo forse lavorare tutti perché ci siano direttive europee precise in modo che i Paesi dell'Unione europea partecipino molto di più a queste ricerche che sono essenziali.
Vorrei richiamare un tema che lei ha sollevato: generazioni future e sostenibilità del benessere nel tempo. Sappiamo che sono stati svolti, sia dal Fondo monetario internazionale sia da alcuni studiosi europei, fra i quali Andreas Rees della Unicredit Bank di Monaco di Baviera, studi sul tema degli impegni impliciti e del


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calcolo del rapporto PIL-debito complessivo degli Stati. Da tali studi, in particolare quelli del Fondo monetario internazionale - che analizzano il debito complessivo tenendo conto anche del debito implicito, ossia della spesa che graverà sulle future generazioni, trattando quindi il tema dell'hedge dependence, un tema grosso per i Paesi occidentali - emerge per l'Italia un livello del debito implicito pari al 169 per cento del PIL, mentre per il Regno Unito, leggo, è pari al 335 per cento e per gli Stati Uniti addirittura al 495 per cento.
Lo studio condotto da Andreas Rees attesta il debito complessivo dell'Italia al 146 per cento del PIL, quello della Germania al 193 per cento e quello della Francia al 338 per cento.
Ora, queste sono le cifre relative al calcolo del debito che tiene conto non solo del debito finanziario, ma anche degli impegni successivi, che nasce dallo studio di Laurence Kotlikoff, economista bostoniano. Ecco, io cito questi studi perché sono italiano e mi fa piacere leggere alcuni dati positivi per il mio Paese - mentre provo dispiacere nel leggere il dato relativo all'istruzione laddove siamo ben ultimi, sebbene nell'istruzione primaria i dati siano più o meno nella media - ad esempio per la sanità, in quanto la riforma nata negli anni Ottanta è stata molto importante.
Il tema di fondo è come l'OCSE si confronta su questo elemento degli impegni successivi, che è veramente interessante perché dà un quadro della sostenibilità del benessere nel tempo.
Si sa che Kotlikoff è un po' «fissato» sul rapporto generazionale, ma è interessante anche riportare questi aspetti. Grazie.

MARTINE DURAND, Capo del settore statistico dell'OCSE. Si tratta senz'altro di aspetti di grandissima importanza, ma anche elementi che ci preoccupano e sui quali lavoriamo.
So che avete incontrato il dottor Padoan, il nostro capo economista, e abbiamo anche delle raccomandazioni per quanto riguarda il ritmo del risanamento finanziario nei diversi Paesi per la riduzione delle posizioni debitorie. Non basta, però, guardare i prossimi due o tre anni; dobbiamo guardare al di là. Lei ha perfettamente ragione per quanto riguarda queste obbligazioni che dipendono da una serie di fattori anche futuri, ad esempio il sistema pensionistico, che può essere riformato, e via dicendo; le cose potranno anche migliorare, però dobbiamo considerare cosa succederebbe, a regole invariate, anche per le generazioni future.
Abbiamo lavorato su questi elementi, anche per migliorare la nostra base informativa, e abbiamo anche emanato raccomandazioni molto incisive su come operare per ridurre l'onere che sosterranno le generazioni future. C'è il debito finanziario, ma c'è anche il debito ambientale, e lei ha parlato anche dell'invecchiamento demografico, di cui ci occuperemo con attenzione (verrà anche prodotto uno studio apposito). Stiamo studiando, altresì, l'aspetto relativo all'istruzione e stiamo cercando di quantificare il valore del capitale umano. L'invecchiamento demografico e l'investimento nell'istruzione porteranno a un esaurimento, a un'erosione del capitale umano, in molti Paesi, poiché alcuni Paesi non investono abbastanza nell'istruzione.
Vi sono, dunque, una serie di voci debitorie che, se le cumuliamo per le generazioni future, fanno si che noi non lasciamo in eredità un bel mondo ai nostri figli e ai nostri nipoti. Io non ho avuto il tempo di presentarvi il lavoro che abbiamo svolto sulla sostenibilità, ossia sul benessere sostenibile. Proprio di questi temi ci stiamo occupando, per quanto riguarda sia le passività finanziarie sia le passività ambientali, ma anche il capitale umano e il capitale sociale. È importante considerare il modo in cui le società si sono andate evolvendo in alcuni Paesi, ed è interessante vedere quello che succede. Se pensiamo alla Cina, sappiamo che in quel Paese vi è stata una crescita impetuosa, le persone sono state spostate dalle aree rurali alle aree costiere, sono stati spezzati i legami familiari, i legami sociali, i figli sono stati lasciati senza cura, le


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madri sono state trasferite verso le coste lasciando i figli alla cura dei nonni. Ebbene, adesso la Cina ha iniziato a investire in centri di assistenza per l'infanzia e assistenza sociale nei luoghi in cui le madri lavorano per ricostituire il capitale sociale.
Sono d'accordo con lei, queste questioni meritano maggiore attenzione e noi ce ne occupiamo. In molti Paesi noi continueremo a sostenere la necessità di una riforma pensionistica e di una riforma della sanità. In Italia, ad esempio, molte persone vivono di più e in buone condizioni di salute, quindi occorre affrontare la questione dei coefficienti di dipendenza degli anziani e gli investimenti necessari per garantire l'assistenza a questi anziani saranno cospicui.
Si tratta di questioni fondamentali per quanto riguarda la sostenibilità del benessere.

MAINO MARCHI. La ringrazio per le valutazioni che ha portato alla nostra attenzione. Personalmente avverto un rischio, considerando l'insieme delle audizioni che abbiamo svolto su questo tema. Partiamo tutti da una considerazione che mi sembra abbia una grande condivisione: il PIL da solo, come indicatore, non basta per misurare il benessere e per avere una valutazione più complessiva delle condizioni di vita dei cittadini nei diversi Paesi del mondo, quindi deve essere accompagnato da altri indicatori e, in questa direzione, c'è un lavoro di ricerca che mi pare molto interessante. Tuttavia, vedo che in genere c'è una ricerca di molti indicatori e anche la possibilità, come veniva mostrato nella sua relazione, che ogni Paese possa valutare ciò che interessa maggiormente la propria popolazione in modo «soggettivo» a livello nazionale.
A mio parere, si dovrebbero individuare pochi indicatori, condivisi a livello mondiale, da accompagnare al PIL. Dipendesse da me, ne sceglierei tre: lo stato di salute del pianeta, cioè l'ambiente, lo stato di salute della popolazione e il livello di educazione e scolarizzazione. Credo che questi siano gli elementi fondamentali, ma questa è una valutazione personale. Se non si arriva a individuare pochi elementi su cui fare i confronti e determinare le politiche, non si rischia che alla fine torniamo al punto di partenza? Intendo dire che, in questo modo, le politiche degli Stati si fanno inevitabilmente solo sulla base del PIL, che è l'unico indicatore riconosciuto universalmente, magari anche con contraddizioni: ad esempio, se un Paese ha un debito elevato rispetto al PIL, magari taglia la spesa sociale e la spesa sanitaria, anche se per i cittadini di quel Paese la salute viene prima di tutto.
Io avverto l'esigenza che si arrivi, in tempi non lunghissimi, a individuare alcuni indicatori condivisi su scala globale, sui quali darsi delle regole, non solo nei singoli Paesi ma su scala più ampia, per le politiche economiche che i singoli Stati devono portare avanti.

MARTINE DURAND, Capo del settore statistico dell'OCSE. Sono d'accordo, in teoria, ma è difficile raggiungere un consenso su questo. Forse a livello europeo c'è una maggior possibilità rispetto all'OCSE, laddove abbiamo Stati Uniti, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Paesi che sono forse meno interessati a passare a una strada più «normativa». Se decido che ci sono tre o quattro grandi dimensioni e scelgo alcuni indicatori, fissando anche degli obiettivi - più o meno questo è il senso di quanto lei dice - l'impostazione diventa normativa.
A livello europeo, abbiamo visto la strategia di Lisbona, l'Agenda 2020, sempre con questi nuovi obiettivi, questi nuovi indicatori, con un approccio normativo. Se potessimo arrivare a un consenso a livello europeo ne sarei ben felice, ma a livello globale diventa più difficile: lei ha citato tre indicatori, altri sceglierebbero dimensioni diverse. Ad esempio, nelle Nazioni Unite abbiamo una composizione eterogenea e, se dovessimo includere i Paesi africani, sicuramente il reddito mediano non sarebbe tanto importante, ma lo sarebbe di più la riduzione della povertà. Dunque, quanto più aumenta il numero dei Paesi tanto più è difficile definire un


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piccolo numero di indicatori. Comunque, ai fini della comunicazione e della sensibilizzazione, quanto lei ha detto è molto importante.
È possibile, tuttavia, percorrere anche un'altra strada. Nei vostri indirizzi politici si potrebbe elaborare una cornice da condividere con altri Paesi che può generare consenso ed è proprio il Ministero dell'economia neozelandese, piuttosto che i settori dell'istruzione, della sanità e degli interventi sociali, che sta spingendo in questo senso. I Ministeri dell'economia australiani, della Nuova Zelanda e della Gran Bretagna hanno creato una cornice di previsione che verifica l'impatto di una decisione in altri settori: ad esempio, se si fa un taglio in un determinato settore si deve verificarne l'impatto anche in altri settori che determinano il benessere.
Un esempio è dato dalla situazione britannica, laddove anche nel Regno Unito si cerca di ridurre la spesa pubblica e il disavanzo di bilancio. In quel caso, hanno pensato di ridurre il numero degli uffici postali nei piccoli paesi, poiché non ne servono così numerosi; quindi, hanno realizzato un'analisi di impatto, ossia hanno cercato di capire quanto risparmierebbero da tale riduzione; infine, dopo aver svolto un sondaggio e approfondito l'analisi, si sono resi conto che l'ufficio postale non serviva soltanto per gli invii postali, ma era anche il luogo in cui andavano gli anziani, insomma aveva anche una funzione sociale nelle piccole comunità. In definitiva, si sono resi conto che l'ufficio postale era così importante che hanno deciso di tagliare altre spese. Questo è stato il risultato di un'analisi di impatto rispetto a una decisione di riduzione delle spese.
Bisogna avere una cornice concettuale che consenta di misurare l'impatto sulle tre o quattro dimensioni che sono ritenute fondamentali e prioritarie per l'oggi e per il domani. Credo che a livello europeo questo si potrebbe fare; non vedo perché non si possa avere un quadro politico basato sulla valutazione di impatto, non sulle singole dimensioni ma abbracciando trasversalmente una serie di funzioni sociali e obiettivi ambientali, per valutare l'impatto delle decisioni di contenuto finanziario ed economico.
È possibile che si riescano ad avere situazioni di totale vantaggio adottando un'impostazione di questo tipo piuttosto che cercando di individuare in via consensuale soltanto tre dimensioni su cui concentrare l'attenzione.
Avrei dovuto dire che sono una economista, non ho una formazione statistica, sebbene ovviamente mi occupi di dati e di cifre. I dati sul PIL hanno cadenza trimestrale, vengono pubblicati con una cadenza molto regolare e la gente naturalmente li legge. Diversamente, gli altri dati, ad esempio quelli sulla scuola, sulla salute, sono meno regolari, magari arrivano ogni due o tre anni, quindi ogni due o tre anni c'è la possibilità di fare un bilancio.
Si potrebbe pensare a una direttiva europea per dare un impulso in questo senso, ma ovviamente bisogna dare gli strumenti necessari all'istituto statistico, all'ISTAT, affinché vengano reindirizzate le priorità, per avere dei dati tempestivi, su una serie di indicatori.
Ad esempio, ogni trimestre si potrebbe conoscere, oltre i dati sul PIL, la distribuzione del reddito, il reddito mediano (magari non tutte le dimensioni, ma le cose più importanti che avvengono nelle varie dimensioni, ogni trimestre, ogni anno). Questo cambierebbe la mentalità non soltanto dei politici ma anche della popolazione. Per il momento, purtroppo, siamo un pochino vincolati dai dati disponibili.
Abbiamo concentrato tutta la nostra attenzione sul PIL, sui dati economici, e molto meno sugli aspetti qualitativi. Ci sono una serie di indagini ufficiose, sondaggi, ad esempio il sondaggio Gallup si concentra su mille persone ogni mese, ma se vogliamo concentrarci sulla distribuzione, quel sondaggio riguarda solo mille persone ed è un campione troppo piccolo. Dobbiamo dunque attivare gli istituti statistici nazionali, ad esempio l'ISTAT, riorientando le loro priorità oppure dando loro maggiori strumenti e maggiori risorse in un momento di difficoltà di bilancio.


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PRESIDENTE. Grazie. Questa audizione ci fa capire quanto sia necessario innovare anche la cornice concettuale entro la quale i decisori politici devono elaborare le loro scelte di politica economica, e non solo.
Desidero anch'io manifestare una piccola curiosità. Qual è il rapporto tra l'indicatore di sviluppo umano elaborato dalle Nazioni Unite - lo Human Development Index - e il vostro lavoro?

MARTINE DURAND, Capo del settore statistico dell'OCSE. C'è un rapporto tra questo indice e il nostro lavoro. L'indice dell'ONU comprende soltanto tre dimensioni: il PIL, l'istruzione, la sanità. Forse questo basterebbe per l'Italia, perché abbiamo visto che gli italiani danno importanza all'istruzione e alla sanità, ma per altri Paesi non basterebbe. In secondo luogo, riportando un terzo, un terzo e un terzo, si tratta di un indice aggregato con lo stesso fattore di ponderazione. Noi non abbiamo imboccato quella strada.
La terza differenza è che manca la dimensione della sostenibilità; in quel caso, non si guarda quello che succederà in futuro.
In realtà, quello che abbiamo fatto è ampliare l'indice HD. Noi non utilizziamo il PIL, che è sì importante, ma per determinate finalità. Per questo tipo di indagine la prospettiva delle famiglie, la prospettiva delle persone, il reddito delle famiglie, depurato dai trasferimenti pubblici, è più importante rispetto al PIL. Vi sono, dunque, diverse differenze rispetto allo Human Development Index, ma l'impostazione di fondo è più o meno la stessa.
Per quanto riguarda il procedimento, l'indice ONU utilizza tutti i dati disponibili, mentre noi siamo un po' più attivi. Noi lavoriamo nei Paesi sviluppati in cui ci sono sistemi statistici sviluppati, mentre l'ONU si occupa di tutti i Paesi del mondo, quindi raccoglie i dati statistici anche per l'Africa. Per tale ragione, l'ONU utilizza molto i sondaggi della Gallup, insomma quel tipo di dati, mentre noi lavoriamo con sistemi statistici più avanzati e più perfezionati, quindi penso che la nostra base informativa sia migliore.

PRESIDENTE. Grazie davvero per il suo contributo e anche per la qualità e la profondità della ricerca che il suo settore in seno all'OCSE sta svolgendo su questo argomento, che siamo sicuri sarà ulteriormente esplorato nell'avvenire.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,05.

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