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Commissioni Riunite
(Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e V Camera)
12.
Martedì 29 marzo 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

La Loggia Enrico, Presidente ... 3

Audizione del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, Raffaele Fitto, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (Atto n. 328) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati):

La Loggia Enrico, Presidente ... 3 5 8 12
Boccia Francesco (PD) ... 8
Causi Marco (PD) ... 5 10
D'Ubaldo Lucio Alessio (PD) ... 8
Fitto Raffaele, Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale ... 3 8 10
Lanzillotta Linda (Misto-ApI) ... 7
Nannicini Rolando (PD) ... 6

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Seduta del 29/3/2011


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...
Audizione del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, Raffaele Fitto, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (Atto n. 328).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, Raffaele Fitto, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (Atto n. 328).
Avverto che i nostri lavori non potranno protrarsi oltre le ore 15, sia perché alla Camera si procederà a votazioni, sia perché il Ministro Fitto ha successivamente un altro incontro.
Do la parola al Ministro per lo svolgimento della sua relazione.

RAFFAELE FITTO, Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale. Grazie presidente, sarò rapidissimo nello svolgere la relazione.
Questo decreto legislativo ha come obiettivo di avviare una fase nuova di governance del sistema dell'uso delle risorse comunitarie e nazionali destinate alle aree sottoutilizzate. Ciò parte da una serie di considerazioni, frutto anche del lavoro che in questi mesi è stato portato avanti. Cito alcuni dati che derivano dal confronto avuto con tutte le regioni del Mezzogiorno d'Italia, in modo particolare in questi ultimi mesi, dati condivisi con le stesse regioni che hanno evidenziato come rispetto alle risorse disponibili, tanto quelle del Fondo per le aree sottoutilizzate, quanto le risorse comunitarie, è emersa in modo molto chiaro un'incapacità della spesa di queste risorse con una serie di difficoltà dovute a un meccanismo organizzativo che non ha prodotto quei risultati che ci si proponeva nell'ambito degli obiettivi originari di questa programmazione.
Il decreto si inserisce in questo dibattito e ha come obiettivo quello di mettere in campo un'azione mirata a semplificare le modalità di uso delle risorse, ad attribuire, come è indicato in modo molto chiaro, delle responsabilità precise e dei tempi certi di realizzazione, a immaginare anche un potere sostitutivo laddove questa incapacità dovesse permanere nonostante gli impegni assunti all'interno degli strumenti previsti.
Il decreto ha anche l'obiettivo di riorganizzare le modalità di uso delle risorse, mettendo insieme alla vigilia di un dibattito


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molto importante, quale quello sul futuro del bilancio dell'Unione europea e delle politiche di coesione, gli strumenti che possono consentire di gestire la fase attuale, ma anche di immaginare una valutazione delle scelte in prospettiva e quindi per le risorse che dal primo gennaio 2013 sono nella disponibilità e dovrebbero essere utilizzate con un meccanismo di spesa differente.
In questo contesto l'obiettivo quello di dare piena attuazione al quinto comma dell'articolo 119 della nostra Costituzione, per avviare una serie di interventi dal punto di vista della coesione territoriale che possano centrare dei risultati che obiettivamente in questi anni non si sono raggiunti. In questo contesto penso che sia molto importante anche la lettura, alla quale ho fatto riferimento poco fa, dei dati, dei numeri e dell'esperienza che abbiamo avuto fino a oggi e anche alla problematicità che l'uso di queste risorse ci pone.
Ho letto un'agenzia di questa mattina in merito all'audizione della Ragioneria generale dello Stato, che indica uno dei rischi sul quale ci stiamo confrontando: la settimana prossima il commissario europeo Hahn sarà in Italia proprio per avere insieme con me un incontro nelle tre regioni principali del Mezzogiorno, Campania, Puglia e Sicilia. Di fronte al rischio abbastanza evidentemente della perdita delle risorse - che devono essere spese entro il 31 dicembre del 2011 e che hanno una loro consistenza, visto che complessivamente come sistema Paese, dobbiamo spendere una cifra che sfiora gli otto miliardi di euro - ritengo che sia necessario intervenire fattivamente, motivo per il quale il Governo ha già varato una delibera CIPE che modifica sostanzialmente i criteri e le modalità dell'uso di queste risorse, e indica alcuni elementi anche sanzionatori molto chiari. Il primo fra questi è che se un'amministrazione entro il mese di maggio non ha impegnato il cento per cento delle risorse che devono essere spese al 31 dicembre di quest'anno, gli verrà revocata la parte non impegnata, perché non possiamo immaginare di perdere queste risorse a fine anno, ma bisogna intervenire in sede di riprogrammazione per modificarne la destinazione.
Questo decreto legislativo ha anche un altro obiettivo molto importante: inserirsi pienamente nella discussione, che è stata avviata a livello europeo fra i ministri interessati rispetto al futuro del bilancio dell'Unione europea, al futuro delle politiche di coesione e anche all'utilizzo di alcuni modelli previsti all'interno del quinto Rapporto sulla coesione territoriale che è stato già presentato a livello europeo, che indica la possibilità di poter mettere in campo degli strumenti innovativi che intervengano sulle criticità fondamentali che fino a oggi ci sono state.
Uno di questi strumenti, il principale, lo recepiamo all'interno del decreto: si tratta del «contratto istituzionale di sviluppo» che, lo dice la parola stessa, ha l'obiettivo di individuare una forma contrattuale fra i diversi livelli istituzionali, che stabilisca chi deve fare che cosa, con che tempi, anche per uscire dalla logica - che in questa fase ricognitiva spesso abbiamo verificato - di individuare una modalità di scarico di responsabilità ad altre istituzioni.
Il contratto istituzionale di sviluppo ha come obiettivo principale quello di indicare in modo molto chiaro in capo a chi è la responsabilità, e la tempistica entro la quale devono essere realizzati questi interventi. Il tutto si sposa poi con l'obiettivo di concentrare le risorse su alcuni grandi obiettivi, su alcune voci fondamentali, che devono essere in grado di superare l'altra forte criticità che è inserita all'interno del meccanismo del decreto legislativo e che costituisce obiettivamente l'altro grande limite della spesa comunitaria e delle risorse per le aree sottoutilizzate, cioè la parcellizzazione in mille rivoli di intervento e la mancanza di una visione strategica su alcuni grandi obiettivi e alcuni grandi interventi.
Su questo penso che sia necessario intervenire. Voglio solo dire che la fase di ricognizione degli interventi che abbiamo fatto nei mesi scorsi ci ha portato anche ad avere delle valutazioni che sono a


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disposizione anche per poter essere verificate e condivise anche con le regioni interessate, che ci portano anche a individuare migliaia di interventi, in alcuni casi anche inferiori ai 100.000 euro per ogni singolo intervento, che sicuramente è l'opposto degli obiettivi indicati nella programmazione nazionale, ma soprattutto in quella comunitaria.
In questo contesto, questo decreto legislativo diventa lo strumento fondamentale per poter attuare questa nuova politica e soprattutto per poter attuare una politica che possa concentrare, come dicevo, le risorse su gli obiettivi strategici fondamentali e soprattutto anche avere una certezza sul fronte dei tempi.
La mancata intesa da parte della Conferenza unificata, è frutto di una discussione e di un confronto difficilmente sanabili, visto che le richieste che vengono da una parte e dall'altra sono incompatibili con quelle dei differenti enti territoriali. C'è una forte richiesta da parte dell'ANCI e dell'UPI di avere un ruolo nuovo e diverso e molto più importante all'interno di questa programmazione e c'è invece una posizione delle regioni che, nel confermare l'attuale impostazione e l'attuale ruolo, immagina una maggiore capacità e possibilità di incidere nelle scelte e di protagonismo all'interno di questo meccanismo.
Abbiamo concordato in Conferenza di registrare la mancata intesa per procedere nell'iter approvativo del decreto, abbiamo in corso un tavolo tecnico che comunque sta continuando a lavorare per immaginare e individuare delle soluzioni che possano essere, se possibile, condivise fino al completamento dell'iter di discussione e approvazione del decreto. Ho però il dovere di dire che le posizioni sono differenti, perché si parte da richieste che oggi oggettivamente sono incompatibili le une con le altre, rispetto alla funzione e al ruolo delle differenti istituzioni.
Ritengo che questo sia un quadro di estrema sintesi dei contenuti del decreto, do la disponibilità chiaramente a discutere in merito e a ritornare poi più dettagliatamente sulle questioni indicate, sulle quali magari è più opportuno ragionare in modo anche più articolato e più specifico.
Un'ultima considerazione che mi sembra importante: ho avuto modo anche di confrontarmi in diverse occasioni con i soggetti che sono stati presenti qui in Commissione nell'ambito delle audizioni e ho letto con piacere alcuni giudizi; voglio solamente cogliere un aspetto pure importante che fa parte, se non sbaglio, del parere dell'audizione della SVIMEZ, relativamente all'idea di organizzare un modello che veda insieme le regioni del Mezzogiorno all'interno della Conferenza. Esiste un problema di funzionamento e di meccanismo che è quello che ho rappresentato; c'è la necessità - questo decreto compie un passo avanti molto importante - di individuare un modello che possa coordinare l'uso di queste risorse.
Personalmente esprimo qualche perplessità sull'idea che ci possa essere una sorta di coordinamento fra le regioni del Mezzogiorno, penso che il problema del Mezzogiorno è un problema nazionale e va seguito all'interno dei meccanismi nazionali che possono e devono essere adeguati in questa direzione. All'interno della Conferenza Stato-regioni e di quella unificata, abbiamo già avuto un primo confronto. L'idea è quella di trovare all'interno della Conferenza le modalità per potersi confrontare in modo specifico sui temi peculiari che riguardano ogni singolo territorio. Non aggiungo altro, poi magari possiamo interloquire su questi punti.

PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Fitto intanto per essere qui a confrontarsi con la Commissione, ma anche per questa introduzione che rende ancora più chiare le motivazioni del decreto.
Do ora la parola ai colleghi deputati e senatori che intendono porre quesiti e formulare osservazioni.

MARCO CAUSI. Grazie, presidente. Vorrei formulare quattro domande al Ministro. Questo schema di decreto legislativo non attua pienamente l'intero articolo 16 della legge n. 42 e quindi non attua pienamente il quinto comma dell'articolo 119


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della Costituzione, che parla di interventi speciali. Certamente gli interventi di rimozione degli squilibri di sviluppo sono una parte molto importante, forse preponderante degli interventi speciali, ma non c'è una piena attuazione; quindi chiedo al Governo di sapere se questo è il primo di altri decreti e se c'è la consapevolezza da parte del Governo che questo decreto non attua integralmente le nuove previsioni costituzionali. Da questo punto di vista la notizia e l'informazione è se il Governo intende predisporne altri, come sembra necessario per una piena attuazione dell'articolo 16.
Vorrei sapere poi se il Governo non ritiene di esplicitare meglio, in questo meccanismo di questo decreto, che collegamento c'è con la perequazione infrastrutturale e quindi con l'articolo 22 della legge n. 42.
Avremo modo poi di approfondire il tema che è uno dei più delicati. Da come noi vediamo la perequazione infrastrutturale, essa deve incidere anche sulle risorse ordinarie e non soltanto su quelle aggiuntive. Le necessità di perequazione infrastrutturale vanno a incidere anche sulla spesa ordinaria, sui fondi ordinari, non solo sull'aggiuntivo. Tuttavia, visto che ancora in nessuno dei decreti precedenti, né in quello sui comuni, né in quello sulle regioni abbiamo affrontato pienamente il tema dei trasferimenti in conto capitale nell'attuazione della legge n. 42, forse è arrivato il momento di farlo, perché se questo decreto si occupa solo dell'aggiuntivo e rimaniamo invece nella totale incertezza per quanto riguarda l'esito degli attuali trasferimenti in conto capitale a comuni, province e regioni, e come gli enti locali e le regioni del sud e di tutta Italia possano poi vedere l'arrivo dell'aggiuntivo in relazione all'ordinario su cui possono contare.
Dato che anche per quanto riguarda i territori sottoutilizzati il tema di come si combinano ordinario e aggiuntivo è un tema storico, forse sarebbe arrivato il momento di affrontarlo: però bisogna chiedere al Governo se non ritenga di portare anche il decreto sulla perequazione infrastrutturale alla discussione di questa Commissione bicamerale in collegamento con l'attuale decreto legislativo.
In terzo luogo, le sanzioni indicate al terzo comma dell'articolo 6, di cui il Ministro ha fatto riferimento, sono previste soltanto per le regioni? Quale può essere un meccanismo sanzionatorio da applicare alle amministrazioni centrali inadempienti? E quali meccanismi sanzionatori applicare ai concessionari di servizi pubblici inadempienti? Questo è un altro tema emerso nelle audizioni.
Infine la quarta domanda, Ministro, non è di competenza della Commissione bicamerale, in quanto è tema da Commissione bilancio, ma dal momento che siamo in audizione congiunta, le domando: non è il caso che il Piano per il sud abbia una valutazione anche di tipo parlamentare? Non mi risulta che finora ci sia stato un passaggio parlamentare sul Piano per il sud visto il collegamento forte, politico, fra la proposta di riforma contenuta in questo decreto e l'attività che lei sta svolgendo per conto del Governo sul Piano per il sud, mi domando se non possa essere questo anche il momento di una valutazione parlamentare di questo atto.

ROLANDO NANNICINI. Grazie presidente, grazie Ministro, io vorrei dare una lettura molto letterale all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione. Per promuovere lo sviluppo economico - questo decreto riguarda la promozione dello sviluppo economico - la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, città metropolitane e regioni.
Nel recepimento dell'indirizzo costituzionale, l'articolo 16 della legge n. 42 è stato strutturato in diverse lettere. Questo è un aspetto molto importante, perché se esiste un'Italia duale, una Toscana, o una Puglia duale, molte volte queste differenze


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sono da riferire alle infrastrutture, ma non alle infrastrutture viarie, bensì alle infrastrutture sanitarie, scolastiche, nella dimensione dei servizi per la persona come richiama l'articolo 119, quinto comma, della Costituzione.
Signor Ministro, io credo che questo è un decreto parziale, che parla di sviluppo, di risorse aggiuntive e non tratta di risorse ordinarie.
Fra l'altro nel decreto sul federalismo regionale abbiamo discusso in merito all'attuazione del decreto-legge n. 78 del 2010. Ricordo a tutti noi, in particolare anche a lei in qualità di rappresentante del Governo, che, per effetto di quella manovra finanziaria i capitoli del bilancio dello Stato hanno avuto delle riduzioni assai consistenti rispetto al bilancio di previsione per il 2010: in particolare le disponibilità del fondo di conto capitale relativo alle risorse finanziarie occorrenti per l'attuazione del federalismo amministrativo risultano ridotte di 1.406 milioni di euro; le somme da erogare per interventi in materia di edilizia sanitaria pubblica sono tagliate per un 1.884 milioni di euro. In sostanza gli investimenti ordinari in conto capitale sembrano essere un optional: in realtà servono allo sviluppo, servono all'attuazione dell'articolo 119, e in questo decreto non vedo né indicazione di risorse, né indicazione di regolamentazione.

LINDA LANZILLOTTA. Signor presidente, mi scuso perché sono arrivata tardi e non ho potuto seguire tutto l'intervento del Ministro Fitto che mi riservo di leggere; volevo porre alcune domande perché stiamo esaminando questo decreto, ma più in generale l'attuazione di una riforma che è anche conseguente ad anni di criticità della politica del Mezzogiorno.
La prima notazione è questa. Lei ha assunto la responsabilità anche di intervenire sulla riprogrammazione dei fondi strutturali, che sono il presupposto di queste e altre linee di azione previste dal decreto in esame, che si proiettano anche una fase in cui i fondi strutturali verranno presumibilmente meno. Come lei ben sa, il tasso di utilizzo di questi fondi e anche il grado di efficacia del loro utilizzo dovrebbe porre alcuni problemi: il primo riguarda le azioni di tutoraggio, perché ritengo che sia necessario passare da un'analisi puramente finanziaria dei processi a un'analisi di ciò che avviene effettivamente nella gestione e nell'utilizzo delle risorse. Come si affiancano nel processo di capacità amministrativa le amministrazioni pubbliche? Credo che sia questo gap di capacità amministrativa che fa il vero squilibrio e non solo o tanto la differenza e le risorse.
La seconda domanda è la seguente: nella prospettiva del nuovo accordo europeo per la stabilità e per la crescita, che chiamerà l'Italia a ulteriori politiche di intervento restrittivo sulla finanza pubblica, non sarebbe opportuno pensare a una simmetria nel recepimento di queste misure a livello nazionale? Se noi dovessimo proiettare l'impatto di quelle misure in modo uniforme sulla finanza pubblica nazionale e locale, potremmo valutare che tutte queste misure aggiuntive saranno praticamente sterilizzate in quanto ci saranno margini sempre minori. Come si sta ragionando per attenuare o ammorbidire l'impatto delle politiche di risanamento finanziario che l'Europa ci chiama a realizzare nei prossimi anni?
Terzo punto: siccome lo sviluppo del Mezzogiorno è determinato da risorse pubbliche ma anche da economia privata, le domando se è stata fatta dal punto di vista delle politiche del Mezzogiorno una valutazione dell'impatto del federalismo regionale in particolare per quanto riguarda la possibile asimmetria della fiscalità sulle imprese. Alcuni gruppi, tra cui il mio, hanno valutato che questo configura una vera e propria fiscalità di svantaggio, che noi stiamo valutando in misura molto consistente tra imprese del Nord e imprese localizzate nel Mezzogiorno. Le chiedo se non ritiene che questo incroci negativamente e possa alla fine sommarsi a una politica di restrizione della finanza pubblica, determinando una difficoltà molto consistente nel complesso dell'economia meridionale.


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LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Ad integrazione delle argomentazioni del collega Nannicini, signor Ministro, ritengo che ci sia un problema circa i rapporti tra regioni, comuni e province: se noi consideriamo, come a noi parrebbe di dover considerare, che lo sforzo di coesione si attua anche attraverso le risorse ordinarie, ne consegue che su questo punto hanno ragione i comuni e le province a porre il problema del superamento della concezione che le regioni sostengono, in base alla quale, essendo i fondi FAS di prerogativa regionale, solo le regioni devono gestirli. È quindi un problema non solo contingente, ma anche una conseguenza che noi dobbiamo considerare in qualità di relatori.

FRANCESCO BOCCIA. Colgo l'occasione, presidente, per chiedere al Ministro se può chiarirci meglio la distinzione tra la fase transitoria 2011-2013 e quella a regime, e se relativamente alla fase transitoria ci aiuta a capire meglio lo stato dei lavori rispetto alla famosa delibera CIPE che ha portato il Governo a fare una ricognizione sui 30 miliardi di risorse di competenza delle regioni e sui restanti dello Stato centrale. Vorremmo capire l'esatto ammontare delle risorse sottratte al fondo FAS. Infine. Vorrei chiedere se, più in generale, non ritiene che sia opportuno, anche a margine del lavoro che abbiamo svolto in queste settimane, garantire tempi certi anche alle regioni nella fase di transizione, dal 2011 al 2013, perché ritengo che questa sia una necessità delle imprese e del sistema economico più in generale: non vorrei che ad un certo punto scaricasse l'alibi su alcuni ritardi in alcuni contesti e in alcune parti del Paese per quanto riguarda la catena dei decreti di attuazione del federalismo fiscale.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Fitto per la replica.

RAFFAELE FITTO, Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale. Cercherò di dare risposta, anche se devo dire che alcuni temi molto interessanti sono da affrontare forse con tempi e modalità differenti. Colgo molto positivamente e parto da questo, la sollecitazione dell'onorevole Causi. Con il presidente Giorgetti abbiamo già avuto una occasione di audizione in Commissione per quanto riguarda il tema della quantità delle risorse, però l'idea di poter avere un confronto pieno sul tema del piano per il sud e i provvedimenti collegati mi trova assolutamente disponibile. Possiamo valutare le modalità con le quali farlo, perché molte delle questioni, che avete sollevato, di fatto ruotano intorno a questa scelta e anche alla filosofia che ha ispirato sostanzialmente i contenuti del Piano per il Sud.
L'articolo 16 della legge n. 42 meriterebbe altri decreti; probabilmente ci sono dei temi che potrebbero essere sviluppati meglio. È evidente che per ragioni di tempo e di competenza, io mi limito ai contenuti di questo decreto che riguarda l'aspetto specifico che è frutto anche della competenza del Dipartimento delle politiche dello sviluppo e quindi anche della competenza mia diretta, sulla quale sto lavorando da qualche mese.
Colgo subito l'occasione per dire che l'articolo 22 della legge n. 42, concernente la perequazione infrastrutturale, ha visto l'emanazione di un decreto interministeriale che è stato pubblicato in questi giorni nella Gazzetta Ufficiale e che ci porterà ai centottanta giorni entro i quali poter fare svolgere quelle attività di quantificazione e definizione delle sperequazioni che riguardano anche i temi dei servizi alla persona o l'organizzazione del sistema sanitario, quindi un ambito molto più articolato rispetto al concetto di infrastruttura tradizionale, intesa come strada, porto, aeroporto.
Penso che, con la lettura combinata fra il decreto legislativo in esame e il decreto interministeriale e anche con le modifiche inserite nella delibera approvata dal CIPE a gennaio 2011, dopo esser stata condivisa dalle regioni in Conferenza unificata, e poi registrata dalla Corte dei conti, si è completato questo iter e abbiamo anche a disposizione lo strumento per poter iniziare


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operativamente ad avviare una fase di interventi rispetto all'utilizzo delle risorse.
Il tema delle sanzioni riguarda assolutamente tutti gli interlocutori. Da giugno ad oggi ho visitato tutte le regioni, incontrando i presidenti delle regioni; abbiamo fatto un confronto tra le loro rispettive strutture con la nostra struttura e abbiamo condiviso i dati, quei dati così preoccupanti - sui quali tornerò poi in conclusione - sulla capacità di spesa, sulle modalità e sull'efficacia della medesima, tutti temi molto importanti, che fanno però emergere in modo chiaro un meccanismo che spesso vede lo scarico delle responsabilità.
Ho ascoltato molte critiche rispetto al ruolo di ANAS o delle Ferrovie: nel momento in cui abbiamo avuto un confronto con il Ministero delle infrastrutture e con ANAS e Ferrovie, le criticità sono state riferite all'iter approvativo, ad esempio la valutazione di impatto ambientale, le opere compensative, che bloccano la realizzazione di un'opera per un tempo indefinito.
Come venire fuori da questo discorso? Facciamo l'esempio dello strumento del contratto istituzionale di sviluppo: è uno strumento che indica chi deve fare che cosa e in che tempi. Se la Commissione europea ce lo indica nel Quinto rapporto di coesione come strumento nuovo per superare queste criticità, penso che noi facciamo una cosa utile a recepirlo, oggi sia rispetto all'attuale programmazione, che rispetto anche alla programmazione successiva, perché in questo contesto dobbiamo uscire con un confronto e una condivisione. Prendiamo il caso del sistema infrastrutturale: l'idea che questo contratto sia sottoscritto da tutti con responsabilità precise, penso che affronti il nodo che abbiamo di fronte, ma soprattutto indichi, anche con il potere sostitutivo, la possibilità di intervenire in modo molto chiaro. Il principio sanzionatorio riguarda anche le amministrazioni centrali, non c'è dubbio, perché come è noto, la gamba del quadro strategico nazionale delle risorse comunitarie è composta da una grossa parte in capo alle regioni, ma anche in capo alle amministrazioni centrali. Anche su quel versante certamente c'è da recuperare e valutare su ritardi importanti e quindi anche sul rischio che può essere disimpegno.
Lo accennavo prima e voglio sviluppare meglio adesso questo concetto. Abbiamo varato anche un meccanismo in base al quale, proprio in riferimento all'uso delle risorse comunitarie dell'attuale programmazione in corso, abbiamo messo in campo un meccanismo sanzionatorio che opera nei confronti di tutte le amministrazioni da subito. Lo ha confermato questa mattina la Ragioneria generale dello Stato nella precedente audizione, ma si tratta di un dato ovvio, noto e oggettivo, che desta molte preoccupazioni: se noi sappiamo che al 31 dicembre dobbiamo spendere come sistema Paese circa otto miliardi di euro e se sappiamo che ad ogni programma regionale o nazionale è assegnata una quota certa, è inimmaginabile pensare, visto che non ci sono soluzioni differenti, che nei confronti di quell'amministrazione, sia essa regionale o centrale, che a maggio di quest'anno non ha impegnato il cento per cento delle risorse che deve spendere al 31 dicembre di quest'anno, si possa avere un atteggiamento condiscendente, facendo finta di nulla, aspettando magari ottobre o novembre, quando non si potrà più fare niente.
L'idea della sanzione, del meccanismo messo in campo da subito, serve a darci il tempo per inserirci sul tema, non so chi l'ha toccato, della riprogrammazione in corsa, che ci consente di utilizzare queste risorse finalizzandole su alcuni programmi che hanno un maggior tiraggio, una maggiore efficacia rispetto all'impostazione attuale, perché esistono all'interno dei programmi nazionali e regionali situazioni che in qualche caso sono assolutamente paradossali.
Esistono infatti misure di intervento che dopo tre anni e qualche mese, cioè dal 1o gennaio 2007 a oggi, non hanno avuto un minimo avanzamento, cioè sono ad uno stato di avanzamento pari a zero. Ciò vuol dire che non si può assistere inermi a una


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situazione che ci porta inevitabilmente a sbattere senza una possibilità di soluzione del problema.
Su questo punto vogliamo intervenire e questo strumento del decreto legislativo e gli strumenti da esso previsti, agevolano e rafforzano un'azione che già abbiamo messo in campo. Peraltro lo dico perché penso sia utile dal punto di vista anche complessivo sottolineare che tutta questa impostazione, decreto interministeriale ex articolo 22, decreto legislativo in esame, delibera CIPE di gennaio 2011, Piano per il Sud, sono quattro pezzi che ragionano insieme all'interno di uno scenario che è assolutamente condiviso con la Commissione europea.
Concludo su questo punto dicendo che il tema del Piano per il Sud con i provvedimenti collegati rappresentano un passaggio che possiamo concordare e mi fa piacere, anche perché molte delle questioni sollevate riguardano anche un po' questo. Io non voglio adesso soffermarmi a lungo, però è evidente che il tema delle differenze territoriali, dei finanziamenti e delle spese in conto capitale, è un problema controverso, che sicuramente ha delle letture differenti. Però se oggi prendessi un opera X a caso, potrei trovarla inserita nel FAS 2000-2006, nel POR 2000-2006, nel POR 2007-2013, nel FAS 2007-2013, ma potrei trovare un caso di opera presente in queste quattro programmazioni che non è ancora partita.
Ciò vuol dire che il problema non è, per quanto mi riguarda, di contrapposizione politica e istituzionale, ma è il problema di un sistema che obiettivamente, così come è strutturato, non funziona; abbiamo un limite enorme che è quello della parcellizzazione della spesa, l'ho accennato prima: abbiamo tantissime misure di intervento che perdono di vista gli obiettivi strategici e fondamentali e allontanano la possibilità di poter realizzare le scelte adeguate ma rendono la spesa sempre più efficace rispetto a questi stessi obiettivi. Questo riguarda non solamente il Mezzogiorno, perché come è noto il fondo per le aree sottoutilizzate riguarda anche altre parti del Paese, in quanto riguarda anche le peculiarità che sono presenti in diverse regioni del Centro-Nord, poiché il FAS regionale ha una competenza specifica anche in queste aree.
È chiaro che c'è bisogno di un'azione di verifica e monitoraggio degli interventi - cosa che stiamo già facendo - perché l'idea di verificare come si spendono le risorse è fondamentale. Stiamo lavorando anche per evidenziare le tipologie degli interventi e oggi siamo già in grado di indicare, con il lavoro svolto in questi sei mesi, le tipologie degli interventi e in alcuni casi anche la qualità della spesa di questi interventi. Quando mi riferisco a centinaia o migliaia di interventi che in alcuni casi sono inferiori ai 100.000 euro, è perché abbiamo verificato sul territorio che esiste tutta una serie di interventi che ha portato a questo livello di frammentazione.

MARCO CAUSI. Deriva dai progetti sponda!

RAFFAELE FITTO, Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale. Deriva anche dai progetti sponda, ma ha un meccanismo ancora più complesso, oggi non è più possibile, all'epoca lo era e portava alla rendicontazione di un progetto X, già realizzato con altri fondi, all'incameramento di quelle risorse, che una volta entrate nel bilancio devono mantenere da una parte il principio della territorialità e dall'altro della settorialità. Fatto questo, con quelle risorse uno può fare scelte differenti.
I cicli, più elettorali che economici, hanno caratterizzato la scelta in una parcellizzazione differente rispetto a quella che doveva essere la finalizzazione reale e questo riguarda un tema a trecentosessanta gradi, lo dico anche qui senza alcun tipo di polemica, ma come dato oggettivo.
Oltre a questo tema, bisogna considerare un altro aspetto relativo ad una serie di meccanismi come gli accordi di programma-quadro, dentro i quali ci sono grandi interventi, ma ci sono anche dei segmenti di intervento che portano poi a tantissime specificazioni di piccoli interventi


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e a quella parcellizzazione che allontana obiettivi di spesa e anche efficacia della stessa. Su questo penso che sia importante riflettere.
Il tema della fiscalità è molto più complesso per una serie di ragioni; abbiamo una fiscalità di svantaggio oggi in diverse regioni: se per coprire il deficit della sanità alcune regioni effettuano un aumento dell'IRAP anziché dell'IRPEF, della benzina anziché del metano, questo crea un contesto che sicuramente appesantisce notevolmente in modo sostanziale anche la possibilità di operatività delle imprese in un determinato territorio dove, anziché essere avvantaggiate, rischiano di essere appesantite ulteriormente da vincoli e problematiche.
Il tema dei comuni e delle province è molto complesso; ho prima richiamato la mancata intesa in Conferenza unificata su questo provvedimento. Come dicevo l'intesa è molto difficile da raggiungere, perché le regioni rivendicano che in questo decreto venga rafforzato il loro ruolo; i comuni e le province vogliono un ruolo differente, nel senso che vogliono avere un ruolo molto più importante rispetto all'attuale.
Il Quinto rapporto di coesione sempre a livello europeo, assegna questo ruolo ai comuni e quindi uno sforzo in questo senso già si sta compiendo; però è chiaro che questo rende incompatibile un parere e un'intesa da condividere con coloro i quali dovrebbero apertamente fare un passo indietro rispetto alle proprie competenze. Su questo già stiamo andando e infatti il parere contrario diversificato fa emergere già delle scelte in questo senso, ma sia con l'UPI che con l'ANCI abbiamo avviato un ragionamento su questo, così come con le regioni. Si tratta di costruire un percorso condiviso, non semplice obiettivamente, perché si tratta di toccare interessi e competenze differenti che entrano anche in contrasto le une con le altre.
Ultima considerazione è quella relativa alla fase transitoria e al tema delle risorse FAS. Insisto con una mia valutazione: non abbiamo un problema di quantità di risorse, e sono profondamente convinto di come spendere le risorse disponibili, tanto è vero che la ricognizione effettuata lo dimostra, perché sul FAS 2000-2006 abbiamo una percentuale di spesa che, per le regioni meridionali, che hanno anche una quantità di FAS molto più rilevante, si aggira intorno al 45-50 per cento, in qualche caso è anche sotto il 30 per cento.
Questo comporta un dato oggettivo che all'inizio di questa verifica ha portato ad una contrapposizione, alla fine a una condivisione dei numeri: si tratta quindi di un dato di fatto oggettivo.
Ci sono ingenti risorse prodotte dai progetti sponda: le stiamo verificando rispetto a quelle impegnate che hanno costituito le cosiddette risorse liberate della vecchia programmazione, cioè quella cifra che va dai cinque agli undici miliardi di euro, che è in corso di definizione nel confronto con le regioni e con le amministrazioni centrali.
Abbiamo il problema delle risorse comunitarie in corso di spesa e quindi con il rischio del disimpegno e abbiamo le risorse collegate allo sblocco del FAS. Come è noto il FAS 2007-2013 aveva due gambe, di cui una statale, che è stata utilizzata su diverse voci anche a copertura delle manovre; è inutile non riconoscere questo fatto, anche se non è come spesso viene raccontato, in quanto molti interventi di riduzione delle risorse FAS riguardano anche il Mezzogiorno: possono essere assolutamente opinabili rispetto al tipo di scelta, ma non rispetto all'area territoriale nella quale si sviluppano. C'è poi c'è il FAS di competenza regionale che, non considerando il taglio del 10 per cento disposto dal decreto-legge n. 78 del 2010, era complessivamente costituito da 27 miliardi. Se applichiamo il taglio del dieci per cento, risultano disponibili quindi circa 24 miliardi di euro.
Con la delibera CIPE di gennaio 2011, è stato disposto lo sblocco per i FAS delle regioni del Nord e lo sblocco per quelle del sud coerentemente con gli obiettivi.
È importante discutere ciò che il Piano per il Sud indica, soprattutto coerentemente con l'idea di concentrare uso delle


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risorse su alcuni grandi obiettivi strategici, evitandone la frammentazione. La somma complessiva delle risorse della precedente programmazione nazionale ed europea e di quella attuale e le risorse del FAS, ci mettono di fronte a un problema che non è di quantità di risorse, a mio avviso, ma di come queste risorse vengono spese, sopratutto se entriamo nell'ordine di idee che esse devono essere impiegate per investimenti e non per spesa corrente; si tratta di un tema da tenere ben presente, nel senso che se noi pensiamo di fare spesa corrente con le risorse del FAS, è chiaro che diventa un problema ulteriore rispetto a questi obiettivi.
L'ultimo aspetto che voglio toccare sul riguarda il tanto discusso tema dei tetti posti dal patto di stabilità che viene spesso indicato come impossibilità o incapacità di spendere le risorse comunitarie. In questo caso penso che sia utile verificare, per chi solleva questo problema e in via preliminare, la quota che viene inserita nel bilancio ordinario annuale di cofinanziamento per investimenti e la quota destinata alla spesa corrente, perché se nei primi sei mesi dell'anno un ente ha coperto il tetto che gli è stato assegnato con la spesa corrente e aveva già previsto qualche milione di euro all'interno del bilancio dell'anno successivo per investimenti, evidentemente il patto di stabilità è più un modo per coprirsi dietro a un altro tipo di scelta che a questo aspetto concreto.
Su questo punto io sono convinto - e concludo - che questo decreto legislativo abbia la possibilità di sostenere in modo forte l'accelerazione della spesa che noi portiamo avanti e anche la possibilità di mettere in campo un meccanismo nuovo che può cogliere positivamente gli aspetti innovativi che ci vengono anche dalla programmazione comunitaria e dal confronto che stiamo portando a livello europeo.

PRESIDENTE. La ringraziamo molto, Ministro, per la sua sinteticità; ovviamente ove fosse necessario nel corso del prosieguo dell'esame del provvedimento, le chiederemo di essere nuovamente audito.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,05.

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