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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissioni Riunite
(Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, V Camera e 5a Senato)
INDAGINE CONOSCITIVA
1.
AUDIZIONE
2.

Mercoledì 13 ottobre 2010

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

La Loggia Enrico, Presidente ... 3

Audizione di rappresentanti della Società per gli studi di settore (SOSE SpA) e dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL) nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province (Atto n. 240) (ai sensi dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, dell'articolo 48 del Regolamento del Senato della Repubblica e dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale):

La Loggia Enrico, Presidente ... 3 7 8 10 17 19 20
Barbolini Giuliano (PD) ... 10
Brunello Giampietro, Presidente della SOSE SpA ... 4 18
Causi Marco (PD) ... 12
Ciccanti Amedeo (UdC) ... 15
Compagna Luigi (PdL) ... 14
D'Ubaldo Lucio Alessio (PD) ... 14
Marchi Maino (PD) ... 7
Nannicini Rolando (PD) ... 8
Rubinato Simonetta (PD) ... 16
Scozzese Silvia, Direttore scientifico dell'IFEL ... 8 19
Stradiotto Marco (PD) ... 11
Vannucci Massimo (PD) ... 15

ALLEGATI:
Allegato 1:Documentazione consegnata dai rappresentanti della SOSE SpA ... 22
Allegato 2:Documentazione consegnata dai rappresentanti dell'IFEL ... 53

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Seduta del 13/10/2010


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...
Audizione di rappresentanti della Società per gli studi di settore (SOSE SpA) e dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL) nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province (Atto n. 240).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, dell'articolo 48 del Regolamento del Senato della Repubblica e dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, l'audizione di rappresentanti della Società per gli studi di settore (SOSE SpA) e dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL) nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province (Atto n. 240).
Rammento che, in ordine a tale provvedimento, le Commissioni bilancio delle due Camere hanno deliberato un'indagine conoscitiva secondo le norme dei rispettivi Regolamenti e la Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale ha deciso lo svolgimento delle attività conoscitive previste dall'articolo 5 del proprio regolamento.
Ritengo utile precisare che l'audizione si svolge sulla base di una specifica autorizzazione del Presidente della Camera e del Presidente del Senato, che, in considerazione dell'identità degli effetti procedurali prodotti dai pareri resi direttamente al Governo dalla Commissione parlamentare suddetta e dalle Commissioni bilancio delle due Camere sugli schemi di decreto attuativi della legge delega sul federalismo fiscale, e tenuto altresì conto dello stretto intreccio riscontrabile in materia tra aspetti di merito ed aspetti finanziari, ha consentito alle Commissioni stesse, qualora deliberino le medesime attività conoscitive sugli schemi di decreto in questione, di effettuare congiuntamente l'audizione dei soggetti interessati.
Si tratta, pertanto, di una procedura inedita nella prassi parlamentare, considerato che la parziale sovrapposizione di competenze di organi parlamentari diversi, monocamerali e bicamerali, pur ugualmente coinvolti nel procedimento dell'esercizio di una delega legislativa, non ha mai finora comportato lo svolgimento congiunto della medesima attività conoscitiva. Ce ne compiacciamo molto e mi auguro che siate tutti d'accordo, considerata la folta presenza questa sera.
Sono presenti il dottor Giampietro Brunello, presidente della SOSE, accompagnato dal dottor Vieri Ceriani, e la dottoressa


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Silvia Scozzese, direttore scientifico dell'IFEL, accompagnata dai dottori Salvatore Cherchi e Salvatore Parlato.
Procediamo immediatamente dando la parola al dottor Giampietro Brunello, presidente della Società per gli studi di settore, che ringraziamo molto per la sua presenza e la sua disponibilità.

GIAMPIETRO BRUNELLO, Presidente della SOSE SpA. Ringrazio voi per avermi invitato. È sempre una buona occasione quella di dialogare su questi temi.
Abbiamo predisposto il documento che abbiamo preparato in forma di slide per rendere più agevole la lettura, piuttosto che presentare il classico rapporto corposo e di difficile digeribilità.
Sorvolo la prima parte, fino alla slide 23, nella quale è descritto il nostro profilo. Non voglio tediarvi più di tanto, però evidenzio alcuni passaggi.
SOSE è una società costituita nel 1998 soprattutto per affrontare problemi di metodologia e di analisi. È partecipata per il 12 per cento dalla Banca d'Italia, il che giustifica la presenza del consigliere Vieri Ceriani, che fa parte del Consiglio di amministrazione di SOSE in rappresentanza della Banca d'Italia, e per l'88 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, attraverso il Dipartimento delle finanze.
SOSE conta 121 dipendenti. In particolare, l'83 per cento sono laureati e, aspetto piuttosto caratteristico, il 58 per cento sono donne. Quasi tutti sono aziendalisti, quindi laureati in economia con esperienza nel mondo delle aziende, o, soprattutto, statistici economici.
Intorno a SOSE ruota una rete di esperti, perché per noi è importante sapere che cosa succede nel mondo dell'economia e delle aziende e dove tale mondo sta andando. Realizziamo soprattutto prodotti di analisi statistica economica, prodotti di supporto alla gestione delle imprese, essendo questo l'accordo con le associazioni di categoria - sono prodotti che misurano la capacità competitiva delle singole imprese e ne valutano i trend previsionali - e prodotti di supporto agli enti territoriali.
Su questo punto stiamo svolgendo alcuni lavori, in particolare su alcuni territori e per alcuni settori, come i mobili nei distretti del Veneto, della Lombardia e delle Marche, oppure la rubinetteria nella provincia di Brescia, le armi o altri settori ancora.
Abbiamo, quindi, una caratterizzazione piuttosto vasta, che ci permette di rappresentare il riferimento soprattutto per il mondo delle piccole e medie imprese.
Esposti questi elementi su chi siamo e che cosa facciamo, vorrei evidenziare due nostre caratteristiche.
La prima è il nostro modo di procedere. Lavoriamo con molti tavoli di confronto con i rappresentanti del mondo dei contribuenti piccole e medie imprese, da una parte, e con i rappresentanti del fisco, quindi l'Agenzia delle entrate, dall'altra.
In questo confronto SOSE mantiene un ruolo di terzietà, soprattutto apportando un contributo in termini metodologici e di raccolta delle effettive istanze portate avanti, che vagliamo, dando un seguito soprattutto alle richieste che presentano contenuti oggettivi.
Questo modo di agire, che accompagna tutto il processo produttivo degli studi, è fondamentale, perché crea un percorso condiviso. Salvo nel 2006, quando sono stati introdotti gli indicatori di normalità economica, il processo è stato condiviso e non ha accusato traumi.
Prova ne è il fatto che anche con la crisi, che è partita dal 2008 e che prima aveva colpito alcuni settori quali il tessile, l'abbigliamento, le calzature, le ceramiche e via elencando, SOSE ha dimostrato la capacità di cogliere il senso della crisi e il suo impatto, ragion per cui anche nell'ultima dichiarazione Unico 2010 relativo al 2009, un anno che certamente ha travagliato il mondo delle imprese, di fatto non abbiamo subìto reazioni negative, ma abbiamo meritato il riconoscimento che siamo riusciti a cogliere l'impatto della crisi.


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In questo percorso abbiamo di fatto accompagnato un'emersione. Nella slide 18 trovate un confronto fra la stima dell'ISTAT sui consumi delle famiglie e i ricavi dichiarati, che danno il senso forse più evidente di come si confronta, in un gruppo di settori in cui effettivamente vi è la valutazione dell'ISTAT - negli altri, ovviamente, non è possibile - il livello di evasione. A partire dal 1995, primo anno in cui abbiamo cominciato a lavorare su questo progetto, al 2008 (esamineremo il 2009 entro fine anno) vedete come di fatto non solo si sia verificata una diminuzione dei livelli di evasione sui ricavi, ma anche, elemento importante, un consolidamento nel dichiarato.
Per ottenere ciò, abbiamo acquisito una grossa capacità nel gestire i dati. Il nostro motto è che i numeri hanno un'anima: basta saperla leggere. Abbiamo, quindi, costruito una banca dati che, tanto per citare alcuni numeri, riguarda, in un periodo massimo prima dell'introduzione del regime dei minimi, ossia nel 2007, 3 milioni 700 mila imprese che hanno dichiarato con gli studi di settore. Complessivamente nella nostra banca dati ci sono 30 milioni di posizioni, che noi verifichiamo attraverso il controllo di 25 mila variabili e, aspetto particolarmente importante, con alcuni filtri che ci permettono un controllo di qualità.
I filtri sono stati controllati e certificati dalla maggiore casa di software, la SAS, che produce software di tipo statistico e ha contato tali filtri in numero di 15 mila. La nostra specializzazione nel filtrare i dati e nell'inserirli in banca dati soltanto dopo che hanno superato diversi controlli è l'elemento più importante che ci contraddistingue.
Sostanzialmente, disponiamo di un giacimento di informazioni di enorme valore. Peraltro, abbiamo ricevuto la visita di Paesi importanti come la Francia, il Belgio e altri, proprio per le caratteristiche della nostra banca dati, che è affidabile e aggiornata annualmente.
Ho sintetizzato la situazione, ma trovate i dati nelle slide e naturalmente rimane la nostra disponibilità a incontrarvi quando e come volete, anche per potervi mostrare i prodotti in maniera molto più approfondita. La capacità di elaborare dati e il metodo della compliance sono i presupposti che consentono a SOSE di affrontare il problema del federalismo.
Sul federalismo ci siamo intanto posti un obiettivo, ossia quello di costruire un sistema di modelli, come vedete a pagina 24, per la determinazione dei fabbisogni standard. Perché costruire un sistema di modelli? Come vedrete immediatamente dopo, non esiste un modello unico, ma per ogni servizio e per ogni tipologia di erogazione del servizio, quindi per ogni modello organizzativo, dobbiamo individuare il modello che riesca a rappresentarlo meglio. Alla fine chi vede questi risultati deve riconoscersi in essi. È questo l'elemento più significativo.
Dobbiamo realizzare tale obiettivo attraverso un percorso trasparente, che deve garantire la riconoscibilità dei passaggi e dei risultati e la persuasività, in un contesto di compliance, per consentire un graduale processo virtuoso di miglioramento dell'efficienza dell'ente locale.
Questo, in sintesi, è ciò che ci siamo proposti di realizzare, un graduale processo virtuoso. Sottolineo il problema della gradualità, perché compiere salti spostando troppo in avanti l'obiettivo dà come risultato finale quello per cui nessuno è nelle condizioni di realizzarlo. Devono esserci obiettivi concreti e ragionevolmente realizzabili. È simile a quello che vi ho mostrato nella slide dell'emersione, un processo che prosegue nel tempo, si consolida e, di anno in anno, migliora.
Il metodo di lavoro consiste nella condivisione dei processi di costruzione del sistema. Si comincia con la predisposizione dei questionari. Il primo passaggio è raccogliere le informazioni, che devono essere di tipo contabile, ma anche strutturale, perché l'elemento importante è come e con che struttura un singolo servizio viene svolto ed erogato.
Tale struttura ci serve per individuare i diversi modelli organizzativi. Esiste, infatti, chi opera direttamente, chi attraverso


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enti propri, controllati dal comune, chi attraverso terzi, oppure esistono aggregazioni fra più comuni. Sono tutte ipotesi sulle quali dobbiamo mappare la situazione, servizio per servizio e funzione per funzione.
I questionari, quindi, ci consentono l'individuazione dei modelli organizzativi e devono essere condivisi insieme agli esperti degli enti locali. Si passa poi alla valutazione dei risultati, valutati e validati i quali si passa alla fase applicativa, che deve servire per raccogliere le informazioni e, quindi, per procedere al gradino successivo. Tutto ciò è fondamentale proprio per innescare il percorso virtuoso e la gradualità necessari per portare a casa i risultati in maniera concreta nei processi di evoluzione del sistema. La condivisione rappresenta, quindi, la parte principale.
Passo a descrivere i luoghi e gli attori per la condivisione. Esistono alcuni tavoli tecnici di lavoro - siamo sempre ed esclusivamente sul piano tecnico - ai quali partecipano diversi attori.
SOSE cura la regia di questo processo. Abbiamo poi previsto che ISTAT porti il contributo delle sue esperienze, nonché delle analisi e dei dati che ha a disposizione. È inutile inventare l'acqua calda quando esiste già e perciò è fondamentale che ci sia questa collaborazione.
È fondamentale anche il rapporto con IFEL, perché ha un'esperienza che può dare un contributo importante allo sviluppo dei prodotti in oggetto. Ovviamente devono esserci comuni e province come interlocutori e dall'altra parte l'RGS, perché, come ha affermato in un'audizione precedente il Ragioniere generale dello Stato è fondamentale che essa interloquisca in maniera dialettica all'interno di questo processo.
Quali sono le fasi per arrivare al prodotto finale? Si parte dall'analisi della territorialità e dalla costituzione di gruppi omogenei di comuni. Non tutti i comuni sono uguali. Quali sono gli elementi che differenziano i comuni? Siamo in grado di individuarne alcuni, ma, nel processo che svolgeremo, magari ne individueremo anche altri, ragion per cui indossare una camicia troppo stretta, che costringa a usare solo alcuni riferimenti piuttosto che altri, rischia di far nascere male il prodotto finale. È importante, quindi, il processo di individuazione degli elementi fondamentali per poter classificare i comuni e le province e assegnarli a determinati gruppi omogenei.
Si passa poi all'analisi e alla valutazione dei processi di erogazione dei servizi. Come affermavamo prima, esistono diverse modalità di erogazione dei servizi, per ognuna delle quali dobbiamo capire come vengono svolti i servizi, quali sono gli elementi fondanti e quali possono essere i risultati, anche in termini di costi.
Si procede, dunque, alla valutazione delle modalità organizzative e di erogazione dei servizi e, passaggio fondamentale, all'analisi comparativa, con riferimento ai livelli di servizio, che secondo noi vanno determinati in funzione delle diverse modalità organizzative.
Occorre, però, trovare una griglia di livelli di servizio insieme a una griglia di risultati, in una fase di analisi. Facendo un paragone, per i contribuenti imprese noi individuiamo da sempre diversi modelli organizzativi e costruiamo determinati risultati in un'ottica e in un presupposto di normalità, corretti nel periodo di crisi tramite i correttivi.
I diversi livelli di servizio rappresentano l'elemento principale per capire un risultato o un altro. Alla fine si arriva alla determinazione di un modello di stima dei fabbisogni standard correlati a livelli di servizio definiti sulla base di criteri di gradualità. Ricordo ancora che la gradualità è l'elemento portante, insieme alla compliance, di un processo virtuoso che parte e che deve svilupparsi nel tempo, in maniera tale da consentire un efficientamento del sistema che si consolidi nel tempo.
Su quale base informativa si procede? Il sistema si basa sulla disponibilità di dati e di informazioni di natura, come ricordavo prima, contabile e strutturale, che rileviamo dalle banche dati istituzionali e dai questionari.


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I dati andranno raccolti ogni anno per consentire di misurare l'evoluzione e di procedere al monitoraggio dell'impatto dei fabbisogni determinati nel periodo precedente, per vedere come hanno impattato e come hanno risposto.
Tutto ciò va riportato in un database accessibile agli enti locali, utile per l'impiego di strumenti di valutazione comparata delle proprie performance. Non deve essere uno strumento costruito fuori dal sistema, ma all'interno, portando i dati a disposizione del sistema degli enti locali. Altrimenti non vi è riscontro in termini di dialogo.
Le metodologie e i modelli da adottarsi vanno scelti in modalità condivisa, non tanto nella scelta del modello, quanto nella valutazione dei risultati. È importante che i risultati siano in grado di rappresentare una situazione. A tal fine deve essere scelto il modello che consenta la migliore rappresentazione del dato fenomeno sulla base dei livelli di rispondenza agli obiettivi definiti per il sistema, oltre che delle specifiche caratteristiche tecniche.
La costruzione di modelli, la definizione di fabbisogni legati ai livelli di servizio e l'evoluzione nel tempo attraverso la raccolta di dati annuali permettono il circuito virtuoso che vedete rappresentato nella slide a pagina 30: si tratta dell'evoluzione del modello di stima, del processo virtuoso e dell'analisi periodica dei comportamenti.
L'analisi dei comportamenti è per noi fondamentale, perché permette l'evoluzione del sistema e, quindi, l'arrivo a risultati condivisi con gradualità, che consentano l'efficientamento del sistema in maniera sicura e, soprattutto, consolidata.
Alla fine di questo percorso, che per noi deve essere condiviso, SOSE produrrà i contenuti tecnici del provvedimento. Noi perveniamo alla parte tecnica, composta da nota tecnica e relazione metodologica, che definiscono i fabbisogni standard in relazione ai livelli di servizio individuali per ciascuna funzione-servizio tenendo conto dei diversi modelli organizzativi e degli elementi di contesto che caratterizzano ogni singolo comune.
A questo punto, SOSE consegna al Dipartimento finanze e alla COPAFF il provvedimento. Dopodiché, parte un percorso istituzionale nel quale SOSE non entra più, perché evidentemente si tratta di un problema istituzionale e politico.
Ho cercato di descrivervi - sono ovviamente disponibile a rispondere a eventuali domande e a richieste di approfondimenti - il percorso tecnico, che siamo in grado di dominare, fino alla relazione metodologica e alla nota tecnica. Da quel momento in poi il problema non è più tecnico.

PRESIDENTE. Molte grazie per questa interessante relazione sul metodo di lavoro che state seguendo.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MAINO MARCHI. Ringrazio per l'illustrazione. Volevo porre al presidente di SOSE la stessa domanda che avevo rivolto nell'audizione sulla Decisione di finanza pubblica al presidente dell'ANCI e al Sindaco Chiamparino. In quel caso mi hanno dato una risposta politica, affermando che è meglio poco che nulla e che la situazione è talmente disperata che, purché si muova, va bene un po' tutto.
La mia domanda è la seguente: come è possibile calcolare e determinare i fabbisogni standard senza avere prima alle spalle il lavoro che la legge n. 42 prevedeva come punto di partenza, cioè la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei livelli essenziali di assistenza?
Se guardiamo la slide a pagina 27, a me sembra che da questo lavoro, che andrà più o meno a fotografare anche nel dettaglio l'esistente, si possa ricavare la determinazione di costi standard, ma non di fabbisogni standard.
Per esempio, se prendiamo gli asili nido e non definiamo che livello di percentuale di copertura del servizio vogliamo offrire


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sul territorio nazionale, ma ci limitiamo alla fotografia dell'esistente, andremo a determinare quale sia il fabbisogno medio, che non è detto che sia il dato cui vogliamo arrivare, con i costi standard e cioè con il livello di efficienza maggiore possibile. Non mi pare, però, che fosse questo lo spirito della legge n. 42.
Mi rendo conto che la questione rimanda più al decreto legislativo che non all'audizione di questa sera, però, anche tecnicamente, come è possibile determinare i fabbisogni standard senza avere alle spalle il lavoro che stabilisce quali sono i diritti di cittadinanza e i livelli di servizio che si dovrebbero garantire a tutti i cittadini sul territorio nazionale?
Dopodiché, è ovvio che una parte delle risorse potrebbe essere recuperata con l'efficienza e che una parte magari mancherebbe. Si tratta poi, con il Patto di convergenza e con gli obiettivi prefissati di anno in anno, come stabilito dalla legge n. 42 e adesso dalla legge di stabilità, di andare a definire come vogliamo arrivare a tali obiettivi. Diversamente mi pare che compiamo un lavoro monco rispetto all'impostazione della legge n. 42.
Al massimo il sistema descritto può funzionare per buona parte delle funzioni e dei servizi istituzionali, ma, anche in quel caso, manca un pezzo, nel senso che alcune di queste funzioni fondamentali sono definite già nella legge n. 42, ma poi la legge sulla Carta delle autonomie locali le cambierà. Per esempio, tutta la parte della cultura per i comuni adesso non rientra più nelle funzioni fondamentali.
Da ultimo, la ringrazio per la tabella a pagina 18. Credo che mandarla all'ex Ministro Visco sarebbe il più bel regalo che potremmo fargli.

PRESIDENTE. Propongo di ascoltare prima la dottoressa Silvia Scozzese per l'IFEL e poi di riprendere gli interventi.

ROLANDO NANNICINI. Perché il Ministero dell'interno, con il suo servizio degli enti locali, che ha tutte le spettanze e tutti i conti, è escluso da un tavolo di lavoro?

PRESIDENTE. Lasceremo lo spazio per le risposte a dopo.
Do ora la parola alla dottoressa Silvia Scozzese, che ringrazio per essere intervenuta.

SILVIA SCOZZESE. Direttore scientifico dell'IFEL. Buonasera e grazie a voi di averci dato quest'opportunità. Aggiungo alcune considerazioni all'illustrazione già esaustiva del presidente di SOSE.
L'IFEL, l'Istituto per la finanza locale, una fondazione dell'ANCI, è inserito in questo processo per due ragioni.
La prima è quella che si rileva in tutti gli stadi di descrizione di questo percorso, ossia la necessità di compiere un percorso condiviso e di arrivare a un risultato attraverso la conoscenza del mondo dei comuni. Secondo me, si tratta di un nodo importante e di una grossa novità di questa sfida.
Lavoro in ANCI da molto tempo, ma, da quando è stato fondato questo istituto, abbiamo tentato di raccogliere la sfida di capire quali sono gli elementi sul territorio che generano una determinata spesa e che, quindi, ci danno i risultati finanziari che conosciamo. Abbiamo tentato di farlo con elaborazioni, rapporti e approfondimenti, ma, da un determinato punto di vista, la sfida è monca, perché ci siamo resi conto che per capire bene quali sono gli elementi per la valutazione dell'azione amministrativa, che sono tra gli obiettivi della legge n. 42, mancavano evidentemente alcuni elementi di conoscenza.
Abbiamo visto esperimenti in finanziaria e in norme approvate da questo Parlamento alla cui base vi erano obiettivi di virtuosità e di miglioramento dell'azione amministrativa, ma che poi si sono sempre scontrati con l'impossibilità di realizzazione dovuta al fatto che la scarsa conoscenza e la mancanza di un insieme di dati e informazioni relativi all'azione amministrativa e al territorio hanno impedito di compiere azioni più mirate di quelle attuate fino a oggi.
Il primo problema che si cerca di risolvere con questo processo è proprio quello di acquisire i dati che ci potrebbero


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fornire elementi per una valutazione della spesa pubblica che in fondo non è mai stata svolta; fino a oggi abbiamo analizzato i dati sui trasferimenti e tutti abbiamo sempre ripetuto che sono sovradotati o sottodotati, e abbiamo parlato dell'esigenza di superamento della spesa storica e di una ricerca di una nuova metodologia.
Molti esperimenti delle deleghe poi approvate purtroppo non hanno portato a nulla perché obiettivamente non c'era la possibilità di andare a guardare dentro la spesa pubblica e, quindi, di capire quali sono i servizi che si erogano e in quale contesto, nonché quali sono le richieste e le esigenze effettive del territorio.
In questo obiettivo noi abbiamo investito e abbiamo già prodotto due rapporti, che aprivano a una metodologia più vicina all'analisi degli elementi del territorio, quella cosiddetta dei costi, a cui ci siamo riferiti, che non alle analisi prodotte fino a oggi.
È per questo motivo che nella Commissione si sono incontrate la nostra esperienza di una sperimentazione già condotta su un dato numero di enti e di funzioni sulla ricerca dell'individuazione di un costo, nonché la nostra conoscenza di un set di informazioni sul territorio e sui bilanci comunali che vanno oltre il bilancio consuntivo. Proprio la consapevolezza del fatto che forse tale strumento non forniva tutte le informazioni necessarie ci ha spinto a investire molto per cercare di comprendere quali fossero ulteriori elementi atti a comprendere come è composto effettivamente il mondo che rappresentiamo.
L'incontro di questi due mondi ha fatto sì che si potesse immaginare una collaborazione, quindi un partenariato scientifico. IFEL fornisce, infatti, un supporto scientifico per l'elaborazione e la raccolta di tutti questi dati.
Considerate che tutte queste elaborazioni non verranno effettuate sui dati finanziari di bilancio, ma su elementi che dovranno individuare due aspetti: quello organizzativo, perché è importante conoscere come si svolge una funzione, e quello territoriale, relativo alle esigenze del territorio.
Mi ricollego in parte alla domanda posta ora dall'onorevole Maino Marchi: è ovvio che la legge n. 42 pone il problema o comunque l'esigenza di valutare anche obiettivi di servizio dal punto di vista degli enti locali, e, dall'altro punto di vista, livelli di servizio stabiliti essenzialmente per le regioni. Per molta parte della spesa comunale, però, il problema è di servizio, ossia di quantità del servizio utile per il dato tipo di territorio, che oggi viene fornito, ma che è necessario per soddisfare i bisogni che la Costituzione riconosce a tutti i cittadini.
Il risultato di questo lavoro dovrebbe consistere in parametri atti a individuare qual è la spesa che lo Stato deve garantire con il sistema che la legge n. 42 illustra e determina e qual è, invece, l'altra parte, quella che può rappresentare l'esigenza del territorio e che l'autonomia evidentemente ci imporrà di regolare in altro modo.
In tutto questo percorso la presenza di IFEL è stata considerata importante anche per offrire supporto e assistenza ai comuni. Ce ne occupiamo già, ma questo percorso sarà piuttosto oneroso per gli uffici, che dovranno compiere uno sforzo per parteciparvi insieme a noi per individuare gli elementi che saranno necessari a integrare il dato che servirà per effettuare le stime.
Saremo, dunque, al servizio degli enti locali per aiutarli in questo percorso di miglioramento della spesa di tutti e, quindi, della finanza pubblica in generale, ma, secondo me, come accennava anche il presidente di SOSE, anche per avere un confronto obiettivo su situazioni oggi diversificate.
Esistono ed escono continuamente elenchi in cui ognuno è posizionato sopra o sotto un certo valore di riferimento, però non esiste ancora nemmeno un parametro obiettivo con cui si possa confrontare l'azione amministrativa.
Questo processo dovrebbe offrire anche uno strumento, per mezzo del quale i


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comuni avranno la possibilità di confrontare la propria azione amministrativa con quella degli altri comuni. Tale strumento potrà essere operativo solo dopo che sarà terminata la fase di analisi del dato e sarà definita tutta la zona che in questo momento appare un po' grigia, in quanto finora il dato disponibile non è stato costruito con criteri adatti per rappresentare grandezze omogenee che si possano confrontare, ma essenzialmente attraverso un documento amministrativo come il bilancio finanziario, che non ha mai avuto in sé questo tipo di finalizzazione.
Dovremmo svolgere, pertanto, anche la funzione di accompagnamento e assistenza agli enti e soprattutto fornire un ritorno con un set di informazioni, che serviranno anche al territorio e ai cittadini.

PRESIDENTE. Grazie molte, dottoressa Scozzese. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIULIANO BARBOLINI. Innanzitutto ho apprezzato l'illustrazione che ci è stata fornita. Credo che sia utile per mettere meglio a fuoco alcuni elementi di zone grigie, che, almeno nella mia possibilità di comprensione di questo disegno, hanno bisogno di essere illuminante.
Mi allaccio ad alcune considerazioni del collega Marchi. La metodologia che ci è stata prospettata, secondo me, è convincente per poter, con approssimazioni successive, arrivare all'individuazione di un costo standard per un determinato tipo di prestazione.
Porto un esempio banale: per intenderci, con questo meccanismo un certificato anagrafico o un atto notorio non può costare più di una data cifra, entro un range dalle Alpi alla Sicilia. Oggi probabilmente, se confrontiamo quote di incidenza di fattori di costo, ciò non avviene. È sicuramente un elemento virtuoso e un accompagnamento prezioso in una logica di efficientamento della pubblica amministrazione.
Fino a qui va benissimo. Avrei, però, il desiderio di comprendere - le risposte forse non sono a livello solo tecnico, ma anche politico - che cosa accade quando entriamo in una sfera diversa di tipologie di servizi.
Provo a portare tre esempi, due in tema e uno leggermente fuori tema, allo scopo di farmi capire, perché è su questo punto che bisogna stringere.
Sollevo il solito problema del servizio degli asili nido. Interessa quanto costa un bambino nell'ambito di tale servizio oppure, dati 15-20 bambini, quanto costa una classe di asilo nido? Si può arrivare con questa metodologia alla sua determinazione. Il problema è però, se la Strategia di Lisbona pone l'obiettivo di 33, Modena ha 30, la Regione Emilia Romagna 27, l'Italia non si sa bene, alcune regioni del sud meno ancora, qual è il modello e il sistema con cui inquadriamo la questione. Significa che esiste un obiettivo, che deve essere però enunciato, che è quello di traguardare Lisbona. Ci arriveremo in 15 anni, gradualmente; bisogna studiare un meccanismo per cui chi è basso possa crescere attraverso il benchmark e l'ottimizzazione e chi è alto, se possibile, si mantenga, senza pretendere che arrivi prima a 33. Tale questione non è risolta dalla vostra metodologia, perché deve essere delineata precedentemente.
Lo stesso discorso vale per il tema della cultura, che non è tra le funzioni indicate nella legge n. 42. Segnalo semplicemente che i comuni in Italia gestiscono il 60-70 per cento dei beni culturali, nell'accezione più ampia del termine, ivi compresi musei civici, collezioni e via elencando. Li riconosciamo o no? Il costo si può determinare, anche se non è semplice.
Porto ora l'esempio estraneo al tema di oggi, ma che si porrà tra alcuni mesi o settimane: il servizio di emergenza-urgenza in sanità, di competenza regionale, il 118. Uno standard nazionale ed europeo dispone che in otto minuti un'ambulanza debba arrivare sul luogo dove se ne presenta la necessità. Sappiamo tutti che ci sono regioni che più o meno rispettano tale indicazione, ma anche che ci sono molte altre situazioni in cui ciò non succede.


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Torno al ragionamento: dove fissiamo l'obiettivo, come commisuriamo il problema?
L'esposizione per me è convincente se ragioniamo di costi standard e anche se affermiamo che, moltiplicando il costo standard per la quantificazione del livello e del parametro, otteniamo il fabbisogno. Non mi torna, però, quando vedo il rischio di un'omologazione dei termini e, soprattutto, quando si asseriva - lo chiedo per chiarimento, anche perché vorrei incassare semplicemente la declaratoria per cui, se non ci sono i livelli essenziali delle prestazioni, l'operazione è monca; secondo me, può partire, perché definire costi medi è sempre utile, però manca un pezzo fondamentale rispetto alla legge n. 42 - che ridefiniamo i livelli dei servizi.
Vorrei capire che cosa sono i livelli dei servizi. Capisco che un servizio educativo possa essere reso in modo essenzializzato per via di un problema di compatibilità di risorse o a un grado di qualità incorporata superiore e che, quindi, ci possa essere una diversità. Rientriamo in quel discorso di flessibilità.
Questo va bene, ma se surrettiziamente introduciamo un LEP, un livello essenziale delle prestazioni, senza che esso sia stato definito precedentemente, il ragionamento non torna. Vorrei essere rasserenato sul fatto che non esistono tali ambiguità e sovrapposizioni.
Per il resto la metodologia presentata è, nell'ottica del primo ragionamento che svolgevo, sicuramente intrigante, almeno per essere sperimentata.

MARCO STRADIOTTO. Ringrazio SOSE e IFEL per essere qui e per averci spiegato come intendano lavorare nel corso dei prossimi mesi per evidenziare le situazioni più diversificate che esistono nel nostro territorio e nel nostro Paese per quanto riguarda gli enti territoriali. In modo particolare, per gli enti locali la situazione è assolutamente incredibile. Alcuni dati sono già emersi, ma molti altri emergeranno.
Rispetto a questo tema, credo che IFEL e SOSE siano gli organismi che meglio di altri possono svolgere questo lavoro, ovviamente collaborando con altri istituti come l'ISTAT. È giusto, però, capire che cosa viene chiesto alla SOSE e che cosa all'IFEL.
L'impressione è, infatti, che non sia possibile chiedere a voi di determinare i fabbisogni standard, perché non potete dare i dati in merito nel momento in cui nessuno vi indica quali sono i livelli essenziali delle prestazioni e quali sono gli obiettivi standard, elementi che non possono essere determinati da un organismo tecnico, ma che devono essere determinati da un organismo politico. Questa è la questione.
Credo che su questa partita vada benissimo l'incarico a SOSE e IFEL previsto dal decreto, ma anche che noi in Commissione dobbiamo chiaramente definire i compiti, nonché alcuni aspetti che mancano. La situazione esistente negli enti locali, province e comuni, è incredibile, come ricordavo: ci sono enti con un dipendente ogni 50 abitanti e altri che ne hanno uno ogni 350, magari nella stessa fascia demografica, ci sono comuni che erogano servizi con livelli eccezionali, magari determinati da trasferimenti storici di un dato tipo, altri che non sono riusciti a prestare tali servizi, che a volte sono erogati non direttamente, ma grazie alla presenza di privati, proprio per la sussidiarietà applicata e per la presenza nel territorio di situazioni particolari. Sto pensando, per esempio, alle scuole materne private. La situazione è assolutamente diversificata.
Non chiamerei il vostro lavoro la definizione dei fabbisogni standard, ma, più che altro, la definizione dei costi e dei parametri standard. Anche in quel caso occorre un'unità di misura per poter confrontare le diverse situazioni.
È un lavoro senz'altro necessario, perché dobbiamo trovare una codificazione di ciò che avviene in periferia e all'esterno. È, quindi, un lavoro essenziale, ma mancano gli altri aspetti. Manca, inoltre, il meccanismo che ci porta alla convergenza fra la situazione standard, quella che voi troverete, e i fabbisogni standard. Serve una


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fase di convergenza, che non può durare 3 o 4 anni, ma probabilmente molto di più, perché le differenze sono veramente notevoli.
La mia preoccupazione - invito tutti i colleghi a prestare molta attenzione - sta nel fatto che, dopo tutto il lavoro che abbiamo svolto in questi mesi, in particolare con i dati diffusi dopo il lavoro della COPAFF, la quale ha messo insieme i dati relativi ai bilanci di regioni e comuni, dati aggregati che però hanno lanciato un segnale, se non diamo risposta ai segnali arrivati ai nostri concittadini, rischiamo veramente di incappare in un problema. Quando emerge, in relazione ai dipendenti pubblici, che la Lombardia spende 18 euro per abitante e la Sicilia 330, tali dati, divulgati dai quotidiani nazionali, lasciano un segno.
Se continuiamo a produrre dati senza offrire soluzioni - nel frattempo, l'anno prossimo sarà quello della stretta e dei tagli - la situazione si farà piuttosto difficile.
Personalmente, sono tra coloro che ritengono che sia faticoso applicare il federalismo con tagli nel breve periodo. Sono convinto che il federalismo darà un risparmio e maggiore efficienza nel lungo periodo, ma che nel breve periodo serviranno alcuni euro in più. Nel frattempo, però, con le finanziarie che stiamo varando stiamo facendo esattamente il contrario. Questo punto mi preoccupa perché so che, quando arriveremo a tentare la convergenza, non avremo le risorse per attuarla.

MARCO CAUSI. Mi associo ai ringraziamenti. Sarò schematico. Ritengo, e penso che tutti dobbiamo capire che siamo nel cuore della vera grande innovazione nell'applicazione di questa legge. Applichiamo i costi standard in sanità già da sei anni. Si può migliorare, certamente, però abbiamo già visto la prima bozza di decreto sui costi standard in sanità e sostanzialmente non ci sono discontinuità con l'importante esperienza partita dal 2006 e che ancora deve andare avanti.
La parte tributaria sarà innovativa, ma alla fine sarà servente. È importante stabilire quanto si spende e che cosa si fa con i soldi che si spendono, indipendentemente se essi vengono da tributi, compartecipazioni, addizionali o da altre fonti. Alla fine della giostra, fabbisogni di comuni e province sono la grande innovazione potenziale dell'applicazione di questa legge.
È da 20 anni che proviamo e non riusciamo a individuare tali fabbisogni - dobbiamo saperlo e i documenti lo dimostrano, ma chi conosce il mondo dei comuni sa che da 20 anni ci si prova e non ci si riesce - perché la spesa dei comuni, ancora di più di quella delle province, è caratterizzata da un'enorme variabilità, molto più di quella della regione e della sanità.
Bisogna analizzare la variabilità. Il tema che abbiamo di fronte - scusate se per una volta nel tempio dei giuristi parla un laureato in scienze statistiche; permettetemi di farlo - va affrontato con metodologie molto più evolute di quelle applicate tradizionalmente dalla Direzione centrale della finanza locale del Ministero dell'interno, nonché da molti studiosi che si sono messi a lavorare sul tema.
Stiamo parlando di 8 mila comuni, potenzialmente di sei classi di funzioni fondamentali, ma SOSE ci comunica già di essere intenzionata a lavorare anche su disaggregazioni di tali classi e su singoli servizi, il che è un bene. Supponendo che saranno 25 servizi, avremo dunque 8 mila comuni per 25 servizi, 20 mila dati puntuali per comune per alcuni anni.
Per ogni singolo servizio avremo una matrice - serie storica e serie spaziale, collocate nel tempo e nello spazio - con una variabilità pazzesca. Ci auguriamo che i 75 statistici e i 25 ingegneri informatici della SOSE, affiancati dall'IFEL e dall'ISTAT, riescano a far compiere un passo avanti nella spiegazione di questa variabilità con metodi statistici avanzati e non soltanto con regressioni lineari semplici.
Personalmente, quando si è ventilata l'ipotesi che fosse proprio SOSE a svolgere questo lavoro, l'ho ritenuto interessante, perché, in effetti, si tratta di un ente


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pubblico, dotato di una forza lavoro adeguata e istruita, che sa occuparsi di questa materia e analizza la variabilità di fenomeni complessi non ai fini di studio, come potrebbe fare nel mio dipartimento universitario un giovane ricercatore che magari smanetta al computer molto meglio di me, ma con l'obiettivo di scrivere un decreto legislativo e, quindi, con una ricaduta operativa.
Vorrei svolgere alcune considerazioni. La relazione indica che dobbiamo superare il metodo delle determinanti e il Representative Expenditure System. In realtà, quanto da voi comunicatoci oggi contraddice l'appendice della Relazione del 30 giugno, perché, se dobbiamo effettuare un'analisi complessa della variabilità, stiamo comunque effettuando quello che anticamente, 30 anni fa, si chiamava metodo delle determinanti e che oggi non si chiama più così, perché è un'analisi Time-series - Cross-section su nuvole di dati. Alla fine cerchiamo i fattori che generano la variabilità, ossia quelli che 30 anni fa chiamavamo determinanti.
Al tempo stesso, voi ci fate capire che volete anche lavorare o per servizi o per classi omogenee di servizi, in modo da ricostruire modelli organizzativi e se non costi unitari, costi complessivi di produzione, il che non è altro che un Representative Expenditure System. In realtà, dunque, stiamo cercando di avviare in modo molto innovativo - speriamo di farcela - nel caso dei comuni italiani un esperimento complesso, che supera le vecchie metodologie e ne crea una nuova.
Potenzialmente ci sono molte innovazioni in questo processo. I temi sono quattro, su cui pongo domande velocissime.
Sul primo, LEP e LEA, è già stato detto tutto negli interventi che mi hanno preceduto. Mi e vi domando chi debba compiere la ricognizione. Occorre, infatti, compiere una ricognizione dello stato attuale dei LEP e dei LEA non relativi alla sanità. Se ne deve occupare la Camera, il Senato, la Bicamerale? Chiediamo a SOSE e IFEL di realizzare un documento tecnico entro un mese in modo tale da lavorarci sopra? Si pone questo tema, perché ci sono buchi, per esempio, sull'assistenza agli anziani non autosufficienti. Come Parlamento dobbiamo avere almeno la cognizione dei buchi esistenti.
La seconda domanda, rivolta a SOSE e IFEL, è tecnica. Intendete realizzare la segmentazione degli enti per cluster, applicando ex post e «clusterizzando» enti, oppure ex ante, filtrando preventivamente alcune variabili qualitative?
In terzo luogo, mi convince molto - e lo sottolineo - il fatto che l'analisi si debba estendere anche ai servizi forniti dalle aziende municipali, ossia ai servizi pubblici locali non soggetti a tariffazione. Esiste un'area grigia nella legge n. 42, che individua servizi forniti direttamente dai comuni e tariffati. Ci sono, però, anche i servizi pubblici locali, offerti generalmente da aziende, ma non tariffati, perché indivisibili, come l'illuminazione pubblica, un tipico servizio generalmente offerto tramite un'azienda e non tariffato.
Va bene, quindi, anche un'indagine su questo tema. Non so se la dottoressa Scozzese mi conforta, ma si tratta di un'area grigia: sappiamo tutto della distribuzione elettrica, dell'acqua o del gas, ma di questa categoria intermedia sappiamo poco e, quindi, è bene che SOSE e IFEL ci lavorino su.
Passo al quarto punto. Non voglio entrare adesso in discorsi metodologici, ma vedo ancora alcune contraddizioni nei vostri documenti fra costo e fabbisogno standard. Magari ne parliamo in altre sedi.
A me sembra, però, cruciale, anche se alla fine il problema sarà arrivare a una formula di riparto, come succede per la spesa sanitaria, che attraverso tale lavoro emerga un cruscotto di gestione per i comuni. Si deve arrivare almeno a quella che oggi è la famosa banca dati dei 50 indicatori, che permettono all'apposita commissione ministeriale istituita presso il Ministero della salute di definire i LEA attraverso l'analisi degli standard di appropriatezza, efficacia ed efficienza dei singoli sistemi sanitari regionali.
La formula di riparto è questione diversa. Intanto, però, occorrono contemporaneamente


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50 indicatori e un cruscotto gestionale per valutare appropriatezza, efficacia ed efficienza e utili come benchmark per le singole amministrazioni. Indipendentemente da una scelta top-down o bottom-up, da questo lavoro devono scaturire un cruscotto gestionale e una banca dati analoga a quella dei LEA per la sanità. Altrimenti non abbiamo colto l'innovazione.
Vi rivolgo, infine, un'ultima domanda. È da 20 anni che si prova e non si riesce in quest'operazione. Se ci riusciamo, variamo con questo decreto un'operazione di grande innovazione, perché iniziamo a fare per i comuni quello che sei anni fa abbiamo cominciato a fare per la sanità, tenendo conto che per i comuni è molto più difficile.
Occorreranno, però, un po' di tempo, step di adeguamento metodologico, nonché alcuni confronti. Premesso che condivido molto anche il metodo della condivisione, il fatto che tratterete gli outlier non in modo biecamente statistico, ma riportandoli alle variabili qualitative, e che userete filtri e, quindi, do atto di un approccio soft a un tema che va trattato con cautela, ritenete però di essere in grado di mettere a punto queste metodologie senza alcun confronto a livello accademico, scientifico o parlamentare? Quanto tempo prevedete o, perlomeno, di quanto tempo avete bisogno preliminarmente per comunicarci con sicurezza di quanto tempo avrete bisogno per svolgere tutto il lavoro? È un lavoro grosso e non di poco conto.

LUIGI COMPAGNA. Tornerei al quesito posto dai primi colleghi intervenuti e ripreso anche dal collega Causi. Barbolini e Stradiotto, in modo molto essenziale e, in qualche misura, pregiudiziale rispetto al vostro percorso, che comincia dove si conclude il nostro, sostengono che le vostre metodologie ci portano alla determinazione dei costi standard. Ritenete che essi siano sinonimo per l'opera di determinazione dei fabbisogni standard o che si tratti di due realtà diverse?
Per brevità di sintesi mi richiamo ai primi due interventi. Da parte di Causi vi è un riferimento all'esempio della sanità come materia e delle regioni come interlocutore, in cui effettivamente quella che lui chiama la grande innovazione, che adesso investe anche il mondo dei comuni, è quella che abbiamo già applicato sulla questione sanità con interlocutore la regione.
Ho l'impressione che su questo ambito, in merito al fatto se la determinazione dei costi standard sia uguale alla determinazione dei fabbisogni standard, la vostra risposta debba essere rigorosamente tecnica e metodologica, proprio per l'onestà intellettuale del vostro lavoro. Non deve invadere schemi di valutazione politica o giuridica di corrispondenza rispetto al delegante, però deve essere chiara, precisa e pregiudiziale.
Quando sento evocare da parte di tanti colleghi il variegato mondo degli enti locali e territoriali, chiedo loro di essere onesti: l'Italia ha una storia, fino a 20 anni fa, di almeno 130 anni in cui gli enti locali esistevano come Consiglio comunale, come palestra di consiliarità e di parlamentarismo. Il fatto che gli enti locali siano Governo, government, è un'innovazione che nasce nel 1993, con la prima riforma del sistema elettorale. Se vogliamo, possiamo metterla a cavallo con la riforma Gava.
Senza invadere la sfera politica e la storia costituzionale, voi ci dovete riferire se il vostro lavoro, proprio perché manca la definizione di chi fa che cosa, un'espressione usata da uno dei colleghi, cioè in mancanza di una definizione costituzionale - ne parlavamo oggi pomeriggio col presidente - che dal 2001 al 2006 il Parlamento propose e che il popolo sovrano bocciò, è determinazione dei costi o dei fabbisogni o se si tratta della stessa operazione? È una questione che, ovviamente, nel limitato orizzonte di ciò che i vostri istituti rappresentano voi ci dovete dare pregiudizialmente, dopo aver svolto il vostro percorso e all'inizio di quello costituzionale e politico.

LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Presidente, sarò brevissimo e metaforicamente


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invoco l'incidente probatorio, perché non si sa mai quando porre un problema e temo che, se non mi aggancio a questo treno, non avrò un'altra occasione.
Vorrei, a beneficio di tutti, che, nel momento in cui avviamo questa riflessione con il sostegno di IFEL e di SOSE dentro la procedura per capire i fabbisogni, avessimo almeno alcuni elementi essenziali, fisici o statistici - andrà stabilito meglio - elementari.
Possiamo sapere, per quanto sia difficile e si possa procedere anche in modo diverso, quanti sono i dipendenti dei comuni italiani e come sono distribuiti? Alla fine scopriremo che il problema del fabbisogno legato al costo o viceversa e dell'equilibrio che c'è o non c'è è in larga parte legato al costo del personale e, quindi, molto semplicemente, al fatto se il numero dei dipendenti sia equilibrato oppure no.
Se, nel mentre si compie questo lavoro, potessimo anche acquisire - ecco l'incidente probatorio, presidente - questo dato, forse potremmo prepararci bene alla discussione che poi terremo.

MASSIMO VANNUCCI. Grazie, presidente. Sarò brevissimo anch'io. Premesso che per il percorso condivido quanto asserito dai colleghi Marchi e Stradiotto, cioè che bisognerebbe partire dai livelli essenziali di prestazione e procedere a cascata con tutto il resto, chiedo se sia ipotizzabile che facciamo partire la grande macchina del federalismo individuando un lavoro in progress, per gradi.
Sappiamo che il nostro Paese presenta prestazioni o livelli di assistenza molto differenziati. Si pone sempre il caso degli asili nido, esempio tipico in cui esiste un rapporto molto diverso fra le regioni italiane.
È ipotizzabile affermare che in una prima fase fissiamo i livelli essenziali delle prestazioni per quelle più diffuse nel Paese, come le mense, i trasporti, l'anagrafe, per quelle più semplici, lasciando tutto il resto a una quota indistinta e poi per gradi, fissando i tempi, stabiliamo che ci occuperemo delle biblioteche o dei teatri per uniformare progressivamente il Paese?
Se dobbiamo partire classificando tutto fin da adesso, mi sembra molto complicato. È ipotizzabile, quindi, un lavoro compiuto in questa maniera?

AMEDEO CICCANTI. Leggendo questo rapporto, soprattutto per la parte relativa al federalismo, ho capito che lavorerete su modelli condivisi e, quindi, che la ricognizione che condurrete attraverso le interviste sarà mirata a stabilire quale sia il modello condiviso. I comuni e le province, che fanno parte in quanto attori della condivisione del tavolo tecnico di lavoro, comunicheranno loro stessi quali sono i modelli.
In base al lavoro metodologico che svolgete, da quanto ho capito dalla slide a pagina 29, i modelli scelti dal tavolo di lavoro vedranno poi applicate tutte le vostre metodologie per ottenere un miglior costo del servizio a modello.
In questo senso, ho colto dal vostro discorso che il fabbisogno è legato al modello e non al costo che viene a essere determinato. Non eseguite uno studio metodologico per arrivare, come fate negli studi di settore, a individuare il costo in quanto tale, risultato di alcuni fattori che entrano in gioco e che danno subito il dato definitivo; in questo caso, invece, il dato definitivo non tiene conto di tutti i fattori, ma di quelli che prendete a modello, quindi delle migliori pratiche adottate.
In questo senso si crea il fabbisogno sulla base di una metodologia di costi. È dal costo, cioè, che si arriva al fabbisogno. Io ho compreso così e, quindi, mi sono risolto la dicotomia tra costi e fabbisogni in questi termini. Non so se sia vero, ma vedremo.
Se dovessi aver compreso male, chi stabilisce la quantità e la qualità dei servizi erogati? Esiste un altro tavolo, un'altra sede, un altro livello di valutazione, che va oltre il SOSE? Questa è la domanda, qualora il mio precedente ragionamento non funzioni.
Concludo con una considerazione. Ci riferiamo alle funzioni fondamentali dei


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comuni che ancora devono essere definite o alle funzioni fondamentali provvisorie della legge n. 42? Il vostro lavoro appare indirizzato verso questo approccio nell'arco dei cinque anni per sviluppare poi l'altro discorso delle funzioni fondamentali in base alla legge delle autonomie in corso di approvazione e, quindi, in questi cinque anni lavorerete per le altre funzioni fondamentali, oppure il lavoro è adesso limitato soltanto a quelle provvisorie?
Infine - e chiudo - per quanto riguarda i livelli essenziali delle regioni, non se ne parla, è un altro discorso che svolgeremo, oppure varrà la stessa metodologia e al posto dei comuni e delle province siederanno le regioni alla sedia del tavolo di lavoro?

SIMONETTA RUBINATO. Sarò molto rapida. Avevo chiesto la parola un po' di tempo fa e altri colleghi hanno già posto le domande che avrei voluto porre io.
Rispetto al tema della definizione del fabbisogno standard, mi pare molto puntuale la scheda di lettura che ha preparato il servizio studi. Essa pone una domanda che adesso mi permetto di fare mia, ossia, nel caso in cui ci si atterrà al fabbisogno standard - sono due concetti veramente quasi all'opposto - se tale fabbisogno standard sia inteso come livello ottimale di un servizio valutato a costi standard oppure se la definizione di fabbisogno standard alla quale vi dovrete attenere sarà quella di livello della spesa di un servizio storicamente osservata, ma valutata a costi standard o medi. Nel primo caso, sia il livello del servizio, sia il suo costo sono sottoposti a stima e sottratti alla discrezionalità, nel secondo entrambi dipendono dalla storia e dalla discrezionalità.
Mi permetto anche di evidenziare, rivolgendomi più alla direttrice dell'IFEL che al presidente della SOSE, all'articolo 1 dello schema di decreto legislativo, comma 3, dove si parla dell'oggetto di questo provvedimento, dopo che si è disposto al comma 2 che i fabbisogni standard, determinati secondo le modalità del decreto, costituiscono il riferimento cui rapportare progressivamente nella fase transitoria e poi a regime il finanziamento integrale della spesa per le funzioni fondamentali e i livelli essenziali delle prestazioni, è scritto: «fermi restando i vincoli stabiliti con il Patto di stabilità interno».
Poiché il Patto di stabilità interno pone limiti alla spesa a prescindere dal livello e dagli obiettivi di servizio, a questo punto mi pare che lo faccia addirittura a prescindere dai fabbisogni standard determinati con questa procedura.
Vi chiedo - chiaramente è il Parlamento che su questo punto deve dialogare con l'autorità politica e non con voi - se sia compatibile indicare un percorso come questo, che va a definire fabbisogni standard per poi affermare che comunque non si toccano i vincoli stabiliti con il Patto di stabilità.
Potrebbe verificarsi, pertanto, l'assurdo di un ente che magari dispone pure delle risorse, ma che comunque non le può spendere perché il Patto gli impone un limite sia sulla parte in conto capitale, sia sulla parte corrente, di impossibilità di spendere persino il fabbisogno standard. Mi sembra francamente quasi una beffa, soprattutto per gli enti che magari sono stati i più virtuosi nel realizzare e fornire servizi anche con una sottodotazione di risorse.
Mi collego a questo tema, peraltro, perché, nella legge delega, all'articolo 21, nella parte relativa alla prima applicazione, era previsto che i decreti legislativi avrebbero dovuto recare anche alcune norme transitorie per gli enti locali. Una di esse era proprio afferente al processo di determinazione del fabbisogno standard e rappresentava l'esigenza di riequilibrio delle risorse in favore degli enti locali sottodotati in termini di trasferimenti erariali ai sensi della normativa vigente.
Avete già osservato che veniamo da decenni di impossibilità di superare la spesa storica e di avviare un percorso virtuoso come quello che si sta tentando di compiere adesso.
Il principio della legge delega mirava proprio a considerare nel processo di determinazione del fabbisogno standard la


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condizione degli enti locali penalizzati dal criterio della spesa storica. Mi pare che su questo punto il decreto legislativo non si esprima affatto, penalizzando ancora una volta probabilmente chi da tanti decenni sta aspettando una soluzione che speriamo sia quella offerta con questa metodologia.
Nella metodologia - è una questione molto complessa e, quindi, molto probabilmente anche le mie domande non saranno all'altezza; mi perdonerete, perché cerco di capire - i fabbisogni standard, al di là della difficoltà del concetto che ho espresso prima, saranno calcolati per singolo bene o servizio prodotto, per ciascuna funzione e, tra queste, su quelle essenziali, come qualcuno ha già rilevato, quindi solo su quelle determinate e indicate nella legge n. 42, che mi sembra siano già in vigore attualmente con la manovra della scorsa estate?
Al di là della cultura, scendiamo ancora più a terra: nella gran parte dei comuni piccoli e medio-piccoli cultura significa la gestione della biblioteca comunale, un servizio indispensabile. Oggi questa funzione non viene più considerata essenziale; non lo è già più. Nella predisposizione dei bilanci di previsione del prossimo anno dovremo considerarla come una funzione non essenziale e, quindi, ci troveremo nella difficoltà di dover giustificare che non sia più un servizio che dobbiamo dare ai cittadini abituati ad averlo.
Anche un'altra funzione, che secondo me dovrebbe essere essenziale, non lo è e vi chiedo se sarà esclusa da questo percorso. Mi riferisco allo sport e alla funzione ricreativa, ossia alle palestre comunali, frequentate da ragazzini, anziani e donne. Mi pare che abbiano una funzione importante anche per la prevenzione e la salute dei cittadini. Temo, però, che mi confermerete che non saranno oggetto delle vostre stime.
Sui modelli organizzativi volevo porre un'altra domanda. Quando un comune eroga un servizio, la scelta tra la gestione diretta, l'esternalizzazione o altre modalità, come l'appalto, dovrebbe essere già oggi oggetto di una valutazione di efficacia ed efficienza che l'ente effettua nella sua funzione di autogoverno. Come si terrà conto di questo? Si può avere un servizio per il quale nella gestione si deve svolgere una valutazione di efficienza e di efficacia. Darete una valutazione anche sulla modalità di gestione del singolo servizio e, quindi, il fabbisogno standard terrà conto anche di questa valutazione, che dovrebbe competere a un buon autogoverno dell'ente?
Chiudo con un'ultima questione, che qualcuno ha già sollevato, ma che ripeto. Vorrei conoscere i tempi entro i quali si realizzerà la conclusione di questo percorso condiviso che ci avete illustrato e, quindi, la tempistica dell'ultima slide a pagina 31, secondo la vostra valutazione.

PRESIDENTE. Abbiamo terminato gli interventi. Prima di darle la parola, presidente Brunello, mi consentirà una battuta. Esistono costi storici che andranno con sollecitudine ridotti a livello di costi standard. Esistono, però, anche costi mai affrontati: ci sono migliaia di comuni in Italia - sentivo parlare di attività sportiva - che non sanno neanche che cosa sia una palestra o una piscina, per non parlare di un asilo nido.
Il problema, se mi consentite di svolgere una battuta estemporanea - forse non è il momento per farlo, ma la presenza del presidente Brunello e della dottoressa Scozzese stimola a porre domande - non è soltanto quello di ridurre dal costo storico al costo standard, creando efficienza e risparmio laddove non ci sono e abbattimento di sprechi laddove c'è, ma anche, al contrario, la creazione di situazioni che portino a un livellamento della qualità della vita, in merito al quale, mi permetto di ricordare, essendo forse la sua parte meno nota, la nostra Costituzione prevede che sia compito nostro e dello Stato rimuovere gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di questa eguaglianza di diritti da parte dei cittadini.
Al termine di questo percorso saremo nelle condizioni di offrire a tutti i cittadini, da Corso Magenta a Milano a Corso Vittorio Emanuele a Canicattì, la stessa


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qualità della vita? Questa è la vera domanda. A noi, insieme col Governo e nell'interlocuzione con i tecnici, sta il compito di dare una risposta.

GIAMPIETRO BRUNELLO, Presidente della SOSE SpA. Spero di non saltare alcun intervenuto nelle risposte, che cercherò di sintetizzare rispetto alle domande poste.
Premetto una precisazione, che mi sembra assolutamente necessaria: noi siamo tecnici e, quindi, forniamo informazioni il più possibile dettagliate. In questo mondo degli enti locali, il prima obiettivo è riuscire a mapparli.
Credo anche che affrontare il problema dei LEP senza una mappatura concreta della situazione rischi di diventare una camicia di forza. Certamente non siamo noi a definire i LEP, questo va ribadito: essendo una scelta di tipo politico, noi forniremo solo i numeri - spero non del lotto - per poterli determinare nel modo più corretto possibile.
A questo proposito, infatti, abbiamo parlato di diversi livelli di servizio, a cui corrispondono diversi costi e, quindi, diversi fabbisogni. Questo è il lavoro che siamo in grado di svolgere e che, in termini di tempo - passo a un'altra domanda - riteniamo di poter completare nell'arco di tre anni. Realizzeremo un terzo il primo anno, un terzo il secondo e un terzo l'ultimo anno e poi riprenderemo i primi dati per creare l'effetto di evoluzione che induce il processo virtuoso.
Il passaggio importante, che riprendo, è che «clusterizziamo» - quando ho parlato di modelli organizzativi, ho cercato di tradurre in italiano la parola cluster - i comuni, perché è fondamentale il modo in cui andremo a individuare i diversi modelli organizzativi con i quali vengono erogati i servizi. Sono, infatti, essenziali per definire il processo graduale di recupero.
È evidente che poi andremo anche a fornire - come è scritto sulla slide 28 - alcuni strumenti di valutazione comparata delle performance per i diversi modelli organizzativi che consentiranno ai comuni, nell'ambito della propria autonomia, e quindi del proprio autogoverno, di compiere le scelte migliori.
Non soltanto mapperemo e vedremo come si comporta la realtà, ma, attraverso processi di analisi comparativa, confronteremo le performance di una soluzione rispetto a un'altra, inducendo poi alcuni prodotti che permettano a ogni assessore e dirigente di ciascun comune di compiere le scelte migliori, che li portino alla gestione diretta, attraverso enti, attraverso unioni, o comunque alla gestione che offra i servizi migliori ai propri cittadini.
I tempi previsti, quindi, sono cicli di tre anni, ma saranno un numero imprecisato di cicli di tre anni, perché non è pensabile, in una situazione come quella da cui partiamo, evidenziata da tutti voi, ci sia un recupero in tempi assolutamente brevi. Indurremmo o l'impossibilità o effetti estremamente pesanti in termini di occupazione e di disagio per i cittadini.
«Clusterizzare» i comuni e individuare i diversi modelli organizzativi attraverso i quali vengono erogati i servizi rappresentano passaggi fondamentali per creare il processo di gradualità che porti a efficientare senza traumi i servizi erogati per i cittadini.
Le prime funzioni che abbiamo scelto prescindono dall'assistenza, dall'istruzione e dalla sanità, per le quali i LEP sono fondamentali. Stiamo spostando il discorso LEP in avanti proprio per consentire anche al dibattito parlamentare di svolgere il proprio corso. Noi, lo ribadisco, vogliamo fare i tecnici, perché questo è il nostro mestiere.
Di fronte alla domanda se la cultura o lo sport entrino nelle nostre analisi non sono in grado di dare una risposta, perché dipende dal fatto se siano compresi nelle funzioni oggi esistenti e se non entreranno nelle funzioni future che verranno determinate. Terremo il nostro intervento, come previsto, sui servizi collegati alle funzioni fondamentali.
Passo a un'altra risposta. Noi procediamo nella determinazione delle analisi e, quindi, dei costi standard e dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali e


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per i servizi a esse collegati raccogliendo i dati che oggi, in realtà, non esistono, se non in modo parziale e con alcuni problemi di precisione e di affidabilità, attraverso questionari.
Il grosso lavoro che compiremo sarà, dunque, quello di raccogliere i dati, che verranno poi, dal momento in cui partirà il primo questionario, raccolti nuovamente tutti gli anni per ottenere l'evoluzione. È evidente che solo questo processo ci permette di svolgere un servizio in primis ai comuni e alle province, agli enti locali, che possono, attraverso queste analisi, ricavare strumenti di miglioramento.
Per quanto riguarda la domanda sul perché il Ministero dell'interno non sia coinvolto, noi ci siamo rifatti agli attuali testi per selezionare le persone attorno al tavolo tecnico, ma non vi è alcun problema per noi farvi partecipare anche il Ministero dell'interno. Basta che venga deciso, ma è una decisione di tipo politico, non tecnico. Non siamo noi che possiamo invitare un ministero o un altro.
Per quanto riguarda il fabbisogno standard come livello ottimale, indirettamente ho già risposto nel momento in cui ho affrontato la prima parte di questa replica. Il livello ottimale verrà determinato in progress, perché in questo momento dobbiamo creare un processo virtuoso. Per questo motivo parliamo di livelli di servizio a cui corrisponderanno livelli di costi standard e, quindi, di fabbisogni standard.
In alcuni servizi ci si arriverà prima, perché vi è maggiore omogeneità sul territorio, in altri servizi, dove ci sono differenze enormi, con modelli organizzativi estremamente diversificati, si perverrà al livello dopo un percorso che probabilmente durerà non tre, né sei, ma nove o dodici anni, in multipli di tre.
Un'osservazione che mi sembra estremamente importante è la seguente: attenzione a fornire numeri e dati senza soluzioni. Sono assolutamente d'accordo: dobbiamo collegare i numeri con molta attenzione, perché non bisogna poi indurre elucubrazioni da parte dei media. I dati sono, innanzitutto, riservati. Dovranno uscire quelli che servono ovviamente in sede politica per tutte le valutazioni con la massima trasparenza e in sede degli enti locali affinché essi possano compiere le proprie scelte, fornendo però anche soluzioni, percorsi e tempi.
Sotto questo profilo, mi sembra che, dal punto di vista tecnico, siamo in grado di attuare queste azioni, che abbiamo sempre attuato per quanto riguarda il fronte dei contribuenti imprese e degli studi di settore. Credo che sia possibile farlo anche su questo fronte.
Spero di aver risposto a tutti anche sulla necessità di un cruscotto di gestione, rappresentato dagli strumenti illustrati nella slide 28, a cui abbiamo fatto riferimento.

PRESIDENTE. La ringrazio molto, presidente. Non so se la dottoressa Scozzese vuole aggiungere le sue considerazioni.

SILVIA SCOZZESE. Direttore scientifico dell'IFEL. Svolgo un'osservazione su una domanda. Dal punto di vista tecnico il riferimento alla neutralità per la finanza pubblica è nella legge n. 42 e, quindi, è sempre necessario ripetere questo fatto nei decreti legislativi. Anche se non lo si ripetesse, nei fatti sarebbe un principio sempre operativo.
Secondo me, però, il tema del Patto e della neutralità della finanza pubblica per l'individuazione dei fabbisogni standard e dei dati che saranno il risultato di questa analisi non è il problema immediato. In ogni caso il percorso porterà, insieme all'individuazione della metodologia del riparto delle risorse, che sarà il fondo perequativo, al livello di entrate, che effettivamente dovrebbe consentire nei saldi di finanza pubblica di realizzare determinati obiettivi.
Il vero problema è rappresentato dalla manovra e dai saldi di finanza pubblica. Da responsabile della finanza locale dell'ANCI, posso affermare che si tratta di un'altra questione, che i comuni pongono quotidianamente. Per quello che riguarda la programmazione di bilancio, il tema è il fatto di essere un comparto in saldo finanziario positivo e in avanzo, un problema che spero debba essere risolto.


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Ci sono altre parti della legge n. 42 che mi auguro vengano attuate rapidamente, come la concertazione, il tavolo, il coordinamento della finanza pubblica che potrebbe dare a tutto il sistema il momento di programmazione della pianificazione finanziaria di cui gli enti locali oggi hanno bisogno. Avrebbero bisogno di questo punto, ma anche dell'altra parte cui ho accennato, che spero venga attuata rapidamente.

PRESIDENTE. Ringraziamo ancora il presidente Brunello e la dottoressa Scozzese per il loro contributo, nonché per i documenti che ci hanno fornito, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 21,55.

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