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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione II
2.
Lunedì 9 giugno 2008
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Bongiorno Giulia, Presidente ... 2

Seguito dell'audizione del Ministro della giustizia sulle linee programmatiche del suo dicastero (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Bongiorno Giulia, Presidente ... 2 17 18 24
Alfano Angelino, Ministro della giustizia ... 4 18 22
Bernardini Rita (PD) ... 7
D'Ippolito Vitale Ida (PdL) ... 18
Ferranti Donatella (PD) ... 5
Mantini Pierluigi (PD) ... 2 4
Papa Alfonso (PdL) ... 9
Pepe Mario (PdL) ... 12
Scelli Maurizio (PdL) ... 16
Vietti Michele Giuseppe (UdC) ... 13 22
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.

COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di lunedì 9 giugno 2008


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIULIA BONGIORNO

La seduta comincia alle 15,40.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità della seduta odierna sarà assicurata oltre che mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro della giustizia sulle linee programmatiche del suo dicastero.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, il seguito dell'audizione del Ministro della giustizia, Angelino Alfano, sulle linee programmatiche del suo dicastero iniziata il 4 giugno scorso.
Ricordo che nella seduta del 4 giugno scorso il Ministro ha svolto la sua relazione e sono intervenuti alcuni colleghi.
Riprendiamo, quindi, dall'intervento dell'onorevole Mantini.

PIERLUIGI MANTINI. Signor Ministro, l'occasione dell'audizione sulle linee generali di inizio legislatura è appena sufficiente per muovere alcune considerazioni e alcuni auspici, non senza averle rivolto gli auguri più sinceri per il lavoro gravoso che ha dinanzi. Il lavoro nella poltrona di Guardasigilli è indubbiamente tra i più impegnativi, dal momento che viviamo in un Paese che ormai, in materia di giustizia, ha accumulato tutti i record: il record del maggior numero di cause pendenti, del maggior numero di processi che terminano con prescrizioni, del maggior numero di carcerati in attesa di giudizio, delle maggiori condanne, in sede internazionale, per la lungaggine dei processi e via dicendo.
È, quindi, un compito assai gravoso che credo dovremo svolgere in un clima di grande responsabilità e di costruttivo dialogo, forse mettendo da parte le differenze sulle questioni secondarie e concentrandoci con grandissimo senso di responsabilità in un dialogo, che mi auguro sia fertile e costruttivo, tra Governo e Parlamento sui nodi e sui temi di fondo.
La sua relazione iniziale, ovviamente, non poteva dire tutto, quindi non ne farò un'esegesi puntigliosa, né sottolineerò gli omissis. In essa vorrei invece vedere, forse illudendomi - del resto, già Voltaire affermava che l'illusione è il primo dei piaceri - le tracce di due temi significativi in materia di politica della giustizia. Il primo, quello dell'abbandono di una nevrosi monotematica, che per qualche periodo ha pure attraversato il nostro dibattito, il nostro scontro politico, su una certa guerra alla magistratura. È un tema che naturalmente si può prestare a diverse riflessioni.
Io ben comprendo un richiamo che lei ha fatto nella sua relazione alla necessità di individuare forme più efficaci sulla strada della maggiore responsabilità dei magistrati che sbagliano, cioè della responsabilità civile della magistratura. Un tema, questo, molto più concreto e limitato, che corrisponde talvolta anche a un certo disagio che i cittadini provano dinanzi agli errori giudiziari.


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Tuttavia, non c'è più un clima di conflittualità generale o di guerra preventiva, il che sembra il modo più corretto per impostare i problemi.
Il secondo tema, sulla cui presenza forse ancora mi illudo, è il seguente: mi sembra che possiamo dire che insieme stiamo passando da una stagione, che ha interessato varie legislature, incentrata sul tema del privilegio delle garanzie, del garantismo, ad una stagione che, invece, cerca una bussola nell'efficienza e nella ragionevole durata dei processi. Non che i due temi siano in alternativa - questo è del tutto chiaro - però bisogna capire se siamo orientati solo verso un garantismo che talvolta deborda, rischiando di diventare forma più che sostanza e di creare un danno concreto all'esercizio della giustizia, oppure se siamo orientati alla ricerca dell'efficienza, del funzionamento e della ragionevole durata dei processi.
A me sembra che possa essere sottolineato positivamente, signor Ministro, il suo intento dichiarato di non ricominciare daccapo i lavori delle commissioni di studio e di portare al più presto quei lavori nelle sedi parlamentari. Dobbiamo senz'altro agire utilizzando il «giravite», ossia le riforme dei codici di rito, le riduzioni delle nullità nelle notifiche, i riti alternativi, insomma i rimedi su cui la dottrina si è consolidata. I progetti di legge non mancano, i lavori sono maturi, quindi è giusto passare a una fase legislativa ai fini del decidere.
Tuttavia, forse dobbiamo anche affrontare qualcosa in più rispetto alle riforme necessarie e rispetto all'ordinario. Avviandomi a concludere, mi limito soltanto ad alcune sottolineature.
Il sistema delle impugnazioni non è affatto detto che sia un tema risolto - così come è risolto ad oggi - una volta per tutte. In effetti, noi viviamo la singolare contraddizione di un rito accusatorio (qualcuno lo definirebbe «quasi accusatorio» o «semi accusatorio») quale quello che abbiamo che offre quattro-cinque gradi di giudizio, se vogliamo considerare la fase dell'udienza preliminare, la revisione del processo a seguito delle condanne in sede europea, cosa ancora ammessa, e via dicendo. Insomma, è un iter lunghissimo, che non è affatto detto che sia più garantista. Questa è la mia sottolineatura. Lo abbiamo riscontrato anche in qualche processo ben conosciuto, come quello del Presidente Andreotti: non sempre gli appelli sono più garantisti dei primi gradi, soprattutto se cambia il modo in cui si escutono le prove e viene svolta un'analisi in via cartacea, in secondo grado.
Credo che se un atto di coraggio va fatto, anche in funzione di un'abbreviazione del rito, esso debba comprendere anche una revisione equilibrata del sistema delle impugnazioni.
La seconda sottolineatura è quella del federalismo giudiziario: lo dico essendo uno che crede molto nello Stato nazionale e vede non tanto di buon occhio una serie di eccessi federalisti che ridondano in complicazioni, eccessi di spese e via elencando. Mi è chiarissimo che la giustizia è ovviamente materia di competenza dello Stato; tuttavia credo che, in tema di organizzazione, di risorse, anche materiali - abbiamo la condizione che sappiamo nei palazzi di giustizia, fino all'assurdo di quello di Milano, che pure non è il solo, spesso inagibile o privo delle normali e ordinarie misure di sicurezza - ma anche sui temi dell'ufficio del giudice o del processo (il modo di coinvolgere i praticanti, le borse di studio eccetera), il rapporto con le regioni, gli enti locali e anche con fondazioni private, ovviamente dentro un indirizzo statale, sia un altro terreno da arare con un certo maggiore coraggio. Difatti, non vorremmo spendere questa legislatura che abbiamo dinanzi nel fare il computo, ad ogni finanziaria, per valutare se abbiamo un tot in più o in meno di risorse dedicate alla giustizia; francamente questa è una polemica sufficientemente inutile, che non risolve le questioni delle risorse pur necessarie.
Il tema delle carceri va affrontato all'insegna - mi permetto di cavarmela con uno slogan - del principio «più carceri, meno carcere». Difatti, entrambi gli aspetti devono essere considerati. Il primo


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- «più carceri» - va affrontato con il coraggio, ma anche con l'intelligenza che ci è offerta da alcuni strumenti; penso al project financing e alle mille forme di realizzazione delle intese anche sul piano dello sviluppo immobiliare, dei recuperi, delle riqualificazioni, delle dismissioni e via elencando.
Ugualmente per quanto riguarda il secondo aspetto - «meno carcere» - in quanto ci sono alcuni temi che fanno parte di testi sulle depenalizzazioni, sulle misure alternative e via dicendo che devono essere resi più concreti. Mi riferisco soprattutto alle misure interdittive, che sono tra le più efficaci.
Faccio anche un richiamo velocissimo al tema delle professioni, sul quale è già intervenuto qualche altro collega, che è di nostra competenza. Le professioni devono essere considerate come una grande risorsa nazionale nell'economia della conoscenza. Dobbiamo proseguire nell'opera di modernizzazione, pur sempre nel rispetto della qualità e della responsabilità. Non si tratta di immaginare né un approccio conservatore, che vincoli le professioni italiane a leggi ed approcci del secolo scorso, e neppure un generico e generalista liberismo che faccia di tutta l'erba un fascio.
Infine, mi permetto di affrontare velocemente due argomenti. Sul decreto relativo all'immigrazione avremo altre sedi per proseguire il confronto. Sottolineo, però, una convinzione che credo vada al di là delle parti politiche e del nostro stesso gruppo: al di là del messaggio che si vuol dare - capisco l'intento - all'esterno, si rischia, per volerlo semplificare, di complicare la sostanza delle cose. Difatti, se oggi abbiamo una difficoltà nell'attuazione delle espulsioni per via dei ricorsi giurisdizionali ai TAR e al Consiglio di Stato, domani l'avremmo - è vero, pur con le garanzie maggiori del giudice - dentro una giurisdizionalizzazione delle detenzioni, con complicazioni notevolissime per non aggiungere altro.
Credo di potermi limitare a dire che l'immigrato che rifiuti le generalità non cerca un rapporto leale con il nuovo Paese. Magari lo fa perché preso da un carico terribile di sofferenza e di problemi, tuttavia noi abbiamo il dovere di far capire che, nel momento in cui rifiuta di riferire le proprie generalità, le nasconde o le falsifica, non è più il peregrinus, ma diventa hostis. In quel caso, si giustifica probabilmente anche un cambio di intensità della misura, dalle contravvenzioni al reato, ed alcune conseguenze. Mi fermo, dopo aver ribadito, però, una contrarietà rispetto ad un tema, quello del reato di immigrazione clandestina, che è stato affidato al Parlamento e che, quindi, riprenderemo.
Da ultimo, solo una breve nota sulla questione delle intercettazioni. Siamo d'accordo sul progetto di legge che abbiamo discusso nella scorsa legislatura. Va bene una migliore procedura, una maggiore messa in sicurezza delle intercettazioni, una riduzione dei costi. In effetti la cifra che lei ha riferito, del 33 per cento, è spaventosa...

ANGELINO ALFANO, Ministro della giustizia. Trentasei...

PIERLUIGI MANTINI. Trentasei?

ANGELINO ALFANO, Ministro della giustizia. Trentasei, l'ho detto all'orecchio al presidente...

PIERLUIGI MANTINI. Ancora, va bene una maggiore tutela della privacy, la riorganizzazione dei centri di ascolto e quant'altro. Tuttavia, dobbiamo stare attenti, nell'uso di questo fondamentale mezzo di investigazione, a non commettere un errore che, forse, con un salto logico, assimilerei a quello dell'indulto: l'errore di eccedere, nel momento in cui si ritenesse di usare le intercettazioni telefoniche solo ed esclusivamente per alcuni reati, come quelli mafiosi o di terrorismo, quasi che le organizzazioni criminali che compiono rapine, sequestri, omicidi o grandi traffici internazionali di stupefacenti non avessero un tasso di pericolosità, di allarme e di capacità criminale paragonabile, non solo come sicurezza percepita, ma anche come serio problema di criminalità.


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Una riduzione eccessiva del novero dei reati oggetto di investigazione attraverso le intercettazioni sarebbe contraria agli interessi di giustizia e di sicurezza, e come tali percepiti non per una fobia del momento, ma per una realtà che ritengo innegabile.
Rinnovo i miei auguri di buon lavoro al Ministro Alfano.

DONATELLA FERRANTI. La ringrazio, signor Ministro, di aver concesso un'ulteriore occasione di incontro a questa Commissione. Insieme ai suoi impegni e ai suoi interventi di questi ultimi giorni, questo è un segnale della grande grinta con cui lei ha iniziato il suo mandato.
Le parlo con il cuore in mano, sia come deputata, sia come magistrato in aspettativa per il mandato parlamentare. Il problema della giustizia sta a cuore a tutti i cittadini e a tutti gli operatori del diritto. Il suo è sicuramente uno dei dicasteri più impegnativi e più a rischio. Questa volta voglio affidarmi a quella che lei ha più volte indicato come una condivisione di intenti, laddove c'è uno sforzo di andare oltre la posizione dei magistrati, degli operatori del diritto, per capire a fondo i problemi della giustizia.
Le chiederò, quindi, con riferimento al problema dell'efficienza della giustizia, se lei intende appoggiare la proposta di legge che il PD ha presentato in questi giorni. Tale proposta è il frutto di un'elaborazione e di una serie di evoluzioni che mirano alla razionalizzazione dei procedimenti civili e penali, all'istituzione dell'ufficio del processo, all'individuazione di una struttura di collaborazione del giudice, con possibilità anche di integrazione, come diceva prima l'onorevole Mantini, con praticanti, avvocati, tirocinanti, a un aumento effettivo della dotazione organica del personale. Mi riferisco a un aumento non solo quantitativo, ma anche qualitativo del personale della giustizia, anche con l'individuazione di profili tecnici adeguati alle nuove metodologie e alle nuove esigenze, con un occhio attento ai problemi del personale della giustizia, che attende - non ricordo se dall'epoca del Ministro Fassino - le procedure di riqualificazione, bloccate da allora. La proposta mira anche all'istituzione di un archivio informatizzato centralizzato e all'informatizzazione del procedimento penale. A quest'ultimo riguardo, signor Ministro, sicuramente l'avranno informata che c'era già un impegno di spesa, quindi le risorse per realizzarla, ma la caduta del Governo ha bloccato molte delle possibilità di attuazione che la giustizia ed altri settori aspettavano.
Si parla spesso - lei stesso lo ha fatto, ma noi tutti ne siamo angosciati - del problema dei costi, dei soldi che non ci sono, del problema del recupero delle spese. Ebbene, in questo nostro progetto sono previste anche le modalità, attraverso la delega, per il recupero delle somme consistenti sui depositi giudiziari e delle somme confiscate che, stando a un'acquisizione fatta nel novembre scorso, dovrebbero ammontare a 1 milione 500 mila euro; una somma acquisibile in gran parte, che potrebbe costituire una risorsa per il Ministero della giustizia.
Signor Ministro, lei sa che non si tratta solo di un problema di lentezza di processi, di procedure che vanno rimeditate, semplificate e riviste. È soprattutto un problema di mancanza di strutture, di una non adeguata ripartizione sul territorio delle strutture stesse, dei mezzi, degli uomini e delle risorse. Attraverso i suoi uffici, le chiedo di voler prevedere interventi e risorse adeguate, e questo consentirà anche a lei di avere successo in questa linea governativa. A quel punto noi ne prenderemo atto e collaboreremo sicuramente volentieri.
Non ci sono riforme strutturali della giustizia, per la situazione in cui versiamo, che si possano portare avanti a costo zero. Né si può pensare di recuperare queste risorse - mi riaggancio all'ultima parte dell'intervento dell'onorevole Mantini - limitando le intercettazioni telefoniche.
Nel suo intervento programmatico, lei ha indicato come priorità la questione delle intercettazioni telefoniche. Sicuramente


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era una priorità anche del precedente Governo; è avvertita dall'opinione pubblica e dagli operatori del diritto la necessità di un intervento che consenta di rendere più effettiva la tutela della riservatezza, la segretezza delle indagini, che consenta di razionalizzare il sistema. Faremmo tuttavia demagogia, signor Ministro, se pensassimo solo alle spese derivanti dalle intercettazioni e ci comparassimo, in questo senso, con altri Paesi. Sappiamo benissimo, infatti, che il nostro sistema giudiziario è diverso. Quando compariamo le intercettazioni telefoniche autorizzate dall'autorità giudiziaria italiana rispetto ad altri Paesi come la Francia, la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, dovremmo considerare la circostanza che in altri Paesi possono fare intercettazioni telefoniche anche gli organi di polizia, cosa che da noi non è possibile. In alcuni di questi Paesi, dunque, questo intervento esula dall'autorizzazione del giudice, mentre in Italia, proprio perché il nostro è un sistema più garantista, implica un controllo giurisdizionale nella concessione dei decreti di autorizzazione.
Io ritengo che se veramente si vuole tutelare il diritto alla sicurezza, quindi il diritto a un Paese sicuro, il diritto - lo ha richiamato nel suo intervento programmatico dell'altro giorno e ribadito anche in sede di ANM - del singolo cittadino a vivere in un Paese libero e sicuro, non possiamo pensare di ridurre l'intervento dell'autorità giudiziaria in sede di investigazioni per reati che, sebbene non tipicamente e in prima battuta di criminalità organizzata, sono satelliti o prodromici ad una organizzazione criminale.
Non parlo soltanto di reati comuni, reati contro il patrimonio, estorsioni, rapine, traffico di stupefacenti, ma anche di reati di criminalità economica, reati gravi di pubblica amministrazione. Dopodiché, si potrà anche discutere dell'individuazione di procedure di garanzia non formale, ma effettiva del singolo, della privacy, della riservatezza, e della necessità di evitare lo sconcio della pubblicazione delle intercettazioni sui giornali prima ancora che l'inchiesta arrivi alla fase dibattimentale.
Signor Ministro, su questo non abbiamo ancora sentito la sua parola, anche se abbiamo sentito quella - allarmante per noi del Partito Democratico - del Presidente del Consiglio, che faceva riferimento all'eliminazione di alcune fattispecie di reato che non siano quelle della criminalità organizzata.
Un altro problema che ci sta particolarmente a cuore è quello della politica penitenziaria. È noto che nel corso del 2007 l'attività di recupero edilizio e di ristrutturazione del DAP ha portato ad ulteriori 426 posti, 1.900 nel 2008. Arriveremo a circa 11 mila posti in più, recuperabili da qui al 2011-2012.
Anche lei, nel suo intervento programmatico, ha parlato di interventi edilizi per realizzare carceri più adeguate. Mi auguro che il problema carcerario non sia visto soltanto in termini quantitativi e di edilizia, in quanto questa sarebbe una visione miope che, alla lunga, non porterebbe a risolvere il problema della sicurezza.
L'edilizia delle prigioni non può essere un impegno esaustivo per lo Stato, anche perché - e penso che altri condividano con me questo pensiero - la prigione è il metodo più dispendioso per custodire e rieducare.
Vorrei sapere se lei ritiene di porre una particolare attenzione non solo ai trattamenti alternativi, che possono comunque garantire l'esecuzione all'esterno degli obblighi del condannato e l'osservanza dei divieti di comportamenti e prescrittivi, anche specifici e di recupero, ma soprattutto alla possibilità all'interno del carcere di mettere in funzione un'attività specifica di rieducazione del condannato in particolare mediante la valorizzazione dell'attività lavorativa. Tale attività lavorativa, anche riferita all'ambiente territoriale, può consentire il recupero del condannato, che è un fine al quale deve tendere una società civile. L'unica possibilità di recupero di una persona consiste nell'impiegare quelle


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risorse umane sia attraverso l'istruzione, sia attraverso la finalizzazione a un'attività di lavoro.
Pongo un ultimo quesito, relativamente a una questione - potrà comprendere il mio interesse dalla premessa iniziale - della quale lei non ha parlato affatto: la scuola superiore della magistratura, che a mio parere deve essere attuata. È un momento importante per la formazione della magistratura, anche se per una prosecuzione dell'attività di formazione già svolta per anni in maniera eccellente dal Consiglio superiore della magistratura ci continua a lasciare perplessi la cultura sottostante all'individuazione delle tre sedi, basata non su studi logistici (con riferimento ai collegamenti in essere), ma su esigenze campanilistiche. È una scelta che, francamente, solo in Italia possiamo pensare di avallare. Pensiamo alla Spagna, alla scuola di Barcellona o di Madrid: in nessuno Stato europeo si è pensato di dividere territorialmente - io parlo di «ghettizzazione» dei magistrati - in tre sedi (nord, sud e centro) la scuola per la formazione. Peraltro, se le tre sedi fossero individuate per svolgere in ognuna vari aspetti della formazione, la scelta potrebbe essere comprensibile, ma non è così.
Del resto, ci si deve spiegare come può rimanere in piedi una sede come quella di Benevento che, sostanzialmente, è priva di mezzi di collegamento e quali sono i costi (rimborso spese, individuazione delle strutture e del personale) che dovrà sostenere il Ministero della giustizia per attivare queste tre sedi, che infatti non riescono ancora a decollare a distanza di due anni.
Tra l'altro, deve essere ancora individuata - non mi voglio soffermare su questo tema, che il Ministro conosce benissimo - la sede del comitato direttivo. Mi auguro che, nell'ambito di una razionalizzazione delle spese e di una volontà del Governo di attuare una politica effettivamente lungimirante, dato che vi è solo un decreto che ha individuato le tre sedi, ma non c'è ancora niente di concreto (non esiste capitolo di spesa, né uno statuto e nemmeno il personale) si sia ancora in tempo per allinearsi ai Paesi dell'Europa, attuando scelte razionali, che diano all'Italia una dimensione europea, anche sotto questo profilo.
Signor Ministro, la ringrazio per l'attenzione e le auguro un buon lavoro. Sicuramente, laddove ci sia una convergenza sui princìpi essenziali e sulla necessità di risolvere i problemi reali, ci sarà la collaborazione costruttiva del Partito Democratico.

RITA BERNARDINI. Ringrazio il signor Ministro per essere venuto in Commissione in modo così tempestivo ad esporci il programma di Governo sulla giustizia.
Una frase mi ha particolarmente colpito nella sua esposizione, che peraltro le ho sentito ripetere in diretta, su Radio radicale anche quando è intervenuto al congresso dell'ANM: «Non dimentichiamoci che al centro del sistema giustizia c'è la persona, l'essere umano». Ma che giustizia c'è mai in Italia, se i processi pendenti nel civile sono 4 milioni 925 mila e altrettanti, se non erro - questa cifra non ci è stata riferita - sono pendenti nel penale? Insomma arriviamo a circa 10 milioni.
Noi radicali, eletti nelle liste del Partito Democratico, le chiediamo se il Governo di cui lei fa parte intenda o meno procedere con riforme strutturali del sistema della giustizia in Italia, per migliorarlo e per renderlo gestibile, efficace e giusto, oppure se intenda procedere semplicemente attraverso «l'ordinaria amministrazione del disastro», adottando norme spot, norme manifesto che non risolvono alcun problema e che, semmai, pregiudicano l'efficacia e l'efficienza delle risposte ai fenomeni criminosi, determinando sempre di più l'emergenza di una giustizia di classe, debole con i forti e forte con i deboli.
Il riferimento diretto e immediato è evidentemente, per un verso, al cosiddetto «pacchetto sicurezza» e all'introduzione tramite decreto-legge, dell'aggravante soggettiva - e perciò, a nostro avviso, incostituzionale -


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dell'essere clandestini; e, per altro verso, all'introduzione nel disegno di legge governativo del reato di immigrazione clandestina.
Su questo, come radicali, per le possibilità che abbiamo in questo Parlamento, dai banchi dell'opposizione saremo intransigenti, non fosse altro che per esercizio di semplice ragionevolezza. Poche, circoscritte ed individuabili sin da ora sarebbero le sedi di procure e di tribunali che si dovrebbero occupare, ogni giorno, di istruire centinaia di fascicoli, procedimenti, processi, con annessi procedimenti incidentali, con ciò essendo distolte dall'ordinario lavoro sul territorio, finalizzato a reprimere e punire i comportamenti criminali.
Non sono sedi qualsiasi, bensì quelle sedi - ad esempio, signor Ministro, la sua Agrigento - nel cui territorio i problemi non mancano. Siete sicuri che ingolfare sedi come quella di Agrigento o altre poche procure sia un esercizio reso ai vostri concittadini? Parlo naturalmente in termini di sicurezza, quella sicurezza che, secondo quanto affermate, volete garantire con questi provvedimenti. E con quali soldi pensate di realizzare questo progetto? Quelli che sono stati tolti al bilancio della giustizia per finanziare l'ICI, e così far fronte a un'altra promessa elettorale? Ricordiamo, infatti, che la sottrazione di una somma ha riguardato pure il magro bilancio della giustizia.
Noi riteniamo che non sia questo il modo di procedere, ma che occorra ripensare al sistema nel suo complesso, richiamando allo svolgimento delle funzioni giurisdizionali il gran numero dei magistrati fuori ruolo, giungendo ad un processo penale i cui tempi siano ragionevoli e che, al contempo, sia giusto, garantito per l'imputato nel suo divenire, la cui sentenza sia il frutto di un percorso non censurabile in termini di violazione dei diritti difensivi e che venga condotto realmente in una condizione di parità fra le parti, il che evidentemente implica qualcosa di più della semplice separazione delle funzioni fra magistrati giudicanti ed inquirenti.
Ebbene, per giungere ad un processo che abbia una ragionevole durata - che è anzitutto un diritto per l'imputato e solo in tale prospettiva un dovere per lo Stato - non occorre agire attraverso la riduzione di garanzie, pericolosamente ritenute superflue e meramente formali da una parte della magistratura, tra la quale si fa pericolosamente strada anche l'ipotesi di eliminare il doppio grado di giudizio di merito. Le garanzie codificate sono il frutto di esperienze e dibattiti dottrinari e giurisprudenziali, sedimentati in secoli di processi ingiusti.
Ciò che occorre è ripensare a monte - molto a monte - il ruolo del diritto penale come momento ultimo in cui l'ordinamento interviene a fronte delle più gravi violazioni delle regole della civile convivenza.
Depenalizzazione e riserva di codice sul piano sostanziale, esercizio discrezionale e responsabile dell'azione penale sul versante processuale: solo attraverso questo incedere sul piano strutturale si potrà avere un processo penale realmente efficiente ed efficace per combattere i fenomeni più gravi e i comportamenti dotati di maggior disvalore sociale, assicurando processi rapidi e responsabili, con sentenze tempestive ma giuste, perché frutto di un percorso garantito.
Esercizio di responsabilità chiara da parte del legislatore attraverso la riserva di codice ed esercizio di responsabilità da parte della magistratura: oggi noi sappiamo che l'obbligatorio esercizio dell'azione penale si traduce in una colossale ipocrisia, che dà luogo, di fatto e nei fatti, ad un esercizio dell'azione penale arbitrario ed irresponsabile.
Non mi soffermo sulla «circolare Maddalena», che pur essendo, a nostro avviso, non condivisibile per lo strappo costituzionale, indica tuttavia che una qualche assunzione di responsabilità debba essere fatta su questo fronte.
Da ultimo, vengo al problema delle intercettazioni telefoniche, che sono collegate - credo - al tema che ho appena sollevato dell'obbligatorietà dell'azione penale. A nostro avviso, una riforma non


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sarebbe necessaria se solo fossero applicate, e debitamente sanzionate, tutte quelle prassi distorsive del dato normativo già attualmente esistente. Però, in Italia, piuttosto che sanzionare, o forse proprio per l'incapacità di sanzionare l'uso scorretto di una norma, si preferisce cambiarla.
L'abuso delle intercettazioni è un dato anch'esso incontestabile - sono a tutti noti i dati relativi alle comparazioni con l'uso delle intercettazioni fatto in altri Paesi, come ad esempio negli Stati Uniti - che oltretutto ha determinato via via il formarsi di un pubblico ministero ormai incapace, soprattutto per certi reati, di condurre indagini con strumenti diversi dalle intercettazioni e capace solo di spendere milioni di euro e rimanere seduto in attesa dei brogliacci.
Come lei sa, signor Ministro, il nostro codice di procedura consente che le intercettazioni siano autorizzate - salvo in casi residuali, eccezionali e specifici - solo a fronte di gravi indizi di reato e della indispensabilità per la prosecuzione delle indagini. Lei sa, ancora, che tra i gravi indizi non hanno alcun tipo di valore le dichiarazioni fornite agli investigatori dagli informatori che non siano state assunte a sommarie informazioni.
Giudichi lei, considerando solamente, fra i casi di cronaca giudiziaria oppure fra quegli stessi giunti in Parlamento, quante volte le intercettazioni rappresentino una integrazione di indagini consolidate e dal cui quadro già emergano gravi indizi di reità a carico di alcuno, e quante volte, invece, le intercettazioni rappresentino l'intero materiale probatorio, a carico di persone nei cui confronti non vi era, all'inizio, alcun grave indizio di reità.
Prassi distorte ed irresponsabili, dunque, ma la risposta a nostro avviso è sbagliata, perché pur ritenendo eventualmente opportuno l'intervento sulle disposizioni che non tipizzano i tipi di reato per i quali è possibile procedere ad intercettazione, fissando solo dei limiti di pena come soglia d'accesso, appare sbagliato limitare l'uso del mezzo di ricerca della prova solo a reati quali quelli di mafia e terrorismo, per i quali già oggi è prevista una disciplina sostanzialmente diversa, così come è sbagliato accomunare la condotta di chi esegue illegalmente l'intercettazione e quella di chi illegalmente la divulga.
L'auspicio, signor Ministro, è che su questi fronti si possa aprire un costruttivo dibattito parlamentare, non condizionato da posizioni ideologiche e finalizzato solamente a far sì che tutti noi, al termine di questa legislatura, possiamo dire di avere bene operato per rendere il servizio giustizia migliore di quello che abbiamo trovato.

ALFONSO PAPA. Signor Ministro, innanzitutto le auguro un buon lavoro. Ho ascoltato con attenzione la sua relazione e devo dire che, a mio modesto avviso, essa va accolta con grande interesse e con grande favore.
Dopo anni di dibattiti, di scontri e di malintesi nell'ambito del rapporto tra giustizia e poteri dello Stato, lei sta affrontando la sua missione con uno spirito giovane e aperto al dialogo. È una fortuna, da questo punto di vista, aver avuto questo periodo di interregno dal suo intervento ad oggi, che ci ha permesso di valutare il suo intervento al congresso dell'Associazione nazionale magistrati. Ebbene, abbiamo potuto verificare che, per la prima volta dopo anni di acritico, a volte cinico autocompiacimento della situazione drammatica nella quale versa la giustizia in Italia, per una serie di motivazioni, lei si sta approcciando con uno spirito più aperto all'ascolto che non probabilmente alla propalazione di idee e programmi che lei ha dichiarato di avere in cantiere e di cui ci ha dato alcune anticipazioni.
Ritengo frutto di uno spirito di grande responsabilità da parte sua aver improntato l'inizio di questa sua esperienza proprio sul tema delle intercettazioni che mentre, da un lato, oggi rappresentano una forma quasi di emergenza democratica nel nostro Paese, dall'altro sono un caleidoscopio delle difficoltà e delle problematiche


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in cui versa la giustizia in Italia.
Le è noto, signor Ministro, che la spesa per le intercettazioni copre più di un terzo dell'intero ammontare delle spese complessive per la giustizia. Da rappresentanti degli elettori e delle istituzioni quali siamo, questo tema deve sensibilizzarci, atteso che viviamo in un Paese nel quale da tempo si è dato come punto assodato l'esistenza di un budget (ad esempio in materia di sanità, che ci porta anche per servizi primari ad ammettere che a livello regionale vi siano dei limiti di spesa per apparecchiature, terapie e sistemi legati a funzioni fondamentali della vita delle persone). Al contrario, il sistema delle spese di giustizia, con riferimento alle intercettazioni, è un sistema che oggi sfugge completamente a qualsiasi forma di controllo.
All'operatore non sfugge che questa valutazione è legata alle caratterizzazioni dell'esercizio dell'azione penale nel nostro sistema, alle prerogative in fase investigativa del pubblico ministero e ad alcune garanzie cui siamo tutti vicini, essendo garanzie costituzionalizzate.
È però importante valutare che questo tema si confronta, come evidenziato da qualche collega intervenuto in precedenza, con i grandi temi europei. Si è detto che, ad esempio, in altri Paesi occidentali, anche di avanzata democrazia, esiste un sistema sviluppato di intercettazioni affidato alle forze di polizia. Infatti, è un sistema che postula una complessa articolazione di rigida e radicale separazione delle carriere, di assoluta estraneità della carriera dell'accusatore rispetto a quella del giudice, e nel quale le risultanze investigative sul piano intercettivo sono valutate nei sistemi processuali sotto la responsabilità di chi ha attuato le intercettazioni alla luce di una piena discovery processuale.
Sotto quel profilo potremmo valutare - questo è un compito che la Commissione si potrebbe assegnare - se e fino a che punto il nostro sistema attuale sia davvero più garantito nei confronti dei cittadini rispetto ad altri, nei quali è pur vero che le intercettazioni sono affidate ad organi di polizia, ma è altrettanto vero che tali intercettazioni, in quanto tali, nascono inidonee, se non attraverso una serie di passaggi, ad entrare realmente nell'attività processuale. Inoltre, esse non gravano, come avviene da noi, sul complesso articolato delle spese di giustizia.
La verità è che noi siamo l'unico Paese europeo occidentale nel quale esiste un soggetto incardinato nel corpus dell'autorità giudiziaria, dominus della richiesta ad altro soggetto incardinato nello stesso corpus per l'autorizzazione di un sistema di autorizzazioni che sfuggono completamente a qualsivoglia ulteriore forma di controllo.
Queste valutazioni, per la verità, potrebbero semplicemente ancorarsi ad un tema economico e «budgettario» sul quale sarebbe lecito immaginare una varietà di opinioni e di diversificate posizioni. Il problema è che ella, correttamente, ha posto al centro del suo intervento introduttivo il tema della persona, sul quale, nel corso di questi ultimi anni, abbiamo assistito a forme gravissime di violazioni, che nascevano non tanto dall'attività delle intercettazioni, quanto dall'uso improprio nella propalazione delle stesse e dalla constatata incapacità del sistema, con strumenti interni, di impedire tale indebita propalazione, dal coinvolgimento di soggetti sovente estranei alle attività di indagine, nonché dal coinvolgimento nelle attività e nella propalazione delle intercettazioni di fatti, circostanze e situazioni legate a volte anche a caratteri personali o intimi della vita delle persone; queste venivano ad essere in qualche misura gettati nella considerazione di un'opinione pubblica a volte disorientata, con una attività assolutamente priva di controllo.
Se le cose stanno così, credo che sia un gesto di grande responsabilità da parte sua aver posto questo problema, atteso che già nel corso della precedente legislatura, in Commissione giustizia del Senato, venne disposta l'audizione dei responsabili della direzione generale della giustizia civile e delle spese di giustizia, del capo del dipartimento


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per gli affari di giustizia, nonché del capo dell'ispettorato del Ministero, che lei oggi sovrintende, i quali evidenziarono i problemi legati alle modalità tecniche con le quali vengono oggi effettuate le intercettazioni.
Le attuali modalità tecniche legate al fenomeno della cosiddetta «delocalizzazione» non consentono, in buona sostanza, per un forte sviluppo che ha avuto la tecnica investigativa informatica, di realizzare appieno un controllo dei requisiti normativi richiesti dal codice in tema di difesa del materiale acquisito mediante intercettazioni.
Da questo punto di vista, segnalo al presidente della Commissione l'opportunità di verificare un'ipotesi di audizione del capo dell'ispettorato del Ministero della giustizia che, nella stessa qualità, nel corso della precedente legislatura, in occasione di ispezioni svolte, evidenziò l'assoluta incapacità del sistema di evitare che, tramite apparati informatici, DVD riproduttivi dell'attività di intercettazione venissero acquisiti, prima della loro cosiddetta «sbobinatura», solo ed unicamente dall'autorità giudiziaria che li disponeva.
In altre parole, è stato più volte verificato che i sistemi attuali, attraverso modem delocalizzati, consentono in tempo reale forme di pirateria che, da un lato, non permettono all'autorità giudiziaria di espletare sempre il dovuto controllo e, dall'altro lato, a volte in qualche misura favoriscono derive e zone d'ombra che credo tutti quanti noi, oggi, siamo d'accordo nel voler evitare.
Già solo questo dovrebbe necessariamente predisporre tutti noi verso una valutazione concreta della necessità e della conseguente proposta di un intervento normativo su queste tematiche.
È probabile che sul tema dei reati da coprire, sul tema delle modalità, potrebbe esserci una forma di approfondimento. Personalmente mi permetto di ritenere che la previsione, ad esempio, di giudici collegiali in materia di verifica delle richieste di intercettazioni, come di provvedimenti sulla libertà personale provenienti dai pubblici ministeri - con forme di discovery più o meno ampia, sul modello americano, che attuerebbe concretamente i dettami del nostro attuale codice e del giusto processo - potrebbero formare una valida piattaforma di partenza.
Direi anche che il sistema dei tempi, così come previsto dal nostro codice in materia di intercettazioni, è forse anacronistico. Una garanzia reale potrebbe essere rappresentata da un significativo contenimento dei tempi, anche per evitare una disfunzione - che è stata spesso denunziata e che aleggia, purtroppo, in tante esperienze non positive di indagini che non hanno sortito effetti processuali concreti - di intercettazioni utilizzate non tanto come mezzo di ricerca della prova, così come voluto e richiesto dal nostro codice, ma come strumento, a volte indebito, di ricerca della notitia criminis.
In un sistema proiettato in maniera radicale verso concezioni anglosassoni di ricerca delle prove processuali, potremmo anche immaginare una dilatazione totale delle intercettazioni cosiddette preventive. Nei sistemi attuali questo si risolve, però, in una totale assenza di garanzie, da un lato, e nella inefficacia del prodotto investigativo raccolto in molti casi, dall'altro.
Vorrei, infine, aggiungere un passaggio sul tema delle professioni, tema che lei, signor Ministro, ha dimostrato di avere a cuore, rispetto al quale credo che, nel corso dell'ultima legislatura, si sia segnato uno dei momenti di maggiore crisi nel rapporto con le libere professioni.
Io non vorrei ripetere quanto ha significato chi mi ha preceduto nel corso della precedente seduta. Voglio soltanto rassegnare alla sua sensibilità la tematica delle miriadi di giovanissimi avvocati che oggi si riuniscono in grandi studi, per essere le ultime categorie in questo Paese di dipendenti salariati, ai quali non è neanche assicurato un salario minimo garantito. Da questo punto di vista la riforma Bersani ha rappresentato il suggello finale di una grande mistificazione di professionalità e di intelletto, che è legata a chi compie un certo tipo di


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scelta intellettuale. Mi permetto di dire che un intervento oggi su questi temi, partendo già solo da questo aspetto, potrebbe essere indispensabile.
Lei ha fatto anche riferimento al tema del riordino dell'ufficio del giudice. Da questo punto di vista, mi permetto solo di rappresentare che oggi probabilmente si impone anche, alla luce delle riforme attuali dell'accesso, una verifica dell'attuale sistema delle carriere. La magistratura si accinge a diventare, nella sostanza, una forma di concorso di secondo grado. Esistono oggi professionalità giovani che entrano in queste carriere e che vivono, soprattutto all'inizio, grandissime difficoltà nei primi approcci; rispetto a queste professionalità, credo che forme di gratificazione che fuoriescano dalla vecchia logica degli automatismi, o comunque gerontocratica - rispetto alla quale il sistema ha manifestato i suoi limiti direi in maniera definitiva, soprattutto negli ultimi tempi - renderebbero necessario un approccio, rispetto al quale sono sicuro che la sua impostazione pragmatica consentirà di dare risultati e risposte concrete.
Per quel che riguarda il processo civile, mi preme sottolineare che questo è la vera nota dolente, della quale nessuno parla probabilmente perché fa meno notizia. È uno degli aspetti che davvero allontanano di più il cittadino dalla giustizia e dal mondo legato alla giustizia.
Mi auguro che gli spunti che offerti, rispetto ai quali si è innescato un forte dibattito in materia di mediazione, di aspetti alternativi alla risoluzione processuale, di rivalorizzazione e rivisitazione delle figure onorarie ampiamente penalizzate nel corso degli anni scorsi, possano consentire di dare adeguate risposte. Pregherei il Ministro, ove lo riterrà, di tenere aggiornata questa Commissione sugli sviluppi di questo tema della mediazione degli ADR e dell'eventuale sviluppo normativo di determinati progetti.
Le auguro buon lavoro, signor Ministro, nella convinzione che questa Commissione saprà garantire con spirito di leale collaborazione ogni forma di supporto e di dialogo alla sua attività, che, a giudicare dalle premesse del suo intervento, riuscirà finalmente a introdurre nuovi spunti e spiragli in un dibattito agonizzante, altrimenti destinato a morte certa.

MARIO PEPE (PdL). Signor Ministro, sono membro di questa Commissione da ben sette anni (ci capitai per caso e poi sono rimasto). Ho guardato ai problemi della giustizia con l'occhio di una persona libera da interessi corporativi, giacché non sono magistrato né avvocato. In questa Commissione ne sono, infatti, passati troppi.
Poiché siamo entrati insieme in Parlamento, vorrei amichevolmente suggerirle un'idea. I ministri della giustizia che l'hanno preceduta sono stati vittime di un'anomalia del sistema italiano, problema che lei deve affrontare per primo. Lei è il responsabile del funzionamento degli uffici giudiziari, ma ogni tentativo di renderli più efficienti è destinato a scontrarsi con i diritti dei magistrati, che non perdono occasione per sparare a zero sul quartier generale, sul Governo e sul Parlamento.
Lei non può far nulla, signor Ministro, se la posizione di un fascicolo sul tavolo di un pubblico ministero fa di un cittadino un imputato, mentre ne sottrae un altro al processo. Lei non può far nulla, se le sentenze vengono depositate dopo otto anni scandalizzando l'opinione pubblica per il fatto che pericolosi criminali vengono liberati in quanto il processo è andato in prescrizione.
In ogni occasione di scontro tra la politica e l'Associazione nazionale magistrati, questi ultimi hanno difeso il dogma per cui, se la giustizia in Italia è in crisi, il corpo giudiziario è esente da qualsiasi colpa. La colpa deve essere attribuita alla politica, che fa mancare i soldi per i cancellieri e per le fotocopie, come se le sentenze dovessero essere scritte dai cancellieri.
Affermano che ci sono pochi magistrati e che non vengono banditi i concorsi, ma, come rilevato dall'onorevole Bernardini, numerosi magistrati sono distolti dalle


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loro funzioni, i magistrati comandati presso i vari ministeri o presso quello delle pari opportunità. Nel corso della scorsa legislatura ho combattuto una battaglia, affinché, considerata la crisi dei processi pendenti, i magistrati non fossero distolti dalle loro funzioni.
Cito sempre l'esempio del tribunale di Velletri, che ha avuto un'utenza di 1 milione di abitanti, pur avendo solo sette magistrati
Signor Ministro, lei deve affrontare una riforma che non ha costi, richiamando in servizio i magistrati dagli innumerevoli incarichi extragiudiziari, nonché i magistrati della giustizia amministrativa, che nelle commissioni tributarie sono pagati a cottimo, sottraendo tempo al loro lavoro.
Lei ha affrontato immediatamente il problema della sicurezza. Nel corso della scorsa legislatura, ebbi un incarico nel Comitato carceri. La sicurezza dei cittadini è un problema molto complesso, che non si risolve solo inasprendo le pene, laddove l'80 per cento dei reati resta impunito, ma passa anche attraverso le carceri, in cui ogni anno transitano 100 mila persone, di cui 15 mila restano in carcere solo per tre giorni.
Le carceri sono diventate scuole di malavita, per cui chi ne esce si macchia di delitti più gravi di quelli per cui era stato incarcerato. Evitare il passaggio in carcere di persone che vi restano solo per tre giorni e mettono in crisi l'intero sistema giudiziario rappresenta una riforma priva di costi.
Al decreto sulle intercettazioni presenterò un vecchio emendamento, che continuo a presentare a tutti i Governi, che viene sistematicamente respinto, ma che mi auguro lei accolga. Per evitare la pubblicità delle intercettazioni è necessario introdurre l'articolo 329-bis, che vieta la pubblicazione del nome del pubblico ministero fino alla chiusura delle indagini preliminari. In questo modo si eviterebbe la cosiddetta «giustizia spettacolo».

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Purtroppo faccio parte di quel numero sovrabbondante di avvocati e magistrati che l'onorevole Pepe lamenta popolino questa Commissione e condivido questa triste condizione con lei, signor presidente.
Nella precedente seduta, signor Ministro, ho ascoltato la sua relazione dai toni pacati, che rappresentava una situazione descritta con tinte molto tenui. Credo che i nostri rapporti mi consentano di farle una battuta, di cui non si rammaricherà, perché, avendo già partecipato a tre legislature con l'alternanza di tre diversi ministri della giustizia, nel sentirle leggere la sua relazione ho avuto conferma della tentazione che hanno i Gabinetti dei Ministri nel riciclare la stessa relazione quando all'inizio della legislatura i Guardasigilli vanno in Commissione a illustrare le loro linee programmatiche.
Questa tuttavia non è una colpa rilevante, perché la diagnosi delle cause della crisi della giustizia è ampiamente condivisa, e non crea scandalo constatare come anche l'indicazione delle terapie rischi di essere ripetitiva.
Per quanto riguarda però questa sua ricostruzione molto idilliaca, in cui giustamente fa richiamo al dialogo e al confronto, mi permetto di segnalarle una serie di temi su cui in queste settimane si è acceso un dibattito non soltanto tra maggioranza e opposizione, ma anche all'interno dello stesso Governo e della maggioranza, che ha visto riprodurre uno scenario e una trama molto ripetitivi su alcuni argomenti.
Mi riferisco alla prima norma sul patteggiamento annunciata come contenuta nel decreto sulla sicurezza ma poi scomparsa e che un autorevole esponente della maggioranza in materia di giustizia aveva attribuito a lei; al tema del reato di immigrazione clandestina; alla recente polemica sull'introduzione del reato sulla prostituzione e, infine, al tema delle intercettazioni sollevato nei giorni scorsi dal Presidente del Consiglio.
Su questi quattro temi - ma ho l'impressione che il copione tenderà a ripetersi - abbiamo assistito a un effetto annuncio tramite un massiccio utilizzo dei mezzi di informazione con il tentativo di


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produrre uno shock, mentre poi, registrate le reazioni perplesse o negative anche della stessa maggioranza, si è compiuta un'operazione di marcia indietro, che è sinora sempre approdata allo stesso risultato di dirottare l'argomento contestato sul disegno di legge in materia di sicurezza, che mi pare si appresti a diventare una sorta di binario morto.
La nostra esperienza parlamentare ci insegna che, quando tutti i temi controversi vengono dirottati su un unico contenitore, questo difficilmente viene approvato, ma rischia di trasformarsi in un binario morto.
Mi consenta soltanto una battuta su questi argomenti. Trascuro il patteggiamento, perché è scomparso prima ancora di venire alla luce. Per quanto riguarda il reato di immigrazione clandestina, nei giorni scorsi abbiamo sentito affermare da parte della maggioranza, evidentemente per onorare alcune cambiali sottoscritte in campagna elettorale, che questo sarebbe risolutivo per frenare un'immigrazione extracomunitaria fuori controllo.
Tutti noi sappiamo - e, sicuramente, anche lei, signor Ministro, perché sarà stato informato dai suoi uffici, non soltanto dall'ANM - che questo reato rischia di produrre un effetto boomerang. Non stiamo affrontando una discussione teorica e astratta sull'opportunità o meno di criminalizzare l'ingresso clandestino, ma stiamo discutendo delle misure più efficaci per allontanare gli extracomunitari irregolari, entrati illecitamente nel territorio nazionale.
Se l'obiettivo è l'allontanamento, elevare a reato quel comportamento allontana il momento dell'espulsione, perché, come la Corte costituzionale ha più volte ribadito, inserire l'immigrato nel circuito giurisdizionale significa riconoscergli i diritti a difendersi fino al terzo grado di giudizio, quindi farlo permanere per tempi estremamente dilatati nelle nostre carceri o comunque nel nostro Paese, procrastinando all'infinito l'espulsione.
Su questo aspetto dobbiamo accordarci. La campagna elettorale è finita, per cui dovrebbero essere finiti anche i tempi degli slogan. Ragioniamo sull'obiettivo, che è l'allontanamento e l'espulsione più rapida ed efficace, e affrontando in modo pragmatico la questione prendiamo atto del fatto che il reato allontana questo obiettivo.
Per quanto riguarda la prostituzione, fermo restando quanto richiamato sulle modalità dell'effetto annuncio, constato come già oggi i promotori al Senato abbiano innestato la marcia indietro e ipotizzato il dirottamento nel disegno di legge. Oggi, il Ministro dell'interno ha però affermato che il problema deve essere risolto e ha nuovamente citato i Paesi che lo hanno risolto con l'istituzione di zone o spazi destinati alla pratica sessuale.
Concordo con l'ex Ministro Pisanu, il quale ha dichiarato che la materia è delicata e non si può individuare una soluzione frettolosa, coinvolgendo soltanto la prostituta e non il cliente. Anche in questo caso, temo che la giurisdizionalizzazione di questi comportamenti rischi di allungare e di procrastinare interventi in parte possibili già a legislazione vigente se alle Forze dell'ordine fossero garantiti risorse e mezzi sufficienti. L'ultimo tema riguarda le intercettazioni. Sono reduce da un dibattito televisivo con il segretario nazionale dell'ANM, che, per la verità, rappresenta un incentivo vivente a sostenere fermamente la politica del Governo. Francamente, nel momento in cui sostiene l'assenza di abusi nelle intercettazioni da parte della magistratura in questo Paese, Cascini rischia persino di convincermi della bontà delle tesi del Presidente Berlusconi di volere applicare a tutti il metodo del 5 più 5 più 5 (5 anni per chi ordina le intercettazioni, 5 anni per chi le esegue e 5 anni per chi le propaga). Sappiamo che si sono verificati abusi, che in questo Paese l'intercettazione viene utilizzata talora non in presenza di precisi indizi di reato, ma per cercarli. Sui giornali di oggi il presidente Bongiorno l'assimilava efficacemente a una rete lanciata in mare, di cui dopo la pesca si faccia l'inventario di quanto è stato trovato e si inizino i procedimenti penali. Non è certo questo lo scopo di tale strumento.


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Il Codice vigente stabilisce che le intercettazioni siano utilizzate soltanto quando sono strettamente indispensabili, ma nella prassi vengono sempre considerate indispensabili. Esiste una limitazione ad alcuni tipi di reato, ma i magistrati aggirano questo limite contestando sempre il reato che consente l'intercettazione, salvo poi derubricarlo se non si trova niente.
Non so se la soluzione sia quella ipotizzata anche dal presidente Bongiorno, ovvero affidare l'autorizzazione a un giudice collegiale, anziché monocratico, oppure quella di derubricare direttamente questa fonte di prova, lasciandola magari per un tipo di reati più ampi, ma, come avvenuto per i pentiti, utilizzandola soltanto se suffragata da altri mezzi di prova precisi e concordanti.
In tal modo si eviterebbe che, come talora avviene, i magistrati ricorrano a questo mezzo di indagine in via esclusiva, depotenziando completamente quel poco di competenza che la polizia giudiziaria ancora detiene e che dovrebbe essere accresciuto, eliminando così il ricorso in via esclusiva alle intercettazioni.
Credo che, come oggi scrive Rodotà, la nostra civiltà giuridica e la nostra capacità di legislatori debbano indurci a introdurre sanzioni proporzionate rispetto ai comportamenti. Proporre di dispensare pene massime per tutti, per chi autorizza, chi intercetta, chi divulga, può servire più a fare propaganda da campagna elettorale, che ad attendere alle responsabilità di Governo.
Mi permetto di ricordare che nella scorsa legislatura la Camera approvò pressoché all'unanimità un testo di legge proposto dall'allora Ministro Mastella sul tema delle intercettazioni, rappresentativo di un punto di equilibrio tra le diverse istanze delle forze politiche. Ritengo che sarebbe opportuno ripartire di lì, anziché ogni volta da zero.
Concludo, signor Ministro, facendo riferimento a due sue affermazioni. Lei ha dichiarato che non intende affrontare riforme epocali: è un giusto proposito, perché ritengo che in queste contingenze manchino le condizioni per immaginare rifacimenti integrali dei Codici. Lei ha però aggiunto che conta di portare a breve in Parlamento una sintesi dei lavori di riforma del Codice penale e del Codice di procedura penale. Vorrei sapere come le due affermazioni si contemperino, giacché nei lustri a queste riforme hanno lavorato le Commissioni Pagliaro, Grosso, Nordio, Pisapia per il Codice penale e le Commissioni D'Alia e Riccio per la procedura penale.
Abbiamo prodotto un'enorme quantità di studi, di carte, rispetto alla quale non ritengo possibile realizzare una rapida sintesi. Se per rapida sintesi s'intende una proposta di riforma del Codice di procedura penale e del Codice penale, ci si troverebbe nuovamente di fronte, seppure non attraverso il mezzo della commissione ministeriale, alla proposizione della riforma epocale, rispetto alla quale dichiaro sin da ora tutte le mie perplessità e riserve. Considero opportuno mantenersi sull'approccio minimalista, che mi sembrava auspicato nel suo intervento.
Per quanto riguarda infine la giustizia civile, lei ha affermato di non voler perseguire la grande riforma del Codice di procedura civile, ma anche di voler fare riferimento alla proposta all'esame del Senato che tratta dell'unificazione dei riti, della riforma del regolamento di competenza e delle competenze, delle nullità, dei tentativi di conciliazione, delle sanzioni processuali per i comportamenti delle parti, dell'introduzione dei procedimenti sommari non cautelari. Anche qui mi pare che, se non si immagina una complessiva riforma del codice di rito, certamente ci si avvicina molto.
Vorrei sapere come questo si concili con la sua affermazione di ritenere preponderanti nel civile le esigenze organizzative. Personalmente, sono scettico su questa tesi molto diffusa anche quando si dibatte sulla durata del processo. Non sono così convinto dell'irrilevanza del rito ai fini della durata del processo, né che sia sufficiente intervenire sulle cause organizzative.


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Abbiamo esempi di tribunali in cui le prassi virtuose in materia di esecuzione fallimentare e di durata dei processi hanno prodotto buoni risultati, ma continuo a ritenere che il rito abbia una rilevanza diretta e decisiva anche ai fini della durata del processo.
Purtroppo, magistrati e avvocati hanno una tentazione irresistibile alla distorsione del rito in termini di allungamento. Personalmente, non sono scandalizzato dell'esistenza della trentina di riti da lei richiamati - nelle ultime ricostruzioni sono 26 o 27, ma non siamo lontani -, giacché questa moltiplicazione dei riti è non solo frutto della follia del legislatore, ma anche di una fondamentale esigenza, cui si deve dare risposta.
La pluralità e la difformità del contenzioso civile esigono infatti strumenti elastici e flessibili, mentre gli strumenti processuali e soprattutto il rito ordinario di ricognizione che noi offriamo sono strumenti rigidi e uguali per tutti.
Questa è una delle cause della moltiplicazione dei riti, per cui si dovrebbe formulare una risposta - su questo c'è una disponibilità a collaborare e a ragionare insieme - per coniugare l'esigenza di flessibilità dello strumento processuale con una sua uniformità, giacché moltiplicando per 26 strumenti rigidi non raggiungiamo il nostro scopo.
Dobbiamo cercare di rendere flessibile il minor numero possibile di riti, che ci consentano di giudicare le fattispecie in maniera diversa e proporzionata alla rilevanza quantitativa e qualitativa del caso.
Le auguro buon lavoro, signor Ministro. Troverà nell'UDC un'opposizione non ostile per principio, disponibile a collaborare per ogni intervento positivo sul nostro sistema giustizia. Nei limiti delle sue competenze, le chiedo di cercare di ridurre, se non di porre fine al perverso meccanismo delle ultime settimane, per cui ad annunci shock fanno seguito relative retromarce. Si può riflettere più a lungo sulle varie tematiche, parlandone poi con cognizione di causa.

MAURIZIO SCELLI. Mi piace condividere con lei, signor Ministro, all'insegna della stima e dei rapporti di grande cordialità avuti negli anni, questo mio primo intervento in sede parlamentare. Non indossando ancora pienamente la veste di politico, vorrei portarle solo la testimonianza di un uomo che ha vissuto sul campo come avvocato civilista e come rappresentante dei vertici di un'istituzione importante quale la Croce rossa italiana le responsabilità di un certo tipo di organizzazione e di struttura.
Quando si è chiamati a gestire le risorse pubbliche è necessario individuare le priorità: oggi lei ha il compito primario di restituire la dignità ai magistrati, agli avvocati, agli ausiliari dei giudici, a tutti coloro che operano nell'ambito della giustizia e, contemporaneamente, di restituire ai cittadini la fiducia verso la giustizia.
Per quanto riguarda gli argomenti di attualità di questi giorni, a proposito delle intercettazioni, lei ha citato costi pari al 37 per cento del budget del Ministero della giustizia. Ritengo che a quanti le muovono eccezioni su cosa sia giusto fare sia doveroso rispondere che si deve guardare ai processi facendo in modo che la giustizia funzioni, altrimenti è inutile intercettare tutto il mondo. In tal modo si va verso le prescrizioni, verso l'impossibilità di arrivare rapidamente a una sentenza nel rispetto di tutti coloro che ne sono oggetto e protagonisti.
Anche a proposito dell'ipotesi del reato di clandestinità, desidero rilevare che ho vissuto personalmente la situazione degli sbarchi, la realtà dei Centri di permanenza temporanea e ho guardato negli occhi i disperati che vi sono approdati. Posso dire, signor Ministro, che spesso sono sbarcate persone che forse non avevano un abito, un euro o un dollaro in tasca, ma avevano dei numeri di telefono e un telefonino, pronti a chiamare il referente di turno e ad essere subito impegnati in un contesto di criminalità organizzata.
È quindi necessario riconoscere con senso di responsabilità che chi non ha nulla da temere dà le sue generalità e


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chiede aiuto, mentre altri aspettano solo che ci si distragga per abbandonare il centro di permanenza temporanea, essendoci già pronto qualcuno sul ciglio della strada a portarlo dove sarà indotto a delinquere.
Vorrei infine invitarla a riflettere in ordine agli incarichi direttivi e al rapporto con il CSM. Questa mattina, un collega di Napoli mi segnalava come ieri il presidente della Corte d'appello di Napoli si fosse preoccupato dei due ascensori che non funzionavano. I vari livelli della magistratura, ovvero i presidenti di Corte d'appello, i presidenti di tribunali, i procuratori della Repubblica sono spesso costretti a occuparsi del toner e della carta per le fotocopie, degli scioperi, dei cancellieri, di situazioni che non attengono strettamente alla capacità di garantire giustizia e di emettere sentenze.
Ritengo che ogni magistrato con quelle responsabilità debba occuparsi del grado di qualità e di quantità che quell'ufficio giudiziario è in grado di garantire in termini di sentenze e provvedimenti giudiziari.
Un altro spreco, signor Ministro, si verifica laddove ci sono carceri italiane che non sono sedi di sezione di tribunale di sorveglianza. Da qui, tutte le mattine, partono mezzi con scorte e detenuti, che sono costretti a fare 40, 50 o anche 60 chilometri per arrivare nelle sedi dove questi devono essere giudicati in sede di riesame.
È quindi doveroso accantonare le grandi riforme, i voli pindarici. Lei è partito dal punto giusto, ovvero dal considerare quanto già si trova al Ministero, dal monitorare l'attività su tutto il territorio nazionale e capire da quali regioni arrivino questi 4 milioni di giudizi civili che sono ancora arretrati. In alcune sedi giudiziarie non c'è arretrato, per cui dovrà pure esistere un motivo, una ragione, una competenza, una capacità di qualcuno rispetto a quella degli altri. È quindi necessario uniformare il più possibile e fare in modo, soprattutto, che il rapporto con il CSM sia improntato a grande collaborazione e sinergia.
Sono stato eletto in Abruzzo ed è impensabile che la Procura della Repubblica di Sulmona da più di un anno non abbia il procuratore della Repubblica, perché, sebbene la commissione abbia individuato due candidati, la pratica non va al plenum, forse perché mancano le note valutative.
Ritengo che in un'ipotesi di vacanza nella pianta organica sarebbe opportuno scegliere i sostituti prima di disporre il trasferimento dei magistrati, per evitare che i presidenti di tribunale e i procuratori della Repubblica debbano sempre arrancare perché privati di energie e di professionalità indispensabili.
Un'ultima nota riguarda gli avvocati. Tutti siamo passati attraverso l'esame da procuratore e poi da avvocato, ma non capisco perché i giovani avvocati debbano essere costretti a subire questi due anni di via crucis, questo precariato di cui nessuno si lamenta, giungendo all'esame dopo aver firmato, quasi non ci si fidasse, tutti giorni ruolini d'udienza e dovendo dimostrare di aver fatto un certo numero di udienze. Non capisco quale attribuzione di responsabilità abbiano gli aspiranti avvocati rispetto agli aspiranti medici, ingegneri e architetti.
Rispetto a queste classi di professionisti quelle facoltà riescono ad essere autoabilitanti, giacché l'esame di abilitazione è una conseguenza. Ogni medico, architetto o ingegnere ha superato l'esame di abilitazione, mentre invece numerosi aspiranti avvocati si sono arresi dopo aver fatto l'esame per tante volte.
Su questo ritengo necessario un collegamento con il Ministro Gelmini, per rivedere le capacità dell'università di formare fino in fondo gli aspiranti avvocati, gli aspiranti magistrati e gli aspiranti notai, affinché il giorno dopo la laurea che li ha proclamati dottori con tutta la famiglia e gli amici intorno commossi ed emozionati non debbano subire il trauma di leggere un atto di citazione senza sapere da che parte iniziare.

PRESIDENTE. Prima di passare la parola al Ministro per la replica, ha chiesto


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di svolgere alcune brevissime precisazioni l'onorevole D'Ippolito.

IDA D'IPPOLITO VITALE. Grazie, presidente. Ringrazio il Ministro, per questo supplemento di attenzione. Ero già intervenuta nella precedente seduta, ma vorrei limitarmi a tre brevissime considerazioni di sintesi.
La prima riguarda le dichiarazioni della collega Ferranti relativamente all'ubicazione delle tre sedi della Scuola di magistratura già introdotte dal ministro Castelli. Desidero precisare che due delle tre sedi diversamente ubicate dal ministro Castelli furono modificate dal suo successore, onorevole Mastella, sulla base di criteri che già nella precedente legislatura suscitarono contrarietà e furono oggetto di appassionata discussione in Aula.
Rispetto all'ipotesi di un accentramento desidero fare un'ulteriore precisazione: l'immagine potrebbe migliorare, ma i costi per l'utenza subirebbero danni. Richiamo sul punto l'attenzione del Ministro, perché tale questione mi preme molto.
Per quanto riguarda la qualificazione soggettiva, che metterebbe in discussione la tenuta costituzionale dell'ipotesi di reato richiamata dalla collega Bernardini, faccio notare come forse la capienza sia già insita nella categoria del reato proprio. La questione non tanto formale quanto di sostanza è stata opportunamente focalizzata dal Ministro quando, facendo tesoro dell'esperienza, ha sottolineato che la politica delle espulsioni forse ha fallito, per cui è doveroso riflettere sull'opportunità di aumentare la deterrenza.
Infine, vorrei esprimere un'ultima considerazione sul tema delle intercettazioni. In una società con una maggiore tenuta valoriale, in tempi non troppo lontani in cui il codice etico dei magistrati era assolutamente rigoroso, non avremmo certo affrontato tale questione. Il legislatore deve però contestualizzare e storicizzare gli interventi. Oggi l'abuso è una realtà, quindi ripristinare la certezza dei diritti e del diritto significa segnare con discernimento la linea invalicabile oltre la quale il diritto diventa arbitrio.

PRESIDENTE. Do ora la parola al Ministro Alfano per la replica.

ANGELINO ALFANO, Ministro della giustizia. Vorrei ringraziare lei, signor presidente, e naturalmente tutti i colleghi per l'attenzione dimostrata nel sottopormi una serie di interrogativi, per il garbo che avete posto a presidio delle considerazioni di natura generale circa il mio intervento e per la propositività dei vostri interventi. Di tutto questo vi ringrazio e rivolgo un ulteriore ringraziamento a coloro che sono qui oggi pomeriggio, visto che il lunedì pomeriggio non è solitamente giornata di grandi lavori parlamentari. Lo colgo come un segno di attenzione, del quale vi ringrazio ulteriormente.
Ringrazio il presidente per averci permesso di entrare subito nel merito delle questioni attraverso questa mia audizione. È stato un dibattito non ideologico, bensì molto concreto. Con grande concretezza vorrei quindi rispondere alle vostre sollecitazioni e alle vostre considerazioni.
Proprio per la concretezza del mio approccio, sul piano del metodo ribadisco quanto ho espresso in sede di relazione introduttiva. Il Governo si sta muovendo - chiamiamolo così - secondo un doppio binario, il primo dei quali attiene alle questioni largamente condivise. La condivisione emerge dai dibattiti pubblici, dai dibattiti parlamentari e dagli atti parlamentari delle precedenti legislature. Su questo versante, tutta la materia condivisa dalle forze politiche - l'ho detto in premessa e lo ribadisco - che il Governo ritiene efficace in termini di sistema sarà al più presto portata al vaglio del Parlamento. In base al buonsenso riteniamo infatti che, se vi siano proposte altamente condivise che risultino efficaci, non vi è ragione alcuna per esercitare professioni di gelosia o rivendicazioni di primogenitura, da anteporre al bene del Paese, che invece consideriamo fondamentale collocare al primo posto.
Vi è inoltre un altro ambito, che riguarda questioni condivise in termini di urgenza (la materia della sicurezza e dell'immigrazione), che suscitano però


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una disputa circa le terapie, non circa la diagnosi. Su questo eserciteremo fino in fondo la funzione di Governo assegnataci dal voto popolare recentemente espressosi, trovando la sintesi all'interno della nostra maggioranza e possibilmente un'ampia condivisione del Parlamento. Laddove non fosse possibile, faremo la parte che compete a un Governo repubblicano, decidendo in base a urgenze unanimemente considerate tali e in funzione di soluzioni considerate tali dalla maggioranza di Governo.
In questo senso, sul piano del metodo vorrei procedere in ordine cronologico in base agli interventi. Mi permetto di lasciare in coda del mio intervento la questione riguardante le intercettazioni assurta oggi all'ordine del giorno del dibattito pubblico, giacché in sede di relazione introduttiva, per un problema di correttezza nel rapporto istituzionale con la Commissione, avevo già dichiarato che tale materia sarebbe stata immediatamente oggetto del nostro impegno parlamentare.
All'onorevole Manlio Contento, che per primo è intervenuto in sede di prima seduta, rispondo che esiste la possibilità di immaginare forme alternative di soluzione delle controversie e in questa direzione ci stiamo movendo. Anche in materia di unificazione dei riti consideriamo importante avviare nell'ambito della materia della procedura civile una «rimessa in ordine» del sistema, che eviti la capillarizzazione degli interventi ed una sorta di perdita della visione di insieme del sistema giustizia.
Colgo parimenti come ottimo spunto quello che ho tradotto - non è stato da lei espresso in questi termini - con l'espressione «legge-obiettivo sulle carceri».
Dopo l'onorevole Contento è intervenuto l'onorevole Tenaglia, che peraltro è il collega ministro ombra del Partito Democratico, cui rispondo subito che il tema della revisione delle circoscrizioni, che ho omesso di citare in fase di relazione introduttiva, mi è assolutamente presente e dev'essere oggetto di una considerazione comune, perché obbliga ciascuno dei componenti del Parlamento.
Per inciso, non credo che sulla revisione delle circoscrizioni esistano maggioranze di Governo e opposizioni; bisogna che ciascuno si spogli degli interessi localistici e territoriali, perché non si tratta di una questione sulla quale una maggioranza di un colore e un'opposizione dell'altro, con questo sistema dell'alternanza, possono e debbono fare quadrato. Questo è uno dei temi su cui è importante riflettere insieme.
Allo stesso modo, guardiamo con favore alla tesi del cosiddetto «cruscotto», che riguarda le performance degli uffici, che devono essere verificabili. Riteniamo che il sistema giustizia necessiti di un tocco di managerialità per la sua rimessa in efficienza.
Rispetto a questa esigenza, che parte ovviamente dalla premessa sullo stato dell'arte del sistema giustizia oggi, nessuno dei suoi operatori può chiamarsi fuori dicendo, rispetto a quanto è accaduto in questi decenni, «Io non c'ero».
Per quanto riguarda il tema dell'effettività e dell'esecuzione della pena e della modernizzazione della legge Gozzini, abbiamo già cominciato ad operare nel decreto sicurezza e nel disegno di legge sulla sicurezza. Non tornerò sulle risposte ai vari argomenti, laddove siano stati ribaditi negli interventi successivi -; mi scuseranno coloro che li hanno ripresi, ma li ritengo assorbiti dalla precedente risposta.
La riforma delle professioni è uno dei temi centrali del nostro programma di Governo. Vi comunico infatti che rientra nella delega che ho riservato a me in quanto ministro, quindi non è delegato ai sottosegretari.
Ringrazio anche l'onorevole Costa per le considerazioni espresse in riferimento alla mia relazione introduttiva. Il suo consenso nella veste di capogruppo del PdL in Commissione mi fa particolare piacere. Ritengo che una collaborazione


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proficua passi anche per un consenso sincero rispetto alle considerazioni espresse in Parlamento.
L'onorevole Palomba, peraltro vicepresidente di questa Commissione, mi sollecitava l'ufficio per il processo. Durante vari incontri istituzionali, abbiamo parlato dell'ufficio del giudice, del potenziamento di alcune zone di frontiera carenti di magistrati. Relativamente alle sue considerazioni sulle intercettazioni, mi aggancio a quanto dirò in coda.
Devo ringraziare l'onorevole Paniz per le sue considerazioni, soprattutto per quanto riguarda l'opposizione a un allungamento dei tempi delle prescrizioni.
Per quanto riguarda l'onorevole Siliquini, rinvio a ciò che ho appena detto in materia di professioni e rispondendo all'onorevole Napoli mi pregio di rappresentare che la questione evidenziata è oggetto della prima decisione del Governo nel Consiglio di ministri di Napoli, in quell'unicum che noi consideriamo il decreto-legge e il disegno di legge, che giungeranno ad approvazione. A tale proposito faccio presente all'onorevole Vietti che non tutte le materie potevano entrare nel decreto-legge per ragioni giuridiche e politiche, e quelle che sono inserite nel disegno di legge arriveranno comunque a buon fine. Il binario del disegno di legge è più vivo che mai.
All'onorevole Napoli specifico che tra decreto-legge e disegno di legge abbiamo dedicato otto norme su trenta al contrasto alla criminalità organizzata. Si tratta di norme che si rinvengono nei lavori delle Commissioni precedenti, norme di immediata efficacia dal momento della loro approvazione, che riducono i tempi di attribuzione alle organizzazioni no profit dei beni confiscati alle organizzazioni criminali e che ridisegnano la mappa dei poteri anche della Procura nazionale antimafia in una direzione di estensione, che abbiamo voluto rafforzare e agevolare.
La collega D'Ippolito, che oggi ha aggiunto alcune considerazioni al suo intervento, ha la mia piena rassicurazione sul fatto che la questione dei cancellieri è ben presente e rientra tra quelle misure di efficienza cui facevo riferimento nel mio intervento introduttivo. Alla questione proveremo a dare risposta, compatibilmente con il quadro economico esistente.
Vorrei ringraziare l'onorevole Mantini e l'onorevole Ferranti del Partito Democratico, perché mi pare che il loro approccio sia non solo costruttivo, ma assolutamente rispondente alla premessa del mio intervento. Mi riferisco al grande ambito che parte dalla riforma di alcuni segmenti del processo civile ad alcune misure di efficienza del sistema giustizia, per le quali sono assolutamente fiducioso sulle possibilità di procedere a una rapida approvazione di importanti misure.
Relativamente a questo aspetto, chiederò un incontro con il governo ombra del Partito Democratico e agli altri partiti presenti in Parlamento. Il Governo ombra del Partito Democratico non solo perché è il più grosso partito dell'opposizione, ma è già titolare di un pacchetto di misure che desidera proporre al Governo effettivo del Paese.
Come Governo, stiamo già preparando un disegno di legge recante misure urgenti per l'efficienza del sistema della giustizia e l'accelerazione dei processi. Le materie che potranno essere discusse e condivise saranno quindi inserite in questo ambito.
Per quanto riguarda le carceri, argomento affrontato da vari colleghi quali gli onorevoli Ferranti, Mantini, Bernardini, Pepe, in ossequio alla funzione rieducativa della pena dedotta in Costituzione e al mio modestissimo approccio culturale, ritengo doveroso dare un'altra chance nella vita ai soggetti che abbiano scontato la pena. Perché la chance sia realizzabile, è necessario che le carceri siano umane e che al loro interno si svolga un processo rieducativo in una logica di reinserimento nella società. Lo stato delle nostre carceri non sempre consente questo. Occorre approntare misure che permettano di agevolare questa funzione rieducativa della pena e di non negarla attraverso le condizioni materiali di vita.


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Ribadisco quanto affermato nel corso della mia prima relazione: chiederò al presidente Bongiorno di convocare un'apposita seduta di questa Commissione per dibattere della situazione carceraria nel nostro Paese. Ritengo che, al di là del lavoro che svolgerà il Comitato carceri di questa Commissione quando sarà insediato, il plenum della Commissione abbia titolo e possibilità di confrontarsi con il Governo su una materia che è di così rilevante interesse nazionale, da giustificare un approccio comune.
L'onorevole Bernardini faceva riferimento alla circolare Maddalena, che ho studiato e sulla quale ritengo che gli spunti offerti siano assolutamente costruttivi e stimolanti.
In questa delicata materia ci stiamo sforzando di evitare norme spot, individuando norme che rispondano a esigenze concrete. In questa logica, sul decreto-legge sicurezza e sul disegno di legge in materia di sicurezza, se considerate i giudizi espressi individualmente e in parte in modo condiviso dal CSM, quelli espressi dalle forze politiche di opposizione parlamentare e dall'ANM, probabilmente giungerete insieme a me alla conclusione che vi è una notevole condivisione di giudizio positivo, eccetto la norma che configura il reato di immigrazione clandestina e divergenze con emendamenti non necessariamente abrogativi per quanto riguarda l'aggravante di clandestinità.
Sul resto, le misure previste - dall'ampliamento della sfera del giudizio immediato e direttissimo alle norme in materia di guida in stato di ebbrezza e sotto l'effetto di sostanze psicotrope, passando per quelle sulla criminalità organizzata, - hanno ottenuto un consenso larghissimo.
All'onorevole Vietti, che è intervenuto in conclusione, rispondo che abbiamo un'unica cambiale, che moralmente ritengo un impegno da onorare, nei riguardi del nostro elettorato.
Prima di queste elezioni, non abbiamo scritto un programma o uno slogan faraonico, ma abbiamo scritto un programma di Governo, ho preso - e non era riciclabile dal Gabinetto, forse da Internet - il programma che potete trovare su Internet in materia di giustizia del Popolo delle libertà e del Presidente Berlusconi e l'ho rappresentato con grande chiarezza e linearità alla Commissione giustizia.
Ritengo, infatti, pienamente attinente alla modernità politica prospettare in campagna elettorale interventi non faraonici e grandiosi ma precisi, per poi ribadirli una volta eletti. Quando torneremo al cospetto di chi dovrà nuovamente giudicarci, potremo indicare quanto abbiamo fatto o non fatto, la coerenza tra le cose dette e le cose fatte, nonché le ragioni per cui alcune cose non sono state fatte.
Su questo percorso ho avviato il mandato affidatomi al Ministero della giustizia in questo avvio di legislatura e su di esso intendo muovermi. (Commenti dell'onorevole Vietti). Non abbiamo fatto nessuna marcia indietro. Lei ha citato quattro testi. La norma sul patteggiamento era già presente nel disegno di legge Mastella e non è mai stata «carta parlamentare»; è entrata nel dibattito politico attraverso i giornali, come accade nella politica del 2008. «Carta canta» dicevano gli antichi: non l'abbiamo presentata nel decreto legge, perché già presente nel disegno di legge del Governo Prodi. Non c'è stata quindi alcuna marcia indietro.
Per quanto riguarda il reato di immigrazione, è sul testo e vogliamo approvarlo. Ovviamente, non tutto può andare per decreto, altrimenti tradiremmo il parlamentarismo che connota la cultura di governo dell'area culturale cui lei appartiene.
Il tema della prostituzione è materia di un emendamento parlamentare. Riguardo alla volontà di portare le riforme a breve, lei individua una contraddizione tra due cose che non si contraddicono. Noi non rimettiamo in discussione il codice Rocco del 1930 - così come non prendiamo il codice civile del 1942 e lo modifichiamo dal primo all'ultimo articolo -; altrettanto dicasi per i codici di procedura civile e di procedura penale. In questo senso non vogliamo fare delle riforme grandiose,


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però riteniamo che la cultura giuridica nel nostro Paese da Irnerio in poi abbia un suo sedimento.
Considerato il lavoro svolto dalla commissione Pagliaro e dalle altre che si sono succedute nell'ultimo ventennio, essendo quella Pagliaro di vent'anni fa circa...

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Diciotto.

ANGELINO ALFANO, Ministro della giustizia. ...abbiamo un prodotto non immediatamente trasferibile al Parlamento, ma che, fatta salva una verifica, si può trasferire alle Commissioni giustizia di Camera e Senato ad avvio di legislatura. Nessuno immagina un trasferimento di carte direttamente qui. Lavoreremo perché in breve tempo il Parlamento possa venire a conoscenza di ciò di cui non è mai venuto a conoscenza. Le commissioni di cui stiamo parlando hanno prodotto lavori, che non hanno mai varcato la soglia di piazza Montecitorio e sono sempre rimasti in via Arenula. Vorrei caricarmi come Ministro e noi come Governo questo trasferimento straordinario da via Arenula a piazza Montecitorio. Le Commissioni avranno poi tempo e modo di lavorare.
All'onorevole Papa ribadisco quando detto in un'altra risposta relativamente alla risoluzione alternativa delle controversie, che intendiamo agevolare. All'onorevole Pepe rispondo che la questione dei magistrati fuori ruolo non mi è stata posta solo da lui in questi giorni e in queste settimane. Si tratta di un argomento che comprendo essere parte del dibattito politico sulla giustizia.
Per quanto riguarda il tema delle intercettazioni, che mi è stato posto variamente nel corso di questa audizione, traggo conforto dagli interventi, perché avevo annunciato proprio qui che avremmo proceduto in questo senso. Sempre per la questione di metodo cui facevo riferimento in premessa, leggo quel che il Presidente Berlusconi ha previsto nel proprio programma durante la campagna elettorale: «Limitazione dell'uso delle intercettazioni telefoniche e ambientali al contrasto dei reati più gravi. Divieto della diffusione e della pubblicazione delle intercettazioni telefoniche e ambientali, con pesanti sanzioni a carico di tutti coloro che concorrono alla diffusione e pubblicazione delle stesse». Questo è il nostro programma.
Nessuno vuole arginare l'azione della magistratura o comprimere le indagini. Concordo con l'onorevole Bernardini, nel ritenere che il codice vigente in materia stabilisce quasi tutto se non tutto. Purtroppo, non è stato sanzionato quasi niente quando sovente il codice è stato platealmente violato. Il codice prevede e punisce già da oggi il reato cosiddetto di «fuga di notizie», ma non mi pare che i tribunali italiani siano titolari di casistiche giudiziarie sulla cui base sia possibile dire che tale reato previsto e punito, per il quale innumerevoli fascicoli sono stati aperti nel corso degli anni, sia stato applicato e abbia avuto una sua efficacia con delle condanne rinvenibili.
Per altro verso, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che sono requisiti essenziali per garantire un'adeguata protezione del diritto alla privacy la definizione delle categorie di persone assoggettabili a intercettazione, la natura dei reati che vi possono dare luogo, la fissazione di un termine massimo per la durata delle intercettazioni, una disciplina ad hoc per garantire la privacy degli interlocutori casualmente attinti dalle intercettazioni, senza avere alcun collegamento con l'oggetto delle indagini in corso di svolgimento.
In riferimento a quest'ultimo concetto, ovvero una disciplina ad hoc per garantire la privacy degli interlocutori casualmente attinti dalle intercettazioni senza aver alcun collegamento con l'oggetto dell'indagine in corso di svolgimento, mi permetto di esprimervi una considerazione assolutamente empirica e scarsamente scientifica.
In Italia - come voi ben sapete perché lo scrivono tutti i giornali, oltre 100 mila persone nel corso di un anno vengono intercettate. Negli Stati Uniti sono 1.700,


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in Svizzera 2300, in Olanda 3700, in Gran Bretagna 5.500, in Francia 20 mila; in Italia sono 100 mila.
Ignoro quale sia la passione telefonica dei 100 mila intercettati italiani di questo momento, però se ciascuno di questi intercettati telefona - ovvero si mette in collegamento telefonico - trenta volte al giorno, 100 mila per trenta, se non sbaglio, fa 3 milioni. Dando per assunto che ogni uomo non parla quotidianamente con le stesse trenta persone e moltiplicando tutto ciò per un numero imprecisato di giorni in cui il soggetto viene intercettato, arriviamo a 3 milioni di soggetti al giorno, moltiplicati per il numero dei giorni in cui il soggetto patisce l'intercettazione e, partendo dal presupposto che ogni giorno non sono intercettati sempre gli stessi 3 milioni di telefonate, probabilmente è intercettata grandissima parte del nostro Paese.
Credo che questa sia una considerazione empiricamente valida, anche se non scientifica perché non sono l'Istat.
La spesa riguardante le intercettazioni è inoltre in continua crescita e ha avuto un incremento di circa il 50 per cento dal 2003 al 2006. Mi riferisco al numero dei cosiddetti «bersagli». L'attuale sistema, in base al quale ciascun ufficio di procura procede autonomamente al noleggio degli apparati e alla contrattazione del prezzo, si è rilevato molto costoso e irrazionale, perché le varie procure hanno stipulato contratti a prezzi molto differenti. Alcuni bersagli hanno quindi un certo costo per una procura e altri un costo al cubo per altre. Non cito casi specifici per non creare ulteriori elementi di puro valore pubblicistico.
Il tema però è concreto, se è vero che il comma 82 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2008 approvata dal Governo di centro sinistra prevede l'istituzione del sistema unico delle intercettazioni su base distrettuale e contemporaneamente l'emanazione dei decreti previsti dalla legge finanziaria per il 2005 in materia di canone annuo e di recupero forfettario delle spese di giustizia relative alle intercettazioni.
Questo incremento dal 2003 al 2006 ha prodotto come risultato l'essersi resi conto che probabilmente la materia andava riordinata.
Per quanto riguarda il riordino della materia - mi rivolgo agli esponenti del centro sinistra qui presenti e all'onorevole Vietti - abbiamo due testi di riferimento e un programma a monte. Il testo del Governo Prodi prevedeva restringenti divieti di pubblicazione, un archivio riservato, sanzioni da 6 mesi a 3 anni per chiunque riveli la notizia sugli atti del procedimento coperti dal segreto e ne agevoli la conoscenza, la reclusione da 1 a 3 anni per chi in modo illecito venga a conoscenza di atti del procedimento penale coperti dal segreto, l'ammenda da 10 mila a 100 mila euro ai giornalisti in alternativa alla reclusione, come previsto dall'articolo 684 del codice penale, la fortissima limitazione della durata delle intercettazioni - 15 giorni e ulteriori 15, per un totale di 3 mesi - e un controllo severo da parte della Corte dei conti.
Il testo del Governo Berlusconi - che l'onorevole Vietti conoscerà bene perché, quando il suo partito lo votò in Consiglio dei ministri, sedeva in via Arenula come sottosegretario alla giustizia - non diverge radicalmente dal testo del Governo Prodi.
In conclusione di questa riflessione a tema aperto sulle intercettazioni, preludio a un dibattito non ancora maturo per la mancanza del testo del Governo, considero acclarato e condiviso il fatto che in Italia vi sia stato un abuso di pubblicazioni sui giornali di atti inerenti i procedimenti penali e che il numero delle intercettazioni in Italia non possa essere giustificato né in base al numero degli abitanti, né in base al nostro sistema giuridico e giudiziario. Non vale quindi l'obiezione che in altri ordinamenti esistono altri meccanismi di selezione della prova, perché, quando negli Stati Uniti ne fanno 1.700, in Francia 20 mila, in Italia 100 mila, si rileva comunque una discrasia che non fa quadrare il sistema.


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Sul piano dei costi, inoltre, chi ci ha preceduto ha ritenuto di intervenire con l'introduzione del sistema unico delle intercettazioni.
Osservo infine che la Camera si è già pronunciata, se non ricordo male, con 400 voti a favore e 7 astenuti sul disegno di legge Prodi. Ad oggi, la questione controversa sembra non riguardare la limitazione dei tempi delle intercettazioni, condivisa dai vari disegni di legge, né la necessità di tutelare fortemente la privacy, principale e largamente condiviso motivo ispiratore del nostro intervento, né l'urgenza di una rivisitazione dei costi di sistema delle intercettazioni. L'unica materia controversa ad oggi è quella relativa ai presupposti che riguardano le intercettazioni, laddove notoriamente già ad assetto vigente non è possibile intercettare in tutti i casi, per cui alcuni avverbi contenuti nel codice civile sono stati sistematicamente elusi senza subire la corrispondente sanzione.
Su questo argomento il nostro Governo presenterà una proposta alle Camere e siamo fiduciosi che, al di là del dibattito sviluppatosi sui giornali, anche in questa materia, si possa venire a capo di una vicenda in modo assolutamente responsabile, ovvero con l'approccio di chi ritiene che il problema esista e vada risolto, che, in riferimento alle varie possibilità di soluzione, ci si debba confrontare nel merito in modo costruttivo per il bene del Paese.
Vi ringrazio per l'ascolto e spero, caro presidente Bongiorno, che questo sia il primo di una serie di confronti con questa Commissione, che possano poi approdare a fatti parlamentari concreti, che nel nostro ordinamento significano leggi dello Stato.

PRESIDENTE. La ringrazio, signor Ministro. Sicuramente la inviteremo ad intervenire su una serie di temi, primo dei quali quello delle carceri, la cui consistenza e rilevanza lei ha sottolineato.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 17,45.

VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici)

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