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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(III e XIV)
1.
Mercoledì 17 marzo 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Pescante Mario, Presidente ... 3

Audizione del Ministro per le politiche europee, Andrea Ronchi, sull'attuazione del Trattato di Lisbona in Italia (ai sensi dell'articolo 126-bis del Regolamento):

Pescante Mario, Presidente ... 3 8 13 14
Barbi Mario (PD) ... 10
Gottardo Isidoro (PdL) ... 12
Gozi Sandro (PD) ... 9
Mecacci Matteo (PD) ... 11
Pianetta Enrico (PdL) ... 12
Ronchi Andrea, Ministro per le politiche europee ... 3 13 14
Vernetti Gianni (Misto-ApI) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud/Lega Sud Ausonia: Misto-NS/LS Ausonia.

COMMISSIONI RIUNITE
III (AFFARI ESTERI E COMUNITARI) E XIV (POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di mercoledì 17 marzo 2010


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA XIV COMMISSIONE MARIO PESCANTE

La seduta comincia alle 15,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per le politiche europee, Andrea Ronchi, sull'attuazione del Trattato di Lisbona in Italia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 126-bis del Regolamento, l'audizione del Ministro per le politiche europee, Andrea Ronchi, sull'attuazione del Trattato di Lisbona in Italia.
Ringrazio il Ministro Ronchi e saluto i colleghi presenti. Mi fa molto piacere vederli così numerosi, in questa occasione.
Do la parola al Ministro Ronchi per lo svolgimento della relazione.

ANDREA RONCHI, Ministro per le politiche europee. Innanzitutto ringrazio il presidente Pescante, che ha fatto una bella traversata per essere qui oggi. Vedo, tuttavia, che il fuso orario non lo ha colpito, e questo ci fa piacere.
Avevamo concordato di fare una relazione, sia pure rapida, sul Trattato di Lisbona. Mi dispiace che l'audizione capiti in periodo di campagna elettorale, quindi la presenza dei colleghi non è particolarmente folta. Devo dire che molti deputati mi hanno chiamato per cercare di rinviare questo incontro a dopo le elezioni, ma io ho preferito mantenere l'appuntamento concordato.
Ovviamente faremo in modo che, in occasione della risposta alle domande che mi verranno poste, anche altri colleghi che non sono presenti oggi possano partecipare ai lavori.
Ringrazio i presidenti Pescante e Stefani e tutti voi per l'invito. Insieme con il Parlamento, abbiamo lavorato e siamo stati un esempio per l'Europa. Ricordo che quando ci fu il voto negativo dell'Irlanda, grazie anche all'impulso del Presidente della Camera, onorevole Gianfranco Fini, realizzammo immediatamente la volontà di approvare entro l'anno - ci fu un accordo assolutamente unanime, tra maggioranza e opposizione - in Parlamento il Trattato di Lisbona, cosa che puntualmente avvenne.
L'entrata in vigore del Trattato segna il concreto superamento di una lunga e controversa fase del processo di integrazione europea. Esso modifica tutto ciò che è esistente e conferisce all'Unione europea efficienza maggiore e legittimità democratica.
Ho sempre detto - l'ho ripetuto anche nel semestre spagnolo, nei recenti incontri con i vari commissari - che il Trattato di Lisbona disegna una nuova strada per l'Europa, in grado di tutelare con maggiore efficienza i desideri e gli interessi dei cittadini.
Permettetemi di ricordare l'azione che vi avevo annunciato qualche tempo fa. Come Governo abbiamo realizzato una pubblicità istituzionale (sospesa per la


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campagna elettorale, ma verrà ripresa) per rendere partecipi i cittadini dell'importanza e delle opportunità del Trattato di Lisbona. Abbiamo anche realizzato un cd - non abbiamo voluto presentarlo in campagna elettorale per non dargli un taglio di speculazione elettorale - che porteremo nelle scuole in tutta Italia per diffondere anche all'interno del mondo scolastico l'importanza del Trattato di Lisbona.
Le principali novità del Trattato, come voi sapete perfettamente, consentono all'Unione europea di avere un'architettura istituzionale più armonica, più lineare, più congrua e metodi di lavoro decisamente più efficienti, per garantire i cittadini europei e dare un ruolo più attivo al concetto e al disegno di Europa sulla scena internazionale.
Le disposizioni che riteniamo essere maggiormente innovative del Trattato di Lisbona sono molteplici. Ne abbiamo già parlato, seppure informalmente, altre volte. Sono molteplici anche le ricadute dirette e indirette nel nostro ordinamento e sul funzionamento delle nostre istituzioni. Sapete perfettamente quanto sarà importante il ruolo del nostro Parlamento. Il rafforzamento dei Parlamenti nazionali, con l'attribuzione di poteri di intervento nel processo decisionale, è una delle importantissime novità che renderanno necessario un adeguamento tempestivo della legge n. 11 del 2005, a cui stiamo lavorando e che tra breve mi permetterò di presentare all'attenzione della Commissione Politiche dell'Unione europea.
Sappiamo perfettamente che su questo argomento sono depositati progetti di legge di iniziativa parlamentare e, rispetto a questo, stiamo facendo un lavoro di amalgama che credo importante. Desidero ribadire la mia ferma e precisa volontà di realizzare un accordo il più ampio possibile su questo argomento, perché ritengo che su questi temi non possano e non debbano esserci divisioni.
Sapete bene che il Governo è tenuto a trasmettere al Parlamento un'informativa abbastanza puntuale e qualificata sulla fase ascendente. A seguito dell'informativa, il Parlamento emette risoluzioni, atti di indirizzo o pareri di cui occorre tenere conto durante l'attività legislativa.
Ritengo che una posizione del Parlamento nazionale sui dossier in fase ascendente possa costituire un'efficace leva per poter integrare, rafforzare, consolidare e dare una visione più ampia all'attività di coordinamento, da un lato, e alla posizione negoziale - questo è un argomento al quale tengo molto - del Governo a Bruxelles, dall'altro.
Dobbiamo considerare, però, che la dinamica sul negoziato europeo - caratterizzata, come vedete tutti i giorni, da fasi di grande accelerazione e pause della formazione dell'atto comunitario - consente l'adeguamento dei tempi dell'esame parlamentare ai ritmi del negoziato. È, quindi, in corso di elaborazione una nuova procedura informativa e informatica per consentire al Parlamento nazionale di svolgere un ruolo maggiore, attivo, concreto e presente in ordine agli atti comunitari relativi alla fase ascendente.
Questa procedura prevede un monitoraggio costante e continuo delle varie fasi e dell'atto comunitario oggetto dell'informativa qualificata dal Parlamento. Ciò consentirà di conoscere in tempo reale quello che io definisco lo stato dell'arte degli atti comunitari oggetto di una informativa qualificata.
A seguito di un'approfondita discussione nel CIACE (Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei), è in corso di preparazione un modello di scheda tecnica che deve essere predisposta da parte dell'amministrazione incaricata di svolgere il negoziato nelle sedi europee. Questa scheda, che dovrà essere aggiornata in tempo reale dalle amministrazioni competenti, ha il principale scopo di rendere meglio edotto il Parlamento dei punti di forza e di debolezza delle varie posizioni italiane durante il negoziato, rafforzando quindi i suoi atti di indirizzo per il Governo.
Ritengo che in questo modo venga perfezionata ulteriormente la trasmissione dei documenti attraverso un'informativa


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qualificata che dobbiamo svolgere, dando alle Camere tutte le informazioni puntuali e utili per svolgere questo ruolo.
Questa procedura, a mio avviso, consente di realizzare una prima saldatura tra la fase ascendente e la fase discendente del diritto comunitario, consentendo così una prima analisi di impatto, nonché un'analisi che io definisco tecnico-normativa dell'atto comunitario nell'ordinamento nazionale.
Fin qui ciò che riguarda questo specifico tema, ma il Trattato di Lisbona è ricco di spunti per il nostro ordinamento non meno rilevanti di quelli che abbiamo testé ricordato. Proprio su questi spunti intendo soffermarmi, seppure brevemente.
Il primo è certamente il Servizio diplomatico europeo. Si tratta di un argomento molto importante e di un tema che rientra evidentemente nelle competenze del Ministero degli affari esteri. Tuttavia, pur lasciando doverosamente la competenza all'amico Frattini - al quale mi permetto di rivolgere un grazie per il lavoro costante e proficuo che svolge nell'interesse della nostra nazione - penso che non si debba perdere questa occasione per fare un punto sulle discussioni attualmente in corso in sede europea, in vista dell'attivazione di questa importante e rilevante novità.
Come sapete, il Trattato prevede che, nell'esecuzione delle sue funzioni, l'Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri - mister PESC - si avvalga di un Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE). Il Servizio lavora in collaborazione con i vari servizi diplomatici degli Stati membri ed è composto da funzionari dei servizi competenti del Segretariato generale del Consiglio e della Commissione e dal personale distaccato dei servizi diplomatici nazionali.
Il Servizio dovrà assistere il Presidente del Consiglio europeo e della Commissione nelle funzioni della rappresentanza esterna dell'Unione.
L'organizzazione di questo organismo deve essere fissata da una decisione del Consiglio, che delibera su proposta dell'Alto Rappresentante, previa consultazione del Parlamento europeo.
Con riferimento alla tempistica - ne abbiamo parlato anche ieri a Bruxelles - lo scenario che si prospetta è il seguente: l'Alto Rappresentante dovrebbe presentare l'insieme delle proposte che formeranno il pacchetto SEAE entro la fine di marzo; ad aprile il Consiglio dovrebbe adottare la decisione, pertanto i tempi per l'adozione di una decisione così complessa sono estremamente ristretti, atteso che la consultazione del Parlamento europeo è richiesta sul pacchetto SEAE nel suo complesso e che ciò non potrà avvenire senza il raggiungimento di un accordo complessivo tra tutte e tre le istituzioni.
A Bruxelles, proprio in queste ore, la discussione è entrata direttamente nel vivo. Si tratta di una sfida complicata, difficile, perché il nuovo organismo è molto complesso e richiederà un grande impegno negoziale. Questi negoziati hanno messo in evidenza una serie di rigidità, che io ho già avuto modo di criticare, che non potranno essere risolte se non con uno spirito deciso e al contempo costruttivo di tutti gli attori coinvolti. Penso alla Commissione, alla quale ho già fatto riferimento preciso sotto questo punto di vista, all'Alto Rappresentante e agli Stati membri.
Solo in tal modo raggiungeremo il risultato a cui tutti aspiriamo, ovvero che a regime il Servizio possa garantire l'efficacia e la tempestività di azione che il Trattato gli attribuisce.
Abbiamo visto ieri che i nodi sul tavolo sono molti e tutti devono ancora essere sciolti. Mi riferisco, in particolare, a un tema molto importante, che sarà molto complicato sciogliere, quello delle competenze del Servizio, oltre che alla programmazione degli strumenti finanziari, alla composizione della delegazione, al bilancio, al personale.
Vorrei ora, seppur rapidamente, passare in rassegna alcune criticità ed esporre i nostri orientamenti a questo riguardo. Come Italia consideriamo il Servizio europeo per l'azione esterna una delle innovazioni


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più importanti e più significative del Trattato di Lisbona. È un progetto comune che deve unire istituzioni e Stati membri e la cui realizzazione è essenziale perché l'Unione europea possa svolgere un ruolo politico globale, rafforzando il peso economico e commerciale dell'Unione.
Per quanto attiene allo status giuridico, il SEAE, se ben inquadrato all'interno della costituzione istituzionale europea, dovrebbe costituire un organismo «sui generis», distinto dalla Commissione e dal Segretariato del Consiglio, capace - lo speriamo - di agire in modo efficace e in piena autonomia, ma al contempo capace di raggiungere quello che anche in Commissione ho chiamato un duplice obiettivo: assicurare l'efficacia dell'azione esterna dell'Unione e mantenere il necessario clima di collaborazione tra le istituzioni, e tra queste e gli Stati membri.
Capite che si tratta di una situazione complessa. Ci sono, all'interno dei 27, opinioni diverse su questo. Mi auguro che si possa arrivare a una situazione che non definirei di compromesso, ma tale che possa sbloccare le rigidità, per far sì che questa innovazione importante del Trattato possa diventare rapidamente realtà.
Per quanto riguarda il personale, altro argomento importante, stiamo sostenendo con fermezza - al riguardo, colleghi, vorrei un appoggio importante - la necessità di individuare procedure di selezione assolutamente trasparenti, basate sul merito, e che rispettino l'equilibrio geografico e di genere.
Riteniamo assolutamente prioritario assicurare una presenza significativa nel Servizio di funzionari provenienti da tutte le diplomazie nazionali, assicurando nel contempo l'assoluta eguaglianza di trattamento con i funzionari permanenti statutari provenienti dalle istituzioni.
È auspicabile un sistema di rotazione obbligatoria per tutte le posizioni nel Servizio, al fine di permettere una continua dinamizzazione dello stesso.
In conclusione, avete capito che i problemi sul tappeto sono numerosi, complicati e accompagnati da numerose rigidità. Ci stiamo lavorando, anche con i colleghi francesi e tedeschi. Tuttavia, questo non dovrà paralizzare il negoziato, ma confermare ulteriormente la visione ambiziosa di questo strumento di azione.
Il SEAE, infatti, assistendo l'Alto Rappresentante in tutte le funzioni che gli attribuisce il Trattato, dovrà assicurare un'azione esterna che sia coerente, efficace e corrispondente con il maggior peso assunto dall'Unione europea quale attore nella scena politica internazionale e mondiale.
Non meno importante, soprattutto per i cittadini, è la novità di un diritto di iniziativa popolare europea; questo è un aspetto sul quale penso che dovremo lavorare molto. È un aspetto per ora sottovalutato, ma ritengo che sia uno degli assi portanti dello stesso Trattato.
Questo diritto introduce una nuova forma di partecipazione dei cittadini alla politica europea, consentendo loro di rivolgersi direttamente alla Commissione per chiedere di presentare una proposta legislativa su qualsiasi questione di loro precipuo interesse.
Nel dicembre dello scorso anno il Consiglio europeo ha formulato l'invito alla Commissione di presentare una proposta di regolamento da adottare entro quest'anno, termine che la Commissione intende rispettare presentando una proposta legislativa - ci è stato comunicato nei giorni scorsi - entro il mese di aprile. A questo fine, lo scorso novembre la Commissione europea ha lanciato una consultazione che è terminata lo scorso 31 gennaio.
Il dibattito che si è svolto finora ha fatto emergere uno scenario che sostanzialmente mostra due correnti di pensiero. La prima proviene dal mondo delle ONG e delle associazioni e da alcuni ambienti del Parlamento europeo, vede il nuovo sistema in termini friendly, ossia facilmente accessibile ai cittadini europei, e non sempre coincidenti con le rigorose procedure applicative vigenti, come per esempio accade in Italia. Tale corrente di pensiero, che vede una filiera soprattutto dei Paesi nordici, vorrebbe un istituto di partecipazione popolare con le stesse caratteristiche


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della petizione popolare, sia per i firmatari che per la valutazione dei requisiti di ammissibilità da parte della Commissione.
La seconda corrente di pensiero, cui sembrano aderire dalle prime indicazioni numerosi Stati membri, propende per l'introduzione di una verifica ex ante di ammissibilità da parte della Commissione, che è basata su criteri restrittivi. Una volta superata tale verifica, allora si può avviare l'attività di raccolta delle firme. La verifica di ammissibilità dovrebbe valutare la conformità del contenuto dell'iniziativa alle competenze attribuite dai trattati alla Commissione e la rispondenza alle singole iniziative legislative.
Ricordo che vi è una sostanziale diversità tra l'istituto italiano di iniziativa popolare, che consente l'attivazione del procedimento di formazione delle leggi attraverso un progetto redatto in articoli, da discutere e approvare in Parlamento, e quello europeo, che mantiene in capo alla Commissione, e solo ad essa, l'iniziativa legislativa.
I promotori non dovranno, quindi, presentare un testo definitivo, ma indicare le materie o i temi sui quali si invita la Commissione a presentare la proposta legislativa.
Tengo a precisare la nostra posizione. Noi abbiamo avviato un gruppo di lavoro di coordinamento per definire la posizione del nostro Governo, dell'Italia, del Parlamento, da presentare in sede europea. Per la prima volta, sono stati coinvolti in tale esercizio gli esponenti di entrambe le Camere, in ossequio anche al nuovo ruolo assunto dal Parlamento con il Trattato di Lisbona.
Voglio attirare la vostra attenzione su un aspetto minore, ma che per me rappresenta particolari profili di interesse dal punto di vista politico e tecnico. Si tratta della questione dell'integrazione della composizione del Parlamento europeo in corso con diciotto parlamentari supplementari. Devo dire che ho ricevuto numerose richieste di chiarimenti da parte sia di esponenti del Parlamento europeo - come il presidente Carlo Casini - sia di parlamentari nazionali.
Nel quadro dei compromessi diretti a rimediare al primo referendum negativo irlandese e alle resistenze di alcuni Stati rispetto alla ratifica del Trattato di Lisbona, il Consiglio europeo ha previsto che il Parlamento debba essere integrato fino al termine dell'attuale legislatura con ulteriori diciotto parlamentari.
La ripartizione dei seggi è già stata decisa e vede assegnato all'Italia, insieme a Bulgaria, Lettonia, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Slovenia e Regno Unito, un seggio in più, mentre Francia, Austria e Svezia ne avranno due e la Spagna ben quattro.
Perché tutto ciò diventi effettivo, è necessaria una mini Conferenza intergovernativa che approvi un protocollo al Trattato, che poi dovrà essere ratificato da tutti gli Stati membri. La Conferenza dovrebbe - uso il condizionale, perché è d'obbligo - aprirsi e chiudersi durante il semestre spagnolo.
Questo lascia presagire che il protocollo potrà entrare in vigore entro la fine del 2010 o all'inizio del 2011. In quel momento diventerà di attualità la questione dell'individuazione dell'europarlamentare italiano supplente. Per questo, a tutti coloro che mi hanno richiesto un incontro o uno specifico intervento ho risposto che dobbiamo aspettare questi passaggi. Vorrei che tutti i Parlamenti nazionali, quantomeno, potessero avere un atteggiamento omogeneo, cosa di cui dubito, ma lo vedremo nelle prossime settimane.
Sulla scorta di quanto deciso dal Consiglio europeo, dunque, il protocollo lascerà tre alternative agli Stati membri: procedere a una elezione diretta del parlamentare, secondo le regole che governano le elezioni europee; sceglierlo tra i non eletti alle elezioni europee dello scorso anno; designarlo da parte interna, fermo restando che il designato dovrà lasciare il seggio nazionale a vantaggio di quello europeo. Su queste tre ipotesi stiamo registrando una diversificazione di opinioni sia all'interno del nostro Parlamento sia, soprattutto, all'interno dei 27


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Paesi. Abbiamo svolto un dibattito informale e abbiamo verificato che le posizioni sono molto frastagliate e diverse.
Non ci nascondiamo che queste soluzioni presentano difficoltà o problematiche tecniche e politiche. Personalmente ritengo che, in questo momento, assumere una posizione precisa non sia giusto e che queste soluzioni debbano essere disciplinate per legge. Toccherà a noi - a voi come Parlamento - cercare di fare una riflessione e assumere una decisione il più possibile condivisa.
Accenno ora a un ultimo profilo di attuazione del Trattato di Lisbona, e lo faccio con particolare attenzione, anche perché c'è stato un allarme dopo la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sulla famosa questione del crocefisso. Il Trattato di Lisbona ha introdotto, infatti, una norma diretta per consentire l'adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, rispetto alla quale quella Corte costituisce l'organo giurisdizionale. Non c'è dubbio che l'adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo costituisce di per sé e in sé un passo significativo nella direzione di un'Europa sempre più attenta ai diritti e alla libertà fondamentale dei suoi cittadini.
Si rafforzerà ulteriormente, peraltro, quella tutela che è comunque assicurata dal valore vincolante attribuito dal Trattato di Lisbona alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, firmata a Nizza nel 2000.
Tuttavia, credo - questo è un appello che rivolgo alla vostra attenzione - che sia necessario vigilare molto attentamente sulle modalità che assumerà questa adesione, per evitare ripercussioni negative all'interno del funzionamento dell'Unione.
La semplice sottoposizione, a mio avviso, del diritto dell'Unione al controllo della Corte europea dei diritti dell'uomo, quasi come se l'Unione fosse equiparabile a una forma di Stato, rischia di creare numerosi problemi e di minare la stessa credibilità della Corte di giustizia dell'Unione, data la possibilità di decisioni discordanti su una stessa questione da parte di questa e della Corte di Strasburgo, tanto più che della Convenzione europea fanno parte 47 Stati, tra i quali anche alcuni arrivati da poco alla democrazia e a una pratica effettiva dei diritti fondamentali della persona umana.
Di conseguenza, le pronunce della Corte di Strasburgo sono prese con il contributo dei giudici provenienti anche da questi Paesi. È per questo che io vorrei, al riguardo, svolgere una profonda, attenta, precisa riflessione.
Ribadisco che sugli sviluppi di questa possibile adesione, sulla quale abbiamo già avviato un dibattito a Bruxelles in seno al Consiglio dell'Unione, bisognerà prestare particolare attenzione, perché sia preservata adeguatamente l'autonomia dell'Unione europea e del suo sistema giurisdizionale.
A questo fine, non deve essere esclusa - ma è una mia idea - la possibilità di chiedere al momento debito alla stessa Corte di giustizia dell'Unione, così come previsto dai trattati istitutivi, un parere consultivo sulla compatibilità dell'accordo di adesione con gli stessi trattati.
Ricordo che, come previsto ancora dai trattati, la conclusione dell'accordo di adesione da parte dell'Unione dovrà essere comunque preventivamente approvata da tutti i Parlamenti nazionali, quindi anche da questo Parlamento.
Vi ringrazio dell'attenzione. Le mie riflessioni doverose fanno capire anche come l'Italia e questo Governo si stanno ponendo nei confronti di questo Trattato. Credo che nelle prossime settimane potremo continuare il dibattito su questo tema, visto che le tematiche e le problematicità che abbiamo affrontato, a mano a mano che il tempo passa, avranno sempre più cogente attualità.

PRESIDENTE. Grazie a lei, Ministro. Vorrei pregare chi interverrà di attenersi a tempi rigorosamente europei. Alle 16, infatti, sono previsti i lavori d'Aula e anche il Ministro ha tempi limitati.
Signor Ministro, per quanto riguarda il rapporto con i cittadini, uno degli elementi


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che ha influenzato negativamente è stato quello dei referendum, che in verità si sono svolti solo in tre Paesi: ricordo quelli della Francia e dell'Olanda sulla Costituzione e quello irlandese. Il timore palese è che, laddove questi referendum si fossero estesi ad altri Paesi, forse l'esito sarebbe stato altrettanto negativo, per due motivi: la lontananza dei cittadini e, probabilmente, la mancata lettura, da parte degli stessi, della Convenzione e del Trattato.
Per questo motivo, la nostra Commissione ha deciso di andare incontro ai cittadini, in particolare i giovani. Abbiamo già inaugurato degli incontri bipartisan; siamo stati presso la Scuola della pubblica amministrazione e qui alla Camera abbiamo ospitato un'iniziativa della Fondazione Camera, con oltre novanta studenti universitari. Inoltre, recentemente, con i capogruppo del PdL e del PD, siamo stati ospiti della LUISS.
Insomma, stiamo cercando di fare del nostro meglio e incentiveremo questo tipo di incontri.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

SANDRO GOZI. Molto rapidamente, cercherò di seguire lo schema del Ministro approfondendo alcuni punti.
Il Ministro si è soffermato molto - e immagino che anche i colleghi della III Commissione vorranno tornarci - sulla questione del Servizio diplomatico comune, che riguarda strettamente il Trattato di Lisbona. Mi limiterò ad affrontare gli aspetti che noi trattiamo più direttamente.
Innanzitutto, credo che sarebbe saggio in Europa - ma la saggezza fa difetto all'Europa in questo momento - evitare duplicazioni e concorrenze burocratiche. Mi sembra, invece, che si vada dritto verso una duplicazione e fortissime concorrenze burocratiche tra il Servizio diplomatico comune e i servizi della Commissione. Tra l'altro, pensavamo di aver risolto il problema del coordinamento dell'azione esterna, ma credo che esso si riproporrà, se l'indirizzo del Consiglio verrà confermato, perché da una parte avremo un servizio che si occupa soprattutto di PESC e, dall'altra, avremo commercio, sviluppo e dimensione esterna di tutte le politiche comuni, che comprendono trasporti, ambiente e agricoltura, che ovviamente la Commissione terrà. Non credo che basterà il fatto che coincida nella figura della signora Ashton il ruolo di coordinamento.
Capisco benissimo i ragionamenti corporativi di tutti i Ministri degli affari esteri, ma ritengo che andare verso un servizio completamente staccato o comunque molto staccato dai servizi della Commissione - anziché agganciarlo il più possibile, anche a livello di bilancio, alla Commissione - sia la via sbagliata. Con Lisbona avremmo dovuto semplificare e ridurre, invece continuiamo con la proliferazione di figure politiche e di servizi burocratici.
Dal punto di vista italiano, esiste una questione legata ai concorsi e una legata alle nomine politiche. Sono estremamente preoccupato per quanto riguarda le nomine politiche - anche lei, Ministro, si è espresso con preoccupazione, ad esempio nel caso di Sequi - in quanto Regno Unito, Francia e Germania stanno occupando tutte le posizioni chiave a livello di alto funzionariato, per quanto riguarda la vicenda del Servizio europeo di azione esterna e dintorni.
Vorrei sapere qual è l'azione che sta svolgendo l'Italia per evitare questa gestione a tre del nuovo servizio, che significa anche gestione a tre delle nomine nei posti più importanti, del bilancio eccetera.
In secondo luogo, vorrei sapere quanti sono i diplomatici italiani che si pensa di inviare al Servizio, da quali uffici proverranno e come verranno identificati. Inoltre, vorrei capire come pensa di affrontare queste vicende il Ministero degli affari esteri, al di là della questione concorso.
In maniera molto veloce, vorrei ora sottolineare altri due punti. Il primo riguarda il diritto di iniziativa popolare, su cui il Ministro si è soffermato. A mio parere, occorrerebbe essere più flessibili e avere un approccio il più possibile ampio, anche per quanto riguarda l'età minima e


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il numero minimo di Stati membri (a mio avviso, sarebbe meglio fossero sette anziché nove). Da questo punto di vista, occorrerebbe avere una posizione il più possibile aperta.
In secondo luogo, nutro seri dubbi sulle sue perplessità relative all'adesione alla Convenzione europea dei diritti umani. Ricordo che già la Corte di giustizia nel 1994 ha espresso un parere favorevole, posto che si realizzassero alcune modifiche ai trattati, all'adesione dell'Unione europea. Quindi, non credo ci sia la necessità di fare ulteriori verifiche in questo senso.

MARIO BARBI. È evidente che ci troviamo di fronte a un elemento di novità importante e che abbiamo un doppio problema. Innanzitutto, abbiamo il problema, interno al Parlamento, di come organizzarsi, anche dal punto di vista regolamentare e strutturale, per consentire questa partecipazione in modo efficace e, in secondo luogo, nell'ambito di questa riorganizzazione e ridefinizione del modo di lavorare, il problema del rapporto con il Governo ai fini dell'efficacia europea della funzione che viene svolta a livello di Parlamento nazionale e, quindi, del nostro Parlamento italiano.
Uno degli elementi coinvolti, ancorché non in modo specifico, perché l'atto è di tipo speciale e non riguarda in primo luogo il Parlamento europeo, è anche il Servizio diplomatico europeo. Già qui ci troviamo, senza entrare nel merito, di fronte a una di queste necessità. Sarebbe utile parlare con il Ministro Ronchi e con il Ministro Frattini insieme e sarebbe il caso che dedicassimo a questo argomento, anche in presenza del Ministro degli affari esteri, una sessione specifica, per evidenziare meglio i profili che riguardano l'individuazione delle figure, il tipo di impegno nazionale, la nostra presenza nel processo che si sta svolgendo, in quale modo vogliamo far sì che si tenda a quel mix di merito, geografia e genere a cui il Ministro faceva riferimento.
Purtroppo, devo limitarmi a evocare il tema nei «tempi europei» che richiedeva il presidente. Esiste, però, un problema di grande rilievo che merita un approfondimento ulteriore e specifico.
Cito soltanto, come esempio, due casi - di cui ho facoltà di dare testimonianza diretta - di questo tipo di partecipazione alla fase ascendente. Ricordo che, nella scorsa legislatura, ci occupammo dei servizi postali e lo facemmo proprio in questa aula, insieme alla Commissione trasporti e telecomunicazioni, di cui allora facevo parte. Fu un lavoro utile. Immagino che di lavori di questo tipo se ne dovrebbero svolgere a decine. Tuttavia, occorre organizzarli e scegliere, tra le centinaia e migliaia di atti che arrivano, su quali concentrarsi.
Ho avuto anche un'altra occasione, ovvero il Partenariato orientale, come relatore in Commissione affari esteri. Quindi, è evidente che esistono molte possibilità e anche molte necessità. Il Parlamento, però, è chiamato su questo punto a una riflessione innanzitutto al proprio interno.
L'altra questione che vorrei brevemente trattare riguarda la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Le confesso, Ministro, che nemmeno io, come il collega Gozi, ho capito la questione. Mi sfugge la logica.
Lei pone il tema della statualità europea o meno. È un tema che potremmo affrontare: lo ha fatto la Corte costituzionale tedesca, dicendoci a chiare lettere che l'Europa non è uno Stato federale, ma un'unione di Stati che trasferiscono, singolarmente e per singole aree, poteri a questa confederazione. Quindi, sul tema della statualità potremmo ragionare e discutere a lungo. Tuttavia, se la ragione è questa, possiamo discuterne, ma questo mi farebbe pensare che siamo molto lontani dall'obiettivo che vogliamo raggiungere.
Per altro verso, siccome già aderiamo, come Repubblica italiana, alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e la Corte europea è un tribunale a noi sovraordinato, di cui riconosciamo i verdetti e le sentenze, anche quando le contestiamo - come nel caso che lei citava del crocefisso - non vedo dove sia il problema dal punto di vista dell'Unione europea.


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MATTEO MECACCI. Signor presidente, anche io sarò molto breve. Mi scuso con il Ministro per essere arrivato leggermente in ritardo, dunque non so se ha toccato il tema che intendo sollevare all'inizio della sua relazione.
In particolare, sulla questione dell'immigrazione, nei mesi scorsi il Governo ha preso delle posizioni - e anche lei pubblicamente - chiedendo all'Unione europea di farsi carico della gestione dei flussi migratori. Sappiamo che, in base al Trattato di Lisbona, vi sono evidentemente dei limiti rispetto alla possibilità di politiche comuni.
In queste ore, è in corso una crisi diplomatica molto grave tra la Svizzera e la Libia, rispetto ai visti Schengen. Il nostro Governo, con il Ministro Frattini, ieri era di nuovo a Tripoli e si fa portavoce anche di alcune ragioni che vengono portate avanti dal Governo libico all'interno dell'Unione europea. La mia preoccupazione, signor Ministro, è che nel portare avanti questo tipo di politiche si possano dimenticare alcuni fondamenti che sono alla base del nostro ordinamento, come la Convenzione ONU sui rifugiati, che vedono nella protezione dei richiedenti asilo e di coloro che hanno bisogno di assistenza umanitaria un caposaldo del nostro diritto interno, oltre che del diritto europeo. Mi chiedo, quindi, se in sede europea il Governo pensa di sollevare questo tipo di questione.
Per quanto riguarda l'iniziativa popolare europea, credo che questa sarebbe un'occasione, anche per il Parlamento italiano e per il Governo, prima di prendere posizione su tale questione, per affrontare in generale il modo in cui viene esercitata l'iniziativa popolare nel nostro Paese.
Stiamo assistendo, in queste settimane, a decine di ricorsi presso le procure della Repubblica che sono relativi a firme di cittadini italiani per presentare le liste elettorali. Forse, anche alla luce di altri esempi europei, questa potrebbe essere un'occasione per semplificare un sistema veramente antiquato che mette la possibilità di autentica delle firme in capo solo a pochissime e molto selezionate figure istituzionali, che difficilmente entrano in contatto direttamente con i cittadini, se non attraverso i partiti politici. È praticamente impossibile per i comuni cittadini presentare liste elettorali o referendum senza l'appoggio di partiti politici, anche per la questione dell'autentica delle firme.
Pertanto, visto che su questo aspetto dovremo evidentemente legiferare, anche alla luce di quello che sta accadendo, forse sarebbe utile semplificare questo meccanismo attraverso sistemi di autocertificazione e sistemi più moderni di coinvolgimento dei cittadini nella vita democratica di un Paese.

GIANNI VERNETTI. Signor presidente, anche io ho una brevissima considerazione da fare, in particolare sul Servizio europeo per l'azione esterna. È evidente come l'architettura istituzionale europea post Trattato di Lisbona oggi si stia complicando. In una frase ripetuta dai Governi americani, quando vi era qualche dubbio nel relazionarsi con l'Unione europea, veniva sovente sottolineato il fatto di non conoscere l'indirizzo dell'Europa. Purtroppo, l'assenza di Obama al vertice tra Unione europea e Stati Uniti d'America, prossimamente previsto in Spagna, è una conferma di questa difficoltà strutturale che ha il nostro continente di dotarsi di un'architettura più stabile.
Sono particolarmente preoccupato per la contraddizione fra il nuovo Servizio diplomatico europeo e le residue competenze della Commissione. A me questo pare il nodo vero per chi conosce il ruolo importantissimo che svolgono le delegazioni della Commissione in giro per il mondo, in particolare sulla cooperazione allo sviluppo, che è una leva fondamentale di politica europea. Oggi l'Unione europea è il primo soggetto politico al mondo per cooperazione allo sviluppo.
Poco fa abbiamo sentito il ministro Belloni, direttore generale della nostra Direzione generale della cooperazione allo sviluppo. È evidente che con 360 milioni di euro l'Italia, o i singoli Paesi nazionali anche con capienze economiche più significative, non usano più la cooperazione


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allo sviluppo come una leva politica. L'Unione europea, invece, lo fa. Infatti, gli uffici della delegazione della Commissione in alcuni Paesi africani o in alcuni Paesi asiatici sono un luogo fondamentale di rappresentanza politica dell'Unione, oltre che di erogazione di risorse e di contributi.
Pertanto, quello dell'incrocio e della sovrapposizione di competenze tra il nuovo Servizio diplomatico e le residue competenze attribuite alla Commissione in materia di cooperazione allo sviluppo mi pare un nodo cruciale: rischiamo sovrapposizioni e che le competenze del Servizio diplomatico siano in oggettivo overlapping con le forti competenze nazionali, perché è evidente che in alcune parti del mondo l'ambasciata inglese, francese, tedesca, italiana continuerà a svolgere un ruolo. Questo mi pare il nodo vero al quale credo che il nostro Parlamento e il Governo dovrebbero dedicare un vero supplemento di attenzione.
Anch'io, come l'onorevole Gozi, sono interessato a conoscere lo spazio destinato alla nostra diplomazia. Forse il caso di Sequi può anche rientrare in un normale avvicendamento di posizioni diplomatiche in luoghi internazionali importanti, però in questa fase si ha la sensazione che vi sia un rischio di marginalità del peso della nostra diplomazia. Poiché penso che il Parlamento abbia una capacità di azione unanime, questo è un tema sul quale il Governo deve sentirsi sostenuto anche dall'opposizione in azioni decise in questo senso.

ENRICO PIANETTA. Innanzitutto voglio ringraziare il Ministro per la concretezza della sua relazione e anche plaudire all'iniziativa che lui ha citato relativa ai giovani. Dobbiamo continuare a costruire l'Europa e affrontare questi temi con le nuove generazioni. Vada avanti, signor Ministro, con questa impostazione perché si tratta di un investimento davvero produttivo.
Intervengo solo sul tema del Servizio diplomatico europeo. L'Italia, anche nella sua Costituzione, ha previsto un atteggiamento federativo, che significa in fin dei conti fare dei passi indietro a favore di enti sovranazionali, quindi anche dell'Unione europea, per affrontare dei temi strategici con maggiore efficacia. Proprio in relazione a questa volontà, che anche i nostri padri costituenti avevano definito, mi sembra davvero importante dare forza al Servizio diplomatico europeo.
Capisco le difficoltà e le ipotesi di incongruenza e di eventuali sovrapposizioni, ma credo che questo sia un tema fondamentale rispetto al quale deve esserci un grande apporto e un grande approfondimento da parte del Parlamento.
Considerato che l'Alto rappresentante non è il Ministro degli esteri e questo comporta già un elemento di debolezza, occorre dare impulso a un sistema diplomatico che possa essere trasparente e avere le caratteristiche che il Ministro ha richiamato a proposito della rappresentanza di tutti gli Stati. Credo, però, che l'Italia, in ragione di questa sua storia e della interpretazione che da sempre ha voluto dare all'Unione europea, abbia ora l'occasione per rafforzare questo strumento, che deve essere visto e proiettato come funzione anche nel tempo.

ISIDORO GOTTARDO. Da europeista convinto, con il passare degli anni ho compreso l'importanza di quel detto che afferma che il tempo si vendica delle cose fatte senza di lui. L'ho imparato personalmente, riflettendo soprattutto su determinate accelerazioni all'indomani del Trattato di Nizza e sulla mancata riforma del funzionamento dell'Unione europea.
Credo che la nostra vocazione e i nostri sentimenti oggi ci possano portare a condividere quello che qui ho sentito rispetto al Servizio diplomatico europeo. Personalmente ritengo che quel detto, peraltro mi pare di origine araba, abbia una sua saggezza rispetto alle questioni che abbiamo davanti. Il Servizio diplomatico europeo, che parla al mondo e all'esterno dell'Europa, e di questa rappresenta gli interessi, ha l'esigenza di avere alle spalle una coesione europea di intenti e di obiettivi che non possiamo fingere di aver realizzato e conquistato.


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È un'Europa ancora profondamente divisa su tante tematiche. Lo dimostra la questione dello spazio dei diritti di libertà, giustizia e sicurezza e il fatto che ancora oggi abbiamo difficoltà a far capire all'Europa che i problemi del Mediterraneo non sono problemi dell'Italia, della Francia e della Spagna, ma sono problemi dell'Europa. Insomma, abbiamo molte difficoltà.
Sicuramente sono in campo le resistenze delle diplomazie degli Stati, ma credo che questo Servizio diplomatico europeo possa maturare, anche nella sua funzione e nella sua forza, con la maturazione di una coesione europea che ancora oggi non esiste.
Per quanto riguarda il Trattato di Lisbona, vorrei citare una questione che può sembrare banale, ma che non lo è: il Libro verde sul diritto di iniziativa dei cittadini europei, proposto ora dalla Commissione europea, che ci insegna molte cose. A noi italiani, ad esempio, insegna quanto arretrato può essere il nostro sistema di funzionamento rispetto ai diritti di iniziativa dei cittadini, come si possono risolvere problemi in modo democratico e come si ponga una domanda fondamentale, di fronte a un diritto di iniziativa dei sistemi europei, ovvero se è diritto o meno dei cittadini sapere, rispetto a un'iniziativa referendaria, chi la sostiene, chi la finanzia e quali sono le lobby che pongono queste questioni.
Credo, quindi, che la discussione attorno alla fase ascendente europea, cioè il fatto che noi diventiamo partecipi, ci aiuti veramente a fare in modo che lo strumento del Trattato di Lisbona - più Europa e più sussidiarietà, come noi lo abbiamo chiamato - ci porti a maturare sostanzialmente una consapevolezza di coesione europea che ancora oggi non abbiamo. Lo sappiamo, a partire dai diritti fondamentali, che ancora non sono obbligo degli Stati europei che ne fanno parte.
Pertanto, credo che un approccio pragmatico a tale questione sia fondamentale. Certo, è importante che l'Italia abbia un ruolo forte, ma ce l'ha nella misura in cui anche nella cooperazione si prende atto, e l'Europa ne è consapevole, del fatto che il Mediterraneo è una delle questioni centrali per l'Europa. Fin quando non vi sarà questa piena consapevolezza, è inutile pensare che l'Italia non debba difendere l'esercizio di un suo diritto e di un suo interesse anche dentro questo Servizio.

PRESIDENTE. Signor Ministro, poiché il tempo che abbiamo avuto a disposizione è sufficiente per i nostri interventi, ma non per le sue risposte, nel darle brevemente la parola, accolgo la sua proposta di incontrarci nuovamente.

ANDREA RONCHI, Ministro per le politiche europee. Vorrei sottolineare solo un aspetto che potrei definire trasversale, sollevato a partire dalle domande dell'onorevole Gozi per finire agli onorevoli Gottardo e Pianetta.
È chiaro che, d'accordo con la Presidenza del Consiglio, il Ministro Frattini e chi vi parla stiamo facendo un grande sforzo per il riequilibrio della nostra presenza all'interno dell'Europa di cui abbiamo parlato. Credo di aver espresso con grande chiarezza l'orientamento del Governo.
È stato fatto riferimento a un caso specifico e la mia posizione è stata assolutamente drastica, perché ritengo che sia un dovere, al di là dei colori e delle bandiere politiche, difendere in primis l'interesse nazionale. L'interesse dell'Italia oggi è quello di avere un'adeguata, degna e ineccepibile dal punto di vista della qualità, presenza in un organo di questo tipo. Stiamo definendo il percorso e stiamo ragionando per vedere quali sono gli spazi, ma vi posso assicurare che ogni mio sforzo, piccolo o grande che sia, è sotto questo argomento non lesinato.

PRESIDENTE. Ministro, nelle annotazioni che lei ha preso per poter dare risposte più compiute, vorrei che aggiungesse solamente due mie perplessità. Innanzitutto, sull'implementazione del Trattato, mi pare che ci sia un parere comune per certi aspetti. Vorrei che ne prendesse atto, in quanto questa è una delle caratteristiche della nostra Commissione.


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Mi permetto di toccare due argomenti, forse più politici, sui quali - se vuol prendere nota - mi farebbe piacere tornare in futuro, magari dopo l'approvazione della legge comunitaria.
Nel secolo scorso, ho frequentato un solo corso di specializzazione nella mia vita, presso l'Istituto di studi europei «Alcide De Gasperi». Per avere i fondi dissi a mio padre che, essendo l'Europa alle porte, quello era l'unico modo per avere uno sbocco professionale immediato. Questo è accaduto cinquantadue anni fa.
Certamente vi è una componente personale nella mia osservazione, ma io credo che, dopo mezzo secolo, siamo lontani dall'avere, dopo l'unione monetaria, anche quella economica, non parlo di quella politica. Vedo pochi strumenti per sfruttare il coordinamento delle politiche economiche nazionali e per far sì che l'Europa si esprima in modo unitario.
Aggiungo anche che la crisi mondiale e il caso della Grecia hanno messo a nudo recentemente, anche se molti sforzi si stanno compiendo, i limiti di una politica economica incompiuta.
Signor Ministro, ho letto dichiarazioni tranquillizzanti del nostro Ministro degli affari esteri, ma - la mia non vuole essere una recriminazione, ma la preoccupazione di chi cinquant'anni fa pensava che l'Europa fosse alle porte - per quanto riguarda le nomine dei vertici dell'Unione europea ci si aspettava qualcosa di più. Ieri, tra l'altro, ho avuto il privilegio di conoscere a New York la baronessa Ashton.
Ebbene, non trova un po' preoccupante questa situazione? Tra l'altro, aggiunga questo puzzle dell'Europa a tre teste: se al Presidente della Commissione Barroso e al Ministro degli esteri baronessa Ashton si aggiunge il presidente di turno del semestre non è facile orientarsi.
Le conclusioni sono che a Copenaghen praticamente non eravamo presenti, in Africa - sono in conflitto di interessi perché mia figlia lavora nella cooperazione in Mozambico e quindi conosco un po' certe realtà - sono presenti solo i cinesi, oltre all'Unione europea, mentre noi lo siamo sempre meno. Per quanto riguarda la crisi mediorientale, andiamo in ordine sparso.
Ebbene, credo che quelle nomine di vertice riferite a personalità non di elevatissimo valore specifico non diano un grande contributo ad affermare il ruolo dell'Europa in questo contesto.
Può riservarsi di darmi o meno una risposta.

ANDREA RONCHI, Ministro per le politiche europee. Devo solo applaudire il suo intervento.

PRESIDENTE. Ringrazio il signor Ministro e i colleghi della Commissione affari esteri.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,10.

VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici)

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