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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissione IV
7.
Martedì 7 febbraio 2012
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Cirielli Edmondo, Presidente ... 2

Seguito dell'audizione del Segretario generale della difesa e Direttore nazionale degli armamenti, Generale di squadra aerea Claudio Debertolis, sull'attuazione del programma d'armamento Joint Strike Fighter (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Cirielli Edmondo, Presidente ... 2 6 11 12
Bosi Francesco (UdCpTP) ... 6
Cicu Salvatore (PdL) ... 2
Debertolis Claudio, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti ... 6 10 11
Di Stanislao Augusto (IdV) ... 3 10
Esposito Domenico, Direttore generale degli armamenti aeronautici ... 11
Garofani Francesco Saverio (PD) ... 10
Mogherini Rebesani Federica (PD) ... 4
Rossi Luciano (PdL) ... 6
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.

COMMISSIONE IV
DIFESA

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 7 febbraio 2012


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE EDMONDO CIRIELLI

La seduta comincia alle 14,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Segretario generale della difesa e Direttore nazionale degli armamenti, Generale di squadra aerea Claudio Debertolis, sull'attuazione del programma d'armamento Joint Strike Fighter.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, il seguito dell'audizione del Segretario generale della difesa e Direttore nazionale degli armamenti, Generale di squadra aerea Claudio Debertolis, sull'attuazione del programma d'armamento Joint Strike Fighter.
Prima di dare inizio all'audizione, intendo ringraziare per la partecipazione il generale ispettore capo Domenico Esposito, direttore generale degli armamenti aeronautici; il colonnello Vincenzo Stella, capo ufficio studi e coordinamento generale; il colonnello Giuseppe Lupoli, capo divisione Armaereo; il capitano Gabriele Pariselli, aiutante di campo del signor generale e il tenente Salvatore Rivoli, addetto alla segreteria della Direzione generale Armaereo.
Ricordo che nella seduta del 1o febbraio 2012 per motivi di tempo non era stato possibile concludere l'audizione, essendo ancora iscritti a parlare alcuni colleghi.
Do la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare osservazioni.

SALVATORE CICU. Ringrazio il generale Debertolis per l'approfondita rappresentazione della situazione che ci ha fornito nella precedente seduta.
Vorrei rivolgerle - da parte del mio Gruppo - quattro domande per approfondire il tema. Anzitutto, poiché le portaerei della Marina italiana possono imbarcare solamente aerei STOVL - senza contare che operativamente l'Aeronautica militare, attraverso gli STOVL, avrebbe avuto una possibilità di schieramento da tre a cinque volte superiore rispetto agli assetti convenzionali - vorrei sapere se ci saranno, ed eventualmente quali, variazioni dei costi e della capacità di intervento delle missioni internazionali.
In secondo luogo, in Libia è stato utilizzato l'Eurofighter Thyphoon, che ha dato prova di capacità multiruolo e ha dimostrato inoltre di poter operare contemporaneamente e in modo automatico nelle modalità aria-aria ed aria-suolo. Poiché l'F-35 necessita di essere settato prima di decollare, è per tale ragione meno flessibile?
Lei ha affermato che nonostante la tecnologia stealth sia saldamente nelle mani degli Stati Uniti, nel momento in cui questa tecnologia verrà rilasciata, noi saremo i primi ad averla, poiché già si trova sul territorio nazionale. In base a quali accordi?
Infine, quando si parla di ricadute occupazionali, considerato che, secondo dati industriali, sono oltre 11.000 gli addetti


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attualmente impiegati nel comparto italiano solo per il programma Eurofighter, e che la realizzazione dell'attività di partecipazione industriale del JSF si stima possa creare opportunità di lavoro per circa 10.000 addetti a livello italiano, parliamo di opportunità di lavoro aggiuntive o sostitutive? Lo chiedo soprattutto nell'ottica di un eventuale obbligo di scelta fra il consorzio europeo dell'Eurofighter e quello statunitense dell'F-35.
Risulta peraltro, da alcune agenzie, che alla vigilia del Consiglio supremo di difesa il Ministro Di Paola abbia dichiarato, durante l'incontro con il Segretario alla Difesa americano Leon Panetta, che forse qualcosa cambierà nei tempi del programma, ma non nell'impegno per la realizzazione dello stesso. Vorrei avere qualche risposta anche su questo aspetto. Grazie.

AUGUSTO DI STANISLAO. Ringrazio gli auditi perché ci avete fornito alcuni approfonditi elementi di natura tecnica, in un campo a voi senz'altro più confacente, portando - lo dico tra virgolette - «acqua al vostro mulino». Durante l'illustrazione del programma, preparata con dovizia di particolari e molta accuratezza, progressivamente mi ha convinto sempre meno l'impostazione che ad essa è stata data, come se fosse doverosa una vostra riconversione, con un magico schiocco di dita, in termini imprenditoriali-industriali.
Francamente non ritengo che il comparto Difesa possa e debba fare questo, non è nelle sue corde. Da italiano medio, dal punto di vista di chi, tutto sommato, rappresenta le istituzioni più o meno degnamente, il tema mi inquieta molto. Avrei voluto, da parte vostra, un atteggiamento molto più vicino alle nostre corde di europei, non dico latini, ma di persone che hanno a cuore la Patria. Mi immedesimo molto in queste cose, pur rappresentando uno schieramento politico che non le manda a dire.
Insomma, mi aspettavo da voi alcuni spunti che potessero condurre la politica, il comparto militare e le istituzioni dentro un percorso comune, nell'ambito del quale si potesse anche in qualche modo dissentire. Non accetto l'idea - non è un'affermazione culturale, ma istituzionale e politica - di ragionare sulle cifre e sui numeri. Infatti, di questi tempi il tema della contrazione delle risorse e della riduzione delle spese è talmente ovvio che non dovremmo nemmeno discuterne.
Avremmo voluto, invece, capire da voi in che modo e in che misura procedere, in una prospettiva di carattere europeo, non mondiale. Il nuovo Ministro della difesa ha fatto una serie di affermazioni non in linea con il nostro ordinamento, né con la Costituzione. Peraltro, quando egli sostiene un'idea tutta sua di potenza militare, il tutto scricchiola - lo dico a chi fa queste affermazioni - perché non siamo all'altezza delle nostre ambizioni.
Bisogna allora pensare più alla sicurezza degli uomini, dei mezzi e via dicendo piuttosto che prevedere effetti speciali, dal momento che in Afghanistan e in altri teatri è successo quello che sappiamo.
Vi chiedo come sia possibile mettere in campo una ipotesi come quella che voi ci avete illustrato se le fondamenta su cui poggia la vostra volontà di riconversione e di restare nello scenario sono davvero così esigue. Che cosa vogliamo definire, che cosa vogliamo decidere o condizionare con queste scelte, sapendo peraltro di essere una forza minoritaria nel consorzio (circa il 4 per cento)?
Oggi bisogna parlare di cose molto più concrete, anche alla luce dei nuovi scenari che si prospettano. Bisogna chiedersi se questa scelta è compatibile o no con il nuovo modello di difesa oppure - come dice il nuovo Ministro, con una terminologia che piace a tanti - con lo strumento militare. Io penso che questo sia il grande interrogativo, chiarito il quale si può fare una serie di deduzioni talmente evidenti la cui valenza è nota anche voi: ad esempio, non dovranno più essere spesi 16 o 18 miliardi di dollari, ma ci sarà una riduzione di almeno un terzo. Lavoriamo per dire no agli F-35? Più seriamente lavoriamo per la riduzione del danno e prendiamo quelli che ci servono.


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Dal punto di vista industriale - tra l'altro, ho notato che nella distribuzione dell'indotto tra le varie regioni il mio Abruzzo non c'è, ma questo è un altro discorso - se si andasse a definire un percorso alternativo di riconversione in termini industriali delle ricerche che si fanno a Cameri, potremmo avere lo stesso tipo di occupazione, di qualità di ricerca, di profondità di azione e di appeal rispetto sia ai partner del consorzio, sia anche rispetto a quelli mondiali ed europei? Vi pongo un problema che in questi giorni mi ha tormentato. Non entro nelle cifre, in quanto lo farò successivamente. Anch'io sto elaborando una mia idea, non partendo dai numeri, perché significherebbe in questo caso essere perdenti, ma per fare qualcosa di diverso.
Vorrei poter capire se tutte le cose che ci avete riferito - che io ho considerato come ipotesi, buoni auspici e speranze - qualora noi dovessimo procedere a riorganizzare il comparto Difesa in maniera più moderna, efficace ed efficiente, rappresentino la strada da percorrere o se ci siano altri percorsi a noi sconosciuti.
Ritengo inoltre estremamente importante l'ultimo argomento accennato dal collega Cicu. Il Segretario alla Difesa americano, Leon Panetta, ha espresso un concetto determinante quando ha suggerito di rallentare, riflettere, ripensare. Noi, al contrario, sposiamo a capofitto un'idea, come se qualcuno ci dicesse che dobbiamo andare in quella direzione, mentre dovremmo pensare, dentro un sistema di alleanze, se siamo in grado di condizionare, di definire una nostra autonomia, verificando che quanto sosteniamo sia in linea con quanto dicono gli altri, a partire dagli Stati Uniti.
Penso che su questi temi dovremmo essere più realisti del re e chiari rispetto alla politica. Ritengo infatti che in questo nostro Stato - è così in tutte le democrazie occidentali - il primato debba essere della politica. Sta infatti alla politica decidere che cosa fare e in che modo e misura, sapendo che bisogna fare un percorso insieme, ma che la prerogativa è comunque sempre del Parlamento. Come dico sempre, il Governo e il Ministero propongono, ma il Parlamento dispone: fa parte della democrazia.
Laddove ci sia una proposta forte, non si deve avere il timore di illustrarla in Parlamento, di spiegarla anche a gente cocciuta come me, che però è anche disposta a cambiare idea. Bisogna fare questo tipo di percorso, non allontanarsene con l'idea che, poiché gli interlocutori non capiscono, si decide al posto loro. È necessario un percorso dove la politica possa essere utile a sostenere certe idee, che sono di tutti, senza che si realizzi il primato di qualcuno. La politica non deve sempre e necessariamente soccombere rispetto ad alcuni settori, ma deve invece essere da questi sostenuta ed alimentata.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. Il mio auspicio è che la nostra partecipazione a questo programma abbia un approccio non «localistico». Tuttavia, capisco che sia chi lavora al programma dal punto vista tecnico, sia chi ha la responsabilità politica di sostenerlo - benché, se non mi sbaglio, non sia necessario a breve alcun passaggio parlamentare che ratifichi nuovamente le decisioni già prese da questo Parlamento nel 2009 - abbia necessità di un aggiornamento costante delle informazioni a voi disponibili, che noi possiamo recepire solo dalla lettura della stampa, soprattutto straniera.
C'è inoltre una necessità di trasparenza, come giustamente indicava il collega Di Stanislao, che consenta al Parlamento di svolgere il proprio ruolo con responsabilità, avendo a disposizione tutti gli elementi di conoscenza.
Credo, quindi, che sia opportuno un coinvolgimento del Parlamento, anche se magari in questo momento non sarebbe formalmente necessario. Anche a causa della congiuntura economica e finanziaria che l'Italia sta attraversando, credo che si debba prestare attenzione all'attuale sensibilità dell'opinione pubblica rispetto a come vengono spesi i soldi pubblici.
Credo che il tema cardine di questa audizione, che ritengo molto preziosa, sia come ridefinire la partecipazione italiana


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al programma. Se non sbaglio, questo è quanto ha detto anche il Ministro all'inizio del suo mandato governativo, partendo dall'assunto che quasi nessuna - e di questo vi chiedo conferma - delle voci di spesa del bilancio della Difesa, in questa fase particolare dell'Italia, potesse essere confermata automaticamente, quasi che il mantenimento dello status quo fosse ovvio e naturale, e che quindi tutte le voci di bilancio dovessero essere sostanzialmente ripensate, in un'ottica di rapporto costi/benefici e di razionalizzazione della nostra partecipazione ai programmi. Anche questo programma, dunque, ha bisogno di passare attraverso una spending review, una sua rivisitazione e ridefinizione.
Ritengo ciò molto opportuno, non soltanto per la fase particolare che l'Italia sta attraversando, ma anche perché soprattutto questo programma, rispetto ad altri programmi che non hanno questa stessa caratteristica, nell'arco degli ultimi anni, a diverse riprese, ha avuto diverse revisioni da parte degli altri partner, in particolare gli Stati Uniti.
La circostanza è abbastanza ovvia, non va drammatizzata, però è un fatto che, dalla sua nascita ad oggi, questo programma è stato rivisitato diverse volte, a diverse scadenze, da diversi dei partner coinvolti, in particolare per questioni di disponibilità di bilancio e per questioni tecniche.
Credo che questa audizione sia utile, in particolare, perché voi ci aiutiate a capire e quindi ad avere gli elementi utili per poter prendere decisioni conseguenti su quali siano, anche tecnicamente - soprattutto a partire dai mesi e dalle settimane che verranno - i passaggi che richiedono una decisione italiana nella ridefinizione dei propri programmi.
A mio parere, come ci avete prospettato all'inizio della vostra relazione la settimana scorsa, va fatta una riflessione più generale e complessiva sul contesto strategico. Non possiamo partire dalle ricadute occupazionali o industriali, ma da che cosa serve allo strumento militare italiano per operare nelle aree nazionali di interesse strategico e, sulla base di questo, considerata la disponibilità di risorse, ridefinire quali strumenti siano indispensabili e in quale misura, e decidere come ottimizzare il rapporto costi/benefici all'interno di programmi che comunque vanno rivisti.
Inoltre, credo che possiate aiutarci nel chiarire meglio questo quadro, soprattutto in riferimento a quanto è successo negli ultimi mesi e, soprattutto, a quanto succederà o potrebbe succedere nei prossimi. Avete parlato del fatto che il FACO a Cameri potrebbe essere pronto per iniziare ad assemblare tre velivoli già dalla prossima primavera, se ho capito bene. Sarebbero velivoli italiani, per i quali è necessario firmare un contratto? Se sì, quando e con quali costi? E con quali modalità dovrebbero essere sostenuti tali costi?
Al di là dei tre velivoli che potrebbero essere assemblati a partire da questa primavera a Cameri, vorremmo notizie sulla restante parte del programma. Sappiamo, ad esempio, che la Difesa americana sta confermando il programma, ma sta spalmando su un periodo di tempo più lungo un numero di velivoli comunque in fase di riduzione. Quella riduzione, applicata sull'ordine italiano, comporterebbe in proporzione una riduzione significativa anche in questo ambito.
Un modello di questo tipo, con una riduzione in percentuale che rifletta sostanzialmente quella americana, e una decisione spalmata nel tempo - che, quindi, consenta anche di riaggiustare le decisioni a seconda dei progressi tecnici, delle realizzazioni e delle disponibilità di bilancio - è un'opzione tecnicamente sostenibile per l'Italia?
Infine, chiedo se esiste formalmente una bottom line oltre la quale non possiamo andare per avanzare un piano complessivo. Da quanto capisco dalle decisioni dei partner internazionali, soprattutto americani, questa bottom line non esiste, cioè non esiste un'ora «x», ma c'è piuttosto un work in progress che ci consente di aggiustare la nostra partecipazione al programma secondo le realizzazioni tecniche, le disponibilità di bilancio e le


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necessità strategiche. Ovviamente, mentre quest'anno ragioniamo sulla base dell'esperienza fatta in Libia, forse tra quattro o cinque anni potremmo trovarci uno scenario strategico leggermente modificato.
Quanta flessibilità ha l'Italia nel definire i tempi e l'ampiezza della propria partecipazione al programma? Grazie.

LUCIANO ROSSI. Intervengo solo per evidenziare il lavoro, secondo me di pregevole qualità, che ci è stato rappresentato nella precedente occasione, associandomi in maniera convinta alle osservazioni e alle sollecitazioni del mio Capogruppo.
A chi ha parlato del coinvolgimento del Parlamento vorrei rispondere che siamo in una Commissione parlamentare e che questa audizione è un'occasione importante. Il discorso è diverso, invece, se si vuole cercare di ingigantire la situazione, magari per determinare, come già troppe volte è accaduto, anziché un'accelerazione secondo me necessaria su un tema così delicato, rallentamenti e ostacoli, che già sono presenti in abbondanza.
Personalmente sostengo e condivido questo programma e mi associo alle sollecitazioni che il mio Capogruppo ha formulato.

FRANCESCO BOSI. Ho apprezzato molto la sintesi del collega Luciano Rossi e anch'io sostengo in maniera convinta questa programma, per tutti i motivi che sono stati illustrati dal generale Debertolis nell'audizione precedente, alla quale non ho partecipato, ma di cui ho letto il resoconto stenografico.
Vorrei solo aggiungere che sono reduce da una settimana molto dura di lavoro negli Stati Uniti. Tra l'altro, sono stato a Dayton, in visita a una grande base militare degli Stati Uniti, dove oltretutto c'era anche un ufficiale italiano. Devo dire che la formula delle co-produzioni è davvero l'unica possibile. Siamo di fronte a un gigante come gli Stati Uniti a livello assai avanzato, sotto il profilo della ricerca e dell'innovazione; basti pensare che solo in quella base lavorano 30.000 persone. Con questa formula noi abbiamo oggi la possibilità di ottenere il top sotto il profilo delle prestazioni e, nello stesso tempo, facciamo lavorare la nostra industria e partecipiamo allo sforzo della ricerca, quindi per me sarebbe un gravissimo errore rinunciarvi.

PRESIDENTE. Do la parola al generale Debertolis per la replica.

CLAUDIO DEBERTOLIS, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti. Comincio rispondendo alle quattro domande poste dall'onorevole Cicu. Partiamo dalla questione degli STOVL, i velivoli a decollo verticale. In effetti, sono gli unici aerei che possono essere impiegati dalla nostra Marina, sulle nostre navi, in sostituzione degli attuali AV8. Per un certo periodo abbiamo temuto che la parte del programma inerente il decollo verticale fosse in pericolo, poiché ci sono stati problemi tecnici che peraltro hanno rallentato il programma di due anni. Ricordo che, oltre alla nostra Marina, soltanto i Marines statunitensi avranno questa versione dei velivoli. Insomma, si temeva una cancellazione di questa parte del programma, assegnando anche ai Marines dei velivoli convenzionali. In realtà, questa versione è stata considerata importantissima e i problemi sono stati superati.
Qualche settimana fa il commitment statunitense del programma è stato confermato, dunque a questo punto i velivoli ci saranno e verranno impiegati dalla nostra Marina. L'Aeronautica ne avrà un certo numero, per poter affrontare talune situazioni tattiche che potrebbero presentarsi. Ricordo che attualmente ci sono le due linee Tornado e AMX, che possono essere utilizzate in contesti diversi. Queste due versioni del Joint Strike Fighter sostituiranno per l'Aeronautica le due linee Tornado e AMX, col vantaggio che i velivoli che sostituiranno gli AMX erano in comune con la Marina. Ci saranno a quel punto le due versioni, di cui un'aliquota verticale anche all'Aeronautica. Credo che questo verrà più o meno confermato.


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Venendo al tema della capacità multiruolo dell'Eurofighter e del suo impiego in Libia, ricordo che questo velivolo è ottimizzato per la difesa aerea, quindi è adatto a lavorare a tutte le quote per ingaggiare altri velivoli. È stato pensato per questo. In un ruolo secondario, può essere impiegato come cacciabombardiere e, come tale, può essere attualmente utilizzato soltanto con un armamento stand-off, ossia che si lancia da molto lontano, poiché non è un velivolo che può avvicinarsi troppo all'obiettivo, anche per le caratteristiche di visibilità radar. Non può avere pertanto questo ruolo specializzato tipico dell'F-35; questa differenziazione tecnica esiste. Sul fatto di creare una versione cacciabombardiere dell'Eurofighter, c'è stato un dibattito all'origine della scelta dell'F-35.
Sulla tecnologia stealth, mi richiamo all'esperienza che abbiamo avuto con i diversi programmi. Ricordo che abbiamo cominciato il nostro percorso di crescita nazionale con il vecchio Starfighter F-104, poi il Tornado e l'Eurofighter. Chiaramente l'F-104 è americano, ma anche negli altri due velivoli, benché europei, la tecnologia statunitense è sempre presente. Ricordo che per l'Eurofighter la tecnologia americana era stata rilasciata in maniera differenziata: gli inglesi, per il loro legame particolare con gli Stati Uniti, hanno avuto la possibilità di utilizzare certe tecnologie prima di altri Paesi. Comunque, la politica americana è sempre stata di rilasciare la tecnologia più vecchia con il trascorrere del tempo poiché la loro strategia è di fare sempre nuova tecnologia, tenendo tuttavia agganciati gli alleati con il suo rilascio graduale.
Rispetto ai tempi dell'Eurofighter, posso dire che adesso con gli Stati Uniti abbiamo un rapporto molto più stretto, che ci permette di avere il massimo di rilascio di tecnologia al momento giusto.
Sull'esperienza passata del rilascio continuo di tecnologia, anche sui velivoli europei basati su tecnologie statunitensi, si fonda la nostra convinzione che avere a Cameri tutta l'attrezzatura per costruire velivoli stealth, fare le prove e avere personale italiano che lavora, pur con tutti gli impegni di segretezza, rappresenta la garanzia che saremo i primi ad avere il rilascio di questo tipo di tecnologia particolarissima. Essa basa la sua non visibilità radar su numerosi accorgimenti tecnici, che si conoscono come princìpi teorici ma di cui non si conoscono ancora bene gli effetti nell'applicazione pratica. Ci sarà quindi sicuramente questo vantaggio. A Cameri vedremo anche gli stabilimenti dove verranno svolte queste attività.
Per quanto riguarda le ricadute occupazionali, devo dire che in effetti si parla di sostituzione. La produzione di Eurofighter, purtroppo, anche per quello che è successo in India, sarà fermata, e ciò significa che i 10.000 lavoratori calcolati per il Joint Strike Fighter dovranno sostituire gli 11.000. Ci potrebbe essere un periodo di overlap. Quando parliamo di 10.000 sul Joint Strike Fighter siamo molto conservativi, partiamo da un minimo garantito, ma speriamo, con l'attività che faremo, di avere più persone a lavorare sui velivoli, di avere cioè un indotto superiore a questi 10.000. Con questo percorso riteniamo, però, di mantenere una continuità tra Eurofighter e Joint Strike Fighter per quanto riguarda l'occupazione, con la prospettiva, lavorandoci su, di farla crescere.
Per quanto riguarda gli aspetti più politici dello strumento militare - mi riaggancio alla domanda dell'onorevole Di Stanislao - devo sicuramente lasciare il passo al Ministro, che a breve verrà in Commissione a spiegare tutta la revisione del modello, che si basa - questo posso dirlo - sulle risorse a disposizione.
Come organizzazione della Difesa, in questo momento difficile per il Paese non chiediamo risorse in più, ma cerchiamo soltanto il metodo migliore per impiegare le risorse che ci verranno date. Il Ministro si sta sforzando di fare ciò e in questo rientra anche la revisione del programma Joint Strike Fighter, per allineare lo strumento che stiamo costruendo alle risorse disponibili.
Vorrei dire fortemente che noi, per cultura, non solo riteniamo doveroso venire


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in Parlamento a spiegare tutte le nostre decisioni, bensì ci fa piacere farlo. Non soltanto nei confronti del Governo, laddove si tratti di convincere il Ministro, ma anche venendo davanti al Parlamento ci piace spiegare a tutti, anche a coloro che non sono tecnicamente preparati in questa materia, con ragionamenti di buon senso, che il nostro lavoro è fatto per il nostro Paese e non per inseguire altri strani obiettivi. Questo è quello che noi riteniamo veramente significativo.
Per tale ragione tutti i momenti cruciali di questo programma sono passati attraverso decisioni importanti di questo Parlamento, dove chiaramente ci siamo impegnati a venire ogni qual volta si verificasse la necessità di farlo. Questa è una di quelle occasioni, perché una revisione totale del modello, che varia le condizioni da cui eravamo partiti, non può che richiedere una ridiscussione del programma.
Non ci va assolutamente bene l'idea che noi andiamo avanti comunque, anche se qualcuno non capisce o non può seguire ciò che facciamo. Noi vogliamo anzi spiegare quello che facciamo e ricevere un consenso in merito o comunque, se il consenso non ci può essere, almeno poterne discutere, mettendo sul tappeto tutte le nostre azioni con massima trasparenza. Ci tengo a dirlo con molta forza.
Sul fatto di essere imprenditori, vorrei richiamare quanto ho detto nella precedente audizione, allorché ho spiegato che la funzione del Segretariato generale è proprio creare occasioni di lavoro per la nostra industria. Noi partiamo dalla necessità di avere dei risultati. Nella fase operativa gli stati maggiori decidono i requisiti e chiariscono di quali strumenti ci sia necessità. Una volta stabilito che uno strumento è necessario, comincia il nostro lavoro, e non ci limitiamo a comprare lo strumento richiesto, ma cerchiamo di far lavorare le nostre industrie.
Questo deriva anche da un'attribuzione di legge che assegna al Segretariato il ruolo di definire e programmare gli obiettivi dell'industria della Difesa, ossia creare le condizioni, negoziando con altri Paesi, industrie e Governi, per far sì che la nostra industria resti sempre all'avanguardia nella tecnologia. Questa è la missione che ci viene data e che cerchiamo di interpretare e portare avanti.
Quanto al Joint Strike Fighter, come è stato detto, la strategia è stata quella di creare gli strumenti affinché la nostra industria potesse lavorare su questo velivolo. Devo dire che al termine delle negoziazioni, nonostante che al programma partecipino tanti Paesi, noi siamo stati gli unici ad avere l'autorizzazione a costruire ed assemblare il velivolo in Italia. Questo lo abbiamo considerato un successo, non solo per il fatto che siamo nelle migliori condizioni per lavorare sul velivolo, ma anche perché abbiamo una prospettiva di quarant'anni di manutenzione del velivolo.
Crediamo quindi che la creazione della FACO, entro la cornice fornitaci per l'acquisto di questo velivolo, sia stato lo strumento per far sì che la nostra industria fosse massimamente coinvolta in tale programma.
Parlando dell'Abruzzo, in quella regione ci sono grossi centri spaziali; non si può dire che la Difesa non abbia attenzione per questa o altre regioni, benché in realtà l'attenzione vada alla politica industriale, che noi favoriamo. La distribuzione del lavoro per il Joint Strike Fighter ha interessato tutte le regioni, proprio perché c'è attenzione alle imprese, specialmente quelle piccole e medie, nel tentativo di far partecipare il più possibile tutti quanti. Ribadisco quindi che prestiamo attenzione alle questioni delle diverse regioni, anche perché i militari vengono da tutti i territori e ciascuno è affezionato al proprio.
C'è poi il tema di quali siano le possibili modifiche del programma nei nuovi scenari, sollevato dall'onorevole Mogherini. La ridefinizione di questo programma è in fondo molto più semplice di quella di altri programmi. Anche con l'Eurofighter ci siamo trovati ad affrontare un cambio totale di scenario. L'Eurofighter è nato negli anni '80, in piena guerra fredda, e dopo la caduta del Muro di Berlino ci siamo trovati con un velivolo dalle caratteristiche non più necessarie. C'è quindi stato un ripensamento di tutti i suoi


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requisiti, infatti è cambiato anche il nome (prima si chiamava EFA, poi Eurofighter 2000). Questo cambiamento di requisiti, dovuto al nuovo scenario, ha comportato quasi tre anni di ritardo nel programma, e ci è costato molto, perché le linee di produzione che le società stavano allestendo si sono fermate. Rallentare un programma causa di solito aumenti di costo automatici, perché le risorse sono impegnate più a lungo e con minor efficacia.
Questo programma è fatto in maniera modulare, per cui un ritardo o un allungamento dei tempi di consegna non comporta aumenti significativi di costo, almeno per noi che ne facciamo parte per circa il 4 per cento. Questo è uno dei vantaggi di essere agganciati a un programma di queste dimensioni. Il primo vantaggio è stato che lo sviluppo era a prezzo fisso, cioè i Paesi partecipanti al 4 per cento avevano una quota fissa; alla fine lo sviluppo è venuto a costare molto di più, però la quota stabilita per i nostri primi velivoli è rimasta invariata e i costi aggiuntivi sono stati interamente a carico degli Stati Uniti. Il secondo vantaggio è che acquistando i velivoli per batch, automaticamente ci agganciamo a un certo batch e possiamo fare uno stretching senza un vero aumento di costi, tant'è vero che inizialmente volevamo fare quattro velivoli e invece abbiamo poi deciso di farne tre, mentre i tempi di quelli successivi verranno allungati.
Questo allungamento dei tempi di consegna è ancora in corso di elaborazione, e dipende dalle decisioni del Ministro. I primi tre velivoli sono stati ordinati e siccome il loro acquisto viene fatto per parti, il contratto verrà perfezionato dopo l'acquisto di alcune di esse, il tutto con una logica di fondo di massima efficienza e di minima spesa. I primi tre velivoli verranno acquisiti, anche perché servono a dimostrare che la FACO sa assemblarli, e saranno quindi sicuramente italiani.
A Cameri si sta già adesso lavorando in hangar provvisori per costruire la parte - fusoliera e ali - prodotta da Alenia. A maggio 2012 inizierà la costruzione delle ali nel nuovo stabilimento. Stiamo quindi già costruendo le ali, le vedrete a Cameri, dove la lavorazione verrà trasferita in nuovi capannoni, mentre all'inizio del 2013 si cominceranno ad assemblare i famosi tre velivoli italiani. Il passaggio parlamentare aveva autorizzato la FACO alla produzione.
Sul numero di velivoli, come è stato detto giustamente, essendo l'acquisto fatto batch by batch, l'impegno definitivo non deve assumersi subito. Essendo il Ministro a dover definire il modello di difesa, secondo certe caratteristiche, sicuramente stabilirà un numero finale di velivoli da acquisire coerente col modello generale. Anche se questo numero fosse molto più basso di quello iniziale (131), il nostro ruolo sarà comunque sempre quello di assicurare il lavoro alle nostre industrie, perché cercheremo di avere in Italia l'assemblaggio dei velivoli di altri Paesi.
Avere la FACO ci permette anche di compensare l'eventuale allungamento dei tempi di consegna dei velivoli italiani, con la possibilità di lavorare su altri velivoli. Questo è l'altro accorgimento, che potremmo definire «imprenditoriale», adottato sempre per far lavorare la nostra industria, che ci permette di affrontare anche una diminuzione significativa dei nostri velivoli, mantenendo comunque il minimo di 10.000 lavoratori italiani impegnati. Questo ci costerà molto lavoro, ma fa parte del nostro ruolo.
In questo momento stiamo negoziando l'accordo Lockheed-Alenia per prorogare il termine della costruzione delle ali, il che richiede un nostro sforzo. Quando negoziamo con l'industria, lo facciamo soltanto per favorire gli accordi industriali e far sì che il lavoro prosegua. Non siamo noi a svolgere le attività, ma creiamo le condizioni perché le nostre industrie lo possano fare. Alla fine è comunque la Lockheed a firmare un contratto con l'Alenia, non noi. Noi facciamo in modo che il contratto sia firmato a certe condizioni, facendo pressioni di tutti i tipi, benché legittime, verso la Lockheed, con cui abbiamo tanti altri tipi di contratti e rapporti, il che fa parte del nostro lavoro.


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Non so se ho dimenticato di rispondere a qualche domanda.

AUGUSTO DI STANISLAO. Vorrei sottolineare che non stiamo facendo una partita tra buoni e cattivi o tra chi è pro e chi è contro, ma un approfondimento che abbiamo richiesto. Insisto sempre nel dire che nelle democrazie avanzate ci si dovrebbe presentare al Parlamento forti di un'idea, di una proposta, di una capacità di innovazione, di ricerca, di imprenditorialità, capace di renderci protagonisti a livello mondiale.
Io spesso rilevo che nel comparto della Difesa non si è all'altezza delle proprie ambizioni. Mi riferisco al precedente ma anche al nuovo Ministro. Ebbene, qualche anno fa ci siamo trovati a parlare di programmi, compreso quello sugli F-35, che sembravano quasi insindacabili, essendo noi semplicemente chiamati a ratificare le scelte fatte, perché il programma partiva e avrebbe dovuto concludersi, a prescindere dalle nostre opinioni.
Ci siamo posti il problema se noi dovessimo incidere, essendo depositari di alcune prerogative, oppure se dovessimo stare qui ad aspettare che alcuni percorsi fossero definiti. Inoltre, ci siamo chiesti se dobbiamo aspettarci solamente delle informative o siamo in una fase di contrattualità tra tecnica e politica. Il primato è sempre della politica, insisto, senza assolutamente voler offendere la presenza dei nostri ospiti.
Infine, se noi oggi non fossimo in piena crisi economica, avremmo la capacità di rivisitare la spesa, il programma, eccetera? Forse no. Dov'è allora il cedimento? Nella politica, nelle istituzioni, nel dato tecnico? È successo qualcosa che ha fatto perdere forza a questi attori?
Cercavo di far capire solo questo, perché evidentemente mi pongo nell'ottica della riduzione, ma anche in quella di voler essere protagonisti, non però nelle sole ipotesi - che in quanto tali hanno bisogno di approfondimenti e di ulteriori declinazioni - bensì nella concretezza che qui non si è manifestata.
Ho richiesto di posticipare la mozione da me presentata in Aula appunto per capire meglio le vostre posizioni, insomma per rispetto nei vostri confronti. Questo mi consentirà, la settimana prossima o tra due settimane, di intervenire con ulteriori e migliori argomentazioni, forte del fatto di aver sentito le vostre opinioni, per poi trarne i miei ragionamenti e le mie deduzioni.

FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Ringrazio il signor generale per gli elementi forniti e per la chiarezza del contributo che avete portato a questa Commissione.
In primo luogo, lei ha detto che i primi tre velivoli sono stati già ordinati. È in grado di dirci quanto sono costati o quanto costeranno al termine del perfezionamento del contratto che, da quanto ho capito, non è ancora stato formalizzato?
La seconda domanda concerne la relazione industriale Lockheed-Alenia. Immagino sia una competizione abbastanza sbilanciata, se non altro per i numeri, dato che la Lockheed produrrà molto più di quanto non facciamo nel segmento italiano. Se l'Alenia non dovesse essere in grado di garantire gli stessi costi della Lockheed o comunque di rispettare i parametri economici fissati dalla Lockheed, quale ricaduta industriale negativa e quali conseguenze potrebbero esserci per il nostro progetto industriale?

CLAUDIO DEBERTOLIS, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti. Per quanto riguarda il costo, abbiamo detto che i primi velivoli costano di più, in proporzione, non solo per una questione di learning, ma anche perché nascono quando lo sviluppo non è ancora completato.
Insito nel contratto c'è pertanto anche il cosiddetto «retrofit»: questo velivolo verrà sicuramente modificato, alla fine dello sviluppo, rispetto a come nasce. I costi dei primi tre velivoli sono quindi elevati, per poi arrivare a regime a costare circa 55 milioni di dollari, se non erro. Un


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Eurofighter costa oggi circa 79 milioni di euro. Se però calcoliamo quanto ha speso e quanto spenderà complessivamente l'Italia per il programma Eurofighter - è riportato sulla nota aggiuntiva 2011 - arriviamo a 18,1 miliardi di euro fino al 2018. Se dividiamo la cifra per il numero di aeroplani, otteniamo un numero enorme, ma bisogna pensare che la fase di sviluppo è tutta in termini di ricerca. Molto spesso si dice che in Italia si fa poca ricerca, ma in realtà un programma come quello dell'Eurofighter, quando viene sviluppato, è tutta ricerca e nuova tecnologia. In teoria, quindi, quella cifra non dovrebbe essere conteggiata sul velivolo, ma nel campo generale delle spese per la ricerca tecnologica del Paese.
Ci sono diversi approcci al velivolo. Il costo di produzione di un velivolo si chiama fly-away ed è pari a circa 80 milioni di euro per quanto riguarda l'Eurofighter.

PRESIDENTE. A regime il Joint Strike Fighter costerà quindi meno dell'Eurofighter?

CLAUDIO DEBERTOLIS, Segretario generale della Difesa e Direttore nazionale degli armamenti. Sì, ma per una questione di numeri, perché abbiamo circa 600 macchine Eurofighter rispetto a 4.000 Joint Strike Fighter.
Venendo alla seconda domanda dell'onorevole Garofani tocchiamo il cuore del problema. Adesso noi abbiamo un problema con la Lockheed Martin, che sta chiedendo dei costi molto bassi, di molto inferiori a quelli che l'Alenia può effettivamente sostenere, perché ragioniamo a breve termine.
Il nostro lavoro - parlo sempre di creare occasioni - sarà quello di costringere la Lockheed a impegnarsi già da adesso ad assicurare ad Alenia i costi su tutta la produzione, in modo che l'Alenia possa fare investimenti, potendo andare in perdita perché sicura di recuperare entro breve tempo, e di ottenere profitto in un secondo momento.
Questi sono i discorsi industriali che dobbiamo fare. È normale che la Lockheed abbia dei costi inferiori, avendo iniziato da parecchio tempo, però l'Alenia sta già costruendo le ali, quindi il learning è già partito. La nostra assicurazione è che questi ritorni ci saranno per forza. Se infatti non ci fossero ritorni sulle ali, nascerebbe un grosso problema, che diventerebbe anche politico. Stiamo però risolvendo la questione. Il direttore sta lavorando su tale accordo proprio in queste settimane, quindi dovremmo chiuderlo entro breve. Il lavoro intanto sta andando avanti.

FEDERICA MOGHERINI REBESANI. I contratti per i primi tre velivoli italiani sono quindi già stati firmati. La curva riportata nella slide pubblicata a pagina 65 del resoconto stenografico della precedente audizione evidenzia che sono costati - poi immagino si paghi nell'arco di un periodo di tempo - 110 milioni di dollari ciascuno. È corretto?

PRESIDENTE. Do la parola al generale Esposito.

DOMENICO ESPOSITO, Direttore generale degli armamenti aeronautici. Senza dilungarmi, vorrei rispondere in maniera puntuale. I primi punti di quella curva fanno riferimento a dati reali. Il costo previsto dal contratto numero 6 è di circa 80 milioni di dollari. Per tale cifra prevista, sono stati ordinati, due anni prima del contratto vero e proprio, gli articoli che richiedono un lunghissimo tempo di produzione. La cifra forfettaria (il 2 per cento della cifra prevista) viene pagata in anticipo, due anni prima. L'anno successivo, con un anno di anticipo, si paga il 14 per cento della cifra prevista.
Ora si entra nella discussione per la cifra definitiva, partendo da quella previsione. Il contratto funziona così. Nell'anno centrale si paga il 35 per cento del prezzo concordato per i tre velivoli e in quel momento si stipula il contratto. Questo aereo corre quindi dietro al tempo. In effetti è stato pagato un 2 per cento della cifra ipotetica prevista del contratto due anni fa. L'impegno del programma per le


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tre macchine - se poi saranno tre, due o quattro non lo sappiamo, perché lo strumento si sta ridefinendo - è questo.
Il costo di un velivolo è in negoziazione e secondo le nostre aspettative non supererà gli 80 milioni di dollari.

PRESIDENTE. Ringrazio il signor generale e i suoi collaboratori.
A titolo personale, vorrei esprimere la mia convinzione, ulteriormente maturata dopo questi chiarimenti, che il programma nel suo complesso sia estremamente positivo per le Forze armate italiane, anche se ovviamente richiederà un costante monitoraggio da parte della Difesa e da parte del Parlamento, considerato che esistono oggettivamente degli interrogativi rispetto a sviluppi che oggi non possiamo considerare appieno.
Credo sia quindi giusto, data la rilevanza sia strategica sia economica del programma, che qualora ci fossero delle modifiche rispetto a quanto ci è stato detto durante queste audizioni, la Segreteria generale della Difesa possa tornare in Commissione a informarci.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.

VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici)

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