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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite
(V e XIV)
4.
Giovedì 8 luglio 2010
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3

Audizione del vicedirettore generale della Banca d'Italia, professor Ignazio Visco, nell'ambito dell'esame congiunto della comunicazione della Commissione europea «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche» (COM(2010)250 def.) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Marinello Giuseppe Francesco Maria, Presidente ... 3 11 16 18
Baretta Pier Paolo (PD) ... 13
Borghesi Antonio (IdV) ... 11
Duilio Lino (PD) ... 11
Polledri Massimo (LNP) ... 14 18
Toccafondi Gabriele (PdL) ... 14
Visco Ignazio, Vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 3 15 16 18

ALLEGATO: Documentazione depositata dal vicedirettore generale della Banca d'Italia, professor Ignazio Visco ... 19
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano: Misto-Noi Sud LA-PLI.

[Avanti]
COMMISSIONI RIUNITE
V (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) E XIV (UNIONE EUROPEA)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di giovedì 8 luglio 2010


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO

La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del vicedirettore generale della Banca d'Italia, professor Ignazio Visco, nell'ambito dell'esame congiunto della comunicazione della Commissione europea «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche» (COM(2010)250 def.).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del vicedirettore generale della Banca d'Italia, professor Ignazio Visco nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione europea «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche» (COM(2010)250 def.).
Accompagnano il professor Visco il dottor Daniele Franco, capo del Servizio studi di struttura economica e finanziaria e il dottor Sandro Momigliano, capo della Divisione finanza pubblica.
Do la parola al professor Visco.

IGNAZIO VISCO, Vicedirettore generale della Banca Italia. È disponibile una relazione scritta che è stata messa a disposizione della Commissione; cercherò di procedere lungo la sua traccia. Immagino che la vostra richiesta, formulata dopo la pubblicazione della comunicazione della Commissione in materia di rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche, sia anche inclusiva della comunicazione della Commissione «Rafforzare il coordinamento delle politiche economiche per la stabilità, la crescita ed i posti di lavoro. Strumenti per una governance economica più forte in ambito UE» (COM (2010)367), presentata il 30 giugno scorso, che è, in realtà, quella più concreta.
Nel frattempo, tra le due comunicazioni, vi è stato un Consiglio europeo, che si è espresso in materia dopo aver preso atto delle prime deduzioni della task force presieduta da Herman Van Rompuy. Cercherò di citare questi tre documenti nella mia esposizione.
Ho strutturato il mio intervento, che sarà breve, in quattro parti. La prima riguarda l'interesse che esiste in questo momento di modificare l'assetto istituzionale di coordinamento delle politiche economiche in Europa; la seconda il tipo di raccomandazioni e di proposte che la Commissione europea e il gruppo di lavoro istituto dal Consiglio della UE stanno considerando; nella terza entrerò nel dettaglio in merito a tre elementi delle proposte: l'istituzione del semestre europeo, il miglioramento della sorveglianza macroeconomica e strutturale e la riforma sostanziale del Patto di stabilità e crescita, atta a renderlo più cogente; la quarta parte sarà costituita dalle conclusioni.
La modifica dell'assetto normativo europeo nasce, sostanzialmente, dal fatto che, con le tensioni emerse negli ultimi 6-7 mesi nel mercato finanziario europeo, si è


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posta, con forza, l'esigenza di rivedere il coordinamento delle politiche economiche, che è, forse, alla base delle difficoltà riscontrate nel fornire la risposta a tali tensioni, posto che la risposta è stata caratterizzata da lentezza da un lato e incompletezza dall'altro.
Come sappiamo, con il verificarsi della crisi, uno degli elementi più evidenti, quello che alla fine ha segnato la risposta dei mercati, è stata la crescita forte dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e del debito pubblico di molti Paesi.
Le amministrazioni pubbliche dell'area dell'euro hanno segnato un aumento dell'indebitamento dal 2 a oltre il 6 per cento negli ultimi due anni, mentre l'incidenza del debito pubblico sul prodotto interno lordo nell'area dell'euro è aumentato di quasi dieci punti percentuali in due anni, in quanto attualmente è di circa l'80 per cento del PIL, mentre era di circa il 70 per cento due anni fa.
L'aspetto interessante è che queste tensioni finanziarie hanno avuto come momento di catalizzazione la crisi greca, legata al fatto che il disavanzo e il debito sono cresciuti in Grecia molto rapidamente senza, però, che le condizioni di quel Paese destassero particolare preoccupazione, in quanto, sia dalle comunicazioni a Bruxelles da parte del Governo greco sia dalle valutazioni da parte della Commissione e anche di Eurostat, del loro stato dei conti, era emersa, nel 2009, una previsione relativa al rapporto del deficit rispetto al PIL per il 2010 assolutamente ragionevole, intorno al 4 per cento.
In realtà, col passare dei mesi, cambiato anche il Governo in carica, sono emerse poste di bilancio di cui in precedenza non si era tenuto conto. Gli ultimi dati indicano un indebitamento intorno al 14 per cento per il 2009, che potrebbe non essere l'ultima parola, tanto che Eurostat ha espresso alcune riserve e sostiene che potrebbe essere anche superiore di un altro mezzo punto.
La questione di fondo, come sappiamo, è rappresentata da un problema di tipo statistico: da un lato, le statistiche erano inattendibili, dall'altro, anche se vi era la percezione che lo fossero, ciò non è stato comunicato. Gli operatori dei mercati si sono spaventati e hanno cominciato a verificare l'esistenza di altri casi del genere. Non ci sono; nelle tabelle allegate alla relazione depositata vedrete che vi è, in effetti, un forte aumento del debito e dell'indebitamento netto in Irlanda, Spagna e Portogallo, ma si tratta di «trasparenti» evoluzioni di questi aggregati, a fronte invece delle molto «opache» evoluzioni greche.
Le tensioni hanno, dunque, colpito anche Spagna e Irlanda ed è interessante osservare che si tratta di due Paesi che non presentano una situazione iniziale di squilibrio nei conti pubblici. Ciò è riscontrabile dai dati sull'indebitamento netto e sul debito pubblico; tali Paesi, infatti, presentavano un basso debito nel 2008 e anche disavanzi sostanzialmente bassi.
Non è, dunque, necessariamente il punto di partenza a determinare una forte variazione della situazione economica di un Paese e una crisi finanziaria.
Occorre osservare, però, che si tratta di Paesi che accusavano problemi, per esempio, di debito privato molto alto o che presentavano disavanzi anche molto alti, dal punto di vista della parte commerciale della bilancia dei pagamenti. Vi sono, quindi, altri fattori che possono incidere sulle situazioni di squilibrio.
Tale situazione ha portato sia la task force incaricata dal Consiglio della UE, sia la Commissione a interrogarsi su che cosa fare per rendere le politiche economiche più attente a questi sviluppi, prevenire e, nel caso in cui non si fosse in grado di farlo, correggere squilibri di dimensione anche diversa o che investono profili differenti da quelli che riguardano soltanto il debito pubblico o il disavanzo delle amministrazioni pubbliche.
Il motivo è che, in realtà, il disavanzo è spesso un elemento iniziale, ma anche la risposta a una crisi, mentre il debito è chiaramente l'accumulo dei disavanzi e di altre poste finanziarie che vanno tenuti sotto controllo e non discendono necessariamente soltanto dalla carenza di attenzione


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ai conti pubblici, ma possono discendere anche da una situazione di crescita economica e di attività economica poco soddisfacenti.
Siamo abituati a considerare i rapporti tra indebitamento netto e PIL, e tra debito pubblico e PIL - per esempio, in Italia il debito pubblico rispetto al PIL è del 115 per cento - ma occorre considerare che essi dipendono in modo sostanziale anche dalla crescita dell'economia, sia direttamente, in modo automatico, perché nel denominatore di tali rapporti, vi sono variabili come il prodotto interno lordo o l'attività economica, sia perché una recessione che colpisce anche il profilo delle entrate, comporta direttamente una riduzione delle entrate dello Stato e, quindi, un aumento del disavanzo o una riduzione del surplus, nel caso in cui ci fosse.
Questa interazione tra misure di bilancio e attività economica, crescita dell'economia, produttività e competitività, è al centro dell'attenzione sia della Commissione sia del citato gruppo di lavoro.
Il 17 giugno scorso, il Consiglio europeo ha condiviso l'opportunità di rafforzare la fase preventiva e quella correttiva del Patto di stabilità e crescita, rispetto a quanto indicato nella prima comunicazione, quella volta a rafforzare il coordinamento delle politiche economiche, e ha sottolineato la necessità di assegnare una particolare importanza al livello e all'andamento del debito, nonché alla sostenibilità complessiva dei conti pubblici e di assicurare l'integrità delle informazioni statistiche.
Ha, inoltre, convenuto sulle altre proposte che sono parte dell'intervento e dell'analisi della Commissione, ossia la definizione di un semestre europeo, l'adozione a livello nazionale, nell'ambito del rafforzamento del Patto di stabilità e crescita, di regole e procedure di bilancio orientate al medio termine e la definizione di un insieme di indicatori per migliorare la sorveglianza macroeconomica.
Per quanto riguarda l'istituzione di un semestre europeo, c'è da dire che finora la valutazione delle politiche economiche è sempre avvenuta ex post, a consuntivo. La tempistica, anche nell'analisi della verifica del rispetto del Patto di stabilità e crescita, è stata sempre lenta.
La proposta attuale è di istituire un semestre europeo che coordini le iniziative delle politiche economiche nazionali ex ante, sia dal lato delle procedure di bilancio, sia da quello delle politiche macroeconomiche e delle riforme strutturali.
Come potete leggere molto chiaramente nella citata comunicazione della Commissione del 30 giugno, in una tabella finale che riporta il calendario possibile delle iniziative, si parte da una valutazione della Commissione sulle prospettive macroeconomiche; poi, di volta in volta, i Paesi assumono impegni a presentare un loro programma di stabilità; segue la definizione degli obiettivi di bilancio a metà luglio, dopo che tale programma di stabilità è stato valutato da Bruxelles; dopodiché, vi è un semestre nel quale si interviene per determinare le misure da assumere per rispettare gli obiettivi di bilancio.
Alla fine di tale sequenza, si verificano il conseguimento degli obiettivi prefissati o la qualità delle politiche in atto e si avviano o meno alcune procedure o raccomandazioni, volte a prevedere incentivi ovvero sanzioni.
Questo è più o meno il processo che si svolge partendo da questo semestre europeo, che tende ad allineare i due piani della stabilità e crescita, da un lato, e della riforma strutturale, dall'altro, in modo da esaminarli insieme, congiuntamente, e guardare, come affermavo prima, sia gli elementi di stabilità, sia quelli di crescita.
La sorveglianza sugli andamenti macroeconomici e sulle riforme strutturali è l'elemento di novità rispetto al Patto di stabilità e crescita, di cui sappiamo molto, sul quale mi soffermerò tra breve e per il quale vi sono molte richieste di rafforzamento lungo certe direzioni.
Sugli andamenti macroeconomici e strutturali, vi è una nuova attenzione, perché si considerano alla base della crisi e della sua recrudescenza gli squilibri macroeconomici, che, in ultima analisi, sono le distanze tra risparmio e investimento protratte nel tempo, che hanno


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effetti anche sui conti con l'estero di un Paese e sulla sua capacità di crescere e, a questo punto, anche di onorare i propri impegni, per quanto riguarda lo stesso debito pubblico.
Si propone di sorvegliare gli andamenti macroeconomici e strutturali, anche in questo caso, in fase sia preventiva, sia di correzione.
La fase preventiva consiste in una valutazione dei rischi che derivano da debolezze strutturali dei Paesi, dal deterioramento della competitività e dagli squilibri macroeconomici per la parte degli andamenti macroeconomici e si attuerebbe, nei propositi della Commissione, attraverso un insieme di indicatori, che la Commissione chiama scoreboard, sulla base dei quali valutare la distanza dei singoli Paesi da alcuni obiettivi di stabilità macroeconomica.
Ovviamente, tra i diversi indicatori vi sono quelli «classici», come il mercato del lavoro, la bilancia dei pagamenti, il bilancio pubblico, ma ve ne sono anche alcuni, suggeriti dalla Commissione, che sono più indicativi della stabilità finanziaria in senso lato, come l'andamento dei prezzi delle attività finanziarie, la crescita del credito bancario e via elencando.
Credo che bisogni prestare una particolare attenzione a quanto tale insieme di analisi sia congruente con quella che sarà portata avanti dallo European Systemic Risk Board, il nuovo organismo che si occuperà del rischio sistemico che sarà costituito a Francoforte, e che ha come obiettivo fondamentale quello di vigilare sul rischio macroeconomico riguardante la stabilità finanziaria e proporre interventi cosiddetti di natura macroprudenziale.
Sui Paesi con gravi squilibri macroeconomici la Commissione penserebbe di avviare, come succede per gli squilibri di bilancio, una procedura per squilibri eccessivi. A questo punto si pensa anche di elaborare regole particolarmente severe per i Paesi dell'area dell'euro. L'intervento consisterebbe nel procedere con raccomandazioni, nonché con sanzioni, se vi è una distanza rispetto a determinati obiettivi condivisi.
Oltre agli squilibri macroeconomici, la Commissione guarda con forza alla sorveglianza sull'adozione di riforme strutturali nell'ambito di quella che una volta era la Strategia di Lisbona e che ora è la Strategia Europa 2020, e, quindi, riforme dei grandi settori che riguardano l'occupazione, l'ambiente, la ricerca, l'istruzione e l'inclusione sociale.
L'aspetto interessante è costituito dal fatto che, nella definizione di tali procedure, vi è un'attenzione affinché si possano eventualmente prevedere anche incentivi ex ante, quali la concessione di fondi da parte dell'Unione europea per particolari attività connesse alla realizzazione di tali riforme o alla impostazione di interventi volti a raggiungere particolari obiettivi in questi settori.
È chiaramente giustificata la maggiore sorveglianza multilaterale degli andamenti macroeconomici. La fragilità dei bilanci privati, oltre che di quelli pubblici, è una causa fondamentale di instabilità e, con essa, di sviluppi e tensioni di tipo finanziario che possono provocare anche una crisi finanziaria grave di un'intera area, non soltanto di un singolo Paese.
Questa attenzione particolare a quelli che in inglese si chiamano spillover, cioè le interdipendenze di natura finanziaria tra diversi Paesi, spinge a sorvegliare gli andamenti macroeconomici dei Paesi nel loro complesso.
Occorrerebbe, comunque, che in questa attività di sorveglianza vi sia un'attenzione non meccanica ai singoli indicatori, ma sia approfondita la definizione dei possibili squilibri e sia prevista la possibilità di intervenire con un impegno a priori da parte dei Paesi, indipendentemente dai risultati, a sottoporsi a una procedura trasparente, oltre che formale. Bisogna fornire, quindi, tutte le informazioni sulle variabili e sui fenomeni che rientrano nella sorveglianza in senso lato.
Una delle questioni fondamentali è rappresentata dagli effetti dell'invecchiamento della popolazione. Esistono, sicuramente, studi da parte della Commissione sull'impatto che questo fenomeno può avere anche sul debito dei singoli Paesi e a


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monte ci sono le valutazioni sull'evoluzione della spesa previdenziale, dati tali andamenti demografici. I modelli, gli schemi e le informazioni su questo argomento dovranno essere condivisi ex ante, in modo che sia possibile controllare le dinamiche che un Paese segue.
Come riferivo prima, la parte meno innovativa, anche se piuttosto importante, nella comunicazione della Commissione concernente il rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche, riguarda le proposte volte a rendere più stringenti i meccanismi previsti per il rispetto della disciplina di bilancio.
In Europa vige il Patto di stabilità e crescita, che finora è stato interpretato come patto di stabilità dei conti pubblici. Ovviamente, come ho già argomentato prima, l'attenzione alle riforme strutturali ha dei riflessi sulla crescita e anche sulla stabilità dell'economia nel suo complesso, per l'impatto che può avere sui conti pubblici e sulle risposte di politica economica da parte delle autorità di governo; non può, però, non considerare direttamente le determinanti del numeratore dei rapporti finanziari presi in esame, come l'indebitamento netto, il disavanzo, il surplus e il debito dei Paesi.
La Commissione, anche in questo caso, mira alla prevenzione e alla correzione, prevedendo, quindi, due fasi.
La fase di prevenzione consta di due punti e, per attuarla, viene proposto l'utilizzo di due strumenti. Il primo di tali strumenti consiste nell'introduzione di un deposito fruttifero da parte dei Paesi che non intraprendono azioni di correzione partendo da situazioni considerate divergenti. Quando lo devono fare? Quando le cose vanno bene.
Uno dei problemi del Patto di stabilità e crescita, infatti, è stato che esso non ha indotto i Paesi, perché non prevedeva tali meccanismi, a mettere da parte le risorse nel momento di congiuntura favorevole. Come risultato, ci si è trovati all'inizio della crisi, quindi all'inizio della recessione - con riferimento al complesso dei Paesi dell'Unione europea -, in una situazione di debito pubblico, di indebitamento netto e disavanzo pubblico elevati, sicuramente superiori al limite del 3 per cento, che era un limite massimo, non medio, in rapporto al disavanzo.
La Commissione indica che nei casi in cui si manifesta una posizione iniziale di squilibrio dei conti, è necessario prevedere un obbligo per i Paesi di effettuare un deposito fruttifero, rinunciando, quindi, alla possibilità di utilizzare determinate risorse, per destinarle all'attuazione di politiche di correzione che possano poi consentire il recupero di tali risorse.
Il secondo punto riguarda la creazione di un legame diretto tra l'attribuzione di fondi europei e la realizzazione di riforme strutturali e istituzionali.
La Commissione propone di integrare le norme sovranazionali con regole stringenti e forti per quello che riguarda il livello nazionale, con un riassetto istituzionale tale che comporti che i singoli Stati, nell'ambito di una specifica procedura, individuino alcuni obiettivi e limiti precisi che li obblighino alla disciplina di bilancio.
Si pone l'accento, inoltre, su un elemento che può sembrare ovvio, ma che di fatto non lo è, cioè il passaggio, nelle procedure di bilancio nazionali, da una programmazione su base annuale a una effettivamente e non soltanto formalmente pluriennale, nonché la garanzia dell'accuratezza delle registrazioni contabili e dell'affidabilità delle informazioni statistiche come condizione per assicurare la correttezza dei dati di cassa e competenza.
La fase di correzione si attua quando vi è la necessità di aprire una procedura per disavanzi eccessivi. Tale procedura è stata applicata diverse volte, ed è in atto anche adesso, ma è lenta e di fatto non ha alcuna capacità di determinare forti cambiamenti; dà un indirizzo più che un obbligo. L'anticipo della procedura già nella fase di previsione per Paesi che contravvengono alle regole è richiesta dalla Commissione come elemento fondamentale.
La Commissione interviene anche con alcune misure sanzionatorie, tra cui la possibilità di sospendere o cancellare finanziamenti


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da parte dell'Unione europea e introdurre condizioni particolari per l'utilizzo di fondi dell'Unione stessa.
Per quanto riguarda il debito pubblico, la proposta è molto chiara. Poiché i meccanismi attuali non sono riusciti a evitare un elevato livello e una crescita dei debiti pubblici, si propone che i Paesi lontani dalla soglia del 60 per cento del rapporto tra il debito e il PIL, rientrino in tale soglia, seguendo un percorso definito da regole matematiche e aritmetiche che la Commissione sta verificando, in modo da tendere alla predetta soglia del 60 per cento in un tempo ragionevole e soprattutto in modo continuo.
Il rafforzamento del Patto di stabilità e crescita è necessario e urgente. Noi pensiamo anche che la dimensione preventiva del processo di sorveglianza non abbia funzionato: i Paesi non hanno utilizzato le condizioni macroeconomiche favorevoli per progredire in misura soddisfacente verso il conseguimento degli obiettivi di medio termine e, quindi, è assolutamente opportuno che vi siano modifiche nell'applicazione delle regole di bilancio, che rafforzino soprattutto gli incentivi che i Paesi hanno per rispettarle.
È anche importante che vi sia maggiore automaticità tra l'avvio della procedura per disavanzi eccessivi e l'applicazione delle sanzioni. Se effettivamente vi è un'automaticità, aumenta la credibilità del processo.
Le tipologie di sanzioni potrebbero non essere solo di tipo finanziario, ma anche di tipo non finanziario, quali la limitazione o la sospensione di diritti di voto - vi sono state proposte in questa direzione -, o di tipo procedurale, quali obblighi di rendicontare in modo più stringente e appropriato e a frequenze maggiori. Occorre, comunque, specificare che questo tema non figura nella comunicazione della Commissione.
Limitarsi all'applicazione di sanzioni monetarie a Paesi in difficoltà finanziaria rischia di essere poco credibile, perché farebbe pagare di più chi già accusa un problema finanziario. È importante che vi sia un sistema di sanzioni anche finanziario, che però non può essere l'unico e forse neanche il più forte.
La proposta che viene dalla Commissione di imporre depositi fruttiferi ai Paesi che non procedono a ritmi sufficienti verso il raggiungimento dell'obiettivo di medio termine di bilancio in pareggio e di debito che tende al 60 per cento del PIL rafforza la dimensione preventiva del Patto di stabilità e crescita e muove verso la costituzione di un fondo di riserva.
La Commissione tratta tale materia, ma non scende in profondità; si potrebbe anche immaginare la costituzione di un fondo nel quale si possa non soltanto versare, ma anche prelevare, indipendentemente dalla politica di bilancio, uno strumento che riguardi attività e passività finanziarie, come uno stabilizzatore automatico finanziario, che può servire a mitigare i problemi sul bilancio e sul debito.
È certamente condivisibile la proposta di accrescere l'attenzione nei confronti del livello del debito. Le regole di carattere automatico saranno quelle che la Commissione proporrà. Bisogna ricordarsi che, anche soltanto il conseguimento degli obiettivi di medio termine, porterebbe a un rapido avvicinamento all'obiettivo del 60 per cento del rapporto tra il debito e il PIL.
Una simulazione effettuata nell'ipotesi di un bilancio in pareggio di un Paese con un debito pari al 100 per cento del PIL, mostra che in meno di 20 anni, anche se si cresce soltanto dell'1 per cento e a un tasso di inflazione del 2 per cento medio, che è ormai un dato standard in questi ultimi esercizi, si raggiunge il predetto obiettivo del 60 per cento.
È già implicito, dunque, nell'obiettivo del medio periodo un sufficiente grado di inerzia. Bisogna però che vi sia una verifica sull'effettivo raggiungimento dell'obiettivo di medio periodo.
Credo che sia anche assolutamente evidente, come lo è certamente nel caso greco, che il sistema di coordinamento e di sorveglianza può essere efficace solo se le


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informazioni statistiche, in particolare di finanza pubblica, sono affidabili e accurate, in inglese comprehensive.
Per questo motivo è indispensabile garantire la piena indipendenza agli istituti nazionali di statistica. Ciò, ovviamente, favorisce la disciplina di bilancio, perché accresce anche la capacità del mercato di distinguere tra emittenti sovrani e, quindi, di intervenire in qualche modo, come di fatto è avvenuto e avete visto.
È anche condivisibile la proposta di potenziare i poteri ispettivi di Eurostat nei confronti degli Stati membri, che, effettivamente, nel caso greco sono mancati. Le regole sovranazionali, come sostiene la Commissione, devono essere integrate da un sistema coerente ed efficace a livello nazionale. Occorrono quindi regole stringenti e forti istituzioni a livello nazionale.
Diversi Paesi negli ultimi anni hanno introdotto vincoli di carattere costituzionale; per esempio, la Germania è intervenuta in modo molto incisivo, altri hanno fissato tetti di spesa pluriennali, e altri ancora hanno creato agenzie autonome per il monitoraggio delle finanze pubbliche, che producono valutazioni indipendenti - in America il Congressional Budget Office svolge tale attività come propria finalità istituzionale - e sono importanti perché vincolano gli organi legislativi, ad assumere un atteggiamento nei confronti delle proposte che provengono anche dagli organi di governo, che tenga conto delle valutazioni indipendenti che tali agenzie danno.
Nel caso italiano almeno due princìpi dovrebbero essere presi in considerazioni e introdotti, a nostro modo di vedere.
Il primo è quello di controllare la crescita della spesa pubblica, anche con l'eventuale introduzione eventuale di limiti pluriennali all'evoluzione della spesa.
Il secondo è quello di assicurare che il processo di decentramento che interessa il nostro Paese non comporti squilibri dei conti pubblici. L'abbiamo affermato diverse volte, sia io nel corso di un'audizione svolta il 18 novembre 2008 al Senato, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui disegni di legge di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione in materia di federalismo fiscale, sia il governatore della Banca d'Italia nelle sue considerazioni finali svolte nel corso dell'assemblea ordinaria dei partecipanti, tenuta a Roma il 31 maggio 2010. È evidente che un processo di decentramento dovrà essere tale da poter far rispettare i vincoli di bilancio ancor più di quanto non si faccia attualmente.
Un ultimo punto, che non figura nella nuova comunicazione, quella del 30 giugno scorso, ma era presente nella comunicazione precedente sul rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche, è molto importante e riguarda la definizione di un meccanismo di risoluzione delle crisi sovrane di uno Stato.
Lo Stato greco, come sappiamo, ha attraversato una forte crisi. Dopo una discussione intensa, che ha coinvolto la Commissione, i Paesi membri dell'area dell'euro, l'Ecofin e i Parlamenti nazionali, si è arrivati a costruire un piano di emergenza per la Grecia, basato su un insieme di prestiti concessi bilateralmente, di un ammontare elevato, 80 miliardi di euro, con un intervento aggiuntivo del Fondo monetario internazionale di 30 miliardi di euro, per garantire che tale Paese possa, per un dato numero di anni, non rivolgersi al mercato in presenza di una situazione debitoria, mentre mette in atto misure per ridurre il disavanzo.
Dopo l'approvazione di questo piano, il 2 maggio di quest'anno, le tensioni non sono diminuite, ma aumentate, perché si sono spostate dalla Grecia ad altri Paesi, nel timore che ce ne fossero altri che potevano rischiare di non ripagare i propri debiti. Questo è il rischio sovrano.
Di fronte a questi forti turbamenti di mercato, che hanno riguardato Paesi che non avevano situazioni di partenza del bilancio pubblico particolarmente gravi - come si può constatare da un grafico contenuto nella documentazione che ho depositato, che mostra gli spread sui titoli a dieci anni, ma vale per tutti, addirittura di più per i titoli a due anni, rispetto ai titoli tedeschi (Bund) - si è verificata una esplosione nei differenziali di rendimento


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dei titoli rispetto alla Germania per alcuni Paesi, diversi dalla Grecia, come Irlanda, Portogallo e Spagna.
Il Consiglio europeo, lo scorso mese di maggio, ha messo in atto uno strumento di gestione delle crisi di questo tipo, che opererà per tre anni, chiamato European Financial Stabilization Mechanism, il quale prevede la possibilità di estendere, nell'ambito dell'area dell'euro, l'uso delle risorse finora disponibili per far fronte a crisi della bilancia dei pagamenti, anche per crisi causate da squilibri di finanza pubblica.
Da un lato, si continuano a utilizzare i 60 miliardi di euro come base di intervento a livello comunitario, ma dall'altro ci si avvale di una società veicolo che è stata costituita col nome di European Financial Stability Facility, la quale raccoglie risorse sui mercati e, attraverso programmi condizionati all'introduzione di particolari impegni da parte dei Paesi, può erogare prestiti per un massimo, nel complesso, di 440 miliardi di euro, ai quali si aggiungeranno pro quota, in modo simile al caso greco, gli interventi del Fondo monetario internazionale.
Questo sistema ha consentito di stabilizzare un po' i mercati, ma la crisi non è finita. Si tratta, comunque, di un meccanismo interessante per una Commissione parlamentare come questa che si occupa di profili finanziari e anche, senz'altro, per la Commissione europea, perché non è basato più su prestiti bilaterali ma su contribuzioni di tutti i Paesi.
Si tratta, quindi, di un atto sostanzialmente unitario, di natura comunitaria, di un intervento di natura politica, ancorché non concernente la politica di bilancio, nonché di uno strumento da usare con molta attenzione e solamente in casi molto gravi.
Nelle proposte che saranno avanzate dalla Commissione, dopo l'esaurimento del periodo di funzionamento della European Financial Stability Facility, ai fini della costituzione di uno schema permanente per la risoluzione delle crisi, bisognerà guardare al tipo di incentivi impliciti in un meccanismo di questo genere, che devono essere tali da non causare un allentamento da parte dei Paesi nella conduzione di politiche di bilancio sostenibili.
Concluderei con i cinque punti che credo riassumano la comunicazione della Commissione europea in merito al rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche e la nostra interpretazione e valutazione in merito.
L'operazione è sicuramente complessa sotto il profilo politico e tecnico e va completata in tempi brevi, perché sono state create anche molte aspettative. Il Consiglio deve prendere una decisione nell'autunno ed è la prima volta in cui si guarda effettivamente a un insieme di interventi che riguardano la disciplina del bilancio, gli squilibri macroeconomici e la struttura delle economie, ovvero, in termini semplici, la crescita e la competitività dell'economia.
Il semestre europeo può contribuire sicuramente a migliorare la gestione della politica economica dell'area dell'euro. Non occorrono misure sostanziali di modifica nei tempi delle procedure di bilancio italiane alla luce della legge di contabilità e finanza pubblica introdotta l'anno scorso.
Il Programma di stabilità dovrà essere presentato ad aprile di ciascun anno e assumerà importanza maggiore in sede nazionale. Si dovranno individuare le modalità per la discussione parlamentare, anche a livello nazionale, delle indicazioni formulate in sede europea.
Il secondo punto riguarda il rafforzamento della sorveglianza, sia delle condizioni macroeconomiche, sia di quelle strutturali di ogni Paese membro, che è sicuramente necessaria. Bisogna concentrarsi sugli squilibri che possono determinare oneri per la finanza pubblica e, allo stesso tempo, costituire un rischio per la stabilità finanziaria dell'intera area.
Come ho ricordato prima, è importante che ci sia, oltre agli indicatori quantitativi, una valutazione complessiva, a diversi livelli, di questi squilibri, dopo che essi siano stati definiti, nonché impegni forti ex ante da parte dei Paesi a rispettare una procedura al riguardo.


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Il rafforzamento del Patto di stabilità e crescita è prioritario. Va reso assolutamente cogente il conseguimento del pareggio di bilancio strutturale e, in alcuni casi, per Paesi che hanno forti distanze dagli obiettivi, il conseguimento di un avanzo.
L'enfasi sul debito e sulla sostenibilità è opportuna, come pure un'introduzione più tempestiva e graduale di sanzioni, estese ai fondi comunitari. Probabilmente è anche utile rendere più automatico l'avvio delle procedure per i disavanzi eccessivi e l'applicazione delle sanzioni.
Al riguardo, sottolineo che un punto importante è costituito dal fatto che nella comunicazione si parla di debito pubblico, ma anche di condizioni nel sistema che possono portare a determinare il suo aumento.
Ovviamente, la prima condizione è rappresentata dal disavanzo. Le politiche di bilancio determinano, attraverso i disavanzi, un aumento del debito pubblico, ma non sono le uniche. Per esempio, buona parte dell'aumento che abbiamo registrato negli ultimi tempi non discende da politiche di bilancio in disavanzo, ma, a volte, anche da interventi di natura straordinaria, come negli Stati Uniti o nel Regno Unito, su banche in difficoltà, oppure su intermediari finanziari, oppure sui mutui non coperti da garanzie, ma considerati tali dai mercati, e via elencando.
Quindi, sostanzialmente, il debito privato, alla fine, rischia di diventare debito pubblico. Questo elemento è importante; nella valutazione delle politiche che un Paese deve attuare qualora si trovi in situazione di squilibrio, bisogna tenere conto anche di quelle mirate a contenere i debiti privati. L'Italia è messa un po' meglio degli altri Paesi su questo versante, sicuramente per quanto riguarda le famiglie, mentre le imprese hanno una situazione di debito pari alla media europea.
Il quarto punto riguarda le regole di bilancio europeo, che richiedono, per funzionare bene, procedure e istituzioni nazionali che mirino all'equilibrio dei conti pubblici. Con riferimento al nostro Paese, i due punti di cui ho parlato precedentemente, ossia procedure di controllo della spesa e attenzione all'utilizzo del processo di decentramento per ridurre e non accrescere gli squilibri dei conti, sono gli elementi che ci sembrano rilevanti.
Infine, in molti Paesi, tra cui sicuramente l'Italia, la correzione dei conti pubblici va accompagnata con riforme strutturali in grado di incidere sulle cause che limitano la capacità di crescita dell'economia e la competitività delle imprese.
Grazie.

PRESIDENTE. La ringrazio, professore. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

ANTONIO BORGHESI. Ringraziandola per la sua presenza, espongo un solo dubbio, anche se ne nutro più di uno.
Lei ha pronunciato la parola «crescita» come ultima del suo intervento, ma, se si va a guardare bene, in tutto il rapporto essa non figura quasi mai, come se all'Europa, nella gestione delle crisi finanziarie, interessasse poco la crescita.
Poiché tutti sappiamo che il problema del debito si risolve o con il default, o con l'inflazione, o con la crescita, a me sembrerebbe che proprio la crescita dovrebbe essere l'obiettivo che spinge e incentiva i Paesi anche attraverso politiche comuni.
In particolare, una misura come il deposito obbligatorio, ancorché fruttifero, è assolutamente di tipo depressivo sull'economia di un Paese e faccio fatica a immaginare che quelle individuate dalla Commissione europea siano le strade reali da percorrere in situazione di squilibrio. Volevo sentire in merito la sua opinione.

LINO DUILIO. Anch'io volevo partire da una domanda sulla crescita e riprendo quanto è stato espresso dal collega, non solo per osservare che è l'argomento centrale della riflessione che abbiamo ascoltato.
Ritengo che il tema dell'inadeguata attenzione alla crescita, al di là della retorica evocativa per cui in tutti i convegni la si cita, sia un problema culturale prima


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che economico. Lasciando sullo sfondo la questione con riferimento all'Unione europea, anche a livello nazionale ormai celebriamo la liturgia della mancata crescita da lustri e lustri, ma non si capisce bene a chi spetta il compito di avanzare proposte un po' più puntuali per cercare di conseguire obiettivi apprezzabili di tassi di crescita del PIL e di incremento della produttività, che, come sappiamo, scontano invece andamenti negativi da quasi 20 anni.
Sappiamo che le problematiche della razionalizzazione e della razionalità sul versante della spesa, anche a livello teorico, scontano difficoltà non banali - le politiche di bilancio dei vari Paesi comportano per così dire, di «affamare la bestia» - e constatiamo che i fenomeni della crescita della spesa sono come fiumi carsici. Non sostengo che si debba abbandonare questo versante, ma ritengo che il problema su cui concentrare, teoricamente oltre che politicamente, l'attenzione è proprio quello della crescita.
Considerato che precedentemente lei ha accennato al fatto che siamo in presenza di un rapporto con un numeratore e un denominatore ed è chiaro che, se si riesce a far crescere il denominatore, diminuisce il valore del rapporto e che ciò risolverebbe diversi problemi, osservo che siamo ancora a un'affermazione esortativa. Non pretendevo che lei dovesse venire a parlarci in modo monografico del tema della crescita, ma le chiedo conferma se tale punto non attenga anche forse a una questione che investe anche il piano culturale, soprattutto nel nostro Paese, perché poi l'Europa, che ci piaccia o meno, al di là degli sforzi che si stanno compiendo di coordinamento delle politiche di bilancio, è allo stato attuale soprattutto una sommatoria di politiche nazionali.
Nell'ambito delle politiche nazionali alcuni Paesi, come la Francia, da molti anni si sono adoperati in misura superiore rispetto ad altri Paesi per quanto riguarda il tema della crescita. Da noi la politica industriale è una questione fantomatica; credo che non esista una vera politica industriale nel nostro Paese.
Non capisco come si possa, agendo da un livello inferiore rispetto a quello comunitario - credo che per un po' di tempo bisognerà agire soprattutto da un livello inferiore, affinché a livello comunitario non ci si dimostri velleitari - affrontare in modo più puntuale la questione della crescita, che è legata evidentemente a politiche sia di bilancio, sia industriali, sia economiche più generali.
Le chiedo se, al di là del discorso specifico, non si debba ricalibrare l'attenzione sul tema della crescita non lasciandolo semplicemente alle affermazioni, che pure si fanno, ma che poi rimangono su un piano generico
Per essere sincero, pur seguendo da lettore, oltre che come parlamentare, con un minimo di attenzione queste problematiche, non ho ancora capito come possiamo risolverle, innanzitutto a livello nazionale. Il nostro Paese ha sicuramente la necessità, fra le altre cose, di realizzare le infrastrutture e di valorizzare alcuni settori, ma quando si tratta di realizzare queste finalità, riscontriamo l'esistenza di alcune contraddizioni come - per così dire - un «cane che si morde la coda»: per realizzare le infrastrutture abbiamo bisogno di risorse, per avere risorse abbiamo bisogno della crescita, per avere la crescita abbiamo bisogno delle infrastrutture e, quindi, alla fine ci scontriamo su questioni che richiederebbero un momento di riflessione più rigoroso.
Vengo più rapidamente alle altre questioni. La maggior parte delle misure proposte per affrontare la crisi, al di là di quelle evocate anche a livello comunitario, come la Strategia Europa 2020 e le varie iniziative «faro» che ne accompagnano la realizzazione, ruotano attorno al Patto di stabilità e crescita e alle misure di razionalizzazione, di controllo e di monitoraggio volte ad evitare una situazione di crisi. Tali proposte hanno innescato come lei sa bene, un dibattito, anche a livello intellettuale, dai toni accesi, perché il timore che viene paventato è che, in prospettiva si determini una deflazione, ossia una situazione depressiva dell'economia dalla quale possa derivare, in futuro, un aumento


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della disoccupazione oltre a situazioni che non è il caso di ricordare ulteriormente.
Le chiedo se, a suo avviso, questi timori, siano esagerati, o se contengono un pezzetto di verità.
Nutro poi una curiosità. Lei ha accennato al tema, ma vorrei che lo specificasse meglio. Anche da un punto di vista politico, nel nostro Paese ha avuto risalto la posizione dell'Unione europea secondo la quale l'Italia, a fronte di un debito pubblico alto, registra un debito privato molto basso e un elevato risparmio privato e che tale situazione, pur tenendo presenti le difficoltà legate alla nostra situazione economica, consentirebbe al nostro Paese, qualora si riscrivessero le graduatorie tra i Paesi combinando il debito pubblico con il risparmio privato, di occupare una posizione migliore di quella attuale in termini relativi.
Sono un po' preoccupato per quanto lei ha affermato precedentemente, se ho capito bene, vale a dire che anche il debito privato, se cresce, può diventare alla fine debito pubblico, come abbiamo visto accadere negli Stati Uniti d'America; noi siamo in una condizione molto lontana da quella, però non ho compreso bene quali implicazioni comporti questa combinazione sulla nostra economia e sul nostro bilancio, anche con riferimento ai parametri e al rigore tecnico-analitico con i quali vengono determinate le grandezze finanziarie.
Se consideriamo in modo unitario i parametri del debito pubblico, del debito privato e del risparmio privato ed emerge che la nostra posizione è superiore rispetto sia alla Francia sia alla Germania, oppure che la nostra distanza rispetto a tali Paesi si riduce, che cosa succede? Ci può spiegare meglio quali siano le implicazioni sul nostro agire in veste di legislatore rispetto agli aspetti economici e finanziari di cui ci occupiamo?
Telegraficamente, vorrei porle un'altra domanda. Non crede che sia il caso di introdurre anche elementi di premialità per i Paesi membri dell'Unione europea per far sì che si instauri un sistema di concorrenzialità fra gli stessi, mutuando il sistema previsto per le regioni a livello nazionale, in base al quale le regioni vengono premiate qualora raggiungano determinati risultati?
Non pensa che sia il caso di prevedere a livello comunitario, pur mancando, in tale ambito, un soggetto unitario di natura politica, non solo un sistema sanzionatorio in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi previsti, ma anche un sistema premiale nel caso in cui, a livello nazionale, si conseguano determinati risultati attingendo, a tal fine, a risorse comunitarie a ciò destinate, quindi, con una logica diversa rispetto a quella del fondo di cui parlavo prima, proprio perché potrebbe, forse, innescare meccanismi di virtuosità che, almeno in parte, si potrebbero giudicare positivi?
Non pensa, infine, che, prima o poi, bisognerà assumere la decisione di aumentare il livello delle risorse proprie europee, per non correre il rischio che Bruxelles diventi la dimora del «buon padre di famiglia», che fornisce buone raccomandazioni, ma è fondamentalmente un gigante con le mani legate?

PIER PAOLO BARETTA. La Commissione ha svolto, recentemente, alcune interessanti audizioni, sia di esponenti politici, quali i Ministri degli affari esteri e del lavoro e delle politiche sociali, sia di esperti.
La sensazione che ne traggo, a conclusione di questo ciclo di audizioni, anche prendendo spunto dalla lettura della documentazione disponibile, è un po' ambigua: da un lato, dopo le vicende della Grecia e le gravi ripercussioni sull'euro, dobbiamo constatare che è stato compiuto, effettivamente, un passo in avanti, un tentativo forte di reagire e una capacità di guardare alla drammaticità della situazione e quindi di progettare alcune iniziative che sono state anche da lei opportunamente illustrate, in materia di stabilità e di controlli; dall'altro, al contempo, ho la sensazione che l'insieme delle misure che vengono adottate contro la crisi e lo sforzo che viene compiuto in questa direzione siano encomiabili, ma francamente


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fragili, perché ancora lontani dalla soglia del vero salto di qualità, rappresentato dalla definizione della dimensione politica dell'Unione europea.
Continuiamo a rafforzare strumenti importantissimi, ma nel corso di una interessante audizione con un economista di origine straniera è emerso che nell'attuale situazione abbiamo lo strumento del principe, che è la moneta, ma non il principe che la governa.
Dal punto di vista dell'osservatore finanziario ed economico, quali voi siete, ritenete che gli operatori finanziari e monetari percepiscano, mediamente, questa contraddizione, oppure gli stessi valutano che comunque, data la situazione generale, la Strategia Europa 2020 possa essere adeguata al fine di garantire una buona gestione di tipo tecnocratico e l'efficacia dei controlli? Vi è il timore che questo insieme di misure possa poi rivelarsi inefficace?
La domanda ovviamente è collegata, ma non mi dilungo in merito, all'idea che esistono altre misure per prevenire le crisi, non soltanto quelle di carattere finanziario ed economico. Ci potrebbero essere anche misure di carattere politico e mi interessa avere un quadro della situazione dal vostro punto di osservazione.

MASSIMO POLLEDRI. Ringrazio il professor Visco. La debolezza della politica è evidente. A me interessava conoscere in modo più approfondimento la sua opinione, fermo restando che il vostro ruolo non è politico, sulle misure di prevenzione, di correzione e di coordinamento con gli obiettivi.
Uno dei punti fondamentali del trattato di Maastricht, è rappresentato dalla tutela dell'equilibrio dei conti pubblici; tuttavia vi sono situazioni critiche. Ben vengano, quindi, nuove misure di sorveglianza e, per così dire, di «diagnosi precoce».
Si pone, però, anche un problema di adeguare gli obiettivi alla situazione dei singoli Paesi, perché, utilizzando una metafora, se ad un paziente ottantenne vengono imposti, da parte del potere politico, obiettivi assurdi, come quello di correre i 100 metri in 20 secondi, il predetto paziente probabilmente muore.
Quando parliamo di crescita, è evidente che, se i nostri obiettivi di crescita sono legati a misure quali il controllo delle emissioni di anidride carbonica, arbitrariamente imposto dal rappresentante politico di turno, che comporta un costo di 8 miliardi di euro per il nostro Paese e non sappiamo quali conseguenze ne derivino, oppure a numeri, per così dire, magici, quali «20-20-20» o «20-20-30», pensando che da essi scaturisca qualcosa che ha che fare con la crescita, che, invece, non c'è, la situazione non è delle migliori.
Non esiste un indicatore, per esempio, legato alla crescita demografica. È evidente che, se non c'è crescita demografica, non c'è nemmeno crescita economica. Sarebbe, invece, opportuno tener conto anche di tale variabile e prevedere meccanismi premiali nei casi in cui, ad esempio, ad una crescita dello 0,1 per cento del PIL corrisponda anche un aumento dello 0,1 della crescita demografica, pur essendo questa una decisione di carattere politico.
Dobbiamo valutare le misure relative al controllo e alla prevenzione anche nel loro rapporto con gli obiettivi, a volte estemporanei, che vengono stabiliti a livello politico, e potere, in tal modo, verificare se sono adeguati e ci aiutano a capire ed eventualmente risolvere le situazioni di crisi.
L'Italia fino a poco tempo fa, era l'ultima della graduatoria, sicuramente, dopo le celebrate e brillantissime Irlanda e Spagna; a detta di tutti, oggi, tenendo conto anche delle caratteristiche delle famiglie italiane e della loro situazione ottimale in termini di risparmio, che rende la condizione del nostro Paese meno drammatica, la situazione si ribalta. Probabilmente anche le misure legate sia alla prevenzione sia al controllo preventivo non hanno funzionato.
Dal vostro autorevole punto di vista, come giudicate questi fattori? Possono essere utili oppure no?

GABRIELE TOCCAFONDI. Anch'io ringrazio il professor Visco. Le Commissioni


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bilancio e politiche dell'Unione europea stanno esaminando sia la comunicazione della Commissione europea del 12 maggio, sia gli orientamenti del Consiglio d'Europa del 17 giugno. Non abbiamo ancora discusso della seconda comunicazione della Commissione europea del 30 giugno, che contiene le misure di cui abbiamo discusso oggi. Desidererei avere alcune delucidazioni, in particolare, su una di tali misure, vale a dire quella concernente l'imposizione dei depositi fruttiferi ai Paesi che non rispettano gli obiettivi prefissati.
Aggiungo una seconda questione, che lei ha sottolineato successivamente nella sua relazione, cioè quella del debito pubblico, portando un esempio che sembra quasi del tutto calzante alla situazione del debito pubblico italiano.
Faccio riferimento all'esempio di una nazione che ha un rapporto del debito pubblico rispetto al PIL pari al 100 per cento e che, se mantenesse il bilancio in pareggio, ridurrebbe tale rapporto sotto il 60 per cento in circa 19 anni. Poiché, ripeto, tale esempio, rispecchia quasi interamente la situazione dell'Italia, ricordo che il nostro debito, in termini reali, consiste in 1.800 miliardi di euro e che solo la spesa per interessi è di 85 miliardi di euro l'anno.
Secondo me, è il segno più evidente che il nostro Paese funziona; il problema è rappresentato da questo «fardello» del debito pubblico. Se avesse minor peso da portare, funzionerebbe molto meglio e ciò significherebbe avere più elasticità.
Cercherò di essere telegrafico, ma le questioni sono molte. L'altro aspetto che vorrei approfondire riguarda l'esigenza delle regole stringenti e delle forti istituzioni a livello nazionale. Lei, con riferimento all'Italia, pone l'accento su due esigenze principali, quella di controllare la crescita della spesa pubblica e quella di assicurare che il processo di decentramento non comporti squilibri nei conti pubblici.
Vorrei conoscere, se fosse possibile, in maniera più dettagliata la sua posizione in merito al processo di decentramento.

PRESIDENTE. Colleghi, vi ringrazio. Professore, sono emerse numerose domande; peraltro, alcuni colleghi sono intervenuti anche facendo riferimento a questioni che allargano di molto la portata della sua relazione.
Lei, ovviamente, ha facoltà di rispondere e comunicare tutto ciò che desidera, ma, qualora ritenesse opportuno trasmettere alle Commissioni bilancio e politiche dell'Unione europea chiarimenti o argomentazioni specifiche, ha la facoltà di farlo.

IGNAZIO VISCO, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Proverei a rispondere telegraficamente alle questioni poste. Molte di esse non sono direttamente attinenti con la comunicazione del 12 maggio, ma più generali; cercherò, comunque, di esprimere alcune considerazioni in merito.
La comunicazione della Commissione europea non affronta la questione della crescita né esamina i fattori che la determinano o tendono ad innalzarla. La comunicazione riguarda, invece, il coordinamento delle politiche economiche.
Si può opinare che la risposta avrebbe dovuto essere diversa e che, invece di occuparsi del coordinamento delle politiche economiche, ci si sarebbe dovuti occupare delle reti dei trasporti intereuropei o di altri temi.
In realtà, la comunicazione riguarda il coordinamento di tre politiche che esistevano, ma non erano tra loro coordinate e sufficientemente connesse e che sicuramente non sono state efficaci nel momento in cui si è verificata una forte crisi. Non mi riferisco tanto alla crisi finanziaria iniziale, quella che si è sviluppata dal 2007 al 2009 e che ha comportato il fallimento della banca di investimenti statunitense Lehman Brothers, ma a quella dal 2009, emersa dopo che erano state adottate sia misure concernenti le politiche di bilancio, anche per contrastare gli effetti della recessione sulle entrate, sia misure di altro tipo per fronteggiare le difficoltà - non è il nostro caso, ma lo è sicuramente di altri Paesi - degli intermediari finanziari.


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Dopo l'emersione di forti squilibri nei bilanci pubblici e le conseguenti tensioni manifestatesi tra gli operatori dei mercati, si è posta l'esigenza di fornire una risposta più coordinata a tali criticità, anche alla luce del non perfetto funzionamento riscontrato nell'applicazione delle tre procedure in atto. Tale situazione ha motivato la Commissione europea ad assumere le decisioni che ho illustrato nel breve intervento che ho svolto poc'anzi e che potete leggere nella documentazione che ho depositato.
È evidente che la stabilità di un Paese può essere raggiunta anche attraverso una maggiore efficienza dello stesso. A volte si considerano stabilità ed efficienza come due elementi in contrasto tra loro, mentre in realtà sono complementari.
Per esempio, noi abbiamo compiuto un grandissimo sforzo nella direzione della stabilità per poter entrare a far parte dell'Unione economica e monetaria, ma poi è mancata la parte di efficienza, ragion per cui l'Italia è un Paese che negli ultimi 15 anni registra una bassa crescita. Il nostro Paese ha, quindi, un problema legato all'efficienza.
È stata prodotta una vasta letteratura sul tema della crescita, anche da parte della Commissione europea e dell'OCSE. Sono stato capo economista dell'OCSE per molti anni e, prima di lasciare tale incarico, ho scritto un libro relativo alle fonti e ai fattori della crescita economica, in cui ho effettuato un confronto tra Paesi e ho esaminato le ragioni per cui alcuni crescono di più e altri di meno e quali erano i fattori legati a tali difformità.
Rispetto a tali fattori, la comunicazione della Commissione europea se ne occupa solo per la parte relativa alle riforme strutturali. È interessante notare che esse tendono sicuramente ad un miglioramento dei mercati e quindi un miglior funzionamento dei mercati del lavoro e dei prodotti, una migliore regolamentazione degli stessi e una riduzione di vincoli per le imprese. Sono obiettivi che, se raggiunti, possono far sì che le forze economiche di un Paese come il nostro o come altri Paesi avanzati siano in grado di generare una maggiore crescita della produttività.
Vi è anche chi pensa che, in realtà, per ottenere una crescita della produttività bisogna intervenire dall'esterno, realizzando le infrastrutture necessarie. Può essere, ma occorre considerare che le infrastrutture, pur svolgendo, indubbiamente, un ruolo fondamentale per favorire lo sviluppo dell'economia di un Paese, non ne determinano anche la crescita, la quale è direttamente collegata, invece, alla capacità di un Paese, o di un'area nel suo complesso, di garantire che i processi produttivi si basino sempre più su tecnologie innovative - presenti normalmente nelle economie dei Paesi - per favorire il funzionamento delle imprese e facilitare la produzione di attività nuove o riorganizzare le attività produttive con una diversa combinazione di fattori.
Ve ne sono alcuni fondamentali: il capitale umano, l'istruzione e la scuola sono fra i più importanti. Ho scritto un libro, recentemente, su questo tema e credo che investire nella conoscenza, non solo da parte sicuramente dei singoli Paesi, ma anche da parte dell'Unione europea, sia un fattore fondamentale per garantire la crescita.

PRESIDENTE. Avverto che in considerazione dei lavori dell'Aula siamo tenuti a restringere i tempi degli interventi.

IGNAZIO VISCO, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. Credo, francamente, che le iniziative intraprese a livello europeo costituiscano un grande passo in avanti, in quanto rappresentano il coordinamento di varie misure.
Non credo che ci siano rischi di deflazione o di depressione. Tale prospettiva mi sembra un'esagerazione. Bisogna, però, prestare molta attenzione per far sì che nella combinazione delle politiche macroeconomiche monetarie e di bilancio, si proceda lungo un sentiero che accompagni la crescita.
In Europa, però, vige un sistema pubblico con alcuni stabilizzatori automatici


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particolarmente estesi. Il 30 per cento del PIL ha origine dal settore pubblico, il che rappresenta un elemento di forza. Credo però che non sia concepibile accrescere tale tipo di spese, in quanto la loro bassa redditività non garantisce effetti sull'economia.
Bisogna procedere con molta attenzione nell'analisi unitaria del debito pubblico e del debito privato, perché sommarli non ha molto senso, se non per un aspetto: la somma del debito pubblico e privato, sottratta alle attività finanziarie complessive del Paese, dà la ricchezza complessiva del Paese stesso. In questo senso è importante sommarli, perché, se si ha molto debito pubblico e poco debito privato, e un certo numero di attività finanziarie o reali, prendendo in esame la sommatoria dei due elementi si possono ottenere rapporti diversi.
L'Italia presenta una sufficiente capacità di risparmio delle famiglie e un debito privato non elevato. Ovviamente, quando si afferma che il debito privato è basso non si deve fare l'errore di pensare di poter utilizzare la ricchezza delle famiglie, che hanno poco debito, per compensare l'elevato debito pubblico. Non bisogna correre questo rischio. Non è così che si ragiona.
È anche vero, però, che i Paesi che presentano un debito privato molto alto sono ad alto rischio, perché possono finanziare una spesa «drogata» e consumi eccessivi; inoltre, tali consumi eccessivi possono, a loro volta, determinare investimenti eccessivi su attività reali e finanziarie in grado di provocare squilibri finanziari molto gravi. A questo punto, il settore pubblico deve intervenire in aiuto all'economia.
Il problema dell'Italia è che non cresce anche perché ha un debito pubblico molto alto. Come è stato ricordato, deve pagare interessi continui molto elevati e il livello alto del debito condiziona la capacità di crescita.
Si può intervenire al riguardo? Si possono semplicemente applicare regole di buonsenso, quindi rispettare i vincoli di bilancio e cercare di non spendere di più di quanto non sia disponibile. Sosteniamo alcuni costi, ma abbiamo accumulato molto debito in anni in cui siamo cresciuti molto e, forse, anche di qualità cattiva. Bisogna ripagarlo, però, perché la credibilità di un Paese che compete nel mondo si basa sulla capacità di ripagare il proprio debito. Dobbiamo, quindi, prestare un'attenzione particolare a questo aspetto.
A proposito della premialità, vorrei dire che ciò che è stato proposto è assolutamente valido: è una buona idea. D'altra parte, la Commissione europea non evita di parlarne. Dal lato delle politiche strutturali afferma che è bene stabilire condizionalità ex ante, legando i fondi della politica di coesione alle riforme strutturali e istituzionali effettivamente attuate in un Paese. È un metodo preventivo: viene erogato un premio, ossia vengono stanziati alcuni fondi, se l'investimento in capitale umano è sufficiente, se vi è un miglioramento nell'istruzione o si conseguono altri risultati di questo tipo.
Dal lato della politica di bilancio è previsto che si possono creare incentivi - è un blueprint, ossia sono proposte non ben codificate, che però indicano che l'Unione europea considera queste misure e che bisogna semplicemente renderle più strutturate - modulando tassi di cofinanziamento o introducendo alcune riserve finanziarie per compensare politiche di bilancio sane e solide.
Queste misure, dunque, sono contemplate nella comunicazione della Commissione europea, anche se non ben specificate, come non lo è l'intervento diretto sulla crescita, ma solo quello indiretto attraverso un miglior funzionamento delle politiche strutturali.
Credo di aver risposto più o meno a tutte le questioni. In caso contrario, sono disponibile a fornirvi altri chiarimenti.
L'ultimo punto riguarda il profilo demografico ed è importante, perché non è la crescita della popolazione quella che rileva per la crescita che stiamo discutendo in questa sede, ma la crescita della produttività.


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MASSIMO POLLEDRI. A 80 anni si produce poco.

IGNAZIO VISCO, Vicedirettore generale della Banca d'Italia. È perfettamente giusto, ma il discorso è diverso.
La crescita della produttività può dipendere dalla composizione per età della popolazione di un Paese. È da dimostrare che non si possa compiere uno sforzo anche per accrescere la produttività dei cinquantenni, obiettivo che viene considerato come non possibile. È un elemento di cui, tuttavia, occorre tener conto in questa analisi.
Credo che esista tale consapevolezza. D'altra parte, la Commissione europea è una delle prime istituzioni ad aver effettuato studi sugli effetti dell'invecchiamento della popolazione sia sui bilanci pubblici e sulle spese legate all'età, sia sulla crescita. Credo che di questo bisogna tenere conto, ma in un ambito più rivolto alla crescita e meno al coordinamento di politiche macroeconomiche e strutturali. Si deve preservare una dinamica di bilanci sostenibili, perché sono quelli che condizionano l'atteggiamento dei mercati rispetto alle economie dei singoli Paesi.

PRESIDENTE. Professor Visco, ringrazio lei e gli altri funzionari della Banca d'Italia. Ritengo che gli elementi da voi forniti saranno utili per le nostre riflessioni, nonché per completare le nostre informazioni non solo sul provvedimento in oggetto, ma anche nell'ambito di una disamina più complessiva delle dinamiche economiche tanto del nostro Paese, quanto di quelle concernenti il rapporto tra il nostro Paese e l'Unione europea.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione depositata dal professor Visco (vedi allegato).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,15.

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