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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (XI e XII)
2.
Martedì 27 gennaio 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Saglia Stefano, Presidente ... 3

Seguito dell'audizione del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, in merito al «Libro verde sul futuro del modello sociale» (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):

Saglia Stefano, Presidente ... 3 14 18
Sacconi Maurizio, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali ... 14
Cazzola Giuliano (PdL) ... 3
Codurelli Lucia (PD) ... 6
Delfino Teresio (UdC) ... 5
Fedriga Massimiliano (LNP) ... 12
Gnecchi Marialuisa (PD) ... 13
Mattesini Donella (PD) ... 11
Miotto Anna Margherita (PD) ... 4
Scandroglio Michele (PdL) ... 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-Repubblicani: Misto-LD-R.

COMMISSIONI RIUNITE (XI E XII)
XI (LAVORO) E XII (AFFARI SOCIALI)

Resoconto stenografico

AUDIZIONE


Seduta di martedì 27 gennaio 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XI COMMISSIONE STEFANO SAGLIA

La seduta comincia alle 13,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, in merito al «Libro verde sul futuro del modello sociale».

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, il seguito dell'audizione del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, in merito al «Libro verde sul futuro del modello sociale».
Ricordo che, nella seduta del 12 novembre 2008, il ministro Sacconi ha svolto una relazione e sono intervenuti alcuni deputati. Il Ministro Sacconi, che ci offre di nuovo la sua collaborazione e la possibilità di approfondire i temi, potrà replicare alle domande formulate nella seduta precedente e a quelle che saranno formulate oggi. Possiamo lavorare fino alle ore 14, dedicando circa mezz'ora alle domande e poi lasciando la parola al Ministro per la replica, per consentirci di avviare la prossima settimana l'esame delle risoluzioni presentate, al fine di fornire al Ministro il contributo del Parlamento sul tema del Libro verde.
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

GIULIANO CAZZOLA. Mi limiterò a porre un quesito anche perché la comunanza con il Ministro Sacconi è nota e longeva.
Nel corso della precedente seduta, l'onorevole Coscioni ha letto un intervento in cui veniva affrontata la questione dell'età pensionabile delle donne. Tra l'altro, da allora su questo punto sono intervenuti fatti nuovi, quali la sentenza della Corte di giustizia, sentenza per molti aspetti discutibile, riguardante il pubblico impiego, che ha aperto un dibattito nel Paese e ha portato il Governo a scrivere a Bruxelles e il Ministro Brunetta a costituire una commissione.
Vorrei chiarire un punto con lei, perché dobbiamo riconoscere che lei, signor Ministro, rispondendo in diretta all'onorevole Coscioni l'altra volta e in alcune dichiarazioni fatte alla stampa, si spende sempre come è giusto e le sue posizioni fanno sempre discutere dandoci modo di confrontarci con problemi seri.
Ho però l'impressione che lei abbia presente una situazione dell'età pensionabile degli uomini e delle donne ormai superata. Prima della legge Maroni e delle correzioni apportate dalla legge n. 247 del 2007 (la legge Damiano), sarebbe stato infatti assolutamente iniquo aumentare l'età pensionabile delle donne nel settore privato (nel settore pubblico la situazione è diversa). Per la loro posizione nel mercato del lavoro nel settore privato, le donne finiscono per andare in pensione per vecchiaia, perché arrivano prima a


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compiere il sessantesimo anno di età che non a maturare 35 anni di contributi. I due terzi delle nuove pensioni di vecchiaia nel settore privato sono infatti liquidati a donne e l'anzianità contributiva è di circa 23 anni, quindi appena superiore al requisito minimo dei 20 anni, mentre nel settore privato più di due terzi degli uomini utilizzano il trattamento di anzianità, perché maturano i 35 anni con il requisito anagrafico richiesto per godere della pensione d'anzianità. In effetti, rispetto alla situazione precedente gli ultimi interventi realizzati sull'età pensionabile - concordo con lei nel ritenere che sarebbe stato molto meglio lasciare lo scalone di Maroni, che è stato sbagliato e oneroso cambiare -, oggi la realtà è comunque diversa, perché nel 2013 la soglia minima di anzianità sarà comunque di 62 anni per uomini e donne.
Immagino che lei conosca la mia proposta di un pensionamento flessibile (62-67 anni) nel sistema contributivo. Se si sposta gradualmente al 2013 la soglia di età minima di accesso al trattamento pensionistico di anzianità, che sarà di 62 anni, si realizza una convergenza tra l'età pensionabile delle donne e l'età del pensionamento di anzianità, ovviando quindi alla precedente situazione di discriminazione, di iniquità e di sperequazione.
Dall'ultima audizione ad oggi sono intervenuti fatti nuovi anche sul piano del mercato del lavoro e il Governo deve individuare le priorità, giacché la legislatura è lunga e non si deve fare tutto adesso. Vorrei però capire la preoccupazione che lei ha espresso, tenendo conto che la realtà è mutata e che cambierà radicalmente da qui al 1 gennaio 2013, sebbene debba riconoscere che nel Libro verde viene indicata l'ipotesi espressa in maniera chiara, anche se con apprezzabile cautela, di porre un'età minima di pensionamento a 62 anni.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. L'illustrazione del Libro verde che il Ministro ha svolto nel novembre scorso ci consente di esprimere alcune valutazioni: innanzitutto sulla coerenza delle previsioni in esso contenute con le iniziative del Governo. Su questo non intendo dilungarmi, perché rilevo qualche incoerenza, laddove alcune importanti affermazioni non sono state seguite da scelte in linea con esse. Quando infatti si assiste a un disimpegno dello Stato di fronte a iniziative legislative che avevano faticosamente preso l'avvio nei due anni precedenti, all'abbandono di un percorso per irrobustire strumenti importanti come gli assegni familiari, per affidarsi ai bonus e alle una tantum, si rileva qualche incoerenza con le affermazioni che il Libro verde contiene nel parlare di centralità della famiglia. Su questo punto, inviterei dunque il Ministro a declinare alcune proposte che consentano anche di indirizzare l'azione di Governo.
Desidero sollevare un paio di questioni, che appartengono all'impianto complessivo del documento. La prima riguarda l'ambito dei diritti, giacché sottolineo come nella prefazione del Ministro la parola «diritti» non compaia. Potrebbe trattarsi di una dimenticanza, ma non lo è, perché nel testo non ho rilevato alcun riferimento a proposito di un ampliamento dei livelli essenziali per quanto riguarda la sanità e soprattutto l'avvio di un serio lavoro sui Livelli essenziali di assistenza (LEA), senza i quali è difficile persino parlare di federalismo fiscale.
L'assistenza rientra infatti in una delle quattro competenze che dovrebbero essere interamente finanziate secondo la modalità dei Livelli essenziali ed è necessario stabilire un termine certo per dare attuazione alla legge n. 328 del 2000, garantendo il diritto all'assistenza a tutti cittadini. S'impone dunque l'esigenza di uno strumento universalistico per affrontare priorità ormai evidenti, quali la non autosufficienza e i servizi all'infanzia, sulle quali un primo tratto di strada era stato fatto. Almeno su questi due grandi temi che riguardano milioni di famiglie ritengo doveroso colmare con una proposta il silenzio del Libro verde. Su questi punti, dunque, formulo una precisa richiesta al Ministro.
La seconda questione riguarda la reticenza nel riconoscere il valore delle politiche


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pubbliche nel nostro Paese, il valore del Sistema sanitario nazionale. Allo stesso tempo, manca l'individuazione delle criticità o comunque, laddove si affronti il tema di alcune criticità, non si è conseguenti nell'individuare le possibili soluzioni. Mi riferisco in particolare alla parte del documento dove si cita «la fine della contrapposizione fra pubblico e privato». Non la contrapposizione, ma la soluzione di questo conflitto è tutta ideologica. Nel Libro verde si legge infatti che il vecchio welfare si è concentrato con alterno successo e con una buona dose di paternalismo sui singoli bisogni, su specifiche situazioni di disagio e di debolezza, mentre il moderno welfare deve essere capace di fornire una risposta globale ai diversi bisogni della persona. Pur riconoscendo come il tema della frammentazione costituisca un limite, nonché un errore del vecchio welfare, per arrivare al nuovo, che è legato a una risposta globale - la legge n. 833 del 1978 aveva questa grande ambizione -, per compiere questo passaggio decisivo per la qualità dei sistemi di welfare non è sufficiente la semplice affermazione di un nuovo patto tra Stato e mercato. A parte il fatto che i sistemi più evoluti del mondo affidano gran parte del welfare all'area del no-profit, per cui questa rappresentazione delle politiche pubbliche dovrebbe essere meglio dettagliata, mentre il Libro verde sembra non occuparsene, il problema è un altro. I vecchi modelli di finanziamento a prestazione, di finanziamento a DRG sono strumenti che condizionano la qualità del sistema. Finché il finanziamento avviene a prestazione, non può essere realizzata una presa in carico globale. Avremo tanti erogatori di prestazione, di tante prestazioni diverse, talora sovrapponibili e non sempre appropriate.
L'obiettivo nuovo del welfare italiano è quello di cominciare a parlare di appropriatezza anche in campo assistenziale, di livelli essenziali, di modalità di finanziamento coerenti con una presa in carico globale. La parità e la pari dignità dei soggetti erogatori è un elemento non decisivo, come già scritto nella Costituzione e affermato nella prassi di migliaia di comuni, di enti locali, di regioni. Ritengo che altri strumenti debbano essere seriamente indagati per riformare il welfare, garantendo in particolare una coerenza fra le criticità individuate e le scelte che devono essere compiute, assente nel Libro verde.

TERESIO DELFINO. Il tempo limitato ci impone di limitarci a richiamare i temi e di confidare nella risposta del Ministro.
Riconosciamo lo sforzo compiuto dal Ministro, dal momento che ci troviamo di fronte a un documento aperto, che propone l'importante sfida progettuale e culturale di riformare il welfare collocando al centro la persona. Su questo rileviamo anche aspetti metodologici positivi, che dovranno poi avvalersi di proposte più operative.
Vorrei richiamare tante questioni, ma per brevità ne richiamo sinteticamente tre. La prima riguarda la condivisione delle considerazioni in merito all'esigenza di superare il monopolio della politica come decisore sull'universo della spesa pubblica, trasferendo anche per mezzo della sussidiarietà fiscale quote di potere e di responsabilità dallo Stato alla società, alle famiglie e al singolo individuo. Su questo, cogliamo dunque una prospettiva culturale comune, giacché sosteniamo fortemente il principio di sussidiarietà, ma nella sostanza riteniamo che le indicazioni contenute nel Libro verde non offrano convincenti e univoche declinazioni operative di tale principio. Vorremo su questo una parola chiarificatrice e rassicurante del Ministro.
Il secondo aspetto che vorremmo trattare riguarda l'affermazione forte espressa all'inizio del documento, con cui si bolla come fallimentare il discorso del reddito minimo di inserimento. Vorremmo avere un chiarimento su questo punto, perché in tutta Europa, tranne forse in Grecia, esistono misure di sostegno al reddito, che, a parità di bisogni, devono avere una forte presenza e integrazione sul reddito. Su questo tema, non solo per quanto riguarda gli anziani e per i disabili, ai quali abbiamo


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sempre rivolto grande attenzione nei dibattiti parlamentari, ma in generale per tutti i cittadini italiani vorremmo che il Ministro ci dicesse se ci discostiamo dagli orientamenti dell'Europa, in modo da individuare una possibilità di sperimentare queste politiche trattate con attenzione anche a livello europeo.
Desidero infine sollevare due questioni, una delle quali sul tema delle pensioni. Nel programma del Popolo della libertà, per quanto riguarda l'adeguamento della pensione, si proponeva di applicare ai trattamenti i tassi di inflazione reale con riliquidazione semestrale e di garantire la partecipazione delle pensioni alla produttività, collegandone l'evoluzione alla dinamica della retribuzione dei lavoratori attivi. Le altre forze politiche avevano avanzato proposte diverse.
Poiché ci troviamo in una fase di grande difficoltà per quanto attiene al reddito dei pensionati, vorremmo sapere come sul Libro verde, documento di prospettiva sul tema della indicizzazione delle pensioni o comunque sul loro adeguamento, si declini una proposta che aveva certamente il pregio di adeguare le pensioni in termini puntuali.
L'ultima questione riguarda la famiglia, richiamata nel Libro verde per l'invecchiamento della popolazione, per la scarsa fertilità. Viene però sottolineato l'elemento, che condividiamo, di una sua presenza per un welfare sostenibile.
Condividiamo anche l'altra proposta di una fiscalità familiare, dove le spese per il figli sono spese di investimento con possibilità di deduzioni trasparenti - proposta indicata nel nostro programma elettorale - ma, poiché il Libro verde non accenna alla proposta - argomento a cui si è fatto ampiamente riferimento - del quoziente familiare, che attiene a una prospettiva di grande sensibilità per la politica fiscale familiare, vorremmo avere dal Ministro un'indicazione che ci conforti sull'inserimento di questo importante tema nelle conclusioni del Libro bianco.

LUCIA CODURELLI. Il Libro verde presentato il 25 luglio 2008 dal Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali è da apprezzare, in quanto segue la tradizione delle istituzioni europee di aprire con un documento di indirizzo la consultazione pubblica, cui far seguire un Libro bianco che descriva le conseguenti azioni programmatiche e normative.
La cosa che appare con più immediata evidenza è che la crisi del welfare tradizionale viene individuata nei nuovi assetti dei macrosistemi economici e sociali. Cosa corretta, ma monca se poi il continuo richiamo ad un sistematico esercizio di benchmarking non trova nel contesto europeo i suoi riferimenti privilegiati. Il problema c'è ed è profondo. Scarsissimi sono i riferimenti al livello europeo: provo a richiamarli. In un primo passaggio si chiama ad agire l'Unione europea per garantire diritti minimi nel mondo globalizzato, facendo riferimento a standard internazionali. Un ruolo, quindi, minimo e per di più indiretto, dato che si richiamano i principi internazionali.
In un secondo passaggio si richiama l'Agenda sociale, fotografata al 1992 (piano Delors) e senza alcun riferimento a quanto nel frattempo avvenuto. Si tenga conto che l'ultimo atto proveniente dalla Commissione europea e ora al vaglio del Parlamento europeo è la nuova Agenda sociale rivisitata.
In un terzo passaggio si cita il Libro bianco sulla salute e «indicatori europei per le politiche della salute, innovazione, crescita, occupazione». Eppure sul tema degli indicatori il dibattito è acceso e riguarda separatamente queste aree.
Si può anche essere scettici sulla possibilità di identificare un solo modello sociale europeo, ma aprire la consultazione sul modello sociale italiano senza confrontarsi con il livello sopranazionale appare inspiegabile (soprattutto oggi alla luce di una crisi che ha dimensioni mondiali).
In più punti del testo si richiama la necessità di mettere la persona al centro delle politiche di welfare e ad essa ricondurre tutti gli interventi che ora sono disseminati in diversi settori e servizi. Intento corretto e condivisibile, a condizione


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allora di assumere una visione dell'individuo nei vari contesti che sappia spaziare ben oltre gli interrogativi che vengono proposti nel Libro verde.
Il limite appare in tutta la sua evidenza se analizziamo i concetti e parole chiave che si ripetono con insistenza in ogni settore e sui quali si regge tutto l'impianto di indirizzo: deregolamentare; assistenzialismo; mercato del lavoro senza norme, accrediti e incentivi economici; stabilità del lavoro non più tutelata per legge; provvidenze e benefici non fondate più prevalentemente sul pilastro pubblico, ma su quello privato mutualistico (significa probabilmente una generale defiscalizzazione); progressivo trasferimento dell'onere per le fragilità e il disagio dalle istituzioni pubbliche alla famiglia, all'associazionismo, alle reti comunitarie (questo significa contrastare quella che viene definita negativamente come logica riparatoria, pubblicistica e assistenzialistica); i rischi di impresa da addossare anche ai lavoratori; negazione del federalismo, là dove si nega l'autonomia all'ente locale di contrattare con i propri cittadini quantità, qualità e costi dei servizi.
Non mi sembra che possiamo ragionevolmente sostenere che nell'elenco sopra richiamato ci siano tutti i fattori di benessere per la persona, perché a mio parere mancano temi innovativi e strategici assolutamente indispensabili, quali (ne citiamo alcuni a titolo esemplificativo): sviluppo sostenibile; come orientare e strutturare la ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica per l'innovazione dei prodotti; come definire il quadro dei diritti, compresa la loro sostenibilità economica e culturale, in una società composita e cosmopolita; come progettare le reti economiche e sociali in grado di traghettarci verso la società digitale e della comunicazione; come declinare in prospettiva la centralità della persona nei rapporti produttivi e, in genere, economici; come rileggere il lavoro, lo stato di benessere e la sicurezza delle persone, al tempo della globalizzazione e in attuazione della Costituzione.
Pertanto, se leggiamo il Libro verde cercando di individuare i percorsi che individuano e prefigurano il ruolo della donna nei processi in divenire, non possiamo prescindere dai fermenti che sono attualmente al centro delle riflessioni in tutti i Paese europei.
Quindi, non solo non ci sono riferimenti che sappiano sollecitare pensieri intorno alla riforma della direttiva sull'orario di lavoro, alla direttiva sul lavoro interinale, alla direttiva sui comitati aziendali europei, alla revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori all'interno dell'unione, così come indicate dalle linee guida della Strategia di Lisbona, ma non si indicano altri e ulteriori parametri su cui sviluppare il confronto.
Mi riferisco agli interventi sull'inclusione sociale, alle nuove direttive sulla parità di trattamento e i divieti di discriminazione, alle politiche volte a promuovere maggiori opportunità e diritti per le donne nel mercato del lavoro, a combattere le violenze e gli abusi, a valorizzare le risorse femminili negli ambiti decisionali a tutti i livelli, secondo il principio del mainstreaming di genere.
Il Libro verde cita poco le donne (solo undici volte), e i brevi richiami son quasi dovuti perché è difficile ignorare i dati relativi alla bassa occupazione femminile e l'assoluta inadeguatezza dei servizi della infanzia, e l'inversione di questa tendenza è una delle condizioni fondamentali per la ripresa economica.
A qualcuno può suonare come desueto e stancante ribadire la necessità di lottare contro la discriminazione delle donne, ma a livello internazionale c'è un pressing affinché le politiche pubbliche si misurino sulla questione di genere.
Significa introdurre specifiche misure a favore delle donne nelle azioni per lo sviluppo economico delle imprese, nelle politiche per la formazione, il lavoro e l'occupazione, nelle iniziative per la tutela e l'estensione dei diritti civili, nelle politiche per la sicurezza dei cittadini, nelle riforme istituzionali e nella vita delle istituzioni democratiche.


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Il lavoro per le donne non rappresenta soltanto uno strumento di emancipazione e di libertà, ma è un'esigenza di modernizzazione dello stesso sistema economico e produttivo italiano (questo lo individua pure il Libro Verde), poiché l'assenza di una adeguata presenza femminile nel mondo del lavoro e in ogni ambito della società si traduce in un impoverimento oggettivo delle potenzialità del Paese.
L'Italia mostra indicatori particolarmente arretrati per quanto riguarda il tasso di occupazione femminile (sul totale degli occupati nel 2007 al 39,5 per cento, UE 44,6 per cento), con una significativa differenza tra il Nord e il Sud del Paese, e ciò costituisce uno dei principali ostacoli al raggiungimento degli obiettivi indicati dalla strategia di Lisbona (60 per cento di occupazione femminile entro il 2010, con il 33 per cento di offerta per i nidi).
Dall'approfondimento si nota una scarsissima attenzione al tema dell'occupazione delle donne e del come investire per far fronte a questo dato negativo per l'Italia. In un passaggio del Libro verde si afferma che gli obiettivi quantitativi e qualitativi della Strategia di Lisbona possono essere agevolmente raggiunti rimuovendo alcune rigidità (deregolazione) e agendo sul lavoro nero. Una valutazione davvero troppo ottimistica, se teniamo conto che siamo fanalino di coda su tutti gli indicatori e che non è individuata alcuna reale azione di intervento. Inoltre, la congiuntura assai negativa morderà ulteriormente l'occupazione femminile, come sta avvenendo anche in aree di solida tradizione come la regione Lombardia e nel Lecchese.
Certo, a luglio era magari difficile immaginare un contesto economico e finanziario così fosco come quello attuale. Ma con altrettanta certezza possiamo ora confermare che le affermazioni contenute nel Libro Verde non incrociano gli interventi che sono ora necessari, per fronteggiare la crisi finanziaria, la recessione economica e per proporre un vero nuovo modello di sviluppo sostenibile.
Entrando nel dettaglio, dalla «vita buona nella società attiva» ci sono delle grandi assenti: le donne. Se è vero, come viene scritto che «vita buona» può esserci in una società attiva, ci chiediamo come possa sfuggire che in Italia le cifre più allarmanti su servizi di assistenza all`infanzia e su mercato del lavoro riguardino proprio una parte importantissima della popolazione, quella femminile.
Per gli asili nido e per i servizi all`infanzia, nel 2006 erano stati stanziati 743 milioni di euro, ma ne son stati spesi solo un centinaio. Un singolo asilo nido, come si sa anche da studi stranieri, può fare di più per il lavoro delle donne di mille discussioni e dibattiti parlamentari. Ci preoccupa moltissimo questo fugace richiamo, che non viene calato in alcuna ipotesi di azioni concrete (mancano completamente richiami a sgravi fiscali, modalità di assistenza agli anziani e disabili, eccetera). Non dimentichiamo oltre tutto, che un aumento del numero delle donne al lavoro provocherebbe automaticamente un aumento più che proporzionale della ricchezza del Paese.
Si sottolinea ampiamente nel Libro verde di riequilibrare il nostro welfare, oggi sbilanciato in spesa pensionistica a discapito di tutte le altre voci. Ma si fa un'operazione non corretta quando si mette tutto nel calderone, comprese le donne che hanno meno e hanno le pensioni più basse, mentre oggi il nostro paese non può permettersi di poter rifiutare qualità, sviluppo e crescita declinati al femminile, che, tra l'altro, hanno notevoli livelli di istruzione.
L'assenza di servizi di cura dei bambini o, anche laddove servizi sono presenti, le rigidità organizzative e i limiti nella loro disponibilità temporale sono un ostacolo potente all'accesso al mercato del lavoro da parte delle donne. Come ancora di recente documenta uno studio della Banca d'Italia, circa il 20 per cento delle madri occupate lascia il lavoro alla nascita del figlio esattamente per questa ragione. Le recenti indicazioni in materia di orario della scuola elementare appaiono preoccupanti anche su questo piano. Basti considerare quanto avviene come in questi giorni nei comuni, laddove le famiglie sono


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lasciate sole dinanzi a una scelta e non sanno quando il proprio figlio tornerà a casa (varia a seconda del modulo della scuola); il tempo pieno in queste condizioni viene meno e ne vedremo le conseguenze. Anche questo aspetto è davvero negativo. La legislazione in materia di conciliazione fra responsabilità di cura e lavoro è ancora poco sviluppata, con carenze tanto più accentuate quanto più il lavoro si esplica al di fuori dei contratti di dipendenza a tempo indeterminato. Le carenze dei servizi ostacolano altresì, la co-realizzabilità delle opportunità per i bambini che, in assenza di strutture a loro riservate, debbono rinunciare ai benefici della relazione con i coetanei.
Medesimo ragionamento è per gli adulti non auto-sufficienti, obbligati a dipendere dai propri familiari, anche quando vorrebbero rivolgersi ad altri erogatori di cura e instaurare relazioni extrafamiliari. Proprio su questi temi recentemente a Lecco, il comitato per l'imprenditoria femminile ha tenuto un importante convegno che aveva trovato una condivisione notevole sulla necessità di investire sui servizi affinché le donne, tutte le donne, dipendenti e autonome, autonome ancor di più, possano conciliare il lavoro e la famiglia anche nella nostra provincia.
Dunque la sfida sta nell'unificare i diritti e tutele in un nuovo welfare, dal rischio di malattia e sulla tutela della maternità. Sì, perché a dispetto di sofisticate tecnologie e pratiche socio-assistenziali, siamo tornati indietro di decenni nella tutela della maternità, dove parallela alla ovvia tutela alla vita, non c'è una diffusa e omogenea rete di tutela della qualità della vita delle madri. Negli ultimi anni si è completamente allentata la tensione verso la prevenzione, che non significa diagnosi precoce delle patologie, ma rimozione delle cause ambientali e comportamentali che determinano l'insorgere di uno stato di non-benessere e di rischio per l'incolumità psico-fisica. Questo sui luoghi di lavoro, in casa, nelle strutture educative e di cura, nella mobilità, nei luoghi di svago, e via elencando. E questo calo di attenzione si registra puntualmente nel Libro verde.
Sul tema della società attiva, solo ritualmente si affronta il tema della parità di trattamento, dei divieti di discriminazione e della valorizzazione di una società aperta alle differenze (che, come è noto, è sicuramente quella più competitiva e più attiva). È emblematico che nessuna domanda venga posta a questo riguardo rispetto alle donne.
Le molte questioni che sono state poste da tempo per migliorare la partecipazione femminile al mercato del lavoro trovano pochi riscontri nel Libro verde, appunto manca anche la domanda, mentre è invece costantemente presente la «famiglia» (citata circa 25 volte) come elemento principale di riferimento di politiche sociali, del lavoro e sanitarie.
Per quanto riguarda l'immigrazione, è davvero incredibile che se ne parli solo in un punto, per segnalare il rischio in materia di salute, di contagio da parte degli stranieri. Sappiamo che la componente femminile è sempre più presente; anche nel mio territorio dal rapporto della provincia si rileva che ci sono più di 25 mila migranti regolari e le donne sono la metà. Negare l'evidenza non serve a nessuno, tanto meno alle istituzioni e non è un problema di sicurezza, perché dalle donne immigrate arriva oggi un sostegno vero al nostro «welfare», nonché la maggior natalità.
Si coglie poi dalla lettura una sorta di indifferenza tra ruolo affidato al servizio pubblico e ruolo affidato ai privati. Non si tratta a mio avviso di negare l'importanza dell'intreccio, tanto è vero che risale al 2000 la legge sulla rete integrata dei servizi, voluta dal governo di centro sinistra e lasciata nel dimenticatoio. È che l'integrazione efficiente ed efficace prevede che ciascuno svolga un ruolo, si tratta di intervenire sulle convenienze e di far svolgere a ciascun soggetto il proprio ruolo partendo dal patto di Servizio. L'istituto del «patto di servizio» fra centri per l'impiego assume, in questa discussione, un'importanza fondamentale - aspetto opportunamente


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sottolineato dall'onorevole Miotto -, e coinvolge in un ruolo importante la provincia. Occorre notare che tale istituto necessita di una regolamentazione uniforme, applicabile a tutte le categorie di persone beneficiarie di ammortizzatori sociali, e valida per tutte le istituzioni coinvolte nell'attuazione delle politiche del lavoro (dai centri provinciali per l'impiego all'INPS).
Fondamentale però che il Governo approvi la regolamentazione dopo una consultazione (presso la Conferenza Stato, Regioni, Enti Locali), con le istituzioni competenti nel campo delle politiche attive del lavoro.
Questo passaggio attuerebbe i principi contenuti nel protocollo sul welfare, sottoscritto tra le parti sociali e il Governo nel 2007, dando concretezza ai principi della condizionalità (compreso il tema dell'offerta «congrua» di lavoro); per questo è necessario e opportuno un raccordo strutturato tra Servizi per l'impiego, che gestiscono le politiche attive, e INPS, che eroga gli ammortizzatori sociali.
Su quest'ultimo tema è necessario estendere tale strumentazione agli inoccupati e/o disoccupati di lunga durata: anche in questo caso si tratta di attivare non solo strumenti di tipo assistenziale (adeguati assegni di disoccupazione), ma tutte quelle leve di politica attiva e di accompagnamento che favoriscano tra domanda e offerta di lavoro (formazione, prestiti d'onore, agevolazioni fiscali e finanziarie, servizi gratuiti di consulenza, ecc.).
Proprio in tempo di crisi finanziaria mondiale è inevitabile interrogarsi sui riflessi che questa avrà sulla nostra economia reale e, prima di tutto, sull'occupazione dei soggetti già deboli, come donne e giovani.
È importante assumere, possibilmente con uno spirito di condivisione, un orientamento che aiuti a superare con provvedimenti mirati le difficoltà oggi presenti sul raggiungimento degli obbiettivi di Lisbona, proprio alla luce del titolo del Libro verde «La vita buona nella società attiva». Le donne vogliono essere protagoniste nel vero senso della parola nella società attiva, anche perché attive lo sono veramente (anche se poco riconosciute).
Anche per l'accenno dell'onorevole Cazzola, ritengo che il Libro verde, che dovrebbe presentare un progetto di welfare rinnovato, poco risponda alle esigenze delle donne.
Nel leggere il documento, si rileva una sorta di indifferenza, laddove per conciliare e per aumentare l'occupazione manca l'approccio all'erogazione dei servizi. Condivido pienamente le considerazioni dall'onorevole Miotto rispetto al ruolo affidato al servizio pubblico ed a quello affidato ai privati. Questo Libro è stato presentato il 25 luglio scorso, ma nel frattempo il Governo ha adottato diversi provvedimenti tutti indirizzati verso altre politiche. Non riusciamo quindi a capire come si possa predisporre un progetto di questo tipo che poi viene smentito completamente dalle politiche di questo Governo.
Poiché nelle sue varie citazioni della vita buona e della società attiva le donne sono le grandi assenti, ci chiediamo con chi s'intenda fare questa società, se non con le donne che devono essere protagoniste rispetto a ciò che rappresenta il nucleo fondamentale per uno sviluppo diverso, per una società più armonica.
Credo che rispetto ai servizi, ai finanziamenti e alle politiche attuate nulla vada in questa direzione. Nel citare l'assenza di cura dei bambini e dell'infanzia e l'obiettivo di aumentare la natalità, non si citano i modi e gli strumenti da mettere in atto; occorre evitare di limitarsi a pronunciare parole a vuoto, senza costruire questo necessario supporto.
La carenza dei servizi e le scelte in questo senso sono dunque veramente deludenti. Se le donne vogliono essere protagoniste nel vero senso della parola, questo Governo non può difendere l'innalzamento dell'età pensionabile, ulteriore beffa, se considerata singolarmente, estranea a una vera conciliazione. Credo che questo rappresenti un pugno in faccia alla metà di questa società che invece vuole essere protagonista.


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DONELLA MATTESINI. Desidero porre al Ministro due questioni, la prima di metodo, la seconda di merito. Poiché le materie di questo Libro verde sono grandemente rilevanti, ritengo inopportuno limitarsi a questo dibattito e chiedo con forza che sia attivato dalla Commissione un percorso di confronto più impegnativo, procedendo alle audizioni dei soggetti principali che hanno contribuito alla sua stesura, instaurando un rapporto univoco con il Ministero stesso. Sarebbe altrettanto importante che il Ministero non si limitasse a questo percorso univoco, ma attivasse tavoli di confronto. Mi sembra infatti che una parte centrale del Libro verde faccia perno sull'intento di responsabilizzazione dei cittadini legato anche agli stili di vita, che deve essere anche responsabilizzazione nel senso della valutazione e delle scelte.
Per quanto riguarda il merito, sottolineo la totale assenza di riferimenti a livello europeo. Desidero chiedere al Ministro come, anche qualora non si creda all'utilità e alla possibilità di costruire un modello sociale europeo, sia possibile ignorare ciò che in Europa si sta discutendo, ovvero non tanto la direttiva sull'orario di lavoro, quanto le nuove linee guida della strategia di Lisbona.
Mi sembra che emerga dal Libro verde una concezione minimalista del ruolo pubblico. Ritengo però fortemente che per impostare correttamente un rapporto tra pubblico e privato anche nel welfare non sia sufficiente aprire al privato, ma sia necessario in primo luogo riqualificare, potenziare e ammodernare il sistema pubblico, mettendoci in condizione di svolgere i nuovi compiti di programmazione, di orientamento, di programmazione, di controllo e sempre meno di gestione. Tutta questa parte, però, manca nel Libro verde. Ritengo che l'assenza di questo ragionamento e di questa attenzione possa rendere squilibrato il rapporto e che sia necessario lavorare per un pubblico rinnovato, lasciando fuori l'ideologia, secondo cui il privato è perfetto. Cito un esempio. Mi ha colpito quella parte del documento in cui si parla del fare comunità e si definiscono le proiezioni essenziali (famiglia, volontariato, associazionismo e ambiente di lavoro), come luoghi relazionali e di servizio vengano citati parrocchie, farmacie, medici di famiglia, uffici postali, stazioni dei carabinieri, senza far cenno alle scuole, alle ludoteche, ai centri di aggregazione sociale, ai centri giovanili, luoghi che hanno origine dalla vivacità e capacità amministrativa degli enti locali e delle regioni.
Non vorrei quindi che, dopo l'operazione «fannulloni», si tentasse anche di togliere culturalmente ed economicamente quelle funzioni sostanziali che appartengono a un buon governo pubblico.
Non voglio aggiungere altro sulla questione della mancanza di qualunque riferimento alle donne, argomento su cui l'onorevole Codurelli è stata chiara ed esaustiva. Sottolineo soltanto di rilevare nel Libro verde un atteggiamento di pregiudizio, perché più di una volta si evidenziano le disfunzioni, gli sprechi e i costi del modello attuale, come se in questo le esperienze si limitassero a produrre aspetti negativi.
Ritengo che per compiere un lavoro utile a noi stessi e al Paese sia necessario assumere un altro atteggiamento, che è quello di non formulare giudizi, di non generalizzare e di saper partire dalle buone prassi e dai risultati positivi emersi anche se a macchia di leopardo nella nostra Nazione. Tali esperienze positive possono costituire chiavi di lettura importanti a cui riferirsi. Ci si chiede ad esempio come costruire un sistema di indicatori di qualità per i servizi socioeducativi, ma in moltissime regioni come nella mia, la Toscana, da anni esiste una legge regionale, che ha portato la Toscana ad avere una copertura molto più alta di asili-nido, e un efficiente sistema educativo integrato pubblico-privato. Si può dunque partire dalle efficienze esistenti per trarre indicatori.
L'importante documento degli assessori al lavoro della regione Emilia-Romagna sottolinea esattamente questo, giacché gli assessori chiedono al Governo di fare tesoro delle esperienze realizzate nel


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campo delle politiche del lavoro in molti contesti, con sperimentazioni davvero positive, che ormai sono modelli attivi e permanenti di orientamento e di formazione.
Ritengo invece che nel Libro verde si tenti di proporre un modello di stampo centralistico, come se attualmente non si ragionasse sul federalismo, proponendo il superamento del ruolo di enti locali e regioni.
Chiudo il mio intervento ponendo una domanda, perché mi colpisce che il messaggio di fondo proposto nel Libro verde nel trattare del lavoro e delle regole che lo sottendono sia quello che competitività e impresa corrispondano a deregolazione, sottolineando in modo molto esplicito come la ridotta vitalità delle imprese e del dinamismo del mercato sia provocata da troppe regole, al posto delle quali si propongono situazioni individuali rispetto alla competenza e alla formazione. Si continua quindi a proporre l'impresa come soggetto a cui togliere vincoli e a cui non avanzare alcuna richiesta.
Vorrei chiederle, signor Ministro, perché il Libro verde non menzioni minimamente la necessità di un patto tra produttori e lavoratori, citi soltanto deregolazioni e non la responsabilità sociale dell'impresa, tema di straordinaria forza nato negli anni '90. In molte realtà del Paese, ma anche a livello europeo, è infatti consapevolezza diffusa che, per quanto riguarda lo sviluppo produttivo, la capacità di generare profitto e quindi di distribuire ricchezza dipenda sempre più dall'azione sinergica tra l'impresa stessa e gli investitori, i dipendenti, i fornitori, i consumatori, le istituzioni e le organizzazioni sindacali (quindi, il territorio). Nell'elemento di fondo della responsabilità sociale dell'impresa, si propone dunque l'impresa non più come un corpo estraneo, bensì come un presidio del territorio.
Ritengo che in un momento come questo, in cui la necessità di affrontare la crisi dovrebbe richiedere fino in fondo non solo il rispetto delle regole, ma anche un lavoro concreto di messa in campo di relazioni corrette, che valorizzi i territori, l'impresa debba essere considerata non soltanto come un'entità da svincolare, ma come un soggetto responsabile nei confronti dei territori.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Ringrazio il signor Ministro per la presenza. Cercherò di essere sintetico e di toccare i punti che volevo discutere senza aprire una discussione generale. Apprezziamo particolarmente l'impostazione di questo Libro verde, che intende premiare le politiche attive, dunque una società dove anche le persone in difficoltà dal punto di vista lavorativo o fisico (le persone disabili) devono essere al centro dell'azione politica, considerati non più con sguardo di pietà, ma come soggetti facenti parte della società a pieno titolo da utilizzare per le loro peculiarità, quindi utili alla pubblica amministrazione o ad altre realtà in cui possono inserirsi.
Per quanto riguarda la questione delle politiche attive, ma anche di quelle passive, apprezziamo anche l'indirizzo assunto dal Ministero in relazione a un maggiore rigore nel concedere i tradizionali ammortizzatori sociali, che sono importanti soprattutto nel periodo che affronteremo nei prossimi mesi. Questo significa ad esempio che il lavoratore in cassa integrazione, se rifiuta altre offerte di lavoro, perde il diritto alla cassa integrazione. Condividiamo inoltre che questo controllo debba essere effettuato non soltanto sul lavoratore, ma anche sull'azienda.
Desidero infatti chiedere a lei, signor Ministro, e a tutta la Commissione, se un'azienda, di cui più del 50 per cento dei lavoratori provenga da cooperative esterne e molti di essi siano originari di altri Paesi europei o al di fuori dell'Unione europea, abbia diritto a questo tipo di politiche e dunque a ricorrere agli ammortizzatori sociali in caso di crisi. Personalmente, credo di no e che sia opportuno innanzitutto valorizzare una politica aziendale che non spalmi le perdite sul pubblico e utilizzi invece gli utili soltanto per i guadagni privati.


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Conosco realtà che delocalizzano delle società in altri Paesi dell'est Europa e mandano in trasferta i lavoratori nel nostro Paese con società controllate tramite holding. È doveroso lavorare su questi aspetti, così come sulle delocalizzazioni portate avanti dalle aziende. Rilevo quindi l'esigenza di un particolare impegno da questo punto di vista, anche nel rispetto di chi si trova realmente in stato di crisi.
Desidero ricordare la particolare attenzione sempre dimostrata dalla Lega verso le politiche sulla famiglia, in particolare per quanto riguarda le difficoltà delle famiglie numerose, spesso svantaggiate rispetto al single o a famiglie con meno figli. Nel recente incontro con una delle associazioni che rappresentano le famiglie numerose, mi è stato citato ad esempio il costo della bolletta elettrica. Come sapete, quando si sfora un tetto il costo unitario dell'energia aumenta, per cui una famiglia composta da otto persone è costretta a pagare anche gli sconti praticati ai single, spalmati anche sulle famiglie numerose.
Poiché ho sentito parlare di politiche per incentivare giustamente il lavoro femminile, si deve evitare di commettere l'errore di ritenere, come in passato, che realizzare una politica favorevole al lavoro femminile significa solo destinare risorse per il lavoro femminile. Una politica virtuosa da parte della pubblica amministrazione consisterebbe nel raggiungere il miglior risultato con il minor costo. Per anni la politica non ha valutato il risultato ottenuto, ma semplicemente verificato nelle varie leggi finanziarie quanti soldi fossero destinati. Il parametro finale deve essere il risultato raggiunto, ovvero quante donne abbiano trovato lavoro e in che settore, laddove il numero esiguo e la collocazione solo nella pubblica amministrazione indicherebbe che i soldi investiti per incentivare il lavoro femminile sono sprecati e potrebbero essere utilizzati in altro modo per aiutare il Paese.

MARIALUISA GNECCHI. Poiché vogliamo lasciare spazio alle risposte del Ministro, condividendo totalmente tutti gli interventi dei miei colleghi del partito democratico, desidero non ripetermi e porre solo alcune domande precise. Nel documento di legge testualmente: «Per questo motivo vanno favorite le politiche di ingresso immediate dei giovani nel mondo del lavoro, come prima pietra della costruzione delle proprie scelte di vita. Percorsi scolastici privi di ritardi [...]».
I governi di centrosinistra avevano fortemente puntato ai dieci anni di obbligo scolastico e all'obbligo formativo fino ai 18 anni. Con la riforma Moratti si era ritornati all'obbligo di 8 anni e si era favorito l'ingresso nel mondo del lavoro con forme di apprendistato e con l'abbassamento dell'età per la stipula di contratti di lavoro, quindi con una formula di incentivazione all'ingresso precoce nel mondo del lavoro.
Poiché riteniamo che entrare nel mondo del lavoro sia sicuramente un modo per crescere e costruire le proprie scelte di vita, ma che sia necessario entrarvi con una formazione e un livello di istruzione di base, che permetta di possedere gli strumenti per affrontare il lavoro con tutto ciò che questo comporta, desideriamo sapere cosa si intenda per ingresso molto precoce o per percorsi scolastici privi di ritardi. Il decreto Gelmini da poco approvato, sebbene attualmente permetta la scelta di un numero di ore significative rispetto alle 24 ore per le scuole elementari previste originariamente dall'articolo 4 di quel provvedimento, abbassa il numero di ore nelle scuole. Questo non dovrebbe rappresentare il modo per riuscire ad evitare ritardi o garantire forme di maggiore inclusione sociale.
Per noi sarebbe fondamentale riuscire a non tagliare la spesa sociale. Nel documento si afferma esplicitamente che «la spesa sociale non va tagliata», ma ciò non si è verificato nei fatti e sono state compiute delle scelte da noi spesso non condivise.
Nel documento inoltre - mi ricollego alle considerazioni dell'onorevole Mattesini -, si afferma: «fondamentale in questa prospettiva è la capacità di fare comunità, a partire dalle sue proiezioni essenziali, che sono la famiglia, il volontariato, l'associazionismo e l'ambiente di


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lavoro». Porre sullo stesso piano la famiglia, il volontariato, l'associazionismo e l'ambiente di lavoro potrebbe già aprire varie discussioni, ma non più tardi della settimana scorsa abbiamo constatato come anche la contribuzione figurativa per chi fa volontariato sia stata messa in discussione. Da un lato, quindi, si ribadisce l'esigenza di favorire il volontariato, mentre dall'altro non si mettono in atto strumenti adeguati. Riteniamo che per i giovani il volontariato possa essere uno strumento per sperimentare se stessi e capire come mettersi in relazione agli altri, ma, se queste forme non sono incentivate, queste diventano semplici enunciazioni. «Riscoprire ruoli relazionali e di servizio, come le parrocchie, le farmacie, i medici di famiglia, gli uffici postali e le stazioni dei carabinieri» è un elenco di cui non si comprende l'ordine, dal momento che le farmacie, le code degli uffici postali e le stazioni dei carabinieri non sembrano luoghi d'incontro. Sarebbe opportuno capire cosa s'intenda al riguardo.
Se si ritiene che le parrocchie possano utilizzare l'8 per mille per favorire l'incontro dei giovani, queste potrebbero essere risorse che si riscoprono per poter favorire tali attività. Poiché però dubito che questo sia il senso, mi sembra strano questo elenco di luoghi relazionali.
Gli altri argomenti sul lavoro delle donne, sui servizi e su una vita buona nella società attiva sono già stati affrontati, per cui preferisco aspettare la replica del Ministro.

MICHELE SCANDROGLIO. Più che una domanda, vorrei esprimere una brevissima riflessione. Oggi, ho ascoltato una serie di critiche. Il Ministro ha posto alla nostra attenzione un testo che stiamo dibattendo, sul quale ha chiesto un contributo, trattandosi di un testo in divenire, che dobbiamo costruire insieme - lo ringrazio per questa sensibilità - di questa e di altre Commissioni.
Oggi, ho però registrato una serie di sterili osservazioni e di critiche a un testo che era stato portato per essere discusso. Alcune di queste osservazioni sono incongruenti, particolarmente laddove sostengono che il Ministro ha posto alla nostra attenzione un Libro verde, ma il Governo compie interventi diversi da quelli indicati nel Libro verde. Se infatti il Libro verde va bene, il Governo fa una cosa che non va bene, mentre, se il Libro verde va male, non si capisce perché critichiate il Governo. Credo quindi che l'ideologia abbia prevalso in questo dibattito e non ci si sia addentrati nei fatti. Ritengo che il Ministro sia coraggioso, come dimostrato anche nella vicenda di Eluana Englaro, in cui ha assunto una posizione che condivido, che sottolineo e con la quale solidarizzo (Commenti).
Le opinioni devono essere espresse: non si può ascoltare questo sproloquio tacendo (Commenti). Ho ascoltato tutti senza interrompere, quindi cortesemente ascoltate anche me.
Ci siamo trovati a lavorare per portare un contributo, come ho fatto nelle forme dovute, parlando con il mio capogruppo e con i presidenti. Non ho ravvisato contributi significativi, aspetto pazientemente di ascoltare la replica del Ministro, ma ritengo che il gesto di portare alla nostra attenzione un lavoro proponendo di realizzarlo insieme non sia stato minimamente apprezzato.

PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Sacconi per la replica.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Grazie, presidente. Sono costretto a partire dalle considerazioni dell'onorevole Scandroglio perché, seguendo i numerosi interventi dell'opposizione, ho avvertito anch'io una distanza dal significato di questa consultazione pubblica, che ho cercato di descrivere assegnando alla metodologia un'importanza politica, che meritava e merita.
Allo stesso tempo ho ricordato come, nel momento in cui il Governo, prevedendo la crisi, dichiarando il timore di un collasso dei mercati finanziari e perciò anticipando la manovra di bilancio nei mesi di giugno-luglio, si trovava costretto a


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porre sotto rigoroso controllo la finanza pubblica, abbia varato una consultazione pubblica su un'ipotesi di modello sociale da costruire, intendendo in tal modo indicare che la necessità di porre sotto controllo la finanza pubblica avrebbe dovuto comportare non il razionamento delle prestazioni sociali, ma al contrario un'accelerazione dei percorsi di riqualificazione della spesa stessa, assumendo anche l'impegno di cambiare nell'ambito della legislatura molti paradigmi del nostro modello sociale, disponibile - il Governo stesso - a essere valutato in base alla coerenza degli atti con il punto d'arrivo che il Libro bianco vorrà descrivere.
La costruzione del Libro bianco attraverso il percorso di consultazione doveva essere quanto più condivisa. Fin dall'inizio, dunque, abbiamo spiegato che il Libro bianco avrebbe dovuto non contenere il programma di Governo relativo alla transizione dal vecchio al nuovo modello sociale, bensì essere un pezzo della stessa Costituzione materiale, come il vecchio modello sociale per molti anni è stato parte della nostra Costituzione materiale e per molti aspetti anche formale.
Quanto sarebbe importante poter condividere i valori e la visione del modello sociale collocandoli in un ambito, estraneo alla quotidiana dialettica politica, ma condiviso da Stato e regioni, da maggioranza e opposizione parlamentare, da parti sociali all'interno delle organizzazioni dei lavoratori e tra quelle dei lavoratori e quelle degli imprenditori, nel terzo settore? Quanto sarebbe importante individuare il nuovo modello sociale al quale riferirci per poi anche controllarci a vicenda circa la coerenza degli atti che compiamo rispetto al percorso da realizzare?
Sono consapevole di come una scelta di questo tipo potenzialmente metta più in mora il Governo dell'opposizione e di come soprattutto nella difficile transizione che dobbiamo affrontare saremo spesso costretti come Governo a incoerenze nei riguardi di alcuni obiettivi declinati nel Libro bianco, perché saremo costretti a procedere a «zigzag». Purtuttavia, come diceva Mao, l'importante è che la prospettiva sia luminosa. Si può anche seguire un percorso non lineare, ma è necessario sapere dove si vuole andare e cercare di mantenere quella direzione di marcia. Questa è l'intenzione del Libro bianco.
Ringrazio dunque molto anche fondazioni vicine all'opposizione o centri di ricerca, come l'AREL o la Fondazione italiana europei, sedi nelle quali ho avuto l'occasione di un confronto molto costruttivo, ove anche i rilievi critici si sono riferiti al Libro verde o ad alcune delle impostazioni che si volevano correggere, ma con l'intento della costruzione di un Libro bianco condiviso. Altrimenti, questa operazione non avrebbe senso e ci limiteremmo ai provvedimenti di Governo. La maggioranza parlamentare ha una propria visione declinata nei documenti elettorali, ma il tentativo vuole essere e sarà quello di realizzare un documento forse reticente negli atti di transizione, che atterranno all'azione di Governo e saranno responsabilità nostra, cercando però anche per quelli la massima condivisione possibile, seppur consapevoli di come ineriscano la giusta, comprensibile dialettica, anche con il pregiudizio che nella dialettica quotidiana ci può essere.
Vorremmo che almeno questo ambito fosse sottratto al pregiudizio. Il Libro verde è un libro aperto, con molti interrogativi al suo interno. Sarebbe stato più utile rispondere ad essi, colmare le sue dichiarate lacune, ma si tratta infatti di un prodotto che non ha voluto essere compiuto e si è appellato a più attori istituzionali e sociali per cercare risposte a dubbi spesso determinati anche dalle difficoltà pratiche nel realizzare modelli virtuosi utili a costruire la società attiva.
Le incoerenze con l'azione di Governo, rispetto alle quali ho ovviamente opinioni diverse da quelle espresse, non ineriscono al processo che si è voluto mettere in movimento, ma appartengono a un'altra sede di discussione. Se si deciderà di opporsi all'operazione affermando che con questa il Governo cerchi solo di fare un'operazione di propaganda, di non averlo letto o apprezzato, diventerà tempo


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perso. Se invece, come ancora spero, crediamo nell'utilità di un'operazione di questo genere, possiamo con largo consenso costruire questo modello di riferimento, utile proprio perché riconosciuto da larga parte degli attori istituzionali e sociali.
L'esigenza di fare questo mi sembra dimostrata dalle analisi critiche sulla realtà attuale, dai limiti strutturali di un modello costruito in altre condizioni, sottoposto alle fortissime pressioni dei mutamenti in corso, quali l'andamento demografico, le migrazioni o l'inurbamento, evidenti motivi di ripensamento del modello sociale. Nella società sono cambiate molte condizioni, si è talora persa di vista la persona, di cui non è retorico affermare la centralità. Troppo spesso, l'offerta ha prevalso sulla domanda, si è ossificata, si è resa autoreferenziale. «Ingresso più precoce nel mercato del lavoro» significa rilevare l'esistenza di un'anomalia brillantemente descritta dal senatore Livi Bacci non con l'odiosa espressione «bamboccioni», che non mi è piaciuta, ma con quella plastica di «giovani vecchi». Credo che Livi Bacci abbia sottolineato per primo questa patologia tutta italiana sulle cui motivazioni dovremmo interrogarci, che porta l'età media di laurea ad attestarsi attorno ai 28 anni. Si tratta di adulti che entrano nel mercato del lavoro a 29-30 anni senza aver avuto il lavoro nel loro processo educativo, senza aver mai portato una cassetta di ciliegie al mercato. Purtroppo, arrivano a laurearsi verso i 30 anni anche facendo Scienza delle comunicazioni.
Questo testimonia come l'ambiente universitario sia diffusamente autoreferenziale quando impone una segmentazione esasperata di esami per giustificare cattedre di fronte a percorsi di laurea di non intensa qualificazione, che almeno dovrebbero essere veloci e agevoli, quando s'impone il percorso del biennio successivo al triennio per la debolezza che ha caratterizzato il triennio, quando l'odiosa assenza dall'ambiente universitario costringe a tempi morti. C'è un trionfo diffuso dell'autoreferenzialità.
In un'Italia spaccata a metà nel Servizio sanitario nazionale, nel centro-sud permangono strutture ospedaliere generaliste da 20-40 posti letto, che sono pericolose per la salute delle persone, la cui sopravvivenza impedisce la liberazione di risorse per lo sviluppo di quella medicina del territorio, di quella presa in carico che tutti auspichiamo. Tali servizi sociosanitari assistenziali integrati tra di loro esistono nel nord efficiente, ma non nel sud, perché permane viva un'offerta autoreferenziale di spedalità inappropriata. A questo ci riferiamo quando parliamo di cambiamento e rileviamo l'esigenza di condividere un punto di arrivo e di conseguenti attività di transizione anche intensive per costruire un modello sostenibile nell'ambito dei vincoli di finanza pubblica che in un Paese come il nostro sono dati dal grande debito accumulato, che oggi si confronta con un mercato finanziario globale particolarmente instabile.
Ribadisco la scelta europea di questo documento, cui non può essere mossa la critica di non aver considerato il documento di Lisbona, laddove l'idea stessa di società attiva si riferisce al percorso di Lisbona, che non è stato accompagnato da strumenti in grado di renderlo effettivo nell'ambito dell'Unione. Il nostro documento è quindi molto ispirato al processo di Lisbona, all'idea di società attiva, che entra nell'economia della conoscenza con un apprezzamento molto maggiore del proprio capitale umano, così come a idee simili quali quelle della sussidiarietà, che ritornano perfino in termini eccessivi e non comportano una debolezza della funzione pubblica, che anzi qui si ipotizza di esaltare come funzione regolatoria.
Il regolatore esalta infatti la propria funzione nella misura in cui riscopre la centralità della persona. Il regolatore pubblico vuole che il risultato sia il benessere della persona, del singolo, di tutte le persone in sé e nelle loro proiezioni relazionali, a partire dalla famiglia, prima proiezione relazionale. Questo regolatore pubblico è rigoroso, ha l'ansia del risultato, quindi nel pubblico e nel privato cerca erogatori funzionali al risultato del


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benessere della persona, né deve avere verso l'erogatore pubblico un atteggiamento generoso, dimostrandosi incline a perdonarne le inefficienze per presupposto ideologico, ma invece considerare la persona e la pluralità di erogatori che si possono mobilitare, del pubblico, del privato, del privato sociale. Ho avuto peraltro positivi incontri con il privato sociale, in particolare in un utile incontro svoltosi nella sede della rivista Vita, a Milano, con una parte delle organizzazioni maggiormente rappresentative in questo ambito, di cui sono noti i molti contributi. Si è ipotizzato di audire in questa sede le associazioni, ma segnalo che i contributi sono stati circa un migliaio, che i contributi delle organizzazioni sono stati oltre cento e che tutte le grandi organizzazioni rappresentative di interessi e di valori hanno intensamente contribuito con un concorso sia delle associazioni del terzo settore, che delle organizzazioni sindacali, che delle organizzazioni dei datori di lavoro. Si è trattato di contributi molto concreti e utili sia alla visione complessiva che ad alcuni aspetti specifici. Stiamo effettuando un lavoro di ricognizione e di lettura critica di questi contributi.
Il tema delle risorse è non secondario al fine della costruzione, ma deve essere collocato all'interno di un quadro di sostenibilità. Credo infatti che nessuno voglia sottrarsi al tema della sostenibilità e della compatibilità di finanza pubblica, anche perché proprio per quanto riguarda le politiche sociali abbiamo potuto constatare il nesso tra la finitezza, la responsabilità e la qualità della spesa. Una spesa particolarmente sregolata provoca infatti inefficienza, come è evidente nelle politiche della salute. Provengo da una terra che offre una vasta gamma di servizi sociosanitari assistenziali e dove un non-autosufficiente ha un'offerta plurale, che però spende meno pro capite della Calabria, della Campania o della Sicilia, perché ha compiuto scelte come quella della chiusura degli ospedali generalisti marginali.
Nella mia provincia, la prima chiusura avvenne nel 1972 e fu difficile motivare la chiusura di un ospedale, ma in seguito in una provincia di 800.000 abitanti ne abbiamo chiusi sei. Oggi, ne abbiamo 5 in una provincia di 800.000 abitanti, mentre in Abruzzo ci sono 36 ospedali generalisti a fronte di 1.300.000 abitanti, in Molise 11 ospedali generalisti con 300.000 abitanti, per cui non c'è spazio logico, oltre che economico, per i servizi sociosanitari assistenziali.
Nella mia provincia, tra pochi giorni inaugurerò il fascicolo elettronico individuale. A proposito di farmacie o di uffici postali, non mi riferivo a un luogo fisico di relazioni, ma a strumenti funzionali a costruire comunità, a farmacie in grado di erogare a domicilio non solo farmaci attraverso la ricetta elettronica veicolata e validata da intermediari tecnologici, uno dei quali particolarmente noto, le Poste, ma anche farmaci palliativi del dolore, e all'assistenza domiciliare che coinvolge anche la farmacia. La rete degli uffici postali presente in ogni municipalità anche piccola rappresenta una rete fisica d'ingresso nel sistema di welfare.
Concludo con un concetto ritornato nella gran parte degli interventi: l'inclusione della donna e il ruolo della famiglia. Quando insieme a Marco Biagi scrivemmo il Libro bianco sul mercato del lavoro, egli utilizzò un'espressione che cito frequentemente affermando che la donna è il mainstreaming di un nuovo modello sociale, di un nuovo mercato del lavoro, la misura del successo del nuovo modello sociale.
È evidente che abbiamo un livello di scarsa valorizzazione del grande capitale umano rappresentato dalle donne nel mercato del lavoro, che la difficoltà della donna nel lavoro è spesso alla base della bassa natalità, che nelle società industrializzate esiste un nesso evidente, ormai provato, tra tassi di occupazione e tassi di natalità. Questo comporta due problemi, dei quali purtroppo è stato segnalato solo quello relativo ai servizi di cura all'infanzia, che ovviamente non può che essere condiviso e rispetto al quale il Libro verde definisce come realizzare un effetto di crescita e diffusione, interrogandosi se farlo solo con le strutture tradizionali o anche cercando di mobilitare altre reti sul


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modello del Tagesmütter della provincia autonoma di Bolzano, per avere una grande diffusione, che neppure la più generosa politica di finanza pubblica riuscirebbe mai a garantire con le strutture di tipo tradizionale. A tal fine è necessario mobilitare anche l'impresa con i suoi asili aziendali o interaziendali, garantendo quindi una pluralità di offerta.
Mi dispiace che non sia stato toccato l'altro, più scomodo tema della modulazione dell'orario di lavoro, del superamento dell'orario standard, che penalizza soprattutto la donna. La rigida organizzazione della produzione del lavoro secondo l'orario standard ancorato alla concezione della produzione seriale, fordista, e lontano dall'economia dei servizi è infatti un tema scomodo, che non necessita di affrontare alcun costo. Si potrebbe infatti realizzare anche domattina, se si infrangessero alcune rigidità nelle relazioni industriali, alcuni pregiudizi ideologici fortunatamente presenti solo in una parte del sindacato.
In ogni caso, ho fatto tesoro di tutti gli interventi e chiedo scusa se la considerazione d'insieme ha prevalso su valutazioni specifiche rispetto ai vari interventi svolti, che ho sinceramente apprezzato per la volontà di alimentare il percorso del Libro bianco.
Non formulo risposte specifiche sulle pensioni all'onorevole Delfino, che mi chiedeva quando le adegueremo, e all'onorevole Cazzola, che in privato oltre che in pubblico mi chiede quando rimetteremo mano al sistema previdenziale; non lo faccio sia perché nel breve periodo non ce ne saranno le condizioni, se non per l'adeguamento alla sentenza della Corte di giustizia europea, sia perché in materia di pensioni sono portato a ritenere che meno se ne parla più si fa, realizzando forse un allungamento della vita lavorativa rispetto alla creazione di un clima di incertezza, che ne rappresenta il peggiore antidoto. Dico solo che applichiamo la legge per quanto riguarda i coefficienti. Ho già disposto l'avvio dei coefficienti di adeguamento confermati dalla legge e mi fa piacere che il segretario del maggiore partito di opposizione abbia invitato ad applicare la legge per quanto riguarda i coefficienti. Ne ero già convinto, ma ho tratto un ulteriore motivo per farlo. Per quanto riguarda l'adeguamento alla sentenza, presto sarà proposto alla vostra attenzione un provvedimento limitato al pubblico impiego.
Considerando l'orario, non mi soffermo su altre considerazioni più specifiche ed anzi vi chiedo scusa se sono stato prolisso.

PRESIDENTE. Credo che, al di là delle singole opinioni, questa sia stata un'occasione per verificare la passione del Ministro per gli argomenti che tratta.
Nel rinnovare il nostro ringraziamento al Ministro Sacconi, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,30.

VIII Commissione (Ambiente, territorio e lavori pubblici)

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