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Resoconti stenografici delle audizioni

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione
9.
Martedì 22 settembre 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Boniver Margherita, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE NUOVE POLITICHE EUROPEE IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE

Audizione del Sottosegretario al Ministero dell'interno, Alfredo Mantovano:

Boniver Margherita, Presidente ... 3 7 9 15 16
Del Vecchio Mauro (PD) ... 9
Livi Bacci Massimo (PD) ... 7 9 14
Mantovano Alfredo, Sottosegretario al Ministero dell'interno ... 3 7 11 14 15
Strizzolo Ivano (PD) ... 7 14
Taddei Vincenzo (PdL) ... 13
Volpi Raffaele (LNP) ... 9

[Indietro]

Seduta del 22/9/2009


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...
Audizione del Sottosegretario al Ministero dell'interno, Alfredo Mantovano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle nuove politiche europee in materia di immigrazione, l'audizione del Sottosegretario al Ministero dell'interno Alfredo Mantovano, che ringrazio caldamente a nome del Comitato per aver accettato il nostro invito. Poco prima della pausa estiva, infatti, per motivi di Aula avevamo dovuto disdire la sua audizione.
Ricordo che è presente anche l'avvocato Eliana Pezzuto, capo della segreteria del Sottosegretario.
Vorrei inoltre ricordare ai colleghi che questa audizione è ritenuta da tutti noi di grandissima importanza, in quanto costituisce l'occasione per il Comitato di fare il punto sulle politiche migratorie in questa attuale - e io aggiungo convulsa - fase di dibattito politico che ha segnato lungo tutta l'estate dei punti estremamente negativi nei confronti del nostro Paese.
In particolare, come forse lei sa, recentemente siamo stati in missione a Malta; ci interessa, pertanto, avere un quadro complessivo delle attività territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e del relativo impatto, anche economico, sul sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati.
A questo riguardo, sarebbe utile una disamina della disciplina del diritto di asilo come risultante dalle direttive comunitarie, dalle norme contenute nel cosiddetto «pacchetto sicurezza» e dagli accordi bilaterali in vigore o in via di definizione.
Ancora una volta la ringrazio per aver accettato il nostro invito e le cedo subito la parola.

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario al Ministero dell'interno. Grazie presidente, saluto lei, i parlamentari presenti e i funzionari del Comitato.
Fornirò dei cenni rapidissimi, rispettando la sua richiesta, sulle fonti normative principali nella materia dell'asilo. Esse comprendono il decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140 che attua una direttiva europea sulle norme minime relative all'accoglienza degli Stati membri dell'unione; il decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 che riguarda l'attribuzione della qualifica di rifugiato o di persona che ha necessità di protezione internazionale; il decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, che riguarda le procedure negli Stati membri ai fini del riconoscimento o della revoca della dello stato di rifugiato; infine, ed è l'unica fonte normativa che ricade nel cosiddetto «pacchetto sicurezza», il decreto legislativo 3 ottobre 2008, n. 159, che apporta qualche modifica e integrazione al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25.
In particolare, le modifiche riguardano il procedimento di nomina dei componenti


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della commissione territoriale per rendere più spedita la nomina stessa e per assicurare la funzionalità delle commissioni; la fissazione da parte del prefetto del luogo di residenza o di un'area geografica delimitata entro cui può circolare il richiedente asilo; l'obbligo stabilito per il richiedente asilo di comparire davanti alla commissione territoriale per sostenere il colloquio in sede di esame della domanda di asilo e l'obbligo di consegnare tutta la documentazione di cui eventualmente disponga; il trattenimento nei CIE del richiedente asilo già destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento al momento in cui ha presentato la domanda e, quindi, in deroga all'accoglienza nei CARA; il rigetto della domanda di asilo per manifesta infondatezza quando, in modo palese, non vi siano i presupposti per il riconoscimento della protezione; infine, la conferma del principio generale in base al quale il ricorso davanti all'autorità giudiziaria sospende gli effetti del provvedimento impugnato - anche se, a questo riguardo, non sempre vi è automaticità e vi è una interferenza tra i poteri del giudice e quelli del prefetto.
Credo sia superfluo sottolineare la differenza tra le due figure fondamentali, ossia l'asilo per i rifugiati in senso proprio e la protezione sussidiaria. La procedura per il rilascio dello status di rifugiato è tutto sommato semplice. La richiesta può essere presentata alla polizia di frontiera o alla questura. La domanda viene inviata alla commissione territoriale competente per materia, la quale, entro 30 giorni dalla ricezione - si tratta, ovviamente, di un termine ordinatorio (in seguito aggiungerò dei dati sia sulla dislocazione territoriale delle commissioni, che sui tempi di esame delle pratiche) - ascolta il richiedente in un colloquio a porte chiuse e adotta la decisione nei tre giorni successivi a tale colloquio.
La commissione può riconoscere lo status di rifugiato o quello di protezione sussidiaria, oppure rigettare la domanda con un provvedimento motivato.
Il permesso di soggiorno per asilo ha durata di cinque anni, è rinnovabile e consente l'accesso allo studio e lo svolgimento di un'attività lavorativa subordinata o autonoma; ciò comprende anche l'accesso al pubblico impiego al pari di un cittadino dell'Unione europea. Assegna il diritto alle prestazioni assistenziali dell'INPS e all'assegno di maternità concesso dai comuni. Gli stranieri rifugiati sono equiparati ai cittadini italiani in materia di assistenza sociale, sanitaria e di normativa sul lavoro. È, infine, possibile l'estensione del riconoscimento ai familiari, dove per familiari si intendono il coniuge e eventuali figli minori.
Riguardo alla protezione sussidiaria, illustro ora quale sia la differenza in termini di presupposti rispetto all'asilo. Mentre per l'asilo è necessaria una sorta di persecuzione ad personam, per la protezione sussidiaria è sufficiente un generico rischio di subire gravi danni, inclusa la condanna a morte, la tortura, la guerra civile o comunque situazioni di violenza e di sfruttamento nel caso di ritorno al Paese di origine. Dunque, rispetto al permesso di soggiorno per asilo, la differenza consiste nel fatto che, per la protezione sussidiaria, il permesso di soggiorno ha durata di tre anni ed è anch'esso rinnovabile se permangono le condizioni. Per quanto riguarda l'accesso allo studio, al lavoro e tutto il resto, il regime è lo stesso dell'asilo.
La protezione sussidiaria ha sostituito quella che fino al gennaio 2008 si chiamava «protezione sociale o umanitaria», che consisteva in una sorta di protezione un po' più generica e più lata, atta a coprire situazioni non perfettamente codificabili.
Da ultimo, tra le forme di tutela di persone entrate in Italia non nel rispetto delle regole sull'ingresso, vorrei ricordare quella che da oltre dieci anni è contenuta nel testo unico sull'immigrazione, all'articolo n. 18: essa riguarda le vittime di prostituzione e di tratta. La tutela consiste in un permesso di soggiorno per chi abbandona gli sfruttatori; il permesso può diventare definitivo una volta cessato il periodo della tutela, oppure tramutarsi in


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un accompagnamento assistito, con assistenza anche di carattere finanziario, nel Paese di origine.
La procedura è la seguente: viene redatta una scheda - ne ho una copia, se interessa posso depositarla - e la polizia di Stato, sia che la riceva come polizia di frontiera, sia che la riceva nelle questure, trasmette questa scheda alla commissione più vicina. La commissione è costituita da un collegio di non meno di quattro componenti, tra i quali vi è un rappresentante dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e un rappresentante degli enti locali.
Vi è stato un notevole rafforzamento e adeguamento delle strutture dedicate all'esame nelle domande di asilo. Fino al 2005, infatti, lavorava un'unica commissione centrale a livello nazionale e, naturalmente, questa unicità di struttura comportava dei tempi lunghissimi nell'esame delle pratiche. Con la legge cosiddetta «Bossi-Fini» e con il regolamento di attuazione decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 2004, n. 303, sono state istituite sette commissioni territoriali, che oggi sono diventate dieci: Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone, Trapani, Bari, Caserta e Torino. In realtà, in queste commissioni, i collegi che decidono sono quindici: con un provvedimento adottato lo scorso anno a fronte della notevole quantità di domande presentate, è stato, infatti, disposto il raddoppiamento delle commissioni di Bari, Siracusa, Foggia, Trapani, Crotone e Roma.
Tutto questo, ha permesso di abbattere ulteriormente i tempi per l'esame delle domande, che ormai sono a livelli conformi al dettato normativo; la media è infatti di un mese per Gorizia, Milano, Bari, Foggia, Trapani, Siracusa; 45 giorni per Crotone; 105 giorni per Caserta; Roma ha la media più elevata con 180 giorni - ma ciò dipende anche dalla quantità delle domande che vengono esaminate - e Torino con 45 giorni. Rispetto ai tempi impiegati quando c'era un'unica commissione centrale, che, nella migliore delle ipotesi, erano superiori a un anno, ora i tempi sono molto più rapidi, senza che ciò si traduca in una superficialità o in una sommarietà nell'esame delle domande.
A proposito delle cifre, se il Presidente lo ritiene, potrei depositare al Comitato quelle relative all'attività delle commissioni territoriali nei primi otto mesi di quest'anno, dove è presente anche una comparazione con l'attività dello scorso anno, utile per cogliere la dinamica del fenomeno.
I dati relativi a quest'anno segnano una diminuzione delle istanze pervenute - nei primi otto mesi del 2008 erano state 19.019, mentre quest'anno sono state 11.991 - e un incremento delle istanze esaminate, dovuto anche a questo nuovo assetto organizzativo più articolato. Lo scorso anno, nei primi otto mesi, le domande esaminate furono 11.466, mentre quest'anno sono state 17.203, cioè un numero superiore rispetto alle istanze pervenute.
Lo status di rifugiato è stato riconosciuto in 1.246 casi, mentre la protezione sussidiaria in 4.031 casi. Si è mantenuta, quindi, una media del 40 per cento circa di domande accolte, nel complesso tra rifugiato e protezione sussidiaria, che costituisce una media ormai stabile. Tra le schede che deposito vi è anche quella relativa ai Paesi di provenienza: al primo posto, sia per il riconoscimento dello status di rifugiato che per la protezione sussidiaria, vi è la Somalia, seguita dall'Eritrea, dall'Afghanistan e così via. Lo Stato che ha invece il maggior numero di domande respinte è la Nigeria, e ciò è una costante degli ultimi anni.
A proposito del sistema di accoglienza, è noto che si tratta di sistema abbastanza articolato. Esso prevede, come primo passaggio, l'accesso alle strutture di accoglienza, che sono diversificate sulla base dei profili dei soggetti ospitati. Diciamo che la tripartizione da tenere in considerazione è la seguente: vi sono i centri di accoglienza, ossia i CDA, i Centri di accoglienza per i richiedenti asilo, ossia i CARA, e i centri di identificazione ed espulsione, ossia i CIE. I centri di accoglienza sono stati istituiti già nel 1995; in seguito è stata apportata qualche modifica


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soprattutto nelle linee guida. La loro attuale capienza complessiva è di 3.485 posti, suddivisi tra Bari Palese, Brindisi Restinco, Caltanissetta, Crotone e Foggia.
Una particolare tipologia di centri di accoglienza è costituita dai centri di primo soccorso e accoglienza a Lampedusa, Pozzallo, Cagliari Elmas, che sono allestiti nei luoghi di maggiore sbarco. La caratteristica, in modo particolare, dei CPSA, ossia dei centri di primo soccorso e accoglienza, è di ospitare per un tempo minimo coloro che vi pervengono a causa della necessità di un turn over di fronte agli sbarchi. Così è stato per Lampedusa, almeno fino al mese di maggio, e così è per Pozzallo e per Cagliari Elmas. La capacità ricettiva complessiva di questi tre centri è di circa 1.200 posti.
I CDA, però, riguardano la prima fase, quando cioè è ancora incerta la qualifica dei soggetti e, magari, ancora non è stata ancora presentata formalmente la domanda di asilo.
I CARA, ossia i centri di accoglienza per richiedenti asilo, sono stati previsti dal decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 - il decreto sulle procedure - e hanno una ricettività complessiva di 1.037 posti. Essi sono dislocati tra Caltanissetta, Crotone, Foggia, Gorizia e Trapani. Con decreti del Ministro dell'Interno, è stato disposto l'utilizzo, con le funzioni dei CARA, anche dei centri di accoglienza di Bari e di Siracusa e, nell'estate del 2008, sono stati attuati anche degli interventi che, in via assolutamente temporanea, hanno individuato sette ulteriori strutture per far fronte al carico di richieste di asilo nelle province di Ancona, Caltanissetta, Frosinone, Messina e Roma. Tutto questo ha portato ad un incremento di 676 posti.
La seconda fase dell'accoglienza è quella del cosiddetto «SPRAR», cioè il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, che rappresenta un modello di efficienza e una sorta di pratica positiva conosciuta e apprezzata anche in Europa. Essa è frutto della collaborazione tra lo Stato, gli enti territoriali e le associazioni di volontariato. Vi è una stretta correlazione in modo particolare con l'ANCI e con realtà come l'OIM, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Nel sistema sono previsti certamente servizi di accoglienza in termini di vitto, alloggio e vestiario, ma sono erogati anche gli insegnamenti della lingua italiana, l'informazione legale, l'orientamento al territorio e, dove possibile, la formazione professionale; per i minori, inoltre, i progetti territoriali prevedono anche l'iscrizione in varie scuole dell'obbligo.
Lo Stato interviene annualmente con somme cospicue per alimentare il Fondo nazionale per le politiche dei servizi di asilo. Per l'anno 2009 si parla di circa 30 milioni di euro, per la precisione poco più di 29 milioni 429 mila. Nel 2008 il sistema ha avviato 114 progetti sul territorio in 92 comuni, sette province e diciannove regioni, con la capacità di recepire 2.541 posti. Nel 2009 il sistema è stato potenziato ed è arrivato a 3.000 posti, di cui 2.500 sono destinati a soggetti ordinari e 500 a quelli ritenuti vulnerabili e quindi bisognosi di programmi di affiancamento ancora più precisi.
Per coloro ai quali la domanda di asilo è rigettata o per quanti la presentano dopo aver ricevuto un provvedimento di espulsione, è prevista la collocazione nei CIE, ossia i centri identificazione ed espulsione per immigrati. La capienza attuale dei CIE è di 1.796 posti, ripartiti tra Bari Palese, Bologna, Brindisi Restinco, Caltanissetta, Catanzaro, Crotone, Gorizia, Lampedusa, Milano, Modena, Roma, Torino e Trapani. Vi sono costante controllo e vigilanza sulle condizioni di vivibilità all'interno di questi centri, con un monitoraggio che tiene conto in modo particolare delle linee guida approvate con un una direttiva del Ministero dell'Interno del gennaio 2003.
Laddove è prevista una certa permanenza, quindi non nei centri di primissima accoglienza, sono disponibili servizi anche di medio e lungo termine nei confronti della persona: non soltanto la mediazione linguistica e culturale, ma anche l'orientamento generale sulla legislazione italiana e cure di carattere non immediato ma di proiezione nel tempo.


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Esistono, inoltre, progetti particolarmente interessanti, come per esempio quello realizzato a Bari, ossia il progetto SMILE, sigla che sta per le iniziali di screening, malattie, integrazione, lavoro ed educazione. Il centro CARA di Bari è uno dei più grandi, se non il più grande in assoluto: esso ha al proprio interno la possibilità di ospitare quasi mille persone.
Questo è il quadro di insieme di un meccanismo che fino ad ora - e mi riferisco in modo particolare agli ultimi dieci anni - ha permesso di ricevere dal 1999 all'agosto 2009, circa 185 mila domande di asilo e di esaminarne circa 175 mila, con una proporzione grosso modo stabile di accoglimento che si attesta intorno al 40 per cento dei casi.
A questo punto, se il presidente lo ritiene, mi fermerei, ringraziando per l'attenzione ed restando disponibile a rispondere a quesiti o interventi dei parlamentari.

PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Mantovano per questa ampia documentazione che domani sarà a disposizione dei commissari.
Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei conoscere il motivo per cui, se ho capito bene, nelle cifre che lei ha citato, c'è stata una drastica diminuzione delle richieste di asilo dall'anno scorso a quello corrente. Mi sfugge il motivo in quanto non credo che siano diminuite le cause che spingono verso le coste europee, soprattutto quelle italiane o maltesi, persone che hanno bisogno di protezione internazionale e che provengono principalmente, per quanto riguarda la nostra geografia, dal Corno d'Africa. Le domando, quindi, se ci sia un motivo contingente o si tratti soltanto di un dato casuale.

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario al Ministero dell'interno. Io attenderei il completamento dell'anno per fare un bilancio complessivo e per comprendere, anche con riferimento ai vari periodi dell'anno, i termini della variazione. Attendere la fine dell'anno sarà utile soprattutto per operare una distinzione del dato sulla base della presentazione della domanda da parte di chi sia entrato irregolarmente, ma da vie diverse da quella marina, e di chi è entrato attraverso lo sbarco e, quindi, per capire quanto abbia inciso, in questa contrazione di domande, la politica del pattugliamento e dei respingimenti che è stata realizzata grazie all'accordo con la Libia in vigore dalla metà di maggio scorso.
Devo dire che, in termini assoluti, i numeri non sono irrilevanti: nei primi otto mesi del 2009 lo status di rifugiato è stato riconosciuto a 1.246 soggetti a fronte dei 1.165 del 2008, e la protezione sussidiaria a 4.031 soggetti a fronte dei 3.266 dei primi otto mesi del 2008. È vero che questo incremento deriva dal fatto che le commissioni, essendo di più, hanno lavorato ad una maggiore quantità di domande e che, quindi, vi è compreso anche un residuo del 2008; tuttavia, proprio per questo motivo è difficile, su un campione ancora limitato temporalmente, fare delle valutazioni. Io attenderei almeno il completamento dell'anno solare.

MASSIMO LIVI BACCI. Si potrebbero avere i dati almeno dei primi quattro mesi?

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario al Ministero dell'interno. Se mi precisate i quesiti, renderò disponibili le schede relative ai vari periodi richiesti. Credo che possa interessare anche la comparazione con i quattro mesi precedenti.

IVANO STRIZZOLO. Ringrazio il sottosegretario per i dati che ci ha forniti. Il lavoro di questa nostra commissione, infatti, deve partire proprio dall'acquisizione di informazioni relative al modo in cui questo problema viene gestito, al numero di domande accolte rispetto a quelle presentate e a tutto il percorso relativo all'esame di queste richieste di asilo o di protezione sussidiaria, come viene oggi definita.
È evidente che su questo delicatissimo tema dell'immigrazione, le posizioni e le valutazioni siano diverse. Tuttavia, da


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quanto ho capito, io ritengo di poter dire che, innanzitutto, l'aumento da 7 a 10 delle commissioni territoriali preposte all'esame delle richieste sicuramente aiuta a ridurre i tempi. Da alcune visite che noi abbiamo effettuato, uno dei problemi emersi consisteva nel fatto che la permanenza in questi centri era legata alla possibilità, per queste commissioni, di lavorare in maniera seria. Disponendo di organici ristretti e limitati, i tempi necessari si protraevano e ciò creava situazioni di tensione all'interno di questi centri. Il potenziamento delle commissioni territoriali, quindi, è sicuramente importante.
Vorrei svolgere una considerazione rispetto a quanto avvenuto nel recente passato, quando la percentuale di accoglimento delle domande era molto alta. Se non ho capito male, infatti, adesso siamo intorno al 40 per cento, mentre mi sembra che in passato fosse più elevata: da un'audizione tenuta qualche mese fa, mi sembra di ricordare che il numero delle domande accolte fosse superiore.
Al di là di questa considerazione, noi sappiamo che su questo argomento, anche durante l'estate, ci sono state delle polemiche. Evidentemente questo è il nostro giudizio e la nostra valutazione ma, forse, sulla vicenda dei respingimenti qualche punto deve essere ancora chiarito: quando questi sfortunati, questi immigrati clandestini vengono portati a bordo delle nostre motovedette, anche se fisicamente erano in acque non territoriali, nel momento in cui salgono a bordo sono in territorio italiano e sorgono, pertanto, il dubbio e la preoccupazione che queste persone non abbiano avuto neanche il tempo e la possibilità di avanzare domanda di protezione o richiesta di asilo perché si è proceduto con i respingimenti.
Vorrei, altresì, premettere e sottolineare un fatto sul quale, credo, siamo tutti d'accordo, avendolo ribadito in più occasioni anche in questa commissione, e cioè che l'Unione europea deve fare molto di più rispetto a questo tema. Quello dell'immigrazione è, infatti, un tema con il quale l'intera Unione europea si dovrà confrontare nei prossimi decenni: dal momento che circa un quinto della popolazione mondiale, cioè circa un miliardo di persone, vive in condizioni di difficoltà e povertà, il fenomeno dell'immigrazione all'interno di questo pianeta sarà un fenomeno che durerà per tanti anni. L'Unione europea deve assolutamente farsi carico di non lasciare da soli i singoli Paesi. Riguardo a ciò, mi sembra che Barrot in questi ultimi tempi abbia dato qualche segnale importante.
Se non ho capito male, inoltre, e rivolgo quindi la domanda al sottosegretario, nella prossima Commissione europea dovrebbe essere istituita la figura di un commissario ad hoc per il tema dell'immigrazione. Noi abbiamo anche compiuto delle visite a Malta, in Grecia e in Spagna, ossia i Paesi che sono più esposti sul Mediterraneo a questo problema e trovo che non sia giusto che vengano lasciati soli; si tratta di uno sforzo che l'Unione europea deve compiere complessivamente. Il rafforzamento di FRONTEX, ad esempio, altro tema di cui abbiamo già discusso, deve essere certamente compiuto attraverso una collaborazione innanzitutto fra i Paesi europei che affacciano sul Mediterraneo, ma anche con la Libia, almeno così io mi auguro, sebbene le opinioni a questo riguardo sono probabilmente discordi.
È vero, infatti, che con la Libia è stato firmato un accordo, però, mi sembra che sarebbe necessario capire meglio quali siano le condizioni di questi immigrati in Libia. Uno dei doveri di un Paese è verificare che quando effettua un respingimento, le persone respinte vengono a trovarsi in una condizione che preveda un minimo di rispetto dei diritti civili. Su questo argomento delicatissimo non deve essere fatta alcuna strumentalizzazione da parte di nessuno, e penso che si debba fare uno sforzo in più per chiedere dei chiarimenti. È vero che il Presidente Berlusconi è stato a Tripoli ma, al di là di quanto è scritto sulla carta di questo trattato con la Libia, bisogna chiedere qualche garanzia in più riguardo al modo in cui è gestito il problema sul versante libico; inoltre, bisogna sicuramente aumentare l'impegno dell'Unione europea.


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Io la ringrazio dei dati che ci ha fornito, sono sicuramente utili. Tuttavia, secondo me, dovremmo tentare di fare un ulteriore passo avanti, cercando il giusto punto di equilibrio. All'interno di questo fenomeno sicuramente ci sono organizzazioni criminali che vanno contrastate, tuttavia stiamo attenti a non fare di tutta l'erba un fascio: quando arrivano con questi barconi, sicuramente fra loro c'è anche qualche criminale ma la maggior parte delle persone fugge da Paesi o da realtà drammatiche. Ripeto, al di là delle polemiche, va sicuramente compiuto uno sforzo maggiore sia da parte del nostro Paese, sia da parte dell'Unione europea.

RAFFAELE VOLPI. Ringrazio il sottosegretario per la sua esposizione.
Vorrei esporre una brevissima valutazione, anche a seguito delle considerazioni svolte dal collega Strizzolo.
Ovviamente, il discorso del rapporto con la Libia ha una sua delicatezza. Io penso che vi sia la necessità di fare molta attenzione nei rapporti internazionali quando si chiedono chiarimenti rispetto alla situazione interna ad un Paese che, fino ad ora, è riconosciuto in una situazione e in uno stato positivo: non ci sono indicazioni diverse. Detto ciò, credo che l'azione diplomatica possa essere esercitata, ma debba rientrare in quel contesto di responsabilizzazione europea, non solo dell'Italia, anche per quanto riguarda i rapporti con la Libia.
Sono d'accordo con i colleghi che, come suggeriva anche il sottosegretario, hanno chiesto di vedere i dati a fine anno. Credo che sarà estremamente interessante, rispetto al numero di richieste, valutare il dato disaggregato mese su mese, guardando anche alle percentuali in evoluzione rispetto alla positiva capacità di accoglimento delle richieste. Penso che da ciò potremo avere una valutazione sul tipo di politica immigratoria che abbiamo realizzato e sulla forma di dissuasione che essa ha esercitato rispetto a coloro che in realtà non hanno la necessità di chiedere il diritto di asilo o di altre forme di protezione.

PRESIDENTE. Prima di cedere ancora la parola ai colleghi, vorrei svolgere una brevissima considerazione. Per quello che mi consta, le persone che cercano di arrivare via mare, chiamiamoli genericamente immigrati clandestini sfruttati dai trafficanti di uomini, rappresentano all'incirca il 14-15 per cento dei clandestini che arrivano globalmente sul territorio nazionale, di cui la grande parte è costituita dai cosiddetti overstayers, ossia da quelle persone il cui permesso di soggiorno o di lavoro è scaduto e che invece rimangono.
Forse il sottosegretario può darmi qualche conferma in questo senso o, se anche se non potesse farlo subito, magari potrà farlo in una successiva audizione o in altri modi.

MAURO DEL VECCHIO. Ringrazio il sottosegretario per la sua relazione molto interessante, soprattutto, come sottolineavano i colleghi, in riferimento ai numeri, che meritano da parte nostra un approfondimento. Vorrei soffermarmi, in particolare, su una cifra molto significativa, quella del 40 per cento delle domande di asilo accolte. Si tratta, infatti, di un valore importante e molto elevato.
Alla luce di questo valore e ferma restando la considerazione testé svolta dal nostro presidente, che cioè soltanto il 14 per cento degli immigrati proviene dal mare, le chiedo se lei non ritenga che questa politica di respingimenti abbia di fatto negato ad un numero consistente di persone un diritto che in altre circostanze gli abbiamo invece riconosciuto. Questo, infatti, è il discorso: il 40 per cento è un numero molto elevato. Probabilmente, se questo trattamento fosse stato applicato anche agli immigrati che hanno dovuto confrontarsi con la nostra politica di respingimento, avremmo avuto un numero consistente di persone che potevano accedere al diritto di asilo.

MASSIMO LIVI BACCI. Ringrazio il sottosegretario, sempre molto preciso ed esauriente nelle sue relazioni, almeno per quanto riguarda ciò che ci ha voluto dire; un po' meno esauriente, invece, riguardo


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al vero problema attuale, che è quello segnalato dai colleghi, ossia dei respingimenti che avvengono in mare. Credo che questo sia il vero problema politico dell'attualità. I clandestini, gli irregolari che arrivano o che sono overstayers rappresentano un piccolo problema in confronto a quelli che arrivano via mare, tra i quali la proporzione di coloro che veramente fuggono da situazioni di pericolo o di persecuzione è elevatissima.
Questo nodo politico non si può negare; il principio di non respingimento è un principio che la giurisprudenza tende ad estendere. Si può, certamente, in qualche modo ragionare in punta di diritto, ma la sostanza è che lo straniero che viene soccorso in mare o che viene intercettato in mare e fatto salire su un natante italiano deve essere identificato e deve poter presentare domanda di asilo e di protezione. Se questo non avviene, l'Italia, nella sostanza e nella forma, contravviene ai principi internazionali. Questa è la sostanza.
Il vero problema politico che non si riesce ad affrontare e ad analizzare con precisione è che cosa avviene nel momento dell'intercettazione. Quanti di coloro che vengono fatti salire sulle nostre motovedette sono identificati nominativamente? E in che misura hanno possibilità di presentare domanda di protezione o di asilo? Questo è il punto cruciale, sia che ciò avvenga nelle acque territoriali, in prossimità delle acque territoriali o nelle acque internazionali che rappresentano la zona di search and rescue.
Non voglio entrare nel dettaglio in quanto non sono un esperto di diritto internazionale o di diritto marittimo, tuttavia la sostanza è questa. Noi abbiamo una responsabilità: come ci poniamo di fronte a questa responsabilità dell'accoglimento di chi fa domanda? Noi stiamo facendo un outsourcing delle nostre responsabilità, questa è la realtà di fatto. Non a caso, infatti, l'Europa, alla quale giustamente chiediamo una corresponsabilità nella gestione delle politiche migratorie - che io vorrei non riguardasse solo la gestione delle frontiere -, è molto perplessa.
Diplomaticamente il vicepresidente Barrot non può andare più in là di osservazioni piuttosto criptiche che, tuttavia, dicono che l'Italia non rispetta il dovere di non respingimento, che è un dovere che vale anche per le acque non territoriali. Questa è la sostanza. Come ci poniamo rispetto a ciò? Quante sono le persone identificate quando vengono intercettate? Sono davvero identificate queste persone? No, non lo sono; si tratta quindi di un respingimento di massa e il respingimento di massa è vietato dalla legislazione europea. Questo è il punto sul quale noi vorremmo dei chiarimenti e su cui il Governo deve fornire dei chiarimenti senza giocare con le parole. Berlusconi dice «sono stati affiancati», «un barcone è stato affiancato dalle nostre motovedette»; ma cosa vuol dire «affiancato»? Affiancato per fare che cosa? Questi sono i punti dolenti per i quali temo la mancanza di risposte vere; una cosa, infatti, sono le risposte difensive e polemiche, altra cosa sono le risposte con dati, fatti, circostanze e numeri. Su questo il Governo tace e ciò credo sia un fatto abbastanza grave.
Penso, inoltre, che questo forte calo delle richieste di asilo sia relativo al secondo quadrimestre; per questo motivo ho chiesto che cosa sia avvenuto nel primo quadrimestre. È chiaro, infatti, come diceva il senatore Del Vecchio, che è come se sottraessimo a coloro che attraversano il Mediterraneo il diritto di chiedere asilo o così potrebbero interpretarlo le persone. Questo è il problema che noi ci troviamo davanti oggi.
A questo problema se ne aggiunge un altro, in quanto i respingimenti avvengono verso la Libia. Con la Libia abbiamo fatto un doveroso trattato di amicizia che ci impone di guardare bene dentro tale questione. Credo che il trattato stesso ce ne dia titolo: nei primi articoli, infatti, si parla di rispetto dei diritti umani. Per ora noi sappiamo poco di quanto avviene in Libia. Il Ministro Maroni - e, mi pare, lo


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stesso sottosegretario, forse in un'audizione alla Commissione diritti umani - aveva parlato di un tavolo presso il Viminale attorno al quale si sarebbero messi l'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, l'Italia e la Libia per cercare di capire come risolvere questo problema.
Il problema potrebbe essere ulteriormente affrontato istituendo in Libia, dove questi disgraziati vengono rimandati, un centro bene attrezzato sotto l'egida delle Nazioni unite, dove si offrano garanzie internazionali e dove forse l'immigrato respinto potrebbe trovare le garanzie necessarie nel caso in cui voglia presentare domanda di asilo. A che punto è questo tavolo? Si è mai riunito questo tavolo? Si sta facendo qualcosa? Queste domande richiedono risposte precise e credo che il Governo abbia il dovere di fornircele.
Dunque, riassumendo, le domande che le pongo riguardano i dati numerici, che vorremmo divisi tra i primi quattro mesi e i secondi quattro mesi, ossia una scheda che si può stilare facilmente; inoltre, le chiedo: gli immigrati intercettati vengono identificati? Esiste una lista nominativa degli identificati? Ci sono domande di asilo avanzate a bordo delle motovedette che intercettano gli immigrati oppure no? Queste sono domande precise. Cosa risponde il Governo?

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario al Ministero dell'interno. Risponderò nell'ordine dei quesiti posti. Innanzitutto, credo che il dato disaggregato debba essere fornito e mi impegno in tal senso a farlo non solo con riferimento alla scansione temporale ma anche, per quanto possibile, alla stima degli arrivi via mare e alle domande presentate dagli overstayers.
Le commissioni funzionanti sono 15, e non 10, e ciò spiega l'accelerazione dei tempi. Le percentuali relative alle domande accolte sono grosso modo le stesse nel corso degli anni. Lascerò la scheda relativa alle domande accolte dal 1999 ad oggi: vedrete che non ci si discosta, con riferimento ai rifugiati, da un range tra il 7 e il 10 per cento, mentre quella che una volta era protezione umanitaria e adesso è protezione sussidiaria ha un range che si è consolidato tra il 30, 32 o 35 per cento.
Da questo punto di vista, non ci sono variazioni significative: le variazioni sono numeriche. Mi fa piacere che il dato relativo ai primi otto mesi del 2009 sia ritenuto basso, con 11.991 domande presentate; si tratta, tuttavia, di un dato certamente più elevato rispetto ai primi otto mesi delle 2007 e rispetto alle intere annualità 2006, 2005, 2004, quando si oscillava attorno alle 10 mila domande presentate. In realtà, viene considerato basso perché lo scorso anno vi fu un picco: le istanze pervenute nel 2008 sono state 31.097, cioè più del doppio rispetto al 2007, quando erano state 14.053. Evidentemente, questo era il dato anomalo e non quello relativo al 2009.
Bisogna chiedersi perché nel 2008 vi sia stata un'affluenza così massiccia. Tra le ipotesi da prendere in considerazione vi è anche, non ultima, quella di un atteggiamento molto rigido assunto da parte di altri partner europei che affacciano nel Mediterraneo che, a iniziare dalla Spagna, ha fatto convergere i flussi verso l'Italia.
Riguardo alla questione dei respingimenti, io non ho nessuna difficoltà a fornire dati e risposte rispetto a ciò che è stato chiesto. Dal 6 maggio, quando cioè è iniziata questa pratica, al 30 agosto 2009, l'Italia ha effettuato otto operazioni finalizzate a ricondurre nei porti libici stranieri partiti clandestinamente a bordo di natanti intercettati in acque internazionali. I clandestini ricondotti in Libia sono stati 757. Il dato relativo all'incidenza dei respingimenti sul totale delle domande non mi sembra che colmi il divario rispetto al 2008. Sono disponibile anche a fornire la distinta per ciascuna di queste operazioni, ma credo sia un po' noioso.
Tali iniziative di riconduzione in Libia dei clandestini, ad avviso del Governo, sono state effettuate in conformità al quadro normativo interno e internazionale. In tal senso, è stata resa anche un'informativa da parte del Ministro dell'interno alla Commissione europea. In applicazione del principio di cooperazione tra gli Stati, l'unità navale di uno Stato può fermare


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nelle acque internazionali un natante privo di nazionalità sospettato di essere utilizzato per il trasporto illegale di immigrati e ricondurre gli stranieri nel Paese dal quale sono partiti su richiesta del Paese a cui appartiene o si presuma appartenga l'unità navale.
Questo è quanto è accaduto in ciascuno di queste otto operazioni: vi è sempre stata la richiesta delle autorità libiche. Peraltro, in tutte le occasioni, gli organismi italiani competenti si sono attivati perché d'intesa con le autorità maltesi e libiche fosse prestato soccorso e assistenza alle persone a bordo dei natanti intercettati. Per esempio, nell'operazione del 4 luglio 2009, sette persone, di cui due uomini e cinque donne, a causa delle loro condizione di salute sono state trasferite a Lampedusa e poi all'ospedale di Catania, dove sono stati ricoverati; qualcosa di simile è avvenuto anche il 30 agosto 2009, con il ricovero di stranieri all'ospedale di Modica, in provincia di Ragusa.
Le fonti di diritto internazionale sono il protocollo addizionale ONU contro la criminalità organizzata transnazionale e la convenzione e protocolli ONU contro il crimine organizzato transnazionale.
Nei confronti della Libia, il riferimento è al trattato di amicizia, partenariato e cooperazione ratificato con legge del 6 febbraio 2009 n. 7 e sottoscritto il 30 agosto 2008. Al punto 1 del trattato si dice che l'Italia, nel corso dell'operazione di respingimento, opera sempre in conformità al principio del non-refoulement, perché non ha mai negato ai clandestini intercettati la possibilità di chiedere asilo. Le forze intervenute di volta in volta in queste operazioni, in certi casi, hanno impiegato diverse ore per le operazioni di soccorso in alto mare, in media 10 ore per ogni operazione; in tutto questo periodo, gli stranieri di volta in volta intercettati non hanno chiesto alcuna forma di protezione internazionale né hanno fatto sapere di essere perseguitati nel loro Paese. Peraltro, nel trattato del 30 agosto 2008, all'articolo n. 6, si prevede che i due Paesi agiscano conformemente agli obiettivi e ai principi della carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
È vero che la Libia non ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato, tuttavia essa ha ratificato la Convenzione dell'Unione africana del 1969 sui rifugiati in Africa e, sommando l'articolo n. 6 del trattato con la convenzione, la Libia è giuridicamente impegnata a garantire protezione non solo ai perseguitati ma a tutti coloro che provengono da aree geografiche a rischio. La Libia, peraltro, ha presieduto nel 2002 la Commissione delle Nazioni Unite per il rispetto dei diritti umani e ha ratificato la maggior parte degli strumenti internazionali per la tutela dei diritti, avendo aderito dal 2004 all'OIM, che è la principale organizzazione intergovernativa nel campo migratorio.
È singolare che tutte le riserve sulla Libia siano sorte da qualche mese a questa parte e che non siano sorte in passato, quando la Libia aveva incarichi ancora più significativi sul fronte della protezione dei diritti. Nessuno intende giocare con le parole e proprio perché badiamo non soltanto alla forma e al rispetto delle norme di carattere internazionale ma anche alla loro sostanza, credo sia superfluo far presente che ogni barcone che con le caratteristiche che conosciamo si avvia in mare dalle coste libiche, come dalle coste di qualsiasi altro Paese, pone a rischio l'esistenza di coloro che sono sul barcone stesso, in quanto, ovviamente, far partire un barcone di 10-12 metri con 100 persone a bordo non risponde a regole di prudenza nautica. Quindi, se i respingenti hanno ottenuto un effetto, esso è stato sicuramente di salvare la vita di coloro che, stando alle percentuali, l'avrebbero persa, come tante volte è accaduto fino a un recente passato, in questi viaggi della disperazione.
È stato sempre prestato soccorso in mare a coloro che manifestavano condizioni di salute precaria, anzi, da questo punto di vista, l'Italia può vantare un


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primato che certamente non è comparabile con quello di altri Paesi del Mediterraneo.
Io mi permetto di auspicare che vi sia un'unità di intenti, anzitutto politica e istituzionale, per far presente tutto ciò che l'Italia ha fatto e continua a fare in questa direzione in sede europea.
Forse può far comodo a qualche Paese europeo che l'Italia continui ad essere, come accadeva fino a qualche mese fa, leader in Europa come Paese destinatario di sbarchi di clandestini; certamente, ne hanno risentito in termini positivi altri Paesi che si affacciano nel Mediterraneo, così come oggi risentono di contraccolpi negativi per via della politica dei respingimenti. Abbiamo notizia che sono ripresi sbarchi di clandestini sulle coste spagnole. Tuttavia, non si può impedire all'Italia, e in particolare al Governo italiano, di esercitare la propria sovranità democratica, costringendola a subire i costi di un fenomeno che nella sostanza, e non a chiacchiere, dovrebbe essere indossato dall'Unione europea e dalla comunità internazionale.
Io non voglio riprendere in questa sede temi di polemica chiedendo che cosa abbia fatto fino a questo momento qualche solerte esponente dell'ONU, sempre pronto a dir male dell'Italia, per impedire le situazioni di crisi in Eritrea e in Somalia che sono alla base di tante fughe di popolazioni disperate. Credo, però, che sia fuori luogo non aver fatto nulla per impedire tali situazioni e pretendere che le conseguenze le paghi soltanto l'Italia. Il Governo italiano ha posto il problema in sede europea, quindi, non c'è nessun tavolo al Viminale; in sede europea è stato detto, in più di un Consiglio dei ministri, che il problema non deve trovare la soluzione sul piano nazionale. Fino al Consiglio dei ministri di ieri, la posizione dell'Italia era la seguente: collaboriamo d'intesa con le autorità libiche - perché non lo si può certo fare con l'imposizione - per realizzare sul territorio libico delle commissioni con targa europea che esaminino le domande di asilo e che abbiano a supporto dei centri di raccolta rispettosi dei diritti e del decoro di chi ivi viene custodito.
Questo avrebbe l'effetto, anzitutto, di stroncare completamente i viaggi della disperazione in mare e, in secondo luogo, di ripartire sull'intera Unione europea i costi umani e umanitari dell'accoglienza, senza farli gravare soltanto su qualche Paese particolarmente esposto, a cominciare dall'Italia. Questa è la posizione dell'Italia e ci attendiamo che quella solerzia che in certi casi qualche esponente dell'Unione europea dimostra nell'avanzare riserve nei confronti della nostra azione, venga rivolta invece verso la soluzione della questione in questi termini.
Nel frattempo, avendo iniziato questa prassi dei respingimenti e ritenendo che stia proseguendo positivamente, noi non abbiamo nessuna intenzione di interromperla o di sospenderla.

VINCENZO TADDEI. Condivido ampiamente quanto ha detto il sottosegretario. Ricordo che su questa materia, nella fase preliminare dell'approvazione degli accordi con la Libia, molti esponenti dell'opposizione chiedevano che si arrivasse subito alla ratifica dell'accordo, in quanto si riteneva che ciò fosse uno degli elementi cardine per addivenire a una sorta di frenata di questa invasione che di mese in mese sta aumentando nel nostro Paese. Io credo che l'azione che meritoriamente ha svolto e sta svolgendo il Governo abbia prodotto gli effetti positivi.
Penso, infatti, che abbiamo evitato che nel nostro Paese si verificasse una invasione continua di immigrati clandestini, rispetto ai quali, evidentemente, è necessaria una politica che va al di là di quella italiana. Come diceva il sottosegretario, è necessario che l'Unione europea si faccia carico non solo della parte emergenziale, ma anche della politica più generale; e non solo l'Europa, ma anche l'ONU dovrebbe avere un ruolo determinante nel cercare soluzioni per alcune situazioni dell'Eritrea, della Somalia e di altre popolazioni dell'area subsahariana.
Io credo che vi sia la necessità di smettere di reclamare soltanto per l'eventuale


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mancata osservanza delle norme umanitarie nella fase del respingimento; su questo il sottosegretario è stato molto preciso e puntuale: le azioni si svolgono nel rispetto puntuale delle norme internazionali e anche nel rispetto di quei disperati. Contestualmente, io penso che l'Italia non possa farsi carico da sola della soluzione del problema più complesso, ossia del motivo per cui migliaia e migliaia di persone abbandonano il proprio territorio per andare verso l'Europa. Riguardo, poi, ad alcune posizioni assunte anche dal commissario Barrot rispetto a questo tema, io credo che, invece di accusare il nostro Paese di mancanza di rispetto di alcune norme, sarebbe opportuno che si attivasse in sede europea affinché si determini una vera politica, non soltanto paroliera ma in termini di normative e di risorse umane e finanziarie, che consenta di far fronte in maniera seria e puntuale a questo problema.
Credo che il Governo stia compiendo un'azione estremamente meritoria e ritengo che, per quanto riguarda la parte emergenziale, debba continuare in questa direzione. Contestualmente, dobbiamo continuare, come stiamo facendo, a chiedere in sede europea - e non solo in sede europea - che si attui una reale politica di intervento nelle aree di crisi, in modo particolare in Africa, in modo da attutire e nel tempo evitare che vi sia una immigrazione clandestina.

IVANO STRIZZOLO. Vorrei solo avanzare una richiesta. Poiché il Sottosegretario Mantovano ha fatto cenno ad una risposta inoltrata all'Unione europea, vorrei sapere se sia possibile, a meno che non l'abbiamo già, acquisire agli atti della nostra commissione tale risposta con i chiarimenti che il Governo ha fornito. Come diceva il collega Livi Bacci, io non sono ancora del tutto convinto di come si sono svolti questi respingimenti in ordine al rispetto dei diritti umani, delle convenzioni e del diritto internazionale. Con questa risposta, forse, avremo qualche ulteriore elemento e informazione.

MASSIMO LIVI BACCI. Il Sottosegretario Mantovano non ha risposto a un quesito che secondo me è fondamentale. Queste persone vengono identificate?

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario al Ministero dell'interno. No.

MASSIMO LIVI BACCI. Appunto, non c'è identificazione. Si tratta, quindi, di un respingimento di massa che non è ammesso dalla normativa. Diciamo le cose come stanno. Da questo punto di vista noi non osserviamo in toto il principio di non-refoulement. Nella sostanza questo è il discorso.
Inoltre, bisogna chiedersi come mai nessuno delle 750 persone intercettate ha presentato domanda di asilo; è infatti un po' strano. Se la percentuale delle richieste ammesse è del 40 per cento, su 750 dovrei trovarne 300 presentate; invece, su questi otto natanti intercettati nessuno ha avanzato domanda di asilo. È chiaro che durante le operazioni di trasbordo non c'è tempo per mettersi a sedere attorno ad un tavolo e dire di cosa si ha bisogno: i nostri gli salvano la vita, montano sopra al natante, forniscono l'acqua, le cure: non c'è materialmente il tempo per l'identificazione. Non c'è possibilità di farlo e questo bisogna dirlo: nel sistema di respingimento in mare, così come adesso è concepito, non c'è possibilità di avanzare richiesta di asilo.
L'Europa compie dei rilievi di ordine giuridico; questi rilievi o sono fondati o non lo sono. Se lo sono, però, bisogna prenderli in considerazione. Non si può rispondere che noi siamo buoni sotto altri aspetti, perché ciò non è rilevante: lei che è un giurista dovrebbe saperlo. Alle Nazioni Unite c'è un commissario che si occupa dei rifugiati e il suo mestiere è quello di accertarsi che le cose corrano in un certo modo. Non si può controbattere chiedendo che cosa facciano le Nazioni Unite per la Somalia: questo è infatti un altro discorso e pertiene ad un altro dipartimento.
Si tratta, dunque, di un salvataggio in angolo che però non elimina l'opposizione avversaria.


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PRESIDENTE. Prima di dare nuovamente la parola al Sottosegretario Mantovano, che ringrazio ancora una volta per la presente audizione, vorrei svolgere anch'io un paio di considerazioni.
Questi respingimenti o, come credo sarebbe più corretto dire, questi «riaccompagnamenti» nei porti di partenza di persone che, sfruttate dai mercanti, tentano di raggiungere le coste europee, avvengono in base a dei trattati e, dal mio punto di vista, senza violare le norme della Convenzione di Ginevra. Soprattutto, queste persone vengono riaccompagnate in Libia, non vengono rispedite in Somalia o in Eritrea dove effettivamente la scelta è tra crepare di fame o crepare sotto il fuoco del terrorismo. Esiste, quindi, una sostanziale differenza rispetto al principio di non-refoulement, che credo l'Italia osservi scrupolosamente.
A questo proposito vorrei citare un'esperienza passata, quando nel 1991 arrivarono 24 mila cittadini albanesi sulla nave Vlora: ricorderete quell'immagine terrificante. All'epoca, il Governo decise di riportarli tutti in Albania salvo, naturalmente, i disertori, i quali ottennero lo stato di rifugiato per motivi umanitari in Italia. Ciò fu attuato con un gigantesco ponte aereo che riportò in territorio albanese i 24 mila cittadini albanesi che avevano raggiunto Bari nell'agosto del 1991. Ancora ricordo non soltanto le polemiche interne, ma anche la durissima critica dell'allora alto commissario per i rifugiati, il quale si appellava al principio sacrosanto del non-refoulement.
Noi, però, li riportammo in Albania in quanto nel frattempo era caduto il regime di Enver Hoxha e si era costituito da pochi mesi un primo fragile Esecutivo, democraticamente eletto. E non soltanto li riportammo dopo aver avuto ampie assicurazioni che non sarebbero stati imprigionati o torturati ma - sempre nell'assoluto assordante silenzio dell'Europa, la quale considerava il problema albanese un problema italiano - abbiamo iniziato un programma di sviluppo e di aiuto economico all'Albania che, letteralmente, ha sfamato un intero Paese per un anno e mezzo. Quella fu un'operazione molto criticata dagli organismi internazionali che alla fine, però, è risultata confacente non soltanto con il diritto internazionale ma anche con i diritti degli individui e con il destino di un Paese, l'Albania, col quale adesso abbiamo eccellenti rapporti e dal quale non provengono più le fughe di massa che avevano segnato tutto l'inizio degli anni '90.
Non ci sono analogie da fare, la situazione, infatti, è molto diversa e le persone che, in genere, arrivavano a decine di migliaia a Lampedusa o in altri porti siciliani non provenivano tutti dal corno d'Africa, ma il grosso proveniva da Paesi come Tunisia, Marocco o addirittura Egitto e si trattava di persone che venivano soprattutto nel tentativo di migliorare il loro stato economico.
Questo dato io credo che debba essere esaminato con accuratezza, altrimenti viene fuori l'immagine di un Governo nazi-fascista che manda indietro a morire in Libia persone che stavano già in Libia da anni. La verità è che in Libia ci sono circa due milioni e mezzo di persone che provengono da altri Paesi africani; tra essi, non tutti vogliono venire in Europa ma alcuni ci provano mettendo a rischio la loro vita e alcuni sono effettivamente possibili soggetti di protezione umanitaria. Il grosso, tuttavia, è molto spesso costituito da persone di nazionalità con le quali abbiamo altri accordi di riammissione, come la Tunisia, l'Egitto eccetera.
È un quadro molto complesso e molto doloroso ma l'idea di concludere che l'Italia sia un grossolano violatore dei fondamentali diritti umani credo sia un'idea che andrebbe attenuata o almeno, con il supporto di ulteriori audizioni, esaminata con un occhio più freddo.

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario al Ministero dell'interno. Vorrei fare una precisazione.
Non credo sia corretto stabilire un'equazione tra ciò che accade sul canale di Sicilia da maggio a oggi e la diminuzione delle istanze di asilo. Gli sbarchi che chiamano in causa soprattutto il canale di


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Sicilia hanno registrato, da maggio a oggi, un decremento del 94 per cento, mentre i primi otto mesi del 2009, confrontati con i primi otto mesi del 2008, registrano un calo delle domande presentate del 35 per cento.
Vi è certamente un sistema informativo che funziona e che ha fatto sì che dal Marocco, negli ultimi quattro o cinque anni, si preferisse arrivare in Italia piuttosto che in Spagna. Intorno al 2004 ci siamo trovati a scoprire che a Lampedusa i cittadini marocchini che sbarcavano clandestinamente erano passati, da un anno all'altro, dal 3 al 34 per cento e questo avveniva perché la Spagna - non so sulla base di quali fonti normative - utilizzava i metodi che conosciamo, soprattutto a Ceuta e Melilla.
Non è da escludere - ma si tratta di un tema da approfondire, anche sulla base dei dati disaggregati - che fra le cause della ripresa di sbarchi clandestini in Spagna e della loro contrazione in Italia, ci sia anche questa consapevolezza, cioè che l'Italia non è più un posto dove si arriva facilmente. D'altra parte, stiamo parlando di 757 persone che sono state ricondotte in Libia, non di migliaia e migliaia.
Riguardo all'identificazione, è ovvio che essa non possa essere compiuta. Il meccanismo dell'identificazione è di una complessità notevole; non a caso sono necessari la permanenza in un CIE e il raccordo con le autorità consolari. Dobbiamo pertanto decidere: se questa è la strada che intendiamo seguire - non so sulla base di quali disposizioni -, allora fino adesso abbiamo scherzato e li lasciamo arrivare tutti, salvo poi metterli nei CIE. Poi ci saranno le proteste perché i CIE sono troppo pieni e tutti gli altri film già visti negli ultimi anni.
L'operazione che si sta portando avanti non si colloca nella prospettiva dell'espulsione ma nella prospettiva di una collaborazione richiesta dalle autorità libiche perché nelle proprie acque o in acque internazionali ci sia un aiuto per far tornare queste persone nel territorio libico. L'identificazione, quindi, è un discorso che credo non vada neanche tenuto in considerazione. Ovviamente, ciascuno rimarrà della sua opinione; tuttavia, ricordando quello che il Governo italiano ha prospettato in sede europea - fornirò in seguito la documentazione a riguardo - credo di aver fatto riferimento a dati di diritto; tali dati possono soddisfare o meno, ma rimangono dei dati.
Le considerazioni politiche sono al netto di ciò e spero di non aver dato l'impressione di sovrapporre i due piani.

PRESIDENTE. La ringrazio e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 13.25.

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