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Resoconti stenografici delle audizioni

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Commissioni Riunite (Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e V Camera)
AUDIZIONE
7.
INDAGINE CONOSCITIVA
1.
Mercoledì 16 febbraio 2011
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

La Loggia Enrico, Presidente ... 3

Audizione di rappresentanti della Ragioneria generale dello Stato e del Ministero della salute nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (Atto n. 317) (ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati):

La Loggia Enrico, Presidente ... 3 8 12 14 19 20
Bilardo Salvatore, Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni (IGEPA) ... 3
Boccia Francesco (PD) ... 19
Causi Marco (PD) ... 14
D'Ubaldo Lucio Alessio (PD) ... 16
Lanzillotta Linda (Misto-ApI) ... 18
Massicci Francesco, Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale (IGESPES) ... 9
Nannicini Rolando (PD) ... 17
Palumbo Filippo, Capo del Dipartimento della qualità del Ministero della salute ... 12

ALLEGATI:
Allegato 1: Documentazione consegnata da Salvatore Bilardo, ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni ... 22
Allegato 2: Documentazione consegnata da Francesco Massicci, ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale ... 24

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Seduta del 16/2/2011


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...
Audizione di rappresentanti della Ragioneria generale dello Stato e del Ministero della salute nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario (Atto n. 317).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e dell'articolo 144 del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione di rappresentanti della Ragioneria generale dello Stato e del Ministero della salute.
Do la parola al dottor Salvatore Bilardo, ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni.

SALVATORE BILARDO, Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni (IGEPA). Innanzitutto ringrazio per l'invito.
Lo schema di decreto legislativo concernente l'autonomia di entrata di regioni e province approvato dal Consiglio dei ministri del 7 ottobre 2010 e modificato in sede di intesa in Conferenza unificata, nella seduta del 16 dicembre 2010, come opportunamente indicato nella relazione illustrativa, mira sostanzialmente ad eliminare alcuni difetti di struttura delle principali voci di entrata delle regioni, senza stravolgerne l'impianto fondamentale.
Infatti, IRAP, addizionale IRPEF e compartecipazione IVA permangono le fonti principali di finanziamento delle funzioni regionali. In particolare, a decorrere dall'anno 2012, l'addizionale regionale all'IRPEF è destinata a sostituire i trasferimenti statali di parte corrente e la compartecipazione all'accisa sulla benzina: 1.734 milioni di euro secondo le quantificazioni per il 2008.
Contestualmente, verranno ridotte le aliquote IRPEF di competenza statale al fine di mantenere inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente. Le regioni potranno poi disporre con propria legge incremento o diminuzione delle aliquote di base. Le maggiorazioni potranno essere effettuate entro i limiti dello 0,5 per cento sino all'anno 2013, cioè secondo quanto attualmente previsto, dell'1,1 per cento per l'anno 2014 e del 2,1 per cento a decorrere dall'anno 2015.
L'attuale sistema di determinazione dell'aliquota di compartecipazione regionale all'IVA, previsto dal decreto legislativo n. 56 del 2000 resta in vigore sino all'anno 2013. A decorrere dall'anno 2014 l'aliquota


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è stabilita al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare in una sola regione il pieno finanziamento del fabbisogno connesso ai livelli essenziali delle prestazioni (LEA sanità, assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale - parte capitale). Per le restanti regioni viene previsto, invece, un fondo perequativo alimentato da un'ulteriore quota di compartecipazione IVA determinata in modo tale da garantire il finanziamento integrale delle spese connesse ai livelli essenziali delle prestazioni.
A decorrere dall'anno 2013 si modificano le modalità di attribuzione del gettito della compartecipazione IVA a ciascuna regione, in conformità con il principio di territorialità, in modo da tener conto del luogo di consumo identificato con quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, così da correggere le distorsioni create dall'attuale meccanismo che assegna le risorse in base ai consumi Istat, incorporando gli effetti negativi dell'evasione fiscale.
Infine, a decorrere dall'anno 2014 si attribuisce a ciascuna regione a statuto ordinario la facoltà di ridurre con propria legge le aliquote dell'IRAP fino ad azzerarle e di disporre deduzioni dalla base imponibile. Tali interventi sono esclusivamente a carico del bilancio della regione, che pertanto potrà attuarli esclusivamente in conseguenza di una gestione regionale avveduta; in particolare, al fine di evitare che la riduzione IRAP sia finanziata non già attraverso efficientamenti e riduzioni di spesa, bensì attraverso incrementi di addizionale IRPEF, tale facoltà non è consentita in caso di incrementi di addizionali IRPEF superiori allo 0,5 per cento rispetto all'aliquota base.
In ogni caso, sia per l'IRAP che per l'addizionale regionale IRPEF restano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazione e di incremento delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari.
Una disamina dei profili finanziari connessi all'attuazione del provvedimento in esame non può prescindere dal principio di invarianza dei saldi di finanza pubblica recata dall'articolo 28 della legge n. 42 del 2009.
Sulla base dei dati forniti, in relazione tecnica, dal competente Dipartimento delle finanze, nel 2008 il gettito dell'addizionale regionale IRPEF al netto delle manovre regionali è stato stimato in circa 5.300 milioni di euro.
Sulla base dei dati dei rendiconti consuntivi regionali per l'anno 2008, la minore entrata correlata alla soppressione della compartecipazione all'accisa sulla benzina è di complessivi 1.734 milioni.
Per quanto attiene, invece, ai trasferimenti statali di parte corrente destinati alle regioni a statuto ordinario per l'esercizio delle funzioni di competenza regionale, aventi carattere di generalità e permanenza, una valutazione potrebbe essere effettuata considerando i capitoli del bilancio dello Stato che presentano tali caratteristiche, tra quelli individuati per il cosiddetto Fondo unico regionale, sulla base dei lavori svolti in sede di COPAFF.
A tal fine, i trasferimenti destinati alle regioni a statuto ordinario potrebbero essere stimati prendendo a riferimento gli stanziamenti di bilancio a legislazione vigente per gli anni 2012 e 2013 inclusivi della riduzione lineare del 10 per cento di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 78 del 2010.
Per ripartire i trasferimenti complessivamente determinati tra le singole regioni potrebbero essere utilizzate le informazioni desunte dai decreti ministeriali di riparto. In assenza di tali informazioni, potrebbe essere considerata la distribuzione dei pagamenti desunti dal sistema informativo della Ragioneria generale dello Stato (SIRGS).
Ai predetti capitoli di natura corrente aventi carattere generale e permanente occorre applicare il taglio dei trasferimenti statali previsto dall'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010, complessivamente pari a 4 miliardi per il 2011 e a 4,5 miliardi a decorrere dal 2012.


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L'articolo 14 ha previsto l'emanazione di uno specifico DPCM attraverso cui recepire i criteri e le modalità delle riduzioni da stabilire in sede di Conferenza Stato-regioni. Tali criteri sono stati proposti dalle regioni e approvati nel corso della seduta della Conferenza Stato-regioni del 18 novembre 2010.
In particolare, le regioni hanno chiesto di escludere dalle riduzioni per l'anno 2011 le risorse dell'edilizia sanitaria pubblica per 559 milioni, della salute umana e sanità veterinaria per 173 milioni, nonché una quota delle risorse di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 422 del 1997 finalizzate all'esercizio del trasporto pubblico locale per 372 milioni di euro. L'iter procedurale per l'emanazione del DPCM di recepimento di tali criteri per l'anno 2011 è in avanzata fase di definizione (di fatto, è alla registrazione della Corte dei conti).
Nel corso della seduta della Conferenza Stato-regioni le autonomie regionali hanno formulato una proposta anche per l'anno 2012, chiedendo che dalle riduzioni sia esclusa una quota parte delle risorse dell'edilizia sanitaria pubblica: 1.161 milioni di euro. Avendo, tuttavia, le regioni la possibilità di rivedere, entro il 30 settembre prossimo venturo, i criteri di riparto e dei tagli (4,5 miliardi di euro), il DPCM per l'anno 2012 non è stato ancora perfezionato. Da ciò deriva l'impossibilità di poter procedere, al momento, a una puntuale stima dei trasferimenti alle regioni da fiscalizzare con incremento dell'addizionale IRPEF.
Diversamente dall'attuale sistema, definito dal decreto legislativo n. 56 del 2000, il nuovo assetto prevede diverse modalità di finanziamento in relazione alle differenti tipologie di spese finanziate.
Le fonti di finanziamento delle spese sono distinte tra spese riconducibili ai LEP e altre spese. Il fondo perequativo che dovrà garantire in ogni regione il finanziamento integrale delle spese riconducibili ai LEP è alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell'IVA. Nel primo anno di funzionamento del fondo perequativo, le suddette spese sono computate anche in base ai valori di spesa storica; nei successivi quattro anni devono gradualmente convergere verso i costi standard. Per il settore sanitario il presente provvedimento già stabilisce i criteri per la definizione di costi e fabbisogni standard. Manca ancora, invece, un'adeguata riflessione sull'individuazione dei fabbisogni nel caso degli altri settori di spesa per funzioni LEP.
Per il finanziamento delle altre spese, le quote del fondo perequativo sono regolate sulla base della maggiore o minore capacità fiscale (gettito per abitante dell'addizionale regionale all'IRPEF superiore o inferiore al gettito medio nazionale per abitante). L'obiettivo è di ridurre le differenze interregionali di capacità fiscale.
Il presente decreto attua, inoltre, una razionalizzazione del quadro normativo esistente in materia di tributi delle province, correggendo alcune improprie stratificazioni. In particolare, a decorrere dall'anno 2012, l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante da circolazione di veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, costituisce tributo proprio derivato delle province, con aliquota pari al 12,5 per cento (1.832 milioni di euro) e con la possibilità per le province medesime di aumentare o diminuire l'aliquota in misura non superiore a 2,5 punti percentuali dal 2014. Resta poi attribuita alle province l'imposta provinciale di trascrizione, con le modalità previste dalla vigente normativa: 1.041 milioni di euro.
Alle province viene poi attribuita una compartecipazione all'IRPEF in misura tale da compensare i trasferimenti statali aventi carattere di generalità e permanenza soppressi (720 milioni di euro per il 2012 e 732 milioni di euro per il 2013) a decorrere dall'anno 2012, alla cui individuazione è demandato apposito DPCM sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, oltre alla soppressa addizionale provinciale dell'accisa sull'energia elettrica di cui all'articolo 52 del decreto legislativo n. 504 (788 milioni di euro).
Il gettito della predetta compartecipazione alimenterà un fondo sperimentale di riequilibrio istituito a decorrere dall'anno


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2012, per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata l'attribuzione alle province dell'autonomia di entrata.
A tale scopo si ipotizza che i trasferimenti da considerare ai fini della soppressione siano quelli provenienti dal Ministero dell'interno di natura permanente e generale, identificati in ambito COPAFF.
In particolare, partendo dagli stanziamenti di bilancio per l'anno 2010 relativi ai predetti capitoli ed includendo le riduzioni disposte dal comma 183 della legge finanziaria 2010 (si tratta dei c.d. costi della politica), è stata effettuata una stima dell'ammontare dei trasferimenti di tipo «A», cioè permanente e generale, destinato alle sole province delle regioni a statuto ordinario per il periodo considerato. Tale stima potrà essere suscettibile di modifica con l'adozione del DPCM di individuazione dei trasferimenti da fiscalizzare.
Applicando poi la riduzione dei trasferimenti statali alle province prevista dall'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010, pari a 500 milioni di euro a decorrere dal 2012, gli importi dei trasferimenti suscettibili di fiscalizzazione ammonterebbero - ivi inclusi 424 milioni di compartecipazione all'IRPEF - a circa 720 milioni di euro per l'anno 2012 e a 732 milioni di euro per l'anno 2013. Conseguentemente, la compartecipazione all'IRPEF da riconoscere alle province che assicura la salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica, può essere valutata in circa 1,5 miliardi.
Il provvedimento in esame, sempre nell'ottica di eliminare il vigente sistema di finanza derivata, prevede la soppressione, a decorrere dal 2012, dei trasferimenti regionali di parte corrente diretti al finanziamento delle spese dei comuni e delle province.
Per ciò che riguarda i comuni, i trasferimenti considerati sono quelli aventi carattere di generalità e permanenza. La neutralità finanziaria è assicurata mediante il riconoscimento, da parte di ciascuna regione a statuto ordinario, di una corrispondente compartecipazione ai tributi regionali, prioritariamente l'addizionale regionale all'IRPEF. Il gettito di tali tributi è destinato ad alimentare un fondo sperimentale regionale di riequilibrio per garantire in forma progressiva e territorialmente equilibrata la fiscalizzazione dei trasferimenti regionali.
Per ciò che riguarda le province, sono considerati tutti i trasferimenti di parte corrente. La neutralità finanziaria è assicurata mediante riconoscimento, con un meccanismo del tutto analogo a quello dei comuni, da parte di ciascuna regione a statuto ordinario, di una compartecipazione provinciale alla tassa automobilistica regionale.
A tal proposito, occorre evidenziare che, ferme restando le scelte che saranno adottate da ciascuna regione con i propri enti locali in ordine ai trasferimenti da fiscalizzare, in sede COPAFF, nonché nel corso delle riunioni tecniche tenutesi in Conferenza unificata, è emersa una significativa differenza nell'ammontare dei trasferimenti in questione desumibili dai bilanci regionali rispetto a quelli omologhi previsti nei bilanci degli enti locali. In particolare, il dato che emerge dalla relazione COPAFF sui trasferimenti correnti risulta, dall'analisi dei bilanci regionali, pari a 2.450 milioni per i comuni e a 2.750 milioni per le province. Di contro, le medesime voci ammontano a 2.420 milioni sulla base dei bilanci dei comuni e a 2.800 milioni sulla base dei bilanci delle province.
Se dal dato complessivo concernente tutte le regioni a statuto ordinario si passa all'analisi del fenomeno per singola regione, le predette differenze in alcune realtà sono ancora più significative. Tali differenze sono chiaramente riconducibili all'adozione di sistemi contabili non omogenei che, come più volte sottolineato dalla Ragioneria generale dello Stato, rende ormai urgente e necessaria la previsione di princìpi di armonizzazione dei bilanci degli enti territoriali.
Lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri in data 22 dicembre 2010 in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi


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di bilancio degli enti territoriali si muove in tale direzione, garantendo, tra l'altro, la contestualità tra accertamenti ed impegni per i trasferimenti tra le amministrazioni pubbliche a cui il decreto si riferisce.
Sottolineare tale anomalia ci consente di effettuare qualche riflessione in merito al processo di armonizzazione dei bilanci degli enti territoriali. L'armonizzazione dei princìpi contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali costituisce, infatti, un'esigenza imprescindibile al fine di disporre di dati di bilancio omogenei e confrontabili per il consolidamento dei conti delle pubbliche amministrazioni, oltre che per soddisfare le esigenze informative connesse all'attuazione del federalismo fiscale. Soltanto con l'adozione di schemi comuni di bilancio e di regole contabili uniformi sarà infatti possibile disporre di informazioni corrette ed omogenee per la costruzione di benchmark di efficienza e appropriatezza, definiti con riferimento alla qualità e alla quantità dei servizi erogati a livello territoriale.
Nell'intervento del collega Massicci verrà peraltro sottolineata l'importanza di un linguaggio contabile comune per un'efficace governance del sistema sanitario e dei livelli essenziali delle prestazioni in generale.
Su questi temi di notevole interesse per gli organi preposti al coordinamento di finanza pubblica si avrà modo di riflettere allorché verrà posto all'attenzione parlamentare il relativo schema di decreto legislativo attualmente all'esame della Conferenza unificata.
A decorrere dall'anno 2017 si prevede l'istituzione di un fondo perequativo nel bilancio statale, con indicazione separata degli stanziamenti per i comuni e per le province, a titolo di concorso per il finanziamento, sulla base dei fabbisogni standard, delle funzioni fondamentali svolte dai predetti enti.
La stessa disposizione prevede, inoltre, che ciascuna regione istituisca nel proprio bilancio due fondi, uno per i comuni e l'altro per le province, alimentati dal predetto fondo. La ripartizione del fondo perequativo dovrà avvenire utilizzando indicatori di fabbisogno finanziario e indicatori di fabbisogno infrastrutturale.
A tal proposito, è però da segnalare che l'articolo 13 dello schema di decreto legislativo sul federalismo municipale approvato dal Consiglio dei ministri e di recente esaminato da questa Commissione prevede anch'esso l'istituzione di un fondo perequativo per province e comuni, anche se si limita a disciplinare più specificatamente quello comunale. Appare, quindi, necessario che le due disposizioni in esame siano tra loro coordinate, al fine di evitare che differenti discipline creino sovrapposizioni, con conseguenti difficoltà di applicazione. Ad esempio, non appare chiaro se sia o meno confermata la decorrenza prevista dall'anno 2017 dall'articolo 19 del presente decreto.
Inoltre, occorre rammentare che l'articolo 21 della legge n. 42 del 2009 dispone, in sede di prima applicazione, la determinazione dei fondi perequativi di comuni e province in misura pari, per ciascun livello di governo, alla differenza tra i trasferimenti statali soppressi e le maggiori entrate devolute ai comuni e alle province.
In altri termini, gli istituendi fondi perequativi per province e comuni non possono comportare oneri per la finanza pubblica, ma vanno definiti nell'ambito delle risorse derivate ed originarie agli stessi comparti riconosciuti a legislazione vigente.
Lo schema di decreto legislativo in materia di autonomia di entrata delle regioni e province in esame, in armonia con quanto previsto dall'articolo 27 della legge delega n. 42 del 2009, prevede che le disposizioni in esso contenute si applicano nei soli territori delle regioni a statuto ordinario.
Nella relazione del 30 giugno 2010, la COPAFF aveva già evidenziato la necessità di estendere alle autonomie speciali i princìpi generali ricavabili dalla legge n. 42 del 2009, in particolare la determinazione del fabbisogno standard, il superamento della spesa storica, la perequazione, la solidarietà, sebbene con strumenti diversi dai decreti legislativi delegati, e cioè attraverso


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le procedure di cui all'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 (tavolo di confronto per gli indirizzi generali e norme di attuazione in Commissione paritetica per la definizione delle norme).
La Corte costituzionale, con sentenza n. 201 del 2010, ha stabilito l'esclusiva applicabilità nei confronti delle autonomie speciali dei princìpi contenuti negli articoli 15, 22 e 27 della legge n. 42 del 2009. Secondo tale pronuncia si deve quindi ritenere che i princìpi della legge n. 42 del 2009 non possono essere direttamente desunti dagli articoli cui devono riferirsi i decreti legislativi delegati per l'attuazione del federalismo, ma devono essere definiti nell'ambito più corretto della normativa di attuazione statutaria.
Da ciò si desume una diversità di percorso procedurale, ma una sostanziale omogeneità dei princìpi cui ispirare un nuovo ordinamento finanziario delle regioni a statuto ordinario e delle regioni a statuto speciale, pur nel rispetto delle diversità statutariamente riconosciute. In altri termini, si ritiene opportuna una rivisitazione delle norme di attuazione degli ordinamenti finanziari delle autonomie speciali, ispirate ai princìpi che, con specifico riferimento alla lettera del predetto articolo 27, riguardano gli obiettivi di perequazione e di solidarietà, l'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, il principio del graduale superamento del criterio della spesa storica, cui peraltro si lega uno dei punti cardine della riforma, ovvero la definizione condivisa tra i vari livelli di governo dei costi e dei fabbisogni standard per l'intero territorio nazionale.
Il comma 2 del medesimo articolo 27, nel prevedere che le norme di attuazione di cui al comma 1 tengono conto della dimensione della finanza delle predette regioni e province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, introduce la necessità che vengano adottati standard comparativi che consentano una valutazione sull'attualità degli ordinamenti finanziari e sulla loro idoneità alla copertura finanziaria delle funzioni esercitate o da trasferire.
Questa Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, in sede di esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, ha invitato il Governo a valutare l'opportunità di adottare un decreto legislativo correttivo del decreto legislativo n. 216 del 2010, finalizzato ad estendere agli enti locali appartenenti ai territori delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano l'applicazione, a fini esclusivamente conoscitivi e statistico-informativi, delle disposizioni relative alla raccolta dei dati da parte della SOSE, inerenti al processo di definizione dei fabbisogni standard da far confluire nella banca dati informativa.
Un vero federalismo fiscale non può, infatti, prescindere da valutazioni che riguardano tutto il territorio nazionale e dalla necessità di evitare che si proceda con analisi e percorsi parcellizzati e diversificati nel tempo e nei territori.
L'eliminazione delle inefficienze e delle storture in materia di finanza pubblica, cui è finalizzato il processo di federalismo fiscale, non può che riguardare l'intero territorio nazionale.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Bilardo per la puntuale esposizione.
Se posso permettermi, con riferimento alle regioni a statuto speciale - lei sa che è un argomento a me particolarmente caro - forse mi sarei limitato a un rilievo tecnico, mentre c'era anche qualche indicazione di indirizzo politico che forse sarebbe stato più appropriato venisse direttamente dal Ministro che non da parte della Ragioneria. Tuttavia, questa è una mia personale opinione. Se, da un punto di vista personale, posso apprezzare queste osservazioni che contengono un indirizzo politico, da un punto di vista parlamentare, invece, forse siamo andati un tantino oltre il confine. La ringrazio, comunque, perché ascoltarla è stato estremamente utile.
Do la parola al dottor Massicci, ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale.


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FRANCESCO MASSICCI, Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale (IGESPES). Grazie, presidente, e buonasera a tutti. Il mio intervento riguarderà il Capo IV del provvedimento, relativo ai costi e fabbisogni standard nel settore sanitario. Farò riferimento, ovviamente, al testo approvato dal Consiglio dei ministri, quindi preciserò le modifiche che sono state richieste nella Conferenza Stato-regioni. Il mio intervento, naturalmente, avrà l'angolo di osservazione dell'amministrazione del Ministero dell'economia.
Nella riunione tecnica del 23 settembre 2010, preparatoria al seminario dei fabbisogni standard tenutosi su iniziativa della Camera dei deputati il 19 ottobre 2010, si è avuto già modo di rilevare, in particolare, che nel settore sanitario, in un contesto costituzionale che garantisce la salute come diritto inviolabile del singolo ed interesse della collettività, la funzione sanitaria pubblica è esercitata da due livelli di governo, statale e regionale. Lo Stato definisce i livelli essenziali di assistenza e, in quanto responsabile del coordinamento della finanza pubblica, anche ai fini del rispetto dei vincoli europei, definisce - d'intesa con le regioni e tenendo conto dei complessivi vincoli macroeconomici e delle compatibilità di finanza pubblica - il livello complessivo del finanziamento del servizio sanitario nazionale necessario alla loro erogazione in condizioni di efficienza e appropriatezza. Le regioni, viceversa, hanno il compito di organizzare i rispettivi servizi sanitari e garantire l'erogazione delle prestazioni.
In tale contesto, assume un'importanza fondamentale la definizione di meccanismi di coordinamento dei diversi livelli di governo, al fine di assicurare una gestione della funzione sanitaria pubblica responsabile, efficiente ed efficace su tutto il territorio nazionale, nel rispetto dei predetti vincoli di bilancio programmati e in funzione dei richiamati obiettivi definiti a livello comunitario discendenti dal Patto di stabilità e crescita.
La sede di definizione di tale governance è stata individuata, a partire dall'anno 2000, nelle intese Stato-regioni, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge n. 131 del 2003, attuativa dell'articolo 120 della Costituzione.
Gli strumenti tecnici di programmazione, gestione e controllo su cui si fonda il meccanismo di governance del servizio sanitario regionale sono essenzialmente sintetizzabili nei seguenti profili: idonee procedure amministrative, contabili e gestionali; strumenti di benchmark, quali indicatori di rispetto della programmazione nazionale, indicatori sui costi medi ponderati delle prestazioni erogate e la spesa pro capite; adeguati meccanismi di responsabilizzazione diretti, da un lato, a garantire che i singoli sistemi sanitari regionali eroghino effettivamente le prestazioni ricomprese nei LEA, nella tutela del diritto alla salute dei cittadini, e dall'altro a impedire comportamenti di «moral hazard» da parte delle regioni che, in una prospettiva dei ripiani di disavanzi, allentano il vincolo di bilancio, rendendo così necessaria una rinegoziazione ex post e sostanzialmente a piè di lista della cornice finanziaria, che compromette le generali compatibilità finanziarie dell'intero sistema; criteri contabili condivisi e consolidati (le linee guida dei modelli di contabilità delle aziende sanitarie sono arrivate alla terza edizione), in corso di ulteriore potenziamento con lo schema di decreto legislativo concernente l'armonizzazione dei sistemi contabili, che prevede una specifica sezione destinata al sistema sanitario. Nell'ambito del Patto per la salute 2010-2012 specifiche disposizioni stabiliscono processi di ricognizione dello stato dei procedimenti contabili, fino a pervenire alla certificabilità dei bilanci delle aziende sanitarie. Presso il Ministero della salute è stata costituita da tempo, e quindi è già operante, una banca dati condivisa contenente il patrimonio informativo del sistema sanitario. A partire dal 2001 l'invio, da parte delle regioni, di dati al predetto sistema informativo costituisce adempimento regionale, ai fini dell'accesso al finanziamento integrativo a carico dello Stato.


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Il complesso degli strumenti di governance (Patto per la salute, piano di rientro, sistema di monitoraggio delle performance, affiancamento, eccetera) progressivamente implementato nel corso degli anni ha dimostrato di poter rispondere in maniera adeguata alle esigenze di direzione del sistema sanitario, o rilevano due livelli di governo di rilievo costituzionale, con particolare riferimento alla responsabilizzazione della regione in ordine ai risultati economici conseguiti e all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
La concreta esperienza ha quindi dimostrato che il corretto esercizio di una funzione tanto delicata quale quella sanitaria e la performance complessiva dei servizi sanitari regionali dipendono molto dalla reale maturità degli enti coinvolti nel garantire una gestione del servizio sanitario regionale improntata alla qualità ed efficacia dei servizi programmati ed offerti e all'utilizzo efficiente ed efficace delle risorse a disposizione. Con il Patto per la salute 2010-2012 le regioni avevano già stabilito di avviare un confronto per validare i propri sistemi sanitari regionali in rapporto agli altri, sia in termini di performance economico-finanziaria sia in termini di adeguatezza dell'offerta.
Vedendo ora lo schema del decreto, non può non rilevarsi prioritariamente che i contenuti dello stesso potrebbero essere valutati sotto differenti profili. Tuttavia, l'aspetto preminente - almeno quello che ci sentiamo sotto il profilo tecnico di richiamare - che meriterebbe particolare attenzione consiste nella valutazione della capacità del sistema, nel suo complesso, di favorire e incentivare, fino a imporre alle regioni a cui compete la programmazione e gestione di servizi sanitari sul territorio comportamenti virtuosi, cioè volti a perseguire recuperi di efficienza ed efficacia nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza. Tale processo consentirebbe, per un verso, un miglioramento strutturale degli equilibri di bilancio particolarmente importanti per le regioni in disavanzo e, peraltro, di massimizzare il soddisfacimento dei bisogni sanitari dei cittadini, compatibilmente con le risorse collettivamente dedicate alla funzione sanitaria. Qualsiasi cornice normativa che non consenta di implementare strumenti e procedure in grado di incidere in tal senso rappresenterebbe una pura astrazione, e altrettanto astratto risulterebbe il dibatto sui suoi contenuti.
Ed invero, in attuazione della legge n. 42 del 2009, nel contesto unitario che ingloba anche le modifiche al sistema delle fonti di finanziamento già illustrate dal collega Bilardo, lo schema di decreto sui costi standard nel settore sanitario ha di fatto tradotto operativamente l'orientamento già previsto nel Patto per la salute 2010-2012, attraverso l'introduzione di indicatori individuati nei fabbisogni e nei costi standard rispetto ai quali comparare e valutare l'azione pubblica in una prospettiva di valorizzazione dell'efficienza e dell'efficacia.
Nella definizione dello schema di decreto, di fondamentale importanza è stata la formalizzazione di un procedimento caratterizzato da un approccio macro nella determinazione dei fabbisogni standard. Ciò in linea con gli attuali criteri di definizione dei fabbisogni sanitari delle regioni.
Altro aspetto di rilievo è stata l'importanza attribuita all'esistenza di un sistema di controllo e sanzionatorio in grado di indurre le regioni a comportamenti virtuosi sotto il profilo dell'equilibrio finanziario e dell'adeguatezza qualitativa e quantitativa dell'offerta rispetto ai LEA. Come risulta dalla documentazione che già abbiamo prodotto alla COPAFF, sussistono nell'ambito della governance sanitaria 44 adempimenti a cui sono tenute le regioni, sia quelle sottoposte che quelle non sottoposte ai Piani di rientro.
Nel disegno complessivo del procedimento individuato dallo schema del decreto è prioritaria la determinazione della quota di ricchezza che il Paese, sulla base delle compatibilità macroeconomiche di bilancio, decide di destinare al finanziamento dei livelli essenziali di assistenza. In tale prospettiva, il livello programmato del finanziamento complessivo del servizio sanitario nazionale costituisce il fabbisogno


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sanitario standard nazionale, nell'ambito del quale sono poi fissati i fabbisogni regionali standard.
La quantificazione dei singoli fabbisogni standard regionali si basa sul calcolo del costo standard sanitario pro capite individuato nelle regioni benchmark. Tale costo esprime, in relazione ai criteri di calcolo definiti nel decreto, il costo di erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza, efficacia ed appropriatezza. Si deduce che un costo pro capite superiore a quello standard segnala, per un dato servizio sanitario regionale, la presenza di inefficienze e suggerisce conseguentemente la necessità di predisporre opportuni interventi di riequilibrio.
Pertanto, le regioni meno efficienti si differenzieranno da quelle benchmark per i seguenti fattori: un livello di produzione e di offerta dei servizi sanitari che sconta anche l'aspetto qualitativo inferiore a quello benchmark; la necessità di risorse finanziarie addizionali a completo carico della popolazione residente, per garantire i livelli di offerta che, nelle regioni virtuose, sono integralmente finanziati con la quota di finanziamento ordinario.
Il procedimento attraverso il quale si perviene alla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard è così dettagliato nel decreto. Prioritariamente, in ciascun anno, è definito il fabbisogno sanitario nazionale standard, in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo del Paese e con gli impegni assunti dall'Italia in sede comunitaria (articolo 21). Viene ribadita, all'articolo 22, comma 3, l'allocazione ottimale delle risorse cui devono tendere le regioni per erogare correttamente la funzione sanitaria, vale a dire 5 per cento per l'assistenza collettiva, 51 per cento per l'assistenza territoriale e 44 per cento per l'assistenza ospedaliera.
Con riferimento al secondo anno precedente a quello di riferimento - specifico che quello che sto descrivendo è il testo attuale, senza le correzioni richieste dalle regioni nella Conferenza Stato-regioni di dicembre - si provvede a individuare le migliori cinque regioni sulla base delle seguenti caratteristiche: erogazione dei livelli essenziali di assistenza in equilibrio economico e in condizioni di efficienza ed appropriatezza, come verificato dal Tavolo per la verifica degli adempimenti. Sono considerate in equilibrio economico le regioni che hanno assicurato l'erogazione dei predetti livelli di assistenza con le risorse ordinarie stabilite dalla legislazione vigente, ivi incluse le entrate proprie regionali effettive (vale a dire i ticket e quant'altro); superamento degli adempimenti previsti dalla vigente legislazione, come verificato dal Tavolo per la verifica degli adempimenti; presenza di criteri di qualità definiti con successivo decreto del Presidente del Consiglio sulla base di indicatori già condivisi in sede di intesa Stato-regioni del 3 dicembre 2009.
Qualora un numero inferiore a cinque regioni si trovi in condizioni di equilibrio, si individuano anche le regioni con minor disavanzo.
Sono regioni di riferimento (benchmark) tre regioni, tra cui obbligatoriamente la prima tra le predette cinque scelte dalla Conferenza Stato-regioni. I costi sono computati a livello aggregato per ogni regione e per ciascuno dei tre macrolivelli di assistenza: assistenza collettiva, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera.
I costi sono altresì computati, tra l'altro, al lordo della mobilità passiva e al netto della mobilità attiva; sono depurati della quota di spesa finanziata dalle maggiori entrate proprie rispetto a quelle considerate in sede di riparto, nonché della quota di spesa che finanzia livelli assistenziali superiori a quelli essenziali. Il valore di costo standard è dato, per ciascuno dei tre macrolivelli, dalla media pro capite pesata del costo registrato dalle regioni benchmark.
Il costo così ottenuto è moltiplicato per ogni giorno per la popolazione pesata, secondo criteri fissati mediante intesa della Conferenza Stato-regioni, che tengono anche conto dell'indicatore relativo a particolari situazioni territoriali.


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Fino al raggiungimento dell'intesa, si applicano i criteri adottati per il riparto 2010-2012. L'incidenza percentuale di tali costi è applicata al fabbisogno standard nazionale dell'anno di riferimento e determina il fabbisogno standard regionale. La convergenza con i valori percentuali del fabbisogno standard nazionale avviene in un periodo di cinque anni (articolo 22, comma 10).
Il procedimento che abbiamo delineato troverà la prima applicazione a partire dall'anno 2013, quindi sulla base dei risultati di esercizio dell'anno 2011, e considerando le pesature con i pesi per classi di età individuate ai fini della determinazione del fabbisogno sanitario relativi al medesimo anno.
In conclusione, il sistema dei costi standard, nell'ambito della complessiva governance del settore sanitario incentiva, fino alla imposizione, le regioni meno virtuose al rispetto del pareggio di bilancio e alla creazione delle condizioni per recuperare elementi di efficienza e di efficacia nella produzione ed erogazione dei servizi, avendo come target i livelli di offerta garantiti dalle regioni benchmark, a fronte del solo finanziamento dello Stato.
L'obiettivo è quello di consentire la definizione dell'offerta sanitaria che, sulla base delle condizioni di efficienza ed efficacia, è compatibile con il livello di risorse programmate. Ciò in un contesto in cui non vige più l'aspettativa regionale del ripiano dei disavanzi da parte dello Stato.
Come ho già precisato, quanto sopra esposto fa riferimento al testo approvato in sede preliminare dal Consiglio dei ministri il 7 ottobre 2010. Sono state richieste delle modifiche al testo - che elenco - nella Conferenza Stato-regioni del 16 dicembre 2010. Quelle di maggior rilievo riguardano l'introduzione all'articolo 22, comma 5, del periodo che nell'individuazione delle regioni benchmark e nella scelta si dovrà tener conto dell'esigenza di garantire una rappresentatività in termini di appartenenza geografica al nord, al centro, al sud, con almeno una regione di piccola dimensione geografica. Inoltre, la soppressione dell'articolo 22, comma 6, lettera e), concernente l'introduzione, nell'ambito di pesi da assegnare a ciascuna popolazione, di criteri riferiti a particolari situazioni territoriali, ad esempio i cosiddetti «indici di deprivazione».

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Massicci e do la parola al dottor Palumbo, capo del Dipartimento della qualità del Ministero della salute.

FILIPPO PALUMBO, Capo del Dipartimento della qualità del Ministero della salute. Mi limiterò a soffermarmi su alcuni aspetti, dando per scontati gli elementi ricordati dal dottor Massicci, che sono da noi integralmente condivisi.
In particolare, vorrei enfatizzare il punto di vista del Ministro della salute su alcuni aspetti. In primo luogo, mi riferisco al fatto che, nella scelta delle regioni di riferimento - chiamiamole così - si è trovato, nella formulazione del testo, un giusto equilibrio tra il tema che rappresenta la base del mantenimento dell'equilibrio economico e il tema della qualità dell'assistenza garantita. Infatti, il testo descrive bene la procedura, fa riferimento a un set di indicatori che, contemporaneamente, colgono sia gli aspetti di efficienza nel mantenimento della macchina sanitaria, sia gli aspetti qualitativi dell'assistenza. Questo è molto importante, perché la storia di questi anni ci ha dimostrato che il nostro Paese dal punto di vista sanitario vive un apparente paradosso: in Italia la cattiva qualità costa di più, la buona qualità costa di meno. Non dovrebbe essere, in teoria, così; al contrario, una buona qualità dovrebbe costare di più. In questa contingenza storica non è così e, in questo momento, i due obiettivi sono perfettamente convergenti.
D'altra parte, questo è confortato dall'analisi di quanto è successo nelle regioni che in questi anni hanno manifestato disavanzi - aggiungo disavanzi puntualmente coperti sempre dal 2005 - che


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evidenziano quattro motivi possibili di disavanzo che, in qualche modo, sono stati anche anticipati dal dottor Massicci e su cui, quindi, dovrebbe agire il circuito virtuoso innestato dal nuovo meccanismo del federalismo fiscale.
Il primo elemento che può aver provocato disavanzi è costituito da un effetto legato a cattiva gestione amministrativa gestionale e contabile, quindi un'incapacità di mantenere in piedi la macchina organizzativa del sistema sanitario nel governare i suoi fattori produttivi. Mi riferisco innanzitutto ai fattori produttivi fondamentali, cioè il personale e i beni e servizi da acquistare. Dunque, una grossa componente dei disavanzi è legata a questa cattiva qualità di gestione dei fattori produttivi.
La seconda componente è legata ad ampi fenomeni di quella che noi definiamo mancata appropriatezza prescrittiva. In altre parole, nel prescrivere l'accesso a prestazioni sanitarie dalle più semplici (dal farmaco che si richiede in farmacia) agli interventi più complessi (come un difficile intervento di neurochirurgia), c'è una grande variabilità nel Paese, non sempre spiegata da adeguate motivazioni cliniche.
La terza componente è quella che noi chiamiamo inappropriatezza organizzativa. Questo significa che c'è un contesto organizzativo-strutturale in sé inadeguato - ad esempio, troppi ospedali o troppi piccoli ospedali, in un rapporto non equilibrato con strutture territoriali - oppure, a volte, anche in presenza di strutture adeguate c'è un'inadeguatezza del percorso. Il paziente, pur in presenza di un'alternativa assistenziale più appropriata, viene invece dirottato verso setting - cioè contenitori - assistenziali esorbitanti. È il classico esempio del ricovero ospedaliero inappropriato, che potrebbe essere prevenuto o sostituito o da ospitalità presso una struttura residenziale territoriale o da forme di prevenzione sanitaria.
Vi è una quarta componente, pur residuale, che è dovuta al fatto che alcune regioni, in questi anni, hanno voluto mantenere livelli essenziali di assistenza più ricchi di quelli contenuti nel paniere nazionale, quindi hanno volutamente scelto, in molti casi finanziandole addirittura a priori, di mantenere i livelli assistenziali più alti per aderire a una scelta politica locale.
Il meccanismo che si mette in piedi con il decreto legislativo ci consente di governare bene questi quattro fattori, individua un criterio di pesatura sostanzialmente legato all'età, soprattutto nell'ultima versione, così come richiesto dalle stesse regioni. Voglio, tuttavia, evidenziare un aspetto: attenzione, si è fatta la scelta di andare sempre a ricercare i criteri di pesatura utilizzando solo i dati presenti all'interno del patrimonio informativo del servizio sanitario nazionale. Lo ha ricordato il dottor Massicci, riferendosi al nuovo sistema informativo sanitario, che ormai copre la quasi totalità delle informazioni. Tutti gli eventi sanitari, dal ricovero ospedaliero alla prescrizione della singola ricetta farmaceutica, alla prescrizione della singola ricetta di assistenza specialistica, al ricovero in RSA (Residenze sanitarie assistenziali), all'esperienza di assistenza domiciliare, insomma i singoli eventi assistenziali stanno creando una banca dati imponente la quale è in grado di consentirci di leggere criticamente i dati e, quindi, di operare le opportune pesature.
L'altro elemento che vorrei richiamare che, secondo me, è molto qualitativo - ci siamo battuti molto, come Ministero, perché ci fosse e c'è stata aderenza alla nostra richiesta da parte del Governo nel suo insieme - è che il nuovo meccanismo mantiene intatto quello che in questi anni ha funzionato molto, ossia un sistema premiale in base al quale noi possiamo dire che in ogni regione vi è circa un 3 per cento del fabbisogno finanziario riconosciuto che, in qualche modo, è condizionato al mantenimento, anno per anno, di un percorso di miglioramento delle proprie performance, sia sotto il profilo dell'efficienza economico-finanziaria o gestionale sia sotto il profilo dell'efficacia assistenziale. È anche salva, addirittura,


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quella componente di progettazione di innovazione, ossia la componente relativa ai cosiddetti «fondi per gli obiettivi di piano», che corrispondono a circa l'1-1,3 per cento del fabbisogno: le regioni si vedono riconosciuta anche questa quota, come fabbisogno, se attivano anno per anno progettualità che spostano le frontiere dell'innovazione organizzativa e assistenziale.
Intendo dire che vi è molta consapevolezza del carattere molto processuale del federalismo fiscale. Il tema non è individuare un algoritmo magico che, di per sé, sia in grado di ottimizzare le performance delle regioni. Il tema è, invece, consolidare e mantenere questo meccanismo di continua verifica delle performance regionali, nonché applicare al sistema sanitario del Paese due grandi pressioni selettive, tese a scoraggiare le cattive pratiche e a incoraggiare le buone pratiche: la prima riguarda i temi, che ricordavo prima, della generica efficienza che è comune ad altri rami della pubblica amministrazione (come si governa bene il personale e la gestione dei beni e dei servizi); la seconda pressione selettiva è relativa al miglioramento dei percorsi assistenziali. Tra le tante strategie possibili di carattere assistenziale, terapeutico, riabilitativo, farmacologico e via dicendo, ve ne sono alcune che sono più efficaci di altre, più efficienti di altre e, come sistema Paese dobbiamo essere in grado di selezionare nel tempo le pratiche più efficaci, per favorirle, a scapito di quelle meno efficaci e meno efficienti da scoraggiare.
Il meccanismo creato dal decreto legislativo fa salvo, anzi rilancia questo approccio anche di faticosa verifica annuale. Il dottor Massicci ricordava la batteria di indicatori, i quali già attualmente sono analizzati regione per regione, la quale è chiamata a posizionarsi rispetto a ciascun indicatore.
Voglio ricordare, per chiudere, la logica che abbiamo adottato come Ministero della salute, ma in questo confortati dal Ministero dell'economia. Tranne in casi espressamente previsti dalla legge, in cui la soglia di inadempienza è un sì o un no - chi è sotto la soglia va scoraggiato e punito, chi è sopra la soglia va incoraggiato - abbiamo affiancato alla logica degli indicatori una logica diversa, cioè quella di posizionare ogni regione rispetto a un obiettivo possibile e, di anno in anno, incoraggiarla, aiutarla a raggiungere questo obiettivo di miglioramento, sia assistenziale sia di efficienza della macchina organizzativa.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Palumbo.
Le tre relazioni hanno dato un contributo molto importante ai nostri lavori. Chiedo agli auditi di lasciarci, se è possibile, una documentazione scritta, da poter esaminare con attenzione.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MARCO CAUSI. Ringrazio gli auditi e mi permetto di notare, signor Presidente, che non ho visto in queste audizioni invasioni di campo da parte delle tecnostrutture sugli indirizzi politici. Ho ascoltato, invece, elementi che mi sembrano assolutamente fattuali.
In primo luogo, il dottor Bilardo affermava che, mancando i LEA e i LEP per i settori diversi dalla sanità, mancano anche le procedure operative con cui stimare i fabbisogni standard nei settori diversi da quello sanitario...

PRESIDENTE. Mi riferivo alle regioni a statuto speciale, non a questo.

MARCO CAUSI. Anche in quel caso, però, mi pare che l'osservazione della Ragioneria generale, che io naturalmente non posso che accogliere con grande favore, rientri perfettamente nei suoi ambiti di competenza. La Ragioneria ci sta ricordando che ove in futuro, come probabilmente sarà, tramite le norme di attuazione dei loro statuti le regioni a statuto speciale - tutte o almeno alcune - convergeranno sulle metodologie che abbiamo stabilito per il calcolo dei fabbisogni standard di comuni e province nel caso delle regioni a


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statuto ordinario, non avendo intanto accumulato e messo sullo stesso livello il patrimonio informativo, si rischiano dei costi aggiuntivi.
Fa bene, dunque, la Ragioneria ad avvertirci che, laddove questi questionari non si raccolgano tutti insieme, ci saranno costi aggiuntivi. È tipico del mestiere della Ragioneria ricordare a chi assume le decisioni i relativi costi.
Rammento qui che la decisione che è stata assunta da questa Commissione, respingendo il relativo emendamento, comporterà dei costi, a meno che non siamo in tempo per rimettere il processo su binari più sensati.
Le domande che vorrei porre sono numerosissime, ma mi limiterò ad alcuni temi. Il primo è quello relativo alla struttura fiscale illustrata dal dottor Bilardo. Mi domando, in particolare, se la Ragioneria non ritenga - anche in questo caso, un po' come è stato fatto nel corso dei lavori sulla riforma del fisco municipale - che possa essere utile esplicitare l'addizionale di equilibrio. Nel decreto non è esplicitato il valore dell'addizionale di equilibrio, quella che sostituirà l'insieme dei trasferimenti. Mi chiedo se non sia il caso quanto meno di esplicitarla, così come abbiamo fatto con l'aliquota di equilibrio dell'IMU, e di chiarire meglio, nel testo del decreto, che rapporto c'è fra questa nuova addizionale di equilibrio che fiscalizza i trasferimenti e il livello minimo di 0,5 già esistente. In base alla mia lettura, mi sembra che ci sia una confusione nel testo, laddove non si capisce se la nuova addizionale ricomprende anche la vecchia o se si sommano. Chiedo, al riguardo, un chiarimento.
Un'ulteriore domanda probabilmente è di competenza più del Dipartimento delle finanze, dunque se i dirigenti della Ragioneria lo riterranno potranno rimandare a un'ulteriore audizione con la dottoressa Lapecorella o eventualmente potranno farci avere dei dati. Mi riferisco alla questione della territorialità dell'IVA. Il tema del riferimento territoriale del gettito IVA diventa dirimente avendo, come sapete, deciso di andare verso una forma di compartecipazione IVA anche nel caso di comuni e province. Dunque, la domanda che vi pongo sulle regioni vale anche per comuni e province. Lei ha ricordato che l'intendimento di questo decreto è di portare verso un calcolo dell'IVA basato non più sui consumi Istat ma sull'IVA effettivamente riscossa, in sostanza, tramite le rilevazioni del cosiddetto quadro VT - suppongo - della dichiarazione IVA.
È molto importante, per il decisore pubblico, capire come girano i dati del quadro VT. Mi dicono i colleghi più esperti di me in questa materia che il Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia non ha mai ancora pubblicato i dati del quadro VT se non nell'ambito di ricerche di studio di tipo analitico, ma non in modo specifico. Bisognerebbe capire, a questo punto, ed è un tema importante, qual è l'affidabilità statistica dei dati derivabili dal quadro VT a livello regionale e, ancor di più, subregionali; inoltre, si tratta di capire come sono questi dati, cioè qual è la difformità quantitativa fra il gettito così come ripartito in base al quadro VT e il gettito come ripartito in base ai consumi Istat. Vorremmo almeno sapere che cosa stiamo decidendo e cosa questo implica, ad esempio, dal punto di vista dei fondi perequativi e via dicendo.
Alcuni studiosi che hanno avuto accesso a questi dati dicono che non c'è da preoccuparsi perché, sostanzialmente, le due fonti sembrerebbero abbastanza coincidere, ma credo che non ci possiamo limitare a questo. È necessario avere i dati.
Vengo all'ultima domanda in merito alla parte fiscale e finanziaria. Mi rendo conto della semplicità con cui, nel caso del decreto sulle regioni, tramite IVA e addizionale IRPEF si chiude il quadro. Tuttavia, richiamando una delle conclusioni della Commissione Vitaletti di qualche anno fa, domando perché Governo, regioni e tecnostrutture che hanno elaborato questo decreto non si siano, ad esempio, poste il tema di attribuire alle regioni il gettito di qualche imposta che potrebbe essere fortemente correlata a quello che le regioni stesse fanno. Penso, ad esempio,


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all'imposta tabacchi, che è correlata alla sanità. E altro si potrebbe dire per le province. Mi domando se c'è stato un ragionamento su questo. La Commissione Vitaletti aveva suggerito qualche pista di lavoro al riguardo, ma è stata abbandonata e vorrei sapere per quale ragione.
Sulla questione sanità, dottor Massicci, vorrei da lei una parola chiara. Il dottor Palumbo, intervenendo dopo di lei, ha affermato che, alla fine, questa formula è basata sulla popolazione ponderata per classi di età. Tenendo conto di questa affermazione, dobbiamo fare chiarezza: a cosa serve questo meccanismo della scelta delle regioni benchmark? Visto che noi abbiamo bisogno - dico subito qual è la mia idea - sicuramente di una formula macro di riparto e questa deve essere semplice il più possibile, comprendendo eventualmente che quella esistente possa essere il punto di partenza, allora è bene che separiamo la questione delle regioni di riferimento dalla questione della formula di riparto. Le regioni di riferimento ci servono, come lei giustamente ha descritto, per tutto l'apparato di valutazione della gestione, dell'efficienza, dell'efficacia, dell'appropriatezza e della convergenza delle regioni che stanno fuori. Perché, dunque, avere una formula che in modo barocco passa per le regioni cosiddette «benchmark» e poi torna alla normale formula attualmente vigente della popolazione ponderata per classi d'età? Chi ha studiato la formula e condotto le analisi sa che, alla fine, nel riparto non contano i costi standard delle regioni benchmark, ma conta soltanto la distribuzione delle popolazione per classi d'età.
Se volete, questo è un punto più politico. In effetti, si tratta di decidere se, dentro questo decreto, dobbiamo indicare una formula macro e poi una batteria di indicatori e di elementi di valutazione sulle regioni benchmark che servono all'efficienza, alla convergenza, al Patto per la salute e via elencando.
Connessa a questa, pongo una domanda che poi rivolgeremo anche agli esperti che verranno auditi dopo di voi. Gli attuali pesi della popolazione, quindi la valutazione di quanto costa oggi l'assistenza sanitaria per classi di età, a quando risale? Qual è la base dati statistica che si usa? Valutate che potrebbe essere questo il momento per ammodernare questa base statistica e avviare nuove valutazioni oppure ritenete che la base statistica esistente sia sufficientemente ammodernata? A me risulta che la base statistica è abbastanza conservativa, nel corso del tempo, dunque mi domando se c'è un ragionamento da fare su questo, vista l'importanza di questo decreto.
Infine, vorrei riproporre un tema citato alla fine dal dottor Massicci. Mi riferisco all'idea di inserire, accanto alla popolazione pesata per classi di età, anche indicatori di contesto sociale e di disagio sociale. Noi ci avviciniamo a questo tema, ovviamente, come inesperti e dobbiamo assumere una decisione politica. Potete darci qualche notizia più approfondita? Ad esempio, quale sarebbe l'impatto di questo tipo di indicatori? Come potrebbero funzionare ulteriori indicatori da aggiungere alla popolazione pesata?

LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Pongo due domande, una al dottor Massicci, una al dottor Palumbo, ma probabilmente sapranno loro come sconfinare virtuosamente l'uno nel territorio dell'altro e viceversa. Mi pare di non aver colto - se non ho prestato attenzione me ne scuso - nessun riferimento alla spesa storica che, in questa Commissione, ha sempre rappresentato una specie di fantasma. Finalmente si sta parlando di qualcosa che è reale, come lo si sarebbe dovuto fare, presidente, anche quando abbiamo discusso di altri decreti. La spesa storica è un «fantasmino» degli anni Settanta, ma poi è finita perché tutta la legislazione su enti locali e sanità l'ha abbondantemente superata.
Noi stiamo parlando di un sistema, quello della sanità, che si finanzia - accordo del ministro Bindi del 1997, se non ricordo male - in base a un riparto capitario, magari brutale, ma semplice: le risorse si suddividono per teste.


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Poi è subentrata una correzione, quella relativa all'indice di vecchiaia. Alcune regioni - vediamo la sostanza politica, altrimenti citiamo i dati ma non li capiamo - come Marche, Liguria e Umbria, che hanno una popolazione più anziana, hanno posto sul tavolo del confronto con il Governo il problema di un correttivo, che è stato accolto. Noi avevamo una linea di finanziamento che improvvisamente si è modificata per effetto di questo «deflattore», di questa variante.
Successivamente, poiché le regioni del Meridione, dove la popolazione è mediamente meno anziana di quella del Centro e del Centro-Nord, hanno chiesto un'ulteriore integrazione e variante, quella a cui faceva cenno adesso il collega Causi, relativa al disagio sociale, alla povertà.
Ora io chiedo innanzitutto se noi possiamo avere i dati. Li ho chiesti ai colleghi della Commissione sanità del Senato - non conosco quella della Camera - ma non li hanno acquisiti. Signor presidente, penso che dovremmo avere una raffigurazione semplice di quello che è avvenuto in questi - grosso modo - quindici anni, quindi di come si è evoluta la linea del finanziamento, ben sapendo, per il dibattito politico che tutti frequentiamo, che queste due linee di finanziamento, una per la parte relativa all'anzianità, una per la parte relativa al disagio sociale, hanno una loro tendenza che prima porta alla divaricazione (quando gioca soltanto l'una), poi tende a un riavvicinamento (quando gioca anche l'altra). I dati, dunque, sono importanti.
In secondo luogo, confessando il mio relativo scetticismo su tutta questa montagna di illusioni e di retorica, ricordo che il Governo inglese ha fatto in questi giorni una proposta radicale per correggere la spesa della sanità e per risparmiare 20 miliardi di euro (dico euro per semplificare, ma potrebbero essere sterline). Ora, quel Governo fa un'operazione che, in sostanza, manda a gambe per aria la nostra legge di riforma della sanità, la n. 833 del 1978, creata sul modello inglese. Gli inglesi, dunque, smantellano tutto il modello burocratico, pensando - e io credo che abbiano ragione - che se si deve contenere la spesa vale molto di più l'ipotesi di contenerla sul piano della gestione burocratica. Quando si toccano i livelli di assistenza, la riorganizzazione degli ospedali, eccetera, bisogna fare molto, ma è molto più doloroso.
Domando se questo nostro modello federalistico, che ci porta a discutere sempre sui modelli, sui meccanismi, sia efficace rispetto all'emergenza Paese, quella di avere una spesa più contenuta e più efficiente. Oppure stiamo veramente perdendo tempo, nonostante tutta la retorica che il Governo continua a riproporre nelle sue manifestazioni?

PRESIDENTE. Chiaramente è una risposta tecnica, non l'espressione di un'opinione politica quella che lei richiede.

ROLANDO NANNICINI. L'ultima RUEF (Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica) ci dà 112 miliardi di spesa. Il senatore D'Ubaldo parla di 20 miliardi, ma è impossibile portare a 92 la possibilità di spesa.
Tuttavia, ricordando che è da trent'anni che abbiamo il sistema sanitario nazionale, il primo dato che mi viene in mente è una spesa pro capite di 1.850 euro per cittadino. Anticipando la seconda domanda, chiedo se esista un'organizzazione privata in grado di assicurare, per 1.850 euro pro capite, a livello nazionale gli stessi servizi; ad esempio, se ho un infarto, chiamo un'ambulanza che mi porta in un posto specializzato, a totale carico del rischio mio individuale e collettivo.
Io dico che l'Italia è un miracolo rispetto al servizio sanitario; smonto, dunque, il ragionamento, perché troppe volte la politica non riesce - almeno la mia generazione - a trasferire le lotte e le discussioni condotte per trent'anni nelle regioni, nei comuni, nelle ASL, su questo tema.
Tuttavia, questo non significa che non ci siano carenze nel sistema. La prima domanda riguarda i DRG (Diagnosis-Related Group, Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi) sui quali sono stati condotti


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molti studi. Dobbiamo tenere conto che l'ASL è l'ente territoriale per eccellenza che svolge il servizio, ossia i fondi sono regionali e vengono distribuiti, in base a un criterio di assegnazione, all'ente territoriale che svolge il servizio. Ora, io mi sono permesso di calcolare il costo del personale - è un calcolo noioso, che vi risparmio - di alcuni presidi ospedalieri, in alcune regioni di riferimento.
È noto che la regione paga il personale della ASL e paga i DRG in compensazione alle altre regioni. Ugualmente è chiaro che ogni cittadino italiano può scegliere di andare dove vuole a farsi curare. Quindi, si può avere un personale strutturato in base a una ipotetica dimensione di servizi del 44 per cento, anche se alcuni piani sanitari regionali avevano indicato limiti diversi. Comunque, un calcolo semplice tiene conto del fatto che noi abbiamo, in alcune realtà territoriali, il ricorso essenzialmente alla specialistica; pertanto il personale viene comunque pagato, mentre la prestazione viene acquistata al di fuori.
Questo può essere un criterio di efficienza su cui riflettere? Dopo trent'anni possiamo assegnare la maglia nera e la maglia rosa. In generale, è questo il tema: anche all'interno delle regioni succede che alcuni cittadini sono costretti a spostarsi perché là dove si trovano hanno un livello di servizi minimo. Chiedo, allora, a che serve un reparto di maternità con 250-260 parti all'anno. Lo sappiamo cos'è un reparto di maternità? È necessario il turno in quinta: per avere tre ostetriche permanenti tra mattina e sera ne occorrono quindici; per avere un medico ne occorrono cinque. Tutto questo, poi, a fronte di un dato di 260-270 nati. E qualcuno fugge anche, perché non è sicuro di quel centro e non vi è una casistica che possa rispondere.
Premetto - e ribadisco - che il servizio sanitario nazionale è un miracolo italiano. Mi scuserà il dottor Massicci, che conosco da vecchia data, da quando si facevano le vecchie finanziarie. Ricordo che, una volta, in un documento del Senato c'era scritto «emendamento Massicci» ed io mi arrabbiai chiedendo chi fosse quel senatore.
In conclusione, dottor Massicci, sui DRG, le compensazioni, l'efficienza su questo dato, che sensazione avete voi che da anni seguite il settore?

LINDA LANZILLOTTA. Su un punto appena toccato dall'onorevole Nannicini non ritorno. Vorrei porre alcune domande sulla questione delle province. In che misura questa definizione di aliquota di equilibrio, di valutazione del fabbisogno delle province incorpora la quota della spesa in conto capitale delle province stesse, che rappresenta la missione principale, dal momento che le province operano soprattutto nel settore delle manutenzioni, scuole e via dicendo? Su questo emerge qualche dubbio.
In secondo luogo, vorrei capire come funziona questo fondo di riequilibrio e se si ritiene che l'articolo 19, che prevede sostanzialmente una gestione regionale del fondo, sia coerente col criterio di delega che, invece, prevede, sia per le province che per i comuni, che la perequazione degli enti locali sia di competenza statale, non regionale.
Vi è un altro punto, parzialmente collegato alla questione posta dal collega Nannicini, su cui vorrei un chiarimento. Non mi occupo di sanità, ma non capisco alcuni aspetti. La spesa sanitaria è tra quelle che, pur nella crisi, continuano ad aumentare in termini assoluti. È vero che ha avuto un rallentamento, ma continua ad aumentare a tassi superiori a quelli medi della crescita complessiva della spesa pubblica. C'è un'enfasi e un'attenzione molto forte al costo per singola prestazione, cioè all'efficienza delle prestazioni. Il fabbisogno standard è generalmente calcolato come il prodotto tra costo unitario standard e quale fabbisogno effettivo? Quello che io leggo in letteratura è che nelle regioni cosiddette «benchmark» l'offerta e la produzione del servizio sanitario è nettamente - in molti settori e in alcune regioni, anche quelle più efficienti - superiore al fabbisogno effettivo della popolazione.
Questo elemento, che ovviamente rischia di alterare la determinazione del


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fabbisogno, come viene trattato e gestito in tutta questa operazione?

PRESIDENTE. Considerato che le risposte dovranno essere molto articolate e richiedono tempo, chiedo - con il consenso dei colleghi ma soprattutto con la disponibilità dei nostri ospiti - di farci avere degli appunti relativi agli argomenti sollevati, per rendere più rapida ed efficace la collaborazione.

FRANCESCO BOCCIA. Stavo integrando la sua proposta dicendo che sarebbe anche più opportuno, nel senso che una scelta di questo tipo ci aiuterebbe a fare chiarezza su alcuni passaggi.
Il dottor Bilardo ci ricorda che il provvedimento non può prescindere dal principio di invarianza dei saldi di finanza pubblica recato dall'articolo 28 della legge n. 42. Signor presidente, dico a lei, che inevitabilmente si ritroverà a fare l'arbitro, come noi auspichiamo, di una complessa mediazione per imparare dagli errori commessi nell'ultimo decreto, che probabilmente il raccordo con la Ragioneria generale dello Stato dovrà essere ancora più intenso, perché nelle ultime battute del decreto sul fisco municipale a questa Commissione sono mancate alcune certezze, e non perché la Ragioneria generale non le abbia date, ma perché probabilmente non è stata coinvolta quanto sarebbe stato opportuno fare.
Dottor Bilardo, per esempio nella valutazione dell'articolo 2, commi 1 e 4, quando parliamo di rideterminazione dell'addizionale IRPEF, siccome non c'è una stima degli ammontari movimentati (escludendo l'accisa sulla benzina tra l'altro limitatamente al 2008), non riusciamo a calcolare l'effettiva neutralità finanziaria, non solo sui saldi, ma anche sulla pressione fiscale. Siccome noi ci siamo arenati sulla pressione fiscale, sul fisco comunale, e restiamo convinti dell'impatto sulla pressione fiscale di quel decreto, non vorremmo ritrovarci nella stessa condizione. Lo diciamo prima, ponendo lo stesso problema.
Noi vi chiediamo di integrare la eccellente relazione, poiché ci sono alcuni quesiti che poniamo che evidentemente non avevate preso in considerazione e che meritano, però, una risposta. Oltre ai saldi, dunque, vi chiediamo una valutazione sulla pressione fiscale, perché mancano, nella valutazione di quell'articolo e di quei commi, gli ammontari movimentati che ci consentirebbero di fare le simulazioni.
Sulla compartecipazione regionale IVA di cui all'articolo 3, la relazione tecnica non considera le disposizioni di quell'articolo. Probabilmente ci sarà una motivazione, dunque vi chiediamo di illuminarci da questo punto di vista.
Non ripeto le cose dette, che tutte ovviamente sono oggetto e parte integrante della riflessione del nostro gruppo. L'onorevole Causi faceva notare che non viene fissato il livello di perequazione. Vi chiediamo di chiarire se c'è una vostra valutazione in merito.
All'articolo 11, il fondo perequativo con calcolo separato per province e comuni inizia dal 2017. Chiediamo se è possibile avere una valutazione dell'impatto di tutto questo sui bilanci da parte della Ragioneria e, soprattutto, con quali modalità saranno perequate, nel periodo transitorio, le risorse incrementali dell'addizionale regionale IRPEF destinate a finanziare funzioni soggette ai livelli essenziali delle prestazioni diverse dalla sanità. Al riguardo, non abbiamo capito come, nel periodo transitorio, le modalità di finanziamento delle prestazioni non sanitarie vengono garantite.
Sulla comparazione, sugli indicatori o benchmark riprendo l'intervento dell'onorevole Causi e anche su questo chiediamo, soprattutto al dottor Massicci, un'ulteriore valutazione. Sappiamo tutti come si è arrivati all'individuazione delle regioni. In alcuni passaggi delle relazioni sia del dottor Massicci che del dottor Bilardo, ma anche dalle valutazioni fatte dagli uffici, si coglie un elemento: è come se l'intesa avesse, sotto alcuni aspetti, vanificato il lavoro che in questi anni è stato condotto dalla Ragioneria sul controllo della spesa sanitaria. Se così non è, è opportuno ribadirlo, però a quel punto sarebbe opportuno


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dimostrare come questa estensione, che è stata oggetto anche dell'intesa, possa trasformarsi in un meccanismo che risponde ai quesiti posti dal collega Causi sul disagio, su ulteriori indicatori e, soprattutto, sulla qualità dei servizi.
Non intendo riprendere temi già richiamati dall'onorevole Nannicini, ma ci piacerebbe poter rispondere non solo sui costi dei servizi, ma anche sulla qualità degli stessi. In altre parole, è importante che una mammografia venga fatta entro quindici giorni a Bologna come a Reggio Calabria e abbia anche lo stesso costo. L'indicatore tempo, in quel caso, ha un'incidenza, ma avremo modo di entrare nel merito di questi aspetti che il collega Nannicini ha richiamato in maniera più esaustiva.

PRESIDENTE. Mi fermerei qui, pregando i nostri ospiti di farci avere, appena potranno, degli appunti sintetici di risposta.
Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dall'ispettore generale capo dell'ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni, Salvatore Bilardo, e dall'ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale, Francesco Massicci (vedi allegati).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,50.


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