Il ruolo dei parlamenti nazionali nella promozione dei valori fondamentali: scambio di buone prassi
Signor Presidente dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, Onorevoli colleghi,
sono grato al Presidente dell'Assemblea di Strasburgo, on. Lluís Maria de Puig, che ha voluto orientare le nostre riflessioni sulle prospettive della democrazia in Europa, sospesa oggi tra la soddisfazione per il sostanziale successo dei processi di transizione avviati dopo il 1989 ed il diffuso scontento popolare testimoniato in molti Paesi dell'affermarsi di istanze populistiche.
Condivido le stimolanti considerazioni svolte dalle colleghe Jozefina Topalli e Yvonne Timmerman-Buck sul ruolo peculiare cui sono chiamati il Consiglio d'Europa ed i Parlamenti nazionali nella promozione dei valori fondamentali. A quasi sessant'anni dalla creazione del Consiglio d'Europa, ci troviamo di fronte ad una vera e propria "crisi da successo", legata paradossalmente alla netta affermazione del modello d'integrazione paneuropea e dei valori ai quali si ispira: la promozione della democrazia, dei diritti umani e dello Stato di diritto.
Il Consiglio d'Europa, pensato da Churchill nel 1946 quale first practical step per la realizzazione degli Stati Uniti d'Europa, è sorto sulla base di princìpi etico-politici largamente condivisi dalle élites politiche europee del secondo dopoguerra: mi limito a citarne tre, ricchi di implicazioni per i successivi sviluppi del disegno d'integrazione europea. In primo luogo, la salvaguardia dei diritti umani fondamentali cui ispirare un nuovo corso nelle relazioni internazionali e, segnatamente, tra i Paesi europei, che si sostanzierà pochi anni dopo nella Convenzione di Roma (1950), struttura portante di uno straordinario patrimonio giuridico che - come ricordato nel Vertice del Consiglio svoltosi a Varsavia il 16 e 17 maggio 2005 - può e deve essere ulteriormente arricchito fino a delineare uno spazio giuridico continentale, basato su standard condivisi.
In secondo luogo, l'affermazione di un paradigma di riconciliazione tra i vincitori ed i vinti del secondo conflitto mondiale che, non a caso, verrà coerentemente teorizzato pochi anni dopo da Hannah Arendt, nella sua Condizione umana, quale dimensione essenziale di un sistema democratico immune da tentazioni totalitarie. Infine, il riconoscimento dell'altro da sé, la tolleranza reciproca, la continua ricerca di un equilibrio basato su un rapporto di forze temperato dall'etica e dal diritto: ciò ha consentito la progressiva integrazione della quasi totalità degli Stati europei in seno al Consiglio d'Europa.
La forza del modello incarnato dall'Organizzazione di Strasburgo risiedeva proprio nella combinazione di questi "fattori culturali e morali", assolutamente decisivi, prima per la nascita del "concetto d'Europa e del sentimento europeo", secondo la felice espressione dello storico Chabod, e poi, nel secondo dopoguerra, per la trasformazione del Continente in un'area di ottocento milioni di cittadini, pienamente liberi ed eguali. Questi stessi fattori, radicati profondamente nel peculiare rapporto sviluppatosi a partire dal Medioevo tra Cristianità ed Europa, sono oggi investiti da preoccupanti fenomeni che ne minano le fondamenta culturali ed istituzionali. La diffusione in tutto l'Occidente del relativismo etico, contestando alla radice la nozione di bene comune, accredita una visione della libertà individuale incapace di distinguere ciò che è giusto per la collettività da ciò che non lo è. La sfera dei diritti individuali non si definisce più in correlazione ai doveri dell'individuo ed alla sue responsabilità nei riguardi delle diverse comunità di cui è parte, ma soltanto in rapporto all'orizzonte - potenzialmente sterminato - dei suoi desideri, che diventano in tal modo l'unico criterio di giudizio.
Sul piano istituzionale, tutti i livelli di governo dell'Europa sono oggi più o meno fortemente condizionati da pulsioni variamente antipolitiche, che assumono modalità e strumenti diversi: dalla crescita dei fenomeni di astensionismo elettorale e di allontanamento dei cittadini dalle istituzioni al sorgere di movimenti di varia matrice in polemica contro le "caste" rappresentate dagli eletti. Tali proteste trovano anche alimento da quel deficit democratico che molti lamentano descrivendo l'attività delle organizzazioni internazionali: le decisioni di queste, che incidono spesso sulla vita delle popolazioni europee, appaiono sempre più lontane dalle capacità di controllo e di intervento dei cittadini. Anche sul piano internazionale, le democrazie dell'Occidente si trovano oggi esposte a rilevanti fattori esogeni, alcuni di segno violento e minaccioso , come il terrorismo internazionale, ed altri più complessi e controversi perché connotati anche da grandi potenzialità. Penso agli imponenti movimenti migratori che stanno investendo i Paesi europei.
In questo ambito, emerge con forza crescente la necessità di dare risposta alle richieste sempre più pressanti dell'opinione pubblica europea di una più efficace tutela del diritto alla sicurezza, che rientra nel novero dei diritti fondamentali e inalienabili della persona.
Quali risposte possono dare i Parlamenti nazionali di fronte al delinearsi del rischio di un' "Europa invertebrata", come diremmo parafrasando Ortega y Gasset, un'Europa non pienamente cosciente della propria identità e timorosa del suo futuro?
Ritengo che le Istituzioni parlamentari europee debbano pienamente riappropriarsi delle tre peculiari funzioni etico-pedagogiche che il costituzionalista inglese Walter Bagehot riconosceva al parlamentarismo britannico del suo tempo: "insegnare alla Nazione", "tenerla informata" ed "esprimerne la volontà".
Queste funzioni devono essere interpretate alla luce dei tempi nuovi in cui vive la democrazia europea, tempi segnati dalle esigenze di società sempre più composite nel loro profilo etnico e religioso, da un'accresciuta mobilità elettorale, da una maggiore disaffezione verso la politica e le istituzioni.
In questo quadro dinamico, i Parlamenti dei Paesi europei sono sempre più chiamati a diventare le "case di vetro" della democrazia, ad avvalersi di tutti gli strumenti, di tutte le buone prassi idonee ad accrescere la loro rappresentatività e vicinanza ai cittadini e alla loro vita quotidiana.
Il Consiglio d'Europa può dare un contributo determinante a questo processo, e un contributo ulteriore e decisivo deve essere fornito dall'azione sinergica tra i Parlamenti nazionali e l'Assemblea di Strasburgo.
Le Assemblee dei singoli Stati europei possono infatti dare slancio e continuità alle numerose iniziative meritoriamente promosse in questi anni dal Consiglio d'Europa per rafforzare una comune visione della cittadinanza europea.
In Italia, l'esperienza della Camera dei deputati offre diversi spunti di riflessione: i lavori parlamentari sono spesso al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica e sono stati realizzati numerosi interventi sul piano della comunicazione e dell'informazione volti ad accrescere la conoscibilità e la trasparenza dei processi di decisione parlamentare, oggi sempre più orientati all'attuazione del vasto acquis giuridico del Consiglio d'Europa. In questa prospettiva, la valutazione della compatibilità dei progetti di legge con il diritto della Convenzione di Roma, alla luce dell'interpretazione fornitane dalla Corte di Strasburgo, è diventata uno dei momenti centrali del procedimento legislativo nelle Commissioni della Camera.
L'importanza che la Camera dei deputati attribuisce all'informazione è testimoniata dagli oltre quattrocentocinquanta giornalisti accreditati presso la sua sala stampa e dalla costante attenzione al potenziamento del suo sito web: recentemente ristrutturato per accrescerne la fruibilità e la completezza, registra mediamente un milione di contatti mensili.
Mi sembra quindi che dovremmo dare vita ad un confronto di esperienze, buone prassi e suggerimenti tra le delegazioni dei Parlamenti nazionali, allo scopo di individuare le forme ed i modi più idonei per assicurare un canale di collaborazione permanente tra i lavori dell'Assemblea parlamentare e quelli dei Parlamenti nazionali. In questo quadro ritengo che si potrebbe confermare l'iniziativa di svolgere annualmente, a Strasburgo come nei Parlamenti nazionali, in forma coordinata, un dibattito sullo stato della democrazia e dei diritti umani, perfezionando una prassi sperimentata dall'Assemblea parlamentare nella seconda parte della sessione annuale del 2007 e dalla Camera dei deputati nell'ottobre scorso.
Una tale sinergia tra l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e la rete dei Parlamenti nazionali dei Paesi europei potrebbe così concorrere efficacemente alla creazione di un circuito virtuoso delle "buone idee" e soprattutto delle buone prassi in tema di promozione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto, nella consapevolezza, trasmessaci da Denis de Rougemont, che "penser l'Europe c'est aussi la faire".