Montecitorio, Aula - Cerimonia di apertura della Prima Conferenza dei giovani italiani nel mondo
E' davvero un onore, per la Camera dei deputati, ospitare la cerimonia di apertura di questa "Prima Conferenza dei giovani italiani nel mondo". Quindi, con profonda gioia, rinnovo il mio benvenuto ai rappresentanti delle istituzioni, ai rappresentanti degli organismi degli italiani residenti all'estero, ai rappresentanti delle regioni, a tutti quanti voi, care ragazze e cari ragazzi; e, permettetemelo, un abbraccio particolare alle bambine e ai bambini del Coro polifonico dell'Istituto Manin di Roma, che prima hanno intonato l'inno nazionale.
Oggi, come diceva il Ministro Frattini, stiamo davvero vivendo un momento importante per tutto il Paese, senza alcuna distinzione di tipo politico. Questa, infatti, è la Prima Conferenza che riunisce, in rappresentanza di ben trentotto Paesi di ogni continente, voi, i nostri giovani connazionali residenti all'estero. E' una Conferenza che è stata ideata per voi, per farvi incontrare, per farvi conoscere, per mettere a confronto le vostre esperienze di vita all'estero e per permettervi di creare un contatto con i vostri coetanei che vivono, studiano e lavorano in Italia. Una Conferenza pensata per ascoltare: per ascoltare le vostre idee, le vostre proposte, per migliorare insieme il nostro Paese. E sottolineo i termini "insieme" e "nostro", perché certamente il vincolo di affetto e di solidarietà che ci lega, al di là delle Alpi e oltre gli oceani, ci rende veramente una sola comunità nazionale. Tutti sappiamo che i giovani sono una risorsa importante, per certi aspetti fondamentale nella vita di qualsivoglia Paese. Ciò deve comportare delle scelte politiche conseguenti.
Agli inizi del terzo millennio, in una fase storica in cui il sapere è la forma più preziosa di ricchezza, credo che l'Italia non possa e non debba rassegnarsi di fronte a quella nuova forma di emigrazione che è stata definita giustamente la "fuga dei cervelli". È veramente una grave dimostrazione di miopia politica e per certi aspetti di irresponsabilità constatare con amarezza che sono molte migliaia i nostri giovani laureati, i nostri ricercatori scientifici che ogni anno abbandonano l'Italia per proseguire all'estero i loro studi, e poi, dopo questa constatazione, non fare pressoché nulla per invertire la tendenza e far sì che possano mettere il loro sapere al servizio della nostra società e delle nostre imprese. E sarebbe davvero un bel giorno, quello in cui, nel nome di un genuino interesse nazionale, Governo e Parlamento, maggioranza e opposizione, dovessero approvare, anche con appositi finanziamenti per le nostre università e per i nostri centri di ricerca, un grande piano per far sì che made in Italy in futuro non significhi soltanto prodotti manifatturieri di grande qualità, ma anche eccellenza del sapere, brevetti, tecnologia d'avanguardia. Investire sui giovani significa anche che le nostre istituzioni politiche devono intensificare gli sforzi per un'effettiva valorizzazione delle nuove generazioni di italiani stabilmente residenti all'estero, perché esse sentano e mantengano, come ricordava poc'anzi il Capo dello Stato, forte il legame di appartenenza con la propria terra d'origine, con la terra dei loro padri.
Ecco, terra dei padri, ovvero, etimologicamente, Patria. Quella Patria che tanti italiani abbandonarono per necessità, dando vita ad uno dei più grandi esodi migratori della storia. Tra essi c'erano forse i vostri padri, in molti casi i vostri nonni.
Solo molto raramente la storia dell'emigrazione dal nostro Paese è stata la storia di grandi nomi. E' stata, assai di più, la drammatica vicenda umana di migliaia e migliaia di persone "normali" che, piene di speranza e, diciamolo, purtroppo tante volte di illusioni, partirono alla ricerca di una vita migliore, di un futuro più dignitoso per loro stessi e per i propri figli. Non li muoveva il desiderio di conquista, ma la spinta del bisogno.
Queste vicende umane sono state definite "storie senza storia", ma, a ben vedere, questa definizione è ingiusta, perché contrasta con il nostro dovere morale di non dimenticarle mai. Non dimenticare chi, giunto in ogni angolo del mondo, spesso senza mezzi e senza conoscere la lingua, sovente senza la propria famiglia, ha saputo affrontare e superare difficoltà di ogni genere. Ed è stato grazie all'impegno di tanti emigrati che, progressivamente, si è diffusa nel mondo la cultura italiana e si sono affermati importanti aspetti del nostro vivere quotidiano. E, in tantissimi casi, i discendenti di quegli emigrati sono diventati donne e uomini di successo in ogni settore della vita economica, culturale, istituzionale, in Europa come oltreoceano.
Senza quegli italiani umili e coraggiosi di ieri, senza il loro sacrificio, senza il loro duro lavoro, forse voi oggi non sareste qui: non ci sarebbero, infatti, gli italiani all'estero di seconda o di terza generazione. Le vostre sono generazioni che rappresentano una sintesi felice tra una piena italianità culturale e linguistica ed il senso di convinta appartenenza al Paese nel quale siete cresciuti ed in cui vi siete formati. E' una constatazione che credo non banale in una fase storica in cui l'Italia, da Paese di emigranti, è divenuta Paese che ospita centinaia di migliaia di immigrati, un paese in cui i temi dell'integrazione dello straniero e della cittadinanza sono quotidianamente al centro del dibattito politico e culturale.
E' mia piena convinzione che essere oggi buoni italiani, proprio in ragione delle vicende dolorose della nostra passata emigrazione, significhi avere solidi anticorpi culturali nei confronti di ogni forma di xenofobia e di razzismo.
Se per un attimo, infatti, guardiamo le fotografie di quei nostri connazionali che vivevano nelle baracche, in Svizzera o in Germania, se per un attimo guardiamo le fotografie di quei nostri connazionali che, partendo da Napoli o da Genova, sbarcavano a San Paolo o a New York, se per un attimo guardiamo i loro volti, scopriamo che in quei volti e in quegli occhi vi è esattamente lo stesso desiderio di giustizia sociale, di un avvenire migliore per i propri figli, di una migliore qualità della vita che, in tanti casi, incrociamo negli occhi di coloro che vengono oggi in Italia da altri Paesi, mossi unicamente dalla speranza di poter trovare un futuro migliore.
Come oggi, nel mondo, tanti cittadini di origine italiana sono protagonisti positivi della vita dei Paesi di adozione dei loro genitori, così, domani, tanti nuovi italiani, figli di stranieri o giunti da noi giovani o giovanissimi, saranno pienamente integrati nella nostra società e saranno rispettosi dei valori, prima ancora che delle regole, della nostra comunità nazionale.
Questa Conferenza è, quindi, anche un'occasione per riflettere e per rivolgervi, cari ragazze e cari ragazzi, alcune semplici domande: cosa vuol dire per voi, oggi, nel 2008, essere italiani? È certamente ben chiara la distinzione tra l'amor patrio, che è certamente un valore, perché significa rispetto per le tradizioni di un popolo, e quel nazionalismo che ha rappresentato, al contrario, il disvalore tragico del secolo scorso.
Amare la terra dei propri padri significa essere consapevoli di quell'identità, ma avere altrettanto chiaro ed evidente che non esiste una nazione superiore ad un'altra, perché, quando l'amor patrio diventa nazionalismo, cessa di essere un valore e assume i caratteri, spesso tragici, della sopraffazione e della violenza. A voi è ben chiaro che essere italiani significa amare la propria terra.
L'altra domanda è: in che modo l'Italia delle istituzioni può esservi più vicina? In che modo voi pensate di poter contribuire allo sviluppo e alla crescita della nostra Italia?
L'Italia Repubblicana, facendo anche ammenda degli errori e delle omissioni del passato, ha sempre profuso un grande impegno nella creazione di un saldo legame con le proprie comunità all'estero.
È stata encomiabile l'attività svolta, sin dai primi decenni del dopoguerra, dalle comunità territoriali d'origine, che hanno provveduto a costituire strutture associative in grado di fornire sostegno ai propri concittadini emigrati e, così facendo, hanno creato un tessuto connettivo che ha rappresentato la base per la successiva creazione, da parte dello Stato italiano, di organismi di rappresentanza degli italiani all'estero.
Momenti fondamentali di questo processo sono stati l'istituzione dei Comitati degli italiani all'Estero - i cosiddetti "COMITES" - e del Consiglio generale degli italiani all'estero; organismi pensati per realizzare un effettivo collegamento tra le nostre comunità all'estero, le autorità locali e le rappresentanze del nostro Paese.
Recentemente, al termine di un lungo processo, si è provveduto alla modifica degli articoli 56 e 57 della nostra Costituzione. Si tratta di modifiche che furono fortemente volute dall'allora Ministro per gli italiani nel mondo, Mirko Tremaglia, che è presente e che saluto come uno tra i più appassionati sostenitori, per una vita intera, della necessità di riconoscere agli italiani nel mondo il diritto di voto.
Sono modifiche, come ricordava il Ministro Frattini, che hanno previsto la possibilità per voi, per i vostri genitori, per le nostre comunità, non soltanto di votare, ma di eleggere diciotto parlamentari residenti all'estero. Il diritto di voto attivo e passivo ha costituito una svolta storica: esso esprime il pieno riconoscimento dello status degli italiani che, per motivi diversi, hanno lasciato il nostro Paese. Esso ha certificato il vero e più pieno ricongiungimento di queste comunità alla Madre Patria, che ha saldato il debito morale che aveva contratto con tanti milioni di connazionali.
Per voi, giovani italiani nel mondo, il diritto di votare e di eleggere i vostri rappresentanti in Parlamento ha già significato e significherà, ancora di più, in futuro avere voce in capitolo nelle scelte della nostra democrazia.
Per tutta l'Italia significherà poter contare sul vostro attivo contributo di partecipazione e di idee, significherà avere un'opportunità in più, perché, nell'epoca della globalizzazione e della competizione su scala planetaria, l'Italia deve pensarsi sempre più come una comunità nazionale che non comprende soltanto chi vive e opera all'interno dei confini del nostro Stato, bensì come una comunità più vasta, che può contare sulla professionalità e sulla capacità di tante centinaia di migliaia di ambasciatori, come ha detto il Ministro Frattini; ambasciatori che non rappresentano il Paese soltanto in ragione della loro appartenenza al corpo diplomatico e che idealmente voi oggi qui rappresentate. Sono gli ambasciatori della lingua, della cultura, della imprenditorialità, della ricerca scientifica e culturale, del volontariato, della solidarietà e del lavoro della nostra Italia.
In questa comunione di intenti, in questo essere buoni italiani e, al tempo stesso, come ricordava il Presidente Napolitano, buoni cittadini del Paese in cui operate, in questa sintesi vi è certamente il senso più compiuto e felice della nostra moderna italianità. Grazie.