Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

18/02/2009

Montecitorio, Sala della Lupa - Convegno organizzato dalla Fondazione della Camera dei deputati "Problemi e prospettive dei Patti Lateranensi a 25 anni dalla revisione"

A Montecitorio non si può affrontare il tema delle relazioni tra lo Stato e la Chiesa senza prima ricordare, con sincera commozione, quel momento emblematico rappresentato dalla visita, alla Camera dei deputati, di Papa Giovanni Paolo II, il 14 novembre di sette anni fa.
La presenza in Aula del Sommo Pontefice costituì un modo innovativo e, per certi versi, coraggioso per portare la Sua parola nel cuore stesso delle istituzioni e per dimostrare, anche con azioni forti che assumono il valore di un simbolo, il pieno e costante rispetto per le libere scelte compiute da tutte le istituzioni democratiche del Paese. Nel suo discorso colpirono, in quell'occasione, la sottolineatura del rispetto dovuto dalla politica alla centralità della persona umana e il richiamo rivolto al nostro Paese ad "incrementare la sua solidarietà e coesione interna per poter meglio esprimere le sue doti caratteristiche e valorizzare la sua ineguagliabile ricchezza e varietà di culture". Disse proprio così: varietà di culture.
Oggi, quali considerazioni sono opportune a venticinque anni dall'Accordo di modifica del Concordato e ad ottant'anni dalla conclusione dei Patti Lateranensi?
Ottant'anni sono, almeno in teoria, un anniversario non particolarmente significativo: eppure, in questo caso, si è sentito diffusamente il bisogno di sottolineare - anche con questa importante iniziativa promossa dalla Fondazione della Camera dei Deputati, per la quale ringrazio il Presidente Bertinotti - una ricorrenza che, da un lato, coincide con il quarto di secolo dell'Accordo di modifica del Concordato e che, dall'altro, cade in un momento in cui le relazioni tra Stato e Chiesa stanno conoscendo sviluppi importanti non solo in Italia, ma anche, con connotazioni diverse, in altri Paesi europei.
Il rapido mutamento della struttura delle nostre società, e più in generale delle società occidentali, accelerato da fenomeni epocali, quali la globalizzazione e l'informatizzazione, deve indurre tutti ad una profonda riflessione sui valori fondanti e sullo stesso sistema di relazioni che collega tra loro i cittadini e i gruppi sociali.
Tali fenomeni hanno di recente mostrato tutta la loro capacità di mutare, o comunque intaccare, i tradizionali valori e i quadri di riferimento e di fungere da concausa rispetto alle crisi, in particolare quella economica e sociale, che si stanno verificando in ogni parte del mondo.
In altri termini, proprio le grandi novità e turbolenze che hanno messo in discussione il benessere e le molte certezze acquisite in tante aree geografiche del pianeta hanno attirato ed attirano l'attenzione delle istituzioni statali sulla necessità di una nuova "dimensione etica e morale" della società e sulle sinergie da realizzare con i "grandi attori" che operano nel campo sociale, a cominciare dalle Chiese e, in particolare, dalla Chiesa Cattolica.
Inoltre, la nuova presenza, visibile ed assertiva, di altre confessioni nel nostro Paese richiede un approccio culturale e politico che consenta alla società italiana di arricchirsi per i nuovi apporti di carattere religioso e spirituale, senza per questo snaturare la propria identità cristiana maturata nel corso dei secoli.
L'aumentata presenza nella società di nuovi movimenti religiosi di diversa origine culturale e geografica, la crescente presenza islamica tra i tanti immigrati extracomunitari, la mancata approvazione di una legge di carattere generale che garantisca la libertà religiosa, la scomparsa della Democrazia Cristiana e la conseguente presenza cattolica trasversale nella quasi totalità dei movimenti politici, la forte influenza, nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, della normativa contro la discriminazione e per il rispetto delle identità religiose e culturali, sono tutte questioni nuove, che riconducono alla complessa problematica del multiculturalismo e del pluralismo religioso.
Se si osserva attentamente la nostra storia recente dobbiamo constatare che l'Italia è un Paese che ha subito, fino ad oggi, poche tensioni inter-etniche, perché è stato in grado di realizzare una accoglienza positiva per le minoranze religiose, assai più di quanto abbiano saputo fare altri Paesi, come la Germania, la Francia e l'Inghilterra. Si potrebbe obiettare che ciò è avvenuto in ragione del fatto che, in Italia, le minoranze etniche, se pur consistenti, sono di più recente insediamento e finora meno organizzate che in altri Paesi.
Ma il multiculturalismo, che, a mio avviso, concorre a dar corpo ad una nuova configurazione della idea di Nazione, è un fenomeno destinato inevitabilmente a crescere nella misura in cui le diverse culture faranno sempre più sentire la propria presenza ed influenza nei comportamenti dei futuri cittadini italiani.
In questo scenario prossimo venturo, l'identità religiosa è parte integrante ed elemento costitutivo del concetto di Nazione, del quale contribuisce a definirne uno degli aspetti più caratterizzanti.
E, pertanto, da questo assunto, la stipulazione di diverse Intese con culti non cattolici potrebbe recare un utile contributo al riconoscimento e all'accoglienza di tutte quelle diversità e specificità confessionali, ed etniche, che non collidono con i princìpi generali dell'ordinamento e soprattutto con le garanzie dei diritti umani di libertà e di uguaglianza.
La prospettiva cambia, ovviamente, qualora la delicata questione del multiculturalismo venisse affrontata con l'obiettivo di favorire una società divisa per etnie, o per comunità confessionali, a ciascuna delle quali competa il diritto di regolare con potestà autoritativa i comportamenti dei rispettivi aderenti o appartenenti. Se malauguratamente si scegliesse questa via, si metterebbe in pericolo la capacità stessa dell'Italia di rimanere una Nazione coesa, accumunata da valori condivisi.
L'analisi culturale che riguarda i valori fondanti della società contemporanea ha fatto sì che, nella laicissima Francia, il Presidente Sarkozy, nel suo discorso pronunciato a San Giovanni in Laterano nel 2007, abbia proposto il concetto di "laicità positiva" con cui ha voluto evidenziare la fine dell'indifferenza dello Stato francese nei confronti del fenomeno religioso, confinato, oltralpe, da lungo tempo, nell'ambito di una dimensione tutta personale e privata, completamente separata da quella pubblica.
Nuovo per la Francia, e indicativo di un cambiamento di approccio culturale estremamente significativo, il concetto di "laicità positiva" era già ben presente nell'Accordo di modifica del Concordato del 1984, concluso con il contributo importantissimo fornito da due insigni studiosi che oggi sono qui presenti: il professor Francesco Margiotta Broglio e il professor Carlo Cardia.
L'Accordo del 1984 abbandonava, infatti, quell'atteggiamento "di difesa" nei confronti dello Stato che aveva caratterizzato i Concordati tradizionali e che si basava sulla convinzione dell'esistenza del cosiddetto "stigma" delle "relationes imperfectae" che, secondo i canonisti del tempo, caratterizzava il rapporto della Chiesa con le entità statuali.
L'Accordo Craxi-Casaroli fu il primo esempio di un "Concordato-quadro", vale a dire di un accordo concordatario che si astiene dal normare puntualmente i singoli aspetti che caratterizzano le relazioni tra Stato e Chiesa, ma che, in un'ottica di reciproca collaborazione, si limita a rimandare la disciplina concreta dei singoli settori a successivi accordi o a intese attuative tra il Governo e la Conferenza Episcopale italiana.
Da allora, e di conseguenza, si è fatta strada una nuova e positiva concezione di laicità che, basata sull'articolo 7 della Costituzione, è espressa nell'impegno alla "reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e per il bene del Paese" (articolo 1 dell'Accordo).
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha più volte ribadito questo concetto. Da ultimo, lo ha fatto in occasione della visita di Benedetto XVI al Quirinale, quando ha pronunciato le seguenti parole: "conosciamo e apprezziamo, come ho avuto modo di dire nel mio primo messaggio al Parlamento, la dimensione sociale e pubblica del fatto religioso".
Tanto il Governo precedente, quanto quello attualmente in carica, hanno riconosciuto e riconoscono l'importanza delle radici ebraico-cristiane dell'identità culturale europea e, indipendentemente dalle convinzioni religiose ed ideali di ciascuno di noi, vi è oggi un pressoché unanime riconoscimento dell'utilità dell'azione di coesione e di sostegno svolta dalla Chiesa nella società italiana.
In conclusione, sia il recepimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione, che l'Accordo di Villa Madama, hanno costituito momenti di grande condivisione tra le diverse forze politiche nazionali che hanno rafforzato la cooperazione tra lo Stato e la Chiesa, pur nella distinzione dei rispettivi ordini e competenze.
Al di là di ogni retorica, si può dire che il tempo trascorso dall'Accordo di revisione del Concordato lateranense ha fatto emergere le potenzialità di una sistemazione dei rapporti tra Stato e Chiesa nuova, diversa dal passato, che ha favorito un progressivo disvelamento di quel principio di laicità dello Stato, che i Costituenti avevano racchiuso, ma non esplicitato formalmente, nella Carta fondamentale.
Una laicità non aggressiva nei confronti della religione; aliena da degenerazioni laiciste ed anticlericali; aperta al riconoscimento del ruolo attivo e positivo della Chiesa nella nostra società.
Un modello di laicità che, a ben vedere, ha, tra le sue radici, anche la dottrina sociale della Chiesa, con la sua tesi sull'indipendenza e sull'autonomia della stessa Chiesa dalla comunità politica e viceversa.
Una laicità, quella dello Stato italiano, la cui storia, come ha scritto Ernesto Galli Della Loggia, "appare troppo inestricabilmente intrecciata alla vicenda del Cristianesimo e della Chiesa romana perché sia realmente plausibile immaginare un reciproco disinteresse, una reale indifferenza dell'una rispetto all'altra all'insegna dell'unilateralità. Alla fine, nella sua essenza e al di là di ogni possibile, anche necessaria, disputa dei suoi contenuti, il Concordato non è che la presa d'atto di questo dato".