Montecitorio, Sala della Lupa - Incontro-dibatitto promosso dall'Aspen Institute Italia su: "U.E. e la crisi: come uscire dal tunnel"
Autorità, Signore e Signori!
Sono particolarmente lieto di ospitare alla Camera dei deputati l'incontro promosso dall'Aspen Institute e dal suo Presidente, il Ministro Giulio Tremonti, sul tema della crisi economica e finanziaria.
Un argomento che, per la sua straordinaria rilevanza ed attualità, merita una riflessione approfondita che certamente, per l'autorevolezza dei relatori, scaturirà anche dall'odierno dibattito.
E' ovvio che sono grandi le preoccupazioni per la crisi che stiamo vivendo, anche perché le previsioni, che in rapida successione vengono aggiornate dai più autorevoli istituti di ricerca, non sembrano offrire segnali particolarmente incoraggianti. A tal punto che anche la possibilità di una inversione nel prossimo anno del ciclo negativo potrebbe rivelarsi illusoria.
Da più parti si è evidenziato che la congiuntura attuale si configura come la prima vera crisi dell'età della globalizzazione, in qualche modo paragonabile, per la sua complessità e generalità, a quella del '29.
Ma, al contrario di allora, l'atteggiamento assunto dai maggiori paesi coinvolti, a cominciare dagli Stati Uniti, è stato fortemente reattivo ed interventista.
A questo proposito, può essere utile interrogarsi sull'opportunità di verificare se i rimedi fin qui adottati - il calo dei tassi, le massicce iniezioni di liquidità, il sostegno al sistema creditizio, la prospettata regolamentazione del mercato finanziario - possano costituire una risposta sufficiente ai problemi posti da una crisi che, al di là della sua genesi, continua a presentare componenti oscure e dimensioni non ben determinate.
Peraltro, è comune la convinzione che non esistano "ricette" miracolose e che il primo compito delle istituzioni è proprio quello di analizzare la situazione con senso di responsabilità e rigore scientifico.
Per farlo è certo che occorre prospettare soluzioni adeguate e condivise; soluzioni che siano frutto di un confronto continuo tra l'esigenza di coordinamento, che la natura globale della crisi impone, e gli interessi nazionali che spingono verso soluzioni fortemente e, per certi versi, doverosamente influenzate dalle realtà locali.
E' a tutti chiaro, però, che l'ampiezza della crisi e quella delle cause ad essa sottostanti dimostrano la necessità di ridefinire la gestione macroeconomica mondiale e il quadro regolamentare dei mercati finanziari.
Norme prudenziali, modalità di gestione della crisi e quadro di vigilanza devono essere affrontati quindi a livello nazionale, ma nell'ambito di una strategia complessiva in cui un'Europa coesa può assumere un ruolo determinante, da vera protagonista.
Affinché ciò accada occorre, in primo luogo, avere la consapevolezza che nessuno degli Stati dell'Unione Europea può, da solo, fronteggiare una crisi così complessa e che richiede, obbligatoriamente, la definizione di una posizione comune dell'Unione in grado di incidere sulle dinamiche in atto e sulla natura stessa delle strategie di risanamento e di rilancio.
A fronte degli effetti nefasti che la crisi finanziaria ha già prodotto, possiamo senz'altro considerare positive la rapidità di risposta e la determinazione con cui i governi europei e, in particolare, quelli della zona euro, hanno reagito in modo sostanzialmente coordinato, dimostrando così di saper muovere i primi passi sulla strada di un auspicabile "governo europeo dell'economia".
Partendo, infatti, da prospettive non sempre convergenti, i 27 hanno concordato, in particolare in occasione del Consiglio Europeo dello scorso 20 marzo, una posizione comune in vista del Vertice del G-20.
E' stata una convergenza altamente positiva che ha consentito ai Paesi dell'Unione Europea partecipanti al Vertice di Londra di farsi ascoltare con una voce assai più autorevole e, quindi, di proporre ed imporre alcune istanze che alla vigilia non apparivano scontate, ma che poi sono state accolte nel documento finale.
Al riguardo, sono convinto che proprio la posizione comune espressa dall'ultimo vertice europeo abbia rappresentato uno dei fattori del "successo", soprattutto nella prospettiva europea, del G-20 di Londra.
Grazie anche alla coesione realizzata dai "20", che, ricordiamolo, rappresentano oltre l'80% del PIL mondiale, a Londra è stato raggiunto il risultato non solo di mobilitare importanti risorse e di dare impulso a politiche innovative, ma anche quello di avviare interventi regolamentari per l'intero settore finanziario.
Si è avuta la riprova che l'unica possibilità per la Comunità internazionale di incidere veramente sulla difficile congiuntura economica globale è riposta in un forte impegno comune.
Tuttavia, per poter parlare di "successo", occorre assicurarsi che le politiche concordate a Londra e le notevoli risorse liberate, oltre ad incidere sugli aspetti più marcatamente economici che attengono alla ripresa del sistema bancario, al risanamento delle aziende più colpite e alla "moralizzazione" della finanza, siano anche in grado di contrastare le gravi ripercussioni sociali della crisi, nata come fenomeno soprattutto finanziario, ma, successivamente, divenuta una crisi economico-sociale nel senso più ampio del termine.
Fin tanto che i gravi effetti sociali della crisi non saranno almeno attenuati, non si potrà dire di aver adottato una "strategia vincente".
Basarsi sulla solidarietà e consentire ai sistemi di protezione sociale di svolgere pienamente il loro ruolo di stabilizzatori e ammortizzatori è essenziale per ripristinare e per rafforzare la fiducia nei popoli e per contribuire, quindi, ad aprire la strada alla ripresa.
In questo scenario, l'Europa, con le sue affermate politiche sociali e di Welfare, può e deve legittimamente rivendicare un ruolo di guida nel percorso di superamento della crisi, e lo deve fare ponendosi come modello di riferimento anche per le economie emergenti.
E' un ruolo da rivendicare che passa inevitabilmente per il rilancio della strategia di Lisbona, che resta la cornice più efficace per promuovere, in sede europea, la crescita sostenibile e l'occupazione.
Quell'occupazione e quella centralità del lavoro che non a caso la nostra Costituzione pone a fondamento della democrazia repubblicana in quanto valori indispensabili per la piena affermazione dell'individuo e della sua dignità di uomo e di cittadino.