Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

19/06/2009

CNEL - Convegno su "Il futuro del parlamentarismo in Italia e in Germania"

Desidero anzitutto esprimere un cordiale benvenuto al Presidente Lammert ed agli altri illustri ospiti che hanno voluto onorare, con la loro presenza e con il loro contributo, i lavori di questo convegno.

L'argomento che oggi affrontiamo è stato, negli ultimi anni, oggetto, in tutte le democrazie occidentali ed a livello europeo, di un vivace dibattito politico ed istituzionale, anche per iniziativa dei Presidenti delle Assemblee parlamentari dei Paesi membri dell'Unione Europea.

Già nel 2000, un gruppo di studiosi dell'Istituto Universitario Europeo pubblicò un "libro verde", elaborato per la Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell'Unione Europea, in cui si evidenziava l'esigenza di individuare un nuovo ruolo dei Parlamenti rispetto ai mutamenti sociali e globali che attraversano, in tempo reale, tutte le moderne democrazie occidentali.

In particolare, si sosteneva che, a fronte dell'aumento significativo dei contenuti tecnici della decisione politica e del policentrismo decisionale proprio di una società democratica e pluralista, le tradizionali funzioni dei Parlamenti sono entrate in crisi, alimentando la diffusa convinzione che dovessero essere ripensate ed adeguate ai tempi nuovi.

In realtà, questa ipotizzata crisi dei Parlamenti ha origini più lontane e sembra risalire storicamente ad una diversa concezione del ruolo del Parlamento già rilevabile nell'evoluzione del pensiero politico dell'Europa moderna.

Ancora oggi, infatti, continuiamo ad interrogarci se i Parlamenti, in quanto sedi privilegiate della rappresentanza nazionale, debbano la ragion d'essere alla loro capacità decisionale o se, invece, la loro funzione prevalente, come sosteneva John Stuart Mill (nelle sue "Considerazioni sul governo rappresentativo"), debba piuttosto essere quella di criticare e di controllare coloro ai quali compete la direzione effettiva della "cosa pubblica".

Questo dilemma di fondo ha segnato l'evoluzione di due diverse tradizioni di cultura parlamentare - quella anglosassone e quella europea continentale - che, anche grazie alle sempre più frequenti occasioni di contiguità connesse al processo di unificazione europea, hanno vissuto in tempi recenti un graduale, ma percettibile, ravvicinamento.

Anche negli ordinamenti europei continentali come, ad esempio, quello francese della Quinta Repubblica, dove la tendenza alla razionalizzazione del sistema parlamentare si è manifestata in maniera più netta ed evidente, l'esigenza di ribadire l'imprescindibilità di un ruolo attivo del Parlamento nei circuiti di decisione delle politiche pubbliche e ha gradualmente alimentato un processo di ridefinizione del bilanciamento di "peso politico" fra Parlamento e Governo.

Questa esigenza è stata meno avvertita nell'esperienza italiana ed in quella tedesca, accomunate, nel secondo dopoguerra, dall'opera di ricostruzione di un sistema politico democratico e pluralista.

Ciò ha comportato una inevitabile accentuazione del carattere rappresentativo ed inclusivo della decisione parlamentare, privilegiando i momenti di accordo e di compromesso politico, talora a scapito della rapidità e dell'efficacia della decisione da assumere.

Di tutto questo vi è traccia evidente nella Costituzione italiana ed in quella tedesca, specie per quanto riguarda la preoccupazione sia di definire accuratamente le circostanze e le forme di esercizio del potere normativo del Governo, sia di ricondurre, nell'alveo di un circuito decisionale condiviso fra Parlamento, Governo e Capo dello Stato, la normazione d'urgenza e la delega legislativa.

Ed ancor più ne rimane traccia nei regolamenti parlamentari, la cui storia più recente è caratterizzata, in particolar modo in Italia, da un graduale recupero di un ruolo attivo del Governo nella definizione delle priorità in sede di programmazione dei lavori parlamentari, e da una sempre più limitata possibilità di ricorso, per l'opposizione, a strumenti ostruzionistici.

In entrambi i nostri Paesi, inoltre, la tradizione storica delle forme di autogoverno locale ha rappresentato un ulteriore elemento di erosione di competenze normative del Parlamento nazionale, erosione contemporanea e concorrente rispetto al parallelo trasferimento di competenze in favore dell'Unione Europea.

A tutto questo, nell'equazione da risolvere per assicurare un futuro alla democrazia parlamentare, si aggiunge la crescente necessità di decisioni rapide ad alto contenuto tecnico (che solo i Governi sono di fatto in grado di assicurare) e la necessità di un ammodernamento delle istituzioni e delle amministrazioni pubbliche per vincere le sfide di questo secolo.

E' mia convinzione, infatti, che senza tale azione di ammodernamento strutturale e procedurale sia praticamente impossibile affrontare le sfide della competizione globale, della rivoluzione digitale, dell'innovazione tecnologica e produttiva, della società dell'informazione, del terrorismo fondamentalista, dell'emergenza climatica ed ambientale; e, ancora, la crisi economica che attraversa l'intero pianeta, i grandi flussi migratori, i problemi delle società multietniche e multiculturali, la rivendicazione di nuovi diritti e di nuove libertà, la crescente richiesta di sicurezza, la segmentazione della società e la diversificazione dei bisogni e delle domande sociali e, anche, i nuovi problemi di finanza pubblica propri di un contesto nel quale la competizione globale sottopone i bilanci pubblici a stress crescenti e nel quale l'appartenenza all'Unione monetaria europea, i vincoli del patto di stabilità, le regole dei mercati finanziari impediscono il ricorso a svalutazioni competitive.

Per affrontare fenomeni di tale entità e portata, occorre una democrazia più forte, più legittimata, più partecipata, più rappresentativa, più efficace. Per questo occorrono istituzioni capaci di decidere e di attuare efficacemente le decisioni prese.

Una democrazia impotente ed inefficace alla lunga genera disillusione, scontento, tentazione di scorciatoie populiste o plebiscitarie: la paralisi decisionale aumenta progetti "bonapartisti" o "cesaristi".

La forza delle istituzioni, tuttavia, non dipende solo dalla rapidità delle decisioni: poter decidere rapidamente è oggi una necessità ineludibile, ma occorre anche prendere le decisioni giuste e, soprattutto, essere nelle condizioni di poterle attuare.

Le istituzioni democratiche sono forti, quindi, se sono capaci non solo di decidere, ma di farlo con il consenso e la partecipazione dei cittadini. E sono forti se sono legittimate, autorevoli, riconosciute; se danno a tutti la sicurezza dell'intangibilità dei propri diritti e delle proprie libertà; se garantiscono adeguati controlli sull'esercizio del potere; se assicurano un equilibrato pluralismo istituzionale. Se ciò non accade, alla lunga le istituzioni non sapranno neppure prendere le decisioni giuste, né sapranno farle rispettare.

In altre parole, la forza delle istituzioni nasce dalla loro legittimazione democratica, dalla loro capacità di interpretare attese e domande sociali, di mobilitare coscienze e volontà sulle scelte da compiere e sulle innovazioni da realizzare. Ed è per tutto ciò che, nelle moderne democrazie, il ruolo dei parlamenti non è mai marginale.

A seconda degli ordinamenti e dei momenti storici, a seconda dei modelli di forma di governo e di forma dello Stato, il ruolo dei parlamenti si configura in modo assai diverso.

Essi possono vedersi riconosciuto, in modo pressoché esclusivo, il monopolio del potere legislativo, oppure possono essere chiamati a condividerlo con un Governo che, in tali casi, trae tuttavia la sua legittimazione dalla costanza di un rapporto di fiducia che il Parlamento ha sempre il diritto di revocare. Possono essere anche chiamati a condividerlo con altri legislatori, continentali o regionali, che ne riducono il campo di competenza e di regolazione, ma senza mai comprimerlo fino a farlo diventare residuale.

I Parlamenti, inoltre, possono avere maggiori o minori poteri di indirizzo e di controllo sull'operato dell'esecutivo e sulla gestione delle amministrazioni e dei servizi pubblici. Possono concorrere col Governo alla definizione delle politiche pubbliche in un rapporto di stretta collaborazione, sulla base di un continuum tra Governo e maggioranza parlamentare. Possono, invece, esercitare la funzione, non meno essenziale, del primo tra quei pesi e contrappesi [checks and balances] costituzionali che assicurano la democraticità dell'ordinamento e la certezza dei diritti e delle libertà dei singoli.

Anche se variabile nelle forme e nel tempo, il ruolo non marginale e non emarginabile del Parlamento è, dunque, sempre coessenziale ad un equilibrato assetto di poteri proprio dei diversi sistemi democratici.

Sono queste le ragioni per cui la valorizzazione del ruolo del Parlamento è diventato il Leitmotiv della maggioranza parlamentare democratica nel Congresso degli Stati Uniti ed uno dei pilastri del programma istituzionale del Presidente Sarkozy e del Primo Ministro Fillon in Francia, e del programma di governo del Premier Gordon Brown in Gran Bretagna.

In questa prospettiva, ritengo che si possano individuare quattro itinerari di sviluppo nel futuro della democrazia parlamentare in Europa.

In primo luogo, un rapporto ed un raccordo sempre più efficace rispetto alle decisioni prese in ambito europeo.

In secondo luogo, un azione sempre più incisiva per quanto riguarda la grande questione relativa alla cosiddetta "qualità della legislazione".

In terzo luogo, un ripensamento della funzione di controllo, liberandola dallo scrupolo di arginare puntigliosamente gli spazi decisionali dell'Esecutivo e riorientandola verso una crescente trasparenza e tracciabilità delle decisioni governative, soprattutto con riferimento alle conseguenze finanziarie, all'impatto regolativo ed all'impatto ambientale.

In quarto ed ultimo luogo, un'azione incisiva di crescente trasparenza del lavoro parlamentare, per farne conoscere il valore e la fatica, contribuendo a dissipare i tradizionali luoghi comuni di un conformismo antipolitico ed antiparlamentare, d'ispirazione qualunquista ed antidemocratica.

Per quanto concerne il rapporto fra Parlamenti nazionali ed Unione europea, è noto come il Trattato di Lisbona prefiguri cambiamenti significativi nel senso di sollecitare i Parlamenti nazionali a fornire un contributo attivo, anche per la qualità della legislazione europea, attraverso l'esame dei profili che attengono alla sussidiarietà.

Appare significativo, a questo riguardo, che la stessa Commissione europea, con una iniziativa del Presidente Barroso, si sia preoccupata di instaurare un rapporto diretto con i Parlamenti nazionali sollecitandone la pronuncia sulle proposte di atti legislativi di sua iniziativa.

Mi riferisco al cosiddetto "dialogo politico" in forza del quale la Commissione trasmette direttamente ai parlamenti nazionali le proposte legislative e i documenti di consultazione e, di converso, i Parlamenti nazionali trasmettono alla Commissione le proprie valutazioni in proposito.

Il tema della verifica degli atti legislativi europei sotto il profilo della sussidiarietà è quello suscettibile di maggiori sviluppi dal punto di vista dell'incidenza dei Parlamenti nazionali nei processi decisionali europei.

L'eventuale adozione, da parte dei Parlamenti degli Stati membri, di pareri motivati in cui si rilevino le ragioni per le quali si ritiene che una proposta non sia conforme al principio di sussidiarietà può, infatti, provocare significative conseguenze procedurali sull'iter dei medesimi atti, fino al punto di indurre la Commissione a non insistere per la loro adozione.

E' bene tener presente che stiamo parlando non già di specifiche modifiche agli atti di iniziativa europea, ma della stessa opportunità di un intervento del legislatore comunitario piuttosto che del legislatore nazionale.

Sulla concreta "crescita di ruolo" dei Parlamenti nazionali in ambito europeo incidono poi naturalmente fattori connessi alle forme di governo ed alle tradizioni politico-costituzionali degli Stati membri.

Più particolari, e propri di ciascun ordinamento nazionale sono, invece, i problemi connessi al tema della "qualità della legislazione".

In tale ambito, sia in Italia che in Germania, sono state già intraprese alcune significative iniziative sia sul versante governativo che su quello parlamentare.

Per quanto concerne in particolare l'esperienza italiana, mi pare importante evidenziare come l'impatto effettivo di tali iniziative sia stato attenuato da alcune particolarità del nostro sistema, di cui si deve prendere consapevolezza per affrontare efficacemente il problema di un miglioramento qualitativo della legislazione.

Non si può, infatti, non osservare che da più di dieci anni e per ragioni legate al quadro politico ed ai modi della sua evoluzione, segnata da una esasperata contrapposizione tra le forze politiche dei due "poli", è emersa la tendenza ad elaborare progetti legislativi, soprattutto di natura ordinamentale, alternativi a quelli realizzati dalla precedente ed opposta maggioranza di governo.

La faticosa affermazione del bipolarismo politico, in attesa di un più maturo e definitivo radicamento nel nostro sistema, vede, infatti, le forze politiche portate irresistibilmente a riscrivere (o a minacciare di riscrivere), a propria immagine e somiglianza, segmenti rilevanti dell'ordinamento giuridico.

In tal modo, la "certezza del diritto", intesa come ragionevole, tendenziale stabilità del quadro normativo complessivo, viene ad essere sottoposta ad uno stress continuo causato dall'uso "congiunturale" o "occasionale" degli strumenti della normazione, con la sola finalità di soddisfare interessi politici di parte.

Con ciò, ovviamente, non voglio negare che le leggi non siano soggette a divenire e, perciò, a mutamento: un mutamento che, per sua stessa definizione, comporta oneri non sempre leggeri, compensati dal conseguimento di benefici presuntivamente maggiori.

Da qui la necessità di non ancorare aprioristicamente la difesa del principio della certezza del diritto alla realizzazione di una stabilità dell'assetto normativo tale da tradursi in una oggettiva stagnazione.

La tutela del dettato costituzionale reclama, semmai, la ragionevolezza della disciplina dei processi di produzione legislativa e normativa, i quali non devono sviare dalla tendenziale, necessaria attitudine a durare nel tempo e, perciò, a radicarsi saldamente nell'ordinamento.

Sotto questo profilo, pertanto, occorre rimeditare l'idea che le leggi, in uno Stato di diritto, per quel che concerne almeno l'impianto politico-istituzionale di base, debbano essere "poche" e "chiare" e che, quindi, il rinnovo, a ritmi incalzanti, della relativa normazione, genera la grave consapevolezza che, per ragioni di comodo, è possibile sovvertire disinvoltamente l'ordinamento precostituito, anche quando questo continua a rispondere ad una pregnante logica di sistema.

Quanto, invece, alla funzione di controllo, va evidenziato, in primo luogo, che nella gran parte dei sistemi politico-istituzionali contemporanei di tradizione parlamentare l'evoluzione dei rapporti Parlamento-Governo si caratterizza per il progressivo spostamento del baricentro verso il potere esecutivo.

Anche nell'esperienza italiana, si assiste al fenomeno della graduale ridefinizione del ruolo del Parlamento, la cui "centralità", che per anni ha contraddistinto l'ordinamento italiano, viene ridimensionata a favore dell'azione del Governo che vede aumentare i propri poteri decisionali e di intervento.

Queste considerazioni valgono soprattutto con riferimento al potere legislativo, già monopolio tipico del Parlamento e ormai condiviso con altri soggetti (Unione Europea, Governo e Regioni).

La constatazione dell'evoluzione della forma di governo italiana non deve tuttavia indurre a frettolose e superficiali conclusioni di una marginalizzazione dello stesso Parlamento.

Le funzioni di controllo rappresentano il terreno su cui si può fondare una rinnovata vitalità del Parlamento; si tratta di attività che offrono le potenzialità più ampie di sviluppo.

Il controllo va inteso in una duplice accezione: in primo luogo, verificare, nel concreto dispiegarsi dell'operatività dell'esecutivo, la coerenza rispetto agli impegni assunti e ai presupposti di diritto e di fatto che sono alla base delle decisioni adottate.

Da questo punto di vista, l'attività di controllo risponde ad una esigenza essenziale del sistema democratico: di mantenere in equilibrio il sistema istituzionale nel suo complesso, evitando che il Governo possa avvalersi di una sfera di discrezionalità talmente ampia da abusarne, prescindendo da qualunque vincolo o condizionamento.

Si tratta, quindi, di un'attività fondamentale per assicurare una corretta dinamica delle istituzioni democratiche.

In secondo luogo, la funzione di controllo, intervenendo ex post, può risultare determinante per una verifica degli esiti prodotti dalle decisioni adottate ed eventualmente per apportare correttivi alle misure già poste in essere.

Sotto questo profilo, si può affermare che la funzione di controllo, ancor più di quella di colegislazione, risponde a quello che potrebbe essere il nuovo assetto dei rapporti tra Governo e Parlamento nelle democrazie mature. E', infatti, tipico dei Governi il doversi far carico di rispondere con tempestività ai problemi che di volta in volta si presentano.

I Parlamenti subiscono meno l'impatto dell'urgenza; possono attrezzarsi per valutare con maggiore ponderazione le dimensioni dei problemi e verificare l'idoneità delle misure adottate a farvi fronte.

Affinché i Parlamenti possano svolgere compiutamente queste funzioni è necessario aggiornare le metodologie di lavoro parlamentare. Possono risultare di conforto, nel delicato lavoro di aggiornamento, le esperienze più avanzate in materia di controllo, a partire dal ruolo di verifica puntuale che le Commissioni parlamentari competenti svolgono nei confronti delle relazioni tecniche sugli effetti finanziari. Si tratta di un riscontro che attiva una costante dialettica con le strutture specializzate del Governo che comporta la richiesta di chiarimenti e che, talora, obbliga il Governo a correggersi.

E', quindi, necessario costruire procedure apposite e rafforzare la strumentazione a disposizione del Parlamento per sollecitare il Governo a motivare e a dar conto delle scelte assunte.

E' evidente che non si tratta della mera verifica di adempimenti formali quali, ad esempio, l'adozione di provvedimenti ministeriali nei termini prescritti. Stiamo parlando di un lavoro assai più articolato che implica la capacità di misurare la corrispondenza tra gli obiettivi dichiarati e i risultati concretamente conseguiti. Questa attività potrà essere di grande utilità anche ai fini del miglioramento della qualità della legislazione.

L'insieme di tutte queste prospettive di sviluppo per il futuro della democrazia parlamentare sembra di fatto convergere verso la necessità di accrescere la visibilità dei Parlamenti e di rafforzare e diffondere nelle nostre comunità nazionali la consapevolezza dell'importanza della loro funzione decisionale ed istituzionale.

Molto, in questi anni, è stato fatto per l'apertura delle sedi parlamentari ai cittadini sia nel senso di promuovere iniziative di accesso ai Palazzi della politica, sia, e soprattutto, di ampliare in tempo reale l'offerta informativa sull'attività dei parlamenti, attraverso la comunicazione televisiva e telematica.

Attraverso i siti internet delle assemblee parlamentari, è oggi possibile a chiunque accedere ad informazioni e documenti un tempo disponibili solo ad una ristretta cerchia di specialisti.

Anche questi moderni strumenti di comunicazione hanno favorito una più estesa conoscenza dei Parlamenti, della loro attività e della loro funzione istituzionale.

A questo sforzo divulgativo, dovrà corrispondere in futuro una crescente preoccupazione orientata alla formazione ed alla diffusione di una solida cultura parlamentare, specialmente da parte delle più giovani generazioni.

Mi riferisco, in particolare, non soltanto ai profili tecnici e procedurali dell'attività dei Parlamenti, ma soprattutto al loro contenuto politico ed allo sforzo di dialogo e confronto civile fra le diverse istanze ed interessi, anche confliggenti, espressi dalla società.

Vivere il Parlamento come sede di reciproco accreditamento del diritto di parola e di cittadinanza anche dell'avversario politico può sembrare un'ovvietà agli occhi delle élites intellettuali, ma può non essere così ovvio in ambiti sociali meno privilegiati dove proprio attraverso l'esempio del Parlamento e del comportamento dei parlamentari deve essere promossa la tolleranza e la pacifica convivenza civile, esercitando quella "funzione educativa" dei Parlamenti già posta in risalto, a metà Ottocento, da Walter Bagehot.