Autorità, Signore e Signori!
Sono lieto di ospitare alla Camera dei deputati, per il secondo anno consecutivo, la presentazione del Rapporto ISTAT, che costituisce un'autorevole occasione per fare il punto sull'andamento dell'economia e della società italiana in un momento di particolare preoccupazione per gli effetti che la crisi globale sta producendo sulle nostre imprese, sui nostri lavoratori e sui giovani, specie per quelli in cerca di prima occupazione.
Innanzittutto, occorre ricordare, che, già a partire dalla fine degli anni '90, l'economia mondiale ha subìto un processo di profonda trasformazione che ha modificato la natura dei prodotti, i sistemi di produzione e di distribuzione dei beni e servizi e ha determinato nuove forme di globalizzazione del mercato.
In altre parole, non dobbiamo mai dimenticare che è profondamento cambiato l'andamento dell'economia europea ed internazionale entro cui operava anche il sistema italiano: l'adozione dell'euro, l'accentuata instabilità dei mercati monetari e borsistici, la rivoluzione tecnologica negli USA, le innovazioni dell'informazione e della comunicazione, la concorrenza dei paesi che producono ricchezza utilizzando manodopera a basso costo sono stati alcuni dei fattori rivelatisi essenziali nel determinare il cambiamento di scenario.
La globalizzazione ha, quindi, allargato sia le frontiere geografiche che quelle della conoscenza, con la conseguenza che oggi, in Italia, la sopravvivenza e lo sviluppo del sistema imprenditoriale e del terziario avanzato si giocano soprattutto sul versante della qualità dei prodotti e dei servizi e su quello della capacità di innovare i processi produttivi, aprendosi a nuovi mercati con lungimiranza, intraprendenza e flessibilità.
Non a caso il Rapporto ISTAT di quest'anno ci dice che la recente crisi economica, iniziata nella seconda parte del 2007 come fenomeno circoscritto al settore finanziario degli Stati Uniti, ha causato, anche nel nostro Paese, effetti molto diversificati (a seconda dei settori produttivi, delle posizioni sul mercato del lavoro, delle tipologie di famiglie e di cittadini), effetti tali da richiedere uno sforzo maggiore per dare concretezza a quel concetto di "sviluppo sostenibile" inteso quale complesso di risorse economiche, sociali e ambientali che ogni generazione trasferisce a quelle successive, sempre più indispensabile se si guarda all'immediato futuro.
In questo difficile quadro continuano a pesare i nostri ritardi cronici rappresentati soprattutto dalla difficoltà di operare tagli duraturi della spesa e dall'incapacità di selezionare adeguatamente, nel rigoroso rispetto dei vincoli di bilancio, quegli interventi pubblici necessari per la soluzione dei nodi strutturali che affliggono ancora moltissime aree territoriali del nostro Paese e, in particolar modo, del Mezzogiorno d'Italia.
La nostra prima preoccupazione, in altri termini, deve essere quella di non ripetere l'errore di interventi congiunturali della riduzione della spesa e di non riproporre politiche di sostegno pubblico della crescita economica, che, in passato, si sono rivelate, lungi dal garantire una ripresa della produzione e della competitività, un fattore discorsivo della nostra economia.
La necessità di affrontare questi ed altri nodi (in primis, quello del prevedibile incremento della disoccupazione e della conflittualità sociale) risulta rafforzata anche dalle recenti vicende relative alla crisi finanziaria della Grecia e alla speculazione sull'euro, vicende che ripropongono, tra l'altro, il tema, da tempo all'attenzione degli studiosi e degli esperti della materia, della qualità dei dati statistici ufficiali per quanto concerne le politiche di bilancio.
A questo riguardo, la Commissione europea ha saggiamente presentato una proposta di regolamento per migliorare l'affidabilità delle statistiche sulla finanza pubblica, in modo da rendere più efficaci i sistemi di controllo preventivo nell'ambito della governance europea sul patto di stabilità.
Si tratta di un'esigenza che deve trovare una risposta adeguata da parte dei sistemi pubblici di statistica.
L'esperienza di questi giorni dimostra chiaramente che non si può più affidare alle agenzie private di rating il compito di valutare la credibilità dei dati statistici.
Troppo rischiosi, infatti, sono - come denunciato tra gli altri dal Cancelliere tedesco Angela Merkel - i condizionamenti e le pressioni di varia natura, che, a causa dell'andamento altalenante dei mercati, possono provocare seri danni ai risparmiatori che investono e, in ultima istanza, ai cittadini che sono chiamati a sostenere gli oneri di manovre di risanamento economico costellate di sacrifici.
La trasparenza dei conti e la possibilità di verificare il loro andamento, in modo da prevenire il rischio che situazioni critiche precipitino, anche per la spinta di manovre speculative su vasta scale, richiedono uno sforzo virtuoso e sinergico da parte degli istituti di statistica, degli organi di governo e dei Parlamenti che si devono organizzare al meglio per monitorare e governare la situazione.
In specie, i Parlamenti devono essere in grado di svolgere compiutamente questo delicato compito, dal momento che essi sono chiamati a rappresentare gli interessi supremi della collettività.
Solo così, infatti, la statistica, che è un bene pubblico, indivisibile e non esclusivo (come la giustizia, l'istruzione, la sanità), potrà essere ulteriormente valorizzata per assolvere all'esercizio di quelle funzioni che, già nel 1826, l'economista italiano Melchiorre Gioia considerava indispensabili per (cito testualmente) "consentire ad un paese, nel corso giornaliero degli affari, di progredire socialmente sulla base di cognizioni neutre rese da uffici imparziali".