Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

13/07/2010

Montecitorio, Sala del Mappamondo - Presentazione del libro "L'Europa è finita?" di Enrico Letta e Lucio Caracciolo

Vorrei iniziare con le parole dedicate da un pensatore politico americano, Michael Walzer, al processo di integrazione politica del nostro Continente. "La Comunità europea -ha scritto- è l'esempio di un'unione di Stati nazionali che non è né un impero né una federazione, ma una realtà diversa e forse una novità assoluta".

Questa novità assoluta è la forza e, nello stesso tempo, il punto critico dell'UE. Come tutte le realtà nuove, pone infatti problemi complessi e richiede tempi non brevi per essere compresa da tutti. Ma novità significa anche che parliamo della sfida più alta posta oggi dinanzi a 500 milioni di cittadini europei. Una sfida che ci obbliga ad andare avanti nel cammino dell'integrazione, per far sì che l'area del mondo in cui viviamo continui ad essere la terra dei diritti, delle libertà, del progresso economico e civile, di un'alta qualità della vita.

Il libro di Enrico Letta e Lucio Caracciolo entra nel cuore di questi problemi e rappresenta un contributo di notevole interesse al dibattito sulle prospettive dell'Unione Europea in questa delicata fase della vita continentale, con le Istituzioni comunitarie e i governi impegnati a salvaguardare l'euro e la stabilità finanziaria degli Stati dopo la nota crisi.

Saluto gli autori unitamente agli illustri relatori: il Ministro degli affari Regionali e le Autonomie Locali, Raffaele Fitto, e il Presidente dell'Istituto Enclopedia Italiana Treccani, Giuliano Amato.


Il volume di Letta e Caracciolo si legge, per così dire, tutto d'un fiato. Non solo per la scorrevolezze dello stile, ma per la densità delle analisi che vi sono contenute. Gli autori vanno al cuore dei problemi. Lo fanno attraverso un dialogo serrato e intenso, che nulla concede alla retorica (rischio sempre in agguato quando si parla di Unione Europea) o al gusto sterile della provocazione fine a se stessa.

I loro rispettivi punti di vista sono diversi e per certi versi opposti. Letta ritiene che occorra rilanciare con decisione le linee con cui s'è costruita fino ad oggi l'Unione Europea. Caracciolo pensa al contrario che occorra cambiare strada e adottare una differente impostazione culturale.

Da questa diversità di opinioni non si sprigiona però un dialogo tra sordi, ma una dialettica stimolante e feconda.

Entrambi sostengono insieme, nell'unica parte del volume che sottoscrivono congiuntamente, che in questa fase - cito testualmente- "l'incontro (e lo scontro) delle opinioni divergenti è necessario per stimolare un più ampio dibattito sull'Europa che vogliamo".


Secondo Letta, la crisi finanziaria di questi mesi offre una forte spinta per procedere verso l'integrazione comunitaria. La stabilità dell'Eurozona dovrebbe essere innanzi tutto difesa, a suo giudizio, dalla creazione di autorità paneuropee che siano in grado di evitare quello che è successo in Grecia. Per prima cosa, il co-autore del libro propone di incorporare in Eurostat gli istituti di statistica nazionali. "Può sembrare molto tecnico- argomenta Letta- ma la certezza dei numeri è una questione di primaria rilevanza politica"; e credo sia oggettivamente difficile contestare questa idea.

La seconda proposta è quella di permettere alle Istituzioni europee, in particolare alla Banca Centrale, di operare interventi più rigorosi in modo da superare - come egli scrive- la "piena separazione dei debiti pubblici dell'Eurozona, dando vita a una capacità, anche parziale, di condivisione". Ogni Stato membro dovrebbe insomma arrivare a fidarsi di più del debito contratto da ogni altro Stato membro. Questo è un obiettino non facilmente conseguibile, almeno per chi conosce il dibattito in corso.

Il terzo punto è probabilmente quello destinato a far discutere maggiormente. Letta ritiene che serva a tutti i costi una legge finanziaria europea. "Non si può più permettere -così osserva- ai singoli Paesi di compiere scelte di bilancio completamente indipendenti le une dalle altre, se non nella logica generica e sempre meno efficace del limite del 3%".

Si tratta di medicine amare e di temi forti. L'intenzione è quella di rafforzare le Istituzioni comuni dell'Europa e di trovare meccanismi di coordinamento tra le politiche di bilancio dei governi, oltre la logica delle mediazione e dei compromessi al ribasso.

Tali proposte comportano però un'ulteriore cessione di sovranità da parte degli Stati nazionali in favore delle Istituzioni europee. Sono pronte, per simili passi, le opinioni pubbliche dei Paesi dell'UE, all'interno dei quali agiscono forti pulsioni euroscettiche e dove si tende spesso a contrapporre gli interessi nazionali a quelli continentali? Letta propone al riguardo di assegnare un ruolo molto significativo al Parlamento europeo, come è peraltro previsto dal Trattato di Lisbona. Occorre comunque superare la discrasia tra un'assemblea a ventisette e una moneta unica ancora a sedici. "Si potrebbe immaginare -propone sempre Letta - un coordinamento tra le commissioni di bilancio e finanze dei sedici parlamenti nazionali dell'Eurozona, che costituiscono l'interfaccia dell'Eurogruppo e della Banca centrale europea". E questa credo sia una proposta degna di essere considerata.


Assai distante è la visione di Lucio Caracciolo, il quale critica l'impostazione di fondo della UE, quella che vede nell'unione monetaria la precondizione dell'unione politica. A suo giudizio, il processo doveva essere inverso. "E' lo Stato che batte moneta, non viceversa" , afferma il direttore di "Limes". Le obiezioni di Caracciolo sono comuni a una parte della cultura italiana ed europea, la quale , pur condividendo l'ideale di un'Europa unita, tende a porre l'accento più sul dato politico e geopolitico, piuttosto che su quello economico.

Secondo questa visione, l'euro può riscuotere la piena fiducia dei mercati non solo se rappresenta un'economia sana, ma anche se viene garantita e sorretta da una compagine statale vera, da un sistema di decisioni politiche e di capacità amministrative, da una politica estera incisiva.

Caracciolo auspica, ed è un auspicio che certamente farà discutere, la formazione di una Confederazione europea all'interno dell'Unione europea che comprenda i sei Paesi fondatori (Italia, Francia, Germania Olanda, Lussemburgo e Belgio) più Spagna, Portogallo e Austria. Il co-autore ritiene che una simile prospettiva asseconderebbe una vocazione già emersa in alcuni Stati dell'UE, che tendono a convergere e a raggrupparsi in maniera informale, perché hanno più risorse in comune -per esempio l'euro- e perché agiscono in maniera più coordinata rispetto ad altri.

Caracciolo è consapevole di indicare una prospettiva decisamente alternativa rispetto a quella seguita fino ad oggi, tanto che la definisce "la mia Europa ideale, non impossibile, ma nemmeno probabile".

Però, indipendentemente dalla posizione che si può assumere davanti alla linea indicata dal direttore di "Limes", ritengo che il suo invito alla discussione metta in luce una indubbia debolezza del dibattito pubblico, soprattutto riguardo alla necessità di approfondire la politica estera comune e di affermare la posizione dell'Europa negli equilibri geopolitici mondiali.


Letta e Caracciolo prospettano dunque diverse direzioni di marcia muovendo da impostazioni culturali differenti. Però -senza voler assumere a tutti costi una posizione, per così dire, ecumenica - ritengo di poter scorgere nelle loro diverse proposte una preoccupazione comune, peraltro condivisibile. E cioè che l'Europa ha bisogno, oggi più che mai, di una forte ripresa dell'iniziativa politica.

I nemici dell'Europa tendono ad assumere sembianze diverse. Una volta si anniderebbero nei cosidetti "egoismi nazionali", altre volte, all'opposto, nel potere della burocrazia o alla eurocrazia, altre volte ancora, come accade più di recente, nella speculazione finanziaria.

Si tratta, in molti casi, di comodi alibi che alimentano visioni minimaliste dell'Europa e che consentono alle classi dirigenti politiche continentali di sfruttare al massimo i vantaggi dell'ambiguità, quell'ambiguità che si può fatalmente generare in una costruzione complessa quanto fondata su diversi livelli di responsabilità.

Da un lato, infatti, il richiamo ai vincoli europei risulta spesso utilizzato per far accettare all'opinione pubblica le misure più dure di risanamento finanziario, laddove sarebbe invece auspicabile un dialogo più franco con i cittadini e una più coraggiosa nonché diretta assunzione di responsabilità. In questi casi la politica si mostra nel volto dell'europeismo.

Dall'altro, il riferimento agli interessi nazionali e alla sovranità degli Stati, viene spesso utilizzato per rallentare il processo di affermazione delle Istituzioni europee. E qui sarebbe invece necessario guardare con più fiducia al futuro comune dei popoli dell'UE. In questi altri casi la politica si presenta viceversa con il volto dell'euroscetticismo.

Se vogliamo dunque rilanciare realmente l'Europa, dobbiamo innanzi tutto risolvere questa paralizzante contraddizione.

Deve entrare più Europa nella comunicazione politica. Più Europa nelle strategie di lungo respiro. Più Europa nel patto fiduciario tra partiti ed elettori.

Solo così si può raccogliere nell'opinione pubblica quel consenso necessario per consolidare il processo di affermazione delle Istituzioni comunitarie e per realizzare nel concreto l'ideale dell'unità politica del Continente.


Tra le grandi sfide delineate nel libro c'è quella di scongiurare la prospettiva di un G-2 tra Stati Uniti e Cina volto a fissare le linee dello sviluppo mondiale, al di là dei vertici del G-20 che permettono comunque alle economie emergenti di rappresentare i loro interessi e le loro visioni.

L'alternativa - che al momento appare purtroppo utopistica- è quella di un G-3, con l'Europa rappresentata come soggetto unitario dell'economia e della politica mondiali.

I vertici internazionali presentano - come è noto - un forte valore simbolico, oltre al valore delle politiche che vi vengono stabilite.

Ebbene, l'affermazione dell'Europa come protagonista della scena mondiale significherebbe la riconquista piena della dimensione del futuro da parte dei popoli del Continente. E ciò, non solo da un punto di vista economico, ma anche nelle dimensioni dell'etica, della cultura e della civiltà.

I cittadini europei sono certo i primi ad aver bisogno dell'Europa. Ma ne hanno bisogno anche i cittadini delle altre aree della Terra. Perché in quest'area del mondo sono custoditi e affermati valori di libertà, civiltà, democrazia - peraltro condivisi con il grande alleato americano- che non possono subire arretramenti né sacrifici sull'altare di un'accumulazione di ricchezza indifferente ai diritti e alla qualità della vita delle persone.