Il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini

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Interventi e discorsi

Interventi e discorsi del Presidente della Camera

27/01/2011

Roma, Visita alla Comunità Ebraica di Roma in occasione del Giorno della Memoria

Signor Presidente della Comunità ebraica di Roma, Autorità, Signore e Signori!

E' con sincera deferenza e commozione che desidero anzitutto rendere omaggio alla memoria di Tullia Zevi, personalità di alto profilo morale, civile, culturale e religioso.

Presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane per 16 anni, Tullia Zevi, prima donna a ricoprire tale carica, ha dedicato gran parte della sua vita e della sua intelligenza a trasmettere il ricordo dell'Olocausto, senza concedere nulla al sentimento della rivalsa e della vendetta, ma cercando di far capire, soprattutto ai più giovani, i meccanismi profondi e perversi che hanno generato gli orrori della Shoah, per evitare che simili eventi possano ripetersi.

E', dunque, in primo luogo a Lei che dobbiamo dedicare questa cerimonia, che onora il "Giorno della Memoria" nell'imperituro ricordo di quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati italiani nei campi nazisti.

In questo spirito, l'incontro di oggi si inserisce anche in un cammino comune, di grande valore politico e per me anche personale, iniziato con l'apposizione, il 16 dicembre 2008, di una targa marmorea nel palazzo di Montecitorio, sede della Camera dei Deputati, a futuro e perenne monito contro la vergogna delle leggi razziali.

Scrivemmo allora che "la memoria delle persecuzioni e degli orrori che ne seguirono costituisce monito perenne affinché il Parlamento italiano sia sempre baluardo della libertà e della dignità della persona, secondo i principi e le disposizioni della Costituzione della Repubblica".

Anche oggi, giorno altamente simbolico non solo per le Comunità ebraiche, ma per l'intera comunità nazionale, esprimo questo auspicio affinché nessuna fuorviante tesi negazionista o mistificatrice possa lontanamente mettere in discussione il giudizio storico, universale ed oggettivo, nei confronti di un "male assoluto" che ha rappresentato il sonno della ragione.

Dobbiamo riaffermarlo perché è nell'indifferenza etica che crescono i pregiudizi; è nell'ignoranza che si cementano gli odi e i sospetti; è nella perdita dei valori della libertà e della tolleranza che fermentano i germi di nuove violenze!

Ribadite queste verità, penso che oggi sia opportuno compiere un ulteriore passo in avanti, rendendo non solo onore al sacrificio di quanti sono stati ingiustamente discriminati e perseguitati, ma anche rievocando il contributo che le più eminenti personalità delle Comunità ebraiche italiane hanno offerto, in campo politico, sociale, economico, scientifico e culturale, alle diverse fasi della nostra storia nazionale.

Proprio mentre commemoriamo i 150 anni dell'Italia unita, va ricordato, ad esempio, che, già dal 1848, con la concessione dello Statuto Albertino, il processo di formazione dello Stato unitario manifesta una significativa contiguità con l'evoluzione formale della condizione giuridica delle comunità ebraiche.

Cinquant'anni dopo quella data, Max Nordau scrisse[1] che "L'emancipazione degli ebrei non è stata in Italia, come in certi altri paesi, un atto di adozione, ma un atto di legittimazione. La legge che concedeva agli ebrei i diritti politici, che mutava la loro situazione nello Stato, non cambiava però i loro sentimenti. Si erano da quasi due millenni considerati figli del suolo d'Italia; ora si vedevano pure riconosciuti come tali".

Sarebbe assai lunga la lista delle prestigiose personalità di uomini e donne di origine ebraica, cui l'Italia unita deve riconoscenza per la passione patriottica e l'impegno personale, politico, sociale e culturale. A partire da Isacco Artom, segretario di Cavour, che, con i suoi articoli sulla stampa straniera, diede un contributo determinante alla diffusione delle simpatie europee per la causa italiana, in occasione della guerra d'indipendenza del 1859,

Certo non possiamo ripercorrere nominalmente la lunga sequenza di eminenti personalità che hanno onorato con la propria intelligenza e con il proprio impegno civile e politico la loro e la nostra storia di Italiani.

Può essere però significativo, in questa occasione, evocarne solo alcune per porre attenzione al prezioso contributo che il pensiero politico ebraico ha saputo fornire all'evoluzione della cultura istituzionale italiana.

A tal fine vi propongo, in sintesi, alcune chiavi di lettura a carattere trasversale, che ovviamente si ritrovano anche in altre tradizioni di pensiero, ma che mi sembrano trovare nella matrice culturale ebraica un fondamento valoriale determinante e, in quanto tali, penso possano trovare ulteriori momenti di approfondimento e riflessione.

Mi riferisco, in particolare, a tre categorie di pensiero e di azione politica come il primato assoluto della libertà ed il fondamento etico dell'agire politico; la solidarietà naturale con i discriminati e gli emarginati; la promozione ed il sostegno al riscatto individuale attraverso lo studio, la formazione professionale ed il lavoro.

Mi riferisco, inoltre, alla fiducia nella ricerca scientifica e nello sforzo individuale di conoscenza; alla consapevolezza del valore di una mentalità e di una società aperta e cosmopolita; al tema della "costruzione" e "ricostruzione" dello Stato democratico.

Tutti temi che, nei 150 anni dell'Italia unita, hanno rappresentato altrettanti fattori dell'impegno di cui le Comunità ebraiche sono state parte attiva ed autorevole.

Nella tradizione culturale ebraica, la riflessione teorica su questi temi ha, come è noto, origini ben più lontane, che risalgono, fra gli inizi del Cinquecento e la metà del Seicento, alla riflessione di Isaac Abravanel intorno ai problemi dell'autorità ed al "Trattato teologico-politico" di Baruch Spinoza, in cui già si manifesta una concezione della società politica intesa come estensione di una relazione costituitasi consensualmente fra soggetti liberi ed indipendenti.

Il patto costitutivo - e potremmo dire, costituzionale - non solo trasforma la comunità in popolo, ma, grazie ad esso, una comunità di affini diventa un corpo politico basato sul libero consenso.

Coessenziali a questo impianto di pensiero sono il primato assoluto della libertà individuale, garantito attraverso le istituzioni pubbliche e private ed il corrispettivo di responsabilità che grava indistintamente su tutti i sottoscrittori del patto.

In tal senso, il fondamento necessariamente etico dell'agire politico viene a configurarsi, nella tradizione della cultura politica ebraica, come il risultato di una tensione costante di raccordo e mediazione tra "Torah" e "Polis".

"Non c'è libertà, senza giustizia", ammoniva autorevolmente Carlo Rosselli negli anni Trenta.

Ed oltre al suo alto valore morale, c'è in questo concetto anche il riflesso di un approccio pragmatico e concreto all'agire politico che mi sembra di poter evidenziare come altra attitudine costante e pregevole di una visione che, nel momento in cui valorizza ed accredita il coraggio e la serietà di ogni slancio intellettuale e conoscitivo, ripudia al tempo stesso il dogmatismo e la retorica.

Dietro tutto questo c'è anzitutto la consapevolezza di una pedagogia popolare che, come è noto, rappresenta una delle intuizioni più acute ed attuali del repubblicanesimo mazziniano.

Necessità di un'azione "umanitaria" capace di superare il perimetro pietistico della "beneficenza" tradizionale, per divenire "assistenza ai più deboli mediante lo studio, l'istruzione, il lavoro"; un'assistenza "rispettosa della loro dignità e capace di spingerli ad elevarsi da soli, ricercando i propri valori intellettuali ed umani, grazie all'impegno individuale posto negli studi, nell'istruzione e nel lavoro".

Sono queste le espressioni che Moisè Lòria volle inserire nello Statuto della Società Umanitaria, nata a Milano nel 1893, e che, nel corso della sua storia, ha costantemente rappresentato uno dei più significativi versanti di pratica attuazione dei principi e dei valori identitari di quella cultura riformista liberale, socialista, repubblicana, laica e moderata, che con alterne vicende ha attraversato diverse fasi della nostra storia politica nazionale.

E' la riprova del fatto che l'azione di questo, come di altri enti di utilità generale che traggono origine dall'ambiente culturale ebraico, riflette un'attitudine più elevata rispetto ad una mera e pur degna preoccupazione sociale.

Credo che questa attitudine si possa interpretare come espressione di fiducia nelle capacità dell'uomo di evolversi dalla propria condizione originaria; di fiducia nella ricerca scientifica, nella formazione professionale e nello sforzo individuale di conoscenza, in un contesto in cui siano garantite a tutti pari condizioni di libertà e dignità.

Non a caso gli orrori del totalitarismo e della Shoah, su cui in questo giorno siamo chiamati a riflettere perchè non si ripetano mai più nella storia presente e futura, miravano anche ad annientare questo primario lievito di progresso per la comunità, questa consapevolezza del primato della persona umana, questo spirito vitale di libertà e dignità, di cui le immagini e le testimonianze dai campi di sterminio sono la più eloquente, tragica e disumana negazione.

Ho trovato una testimonianza significativa e toccante di questo spirito nelle medaglie al valor militare guadagnate nella prima guerra mondiale che molti ebrei deportati portarono con sé nei campi di sterminio, e che sono ora in mostra nella commovente vetrina dedicata agli ebrei italiani allo Yad Vashem di Gerusalemme.

Di questo stesso spirito, vi è parimenti una testimonianza nella lezione di Luigi Luzzatti, spirito coltissimo e cosmopolita, figura eminente della dottrina costituzionale e della classe politica liberale fra Ottocento e Novecento.

Fu per oltre sessant'anni deputato a partire dal 1871, promotore della rete delle banche popolari italiane e del primo importante nucleo della legislazione sociale italiana; più volte Ministro del Tesoro, responsabile di importanti iniziative di risanamento del bilancio pubblico e, da ultimo, Presidente del Consiglio dei Ministri dal 1910 al 1911.

In coraggioso e spesso aspro dissenso rispetto alla cultura liberista dominante nel suo tempo, Luzzatti era, infatti, fermamente convinto della necessità di un azione sussidiaria dello Stato, in modo da favorire, con il progresso civile e morale degli individui, anche un progresso di pari misura per l'intera società.

Intervenendo nel 1921 al Congresso nazionale delle forze democratiche e liberali, ribadì la propria convinzione che "la salvezza della cosa pubblica" risiede, in primo luogo, nelle garanzie previste dall'ordinamento costituzionale - che allora aveva carattere di monarchia costituzionale; ma aggiunse che, al medesimo fine concorrono anche altri principi essenziali, ed in particolare "che l'ordine pubblico è necessario per la difesa della libertà; che la libertà politica, quella religiosa e quella civile preparano le riforme nella finanza, nell'economia, nell'elevazione dei lavoratori, da noi contrapposta, come l'adempimento di un alto dovere, alla teoria fatale della lotta di classe".

Per quanto necessitino di adeguata storicizzazione, si può agevolmente constatare come le sue convinzioni offrano ancor'oggi materia di attualissima riflessione politica, dal momento che rispecchiano lo sforzo evolutivo compiuto nella sua storia millenaria dal popolo d'Israele e su quanto questa predisposizione di spirito sia stata generatrice di progresso nelle scienze, nella politica e nella società.

Grazie ad essa al monito contro la superbia intellettuale "Noli altum sapere" di San Paolo nella Lettera ai Romani, si antepone l'invito oraziano al "Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza!", che Immanuel Kant volle come motto dell'Illuminismo.

Traendo spunto da questo riferimento, mi avvio alla conclusione con l'ultimo dei temi che ho sinteticamente indicato per evidenziare il qualificante apporto della cultura politica ebraica alla "costruzione" e "ricostruzione" dello Stato democratico.

Si tratta di un tema paradigmatico per la storia d'Israele così come per quella dell'Italia Repubblicana, i cui valori fondamentali di pluralismo e democrazia furono efficacemente testimoniati nell'Assemblea Costituente da eminenti figure di italiani di origine ebraica, fra cui Ugo Della Seta ed Umberto Terracini.

In particolare, nel suo discorso d'insediamento alla Presidenza dell'Assemblea, l'8 febbraio 1947, Terracini sostenne coraggiosamente che per quanto la base della Costituzione fosse il regime repubblicano scelto dal popolo il 2 giugno 1946, in esso avrebbero dovuto comunque riflettersi gradualmente anche le aspirazioni di coloro che quella scelta non avevano condiviso.

E nel discorso conclusivo del 22 dicembre 1947, ringraziando i deputati per il lavoro svolto, aggiunse: "E' col nostro lavoro intenso e ordinato, è con lo spettacolo ad ogni giorno da noi offertogli della nostra metodica, instancabile applicazione al compito affidatoci, che noi ci siamo infine conquistati la simpatia e la fiducia del popolo italiano. Il quale nelle sue disdette come nelle sue gioie sempre più è venuto volgendosi all'Assemblea Costituente come a naturale delegata ed interprete e realizzatrice del suo pensiero e delle sue aspirazioni".

E questo - concluse - "è un prezioso retaggio morale che noi lasciamo alle future Camere legislative della Repubblica".

In queste parole si ritrova una lezione morale profondamente radicata nella tradizione ebraica, da cui ci derivano, aldilà degli schieramenti politici, uno spirito di rettitudine e di civismo, la cultura del confronto e del rispetto, la sapienza dell'equilibrio e della misura, l'essenzialità di un etica politica intransigente in tema di libertà civili e di progresso degli individui e della comunità.

Su questo patrimonio di valori occorre costantemente riflettere per diffonderne la pratica e la conoscenza e tramandarne il valore ed il rispetto.

E' questo il fronte d'impegno che deve quotidianamente sostenere la nostra azione, nelle istituzioni politiche così come nelle sedi di formazione dei giovani, nella famiglia, nei luoghi di lavoro ed in tutte le aggregazioni sociali, per fare in modo che l'esercizio doveroso e costruttivo della Memoria delle persecuzioni e delle discriminazioni antiebraiche e razziste non resti patrimonio di un giorno all'anno, ma divenga respiro quotidiano della nostra società.

Anche per questo ho iniziato questo intervento commemorando la figura di una donna straordinaria come Tullia Zevi.

Desidero concluderlo aggiungendo al novero di figure che ho, sia pur sinteticamente, evocato, anche un necessario richiamo al ruolo assunto da alcune eccezionali figure femminili la cui esperienza, nelle diverse epoche storiche, è di per sé stessa simbolo eloquente e non retorico di una condizione della donna concepita, nelle espressioni più progressive della cultura ebraica, come compartecipe delle funzioni educative familiari e, al tempo stesso, dell'autonomia nella ricerca intellettuale, della consapevolezza nell'agire politico, della responsabilità nell'impegno sociale.

A questo proposito, sono molte le personalità che, dall'epopea delle Repubbliche veneta e romana del 1848-'49 fino all'Assemblea costituente del 1946-'47, hanno fornito numerosissimi esempi di coraggio e di valore personale ed intellettuale, nobilmente declinato al femminile.

In questo senso Amelia Pincherle, madre dei fratelli Rosselli, è una personalità simbolica che racchiude idealmente gli ideali patriottici delle protagoniste della Repubblica Veneta di Manin; la vivacità e l'impegno delle tante donne di origine ebraica protagoniste della cultura e della storia italiana ed il dolore di tutte le madri che hanno subito la tragedia della morte dei propri figli. Penso a Enrichetta Levi, a Giuditta Ventura Lattes, ad Allegrina Curiel Sacerdoti, a Letizia Pesaro Maurogonato.

E' nel ricordo di queste figure emblematiche e a volte tragiche, ma, al tempo stesso, piene di forza, di viva intelligenza e di speranza che va rafforzato l'impegno perché gli insegnamenti ed i valori connessi a questo Giorno continuino a far parte della Memoria collettiva di tutti gli italiani.

Grazie.