Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di giovedì 28 aprile 2011

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 28 aprile 2011.

Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Antonione, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bongiorno, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Buttiglione, Caparini, Carfagna, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Craxi, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Fava, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lamorte, Leo, Leone, Lo Monte, Lombardo, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Mura, Leoluca Orlando, Pisacane, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Rigoni, Roccella, Romani, Romano, Rotondi, Saglia, Sardelli, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Vito.

Annunzio di proposte di legge.

In data 27 aprile 2011 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
CALLEGARI e FOGLIATO: «Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità agraria e naturale» (4309);
TORRISI ed altri: «Modifica all'articolo 315 del codice di procedura penale in materia di riparazione per ingiusta detenzione» (4310);
CATONE: «Norme per il riconoscimento del Dizionario illustrato della lingua dei segni italiana come ausilio didattico e strumento per la piena integrazione dei sordi» (4311);
GARAGNANI: «Introduzione dell'articolo 490-bis del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e altre disposizioni in materia di qualità dell'insegnamento» (4312).
Saranno stampate e distribuite.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

La proposta di legge DE CORATO ed altri: «Introduzione dell'articolo 18-bis del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, in materia di svolgimento di raduni a carattere musicale in spazi non attrezzati» (568) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Mazzoni.

Modifica del titolo di proposte di legge.

La proposta di legge n. 4240, d'iniziativa dei deputati LANZARIN ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Modifiche agli articoli 187, 216-bis e 230 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di miscelazione di rifiuti speciali e di oli usati nonché di tracciabilità e di conferimento dei rifiuti provenienti dalle attività di pulizia manutentiva delle reti fognarie».

La proposta di legge n. 4264, d'iniziativa dei deputati MONTAGNOLI ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Istituzione in Verona di una sezione distaccata della corte d'appello e di una sezione distaccata della corte di assise d'appello di Venezia».

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
I Commissione (Affari costituzionali):
VELTRONI ed altri: «Norme sulla democrazia interna dei partiti e sulla disciplina delle elezioni primarie» (4194) Parere delle Commissioni II, V, VII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE CAMBURSANO ed altri: «Modifica all'articolo 81 della Costituzione, in materia di debito pubblico» (4205) Parere della V Commissione;
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE SARDELLI ed altri: «Modifica dell'articolo 94 della Costituzione, in materia di disciplina della fiducia e della mozione di sfiducia nei riguardi del Presidente del Consiglio dei ministri» (4282).
IV Commissione (Difesa):
RUGGHIA ed altri: «Incentivi per favorire il reclutamento dei volontari di truppa delle Forze armate» (4191) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII, IX, XI, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
VIII Commissione (Ambiente):
PES ed altri: «Modifiche all'allegato III alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, all'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e all'articolo 42 della legge 23 luglio 2009, n. 99, concernenti l'attribuzione alle regioni delle competenze in materia di procedure autorizzatorie relative agli impianti eolici per la produzione di energia elettrica ubicati in mare» (4141) Parere delle Commissioni I, V, VI, IX, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
X Commissione (Attività produttive):
DAMIANO ed altri: «Statuto dei lavori autonomi. Delega al Governo in materia di semplificazione degli adempimenti, pagamenti, garanzie del credito, tutela della maternità, revisione dei contributi previdenziali e ammortizzatori sociali» (4050) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
XII Commissione (Affari sociali):

SCHIRRU ed altri: «Interpretazione autentica dell'articolo 14-septies del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, in materia di requisiti di reddito per la concessione di provvidenze economiche in favore dei minorati civili, dei ciechi e dei sordi» (4222) Parere delle Commissioni I, V e XI.
Commissioni riunite VII (Cultura) e XII (Affari sociali):
NIZZI ed altri: «Istituzione delle professioni di fisico e di fisico medico» (4020) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), V, VIII, X, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Commissioni riunite IX (Trasporti) e X (Attività produttive):
GIOACCHINO ALFANO ed altri: «Istituzione di un Fondo per la tutela dei passeggeri aerei da eventi imprevedibili» (4212) Parere delle Commissioni I, II e V.

Annunzio di sentenze della Corte costituzionale.

La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria le seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:
sentenza n. 128 del 4-13 aprile 2011 (doc. VII, n. 618), con la quale:
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1-quinquies, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2 (Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni), introdotto dalla legge di conversione 26 marzo 2010, n. 42, promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione, dalla regione Veneto;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo 1, comma 1-quinquies, del decreto-legge n. 2 del 2010, promossa, in riferimento all'articolo 97 della Costituzione, dalla regione Veneto:

alla VIII Commissione (Ambiente);
sentenza n. 129 del 4-13 aprile 2011 (doc. VII, n. 619) con la quale:
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 8, lettera b), della legge della Provincia autonoma di Trento 11 giugno 2010, n. 12 (Sviluppo della mobilità e della viabilità ciclistica e ciclopedonale nonché modificazioni dell'articolo 52 della legge provinciale 20 marzo 2000, n. 3, in materia di procedure di approvazione del piano provinciale della mobilità), sollevata, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:

alla VIII Commissione (Ambiente);
sentenza n. 136 del 6-15 aprile 2011 (doc. VII, n. 620) con la quale:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell'articolo 2 della legge 14 marzo 2005, n. 41 (Disposizioni per l'attuazione della decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 del Consiglio dell'Unione europea, che istituisce l'Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità), sollevata, in riferimento agli articoli 105 e 110 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio:

alla II Commissione (Giustizia);
sentenza n. 153 del 18-21 aprile 2011 (doc. VII, n. 624) con la quale:
dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 4 del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64 (Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attività culturali), come convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2010, n. 100, promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo comma, 118 e 120 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dalla regione Toscana;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1 del decreto-legge n. 64 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 100 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo e sesto comma, e 118 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dalla regione Toscana:

alla VII Commissione (Cultura).

La Corte costituzionale ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:
con lettera in data 13 aprile 2011, sentenza n. 127 del 4-13 aprile 2011 (doc. VII, n. 617), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 23 della legge della regione Puglia 25 febbraio 2010, n. 5 (Norme in materia di lavori pubblici e disposizioni diverse):

alla XI Commissione (Lavoro);
con lettera in data 21 aprile 2011, sentenza n. 150 del 18-21 aprile 2011 (doc. VII, n. 621), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 34, comma 3, della legge della regione Abruzzo 12 maggio 2010, n. 17 (Modifiche alla legge regionale 16 luglio 2008, n. 11 «Nuove norme in materia di Commercio» e disposizioni per favorire il superamento della crisi nel settore del commercio);
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2 della legge della regione Abruzzo n. 38 del 2010;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, e 34, comma 2, della legge della regione Abruzzo n. 17 del 2010 promosse, in riferimento all'articolo 117, comma secondo, lettera e), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:

alla X Commissione (Attività produttive);
con lettera in data 21 aprile 2011, sentenza n. 151 del 18-21 aprile 2011 (doc. VII, n. 622), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 4, 8, comma 4, 11, commi 1 e 2, 22, comma 6, 33, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 12 maggio 2010, n. 6 (Legge di tutela della natura e altre disposizioni):

alla XIII Commissione (Agricoltura);
con lettera in data 21 aprile 2011, sentenza n. 152 del 18-21 aprile 2011 (doc. VII, n. 623), con la quale:
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 6, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, come convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali internazionali e nazionali operate, tra l'altro, nella forma dei cosiddetti "caroselli" e "cartiere", di potenziamento e razionalizzazione della riscossione tributaria anche in adeguamento alla normativa comunitaria, di destinazione dei gettiti recuperati al finanziamento di un Fondo per incentivi e sostegno della domanda in particolari settori), nella parte in cui stabilisce che le entrate derivanti dal recupero dei crediti d'imposta «sono riversate all'entrata del bilancio dello Stato e restano acquisite all'erario», anche con riferimento a crediti d'imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio della regione siciliana;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 2-bis, del decreto-legge n. 40 del 2010, nella parte in cui stabilisce che «le maggiori entrate derivanti dal presente comma» «affluiscono al fondo di cui all'articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, per essere destinate alle esigenze di finanziamento delle missioni internazionali di pace» anche con riferimento a controversie inerenti a tributi erariali che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio della regione siciliana;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2-undecies, del decreto-legge n. 40 del 2010, proposta, in riferimento agli articoli 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della regione siciliana) e degli articoli 2 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della regione siciliana in materia finanziaria), dalla regione siciliana;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2-octies del decreto-legge n. 40 del 2010, proposta, in riferimento all'articolo 36 del regio decreto legislativo n. 455 del 1946 ed al principio di leale collaborazione, dalla regione siciliana:

alla VI Commissione (Finanze).

Trasmissione dal ministro della difesa.

Il ministro della difesa, con lettera del 20 aprile 2011, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data all'ordine del giorno FARINA COSCIONI ed altri n. 9/4086/4, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 25 febbraio 2011, concernente iniziative normative volte alla reintroduzione della disciplina delle attività di bonifica da ordigni esplosivi e da residuati bellici rinvenibili sul territorio nazionale.

La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla IV Commissione (Difesa) competente per materia.

Trasmissione dal ministro dello sviluppo economico.

Il ministro dello sviluppo economico, con lettera in data 28 aprile 2011, ha trasmesso il rapporto annuale 2010 sugli interventi nelle aree sottoutilizzate (doc. LVII, n. 4 - Allegato V).

Questo documento - che sarà stampato come allegato al Documento di economia e finanza 2011 - è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e a tutte le altre Commissioni permanenti, nonché alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

La Commissione europea, in data 27 aprile 2011, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione di un nuovo protocollo che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall'accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e la Repubblica del Capo Verde (COM(2011)228 definitivo), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B  al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

Sono pervenute alla Presidenza dai competenti Ministeri risposte scritte ad interrogazioni. Sono pubblicate nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

Nell'Allegato A al resoconto della seduta del 20 aprile 2011, a pagina 4, seconda colonna, alle righe quarta e quinta, le parole: «della V Commissione» si intendono sostituite dalle seguenti: «delle Commissioni II e V».

Nell'Allegato A al resoconto della seduta del 13 maggio 2009, a pagina 5, prima colonna, le righe dalla ventunesima alla ventottesima si intendono soppresse e, dopo la trentacinquesima riga, si intendono inserite le seguenti:
«XII Commissione (Affari sociali):
SCHIRRU ed altri; "Modifiche all'articolo 14-septies del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, in materia di limiti di reddito per il diritto alla pensione in favore degli invalidi totali" (1092) Parere delle Commissioni I, V e XI».

DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2011 (DOC. LVII, N. 4)

Risoluzioni

La Camera,
esaminato il Documento di economia e finanza 2011,
premesso che:
a) l'articolo 22-ter, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2009, così come modificato dal decreto-legge n. 78 del 2010 convertito con legge n. 122 del 2010, prevede che le economie derivanti dall'innalzamento dell'età pensionabile delle lavoratrici della pubblica amministrazione confluiscano nel Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera b-bis), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni;
b) il decreto-legge n. 78 del 2010 ha disposto che tali risorse devono essere destinate «per interventi dedicati a politiche sociali e familiari con particolare attenzione alla non autosufficienza e all'esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici»;
c) la Legge finanziaria 2010 (articolo 2, comma 129, secondo periodo, legge n. 191 del 2009) ha previsto che le disponibilità del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale «sono ridotte di 120 milioni di euro per l'anno 2010» - riduzione pari all'intero ammontare per il 2010 delle economie derivanti dall'innalzamento dell'età pensionabile delle lavoratrici della pubblica amministrazione - a copertura dei maggiori oneri derivanti da provvedimenti nel settore sanitario, per il rimborso ai comuni del minor gettito derivante dall'abolizione dell'ICI sull'abitazione principale e per il finanziamento del Fondo per la non autosufficienza;
d) la legge di stabilità 2011 (articolo 1, comma 53, legge n. 220 del 2010) ha previsto che la dotazione del citato Fondo strategico sia ridotta di 242 milioni di euro anche per il 2011 - riduzione pari all'intero ammontare per il 2011 delle economie derivanti dall'innalzamento dell'età pensionabile delle lavoratrici della pubblica amministrazione - a coperture di numerosi interventi fra i quali non sono previste misure di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici;
e) il Programma Nazionale di Riforma (PNR), nel prevedere interventi a favore della conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici - in particolare in attuazione del programma per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro «Italia 2020» e dell'avviso comune tra le parti sociali, siglato al Ministero del lavoro, sulle misure a sostegno delle politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro - non fa alcun riferimento all'utilizzazione per queste finalità delle risorse del citato Fondo strategico espressamente destinate dalla legge per il finanziamento di interventi dedicati alla non autosufficienza e all'esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici;
f) il PNR fa riferimento alla modifica del regime previdenziale delle donne che lavorano nell'amministrazione pubblica unicamente per sottolineare che «la misura dovrebbe favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro attraverso l'allungamento delle loro carriere nel settore pubblico», senza neppure evocare che le economie derivanti sono state destinate alle misure per la conciliazione tra lavoro e cura della famiglia,

impegna il Governo

1) a integrare il Programma Nazionale di Riforma con l'indicazione degli interventi dedicati alla non autosufficienza e all'esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici che s'intendono realizzare con le disponibilità del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale espressamente vincolate a queste finalità;
2) a presentare entro il 30 giugno 2011 un dettagliato programma pluriennale sugli interventi dedicati alla non auto sufficienza e all'esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici con l'indicazione delle dotazioni del citato Fondo che saranno utilizzate a tal fine in ciascuna annualità;
3) a prevedere che gli interventi per la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare siano rivolti a potenziare tutte le tipologie di servizi di assistenza per l'infanzia e per le persone non autosufficienti, a incentivare la flessibilità dell'orario di lavoro e di tutte le altre misure volte a introdurre nuove modalità organizzative e gestionali dei tempi di lavoro family friendly, a facilitare l'uso del part-time volontario e a introdurre il voucher universale per i servizi alla persona a partire dalle buone pratiche già in uso in Italia e in altri paesi europei, anche per ridurre il fenomeno del lavoro irregolare largamente diffuso in questo settore;
4) a reintegrare la dotazione del citato Fondo utilizzata per fini diversi nel 2010 e nel 2011.
(6-00077)
«Beltrandi, Maurizio Turco, Bernardini, Zamparutti, Mecacci, Lanzillotta, Mosca, Farina Coscioni, Moroni, Bongiorno, Golfo, Lorenzin, Perina, Binetti».

La Camera,
esaminato il Documento di economia e finanza 2011;
rilevato come:
il dibattito sul Documento di economia e finanza italiano va inquadrato nella cornice europea dopo la sostituzione del Patto di stabilità (e crescita) siglato a Maastricht nel 1991 con uno strumento molto più stringente: il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) da approvare a giugno da parte del Consiglio europeo. Questo dovrebbe prevedere, tra l'altro, interventi automatici di un Fondo europeo dotato di risorse pari a 500 miliardi di euro in cambio di cure drastiche. Il primo passo in questa direzione è già stato compiuto nel Consiglio europeo del 24/25 marzo con l'accordo sul Patto Euro Plus (PEP);
le economie più in difficoltà del continente saranno messe sostanzialmente sotto amministrazione controllata da parte della Banca centrale europea secondo i principi di un nuovo «Frankfurt consensus»;
l'interesse a stabilizzare i sistemi finanziari di alcuni paesi europei è così forte perché, stando agli ultimi dati della Banca dei regolamenti internazionali (giugno 2010), il sistema bancario tedesco è esposto sulla Grecia per 65,4 miliardi, sull'Irlanda per 186,4, sul Portogallo per 44,3 e sulla Spagna per 216,6, e che solo prestiti internazionali possono salvare le banche tedesche per le quali un crack finanziario dei propri debitori avrebbe effetti devastanti;
si sta in pratica edificando, come da tempo chiedevano i più illuminati fra gli economisti, un governo dell'economia europeo che si affiancherà alla moneta unica;
l'obiettivo non è più quello di un indebitamento annualmente non superiore al 3 per cento del PIL, ma è ora il pareggio annuale, pertanto il 2015 non sarà l'anno di avvio per l'applicazione delle nuove regole, ma l'anno in cui si comincerà a verificare come le si è applicate nel triennio precedente, e quindi a partire dal 2012;
sarà introdotta la regola che qualunque entrata ulteriore a quelle poste in bilancio dovrà andare a riduzione del disavanzo, mai a copertura di nuove o maggiori spese;
c'è anche l'impegno ad introdurre in Costituzione il vincolo della disciplina di bilancio;
rileviamo un paradosso: i debiti pubblici sono fortemente cresciuti durante la crisi più che altro per gli interventi di salvataggio delle banche e di sostegno ai mercati finanziari. In sostanza sono stati scaricati sugli Stati i debiti privati che sono dunque diventati debito pubblico. I mercati finanziari si rivolgono oggi proprio contro i governi che li hanno salvati (a spese dei contribuenti) perché oberati da troppi debiti. Oltretutto i Paesi in difficoltà (con l'eccezione della Grecia) erano Paesi con i conti pubblici in ordine secondo i dettami del Trattato di Maastricht;
la soluzione che viene proposta è semplice: tagliare la spesa pubblica a partire dagli sprechi e dalle spese inutili. Andranno naturalmente valutati l'impatto sulla crescita, garantendo comunque la spesa sociale insopprimibile;
serve dunque una riflessione più approfondita. La crisi attuale è figlia sia dell'incapacità delle politiche liberiste sia di quelle keynesiane ad affrontare i problemi posti dalla globalizzazione dell'economia;
valutato come, se gli obiettivi che il Governo ci propone con il PNR 2011 saranno raggiunti, l'Italia occuperà l'ultimo posto in quasi tutti gli ambiti della strategia Europa 2020;
nell'ambito di «Europa 2020» sono stati definiti grandi ambiti di azione, con obiettivi quantitativi da raggiungere a livello comunitario. Essi riguardano il tasso di occupazione (75 per cento), il rapporto spese di R&S/PIL (3 per cento), la riduzione degli abbandoni scolastici (al 10 per cento), la quota di giovani 30-34 con educazione «terziaria» (40 per cento), la riduzione del numero di poveri di 2 milioni, e i tre obiettivi energetici 20 per cento-20 per cento-20 per cento (riduzione delle emissioni, aumento dell'efficienza energetica, quota delle rinnovabili). Gli Stati membri devono contribuire a questa strategia: con i propri «Programmi Nazionali di Riforma» si sono dati propri obiettivi nazionali da raggiungere;
una comparazione fra gli obiettivi 2020 dei singoli Stati membri, fra loro e con quelli comunitari è particolarmente interessante: l'analisi è svolta sugli obiettivi presentati nei Piani di Riforma 2010 ma per l'Italia con il PNR 2011 sono rimasti gli stessi;
il primo obiettivo riguarda il tasso di occupazione; obiettivo comunitario: il 75 per cento degli europei al lavoro. Il quadro è ovviamente diversificato. La Svezia conta di superare questo limite, e di arrivare all'80 per cento; anche altri paesi (Austria, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia) contano di superarlo; alcuni, come Francia e Germania, di arrivare proprio al 75 per cento nel 2010. L'obiettivo italiano è 67-69 per cento. È il più basso in Europa dopo quello di Malta (62,9 per cento). La Romania ha il 70 per cento, la Polonia il 71 per cento;
il secondo obiettivo riguarda la spesa in ricerca e sviluppo (espressa in percentuale del PIL); l'Unione punta al 3 per cento. Svezia e Finlandia contano di arrivare al 4 per cento. Francia e Germania, anche in questo caso, puntano a raggiungere al proprio interno lo stesso obiettivo comunitario del 3 per cento, insieme a diversi altri, fra cui Spagna e Portogallo. L'Italia punta all'1,53 per cento; un obiettivo più basso ce l'hanno solo Malta, Cipro e Slovacchia. La Polonia, per esempio, punta all'1,7 per cento; la Romania al 2 per cento;
nel campo dell'energia gli obiettivi sono tre: riduzione delle emissioni rispetto alla situazione del 2005; quota di produzione delle rinnovabili; efficienza energetica (e cioè la riduzione dei consumi): le tre percentuali già citate del 20-20-20. Nel primo caso ci accontentiamo di ridurre le emissioni del 13 per cento; qui siamo a metà classifica perché in molti paesi dell'Europa orientale sono previste in crescita. Nel secondo caso, l'obiettivo italiano è di portare le rinnovabili al 17 per cento; sempre sotto il target comunitario, ma anche in questo caso meglio di diversi paesi dell'Est. Solo nell'aumento dell'efficienza energetica, finalmente, abbiamo un obiettivo più ambizioso di quello europeo: puntiamo al 27,9 per cento, ben oltre il 20 per cento e dietro Francia e Germania;
per l'istruzione la situazione torna a peggiorare di molto. L'Europa vuole ridurre la percentuale di quanti lasciano prematuramente la scuola al 10 per cento. I paesi europei più ambiziosi sono Polonia, Slovenia, Repubblica Ceca, che vogliono scendere intorno al 5 per cento; i grandi puntano a stare sotto il 10 per cento. L'Italia ha l'obiettivo più modesto di tutti (tranne Malta!): punta al 15-16 per cento. È interessante notare che questo obiettivo è molto inferiore al target (10 per cento) che l'Italia si è data, per le sole regioni del Mezzogiorno (in cui la situazione è peggiore), con il Quadro strategico nazionale per i fondi comunitari 2007-2013. In questo fondamentale aspetto, quindi, non solo puntiamo al ventiseiesimo posto in Europa, ma riduciamo anche moltissimo i nostri obiettivi rispetto a quanto abbiamo convenuto solo quattro anni fa con l'Unione europea. È un esempio dello scarso impegno politico e strategico che il Governo sta mettendo nelle politiche di coesione nazionali;
lo stesso accade per la percentuale di laureati. L'Europa mira al 40 per cento. L'Irlanda al 60 per cento; la Francia al 50 per cento; la Polonia al 45 per cento, la Spagna al 44 per cento, la Bulgaria al 36 per cento, la Grecia al 32 per cento. L'Italia ha l'obiettivo più basso di tutti: se tutto va bene avremo il 26-27 per cento di laureati, siamo quasi alla pari con la Romania (26,7 per cento) per l'ultimo posto;
il documento europeo ci fa comprendere una triste realtà: il nostro Governo si è dato, come obiettivo per la fine del decennio, quello di essere il paese peggiore fra i 27 europei; non solo rispetto alla Germania, ma alla Romania;
negli anni '80 l'economia italiana è cresciuta del 25 per cento. Negli anni '90 è cresciuta del 16 per cento. Tra il 2000 ed il 2007 è cresciuta del 7 per cento, mentre gli altri paesi dell'area euro crescevano del 14. Nel biennio 2008-2009 la crisi ci ha tolto il 6,5 per cento del PIL, mentre gli altri paesi euro ne perdevano 3,5. Il divario fra l'Italia e gli altri Paesi euro perdura anche nelle fasi di ripresa visto che si prevedono aumenti del PIL di poco più dell'1 per cento;
nel volgere di tre anni il debito è salito ancora di 15 punti del PIL, oltre il 119 per cento, non lontano dai livelli dei primi anni '90. Ma allora il patrimonio pubblico era maggiore, la popolazione più giovane, vi era la prospettiva che il debito si sarebbe ridotto,
considerato che:
il Governo sostiene che nel prossimo biennio si farà soltanto «manutenzione contabile ordinaria». La Banca d'Italia ha calcolato che se si ritiene di concentrare la manovra per raggiungere il pareggio di bilancio tra il 2013 ed il 2014, questa non potrà essere inferiore ai 35 miliardi di euro nel biennio;
infatti, fra il 2010 e il 2014 la spesa pubblica al netto degli interessi dovrà scendere di 5,5 punti di PIL. Di questi 3,2 punti stanno già (secondo il Governo) nel quadro tendenziale della seconda sezione del Documento di economia e finanza. Altri 2,3 punti deriveranno da ulteriori manovre sul 2013-2014 basate su ulteriori tagli alla spesa pubblica;
una riduzione così drastica della spesa, nonché del disavanzo al netto degli interessi, non sarà facilmente realizzabile anche in relazione al tasso di crescita previsto, di poco superiore all'1 per cento;
c'è dunque un'apparente rinuncia a procedere quest'anno ed il prossimo sulla strada delle riforme strutturali per rimandare alla prossima legislatura l'aggiustamento dei conti, mentre sarebbe necessario anche in base alle nuove regole di governance europee dettagliare la manovra correttiva di 35-40 miliardi fin dal prossimo settembre;
il Documento di economia e finanza 2011 prevede per il 2014 non solo il pareggio di bilancio ma anche un avanzo primario del 5,2 per cento del PIL, cioè un valore simile a quello che il nostro Paese ottenne al momento dell'ingresso nell'euro. A tale fine il Governo si impegna a mantenere la dinamica della spesa pubblica al di sotto del tasso di crescita del PIL nel medio termine «riducendo la spesa primaria di oltre 4 punti percentuali del PIL nel triennio 2012-2014». Tale obiettivo appare di difficile realizzazione anche tenendo conto del fatto che nel decennio che ha preceduto la crisi del 2007-2008 la spesa primaria è cresciuta in termini reali del 2 per cento l'anno;
nel 2011 e nel 2012 la spesa al netto degli interessi dovrebbe rimanere pressoché invariata a prezzi correnti, il che ne comporta una notevole riduzione in termini reali. In gran parte i tagli sono già stati inseriti nelle tabelle approvate dal Parlamento con la legge di stabilità 2011 (legge 13 dicembre 2010, n. 220), ma quelle per ora sono scritture contabili. Sarà quindi necessario valutare chi sarà colpito e quale sarà l'impatto sull'intera economia;
per la spesa pubblica in conto capitale è prevista una contrazione anche in termini nominali: infatti nel 2012 dovrebbe scendere al 2,8 per cento del PIL, il valore più basso degli ultimi decenni, mentre gli sforzi di riduzione della spesa andrebbero concentrati sulle voci di bilancio che meno pesano sullo sviluppo economico;
ci si può chiedere al riguardo che fine abbia fatto la proposta, contenuta nel programma con il quale questa maggioranza si è presentata alle elezioni, di abolizione delle province che farebbe risparmiare - secondo lo stesso ex-ministro Scajola - «almeno due miliardi»;
i tagli non sembrano accompagnati da misure capaci di incidere sui meccanismi di spesa ed è dunque ben concreto il rischio che essi si traducano in rinvii di spese necessarie - si pensi alla spese di manutenzione degli edifici pubblici o dei beni culturali -, o in debiti sommersi verso i fornitori;
il migliore indicatore dell'azione governativa è il saldo di bilancio primario aggiustato per il ciclo economico, cioè il saldo di bilancio al netto degli interessi sul debito (il cui livello dipende solo minimamente dal governo attuale, e soprattutto dallo stock di debito accumulato in precedenza) e depurato dagli effetti del ciclo economico (il saldo peggiora automaticamente se l'economia è in recessione, senza colpa del Governo);
il Governo prevede un miglioramento costante di tale saldo, di circa tre punti percentuali da qui al 2014, in gran parte dovuto a riduzioni di spesa. Ma questo dato è da prendere con molta cautela, perché si basa su stime ottimistiche, ed è frutto in gran parte di misure saltuarie o non specificate, non di cambiamenti strutturali alla dinamica della spesa;
prendendo il 2012 come esempio, il Governo stima che i provvedimenti presi nel 2010 ridurranno il disavanzo di circa 25 miliardi, oltre 1,7 punti di PIL. Ma gran parte degli effetti sono imputati a due misure, la lotta all'evasione e la revisione del patto di stabilità con gli enti locali, entrambe basate su assunzioni da verificare;
un'altra fonte di risparmi riguarda i salari pubblici, frutto del blocco del turnover, che non può essere ripetuto all'infinito. Il Governo continua a prevedere cospicui risparmi su questa voce fino al 2014, ma non è chiaro su che base concreta;
tutto questo rende il miglioramento del saldo primario estremamente aleatorio. Ma se anche si realizzasse, poco o niente in queste misure ha la natura di una riforma strutturale che riduca finalmente il peso della spesa pubblica;
il punto più dolente è rappresentato dalla bassa crescita prevista ad un livello che si attesta a poco più o poco meno di un punto percentuale: la metà di quel due per cento che il governatore Draghi ha indicato come il livello minimo per potere interrompere ed invertire la corsa all'aumento del debito pubblico, e nel contempo assorbire almeno in parte una disoccupazione sempre crescente;
i nostri conti pubblici sono estremamente vulnerabili a causa della persistente assenza di crescita, e sono destinati ad andare fuori linea, mentre l'obiettivo del pareggio di bilancio entro l'anno 2014 richiederà probabilmente una manovra correttiva persino più ampia rispetto a quella ipotizzata nell'ultimo bollettino della Banca d'Italia;
la disoccupazione in Italia, se viene calcolata correttamente (computando anche una grossa fetta dei cassaintegrati), supera il 10 per cento e non vi sono prospettive realistiche di un recupero;
in Italia, peraltro non ci sono state crisi bancarie e necessità di salvataggi, eppure il nostro debito pubblico ha raggiunto di nuovo i livelli massimi della prima metà degli anni '90 (120 per cento del PIL rispetto ad una media europea dell'84 per cento). Il PIL pro-capite italiano a parità di potere d'acquisto è ritornato sostanzialmente ai livelli del 1999. Abbiamo perso 10 anni, e se il nostro tasso di crescita resterà inchiodato all'1 per cento, ci vorranno altri 6 anni per ritornare al punto di partenza;
anche secondo il presidente dell'Istat «lo sviluppo della nostra economia è caratterizzato da una velocità troppo bassa per contribuire significativamente al riassorbimento dell'offerta di lavoro inutilizzata ed al consolidamento della finanza pubblica»;
sullo stesso tema è intervenuto anche il presidente della Corte dei conti sottolineando come la manovra correttiva profilata dal Governo: «desta qualche perplessità alla luce degli andamenti della finanza pubblica influenzati dal permanere di condizioni di crescita lenta, che riducono la dinamica del gettito e rendono più difficile sostenere i costi di un programma di riduzione della spesa pubblica»;
l'inflazione riparte sia per la dinamica dei prezzi internazionali (alimentari e carburanti) che a causa di mercati domestici (soprattutto nei servizi) scarsamente competitivi. La previsione contenuta nel Documento di economia e finanza di una crescita dell'inflazione del 2,2 per cento nel 2011 «può essere conseguita - secondo l'Istat - solo con una forte attenuazione nei mesi a venire delle tendenze accelerative»;
in ogni caso non sembra adeguatamente contabilizzato l'impatto della prevedibile crescita dei tassi di interesse sul servizio del debito (già cresciuti dello 0,25 per cento ad inizio aprile);
la «scossa» all'economia che il Governo aveva promesso non c'è proprio stata e il surplus di crescita necessario non può essere assicurato da un documento in cui non c'è un impegno preciso ed in cui si ritirano fuori le grandi opere infrastrutturali bloccate da questo stesso Governo e per le quali si riducono drasticamente le risorse;
le oltre 160 pagine del Programma Nazionale di Riforma (PNR) indicano le misure programmatiche del Governo da qui alla fine della legislatura. Delle quattordici misure elencate come programmatiche, cioè ancora da realizzare da qui alla fine della legislatura, alcune sono semplici piani (il piano triennale del lavoro, il programma di inclusione delle donne, etc.). Altre misure sono titoli vuoti come la promozione delle energie rinnovabili: si proclama la centralità delle energie rinnovabili salvo averne bloccato lo sviluppo grazie alla forte incertezza sul sistema degli incentivi (e sulla recente opzione nucleare, poi frettolosamente smentita);
manca qualsiasi indicazione operativa (e come tale controvertibile) a quelle generiche enunciazioni, vaghe e sommarie anche sul tema della riforma tributaria;
la bassa crescita non ha impedito che nel 2010 l'indebitamento delle pubbliche amministrazioni fosse più basso del previsto, grazie al contenimento delle spese ed alla stabilità delle banche italiane;
negli anni a venire si prevede un ulteriore contenimento della spesa rispetto al PIL: dopo un collasso di oltre il 16 per cento nel 2010, gli investimenti fissi pubblici continueranno a cadere, anche in termini assoluti (con buona pace delle imprese di costruzione); si ridurranno in quota i redditi dei dipendenti. La pressione tributaria e quella fiscale (che include i contributi) resterà invariata al notevole livello del 42 e mezzo per cento del prodotto;
secondo gli esponenti del Governo, il testo del PNR contiene interventi organici in funzione della crescita. Con due direttrici principali: la grande riforma fiscale e una pervasiva revisione dell'impianto regolatorio dall'altra. Ma la riforma fiscale è una delega senza copertura finanziaria rinviata alle cure del prossimo Governo nel 2013, ripetendo il trucco che lo stesso ministro dell'economia e delle finanze fece nel 2003 (legge n. 80 del 2003 - Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale); l'unica misura per la crescita rimane dunque la deregolamentazione di appalti, la costituzione di aree a «burocrazia zero» nel Sud e di distretti turistico-balneari attraverso una non ben definita intenzione di ridefinire il demanio marittimo;
prosegue dunque l'unica politica «per lo sviluppo» di questo Governo: una spinta verso il lassismo. Come le misure adottate in precedenza: abolizione del falso in bilancio, condoni, finanza creativa, tassazione dei redditi da capitale più bassa di quelli da lavoro;
il problema del perpetuarsi dell'uno virgola di crescita resta dunque irrisolto: la vaghezza del PNR pone la sordina a una seria discussione di riforme mirate e non costose. «Tenere i conti» è necessario, ma non basta; alla lunga, se non riparte la crescita, non si risolve neanche il problema del debito;
non c'è solo la disoccupazione, né c'è solo la maldistribuzione delle risorse di cui il Paese dispone per finalità primarie come gli investimenti, la formazione e la ricerca. C'è la questione stessa del debito pubblico, che in assenza di crescita può finire per avvitarsi su se stessa. Se non cresciamo, il debito totale non scende neppure con un indebitamento annuo pari a zero. Mentre con un indebitamento annuo sotto controllo e un PIL che cresce di più, tutto il portato della crescita si traduce in riduzione percentuale del debito totale;
il rilancio della crescita passa per riforme strutturali a basso costo per i conti pubblici e che possono avere un impatto già nel breve termine come le liberalizzazioni e le semplificazioni. Secondo stime della Commissione europea una riduzione dei margini di profitto nei servizi pari all'un per cento, farebbe aumentare il PIL di uno 0,5 per cento, mentre il taglio dei costi amministrativi per le imprese produrrebbe un incremento del PIL dello 0,6 per cento. Più a lungo termine, solo un aumento della produttività totale dei fattori, stagnante da molto tempo in Italia ed in calo nell'ultimo decennio, può condizionare strutturalmente il tasso di crescita;
nei prossimi tre anni - stante anche le incertezze del quadro internazionale - la crescita dipenderà dall'evoluzione della domanda interna, e dunque, in ultima analisi, da una distribuzione del reddito più sostenibile,
considerato inoltre che:
la pressione fiscale in Italia supera di 4 punti percentuali la media dell'Unione europea;
la completa attuazione della riforma fiscale adombrata nei documenti al nostro esame potrà avvenire solo verso la fine della legislatura, e nelle intenzioni del Governo dovrà prevedere una «drastica riduzione dello sterminato numero di regimi di favore fiscale, esenzione ed erosione dell'imponibile» che sono circa 400, lasciando in piedi solo poche detrazioni mirate: lavoro, natalità e ricerca. Tutte le altre agevolazioni (che nel complesso valgono oltre 200 miliardi di euro l'anno) verranno cancellate, permettendo così insieme alla riduzione della spesa pubblica e al recupero dell'evasione, «di acquisire le risorse per finanziare la riduzione delle aliquote». Il Governo intende quindi attuare uno spostamento dell'asse del prelievo fiscale dalle imposte dirette (IRPEF, IRE, IRAP, ICI) a quelle indirette (IVA, imposte di registro, di bollo, ipotecarie, catastali, accise);
l'altro tassello della riforma fiscale sarà la separazione tra l'assistenza sociale e le forme surrettizie di sostegno offerte dalla fiscalità generale «che deve finanziare l'assistenza sociale e non sostituirla attraverso caotiche, irrazionali e spesso regressive forme di sovrapposizione e duplicazione»;
per la riforma fiscale - annunciata nel Programma Nazionale di Riforma - si prevedono tempi lunghissimi dato che, intanto, occorrerà attendere la chiusura dei gruppi di lavoro che devono svolgere il lavoro preparatorio, al quale dovrà seguire la stesura di una legge delega. Approvata questa, si procederà con i decreti attuativi, senza contare che molto probabilmente si tratterà di una riforma fiscale per «tranche», come fu per la riforma varata, sempre dal Governo Berlusconi, alla fine del 2003 (legge n. 80 del 2003 - Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale), che tra le altre cose prevedeva due sole aliquote per l'IRPEF;
l'obiettivo sbandierato era quello di ridurre a due le aliquote dell'imposta sul reddito, rispettivamente pari al 23 per cento fino a 100.000 euro e al 33 per cento oltre tale importo: in pratica una flat tax per quasi tutti i contribuenti. Ovviamente tutto si arenò per mancanza di copertura finanziaria la quale era stata demandata alle future Leggi finanziarie. Si trattava, in buona sostanza, di una norma manifesto, uno spot come rischia di diventare quella delineata dalla premessa al Documento di economia e finanza 2011 al nostro esame;
si tratta dunque di una delega a futura memoria;
oggi, bisogna porsi il problema della redistribuzione del reddito e del gettito fiscale. In Italia il 10 per cento delle famiglie ha il 45-50 per cento del patrimonio mentre il 50 per cento delle famiglie ha meno del 10 per cento: una sperequazione evidente;
la base imponibile dell'IRPEF è composta per l'80 per cento, cioè per i 4/5 da reddito dipendente e di pensione;
a fronte di aliquote che sono in linea con gli altri paesi, in Italia abbiamo invece un gettito molto più basso, con un gap del 22 per cento. C'è quindi un'area di evasione fiscale soprattutto riferita all'IVA consistente. Ogni euro di IVA che perdiamo si porta dietro altri 2,43 euro di IRPEF non pagato;
il Governo vanta di aver contenuto la spesa pubblica e recuperato svariati miliardi con la lotta all'evasione fiscale. Non è accettabile che non un solo euro vada a ridurre le tasse sui produttori;
dai dati della Banca mondiale è emerso che l'onere fiscale effettivo delle imprese in Italia è del 68,6 per cento, pressione che rende difficile la competitività del sistema italiano. La pressione fiscale, nel nostro Paese, è inversamente proporzionale alla dimensione dell'impresa - più l'impresa è piccola e più è tassata - questione che risulta paradossale;
sulle spalle delle imprese - in particolare piccole e medie - si abbattono i costi della burocrazia, che annualmente, in particolare per le piccole imprese, si aggirano intorno ai 12 mila euro, per un totale di circa 15 miliardi di euro. Agli obblighi fiscali e contributivi, le imprese destinano 334 ore di lavoro all'anno (in Germania sono 196 e in Francia 213);
il disegno di legge cosiddetto «Brunetta-Calderoli» in materia di semplificazione - considerato dal Governo anch'esso fautore di «una svolta epocale» per gli oneri gravanti sulle imprese è stato approvato dalla sola Camera dei deputati esattamente un anno fa e da allora langue al Senato;
il Documento di economia e finanza al nostro esame quantifica in 8.129 milioni di euro le entrate del 2010 derivanti dal Lotto, lotterie e altre attività di gioco, si stima inoltre di incassare per il 2011, per la categoria « Lotto e altre lotterie», maggiori risorse per 104 milioni di euro (al netto delle regolazioni contabili). Tali cifre devono essere valutate, tuttavia, tenendo conto del fenomeno degli illeciti della raccolta effettiva del gioco i quali hanno assunto dimensioni macroscopiche e sono oggetto di un rilevantissimo contenzioso tra operatori ed erario statale: in definitiva, i costi sociali ed economici del settore giochi risultano essere di gran lunga superiori ai benefici conseguiti con il gettito fiscale;
occorre, pertanto, senza indugio alcuno, arrestare tale deriva di succulenta occasione di business per la criminalità organizzata, connessa all'effetto depressivo dell'economia causato dalla contaminazione criminale, oltre ai danni ingentissimi inferti all'erario ed ai patrimoni mobiliari ed immobiliari delle famiglie italiane;
come esplicitato nella relazione della Commissione parlamentare antimafia, il settore del «gioco» costituisce il punto di incontro di plurime, gravi distorsioni dell'assetto socio-economico quali, in particolare, l'esposizione dei redditi degli italiani a rischio di erosione; l'interesse del crimine organizzato; la vocazione «truffaldina» di taluni concessionari che operano, sovente, in regime di quasi monopolio; il germe di altri fenomeni criminali come usura, estorsione, riciclaggio; infine, la sottrazione di ingenti risorse destinate all'erario. Peraltro, nei periodi di crisi economica si denota ancor più tale fenomeno degenerativo, in quanto, nella impossibilità di un aumento della tassazione, si accentua il ricorso ad incentivazioni della «malattia del gioco», un meccanismo che, quanto più cresce, tanto più è destinato a favorire forme occulte di prelievo dalle tasche dei cittadini, mascherando tale prelievo con l'ammiccante definizione di gioco, divertimento e intrattenimento;
il Governo deve contrastare, anche con iniziative di carattere normativo ed amministrativo, il settore del gioco - lecito ed illecito - considerando il grande allarme sociale del fenomeno sia sotto il profilo della sempre più massiccia infiltrazione malavitosa, sia sotto quello degli effetti patrimoniali sulle famiglie italiane e, più in generale, sulle categorie sociali più deboli;
a tal fine sarà necessario impartire all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato apposite direttive volte a non dar luogo alla determinazione di giochi di nuova ideazione, conferendo in tal modo carattere di prevalenza normativa alla ratio legis sottesa all'intento di contrastare i fenomeni di ludopatia connessi al gioco compulsivo, anche al fine di frenare eventuali forme occulte e «truffaldine» di prelievo fiscale indiretto;
l'attuazione del federalismo fiscale ha superato i due scogli principali - il fisco municipale e quello regionale - ma resta incompiuto negli aspetti più delicati, in quanto, sanità a parte, non è stata affrontata né risolta la questione delle spese essenziali. Senza risposta è, per il momento, anche l'altro nodo, che riguarda la perequazione, ossia come verrà affrontata la redistribuzione delle risorse tra regioni ricche e povere e tra enti locali ricchi e poveri: le questioni dirimenti sono state rinviate a successivi interventi. Al momento la perequazione è materia di là da venire, mentre quanto vi è di propedeutico per il calcolo del costo dei fabbisogni standard è oggetto di analisi, studio e «radiografia» da parte della SOSE e dell'IFEL;
dal federalismo municipale il Paese ha ereditato, a decorrere da quest'anno, la cosiddetta «cedolare secca» sugli affitti: tale nuovo regime di tassazione rende inefficace il ricorso alla leva fiscale quale strumento di contenimento dei canoni, ad avvantaggiarsene saranno unicamente i proprietari delle abitazioni, in particolare quelli che affittano a canone di libero mercato e collocati negli scaglioni di reddito più elevati;
ad un mese dal 21 maggio 2011, termine ultimo - in procinto di essere prorogato, in quanto molti provvedimenti non sono stati emanati - per l'attuazione del federalismo fiscale si possono trarre stime ed indicazioni certe sul suo impatto. A prescindere dai «numeri» e dalle cifre diramati da più parti fin dalla fine dello scorso anno, onestà impone di dichiarare che non è affatto chiaro quello che avverrà da qui al 2014 (entrata in vigore dell'autonomia tributaria e, dunque, di uno dei principi cardine del federalismo), ma soprattutto non è chiaro quello che succederà dopo;
è assai probabile un aumento della pressione fiscale complessiva;
al momento, quello italiano è solo un federalismo annunciato;
sottolineato che per quanto concerne le politiche per lo sviluppo:
il Documento di economia e finanza 2011 non prevede, come invece avrebbe dovuto, un progetto di riforma fiscale che porti ad una sostanziale riduzione del prelievo su lavoro e imprese;
non prevede misure efficaci volte a realizzare, entro tempi certi, interventi tesi alla liberalizzazione dei mercati. Su questo punto il PNR non soddisfa poiché si limita a prevedere in modo generico l'emanazione della legge annuale per il mercato e la concorrenza. Su questo tema, per altro, l'attuale Esecutivo continua ad essere in grave ritardo. Il disegno di legge sulla concorrenza, che andava presentato entro il 31 maggio 2010, ancora non c'è. Le liberalizzazioni sono al palo, mentre il loro rilancio è cruciale per tornare a crescere. L'analisi a oltre due anni e mezzo dall'inizio della legislatura, secondo l'Antitrust, «evidenzia che il processo di apertura dei mercati è rimasto largamente incompiuto»;
non prevede misure adeguate tese a ridurre oneri amministrativi a carico delle imprese. Il PNR, si pone come obiettivo la drastica semplificazione di obblighi formali e degli oneri burocratici per le imprese, mentre dedica un intero capitolo al disegno di legge recentemente presentato dal Governo al Parlamento ove si propongono le modifiche agli articoli 41, 97 e 118 della Costituzione in materia di libertà di iniziativa economica privata e buon funzionamento della pubblica amministrazione. Sotto tale profilo appare opportuno sottolineare che, nonostante l'attuale Governo non manchi di vantarsi ad ogni occasione di essere riuscito a contribuire significativamente a ridurre gli oneri amministrativi a carico delle imprese - grazie anche all'approvazione delle recentissime disposizioni in materia di SCIA -, l'Italia continua a rappresentare il Paese europeo a più alto tasso burocratico, dove è stabile una vera e propria diseconomia dell'adempimento, che si ripercuote negativamente soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese. L'avvio di una nuova attività imprenditoriale resta la fase burocraticamente più critica soprattutto per quanto concerne i costi, superiori del 67, 2 per cento rispetto alla media europea;
non innova minimamente rispetto agli interventi attesi in materia di accesso al credito e rafforzamento patrimoniale delle imprese. Il PNR si limita ad esaltare il ruolo e la funzione dal Fondo centrale di garanzia e dal Fondo italiano di investimento, fondo quest'ultimo nato il 18 marzo 2010, con una dotazione di 1,2 miliardi di euro, che tuttavia risulta operativo solo da ottobre 2010 e sino ad oggi ha solo approvato pochissime operazioni di investimento. Si rileva, peraltro, che il tasso di crescita dei prestiti in Italia, si è ridotto nel giro di un anno, di dieci punti, colpendo in primo luogo le piccole e medie imprese che già risultavano fortemente penalizzate dall'applicazione degli accordi internazionali di Basilea, sia in termini di possibilità di accesso al credito, sia in termini di aumento di tassi di interesse legati all'erogazione del credito stesso;
non affronta le problematiche relative ai ritardi di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Si parla genericamente della necessità di attuare la Small Business Act e le indicazioni ivi contenute ma, di fatto, il Governo, sino a oggi, non ha ancora previsto misure concrete al riguardo, nonostante la recente pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 23 febbraio 2011 della direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, entrata in vigore il 16 marzo 2011 scorso;
non prevede alcun intervento mirato in materia di imprenditoria giovanile e femminile. Il PNR parla genericamente della necessità di attuare le indicazioni contenute nella Small Business Act, ma non si parla né di rifinanziamento del Fondo per l'imprenditoria femminile, né di misure concrete per sostenere l'imprenditoria giovanile. Eppure nel PNR si legge nero su bianco che l'Italia si posiziona in generale al di sotto della media europea, con peggioramenti in termini di performance relativamente alle politiche per la promozione della concorrenza e di un ambiente favorevole, sia in termini di barriere all'imprenditorialità, sia in termini di start up, mentre non si registrano progressi per la regolazione specifica dei settori;
in materia di energia nucleare, nonostante la drammatica tragedia che ha investito recentemente il Giappone, si limita a parlare di una semplice «sospensione dell'opzione nuclearista». In particolare, nel testo del PNR si legge «Nonostante il riconoscimento del ruolo sempre più ampio che potranno investire le energie rinnovabili e l'efficienza energetica, il Governo ha riaperto la possibilità di riprendere la produzione nucleare, come tecnologia in grado di coniugare la sicurezza degli approvvigionamenti, l'economicità e la sostenibilità ambientale, economica e sociale. La profonda riflessione che si è aperta a livello europeo e anche mondiale sulla sicurezza dell'energia nucleare a seguito della tragedia di Fukushima in Giappone ha indotto il Governo, pur ritenendo che non siano venute meno le ragioni che avevano portato a riconsiderare l'opzione nucleare, a non procedere per il momento, all'attuazione del programma nucleare fino a che le iniziative già avviate a livello europeo non forniranno elementi in grado di dare piene garanzie sotto il profilo della sicurezza».Con questa pericolosissima manovra, il Governo non fa altro che sminuire la portata del referendum abrogativo della disposizione che ammette la costruzione di nuove centrali nucleari in Italia giudicato pienamente ammissibile dalla Corte costituzionale con sentenza n. 28 del 2011;
non fornisce adeguate certezze in merito alla necessità che attraverso il pieno recepimento del «Terzo pacchetto mercato interno» venga migliorata significativamente la legislazione sulla regolazione del mercato energetico. E questo sia sotto il profilo della conformità delle norme ivi contenute al dettato delle direttive e dei regolamenti comunitari, sia e soprattutto sotto il profilo della piena realizzazione nel nostro Paese dei principi dell'Unione in materia di concorrenza e liberalizzazione dei mercati con particolare riferimento a quello del gas dove manca il principio della separazione proprietaria separazione effettiva delle attività relative alle reti di trasporto da quelle di produzione e fornitura del gas;
non contiene interventi credibili in materia di investimenti in ricerca e innovazione. Su questo punto il Documento di economia e finanza 2011 ed il relativo PNR non sembra essere altro che l'ennesimo libro dei sogni. Il World Economic Forum (Wef), proprio in questi giorni, ha bocciato l'Italia in tecnologia e innovazione. È il decimo anno che il Wef pubblica un Global Information Technology Report e ogni volta va sempre peggio per l'Italia, nella classifica che analizza 138 Paesi mondiali. Ora siamo 51esimi, sotto Paesi come India, Tunisia, Malesia. Abbiamo perso tre posizioni nell'ultimo anno. Nel 2006 eravamo 38esimi: un tracollo costante;
in materia di turismo, non prevede interventi idonei a rilanciare in modo significativo l'intero comparto, se non attraverso l'istituzione dei cosiddetti «Distretti turistico-balneari» ed una non meglio precisata ridefinizione del demanio marittimo finalizzata alla introduzione sistematica lungo le coste di «zone a burocrazia zero»;
in materia di banda larga, conferma la totale assenza nella programmazione del Governo di rendere efficace una volta per tutte un meccanismo di finanziamento pluriennale degli interventi per la realizzazione delle infrastrutture per la banda larga, sbloccando lo stanziamento di 800 milioni di euro previsti dal decreto-legge n. 78 del 2009 per il finanziamento delle nuove reti tecnologiche; ma anche di realizzare l'asta digitale in tempi congrui e nel pieno rispetto della legislazione vigente che, come noto, riserva alle tv locali almeno un terzo delle frequenze televisive;
considerato che per quanto concerne le politiche del lavoro e sociali:
il Patto Euro Plus del 25 marzo 2011 contiene diverse indicazioni;
la crescita dell'occupazione viene considerata intimamente correlata alla crescita della competitività nella zona euro, mentre i tassi di disoccupazione giovanile, quelli di lungo periodo e i tassi di attività, sono presi a parametro del buon funzionamento del mercato del lavoro;
il Governo italiano afferma di aver fatto già molto di quanto previsto dal Patto, in particolare la riforma delle pensioni, con l'allineamento dell'età pensionabile alla effettiva speranza di vita e il collegamento tra retribuzione e produttività;
tra le molte cose che rimangono da fare il Governo dichiara di puntare alla realizzazione dello Statuto del lavoro, che tra le altre cose intende eliminare lo Statuto dei lavoratori dal mondo del diritto;
se da un lato il corpus delle leggi che oggi disciplinano il diritto del lavoro è diventato ipertrofico e necessita di essere semplificato, dall'altro le garanzie per i lavoratori non possono essere ridotte ed anzi vanno accresciute a favore di quelli che oggi ne sono privi;
la deregolamentazione che continua a proporre il Governo, al contrario, rischia di diminuire garanzie e diritti;
il Governo punta altresì sull'ulteriore incentivazione del contratto di apprendistato, che vuole rendere «il tipico e conveniente contratto di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro grazie alla semplificazione regolatoria e alla efficacia della formazione in ambiente lavorativo»;
con il contratto di apprendistato il Governo vuole illuderci che riuscirà a risolvere il problema dell'occupazione giovanile e femminile, specie nelle regioni meridionali, e di centrare così gli obiettivi europei;
al Governo sembra sfuggire che i giovani disoccupati in Italia sono più del 25 per cento, mentre l'occupazione femminile è ferma al 47 per cento e che con questi dati siamo il fanalino di coda dell'euro zona;
il Governo ignora la complessità del problema della disoccupazione e rinuncia a mettere in campo interventi e risorse consistenti, come richiesto dall'Europa, prova ne sia che nel Documento di economia e finanza i dati relativi alla disoccupazione mostrano solo una flessione dello 0,3 per cento nel triennio, mentre l'Italia ha il numero di inattivi e di scoraggiati più alto di tutta Europa;
per questa mancanza di impegno e di prospettiva, il Governo farebbe bene a non farsi vanto delle risorse messe a disposizione per la cassa integrazione, in particolare per quella straordinaria che cresce. Il Governo trascura che la diminuzione dell'utilizzo di quella ordinaria, che dà la certezza di ritornare sul proprio posto di lavoro, dipende dal fatto che le imprese hanno esaurito i periodi massimi, mentre l'aumento della cassa integrazione straordinaria e quella in deroga, sono sintomatiche di una crisi irreversibile e della rottura del rapporto di lavoro. Ciò dovrebbe allarmare il Governo per il rischio che la disoccupazione aumenti ancora di più;
il PNR appare molto debole sia sul piano delle diagnosi sia su quello delle proposte e ciò è vero soprattutto per il fronte del mercato del lavoro, dove mancano gli investimenti che altri governi, come quelli inglese, tedesco e francese, hanno invece inserito nei propri PNR;
sul fronte del pubblico impiego, il Governo vanta i tagli operati e il blocco del turn over, ma non svolge alcun approfondimento sulla tenuta della pubblica amministrazione in relazione ai servizi che deve erogare per legge;
nel PNR manca qualsiasi riferimento al precariato, vera piaga del lavoro italiano, perché da noi la flessibilità viene trasformata in assoluta incertezza del posto di lavoro. I precari sono quasi quattro milioni, di cui il 56 per cento concentrato nelle regioni centro-meridionali;
i dati relativi alle comunicazioni obbligatorie di assunzione relative al biennio 2009-2010, dicono che circa il 76 per cento delle assunzioni è avvenuta secondo una delle tipologie di contratti cosiddetti flessibili, che sono diventati ormai una dozzina. Si tratta di quasi 11 milioni di nuovi contratti su 14,3 milioni complessivi. Di contratto flessibile in contratto flessibile, i lavoratori non vengono mai stabilizzati con evidente abuso di queste forme contrattuali. Ciò è un grave danno per i lavoratori e per l'economia, contro cui il Governo non fa nulla;
tra i precari vi sono anche i 240 mila della pubblica amministrazione, di cui circa 120 mila quest'anno perderanno definitivamente il lavoro a causa del taglio della spesa pubblica per lavoratori flessibili. Basti citare per tutti i 1240 lavoratori che l'INPS ha già lasciato a casa lo scorso 15 aprile per scadenza del contratto di somministrazione, nonostante gli impegni del Governo. È stato calcolato che le indennità di disoccupazione per questi lavoratori costeranno all'INPS circa 7,5 milioni di euro, il che dovrebbe far riflettere che sarebbe economicamente più conveniente mantenerli a lavoro, considerato il grave danno che l'INPS subirà in termini di prestazione di servizi resi all'utenza;
particolarmente grave risulta la situazione occupazionale nella scuola pubblica, dove il Ministero interessato chiede, già per l'anno in corso, la copertura di 30 mila posti vacanti nell'organico dei docenti e di 35 mila per assistenti, tecnici e amministrativi. Se anche venissero assunti tutti i precari della scuola, il Ministero dovrebbe coprire le carenze di organico bandendo concorsi per migliaia di posti. Ma il Governo continua ad ignorare;
gli interventi già operati in materia di pensioni mostrano che l'Italia si è assicurata un risparmio sulla spesa che inciderà meno sul PIL, ma il Governo ignora del tutto la questione della crescita dell'età media della popolazione e della riduzione degli importi delle pensioni e del loro potere d'acquisto rispetto all'inflazione;
riguardo alle politiche di inclusione sociale, il Governo nel PNR fa esplicito riferimento agli interventi attivati e volti a «realizzare infrastrutture socio-assistenziali per facilitare l'accesso ai servizi dei soggetti a rischio marginalità e azioni a sostegno dell'economia e delle imprese sociali». Inoltre si riconferma l'obiettivo della riduzione della povertà;
la realtà però, è che se c'è un settore che ha subito da parte di questo Governo tagli insostenibili, anche in conseguenza dei pesantissimi tagli alle regioni e agli enti locali, è proprio questo delle politiche sociali;
per la prima volta, il Governo, non ha più rifinanziato il Fondo per la non autosufficienza. Le risorse assegnate annualmente al Fondo, pari a 400 milioni si sono esaurite con il 2010. Per il 2011, tutto azzerato, non è stata stanziata dal Governo alcuna risorsa, obbligando in tal modo i parenti dei pazienti non autosufficienti a provvedere da sé alle cure del malato, i cui costi sono comunque a carico delle famiglie;
le risorse tagliate quest'anno al Fondo per le politiche sociali e al Fondo per le politiche per la famiglia, rispetto allo scorso anno sono state pari a circa 311 milioni di euro. Il Fondo per le politiche giovanili si è ridotto da 81 a 13 milioni di euro. Il Fondo affitti (per le categorie più disagiate), è passato da 141 milioni a 33 milioni di euro;
rilevato come per le politiche ambientali:
1) per quanto concerne le energie rinnovabili e il risparmio energetico:
l'Esecutivo ne promette la promozione ma nulla di concreto si dice su cosa si voglia fare in proposito. Nell'elencazione delle misure finora adottate e tuttora vigenti in materia, non si può non constatare come la gran parte delle disposizioni indicate nel PNR, sono state approvate nella scorsa legislatura dal Governo Prodi, e infatti:
a) il Governo indica tra le misure approvate e operative in tema di risparmio energetico, quelle relative alla riqualificazione energetica degli edifici pubblici e privati. L'attuale esecutivo non ha però introdotto sostanzialmente nulla di nuovo, e praticamente tutti gli interventi in materia di efficienza e risparmio energetico sono stati introdotti dal precedente Governo. Al contrario, ricordiamo che gli incentivi previsti per la riqualificazione energetica degli edifici, sono stati «annacquati», facendo passare la prevista rateizzazione da 5 a 10 anni. Tra l'altro la detrazione del 55 per cento, vale solo fino alla fine del 2011. Nonostante ciò, nel testo del PNR, viene sottolineato come le detrazioni fiscali del 55 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici, «si siano rivelate di particolare efficacia non solo in termini di risparmio energetico ma anche in termini di emersione del lavoro e di maggiori entrate tributarie»;
b) nel Programma Nazionale di Riforma (PNR), si ribadisce la volontà di procedere con l'attuazione del «Piano d'azione dell'efficienza energetica 2007», per il raggiungimento degli obiettivi di miglioramento dell'efficienza energetica e dei servizi energetici. Anche in questo caso, si fa riferimento a una decisione e a un provvedimento varato dal precedente Governo;
l'unico provvedimento di rilievo di questa legislatura che ha riguardato le energie alternative, è stato il recente decreto legislativo n. 28 del 2011 di attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili. Un provvedimento che è riuscito a raccogliere una tale serie di forti critiche sia dal mondo imprenditoriale del settore che dalla totalità delle associazioni ambientaliste, che il Governo sta provvedendo a varare un decreto correttivo del decreto n. 28 del 2011;
tutta questa incertezza e totale improvvisazione, si ripercuote negativamente sugli investimenti in un settore strategico e «anticiclico» quale è appunto quello delle energie pulite, che avrebbe invece bisogno di certezze e di un quadro normativo chiaro e non in continua modificazione;
di fatto, sulle fonti energetiche rinnovabili il Governo non ha investito praticamente nulla, ma, al contrario, ha scelto di porre al centro delle strategie energetiche di questi primi tre anni di legislatura, il ritorno al nucleare;
2) per quanto concerne le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici:

il capitolo relativo alla lotta ai gas serra, contenuto nel PNR, mostra una totale assenza di iniziativa legislativa da parte dell'esecutivo;
sostanzialmente tutte le misure illustrate nel PNR, sono state proposte e approvate dal precedente Governo Prodi. Al massimo questo Governo ha provveduto a rifinanziarne alcune;
tra gli strumenti adottati a seguito della ratifica del Protocollo di Kyoto, finalizzati a ridurre del 6,5 per cento le emissioni di gas serra rispetto al 1990, ricordiamo:
1) il Fondo rotativo per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di Kyoto (Fondo istituito con la Legge finanziaria per il 2007 del Governo Prodi);
2) il Fondo per la promozione delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica (Fondo istituito con la Legge finanziaria per il 2008 del Governo Prodi);
3) il Fondo per la mobilità sostenibile (Fondo istituito con la Legge finanziaria per il 2007 del Governo Prodi) per il potenziamento del trasporto pubblico e il miglioramento della qualità dell'aria nelle aree urbane;
relativamente alle suddette politiche di potenziamento del trasporto pubblico e il miglioramento della qualità dell'aria, va ricordato che da quest'anno non è più possibile detrarre il 19 per cento delle spese sostenute per abbonamenti al trasporto pubblico, che è stata una misura importante voluta dal Governo di centro-sinistra per incentivare l'uso dei mezzi pubblici;
il Governo promette un pacchetto di misure per la riduzione delle emissioni inquinanti e del PM10. Misure chiaramente non ancora operative in quanto - come sottolinea il PNR - "è ancora in fase di definizione la relativa copertura finanziaria";
in questo ambito, si ricorda che la Commissione europea da due anni ammonisce il nostro Governo per farci rispettare i limiti imposti dalla normativa comunitaria già dal 2005. Nel novembre scorso è arrivata la definitiva comunicazione della Commissione sul deferimento del nostro Paese alla Corte di giustizia per il non rispetto della direttiva europea sulla qualità dell'aria in particolare rispetto ai limiti del PM10;
3) relativamente alle iniziative volte alla tutela dell'ambiente:
su questo aspetto nel Documento di economia e finanzia 2011, c'è poco più che un vago riferimento agli investimenti in servizi ambientali (risorse idriche e rifiuti), alla prevenzione dei rischi e al recupero dei siti inquinati e alla valorizzazione delle risorse naturali. Il Governo, tra l'altro, promette di far "diventare le aree naturali (....) un punto di forza su cui investire per lo sviluppo economico sostenibile";
in realtà in questi ultimi tre anni, abbiamo assistito a una costante e pesantissima riduzione di risorse assegnate dalle ultime leggi finanziarie al Ministero dell'ambiente. Parliamo di un taglio secco in tre anni di circa 1 miliardo di euro della dotazione complessiva per il Ministero guidato dalla Prestigiacomo;
non una sola parola del Documento di economia e finanza 2011, viene spesa per le politiche per la difesa del suolo, e per la tutela del territorio. Questo dimostra la miopia di un Governo che non vuole vedere come la lotta al dissesto idrogeologico e la messa in sicurezza del nostro territorio, può rappresentare la vera grande opera pubblica di questo Paese;
4) per quanto riguarda l'edilizia abitativa e il Piano casa:
nel Programma Nazionale di Riforma (PNR) al Piano di edilizia abitativa vengono dedicate poche righe. Ricordiamo che il Piano di edilizia abitativa (articolo 11 del decreto-legge n. 112 del 2008) prevede l'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l'offerta di alloggi di edilizia residenziale. Le risorse finanziarie necessarie per la realizzazione del piano erano però quelle stanziate dai provvedimenti in materia adottati dal precedente Governo Prodi;
per quanto riguarda invece il cosiddetto «Piano casa 2», il Governo avrebbe dovuto predisporre un intervento legislativo volto a favorire lavori di modifica del patrimonio edilizio esistente, nonché a prevedere la semplificazione dei titoli abilitativi all'attività. In realtà, questo secondo Piano casa promesso dal Governo dall'inizio della legislatura, e ripresentato recentemente come una delle misure in grado di dare una «frustata» all'economia, si è finora tradotto in null'altro che un bluff. Quel poco che è stato fatto, è stato realizzato con singole iniziative legislative delle regioni;
inoltre, nella gestione dei procedimenti per l'ottenimento dei titoli abilitativi edilizi, il PNR propone di introdurre il silenzio-assenso per il rilascio del permesso di costruire e di estendere lo strumento della SCIA all'edilizia. Bisognerà valutare i suddetti provvedimenti quando saranno presentati al Parlamento, ma alla luce della sensibilità ambientale dimostrata finora da questo esecutivo, l'intenzione di proseguire sulla strada di una sempre maggiore riduzione degli obblighi relativi agli interventi edilizi, rischia di avvenire a scapito di un territorio già abbondantemente segnato da abusivismo, edificazioni selvagge e fuori controllo, e urbanizzazioni intensive;
5) relativamente al capitolo infrastrutture:
per l'attuale Governo, il rilancio delle infrastrutture doveva essere il volano della ripresa economica del nostro Paese. La situazione effettiva è invece del tutto diversa, e il settore delle costruzioni e delle opere pubbliche è fermo. Di fatto siamo in presenza di un sostanziale fallimento: a dieci anni dalla legge obiettivo risulta completato solo il 20 per cento dei lotti, mentre per un altro 55 per cento di opere il cantiere non è mai stato neppure aperto. Secondo stime l'ANCE, gli investimenti pubblici in costruzioni sono in valore assoluto, i più bassi degli ultimi 20 anni;
premesso che, per quanto concerne la scuola e l'università:
il Documento di economia e finanza per il 2011, a fronte degli obiettivi elencati, nella sezione del Piano Nazionale di Riforma, per quanto attiene al capitolo istruzione, conferma tutti i tagli e il calo della spesa;
il calo, come è spiegato nello stesso documento, sarà effetto delle misure di contenimento della spesa per il personale, infatti c'è stato un piano triennale di tagli all'organico, a cui segue un andamento «gradualmente decrescente nel trentennio successivo, dovuto alla riduzione strutturale della popolazione scolastica». In sostanza, il personale diminuirà ulteriormente;
il Documento di economia e finanza dunque, conferma i pesanti tagli stabiliti, per i settori scuola e università, dalla legge 133 del 2008. Tagli che, a partire dal 2012, prevedono ulteriori risparmi per 4.561 milioni di euro per ciascun anno. In particolare, dal 2009 al 2011 sono previste economie di spesa per il personale pari a oltre 1293 milioni nel 2009, 2809 milioni nel 2010, 39011 nel 2011 e 4561 milioni a decorrere dal 2012;
per l'università, a parte gli oneri previsti dalla legge delega n. 240 del 2010 (27,5 milioni per il 2011, 96,5 milioni per il 2012 e 176,5 a decorrere dal 2013), eventuali economie di spesa saranno valutate nell'ambito dei decreti attuativi della riforma;
poca cosa rappresentano gli stanziamenti operati con la Legge di stabilità per il 2011 a favore del fondo ordinario per l'università, di 800 milioni per il 2011 e di 500 milioni a partire dal 2012 o gli incentivi per il rientro in Italia dei ricercatori;
l'Italia è tra i paesi europei che meno spendono per l'università (0,9 per cento del PIL prima dei tagli del 2008, contro una media OCSE dell'1,5 per cento). I principali paesi europei, dalla Francia alla Germania, per uscire dalla crisi hanno programmato nuovi investimenti per miliardi di euro;
il finanziamento delle università e della ricerca, dunque, a causa dei pesanti tagli operanti dal Governo, ha portato il sistema, già pesantemente sottofinanziato, al di sotto della soglia di sostenibilità;
tutto ciò conferma il disinteresse del Governo per un settore fondamentale per la crescita del Paese quale quello dell'istruzione in generale e di quella universitaria in particolare, che purtroppo non potrà non continuare a risentire di una politica di tagli i quali, anno dopo anno, producono dissesto ed una situazione economica inammissibile;
i proclami non possono bastare, mentre è indiscutibile che l'investimento nella formazione delle nuove generazioni rappresenta un parametro vitale per qualunque Paese voglia elaborare un positivo progetto di crescita per il proprio futuro;
il documento dei 27 «Europa 2020» dà un solo imperativo agli Stati membri per promuovere nuova crescita: investire in istruzione, infatti aumentare il livello e la qualità dell'istruzione rappresenta uno dei 5 obiettivi nazionali dell'Agenzia Europa 2020;
è più che necessario investire in maniera da valorizzare le immense risorse culturali e le competenze professionali che risiedono nel Paese;
per ciò che concerne l'amministrazione della giustizia:
l'imponente e disordinata produzione legislativa di emergenza di questo Governo si è sovrapposta in modo irrazionale causando incertezze ed instabilità della disciplina processuale ed una ancor più grave precarietà sul piano organizzativo, determinando tra gli operatori una diffusa insoddisfazione;
la mini-riforma del processo civile entrata in vigore nel luglio dello scorso anno, avrebbe potuto essere gestita diversamente, con un respiro diverso e con apporti più qualificati se, invece che essere contenuta all'interno di un provvedimento di carattere economico collegato alla finanziaria, fosse stata oggetto di uno specifico provvedimento discusso nella Commissione competente;
l'esigenza primaria e reale del nostro sistema giudiziario va individuata nell'oggettiva inadeguatezza della nostra giustizia civile rispetto al comportamento della nostra società, anche in un'ottica di competitività economica europea ed internazionale. Lo stato di totale paralisi dei tribunali, di merito e di legittimità, e la sfiducia di cittadini ed imprese nella capacità del sistema giudiziario civile di dirimere giustizia e di risolvere le controversie, sono sotto gli occhi di tutti e rendono evidente come l'intervento del legislatore anche sulle regole del processo civile sia episodico ed emergenziale, ed abbia perciò ormai fallito;
esistono diverse questioni a monte che rendono l'organizzazione della giustizia ingestibile: irrazionale distribuzione degli uffici; irrazionale distribuzione dei magistrati negli uffici (piante organiche sperequate); incontrollata distribuzione del lavoro tra i magistrati ed assenza di dati e controlli effettivi sulla produttività degli uffici e dei singoli; attribuzione da parte di molti dirigenti ai magistrati onorari di affari anche al di fuori delle ipotesi previste, vuoti cronici d'organico e stasi dei concorsi ordinari;
il rapporto Cepej, riporta che in Italia le sopravvenienze civili annue contenziose di primo grado per ogni giudice ammontano a 438,06, contro le 224,15 della Francia e le 54,86 della Germania. I procedimenti penali e civili per ogni grado, definiti per ogni giudice, emerge con evidenza lo sforzo della magistratura per portare a termine i processi. Nel civile il dato è di 411,33 per l'Italia, di 215,67 per la Francia e di 78,86 per la Germania. Nel penale 181,09 per l'Italia, 87,06 per la Francia, 42,91 per la Germania;
il rapporto Doing Business 2011, della Banca mondiale, che annualmente indica i Paesi in cui è vantaggioso investire, ancora colloca l'Italia all'80o posto (su 183);
condizione indispensabile per ogni riforma strutturale del settore giustizia è la disponibilità di risorse finanziarie adeguate: ed invece queste, nel tempo, si sono andate assottigliando sempre di più fino a raggiungere un livello assai basso;
si è assistito e si assiste alla reiterazione da parte di questo Governo di scelte che, dal punto di vista delle politiche finanziarie, delle dotazioni infrastrutturali, delle politiche del personale e del quadro normativo, non vanno in tale direzione. Esse non solo procedono in direzione diametralmente opposta a quella auspicata dagli operatori del settore ma anche a quella suggerita, più semplicemente, dal «buon senso» e dalla buona amministrazione ordinaria;
il settore giustizia negli ultimi dieci anni, otto dei quali governati dal centrodestra, non ha visto alcuna riforma strutturale corrispondente ad un impianto complessivo e strategico di rilancio, mentre le poche riforme avviate in passato hanno incontrato ostacoli applicativi e rilevanti problemi in sede di attuazione, non da ultimi a causa delle ripetute e sostanziali decurtazioni di risorse al bilancio dell'amministrazione;
la scopertura degli uffici è un'emergenza assoluta: mancano oggi più di mille magistrati su un organico di 9000. Dato già di per sé allarmante, ma che preoccupa ancor di più se si pensa che l'ultima legge di stabilità ha previsto il blocco delle assunzioni fino al 2013 e che attualmente mancano le risorse economiche necessarie all'assunzione dei vincitori dell'ultimo concorso. A ciò si aggiunga che i vincitori del penultimo concorso sono stati assunti finanziando la spesa con un aumento di 3 euro del contributo unificato;
la magistratura onoraria è una risorsa che in tempi brevi deve trovare una più adeguata collocazione nell'ambito dell'ordinamento giudiziario attraverso una riforma radicale ed un riordino dei ruoli che non meritano di essere ulteriormente differiti, senza la politica delle infinite proroghe. Una riforma che deve riguardare il mantenimento della distinzione tra magistrati onorari nei tribunali e nelle procure (che agiscono in sostituzione dei magistrati ordinari) e giudici di pace, che operano autonomamente, ma senza stabilizzazione,

impegna il Governo:

per le materie di sua competenza, a mettere in atto ogni iniziativa necessaria per superare gli ostacoli alla crescita dell'Italia e avviare il processo per raggiungere gli obiettivi al 2020 su occupazione, conoscenza, energia e clima, povertà, secondo le seguenti priorità:
adottare politiche di bilancio che, in termini quantitativi si pongano i seguenti obiettivi: il mantenimento dell'impegno ad una riduzione della pressione fiscale, compatibile con un sentiero di riduzione del deficit concordato in sede dell'Unione europea: è necessario dunque, oltre all'adozione di una seria politica di recupero dell'evasione fiscale e di allargamento della base imponibile, una riduzione strutturale della spesa corrente che consenta almeno di mantenere, se non addirittura di aumentare marginalmente la quota di spesa destinata agli investimenti e al riequilibrio infrastrutturale del Paese e ad un adeguato sistema di Welfare;
delineare fin dal prossimo mese di settembre i termini ed i provvedimenti dell'insieme della manovra correttiva necessaria per conseguire entro l'anno 2014 un sostanziale pareggio di bilancio,
a tal fine sarà necessario:
a) per ridare stimolo all'economia e sollievo alle famiglie, ridurre la pressione fiscale sulla base di reali risorse compensative della conseguente riduzione del gettito, adottando di conseguenza una severa e rigorosa politica di lotta all'evasione fiscale e contributiva e recuperando risorse in seguito alla riduzione della spesa corrente, il che significa, volendo mantenere almeno gli stessi livelli di spesa sociale e di spesa in conto capitale rispetto al PIL, attuare un taglio drastico (3-5 punti di PIL) della spesa più improduttiva ma anche riduzioni di programmi non prioritari. Ciò dovrà avvenire anche attraverso una revisione generalizzata della spesa pubblica centrale e decentrata (spending review) volto a valutare l'efficacia e l'efficienza dei singoli programmi di spesa per il raggiungimento degli obiettivi e mediante una riallocazione delle risorse in base al livello dei risultati e alle priorità delineate; il confronto con le migliori pratiche interne e internazionali, il monitoraggio degli indicatori, il controllo dei risultati e la valutazione dei processi amministrativi, al fine di garantire un migliore utilizzo delle risorse pubbliche;
b) cedere per una somma concordata ad un pool di banche i 300 miliardi di cartelle esattoriali non pagate e prevedere la responsabilità degli amministratori di società fallite sui debiti fiscali e contributivi di tali società;
c) adottare una efficace riduzione dei costi della politica, riducendo i livelli di governo (province e comunità montane) e il numero dei componenti delle assemblee elettive e del costo delle giunte amministrative, riducendo le società partecipate dallo Stato e dagli enti decentrati e contenendo la proliferazione dei servizi «esternalizzati», riducendo le cariche di governo e le istituzioni pubbliche, provvedendo altresì alla contrazione e alla revisione dei compensi per i rappresentanti politici, nonché una contrazione del finanziamento pubblico ai partiti; ridurre le spese inutili e gli sprechi (con l'abolizione delle province, il blocco delle auto blu, l'obbligo dei piccoli comuni di consorziarsi per la gestione di tutti i servizi, il dimezzamento dei parlamentari e dei consiglieri regionali e l'abolizione del loro vitalizio, lo scioglimento dei consigli di amministrazione delle oltre sei mila società pubbliche degli enti locali, la vendita dei beni dello Stato e delle società dello Stato); unificando gli enti previdenziali al fine di realizzare risparmi gestionali; eliminare il ricorso agli arbitrati per quanto concerne le pubbliche amministrazioni;
d) al fine di ridurre lo stock del debito pubblico, vendere anche solo una parte del patrimonio pubblico commercializzabile pari a 700 miliardi, di cui circa la metà è di proprietà degli enti territoriali, con l'obbligo per quest'ultimi di procedere alla cessione se il debito supera una determinata quota del bilancio annuale;
e) provvedere al finanziamento e al mantenimento di una quota costante in rapporto al PIL della spesa in conto capitale: devono ripartire sia le grandi opere pubbliche che le opere di riqualificazione del tessuto infrastrutturale del Paese (la messa in sicurezza di scuole, carceri ed altri edifici pubblici, la ristrutturazione degli immobili pubblici nelle zone sismiche, la manutenzione delle infrastrutture e delle strade) con un grande piano di manutenzione e ristrutturazione del territorio con criteri di sostenibilità ambientale, con particolare riferimento alla messa in sicurezza dal rischio idrogeologico, sviluppando altresì un piano di incentivi per le aziende che investono in ricerca e nuove tecnologie sul risparmio energetico;
f) intervenire sul sistema sociale italiano al fine di ridurre le disuguaglianze e le disparità di trattamento. L'Italia è un Paese a bassa crescita economica, nel quale permane un grave problema di povertà, soprattutto nelle regioni meridionali. La nostra scarsa crescita si è tradotta in un aggravamento delle condizioni sociali delle famiglie italiane occorre intervenire sul sistema sociale italiano al fine di ridurre le disuguaglianze e le disparità di trattamento. Una già grave rottura generazionale, prodotta da quindici anni di precarizzazione selvaggia, è stata appesantita da un lato dalla mancanza di strumenti di sostegno al reddito per i periodi di non lavoro, dall'altro dal sistema pensionistico italiano (peggiorato dall'ultima Finanziaria) che farà percepire ad un giovane neoassunto, dopo 40 anni di lavoro, il 40 per cento dell'ultimo stipendio. Appare dunque necessario per il rilancio dell'efficienza del sistema produttivo italiano e della crescita della produttività favorire una rinnovata coesione sociale ed una maggiore responsabilizzazione di tutti gli attori sociali,
a tal proposito è necessario:
1. attuare una profonda riforma del sistema delle relazioni industriali anzitutto attraverso una legislazione che regoli in maniera democratica la rappresentatività sindacale, imponga la misura della reale rappresentanza su base proporzionale e la legittimità degli accordi subordinandola al voto libero e democratico dei lavoratori;
2. ridefinire un nuovo sistema contrattuale attraverso una drastica semplificazione a livello nazionale in quattro grandi aree contrattuali di validità triennale (industria, pubblico impiego, artigianato, servizi) che definiscano il salario minimo, l'orario massimo, i diritti non negoziabili, la previsione obbligatoria della formazione permanente e le norme di sicurezza sul lavoro mantenendo altresì la contrattazione di secondo livello, aziendale territoriale o di comparto, per affrontare le problematiche specifiche;
3. rendere il contratto di lavoro a tempo indeterminato il rapporto di lavoro ordinario, in linea con quanto avviene nella maggior parte d'Europa, a tal fine procedendo al superamento definitivo delle 42 fattispecie contrattuali attualmente previste dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;
4. operare per una seria riforma degli ammortizzatori sociali che preveda un investimento significativo sulla formazione, accompagnata (come avviene in molti paesi europei) da un'indennità di sostegno a favore di tutti coloro che ne sono privi a partire dai precari;
5. abbattere il costo del lavoro per favorire le assunzioni a tempo indeterminato;
6. rivalutare al 100 per cento rispetto al costo della vita le pensioni di importo fino a 5 volte il trattamento previdenziale minimo;
7. stabilire un salario minimo d'ingresso per i giovani, pari ad almeno 1.000 euro al mese;
8. mettere in bilancio il finanziamento ordinario delle strutture istituzionalmente preposte alle politiche pubbliche per la formazione e l'occupazione, a partire dai centri per l'impiego, anche in vista della riduzione di fondi comunitari a partire dal 2013;
9. favorire l'integrazione orizzontale delle politiche sociali, formative e del lavoro, nel rispetto delle diverse competenze assegnate ai vari livelli istituzionali, dallo Stato, regioni ed enti locali attraverso l'integrazione della formazione pagata dall'azienda ai lavoratori con quote di formazione aggiuntiva (a carico del FSE) destinata a quelle imprese che ricorrono ai contratti di solidarietà pur di non licenziare;
10. riconoscere remunerazione e contributi a forme surrettizie di lavoro dipendente come gli stage non finalizzati all'assunzione e le partite IVA non rispondenti ai requisiti di libertà ed autonomia professionale, ma imposte per non pagare gli oneri sociali;
11. assicurare per l'anno in corso e per tutto il 2011 il pagamento dell'IVA per le piccole e medie imprese all'atto effettivo dell'incasso;
12. intervenire finalmente sul Patto di stabilità che spesso impedisce agli enti locali di saldare i prestatori di opere pubbliche pur avendo a disposizione i fondi e dunque di pagare gli stipendi alle maestranze;
13. rimuovere i fattori degenerativi della concorrenza come il dumping sociale giocato sullo sfruttamento del lavoro al fine di favorire le imprese rispettose delle leggi e dei contratti;
14. investire sulle macropolitiche individuate in sede comunitaria come il sostegno alla filiera agro-alimentare, al turismo legato alla cultura dell'accoglienza con la valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale e, alla green economy, la diffusione della banda larga su tutto il territorio nazionale, con l'accesso ad internet gratuito per le nuove generazioni, la manifattura di qualità, i settori innovativi ad alto contenuto tecnologico, i grandi progetti di riconversione industriale, la ricerca l'innovazione;
g) intervenire con urgenza per assicurare a ciascun individuo e nell'interesse della collettività, secondo quanto prescritto dall'articolo 32 della Costituzione, parità di trattamento da parte del servizio sanitario in ogni parte d'Italia affrontando l'evidente problema della qualità e della disomogeneità sul territorio dei servizi sanitari. In particolare, è necessario operare una razionalizzazione della spesa sanitaria attraverso l'eliminazione di sprechi ed inefficienze delle strutture, anzitutto intervenendo sul diffuso malcostume della elargizione di posti di lavoro e concessioni in maniera clientelare. A tal proposito si deve rilevare come nel cosiddetto processo di aziendalizzazione del Servizio sanitario nazionale, che avrebbe dovuto indirizzare la organizzazione sanitaria pubblica verso una maggiore autonomia ed efficienza, applicando logiche e strumenti manageriali, l'elemento fondamentale sia certamente costituito dalla figura del direttore generale di cui l'attuale legislazione lascia ampi margini di autonomia nella definizione sia dei requisiti professionali necessari per la nomina, sia degli indicatori di performance per la valutazione successiva. L'esigenza, in passato considerata legittima, di un rapporto fiduciario tra dirigenza politica e gestionale, ossia tra assessori e direttori generali delle ASL, ha consentito, nei fatti, ai primi di scegliere spesso persone del tutto inadeguate al ruolo e perciò stesso inclini a stabilire un rapporto di sudditanza o connivenza. Per far saltare questa ferrea connessione è necessario, circa il potere di nomina o di scelta del direttore generale, operare alla revisione dell'attuale legislazione ed alla definizione di nuove rigorose norme che scoraggino in partenza le possibili intrusioni e invadenze della discrezionalità politica, facendo sì che, in particolare: siano più stringenti i requisiti necessari per accedere alla carica di direttore generale, tra i quali in particolar modo la comprovata competenza ed esperienza nella responsabilità gestionale diretta pregressa delle risorse finanziarie, requisito considerato prioritario e non più aggiuntivo, come invece previsto dalla legislazione vigente; sia obbligatoria la frequenza di un corso accreditato di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria, antecedente alla eventuale nomina e quindi con valenza di prerequisito; sia necessaria l'iscrizione ad un elenco-graduatoria nazionale, aggiornato con periodicità biennale dal Ministero della salute, dei titolari dei requisiti per l'accesso alla direzione generale; tali requisiti siano valutati da una commissione nazionale di esperti nominata dal Ministero della salute, che approvi una graduatoria dei candidati, dopo aver compiuto un esame approfondito dei candidati medesimi attraverso un'analisi oggettiva preliminare dei loro curriculum ed una successiva valutazione; il provvedimento di nomina, di conferma o revoca del direttore generale sia adeguatamente motivato e reso pubblico;
h) assicurare a tutti gli studenti ed alle loro famiglie un diritto allo studio che si concretizzi in docenti preparati a svolgere il proprio lavoro senza l'assillo della precarietà assoluta, in classi in cui svolgere le lezioni con non più di trenta alunni, nel cosiddetto tempo pieno che garantisca alle famiglie di poter svolgere tranquillamente il proprio lavoro, in quella qualità dei programmi e della didattica di cui molto poco il Governo si è interessato in questi anni. A tal fine, a modificare i provvedimenti recentemente approvati volti a diminuire ulteriormente gli organici e le dotazioni da assegnare alla scuola pubblica, nonché ad adottare tutte le iniziative necessarie per garantire a tutti i precari del settore, rimasti già dall'anno scolastico in corso senza un posto di lavoro, di poter usufruire degli ammortizzatori sociali che permettano il sostentamento economico; a garantire il rispetto del diritto allo studio per gli alunni in situazione di handicap assicurando loro la possibilità di usufruire del sostegno di insegnanti specializzati per il maggior numero di ore possibile a settimana, al fine di garantire loro una reale ed efficace azione di integrazione,
ed ancora ad adottare le seguenti iniziative:
1) assegnare risorse adeguate alle scuole pubbliche al fine di realizzare un piano nazionale per la messa a norma degli edifici scolastici, per la realizzazione di impianti energetici che nel tempo possano produrre grandi risparmi e rispettare l'ambiente, per la realizzazione di strutture utili al raggiungimento di una formazione completa degli alunni, quali palestre e laboratori tecnici, aule magne; a ripristinare la legalità con riferimento al rapporto del numero di alunni per classe e alla dimensione dell'aula, nel rispetto delle norme igieniche e di sicurezza secondo quanto disposto dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;
2) prevedere un significativo aumento delle risorse economiche da destinare alle università pubbliche al fine di migliorare l'offerta formativa oggi presente;
i) adottare una strategia complessiva, dinamica e flessibile, di rilancio del Mezzogiorno, attraverso la costruzione di una solida filiera università-ricerca-credito-imprese; l'avvio di progetti di life long learning per tutto l'arco della vita lavorativa; la definizione di una seria politica industriale, anche mediante l'attrazione di capitali esteri; la realizzazione di un programma di internazionalizzazione delle aziende presenti sul territorio. Riteniamo inoltre necessario abbandonare la politica sinora seguita relativamente all'uso illegittimo delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) - in procinto di trasformarsi in »Fondo per lo sviluppo e la coesione« - procedendo al reintegro delle risorse sottratte alla loro originale destinazione - la questione riguarda anche i fondi della legge n. 488 del 1992, gran parte dei quali risulta dirottata nel 2010 verso le aree del Centro-Nord - al fine di avviare un programma di rilancio del tessuto produttivo meridionale e, conseguentemente, dei livelli occupazionali del Mezzogiorno;
j) definire un piano di azioni di aiuto rivolte alle singole imprese e destinate sia al trasferimento di innovazione dal mondo della ricerca a quello della «produzione», sia a favorire la ricerca e l'innovazione all'interno delle imprese stesse, intervenendo sul Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR) e sul Fondo per l'innovazione tecnologica (FIT), ai quali si potranno poi aggiungere le misure di competenza regionale;
k) prevedere misure concrete volte a garantire il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese nei tempi previsti, e recepire nel nostro ordinamento, senza ritardi rispetto ai 24 mesi previsti dalla sua adozione (20 ottobre 2010), la direttiva comunitaria finalizzata a lottare contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali rendendo più stringenti gli impegni delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici verso i privati;
l) supportare le piccole e medie imprese sul fronte del credito, con la creazione di un più stretto rapporto tra banche, imprese e Confidi, in grado di garantire maggiore liquidità e capitalizzazione alle piccole imprese;
m) ridurre il costo del lavoro nell'imponibile IRAP per le piccole e medie imprese;
n) restituire all'attuazione delle finalità previste dalla normativa vigente le risorse derivanti dalle revoche dei vecchi incentivi già accordati, per rinuncia o decadenza dal diritto dei destinatari, ai sensi della legge n. 488 del 1992 relativa agli strumenti di incentivo alle imprese;
o) intervenire con misure a medio-lungo termine mirate a prevedere il riavvio degli interventi di liberalizzazione dei mercati, favorire la libera concorrenza fra imprese e garantire la tutela del cittadino-consumatore, la parte più debole del sistema economico. La concorrenza è il motore della crescita e, anche in un periodo di crisi, non si possono calpestare le regole che vi presiedono, in quanto ciò favorirebbe solo un ritardo nella ripresa. Liberalizzare significa aprire i mercati a nuovi concorrenti, contrastare il potere dei monopoli ed assicurare prezzi più bassi agli utenti. Al riguardo va sottolineato che nel nostro Paese spesso si è provveduto a privatizzare alcuni settori senza aver allo stesso tempo aperto (liberalizzato) il mercato nel quale l'ex impresa pubblica si trova ad operare. In situazioni del genere si finisce per trasferire rendite di monopolio dal bilancio pubblico a quello dei nuovi azionisti privati. A monopoli pubblici si sostituiscono monopoli privati, con scarsi benefici per i consumatori e gli utenti e con posizioni di rendita ingiustificate a favore di lobby finanziarie. È questo un grave errore al quale si deve porre rimedio rafforzando i poteri di regolamentazione delle Authority e spingendo verso una maggiore apertura dei mercati nei quali operano i nuovi semi-monopoli privati;
p) sottrarre alle regole della concorrenza e del profitto la gestione del servizio idrico che deve rimanere pubblico come richiesto dai quesiti referendari. Le diverse esperienze privatistiche di gestione dell'acqua degli ultimi anni hanno dimostrato come esse siano incompatibili con la gestione dell'acqua intesa come bene comune, in quanto la finalità delle imprese commerciali, che deve essere ovviamente il profitto, tende necessariamente alla contrazione dei costi e all'aumento dei ricavi. Questo comporta da un lato l'aumento delle tariffe, dall'altro tagli ai costi del lavoro e della gestione, con conseguente peggioramento della qualità dei servizi. Negli ultimi anni si è assistito ad una riduzione drastica degli investimenti per la modernizzazione degli acquedotti, della rete fognaria, degli impianti di depurazione;
q) presentare al più presto in Parlamento il disegno di legge sulla concorrenza, anche al fine di affrontare una questione fondamentale quale quella del livello di concorrenza nel settore dei trasporti (a partire da quello ferroviario) e in quello postale; porre fine al regime che regola e limita l'apertura di nuove farmacie sconfiggendo le spinte corporative per ripristinare il vecchio monopolio assoluto della vendita dei medicinali;
r) trasformazione degli ordini in associazioni iniziando dai notai e dai giornalisti;
s) assumere come politica prioritaria nazionale l'attuazione di un programma per la sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico, superando l'attuale frammentazione di competenze, fonti normative, fonti di finanziamento e di livelli di responsabilità, mediante l'individuazione di risorse pluriennali certe e costanti e l'effettuazione di puntuali verifiche sulla realizzazione di tale programma, alla luce degli indubbi risparmi che la prevenzione consentirebbe di conseguire rispetto alle politiche emergenziali post-evento sino ad ora seguite;
t) archiviare definitivamente il programma nucleare come richiesto dal quesito referendario e non solo per una cosiddetta «pausa di riflessione», in quanto tale programma è privo di qualsiasi garanzia sia in termini di sicurezza per i cittadini che di riduzione dei costi dell'energia, frutto più di un'idea propagandistica che di politica industriale;
u) porre in essere una revisione complessiva degli strumenti di incentivazione delle fonti rinnovabili in occasione del recepimento della direttiva 2009/28/CE, attraverso una puntuale razionalizzazione e armonizzazione degli attuali meccanismi. Detta revisione deve prioritariamente consentire al nostro Paese di raggiungere gli obiettivi fissati dalla predetta direttiva, realizzando nel contempo lo sviluppo industriale e l'accettabilità sociale delle azioni che saranno intraprese. Per lo sviluppo industriale è peraltro fondamentale la stabilità e prevedibilità del quadro normativo che disciplina il sostegno alla produzione di energia da fonte rinnovabile, nonché un maggior livello di chiarezza e accessibilità delle procedure. Finora infatti, le frequenti modifiche ai sistemi vigenti hanno creato evidenti difficoltà alla programmazione degli operatori, che hanno bisogno di maggiori certezze e garanzie.
Le incentivazioni dovranno consentire lo sviluppo nel nostro Paese di comparti i cui prodotti e servizi consentano eccellenti margini di competitività sul mercato globale, seppure in un'ottica di graduale riduzione nel tempo dell'impatto dei meccanismi di promozione delle rinnovabili sui consumatori finali.
A tal fine è necessario spostare una parte significativa degli oneri legati ai meccanismi di incentivazione delle fonti rinnovabili dalla bolletta energetica - come attualmente avviene - alla fiscalità generale, così come segnalato dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas con riguardo alla delineazione di una strategia energetica nazionale, in modo da garantire reali criteri di progressività e proporzionalità nel finanziamento delle spese pubbliche. Attualmente, infatti, le incentivazioni non ricadono sulla generalità dei contribuenti, attraverso imposte dedicate, ma sullo specifico settore dei consumatori elettrici.
È altresì indispensabile accelerare la risoluzione anticipata delle convenzioni CIP6 per le energie assimilate, ossia quelle energie non rinnovabili e che sono invece prodotte da impianti che utilizzano calore di risulta o fumi di scarico, da impianti che usano gli scarti di lavorazione o di processi, termovalorizzatori, impianti di cogenerazione, scarti di raffineria e rifiuti anche non biodegradabili, ecc.. L'obiettivo a breve termine dovrà quindi essere quello dell'uscita definitiva dai meccanismi di incentivazione per le suddette fonti assimilate - che «pesano» sulla bolletta elettrica - prevedendo una loro riduzione annuale per quei produttori che attualmente ne beneficiano, con contestuale riduzione del prezzo dell'energia elettrica per i consumatori finali mediante riduzione della componente tariffaria A3;
v) aggiornare lo strumento operativo del Piano nazionale di efficienza energetica del 2007, riferendolo alla scadenza del 2020, nonché elaborare un piano di ricerca e sviluppo in materia, con il coinvolgimento di tutti i settori interessati, al fine di assumere iniziative mirate a stanziare adeguate risorse per la sua implementazione, così da supportare la nascita e lo sviluppo di imprese nazionali che offrono tecnologie, prodotti e sistemi ad elevata efficienza energetica;
w) prorogare la detrazione del 55 per cento prevista per le spese di riqualificazione energetica degli edifici, in scadenza il prossimo 31 dicembre 2011, prevedendone una sua definitiva stabilizzazione. Lo stesso Governo sottolinea nel PNR come i vantaggi di questo intervento si valutano non solo in termini di risparmio energetico, ma anche in termini di emersione del lavoro e di maggiori entrate tributarie, con conseguenti benefici per le casse dello Stato e per la collettività;
x) intervenire tempestivamente sullo stato del sistema infrastrutturale del nostro Paese, al fine di invertire un'inerzia che ci ha portato sull'orlo del baratro sia dal punto di vista della competitività economica, ma soprattutto da quello della sostenibilità ambientale. In queste condizioni non è possibile competere su scala internazionale. Rivedere le modalità delle gare d'appalto escludendo le gare al massimo ribasso e prevedendo anche un tetto massimo per le riserve in corso d'opera;
y) privilegiare per quanto concerne l'edilizia privata, anche mediante incentivi ed agevolazioni, il recupero e le ristrutturazioni, ponendosi come obiettivo, sia pure graduale, quello di «zero cubature» stante l'esiguità del territorio nazionale e la sua intensa cementificazione;
z) individuare chiaramente gli interventi necessari a risolvere nel più breve tempo possibile le gravi difficoltà del nostro sistema di trasporto, sia con riguardo alla mobilità delle persone che delle merci, e procedere ad investire in modo efficace le scarse risorse disponibili. In una situazione economica come quella attuale, occorre tenere presente che il traffico è prevalentemente di breve distanza e, riguarda in gran parte l'accessibilità ai grandi centri urbani. Si può affermare che si serve meglio quindi con le «piccole opere» e con la manutenzione, in grado di generare, tra l'altro, più occupazione in tempi più brevi, a parità di spesa;
aa) porre fine alla politica dello «stop and go» nel campo della realizzazione delle opere, strumento dannosissimo sia sul piano dei costi che della funzionalità delle opere stesse - come troppe esperienze hanno ormai mostrato - procedendo, invece, all'avvio dei cantieri solo quando le risorse necessarie al completamento dell'opera siano effettivamente allocate o quantomeno già stanziate;
bb) ridurre il divario tecnologico e culturale esistente nel nostro Paese rispetto non solo agli Stati più avanzati, ma anche a quelli storicamente meno competitivi, che però hanno sfruttato l'occasione della crisi economica per puntare sugli investimenti nelle nuove tecnologie mirati a guidare la ripresa, definendo nel più breve tempo possibile un'agenda italiana per lo sviluppo della banda larga e dei servizi digitali contenente gli obiettivi fondamentali per un'azione rivolta a guidare la transizione verso uno Stato e un'economia digitale;
cc) è improcrastinabile pensare ad una riforma organica del processo civile che tenga conto delle diverse realtà e finalità di un ricorso alla giustizia: è evidente ormai come un'unica regola processuale non possa più valere contemporaneamente a disciplinare tutte le istanze di giustizia che vanno certamente soddisfatte, ma ciascuna in ragione della propria peculiarità e con regole processuali differenti. Tali regole devono basarsi sul principio pacificamente riconosciuto come diritto dei cittadini, che il processo civile deve concludersi in tempi brevissimi; la semplificazione dei riti è anche essa ormai indifferibile; l'organizzazione degli uffici è un profilo essenziale e prioritario per la giustizia civile e penale e in questo quadro è necessario utilizzare in modo appropriato la magistratura onoraria. Inoltre alla riorganizzazione degli uffici si deve giungere attraverso: la rideterminazione delle piante organiche (attualmente vedono una sovrabbondanza di figure di livello basso); la individuazione di mansioni nuove necessariamente figlie del nuovo modello e conseguentemente provvedere alla necessaria formazione; l'obbligatorietà del processo telematico; l'assunzione di personale qualificato.
(6-00078)
«Donadi, Borghesi, Cambursano, Di Pietro, Evangelisti, Orlando, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Formisano, Messina, Monai, Mura, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».

La Camera,
esaminato il Documento di economia e finanza pubblica 2011,
considerato che:
il Consiglio dei ministri del 13 aprile 2011, in ottemperanza agli impegni definiti nel Consiglio europeo del 24-25 marzo scorsi, ha approvato il Programma di stabilità, che delinea gli andamenti pluriennali della finanza pubblica italiana fino al 2014 e il Piano Nazionale di Riforma, nel quale sono indicate le politiche che il Governo intende adottare per sostenere la crescita economica del Paese;
il Piano di stabilità indica il raggiungimento nel 2014 del pareggio sostanziale del bilancio ed una prima consistente riduzione del rapporto debito/PIL. È del tutto evidente che tali traguardi richiederanno, tra il 2013 e il 2014, una manovra aggiuntiva di riduzione del fabbisogno del 2,5 per cento del PIL circa;
con tale scelta il Governo rinvia di fatto nel tempo la correzione richiesta dagli accordi in sede europea, scaricando sulla prossima legislatura gran parte dell'onere del risanamento;
l'Italia si presenta all'appuntamento con la nuova disciplina europea in condizioni particolarmente difficili per tre essenziali ragioni:
1) uno stock di debito in rapporto al PIL pari al doppio di quanto previsto in sede europea e con l'obbligo di procedere alla riduzione di tale differenza nella misura di un ventesimo per ciascun anno; il che implica una riduzione di ben 3 punti l'anno che si aggiungono al vincolo relativo al rapporto fra deficit pubblico e PIL che deve ridiscendere a un livello inferiore al 3 per cento;
2) una crescita reale di medio periodo che si colloca attorno all'1 per cento;
3) un divario fra il Nord e il Sud che è tornato ad accentuarsi in misura rilevante;
nel Piano di Riforma, non sono previsti interventi destinati a dare luogo a una crescita più vigorosa dell'economia. Si propone una congerie di misure, circa ottanta, delle quali è evidente la disorganicità. Si proclama il rafforzamento della concorrenza e della competitività, ma non si indicano strade concrete ed incisive. C'è solo una generica enumerazione di misure senza strategie e senza priorità;
particolarmente carente è la trattazione della questione del Mezzogiorno;
le liberalizzazioni non vengono neanche citate: grave paradosso di un Governo che aveva legato la sua missione alla rivoluzione liberale e che invece oggi ha abbracciato una pericolosa e regressiva linea statalista e neo protezionista;
lo stesso esecutivo si mostra consapevole della fragilità del Piano: prova ne sia la valutazione che esso stesso fa dell'effetto di stimolo determinato dalle misure indicate, calcolato in un aumento della crescita dello 0,4 per cento del PIL;
queste misure non sono in grado di realizzare la «scossa» all'economia promessa dal Governo mentre per le necessità del Paese ci sarebbe bisogno di mettere in campo uno sforzo simile a quello prodotto al tempo dell'adesione al Trattato di Maastricht, come segnalato dalla Confindustria;
appare pertanto ancora più grave il mancato coinvolgimento del Parlamento e dell'insieme del mondo produttivo nell'elaborazione del Piano da parte del Governo;
ciò che più colpisce è la mancanza di un'analisi della relazione fra l'andamento del fabbisogno pubblico e il trend del reddito nazionale che invece rappresenta il punto più importante. Nell'economia italiana, infatti, si sta creando un circolo vizioso: le misure finanziarie di risanamento, per le loro ripercussioni sulla domanda, determinano un rallentamento della crescita; la quale, a sua volta, a causa dei suoi effetti depressivi, rende più difficile il raggiungimento dei traguardi di finanza pubblica e impone ulteriori manovre deflattive;
questa contraddizione non verrà probabilmente rilevata dalle autorità europee. Ma ciò non costituisce una buona notizia per il futuro dell'Italia. Gli impegni chiesti dall'Europa attengono al rapporto deficit/PIL e debito/PIL. La crescita, cioè, non è considerata un vincolo. Il vincolo sono le grandezze di finanza pubblica senza ulteriori condizioni;
questo è il limite che continua a permanere nel nuovo Patto europeo: esso non assume come priorità la questione della crescita né attribuisce carattere strategico e vincolante all'attuazione dell'Agenda 2009 che della crescita europea ha dettato le linee. Peraltro non risulta che l'Italia si sia battuta per un esito del negoziato europeo che rafforzasse questo aspetto;
al contrario, il Governo ha sostanzialmente rinunciato a avviare una politica per la crescita, affidandosi probabilmente alla speranza che la ripresa dell'economia italiana possa essere trainata dall'andamento di quella europea e mondiale. Ma questa scelta rischia di rendere proibitivo, il conseguimento degli ambiziosi traguardi di finanza richiesti dall'Europa, renderà indispensabili come previsto da Bankitalia, e come ammesso a denti stretti da Tremonti in questi giorni, ulteriori manovre di restrizione del bilancio, destinate a loro volta a influire negativamente sul nostro tasso di crescita, condannando il Paese all'immobilismo;
una crescita dell'1,5 per cento è palesemente insufficiente a consentire un riassorbimento della elevata disoccupazione italiana e una attenuazione del grave divario fra il Nord ed il Sud, é dunque urgente predisporre ed attuare una politica economica del tutto diversa che si proponga l'obiettivo di una crescita annuale fra il 2 e il 3 per cento;
è necessario pertanto, invece di favoleggiare di una riforma fiscale che ormai è solo un'araba fenice, prevedere precise misure a sostegno della crescita quale condizione indispensabile per la stessa stabilità dei conti pubblici e dunque per il rispetto dei vincoli dell'appartenenza all'euro che non possono essere rinviate oltre;
a differenza di quanto avviene oggi, occorre che la manovra di rigore finanziario e di rilancio della crescita sia caratterizzata, da precise scelte politiche, qualitativamente impegnative e quantitativamente sostenute. In particolare a difesa della famiglia, del lavoro, delle imprese e in direzione di un rilancio degli investimenti e dei consumi;
per reperire le risorse necessarie occorre una totale e radicale revisione della spesa pubblica, una vera e propria spending review, orientata alla trasformazione dello Stato da erogatore a regolatore, anche nel settore del Welfare. Per ottenere ciò è indispensabile puntare sulla sussidiarietà. Tagli verticali specifici devono sostituire quelli orizzontali e generici. Nell'immediato si può intanto procedere al severo contenimento di alcune voci specifiche di spesa corrente aumentate in modo anomalo negli ultimi anni e che contengono chiari indizi di sprechi, malversazioni ed aree grigie tra economia e politica: acquisti di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni ammontanti ad oltre 140 miliardi di euro all'anno; fondi perduti elargiti a pioggia in conto corrente e conto capitale per 44 miliardi di euro all'anno; eliminazione-aggregazione di enti e società pubbliche; radicale riduzione del numero delle province. In questo quadro occorre promuovere immediati provvedimenti anti-corruzione;
l'Italia ha davanti a sé due traguardi: correggere il deficit pubblico e finanziare una grande riforma fiscale (fattore famiglia, dimezzamento dell'IRAP per le imprese, infrastrutture, ricerca);
è necessario predisporre in tempi brevi:
a) una legge sulla fiscalità di vantaggio degli investimenti produttivi, con un'articolazione diversa tra Nord e Sud in relazione ai diversi livelli di disoccupazione nelle aree del Paese;
b) un intervento di sostegno della patrimonializzazione delle imprese attraverso la detassazione degli utili reinvestiti;
c) il rilancio delle liberalizzazioni, ormai bloccate da anni nei servizi, pubblici e privati, nelle professioni, nelle attività commerciali per ridurre i costi della pubblica amministrazione, delle imprese e delle famiglie, creare nuove opportunità di lavoro;
d) immediate misure di riduzione fiscale per le famiglie (introducendo il fattore famiglia) e per le imprese attraverso la riduzione dell'IRAP che con il federalismo fiscale rischia, al contrario, di aumentare;
e) una forte iniziativa mirata al contrasto della povertà che sta investendo ceti che precedentemente ne erano al riparo;
f) investimenti straordinari in favore della ricerca pubblica e privata;
g) un piano straordinario per i giovani (istruzione, merito, lavoro, casa, nuove opportunità);
h) rimettere in moto le infrastrutture con particolare riguardo al Mezzogiorno dove è indispensabile aumentare capacità di spesa e qualità dei servizi pubblici;
i cambiamenti storici in atto nel Mediterraneo, liberando energie per troppo tempo represse e mettendo in moto nuovi processi di sviluppo economico, possono rappresentare un'occasione straordinaria di sviluppo per l'Italia, sia come Paese esportatore, sia come piattaforma logistica dell'intero Mediterraneo, sia infine come fornitore di servizi (ad esempio l'istruzione universitaria);
intorno a queste nuove possibilità il Paese deve esser pronto a costruire una nuova stagione di sviluppo con particolare riferimento al Mezzogiorno. È un'occasione che non deve essere perduta, ma che finora è stata affrontata dal Governo solo in termini di ordine pubblico;
le crisi finanziarie di alcuni Paesi membri dell'euro e la necessità di procedere con misure di sostegno a loro favore hanno alimentato un clima di diffidenza nelle relazioni inter-europee. Da parte tedesca, soprattutto, si vorrebbe puntare all'introduzione di vincoli ai comportamenti dei singoli Stati;
occorre impegnarsi ad evitare che l'Europa dei giusti vincoli divenga l'Europa degli ingiustificati egoismi, in altri termini, si deve operare al fine di riuscire a superare l'impasse che ha fermato il cammino dell'integrazione politica europea;
come Paese fondatore, l'Italia può esercitare un ruolo rilevante nella ripresa del cammino unitario, ma ciò presuppone due condizioni che l'attuale maggioranza non soddisfa:
a) mantenere saldo un atteggiamento favorevole all'ulteriore integrazione politica, senza oscillare fra perentorie richieste di aiuto e minacce di secessione;
b) dimostrare di saper perseguire una crescita economica più rilevante e, insieme, il risanamento dei conti pubblici. Affinché tutto ciò si realizzi è necessaria una diversa maggioranza e un Governo capace di ispirarsi ad una nuova condivisa stagione di responsabilità nazionale,

impegna il Governo

pur condividendo gli obiettivi di risanamento e di contenimento della spesa pubblica in linea con gli impegni europei, ad avviare concretamente una politica industriale, misure e programmi in grado di stimolare la crescita secondo quanto segnalato nelle premesse.
(6-00079)
«Galletti, Della Vedova, Tabacci, Lo Monte, La Malfa».

La Camera,
esaminato il Documento di economia e finanza 2011;
considerato che:
il documento in esame rappresenta il primo atto del nuovo ciclo di programmazione economica e finanziaria disciplinato dalla legge n. 39 del 2011, di modifica della legge di contabilità e finanza pubblica, al fine di tenere conto dell'introduzione del cosiddetto semestre europeo e dei connessi adeguamenti del codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità e crescita;
la legge n. 39 del 2011, configurando il Programma di stabilità e il Programma nazionale di riforma quali parti integranti del documento in esame, ha inteso favorire il perseguimento congiunto della sostenibilità della finanza pubblica e della stabilità finanziaria, che rimangono gli obiettivi fondamentali, e della crescita economica, in coerenza con l'impostazione della nuova governance economica europea;
l'equilibrio dei conti pubblici rappresenta un vincolo insuperabile per ogni politica economica realistica e sostenibile nel medio e lungo termine, condizione imprescindibile di ogni politica per lo sviluppo, la competitività e l'occupazione;
occorre, tuttavia, invertire quanto prima il fenomeno della bassa crescita che, in particolare per l'effetto della crisi economica e finanziaria, affligge l'Europa da molti anni e che di conseguenza caratterizza l'economia italiana, poiché solo attraverso una crescita a tassi superiori agli attuali sarà possibile ottemperare ai più rigorosi obiettivi derivanti dall'attuazione della nuova governance economica europea senza deprimere l'economia nazionale indebolendone ulteriormente le prospettive di sviluppo;
riveste a tal fine un fondamentale rilievo il Programma nazionale di riforma, recante una serie di misure ispirate all'analisi annuale della crescita predisposta dalla Commissione europea, alle azioni previste dal Patto Euro Plus ed agli obiettivi della Strategia Europa 2020, che vengono brevemente descritte, indicando lo stato di implementazione e di avanzamento, la tempistica di attuazione, gli effetti sull'economia nel suo complesso e, ove possibile, l'impatto sulla finanza pubblica, che si ipotizza tale da determinare un incremento del PIL pari, in media, a 0,4 punti percentuali l'anno nel quadriennio 2011-2014;
nel quadro del Programma Nazionale di Riforma, che è stato redatto sulla base di una nuova e più rigorosa metodologia e potrà essere meglio articolato e implementato nei prossimi anni, occorrerà riservare una crescente attenzione alle riforme di natura strutturale in materia di liberalizzazioni, promozione della concorrenza e contrasto alle rendite di posizione, suscettibili di essere effettuate a costo zero o, comunque, con oneri estremamente ridotti;
in relazione all'attuazione dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 si ritiene indispensabile prevedere, nella nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza da predisporre per il prossimo settembre, la rimodulazione in termini perequativi dell'elenco delle opere inserite nella Tabella I del 9o Allegato infrastrutture del Documento di economia e finanza con particolare riferimento a quelle da inserire nel Piano nazionale per il Sud. Tale rimodulazione dovrà tener conto di indicatori e parametri oggettivi relativi ai gap infrastrutturali e di servizio con particolare riferimento alle regioni insulari come la regione Sardegna che risulta gravemente penalizzata nella ripartizione proposta,

impegna il Governo:

a presentare al Consiglio dell'Unione europea e alla Commissione europea il Programma di stabilità e il Programma Nazionale di Riforma, contenuti nella prima e nella terza sezione del documento;
a) quanto al Programma di stabilità e agli obiettivi di finanza pubblica:
a portare avanti con determinazione gli obiettivi e le linee di azione indicati nella prima sezione del documento, confermando la linea di stabilità e di rigore finanziario adottata in questa legislatura che ha consentito di contenere l'impatto della crisi economica internazionale, ed in particolare:
a raggiungere entro il 2014 un livello prossimo al pareggio di bilancio, contenendo l'indebitamento netto rispetto al prodotto interno lordo al livello del 3,9 per cento nel 2011, al 2,7 per cento nel 2012, all'1,5 per cento nel 2013 e dello 0,2 per cento nel 2014;
a realizzare una correzione all'indebitamento netto strutturale in misura pari allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo nel 2011 e allo 0,8 per cento del prodotto interno lordo in ciascuno degli anni dal 2012 al 2014, facendo in modo che il rapporto tra indebitamento netto strutturale e prodotto interno lordo decresca al 3 per cento nel 2011, al 2,2 per cento nel 2012, all'1,4 per cento nel 2013 e allo 0,5 per cento nel 2014;
a conseguire livelli crescenti di avanzo primario, raggiungendo un rapporto rispetto al prodotto interno lordo dello 0,9 per cento nel 2011, del 2,4 per cento nel 2012, del 3,9 per cento nel 2013 e del 5,2 per cento nel 2014;
a far sì che il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo sia pari al 120 per cento nel presente anno e diminuisca progressivamente, raggiungendo il 119,4 per cento nel 2012, il 116,9 per cento nel 2013 e il 112,8 per cento nel 2014;
b) quanto al Programma Nazionale di Riforma e alle riforme strutturali:
a intensificare il confronto con le istituzioni, le forze economiche e sociali sul Programma Nazionale di Riforma ed a favorire lo svilupparsi di un'ampia discussione pubblica sulle riforme strutturali necessarie ad incrementare la produttività, la competitività, l'occupazione e la crescita, che ne chiarisca gli effetti positivi per il Paese ed evidenzi, al contempo, i costi sociali ed economici crescenti degli attuali colli di bottiglia dell'economia italiana;
a predisporre gli schemi di atti normativi relativi all'attuazione delle riforme strutturali valutandone compiutamente l'impatto socio-economico attraverso strumenti di analisi adeguati e corrispondenti a quelli in base ai quali deve essere redatto il Programma Nazionale di Riforma secondo il codice di condotta per l'attuazione del Patto di stabilità e crescita;
a valutare compiutamente le modalità del concorso di tutti i livelli di Governo all'attuazione del Programma Nazionale di Riforma, riconoscendo allo Stato i necessari poteri di impulso e di coordinamento, ma promuovendo al contempo la collaborazione degli enti territoriali e valorizzandone l'apporto alla luce delle rispettive competenze istituzionali definite dal Titolo V della Costituzione, anche in attuazione del federalismo fiscale;
ad operare nell'ambito dell'Unione europea affinché venga assunta con coerenza e rigore la logica sottesa al semestre europeo e l'identificazione di comuni obiettivi in termini di crescita e di occupazione si accompagni all'individuazione delle specifiche risorse europee e nazionali da destinare al loro perseguimento, anche mediante un maggiore coordinamento ed una maggiore armonizzazione dei bilanci nazionali e del bilancio dell'Unione europea, nonché attraverso l'emissione, eventualmente da parte della Banca europea per gli investimenti o della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, di titoli europei da destinare al finanziamento di progetti in materia di grandi infrastrutture a rete finalizzate al completamento del mercato interno e di progetti di ricerca di rilievo europeo;
c) quanto al Programma delle infrastrutture strategiche:
a recepire le indicazioni contenute nel parere approvato dalla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici.
(6-00080)
«Cicchitto, Reguzzoni, Sardelli, Bitonci, Gioacchino Alfano, Cesario».

La Camera,
esaminato il Documento di economia e finanza 2011,
premesso che:
la recente introduzione, a livello comunitario, di modelli decisionali e operativi tesi a favorire, nell'ambito del «Semestre europeo», il rafforzamento del coordinamento ex ante delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri e della sorveglianza in campo fiscale e macro-economico, nonché la revisione dei contenuti e dei tempi di presentazione dell'aggiornamento del Programma di stabilità e del Programma Nazionale di Riforma, hanno comportato la necessità di modificare i profili sostanziali e procedurali della normativa contabile nazionale;
con la recente legge 7 aprile 2011, n. 39 sono state pertanto apportate talune modifiche alla legge di contabilità e finanza pubblica, volte ad allineare al nuovo calendario europeo il processo di programmazione nazionale, anticipando ad aprile la data di presentazione alle Camere del Documento di economia e finanza (DEF), il principale strumento di programmazione economica e finanziaria, che ricomprende lo schema del Programma di stabilità e lo schema del Programma Nazionale di Riforma;
nonostante alcune contraddizioni, tra cui spicca la dominanza della dimensione intergovernativa rispetto alla valorizzazione degli organi rappresentativi, i cambiamenti introdotti nella governance comunitaria costituiscono delle innovazioni positive che presentano importanti potenzialità; tuttavia, per rafforzare il processo di unificazione nell'Unione europea, è necessario un riorientamento della sua stessa cultura economica, per costituire saldi legami tra stabilità finanziaria da un lato e sviluppo economico, equità sociale e riequilibrio territoriale dall'altro, creando per questa via adeguate condizioni generali di benessere materiale e di progresso civile;
la linea di indirizzo prevalente, ribadita nel Consiglio europeo del marzo scorso, si concentra quasi esclusivamente sulla disciplina di bilancio, nella convinzione che solo politiche restrittive possano ripristinare la stabilità macroeconomica dell'Unione e ridurre la volatilità dei mercati e che l'abbattimento del debito pubblico, accrescendo il reddito futuro atteso dai consumatori, indurrà le famiglie ad aumentare i consumi;
in questo modo si rischia di produrre effetti esattamente opposti a quelli annunciati, deprimendo le prospettive di crescita e deteriorando ulteriormente le condizioni di solvibilità dei debitori. La sostenibilità del debito pubblico non dipende semplicemente dalla sua dimensione, ma riflette una serie articolata di fattori, tra i quali assume particolare rilievo l'esistenza di un differenziale positivo fra il tasso di crescita e il tasso di interesse sui prestiti: quindi, più lenta è la crescita del PIL, minore sarà la capacità di far fronte alle obbligazioni di pagamento degli interessi sui titoli emessi;
«non sono possibili sviluppo economico ed equilibrio politico democratico senza stabilità e solidità della finanza pubblica», tuttavia, la politica dei due tempi - prima il debito poi, forse, la crescita - trascura la circostanza che senza crescita difficilmente potrà esserci riduzione del debito;
misure di stabilizzazione anche coraggiose non potranno essere risolutive, né gli obiettivi di finanza pubblica potranno essere raggiunti in assenza dell'innalzamento del potenziale della nostra economia nel quadro di una politica economica europea per il sostegno della domanda interna,
considerato che:
il Programma di stabilità illustra uno scenario macroeconomico che rivede decisamente al ribasso le valutazioni contenute nel Documento di finanza pubblica del settembre 2010 per tutto l'arco di previsione: in particolare, per il 2011 il PIL italiano è stimato crescere ad un tasso dell'1,1 per cento (rispetto all'1,3 per cento indicato nel Documento di finanza pubblica) e si mantiene per tutto l'arco previsionale ampiamente al di sotto del 2 per cento previsto dal Documento di finanza pubblica (1,3 per cento nel 2012, 1,5 per cento nel 2013 e 1,6 per cento nel 2014);
si tratta di tassi sensibilmente più bassi della media dei paesi avanzati, per i quali è prevista una crescita del 2,4 per cento nel 2011, la stessa della Germania, mentre la Francia si attesterebbe all'1,6 e il Regno Unito all'1,7 per cento;
nella determinazione di uno scenario di crescita meno favorevole, rileva la crescente penetrazione delle importazioni: nel Programma di stabilità, il rafforzamento della domanda interna è, infatti, assorbito dal venir meno del contributo fornito alla crescita dalle esportazioni nette (il contributo era positivo per un valore medio di 0,2 punti nel Documento di finanza pubblica). In particolare, nel 2011-2013 l'incremento medio annuo delle importazioni è elevato di mezzo punto, quello delle esportazioni è ridotto di 0,2 punti: in assenza di un più robusto traino proveniente dalle componenti estere, l'economia italiana resta priva di un importante fattore d'accelerazione per superare la condizione di bassa crescita relativa in cui versa da ormai quindici anni;
se il Documento di economia e finanza adegua le previsioni di crescita a quelle dei principali istituti internazionali e italiani, conferma, per il biennio 2011-2012, il dato dell'indebitamento del Documento di finanza pubblica (pari al 3,9 per cento del PIL nel 2011 e al 2,7 nel 2012, mentre va segnalato che il Fondo monetario internazionale nel recente World Economic Outlook prevede il 4,3 per cento nel 2011 e 3,5 per cento nel 2012); peggiora, invece, la previsione del debito pubblico, pari al 120 per cento del PIL nel 2011 e al 119,4 per cento nel 2013;
oltre alla differenza riscontrata nelle stime, solleva perplessità la scelta governativa di affidare il biennio 2011-2012 solo all'andamento spontaneo dell'economia e della finanza pubblica, poiché il previsto miglioramento del disavanzo tendenziale presenta componenti non tranquillizzanti, come rilevato dalla Corte dei conti, derivando dal mantenimento della pressione fiscale sul livello elevato del 2010 (42,6 per cento), da una ulteriore forte caduta degli investimenti pubblici rispetto al livello minimo del 2010 e dal blocco temporaneo delle spese di personale delle amministrazioni pubbliche, disposto con il decreto-legge n. 78 del 2010;
si deve, peraltro, osservare che nel quadro di previsione non si fa cenno alla necessità di individuare, come previsto nel decreto-legge n. 78 del 2010 e come riconfermato nel recente decreto sul federalismo regionale, le risorse necessarie a reintegrare, anche parzialmente, i trasferimenti agli enti territoriali soppressi dalla manovra dell'estate scorsa: nel 2014 è previsto un incremento inferiore al miliardo a fronte dei tagli operati che raggiungono nel 2013 gli 8 miliardi di euro;
decisamente peggiore è il nuovo scenario per il 2013: in particolare, l'indebitamento netto si colloca al 2,7 per cento del PIL (mentre era previsto diminuire al 2,2 per cento) e il debito pubblico si attesta al 116,9 per cento del PIL, rispetto al 115,2 per cento del Documento di finanza pubblica;
la decisione del Governo di raggiungere un sostanziale pareggio di bilancio nel 2014 (-0,2 per cento del PIL) prefigura nel Documento di economia e finanza una manovra di correzione dei conti per circa 2,3 punti del PIL nel biennio 2013-2014; si tratterà di reperire risorse per 20,3 miliardi di euro nel 2013 e per 40 miliardi nel 2014. La manovra potrebbe essere persino più ampia, come rilevato dalla Banca d'Italia, considerato che il Documento di economia e finanza riporta anche indicazioni circa gli oneri, stimati in 5,1 miliardi (0,3 punti percentuali del prodotto), nel 2014 derivanti dall'adozione del criterio delle politiche invariate;
in sostanza, si affida il biennio 2011-2012 agli andamenti economici e finanziari spontanei, non essendo previsti effetti di stimolo della crescita da attribuire a nuove misure strutturali di riforma né interventi di contenimento del disavanzo, né azioni di riqualificazione della spesa e si rinvia alla prossima legislatura l'onere di un aggiustamento che si profila di gran lunga superiore a quello compiuto per rispettare i parametri di Maastricht e poter partecipare fin dall'inizio alla moneta unica europea, impegno ancora più gravoso ora, in un contesto di bassa crescita;
il Governo non fornisce indicazioni precise sull'articolazione della manovra, ma afferma che essa agirà prevalentemente attraverso tagli alla spesa: a questo proposito va considerato che nelle stime del documento, già nel biennio 2011-2012, la spesa primaria corrente in termini reali diminuirebbe dell'1 per cento l'anno. Negli anni 2013-2014 il conseguimento dell'obiettivo indicato per l'indebitamento netto richiederebbe una riduzione delle erogazioni primarie correnti in termini reali di oltre il 2 per cento l'anno. Nel complesso, tra il 2010 e il 2014 la spesa primaria corrente si ridurrebbe in termini reali di quasi il 7 per cento e, qualora il tasso di crescita del prodotto fosse inferiore, il raggiungimento degli obiettivi richiederebbe compressioni ancora più rilevanti;
la spesa in conto capitale nel 2014 risulterebbe essere inferiore, al netto della manovra, di 8 miliardi di euro rispetto a quella del 2010 (una riduzione di 0,9 punti percentuali di PIL), e ammonterebbe al 2,6 per cento del PIL, il valore più basso degli ultimi decenni; in particolare gli investimenti scenderanno a 28 miliardi rispetto ai quasi 32 miliardi del 2010, elemento che confligge con le esigenze di rafforzare le prospettive della crescita economica e con le raccomandazioni dell'Unione europea che chiedono di effettuare il risanamento senza penalizzare la spesa in infrastrutture;
si tratta di obiettivi difficili da raggiungere, considerando che nel decennio che ha preceduto la crisi la spesa primaria corrente è cresciuta in termini reali del 2 per cento all'anno e che gli esiti dei tentativi di contenimento sono stati spesso deludenti e si sono risolti prevalentemente in semplici slittamenti nel tempo di pagamenti, così creando inevitabili difficoltà alle aziende fornitrici dell'amministrazione, debito occulto, elementi di distorsione del bilancio;
in questo senso, la rilevante crescita prevista per la spesa per interessi, che dovrebbe aumentare di oltre 22 miliardi di euro in quattro anni, in media ad un tasso dell'8,6 per cento annuo, valori significativamente superiori alle previsioni di consenso (una differenza di 2,8 miliardi di euro nel 2011 che sale fino a 8,4 miliardi nel 2013) può essere anche letta come una «riserva» da utilizzare per compensare eventuali scostamenti delle dinamiche effettive relative ad altre voci di spesa;
va anche segnalato che, a differenza di quanto prescritto dall'articolo 10 della legge n. 196 del 2009 riformata dalla legge n. 39 del 2011, il documento non riporta gli obiettivi programmatici per sottosettore, né tantomeno l'indicazione - sempre per sottosettori - dall'articolazione della manovra necessaria al conseguimento degli obiettivi: è necessario che il documento sia integrato da queste previsioni;
inoltre, vi è anche un rischio legato alla probabilità che la correzione di bilancio non si realizzi: una parte del miglioramento dei saldi dei prossimi anni è legata allo spontaneo miglioramento del ciclo (in termini di saldo primario, dei 5,3 punti di PIL di correzione da realizzare nel quadriennio 2010-2014, 1,6 punti sono determinati dal ciclo), ipotesi corretta se una parte del deficit attuale fosse spiegato da fattori legati al ciclo economico mentre se la caduta del PIL fosse stata di carattere strutturale, allora anche il peggioramento del deficit sarebbe strutturale e pertanto la finanza pubblica non potrebbe fare affidamento sulla ripresa dei prossimi anni;
lo scenario di sviluppo che farà da sfondo all'aggiustamento fiscale dei prossimi anni è quindi un aspetto cruciale per stabilire la probabilità di successo dell'azione di risanamento. In assenza di un recupero della crescita, anche l'aggiustamento delle finanze pubbliche risulterebbe irraggiungibile, il che potrebbe rendere necessario un negoziato con la Commissione per una diversa modulazione degli obiettivi; per altro verso, un tasso di crescita intorno all'1,5 per cento alla fine del periodo della programmazione in presenza di una politica fiscale restrittiva e prociclica sembra sovrastimato;
per esigenze di completezza dell'analisi, sarebbe desiderabile che le stime di impulso determinate dalle misure del PNR sul prodotto fossero accompagnate da valutazioni sugli effetti, di segno opposto, indotti dalla manovra restrittiva di finanza pubblica sulla componente ciclica della crescita: secondo le stime di consenso, l'impulso fiscale alla crescita sarebbe di segno restrittivo per quasi nove decimi all'anno per tutto il quadriennio;
il vero problema irrisolto è dunque quello legato alla perdurante difficoltà dell'economia italiana a recuperare ritmi di sviluppo appena apprezzabili, la condizione essenziale - come è stato autorevolmente rilevato nelle audizioni - per affrontare con successo il percorso di rientro del debito pubblico che l'Europa richiede. Il blocco dell'economia è, peraltro, una condizione che ci differenzia dagli altri principali paesi europei, più speditamente avviati a recuperare tassi di crescita prossimi a quelli sperimentati prima della crisi internazionale,
valutato che:
se la variabile principale ai fini della stabilità finanziaria è la crescita, il Programma Nazionale di Riforma appare uno specchio dei limiti e dell'inefficacia della politica del Governo e, persino, dell'assenza di qualunque politica: il PNR, infatti, ha solo in parte natura programmatica, non viene, quindi, utilizzato per delineare strategie future, ma piuttosto per sistemare ex-post le azioni già intraprese, tanto da limitarsi, almeno nella quantificazione degli effetti sulla crescita, a considerare i provvedimenti già adottati nel corso della legislatura;
il PNR oscilla tra un eccessivo ottimismo circa l'impatto delle misure già assunte, che non sembrano aver prodotto i risultati attesi (l'incremento stimato del PIL ammonta solo allo 0,4 per cento, inadeguato a garantire la ripresa dell'occupazione e il progressivo riassorbimento del debito), e la genericità circa i contenuti delle ulteriori iniziative che paiono ripetere le caratteristiche dei Documenti di programmazione economica e finanziaria del passato, senza i caratteri stringenti e operativi previsti dalle nuove procedure europee: ne sia dimostrazione l'assenza dell'indicazione di eventuali provvedimenti collegati necessari alla sua attuazione, previsti dalla legge n. 196 del 2009 come modificata dalla legge n. 39 del 2011;
quel che è peggio, si tratta di obiettivi modestissimi: se anche essi saranno raggiunti l'Italia sarà l'ultima su 27 in molti ambiti di azione di Europa 2020, decisivi per il rilancio della crescita e per il miglioramento del benessere dei cittadini; addirittura, come ha rilevato l'ISTAT, il divario con la media dell'Unione europea andrebbe aggravandosi in tutti gli ambiti, ad eccezione del tasso di occupazione e dell'istruzione universitaria: se anche gli obiettivi di altri paesi fossero irrealistici e impossibili da raggiungere, certamente essi indicano che - a differenza dell'Italia - gli altri partner europei hanno quantomeno l'ambizione di migliorare fortemente da qui alla fine del decennio;
si deve a questo proposito rilevare la differenza tra i contenuti e le ambizioni presenti nel documento finale sull'analisi annuale della crescita approvato dalla Commissione bilancio il 7 aprile scorso e il PNR presentato dal Governo;
tra le riforme di struttura più attese, il Documento di economia e finanza dedica particolare attenzione alla riforma fiscale, cui non corrispondono, però, indicazioni anche solo di massima delle misure che si intende proporre e delle implicazioni che la riforma è destinata ad avere sulla crescita economica e sulla finanza pubblica (ad esempio, i regimi di favore da ridurre ammontano a 90 miliardi); lo spostamento del prelievo fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette rischia compromettere la progressività del sistema impositivo e innescare effetti inflazionistici; è necessario, invece, dare piena attuazione alla riforma fiscale secondo le linee della mozione del Partito democratico Bersani n. 1-00471 approvata dalla Camera il 22 dicembre 2010, che consentirebbe contemporaneamente di ottenere una maggiore efficienza, coerenza ed equità del sistema e la promozione del lavoro, dell'impresa, dell'investimento produttivo;
il tema della riforma fiscale si lega necessariamente a quello dell'attuazione del federalismo, finora di fatto costruito assumendo la sostanziale invarianza dell'assetto vigente: una lettura trasversale dei decreti già approvati o in via di approvazione fa emergere una serie di incoerenze nel disegno generale, di carenze di coordinamento tra le varie componenti della riforma, contraddizioni che derivano dall'approccio «di breve respiro» seguito dalla riforma;
il PNR dà ampio risalto agli interventi per infrastrutture e trasporti: per il settore trasporti, nel PNR è inserito anche il Piano nazionale della logistica i cui contenuti risultano sinora solo anticipati nelle linee generali, rinviando alla nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza di settembre indicazioni più chiare sui programmi e sulle risorse disponibili, le quali, come ha rilevato Confindustria in audizione, al momento sono esclusivamente quelle per il sostegno agli autotrasportatori;
nella valutazione degli effetti delle riforme sulla crescita del Documento di economia e finanza la tematica degli investimenti pubblici è totalmente ignorata, forse a causa di una azione del Governo fallimentare; è d'altronde lo stesso PNR a ricordare, come sottolineato dalla Corte dei conti, che la dotazione del Piano di infrastrutture strategiche (PIS) è pari a 233 miliardi, di cui 113 per opere di intervento prioritario fino al 2013: di questo ampio ammontare, le risorse assegnate, a partire dal 2008, sui progetti della legge obiettivo sono tuttavia pari ad appena 8,3 miliardi, peraltro non ancora distribuibili sulle singole annualità; neppure per gli oltre 70 miliardi di opere finanziate dal CIPE dal 2001, il Documento si espone a formulare una stima delle realizzazioni attese per l'arco temporale 2008-2014; del resto, il rallentamento degli investimenti in opere pubbliche è, forse, l'indicatore più significativo del divario tra enunciazioni programmatiche e realizzazioni: sono trascorsi dieci anni dal varo della legge obiettivo, una sorta di «Testo unico» delle infrastrutture, che seguita a rappresentare la lista di riferimento delle opere prioritarie, ma l'irrisoria incidenza dei progetti finora completati (3 su 18 opere dichiarate prioritarie nel 2001) si accompagna alla caduta brusca degli ultimi cinque anni;
mentre il Documento di economia e finanza richiama esplicitamente il legame fra infrastrutture e sviluppo, offre quantificazioni finanziarie il cui effetto cumulato al 2014 determinerebbe un risparmio della spesa per infrastrutture per le amministrazioni pubbliche di circa 15 miliardi di euro; è, invece, necessario rilanciare la politica degli investimenti, utilizzando tutte le leve disponibili, dalla spesa diretta all'intervento a livello europeo, perché essa influisce sulla crescita in misura particolarmente significativa: nel breve periodo, la realizzazione di opere pubbliche accresce direttamente l'investimento in costruzioni e quindi il PIL, nel lungo periodo, una maggiore dotazione di infrastrutture aumenta l'efficienza del sistema e innalza per tale via il livello del prodotto potenziale;
l'energia è uno dei settori in cui meglio è rappresentata l'assenza di una strategia compiuta: con la legge n. 99 del 2009 il Governo si era impegnato a redigere un Piano straordinario per l'efficienza energetica entro il 31 dicembre 2009 ma di questo non c'è traccia, anzi sono stati progressivamente indeboliti gli strumenti fiscali in essere: in particolare la detraibilità del 55 per cento per interventi di efficientamento degli edifici, misura cui il PNR dà grande importanza, è stata resa sempre meno incentivante (dai tre anni iniziali la detrazione è ora ripartita su dieci anni), messa in dubbio fino all'ultimo ed è priva di certezza per il futuro (scadrà alla fine del 2011); sulle rinnovabili l'assoluta improvvisazione delle scelte normative ha prodotto l'articolo 45 del decreto-legge n. 78 del 2010 che vanifica i certificati verdi e, più di recente, il decreto legislativo sulle fonti rinnovabili è, di fatto, illegittimamente intervenuto in modo retroattivo con gravi danni per gli investitori e per la credibilità per lo Stato italiano (credibilità su cui influisce anche la vicenda del nucleare); lo schema di decreto legislativo sul «terzo pacchetto energia», cui pure il PNR dà grande rilievo, non recepisce pienamente la direttiva comunitaria optando per il meccanismo di separazione funzionale, più debole, come sottolineato dall'AEEG e dall'Antitrust, in luogo della separazione proprietaria: la mancata piena concorrenzialità del gas assume nel nostro Paese, infatti, particolare importanza perché il 65 per cento dell'energia elettrica è prodotta tramite gas metano e questo ha pesanti ripercussioni sul costo dell'energia, tra le voci che più spiegano le tendenze inflazionistiche attuali;
la competitività dell'industria italiana è da tempo al centro del dibattito e anche lo schema analitico del PNR ne affronta alcune problematicità, circoscrivendo però la portata del fenomeno e non attribuendo ad esso un ruolo centrale rispetto ad altri ambiti di analisi: degli undici punti attraverso i quali l'introduzione al PNR sintetizza gli ambiti di intervento della politica economica italiana, non ve ne è uno specifico per l'industria. Il tema della competitività è affrontato indirettamente solo nella sezione «lavoro» attraverso l'obiettivo di rafforzare il legame fra salari reali e produttività; questione importante ma non esaustiva: innovazione tecnologica ed impiantistica, politiche commerciali sostenute dal Governo, credito propulsivo e politiche territoriali costituiscono altrettanti fattori di sviluppo. È necessario che la politica industriale torni a essere una delle componenti della più generale strategia di politica economica dell'Italia, estendendone l'applicazione dal solo comparto manifatturiero alla generalità dei settori produttivi e rinunciando definitivamente a dare scarsi incentivi a molti settori in favore dell'indirizzo delle scelte imprenditoriali verso nuovi mercati e nuove produzioni;
appare riduttivo che il rilancio dell'industria del turismo sia affidato alla sola istituzione dei «distretti turistico-balneari»: il settore può tornare ad essere uno dei punti di forza dell'economia nazionale solo se si riuscirà ad elaborare un'adeguata politica industriale per il turismo, superando l'impasse determinato dall'assenza di una governance nazionale del settore e valorizzando risorse, eccellenze e vocazioni territoriali;
l'azione di sostegno ai settori produttivi deve essere parte di una più generale strategia di politica per l'innovazione, che punti a superare i tradizionali limiti italiani legati al basso livello degli investimenti in ricerca e sviluppo, alla scarsa capacità di integrare e valorizzare nel sistema produttivo risorse umane fortemente qualificate, alla bassa propensione del nostro sistema finanziario ad investire in progetti fortemente innovativi, all'assenza di un circuito virtuoso tra sistema della ricerca e mondo della produzione. A fronte di queste ambizioni appaiono estremamente deludenti in materia di ricerca e innovazione sia l'obiettivo nazionale fissato dal PNR per il 2020 (la spesa all'1,53 per cento del PIL), molto lontano da quello dei principali paesi europei e dall'obiettivo che l'Europa si è data (il 3 per cento), sia gli strumenti indicati per raggiungerlo: si rileva la mancanza di risorse per la ricerca industriale laddove non è previsto il rifinanziamento del Fondo per l'innovazione scientifica e tecnologica gestito dal Miur lasciando il Centro-Nord, che non beneficia di fondi strutturali, privo di risorse dal 2012; l'intenzione di estendere gli strumenti automatici, anche portando il credito d'imposta al 90 per cento sulle commesse per ricerca di imprese a università e centri di ricerca pubblici, è sostenuta, solo per il 2011, dai 100 milioni previsti dalla legge di stabilità; il Programma Nazionale di Riforma non prevede nuovi stanziamenti ma solo la redistribuzione di quelle già stanziate secondo criteri non pienamente condivisibili; anche la volontà di proseguire con Progetti di innovazione industriale (Industria 2015) non chiarisce quali siano le risorse disponibili;
il Programma Nazionale di Riforma afferma la volontà di modernizzare la scuola e l'università, volontà che contrasta nettamente con le riduzioni di risorse effettuate (-20,5 miliardi dal 2009 al 2013) e un'insufficiente definizione dei percorsi attuativi: mancano progetti chiari e misure definite per raggiungere gli obiettivi: non viene individuata un'azione specifica per l'accrescimento del numero dei laureati tecnico-scientifici che negli ultimi anni si è significativamente ridotto, non ci sono misure per accompagnare la costituzione del Fondo per il merito, non si fa riferimento al progressivo allineamento dell'investimento italiano nel diritto allo studio alla media OCSE, che lo dovrebbe portare dall'attuale 0,14 per cento del PIL allo 0,25 per cento;
il Governo sembra considerare la solidarietà famigliare la principale risorsa per far fronte a tutti i problemi di cui, nella maggior parte dei paesi, si fa carico in larga misura lo stato sociale: dalla povertà alla dipendenza in età anziana, dalla cura dei bambini al mancato adeguamento del sistema di protezione sociale a un mercato del lavoro flessibile, dove la precarietà e la disoccupazione colpiscono soprattutto i giovani: servirebbe, invece, un moderno sistema di ammortizzatori sociali indipendente dal settore, dalla dimensione di impresa e dalla tipologia contrattuale, così come ancora assente, nonostante l'impegno di ridurre il numero dei poveri di due milioni, è una misura di contrasto alla povertà, rispetto alla quale del tutto insufficiente si rivelano essere i 50 milioni previsti dal Programma Nazionale di Riforma per la «carta acquisti»; a proposito di politiche sociali va anche rilevata la contraddizione del Governo relativamente alla questione dell'immigrazione: nel Documento di economia e finanza, infatti, essa compare quando garantisce un quadro di sostenibilità del debito pubblico, i cui scenari evolutivi di lungo periodo (fino al 2060) implicano un flusso netto medio annuo di 221 mila unità, per poi scomparire quando si tratta di potenziare le politiche di integrazione;
il Programma Nazionale di Riforma ribadisce la centralità delle riforme nel mercato dei servizi per superare le attuali rigidità e rafforzare la concorrenza e particolare enfasi viene dedicata alle misure già adottate: tuttavia, questo è uno dei settori in cui la politica del Governo si è rivelata più fallimentare, perché permangono significative carenze, nel settore dei servizi professionali e nelle industrie a rete, su cui il Programma Nazionale di Riforma non prevede impegni concreti e, anzi, esalta le potenzialità della legge annuale per il mercato e la concorrenza, omettendo che il termine del 31 maggio 2010, entro cui il disegno di legge annuale doveva essere presentato al Parlamento, non è stato rispettato e la discussione sui contenuti concreti è tuttora caratterizzata da ritardi e incertezze;
nessuno specifico progetto per il settore primario è presente nel Piano Nazionale di Riforma, mentre non è più rinviabile l'individuazione di misure strategiche per l'agroalimentare che ha, invece, una grande valenza competitiva, ambientale, sociale e culturale. Punto sono le filiere agroalimentari che vanno riorganizzate superando l'estrema polverizzazione della fase produttiva, lo scarso grado di concentrazione nella fase distributiva e commerciale e rimuovendo i passaggi eccessivi che le rendono troppo «lunghe». La riorganizzazione delle filiere passa necessariamente attraverso nuove relazioni contrattuali con la grande distribuzione organizzata: bisogna definire un patto interprofessionale che coinvolga per intero le filiere, al fine di stabilizzare i rapporti dal produttore alla Grande distribuzione organizzata con l'obiettivo concreto di aumentare i redditi e ridurre i costi sul fattore produzione;
l'obiettivo della riduzione dei divari regionali è condivisibile: tuttavia, l'analisi non è convincente, perché la retorica delle due economie con andamenti differenti non considera che il declino della crescita italiana è una tendenza delle regioni settentrionali al pari di quelle del Sud; pertanto le politiche di crescita - l'occupazione, specie femminile, le politiche industriali, l'investimento in formazione e sapere - sono politiche per il Mezzogiorno; esistono, tuttavia, ampie risorse sottoutilizzate, poiché negli ultimi 15 anni i divari di reddito si sono ridotti ma permangono assai ampi, mentre i divari nelle dotazioni non si sono neanche ridotti: è quindi urgente che il Governo accerti con la Commissione europea la possibilità di rifinanziare con risorse comunitarie uno strumento di tipo automatico (credito d'imposta) volto all'acquisto di beni strumentali e all'incremento dell'occupazione e chiarisca come si concretizzerebbe l'annunciata misura di fiscalità differenziata, per la cui adozione è opportuno acquisire in tempi brevi le autorizzazioni comunitarie;
per quanto riguarda le politiche di sviluppo e coesione, le percentuali di impegno e di spesa sul primo triennio dei piani relativi alla programmazione 2007-2013 sono molto più basse di quanto avvenuto nel ciclo precedente 2000-2006: segno che la capacità realizzativa sta peggiorando a causa di elementi (regole inefficienti, normative farraginose, programmazioni deboli, difficoltà di progettazione, procedimenti di selezione dei progetti poco efficaci, ecc.) che andrebbero velocemente rimossi ma dei quali il Programma Nazionale di Riforma non fa menzione;
il Documento di economia e finanza profila l'ennesima riforma della pubblica amministrazione, certamente strategica soprattutto se il Governo non si limitasse ad annunciarla ma la realizzasse davvero. La Corte dei conti ha di recente reso pubblico un documento che evidenzia come la manovra di finanza pubblica della scorsa estate abbia di fatto cancellato la riforma voluta dal ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione per accrescere la produttività del lavoro pubblico, valorizzare il merito dei dipendenti e responsabilizzare la dirigenza e come ad oggi non risulti alcun incremento della produttività; ad ormai tre anni dall'inizio della legislatura è tempo di trarre bilanci anziché annunciare nuovi interventi: le misure per la semplificazione degli adempimenti amministrativi non sono state realizzate, si pensi al trasferimento sulla rete internet dello sportello unico delle imprese o alle «zone a burocrazia zero»; mentre per le imprese, come ha ricordato la stessa Confindustria, la semplificazione degli adempimenti amministrativi previsti dalle leggi è essenziale; sarebbe invece necessario intervenire concretamente sulla lotta alla corruzione, sulla razionalizzazione della struttura amministrativa centrale e periferica dello Stato, sulla riforma della dirigenza, con l'introduzione di una maggiore trasparenza nelle nomine e di nuove regole nei concorsi, per evitare la dipendenza dei dirigenti dalla politica;
fondamentale per la competitività è anche la riforma del processo civile, per la quale bisogna portare avanti un effettivo percorso di razionalizzazione e semplificazione, per far fronte tanto allo smaltimento dell'arretrato quanto ai nuovi flussi di contenzioso, rifuggendo però da logiche emergenziali e affrontando una riforma di sistema capace di assicurare la migliore utilizzazione delle risorse disponibili, la ragionevole durata dei processi, la garanzia della speditezza, concentrazione e accuratezza nella trattazione di tutte le cause;
l'impulso espansivo del programma di riforme fin qui attuato è, per stessa ammissione del Documento di economia e finanza, molto modesto, non sufficiente a condurre la crescita in prossimità di quel 2 per cento necessario a conciliare l'obiettivo di ridurre l'indebitamento e il debito pubblico,
ritenuto che:
è necessario un cambio di strategia: il Partito Democratico ha elaborato un Programma Nazionale di Riforma alternativo che, nel pieno rispetto della stabilità finanziaria e delle regole europee, rimette al centro dell'attenzione la crescita e l'occupazione, in particolare femminile e giovanile, l'efficienza e l'equità fiscale. Nel quadro di una politica economica europea per il sostegno della domanda interna, riforme per l'incremento del potenziale della nostra economia, l'aumento del tasso di occupazione femminile al 60 per cento in un decennio, l'innalzamento della specializzazione produttiva, politiche per il capitale umano, la ricerca, l'innovazione possono generare, rispetto allo scenario tendenziale e senza misure di finanza straordinaria (patrimoniali o interventi simili sulle imposte), un incremento medio annuo del PIL pari allo 0,5-0,6 per cento con effetti positivi sia sulla velocità di convergenza che sugli sforzi necessari alla riduzione del debito,

impegna il Governo

per quanto riguarda il Programma di stabilità:
a dare priorità alle politiche per la crescita e a definire un percorso realistico e sostenibile di riduzione del debito, coerente con gli obiettivi di medio periodo del Patto di stabilita rafforzato, derivante dall'innalzamento del PIL potenziale;
a integrare il Documento, in conformità alle disposizioni della legge n. 196 del 2010, con le informazioni riguardanti la ripartizione del debito per sottosettori, gli obiettivi programmatici per sottosettore e l'indicazione dell'articolazione della manovra necessaria al conseguimento degli obiettivi;
per quanto concerne il Piano Nazionale delle Riforme:
a riqualificare e ridurre la spesa pubblica senza compromettere il livello di quella in conto capitale, abbandonando la strada iniqua ed inefficiente dei tagli ciechi, riavviando e potenziando un'analisi approfondita di tutte le poste del bilancio pubblico attraverso processi di spending review, attuando un approccio top-down che consenta di individuare le priorità nell'allocazione delle risorse con il coinvolgimento degli enti territoriali, fornendo analisi, valutazioni e previsioni indipendenti su tematiche inerenti alla valutazione e al monitoraggio della spesa, passando in tutti i settori dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard, a tal fine presentando al più presto un disegno di legge di individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni nei settori che ne sono sprovvisti;
a farsi promotore in sede europea della realizzazione di un piano europeo di investimenti per infrastrutture, formazione del capitale umano, consumi collettivi, occupazione, ambiente e innovazione, alimentato dalle risorse raccolte attraverso l'emissione di eurobond e l'introduzione di specifici strumenti fiscali a livello europeo, tra i quali la Financial Transaction Tax e il rafforzamento della tassazione ambientale;
ad avviare immediatamente la riforma fiscale, da realizzare in forma progressiva ed entro un vincolo di invarianza di gettito, dando attuazione agli impegni assunti con l'approvazione della mozione Bersani n. 1-00471 approvata dalla Camera il 22 dicembre 2010, per redistribuire il carico fiscale da chi paga a chi evade, dal lavoro e dall'impresa alla rendita, secondo obiettivi di omogeneità di trattamento fra diverse tipologie di reddito; di redistribuzione del carico fiscale fra contribuenti e tipologie di redditi in direzione di una maggiore equità; di incentivo all'occupazione, di sostegno all'investimento, all'innovazione, all'adozione di tecnologie e consumi sostenibili dal punto di vista ambientale, di correzione di alcuni squilibri tipici del settore finanziario;
al fine di incrementare la competitività, a rendere stabili e non dirottabili su altri campi di intervento le risorse disponibili, ad assicurare la certezza nei tempi e la riduzione negli oneri burocratici, a riavviare i processi di liberalizzazione dei mercati, in particolare nei settori esclusi dal confronto concorrenziale, accentuando il ruolo del controllo pubblico, ad uscire dalla logica di accessibilità a risorse scarse attraverso meccanismi di selezione del tutto casuali, come ad esempio il meccanismo delle prenotazioni (click day), ad affrontare quella vera e propria ipoteca sulla competitività rappresentata dal cattivo funzionamento della giustizia civile, causa dell'inadeguata tutela del credito, della difficoltà ad investire nel nostro Paese, dell'incertezza dei rapporti tra privati, attraverso un adeguato investimento nell'informatizzazione su tutto il territorio nazionale e una razionalizzazione della distribuzione territoriale delle risorse e degli uffici giudiziari;
a recuperare l'impostazione del progetto Industria 2015, nelle sue caratteristiche più qualificanti, ossia la scelta di politiche stabili e di lungo periodo, lo sviluppo di politiche di integrazione tra filiere manifatturiere e settori dei servizi per l'industria (per l'organizzazione della produzione, per il supporto finanziario, per l'organizzazione della presenza sui mercati, etc.), l'identificazione di alcune priorità su cui indirizzare investimenti e risorse imprenditoriali, che per i prossimi anni dovranno essere le filiere della green economy (chimica verde, efficienza energetica, rinnovabili, edilizia e mobilità); nuove filiere del made in Italy (con particolare enfasi sulla meccanica dei beni di investimento, servizi inclusi); tecnologie della salute; tecnologie per i beni culturali;
a predisporre interventi che rafforzino l'integrazione dell'impresa manifatturiera con la ricerca scientifica e, più in generale, con i servizi evoluti alla produzione, a favorire l'innovazione attraverso lo strumento fiscale, ad indirizzare la domanda pubblica verso le produzioni innovative nazionali, utilizzando la politica industriale come ponte fra i grandi programmi di ricerca pubblica e l'avvio di nuove attività di produzione;
a promuovere la riorganizzazione delle filiere agroalimentari, puntando all'aggregazione dell'offerta anche mediante la creazione di piattaforme per le forniture, per la trasformazione, per la promozione del made in Italy agroalimentare nelle attività di ristorazione, di turismo e di ricettività in Italia e nel mondo;

a perseguire con decisione una politica di incentivazione dell'efficienza energetica, che associa investimenti di entità ridotta con periodi di ritorno brevi a significativi effetti sull'economia e sui settori produttivi, a promuovere iniziative rivolte all'educazione al risparmio energetico e all'affermazione della mobilità elettrica, soprattutto nei centri urbani, a procedere sulla linea di sviluppo delle fonti rinnovabili, termiche ed elettriche, valorizzando le tecnologie che consentono maggiori ricadute sul tessuto produttivo e industriale italiano;
a farsi promotore di una politica energetica che superi il livello nazionale, per integrare i sistemi energetici continentali e per realizzare l'interconnessione dell'intero spazio mediterraneo, a rilanciare le politiche di liberalizzazione, che possono offrire più di una leva per ridurre gli oneri sui prezzi dell'energia, direttamente riconducibili alla bassa concorrenzialità del mercato, a tal fine scegliendo il modello della separazione proprietaria in luogo della separazione funzionale per il settore del gas;
in materia di sistema dell'università e della ricerca, a riconsiderare gli investimenti in istruzione, dato che il recente rapporto OCSE 2010, a fronte di una media di investimenti dei paesi membri pari al 5,7 per cento del PIL, attribuisce all'Italia una percentuale pari solo al 4,5 per cento e a potenziare orientamento, diritto allo studio, welfare, riconoscimento dello sforzo e del talento, un efficace sistema di valutazione e un sistema premiale basato su criteri condivisi e noti in anticipo che eroghi finanziamenti sulla base dei risultati conseguiti;
ad avviare la riforma organica degli ammortizzatori sociali prevedendo un trattamento di durata e importo omogenea indipendentemente dal settore e dalla dimensione di impresa e che copra anche i collaboratori parasubordinati, collegato alla disponibilità del lavoratore ad «attivarsi», anche con corsi di formazione e introdurre un reddito di ultima istanza per tutti i nuclei più bisognosi, che agirebbe come strumento di sostegno contro la povertà e avvantaggerebbe in particolare i più giovani e i disoccupati di lunga durata;
a garantire trasparenza degli atti e dei comportamenti, anche in materia di appalti, della pubblica amministrazione e nuove regole per le nomine e a sviluppare piani industriali nei Ministeri affidati ad una dirigenza qualificata e autonoma;
alla luce del nuovo assetto federale, a favorire, per quanto di propria competenza, le iniziative legislative parlamentari concernenti l'introduzione di una Camera rappresentativa delle regioni e degli enti locali con funzioni di governo del rapporto tra Stato ed enti territoriali, la riduzione dei ministeri e dei loro uffici decentrati, l'esercizio in forma associata delle funzioni dei comuni più piccoli, la soppressione delle province dove ci sono le città metropolitane e comunque la loro riduzione;
a vincolare la nuova programmazione 2014-2020 a parametri quantitativi per il Mezzogiorno (percentuale sul PIL o sulla spesa pubblica complessiva), mantenendo per il futuro Fondo per le politiche di sviluppo e di coesione il principio della programmazione pluriennale per cicli temporali medio-lunghi, in armonia con quanto previsto per la programmazione europea, ma destinando il 30 per cento delle risorse del Fondo a una riserva da programmare lungo il ciclo in relazione agli obiettivi di convergenza dei fabbisogni standard e della perequazione infrastrutturale, lasciando il restante 70 per cento nel quadro di una programmazione pluriennale più generale, da impostare e perfezionare fin dall'inizio del ciclo;
a definire appositi piani pluriennali di investimento con precisi obiettivi da raggiungere nelle diverse aree territoriali nei settori di cui alle lettere m) e p) dell'articolo 117 della Costituzione (come ad esempio sanità, istruzione, asili nido, assistenza, acqua, rifiuti, viabilità, trasporto su ferro, ecc), piani contenenti obiettivi di investimento propedeutici al raggiungimento di obiettivi di efficienza (costi standard) e/o di obiettivi di miglioramento del livello e della qualità dei servizi, al finanziamento dei quali dovranno concorrere, accanto ai fondi riconducibili agli interventi speciali di cui al quinto comma dell'articolo 119, anche adeguati flussi di risorse ordinarie.
(6-00081)
«Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Baretta, Calvisi, Capodicasa, De Micheli, Duilio, Genovese, Marchi, Cesare Marini, Misiani, Nannicini, Rubinato, Sereni, Vannucci».

INTERPELLANZE URGENTI

Iniziative di competenza in relazione all'aumento dei prezzi praticati dalle compagnie di navigazione per la Sardegna - 2-01059

A)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
da notizie di stampa si evince che i prezzi praticati dalle compagnie per i trasporti per la Sardegna hanno subito un aumento medio delle tariffe di oltre il 60 per cento, con punte in alcuni casi del 100 per cento; inoltre, a quanto si apprende il 2011 si caratterizza per l'assenza di promozioni stagionali rispetto al 2010. Viaggiare da e per la Sardegna in traghetto nel 2011 costerà, quindi, di più per tutti i viaggiatori;
l'amministratore delegato per l'Italia di Corsica Sardinia ferries ha dichiarato che i prezzi così lievitati sono in linea con quelli delle principali tratte europee e sono tali per garantire il servizio in sicurezza;
risulta agli interpellanti che la questione è stata sollevata all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, chiedendo che si faccia luce sull'andamento dei prezzi, su eventuali accordi anticoncorrenziali e sulle mancate possibilità di risparmio per i consumatori, con l'ipotesi che sia stato ignorato l'articolo 2 della legge n. 287 del 1990;
secondo una specifica ricerca, rispetto alle tariffe del 2010 sarebbe stato evidenziato che nelle tratte interessate Livorno-Olbia, Genova-Olbia e Civitavecchia-Olbia gli aumenti dei prezzi non hanno risparmiato alcun settore: dalle poltrone al posto auto, dalle cabine al semplice passaggio ponte per la sola traversata;
se i risultati di tali indagini e quanto riportato dalla stampa risultasse vero, una famiglia di quattro persone con auto al seguito per il viaggio Genova-Porto Torres potrebbe arrivare a spendere ad agosto oltre 1000 euro, 400 in più del 2010;
tali aumenti hanno fatto registrare una percentuale abbastanza rilevante di rinunce alle tratte in attesa di offerte last minute;
da questa situazione potrebbe derivare una forte contrazione delle prenotazioni per l'isola, con forti ripercussioni sul turismo, considerato un settore strategico per l'economia e per l'occupazione della Sardegna;
il presidente regionale di Assohotel ha confermato che si stima una perdita per 15 milioni di euro per albergatori e ristoratori;
il comparto turistico dell'isola soffre già da tempo le difficoltà dovute alla crisi economica, congiunturale e strutturale ed in ragione di ciò, pur di mantenere alta la capacità attrattiva, alcuni operatori del settore hanno deciso di confermare nel 2011 le stesse tariffe applicate da qualche anno alla loro clientela;
l'aumento delle tariffe avrà forti ripercussioni anche sul trasporto delle merci. Si stima, infatti, che l'aumento delle tariffe abbia prodotto una riduzione della mobilità del 30 per cento;
la regione Sardegna, di fronte a tale scenario di aumenti incontrollati, si è subito mobilitata, aprendo un tavolo tecnico con le compagnie;
appare opportuno, quindi, che il Governo, nell'ambito delle sue competenze, intervenga per scongiurare questo aumento delle tariffe che danneggia fortemente l'economia della regione -:
se sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
se il Governo non ritenga necessario, nell'ambito delle sue competenze, intervenire per evitare l'aumento delle tariffe, che, come sopra descritto, comporterebbe un aggravio dei costi per gli utenti e una forte penalizzazione del turismo dell'isola, considerato il settore economico più importante per lo sviluppo della stessa.
(2-01059)
«Cicu, Baldelli, Testoni, Nizzi, Porcu, Murgia, Vella».

Tempi per la formalizzazione della concessione ventennale alla società di gestione dell'aeroporto di Levaldigi di Cuneo - 2-01055

B)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
nel mese di febbraio 2011, il Sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti, in risposta ad un'interrogazione sull'aeroporto di Levaldigi di Cuneo, ha confermato che sia l'Enac che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno da tempo concluso gli adempimenti di competenza per quanto concerne la formalizzazione della concessione ventennale;
in quella stessa occasione il Sottosegretario ha affermato di aver sollecitato personalmente il Ministero dell'economia e delle finanze affinché potesse essere formalizzata tale concessione;
ad oggi, però secondo quanto confermato dall'Enac, la concessione ventennale risulta ancora bloccata presso tale Ministero, così come quelle di altri aeroporti;
è indubbio che il ritardo dovuto al blocco della concessione ventennale non fa altro che alimentare l'attuale elemento di precarietà e non favorisce il pieno sviluppo dello scalo, condizionato negativamente dalla procedura di rinnovo annuale;
più volte, in questi anni, l'aeroporto di Levaldigi ha dimostrato di essere in continua crescita, anche grazie agli innumerevoli sacrifici sostenuti dagli enti locali coinvolti;
tali sforzi, che ne hanno decretato uno sviluppo costante nel tempo e, ad avviso degli interpellanti, scongiurato il fallimento, non possono e non devono essere vanificati per le lungaggini immotivate, del suddetto Ministero -:
quale sia il motivo per cui non sono stati ancora espletati da parte del Ministero dell'economia e delle finanze gli adempimenti volti a formalizzare la concessione ventennale alla società di gestione dell'aeroporto di Levaldigi e quali iniziative intenda assumere per pervenire alla concreta operatività della concessione medesima.
(2-01055)
«Delfino, Adornato, Binetti, Bosi, Buttiglione, Capitanio Santolini, Enzo Carra, Cera, Ciccanti, Compagnon, De Poli, Dionisi, Anna Teresa Formisano, Galletti, Libè, Lusetti, Mantini, Marcazzan, Mereu, Ricardo Antonio Merlo, Mondello, Naro, Occhiuto, Pezzotta, Poli, Rao, Ria, Ruggeri, Scanderebech, Tassone, Nunzio Francesco Testa, Volontè, Zinzi».

Problematiche relative all'acquisizione delle aree dove si svolgerà l'Expo 2015 ed elementi in merito allo stato di avanzamento delle opere connesse con l'evento - 2-01060

C)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
il 31 marzo 2008 il Bureau international des expositions ha designato Milano quale sede per l'Esposizione universale del 2015;
l'Expo 2015 sarà uno straordinario evento universale che ha come tema feeding the planet, energy for life, con l'obbiettivo di predisporre un piano nel quali si rappresenti la visibilità della tradizione, della creatività e dell'innovazione nel settore dell'alimentazione, raccogliendo tematiche già sviluppate dalle precedenti edizioni di questa manifestazione e riproponendole alla luce dei nuovi scenari globali, al centro dei quali c'è il tema del diritto ad un'alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutto il pianeta;
nella seduta n. 114 di mercoledì 14 gennaio 2009, la Camera dei deputati ha approvato parzialmente l'ordine del giorno n. 9/1972/86 nelle parti che riguardano l'impegno «a reperire la totalità dei fondi necessari per il completamento di tutte le opere previste dal dossier di candidatura di Expo 2015» e «a relazionare annualmente sulle attività e sullo stato patrimoniale della società di gestione e sullo stato di avanzamento delle opere e delle iniziative collegate per il raggiungimento di Expo 2015»;
il 21 aprile 2009 anche in una mozione approvata dalla Camera dei deputati viene chiesto l'impegno al Governo di relazionare sullo stato dell'Expo 2015;
il 19 aprile 2011 al Bureau international des expositions è stata presentata la newco che avrà il compito di acquisire le aree dove si svolgerà l'Expo 2015; da quanto si apprende il comune di Milano avrebbe il 51 per cento, la Fondazione Fiera Milano avrebbe il 35 per cento attraverso il conferimento delle aree, la regione Lombardia il 13 per cento e il comune di Rho l'1 per cento con il conferimento delle aree; la provincia di Milano avrebbe dichiarato di non partecipare all'operazione, ma occorrerà vedere se tale intento sarà confermato dai fatti;
la nuova società avrà il compito di acquisire le aree che metterà a disposizione di Expo; entro fine aprile 2011 saranno definiti e condivisi business plan, statuto e patti parasociali, entro maggio 2011 la regione dovrà costituire la nuova società e entro luglio 2011 vi dovrebbe essere l'adesione degli altri soci;
la famiglia Cabassi, oltre ad essere la proprietaria dei terreni che verranno acquisiti dalla nuova società per Expo 2015, è socio del presidente della provincia di Milano Podestà, attraverso la società Generale di Costruzioni, partecipata dalla famiglia Cabassi per il 40 per cento, conseguentemente è in affari nella Residenze Heliopolis -:
quali siano dopo tre anni le motivazioni per cui si è cambiata la rotta e si è scelta la via di una nuova società che acquisti i terreni, quali siano le modalità di acquisto e quale sarà il cronoprogramma per la nascita e il funzionamento della nuova società;
quali siano gli apporti finanziari nella nuova società, quanto sarà il costo complessivo di funzionamento e di gestione e quanto costeranno i terreni e con quali fondi si intenda acquisirli;
quale sarà la finalizzazione delle aree dopo l'evento Expo 2015, se considerino opportuno darne una finalità sociale e se verrà costruito il nuovo polo Rai su quei terreni;
quali siano le risorse statali, degli enti locali e dei privati disponibili per le opere essenziali, necessarie e connesse al raggiungimento di Expo 2015, quali risorse risultino ancora da reperire e quali ne siano le motivazioni; se il Governo abbia predisposto, insieme agli enti locali e alla società di gestione, un piano di avvio e chiusura dei cantieri e se questi siano e saranno rispettati e comunque conclusi per l'inaugurazione dell'Expo nel 2015 e se, dopo anni di rinvii rispetto al primo crono programma, si registri un ritardo;
se il Governo sia intenzionato a dar corso agli ordini del giorno approvati e a relazionare ogni sei mesi sullo stato operativo di Expo 2015;
se la sezione specializzata del comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere e il gruppo interforze centrale per l'Expo 2015 siano già operativi e se i materiali e i mezzi a disposizione siano sufficienti per il contrasto all'infiltrazione mafiosa o se sia urgente rinforzare la struttura e se sia già stata avviata la procedura per la costruzione di una white list delle imprese che opereranno in Expo;
se sia intenzione del Governo assumere iniziative volte a derogare al «codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE» (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) per accelerare le procedure attivando l'iter conseguente alla dichiarazione di «grande evento»;
quali iniziative siano state predisposte per un piano strategico di sviluppo turistico e come intendano intervenire per le infrastrutture turistico-ricettive;
quali iniziative il Governo abbia intrapreso affinché venga realizzato l'obiettivo dell'Expo 2015 «Nutrire il pianeta, energia per la vita» e se non ritenga opportuno programmare un piano comunicativo nazionale sul tema dell'Expo e attuare un tavolo permanente tra Governo, Expo, organizzazioni non governative, privati ed enti locali per lo sviluppo di progetti di cooperazione internazionale;
di quali elementi disponga in merito alle notizie apparse sulla stampa che riportano intrecci finanziari tra il presidente della provincia di Milano e la famiglia Cabassi e quali iniziative intendano intraprendere affinché si faccia luce sui rapporti finanziari tra le società e nella compravendita dei terreni per Expo 2015.
(2-01060)
«Peluffo, Letta, Quartiani, Braga, Marco Carra, Codurelli, Colaninno, Colombo, Corsini, De Biasi, Duilio, Farinone, Ferrari, Fiano, Marantelli, Misiani, Mosca, Pizzetti, Pollastrini, Sanga, Soro, Zaccaria, Zucchi».

Iniziative di competenza con riferimento alla procedura concorsuale bandita per il reclutamento di 175 dirigenti di seconda fascia dell'Agenzia delle entrate - 2-01041

D)

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri dell'economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per sapere - premesso che:
nell'ambito del nuovo sistema amministrativo delineatosi con il decreto legislativo n. 300 del 30 luglio 1999 finalizzato al riordino della organizzazione delle amministrazioni centrali dello Stato, attuativo della delega di cui all'articolo 11 della legge 15 marzo 1997 n. 59, il legislatore ha operato un intervento di rilevante impatto sulla gestione delle funzioni amministrative, mediante l'istituzione di nuovi organismi denominati agenzie;
il capo II del titolo V del citato decreto legislativo, riferito specificamente alla riforma dell'amministrazione finanziaria, ha previsto l'istituzione di quattro agenzie fiscali (entrate, territorio, dogane e demanio) disciplinandone i relativi sistemi di gestione;
l'articolo 66, comma 3, del decreto legislativo n. 300 del 1999, ha fissato i criteri basilari cui deve uniformarsi l'articolazione degli uffici, quali l'organizzazione ed il funzionamento delle agenzie fiscali mediante regole certe, chiare ed inequivocabili;
i regolamenti di amministrazione hanno definito criteri e modalità di accesso alla dirigenza prevedendo, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 29 del 1993, per i posti vacanti e disponibili, procedure selettive pubbliche per le assunzioni sia dall'esterno che dall'interno;
in virtù di tali norme, per particolari esigenze di servizio l'agenzia può stipulare, previa specifica valutazione comparativa dell'idoneità a ricoprire provvisoriamente l'incarico, contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari con l'obbligo di avviare rapidamente le procedure selettive;
l'opportunità di procedere alla stipula di contratti per il conferimento di incarichi che comportino avanzamenti di carriera, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, deve rispondere a principi e regole certe onde evitare qualsivoglia disparità di trattamento;
la Corte costituzionale con le sentenze n. 103 e n. 104 del 2007, n. 161 del 2008 e n. 69 del 2011, ha negato la costituzionalità di una dirigenza di fiducia e ribadito la necessità di selezionare i dirigenti sulla base di criteri selettivi imparziali e trasparenti;
in particolare, per quanto riguarda l'Agenzia delle entrate, a quanto consta agli interpellanti, si registrano oltre a gravi anomalie per carenze dei richiesti requisiti (a volte anche del titolo di studio e, nello specifico, privi della prescritto diploma di laurea) anche un numero molto elevato di incarichi dirigenziali (circa 750) senza aver posto mai in essere le regolari procedure concorsuali previste da leggi e regolamenti e con l'autorizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze come si evince dalla delibera n. 55 del 2009;
non si è attinto alle graduatorie di precedenti concorsi per dirigenti, attraverso lo scorrimento delle graduatorie, nonostante la legislazione vigente ne avesse prorogata la validità (cosiddetto decreto «milleproroghe» 2010) e la recente sentenza del Tar del Lazio (sentenza registro generale n. 1686 del 15 settembre 2009) avesse dichiarato l'obbligatorietà per le amministrazioni pubbliche di far ricorso ad esse, ribadendo ulteriormente la consolidata giurisprudenza (Tar Lazio sentenza n. 536 del 30 gennaio 2003), che recita espressamente: «lo scorrimento di una graduatoria di concorso ancora valida, costituisce atto d'obbligo e non meramente discrezionale, della pubblica amministrazione» e poi ancora della sentenza n. 3055 del 9 febbraio 2009 - Sezioni unite della Corte di cassazione, che in modo inequivocabile riafferma, quale atto dovuto, lo scorrimento delle graduatorie ancora valide con atti normativi;
si è invece ritenuto, da parte del direttore dell'Agenzia delle entrate, di bandire, in data 29 ottobre 2010, un concorso per 175 posti di dirigente, con criteri, ad avviso degli interpellanti, poco chiari, in modo particolare per quanto attiene alla valutazione dei titoli di servizio per quanti abbiano beneficiato di funzioni dirigenziali conferire con criteri di dubbia legittimità;
in data 26 novembre 2010, è stato trasmesso da parte del sindacato Dirstat atto di significazione e diffida nei confronti dei Ministero dell'economia e delle finanze, nonché dell'Agenzia delle entrate-direzione centrale del personale, con invito e diffida a non dare corso alla procedura concorsuale bandita per il reclutamento di n. 175 dirigenti di seconda fascia, bandito con delibera del 29 ottobre 2010 del direttore dell'Agenzia delle entrate a mezzo del quale sono state evidenziate le gravi situazioni di contrasto con la normativa vigente -:
come intendano procedere i Ministri interpellati, per le parti di propria competenza, nei confronti dell'Agenzia delle entrate che ha ritenuto di non procedere allo scorrimento della graduatoria ancora valida e di bandire un nuovo concorso per dirigenti, ad avviso degli interpellanti in palese contrasto con la legislazione vigente e con la consolidata giurisprudenza.
(2-01041)
«Gnecchi, Giovanelli, Melis, Ciriello, Mazzarella, Mario Pepe (PD),La Forgia, Corsini, Fedi, Cavallaro, Laganà Fortugno, Farinone, Bucchino, Codurelli, Miglioli, Giorgio Merlo, Cuperlo, Cuomo, Graziano, Garavini, Porta, Grassi, Bocci, Boffa, Iannuzzi, Marchignoli, D'Incecco, Ghizzoni, Picierno, Losacco, Benamati, Bellanova, Piccolo, Vaccaro, Pes, Gianni Farina, Vassallo, La Malfa, D'Antoni, Ginoble, Giulietti, Cesare Marini, Miotto, Rampi, Rubinato, Antonino Russo, Servodio, Viola».

Iniziative di competenza in merito a presunte irregolarità da parte di esponenti del comando provinciale della Guardia di finanza di Bologna in relazione ad un intervento edilizio nel comune di San Lazzaro di Savena (Bologna) - 2-01058

E)

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia, per sapere - premesso che:
nel dicembre 2009, come emerso dagli organi di stampa locali, pervenne al comando provinciale della Guardia di finanza di Bologna una denuncia a firma di un cittadino di San Lazzaro di Savena acquirente di un immobile in edilizia convenzionata ubicato in via Galletta;
secondo quanto appreso dagli organi di stampa, quell'intervento edilizio sarebbe stato realizzato dall'azienda Idroter per conto del consorzio Cipea di Bologna;
secondo la ricostruzione della stampa, il soggetto attuatore avrebbe preteso dall'acquirente una richiesta di sovrapprezzo di denaro in nero e su tale circostanza risulterebbero tuttora pendenti indagini da parte della squadra mobile della questura di Bologna e del pubblico ministero Rossella Poggioli della procura bolognese;
la denuncia in realtà avrebbe conosciuto un iter del tutto particolare: sarebbe, infatti, giunta al sindaco di San Lazzaro di Savena, Marco Macciantelli, nel novembre del 2009 da parte del cittadino, così come riportato dalle stesse dichiarazioni rese agli organi di stampa di Bologna il 2 giugno 2010, con queste espressioni: «Ricevemmo anche noi la lettera di quei due signori, padre e figlio che si erano sentiti richiedere "un extra a parte" di circa 50.000 euro. Chiedemmo spiegazioni al Cipea e girammo la denuncia alla Guardia di finanza. Era il novembre 2009. Tra la segnalazione e l'intervento del sindaco sono passati poco più di 10 giorni le missive in arrivo e in partenza sono lì a confermarlo»;
in altre parole, il sindaco Macciantelli, ricevuta la denuncia del cittadino, richiese spiegazioni al Cipea in costanza di una violazione di legge e poi inviò la missiva-denunzia del cittadino al comando provinciale della Guardia di finanza di Bologna, in un lasso di tempo indicato dal primo cittadino in una decina di giorni circa;
non è dato sapere quanto effettivamente quella denuncia rimase nella disponibilità del sindaco Macciantelli, preposto per legge ai controlli in materia di edilizia convenzionata, poiché è evidente che ciò è tuttora motivo di approfondimento giudiziario;
nel novembre-dicembre 2009, il nucleo provinciale della Guardia di finanza di Bologna consta agli interpellanti che fosse diretto dal generale Piero Burla;
il segretario particolare del generale Piero Burla era il maresciallo Salvatore Cucinotta, beneficiario di un alloggio del medesimo lotto in argomento, come già riportato nell'interpellanza urgente n. 2-01035;
sul comune di San Lazzaro di Savena e sul sindaco Macciantelli quello stesso reparto svolgeva, nel periodo esaminato, diverse attività investigative delegate dalla procura della Repubblica di Bologna, come ricordato nell'interpellanza appena richiamata;
sembrerebbe sufficientemente chiaro che ci si trovi dinanzi ad una nuova clamorosa anomalia che aggiunge pesanti perplessità sulla gestione quantomeno disinvolta delle attività di legge;
il citato cantiere Cipea di via Galletta era ed è tuttora affidato alla direzione del consigliere comunale Aldo Noacco, vice presidente della commissione urbanistica del comune di San Lazzaro di Savena;
in quel cantiere, ovvero solo quando la delega d'indagine passerà dalla Guardia di finanza alla squadra mobile di Bologna, si rileveranno gravi forme di abusivismo edilizio che indurranno il pubblico ministero Poggioli a sottoporre a sequestro preventivo l'intero lotto e a deferire il direttore dei lavori Noacco per violazione della legge urbanistica;
a capo del consorzio Cipea, in qualità di direttore, vi era e vi è tuttora il dottor Gianluca Muratori, che riveste anche incarico di responsabile di Confartigianato Bologna;
in data 13 aprile 2010 si teneva un convegno riguardante il decreto legislativo n. 231 del 2001, che ha ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, presso la sede provinciale di Confartigianato di Bologna, al quale partecipavano Gianluca Muratori (presidente provinciale di Confartigianato imprese di Bologna), il professor avvocato Filippo Sgubbi (ordinario di diritto penale presso la facoltà di giurisprudenza dell'Università degli studi di Bologna), il dottor Sebastiano Russo (Kensington consulting s.r.l.), il generale Piero Burla (ex comandante provinciale della Guardia di finanza di Bologna), il dottor Enrico Cieri (sostituto procuratore della Repubblica di Bologna), il dottor Daniele Ravaglia (direttore generale Emil Banca);
appare evidente agli interpellanti che si assisteva all'ennesima significativa anomalia, giacché l'ex comandante provinciale della Guardia di finanza di Bologna, Piero Burla, partecipava ad una conferenza unitamente al direttore di Cipea al centro di un'investigazione del comando da questi diretto e alla stessa conferenza partecipava, inoltre, un sostituto procuratore della Repubblica di Bologna, il dottor Enrico Cieri;
la circostanza parrebbe di assoluto rilievo se si pensa che essa costituisce l'ennesima, gravissima e ormai persino pubblica manifestazione di cattiva gestione che interessa il medesimo comando provinciale della Guardia di finanza di Bologna;
non sembra potersi considerare prassi usuale che siffatti incontri possano avere avuto luogo tra chi dirigeva le indagini e chi era l'oggetto dell'indagine stessa, alla presenza, peraltro, di un sostituto procuratore di quel medesimo distretto giudiziario;
è, inoltre, ad avviso degli interpellanti, assai grave che la stessa promiscuità già oggetto dell'interpellanza urgente n. 2-01035 ricorra pesantemente tra i medesimi personaggi che interessavano quel comando, quell'ente pubblico preposto ai controlli di legge sull'edilizia convenzionata e le aziende coinvolte in attività oggetto della denuncia, nonché i militari di quel comando beneficiari di case edificate da quello stesso consorzio e in quello stesso territorio;
anche con riferimento alle attività della procura della Repubblica di Bologna, con riguardo a queste specifiche vicende, gli interpellanti segnalano alcune circostanze che destano profonda perplessità;
in particolare, secondo quanto denunciato in vari esposti, il pubblico ministero Gustapane avrebbe sottoposto a indagine in pendenza del procedimento penale 5661/08 una sua stessa consulente, Lorenza Zoli, archiviando egli stesso la posizione della consulente dopo averne utilizzato le conclusioni peritali, al fine di richiedere un'archiviazione del procedimento a questi assegnato senza ritenere di astenersi, senza compiere un solo atto di accertamento di legge e in pendenza di una denuncia contro la medesima consulente presso la procura della Repubblica di Ancona;
inoltre, come già segnalato nell'interpellanza urgente n. 2-01035 il pubblico ministero avrebbe, di fatto, sottoscritto una bozza di archiviazione predisposta dal colonnello Ferretti del suddetto comando, che - risulterebbe dal citato esposto - aveva predisposto più bozze di archiviazione su carta intestata della procura di Bologna relative al procedimento penale 5661/08 trasmesse al pubblico ministero Gustapane, utilizzando lettere di trasmissione del comando provinciale della Guardia di finanza alla citata procura;
ad avviso degli interpellanti, è grave che la procura di Bologna abbia consentito che il pubblico ministero Gustapane così lungamente si occupasse di tutte le indagini sull'urbanistica del comune di San Lazzaro di Savena -:
se si ritenga di voler definitivamente chiarire l'iter della denuncia citata in premessa, chiarendo, inoltre, quale ufficio di quel comando, in quale data e nella persona di quale militare ebbe a ricevere quella denuncia e se si siano registrate omissioni o ritardi della Guardia di finanza rispetto a quella segnalazione, fino al subentro nelle indagini della squadra mobile della questura di Bologna;
se la Guardia di finanza abbia mai trasmesso alla procura della Repubblica una notizia di reato riguardo ai fatti citati (o anche la denuncia del cittadino), in quale data e a quale pubblico ministero;
chi siano i militari del comando provinciale della Guardia di finanza che incontrarono «informalmente», come già riportato nell'interpellanza urgente n. 2-01035, l'assessore all'urbanistica del comune di San Lazzaro di Savena, Schippa, nel maggio 2010 e nel settembre 2010, responsabile dell'area programmazione territoriale di quello stesso comune, al fine di perfezionare una richiesta abitativa pervenuta dall'amministrazione comunale, e se quegli incontri cosiddetti informali si tradussero in circolari formali diramate al personale di diversi comandi della Guardia di finanza supportate da verbali o note relative a quegli incontri con gli amministratori pubblici del comune di San Lazzaro di Savena;
se risulti che la Guardia di finanza abbia mai effettuato sequestri di contratti di appalto privi di riscontro fatturativo relativi a convenzioni urbanistiche del comune di San Lazzaro di Savena;
se il colonnello Ferretti risultasse legittimato dal comando provinciale ad apporre sulla lettera di trasmissione delle «bozze d'archiviazione» ricordate in premessa, dove campeggia l'indicazione «d'ordine», la sua firma e quale fosse il diretto superiore in quel preciso frangente ad averne autorizzato la condotta;
se risulti che sottufficiali della Guardia di finanza, che risultano coinvolti nei fatti denunciati nell'interpellanza n. 2-01035, svolgano ancora oggi funzioni di controllo di atti o incarichi presso il comando provinciale della Guardia di finanza di Bologna;
se, in ragione di tutte questi elementi, non si ritenga di voler dare finalmente seguito ad una formale ispezione al comando provinciale della Guardia di finanza di Bologna;
se risulti, inoltre, che il pubblico ministero Gustapane sia stato oggetto di iniziative di carattere disciplinare ovvero se, a fronte delle circostanze riportate in premessa, si intenda valutare la sussistenza dei presupposti per la promozione dell'azione disciplinare.
(2-01058) «Raisi, Della Vedova».