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Resoconti delle Giunte e Commissioni

Resoconto della I Commissione permanente
(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni)
I Commissione

SOMMARIO

Martedì 15 febbraio 2011


UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

SEDE REFERENTE:

Modifica all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab. C. 627 Binetti, C. 2422 Sbai, C. 2769 Cota, C. 3018 Mantini, C. 3020 Amici, C. 3183 Lanzillotta, C. 3205 Vassallo, C. 3368 Vaccaro, C. 3715 Reguzzoni, C. 3719 Garagnani e C. 3760 Bertolini (Seguito dell'esame e rinvio - Nomina di un Comitato ristretto) ... 19

Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in materia di soppressione delle province. Testo base C. 1990 cost. Donadi, C. 1989 cost. Casini, C. 2264 cost. Pisicchio cost. e C. 2579 cost. Vassallo (Seguito dell'esame e rinvio - Nomina di un Comitato ristretto) ... 21

SEDE CONSULTIVA:

Legge comunitaria 2010. C. 4059 Governo, approvato dal Senato (Relazione alla XIV Commissione).
Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2009. Doc. LXXXVII, n. 3. (Parere alla XIV Commissione) (Esame congiunto e rinvio) ... 24

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle modalità di controllo delle attività di Europol da parte del Parlamento europeo in associazione con i parlamenti nazionali. (COM(2010)776 definitivo) (Esame, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del regolamento, e rinvio) ... 28

ATTI DEL GOVERNO:

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2008/114/CE relativa all'individuazione e alla designazione delle infrastrutture critiche europee e alla valutazione della necessità di migliorarne la protezione. Atto n. 319 (Seguito dell'esame e rinvio) ... 30

SEDE CONSULTIVA:

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. Testo base C. 2350 , approvato in un testo unificato dal Senato, ed abb. (Parere alla XII Commissione) (Seguito dell'esame e conclusione - Parere favorevole con condizione e osservazione) ... 30
ALLEGATO 1 (Proposta di parere del relatore) ... 35
ALLEGATO 2 (Proposta alternativa di parere del gruppo del Partito Democratico) ... 37
ALLEGATO 3 (Proposta alternativa di parere del deputato Calderisi) ... 40
ALLEGATO 4 (Parere approvato) ... 44

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI:

Modifica all'articolo 442 del codice di procedura penale. Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Emendamenti C. 668 Lussana e C. 657 D'Antona (Parere all'Assemblea) (Esame e conclusione - Parere) ... 33

Disposizioni in favore dei territori di montagna. Emendamenti C. 41-320-321-605-2007-2115-2932-A (Parere all'Assemblea) (Esame e conclusione - Parere) ... 34

Istituzione della Soprintendenza del mare e delle acque interne e organizzazione del settore del patrimonio storico-culturale sommerso nell'ambito del Ministero per i beni e le attività culturali. Nuovo testo C. 2302 Granata (Parere alla VII Commissione) (Seguito dell'esame e rinvio) ... 34

COMITATO RISTRETTO:

Istituzione della Giornata della memoria per le vittime della mafia. C. 656 D'Antona, C. 833 Angela Napoli, C. 1925 Granata e C. 3179 Santelli ... 34

AVVERTENZA

I Commissione - Resoconto di martedì 15 febbraio 2011


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UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

Martedì 15 febbraio 2011.

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 12.35 alle 12.50.

SEDE REFERENTE

Martedì 15 febbraio 2011. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Intervengono il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Francesco Belsito e il sottosegretario di Stato per l'interno Michelino Davico.

La seduta comincia alle 12.50.

Modifica all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab.
C. 627 Binetti, C. 2422 Sbai, C. 2769 Cota, C. 3018 Mantini, C. 3020 Amici, C. 3183 Lanzillotta, C. 3205 Vassallo, C. 3368 Vaccaro, C. 3715 Reguzzoni, C. 3719 Garagnani e C. 3760 Bertolini.
(Seguito dell'esame e rinvio - Nomina di un Comitato ristretto).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 9 febbraio 2011.

Souad SBAI (PdL), relatore, ricorda che il dibattito di carattere generale sulle proposte di legge è stato piuttosto lungo: si è protratto, anche se con alcuni momenti di stasi, dal 2 ottobre 2009 ad oggi. Sono intervenuti la maggior parte dei gruppi e il Governo. Per quanto riguarda i gruppi intervenuti, è emersa una tendenziale concordia sulla necessità di contrastare l'utilizzo del burqa e del niqab in quanto indumenti lesivi della dignità delle donne e sostanzialmente mezzi di sopraffazione nei loro confronti. Ci sono stati anche alcuni interventi critici rispetto al provvedimento, in particolare da parte degli onorevoli Bordo e Vassallo, che hanno espresso però posizioni minoritarie anche all'interno del proprio gruppo. Il Governo, a sua volta, nel sottolineare la delicatezza della materia e nel ricordare il lavoro di approfondimento svolto dal Ministero dell'interno, anche mediante l'acquisizione di un articolato parere della Consulta per l'Islam italiano, ha convenuto che ragioni di ordine pubblico impongono che le persone devono poter essere identificate dalle forze dell'ordine, anche per contrastare il terrorismo internazionale.
Sui dettagli dell'intervento normativo si registrano posizioni differenti, delle quali intende ora rendere conto in estrema sintesi. Tutte le proposte di legge presentate mantengono, in alcuni casi riformulandolo, il divieto attualmente recato dalla legge n. 152 del 1975 di utilizzare senza giustificato motivo mezzi o indumenti che


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rendano difficoltoso il riconoscimento della persona in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Per quanto riguarda, in particolare, il burqa e il niqab, le posizioni sono le seguenti.
Le proposte di legge n. 2422 Sbai e Contento e n. 3018 Mantini e Tassone vietano l'utilizzo di questi indumenti, richiamandoli espressamente. Il divieto è assoluto, non ammettendosi il caso di giustificati motivi.
La proposta di legge n. 3760 Bertolini fa riferimento in generale agli indumenti o accessori di origine etnica e culturale, richiamando in ogni caso espressamente, a titolo di esempio, il burqa e il niqab. Tali indumenti sono dalla proposta di legge in questione assimilati agli altri indumenti che rendono difficoltoso il riconoscimento della persona e il divieto di utilizzarli non è quindi assoluto, ma vale solo in caso di mancanza di un giustificato motivo. La proposta di legge Bertolini reca anche una norma penale per punire chi impone con la forza l'uso di indumenti che coprono il volto.
Le altre proposte di legge non richiamano espressamente il burqa e il niqab, ma - ad eccezione di due - contengono tutte un riferimento agli indumenti a carattere religioso o etnico-culturale.
Le proposte di legge n. 2769 Cota e altri, n. 3368 Vaccaro e altri e n. 3715 Reguzzoni e altri, nel vietare in generale l'uso di mezzi, abiti o indumenti che impediscono l'identificazione della persona, precisano che si fa riferimento anche agli «abiti che manifestano appartenenze religiose», ovvero agli «indumenti indossati in ragione della propria affiliazione religiosa», ovvero «agli indumenti indossati per precetti religiosi o etnico-culturali». Per l'uso di questi abiti o indumenti non è previsto in queste proposte di legge l'ipotesi di deroga per giustificato motivo.
Le proposte di legge n. 627 Binetti e n. 3020 Amici e altri volgono il divieto in positivo, consentendo sempre l'uso di indumenti a carattere religioso, etnico o culturale, a condizione che la persona che li indossa mantenga il volto scoperto e riconoscibile.
La proposta di legge n. 3205 Vassallo ed altri, a sua volta, consente sempre l'uso di indumenti a carattere religioso o etnico-culturale, a condizione che la persona mostri il volto per lasciarsi identificare se richiesta da un pubblico ufficiale per esigenze di pubblica sicurezza.
Le proposte di legge n. 3183 Lanzillotta e n. 3719 Garagnani, infine, non contengono alcun espresso riferimento agli indumenti a carattere etnico o religioso, limitandosi a vietare l'uso di caschi o altri mezzi che senza giustificato motivo rendano difficoltoso il riconoscimento della persona.
In conclusione, i nodi principali sui quali il comitato ristretto che la Commissione si accinge a nominare dovrà lavorare sono - a suo avviso - i seguenti. In primo luogo si tratta di decidere se menzionare espressamente il burqa e il niqab, vietandone l'uso, oppure far riferimento più in generale agli indumenti propri di tradizioni etniche o religiose oppure non fare alcun riferimento esemplificativo al tipo di indumento vietato, limitandosi a proibire l'occultamento del volto che renda irriconoscibili e quindi non identificabili.
In secondo luogo, si tratta di decidere se ammettere oppure no la deroga al divieto in caso di giustificato motivo. Nel caso si ammetta la deroga si tratta di stabilire se i motivi di giustificazione debbano essere individuati direttamente nella legge (mediante esemplificazione o mediante l'individuazione di caratteristiche di carattere generale) ovvero rimessi del tutto, come accade oggi, alla valutazione dell'amministrazione di pubblica sicurezza o del giudice.
Va detto che nel caso in cui si decida di indicare analiticamente i casi di giustificato motivo, appare difficile non menzionare le diverse tipologie di oggetti (caschi, bende, maschere, indumenti, etc.) che travisano la persona o la rendono irriconoscibile.
Per quanto riguarda la richiesta del deputato Tassone di conoscere come si


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orientano in questa materia gli altri paesi, ricorda che il 2010 è stato un anno importante, in Europa, per quanto riguarda le restrizioni all'uso del velo.
In Belgio è stata approvata, nel mese di aprile 2010, una legge che vieta l'utilizzo del velo integrale nei luoghi pubblici, sanzionando con il pagamento di un'ammenda o la reclusione fino a sette giorni chi rende difficile la sua identificazione in un luogo pubblico. Questa legge, che ha favorito un dibattito in Europa su questa materia, è stata approvata da tutti i gruppi politici del Belgio.
Il 14 settembre del 2010 è stata poi la volta della Francia, che ha approvato una legge che proibisce l'uso del velo islamico nei luoghi pubblici. La legge è stata proposta da chi sostiene che il velo sia un simbolo di sottomissione e di annullamento dell'identità della donna. Con questa legge, quindi, la Francia sembra intenzionata a costruire, anche rispetto ai fedeli musulmani, un vero percorso di dialogo ed integrazione.
La Danimarca è stata spinta, invece, alla limitazione del velo negli spazi pubblici per motivi di sicurezza e anche di partecipazione civile. Il Governo danese ritiene che il burqa e il niqab non possono rientrare nei canoni della società danese ed è intenzionato a combattere ciò che il velo simboleggia rispetto alla condizione della donna. Un autorevole studio dell'Università di Copenaghen, commissionato dal Governo, ha dimostrato che l'uso del burqa e del niqab limita l'accesso delle donne al mondo del lavoro e dell'istruzione, confinandole in un isolamento terribile e rendendole sempre più dipendenti dagli uomini e ancora più straniere in terra straniera.
Anche in Svizzera, paese in cui la libertà di culto, di usi e di costumi è da sempre garantita, si sta discutendo sulla questione della proibizione del velo, nonostante il fenomeno delle donne velate sia più circoscritto rispetto agli altri paesi.

La Commissione delibera di nominare un comitato ristretto per il seguito dell'esame.

Donato BRUNO, presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, in materia di soppressione delle province.
Testo base C. 1990 cost. Donadi, C. 1989 cost. Casini, C. 2264 cost. Pisicchio cost. e C. 2579 cost. Vassallo.
(Seguito dell'esame e rinvio - Nomina di un Comitato ristretto).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 9 febbraio 2011.

Donato BRUNO, presidente e relatore, rilevato che gli interventi svolti e gli emendamenti presentati al testo base prospettano una grande varietà di posizioni in merito alla materia in esame - infatti da parte di alcuni si chiede la soppressione delle province, mentre da parte di altri si insiste per il loro mantenimento, salvo eventualmente rivederne il regime costituzionale - chiede ai rappresentanti dei gruppi di chiarire le rispettive posizioni, in modo che, in qualità di relatore, possa verificare fin da ora se esiste qualche possibilità di pervenire, con il lavoro di un comitato ristretto, a una proposta condivisa.

Mario TASSONE (UdC) dichiara che il suo gruppo, pur convinto della necessità di sopprimere le province, è disponibile a un confronto sulla materia nell'ambito di un comitato ristretto, a condizione però che il Governo assicuri il suo contributo ai lavori, in termini non solo di valutazione politica, ma anche di assistenza tecnica. Ritiene infatti indispensabile, in vista di un confronto costruttivo, che la Commissione disponga di simulazioni che le permettano di avere contezza dell'impatto che le diverse proposte emendative presentate avrebbero sul numero e sulla dislocazione delle province.

Salvatore VASSALLO (PD), premesso che il suo intervento sarà a titolo personale,


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esprime innanzitutto l'auspicio che il rinvio del provvedimento in Commissione non sia motivato da finalità dilatorie. Si dice inoltre contrario all'eventuale allargamento dell'ambito di discussione per comprendere nel provvedimento in esame anche interventi costituzionali non direttamente riguardanti le province, in quanto in questo caso sarebbe difficile, a suo avviso, portare a compimento la riforma entro la legislatura.
Nel merito, ritiene che un serio dibattito sulle province sia ormai indispensabile, stante la necessità di razionalizzare l'apparato pubblico per evitare disfunzioni e per realizzare duraturi risparmi di spesa uscendo dalla logica dei tagli lineari indiscriminati. D'altra parte, la proposta di soppressione generalizzata di tutte le province è, a suo avviso, irragionevole: dall'analisi delle esperienze di altri paesi emerge infatti che le province sono lo snodo di qualsiasi assetto di governo, sia questo federale o centralistico; e anzi svolgono nei sistemi centralistici un ruolo più rilevante che in quelli federali.
Rileva quindi che quattro sono le questioni sollevate dagli emendamenti presentati e sulle quali dovrebbe quindi concentrarsi il lavoro del comitato ristretto. In primo luogo, c'è la questione delle funzioni fondamentali: con gli anni le competenze delle province si sono progressivamente estese, con la conseguenza che oggi gli amministratori provinciali hanno di fatto la possibilità di decidere a propria discrezione l'ambito di intervento sul quale concentrarsi; occorre invece ricondurre le province a una funzione definita, vale a dire quella di programmazione e di pianificazione di area vasta, ossia di promozione della collaborazione tra i comuni del territorio.
In secondo luogo, occorre fissare precise soglie dimensionali per le province, per evitarne la proliferazione.
In terzo luogo, è necessario affrontare la questione della forma di governo. Attualmente i consigli provinciali non rappresentano un efficace strumento di controllo dell'operato delle giunte e delle amministrazioni di riferimento, e questo perché di fatto si comportano come piccoli parlamenti, che dibattono per lo più su argomenti sui quali non hanno competenza a deliberare. È pertanto necessario ripensare gli organi provinciali, facendone l'espressione non più dei corpi elettorali locali, ma dei sindaci o dei consigli comunali dei comuni di riferimento.
In quarto luogo, occorre avviare una riflessione sulle città metropolitane, per decidere che cosa debbano essere. L'incertezza su questo punto - le definizioni che se ne danno sono le più diverse, riflettendo l'ambiguità dell'idea di fondo - è infatti la causa della loro mancata attivazione, nonostante la previsione nella Costituzione e nel testo unico degli enti locali.
In conclusione, il comitato ristretto deve, a suo parere, affrontare queste quattro questioni per verificare se vi sia davvero la volontà di portare avanti una riforma costruttiva per razionalizzare il sistema amministrativo.

David FAVIA (IdV) conferma la convinzione del suo gruppo che sia necessario oggi procedere alla soppressione delle province. Ribadisce d'altra parte la disponibilità a un confronto sulla materia nell'ambito di un comitato ristretto, a condizione che questo incominci i suoi lavori al più presto, già oggi o domani, in modo da verificare quanto prima se vi siano prospettive di riforma condivise e da ritornare, in caso contrario, al più presto in Assemblea.

Raffaele VOLPI (LNP) sottolinea che il suo gruppo ha votato a favore del rinvio del provvedimento in Commissione, pur essendo notoriamente contrario alla soppressione generalizzata delle province e quindi al provvedimento stesso, perché è disponibile a valutare seriamente ipotesi alternative: non vi è quindi, da parte del suo gruppo, alcuna finalità dilatoria.
Prende atto con soddisfazione, ringraziando i deputati Tassone e Favia, della disponibilità dichiarata dai gruppi dell'Unione di centro e dell'Italia dei valori a partecipare ai lavori del comitato ristretto


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nonostante la loro posizione a favore della soppressione generalizzata delle province.
Concorda con il deputato Tassone sulla necessità che siano messi a disposizione della Commissione dati informativi sull'impatto che le diverse ipotesi in discussione avrebbero sull'assetto delle province, in termini di numero e dislocazione.
Concorda, altresì, col deputato Vassallo sul fatto che il provvedimento in esame deve limitarsi ad intervenire in materia di province. L'intervento sulle province dovrebbe però, a suo avviso, essere circoscritto, nel senso che, se c'è condivisione, si potrebbero introdurre nella Costituzione alcuni principi essenziali, per il resto rinviando la materia delle funzioni ad una legge ordinaria: a questo scopo si potrebbe anche pensare di riprendere l'esame del disegno di legge recante il codice delle autonomie (C. 3118), attualmente giacente al Senato. Quanto agli altri argomenti indicati dal deputato Vassallo, avverte che il suo gruppo è disposto a discutere soltanto a condizione che vi sia la volontà di realizzare interventi di concreta razionalizzazione del sistema, al di fuori degli interessi di propaganda elettorale di parte.

Gianclaudio BRESSA (PD) ricorda che il voto contrario del suo gruppo in Aula alla proposta di rinvio del provvedimento in Commissione non è stato determinato da ragioni di merito, ma solo da una ragione procedurale: il suo gruppo è infatti convinto che una proposta di legge iscritta all'ordine del giorno dei lavori dell'Assemblea su richiesta di una minoranza possa essere sottratta alla deliberazione dell'Assemblea solo con il consenso del gruppo di minoranza stesso.
Quanto al merito, dopo aver ricordato che il suo gruppo è contrario alla soppressione generalizzata delle province, anche perché è convinto che il risparmio che ne deriverebbe per le finanze pubbliche sarebbe minimo, osserva che quel che serve davvero, se l'intento è di contenere la spesa pubblica, è riorganizzare il sistema delle funzioni e degli apparati pubblici, in modo da incrementare l'efficienza dei servizi riducendone il costo. D'altra parte non ha senso, a suo parere, ridurre il numero delle province se prima non si decide che cosa le province debbano essere e fare.
Dichiara che il suo gruppo non è contrario a che la materia sia affrontata nell'ambito di un comitato ristretto, ma non è disponibile a procedere al buio, senza un quadro d'insieme e in modo frammentario. Ritiene infatti che l'Italia sia a un passaggio storico epocale - quello da un sistema centralistico a uno federale - e che si debba perciò procedere con estrema attenzione, soprattutto nel momento in cui si modifica la Costituzione. Il suo gruppo è pertanto disponibile a discutere su proposte chiare e ben ponderate, non è disponibile a farlo su ipotesi di revisione costituzionale limitate e di corto respiro, funzionali solo alla propaganda politica di una parte.
A questo proposito, dopo aver ricordato che un chiarimento sulla direzione che si vuole imprimere alle riforme istituzionali doveva venire dall'indagine conoscitiva sulle questioni inerenti al processo di revisione costituzionale in materia di ordinamento della Repubblica, la quale è stata avviata dalle Commissioni affari costituzionali riunite di Camera e Senato lo scorso anno e, dopo una sola seduta di audizioni, si è interrotta, invita il presidente Bruno a promuovere la ripresa dei lavori relativi all'indagine in questione, sottolineando come una riforma di rilevanza costituzionale non possa essere portata avanti senza un quadro d'insieme preciso.

Giuseppe CALDERISI (PdL), dopo aver ricordato di aver già osservato nella precedente seduta che alcuni degli emendamenti presentati contengono analogie tali da far pensare che una convergenza su una riforma costituzionale mirata in materia di province possa essere raggiunta e da rendere per così dire doverosa una verifica in tal senso, osserva che il dibattito di oggi conferma l'esistenza di questa possibilità. Aggiunge che, oltre ai quattro punti indicati dal deputato Vassallo, il comitato ristretto dovrebbe, a suo avviso, discutere anche del ruolo della regione


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nelle decisioni riguardanti l'assetto del territorio, non potendosi escludere le regioni da queste decisioni.

Il sottosegretario Michelino DAVICO dichiara la disponibilità del Governo a partecipare ai lavori della Commissione plenaria o del comitato ristretto, sia per portare i contributi tecnici di chiarimento di cui ci fosse bisogno, sia per esporre il proprio punto di vista sulle ipotesi di riforma che saranno prese in considerazione. Aggiunge che il Governo considera un atto di responsabilità il rinvio in Commissione del provvedimento che sopprime le province e ritiene quindi che vi siano i migliori auspici per un lavoro costruttivo e positivo.

Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione delibera di nominare un comitato ristretto per il seguito dell'esame.

Donato BRUNO, presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 13.45.

SEDE CONSULTIVA

Martedì 15 febbraio 2011. - Presidenza del presidente Donato BRUNO.

La seduta comincia alle 14.45.

Legge comunitaria 2010.
C. 4059 Governo, approvato dal Senato.
(Relazione alla XIV Commissione).

Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2009.
Doc. LXXXVII, n. 3.
(Parere alla XIV Commissione).
(Esame congiunto e rinvio).

La Commissione inizia l'esame congiunto dei provvedimenti.

Donato BRUNO, presidente, avverte che, secondo quanto concordato nell'ambito dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, la Commissione inizierà oggi la discussione di carattere generale congiunta del disegno di legge comunitaria e della relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea. Domani, mercoledì 16 febbraio, alle ore 12, scadrà il termine per la presentazione di emendamenti al disegno di legge comunitaria, che potranno essere presentati limitatamente ai profili di competenza della I Commissione. Successivamente la discussione dei due provvedimenti proseguirà disgiuntamente.
La Commissione - per quanto riguarda il disegno di legge comunitaria - dovrà concluderne l'esame con l'approvazione, per le parti di propria competenza, di una relazione e con la nomina di un relatore che potrà partecipare, per riferirvi, alle sedute della Commissione politiche dell'Unione europea. Per quanto riguarda invece la relazione annuale, la discussione proseguirà dopo la conclusione dell'esame del disegno di legge comunitaria, e si dovrà concludere con l'approvazione di un parere.
Comunica infine che l'esame del provvedimento da parte della Commissione dovrà concludersi entro martedì 22 febbraio 2011.

Jole SANTELLI (PdL), relatore, ricorda che il disegno di legge in esame reca disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee.
Il provvedimento è stato largamente modificato nel corso dell'esame al Senato e consta attualmente di 18 articoli, suddivisi in due Capi, nonché degli allegati A e B, che elencano le direttive da recepire mediante decreti legislativi.
Il disegno di legge interviene in diversi settori, in parte delegando il Governo all'adeguamento dell'ordinamento nazionale mediante l'adozione di decreti legislativi, in parte modificando direttamente la legislazione vigente per assicurarne la conformità all'ordinamento comunitario.


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La relazione illustrativa reca l'elenco delle direttive da attuare in via amministrativa e dei provvedimenti assunti a livello regionale per il recepimento e l'attuazione degli atti comunitari nelle materie di competenza delle regioni e delle province autonome.
Il provvedimento non reca disposizioni che intervengano sui settori amministrativi e legislativi di interesse della Commissione. Questa relazione si soffermerà quindi sulle sole disposizioni che prevedono deleghe legislative, nonché sull'articolo 9, che detta disposizioni in materia di nomenclatura europea di Roma capitale.
L'articolo 1 conferisce una delega al Governo per l'attuazione delle direttive comunitarie elencate negli allegati A e B e stabilisce i termini e le modalità di adozione dei decreti legislativi attuativi.
In particolare il comma 1 individua il termine per l'esercizio della delega: ciascuna direttiva elencata negli allegati A e B dovrà essere attuata nel termine di due mesi antecedenti a quello di recepimento previsto dalla direttiva stessa.
Accanto al termine generale «flessibile», il comma 1 dispone anche, specificamente, in ordine alle direttive il cui termine di recepimento sia già scaduto ovvero scada nei tre mesi successivi all'entrata in vigore del provvedimento in esame - in questo caso il termine della delega è di tre mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame - e alle direttive comprese negli allegati A e B che non prevedono un termine di recepimento - in questo caso il termine della delega è di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.
La distinzione tra i due allegati riguarda il procedimento: per le direttive dell'allegato B è previsto il parere parlamentare; per quelle dell'allegato A tale parere non è previsto. Qualora il termine fissato per l'espressione del parere parlamentare scada nei 30 giorni precedenti la scadenza del termine per l'esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega è prorogato automaticamente di tre mesi. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l'eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.
Il testo prevede che il parere parlamentare debba essere richiesto dopo aver già acquisito tutti gli altri pareri previsti dalla legge, in linea con la prassi affermatasi nelle scorse legislature.
Il comma 4 reca una specifica disposizione per il recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie. I relativi schemi di decreto legislativo dovranno essere corredati della relazione tecnica e saranno oggetto del parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Se il Governo non intende conformarsi alle condizioni formulate dalle commissioni bilancio al fine di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, deve sottoporre i testi (corredati delle necessarie informazioni integrative) a un nuovo parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro 20 giorni.
Viene così introdotto il cosiddetto «doppio parere», limitatamente alla fattispecie finanziaria. Una misura analoga è prevista, al comma 9, per gli schemi di decreto che prevedono sanzioni penali.
Il comma 5 autorizza il Governo ad adottare disposizioni integrative e correttive.
Il comma 6 dispone che, per i decreti legislativi attuativi delle direttive comunitarie comprese negli allegati che intervengono in materie di competenza legislativa regionale, valgono le condizioni e le procedure di cui all'articolo 11, comma 8, della legge n. 11 del 2005, che prevede un intervento suppletivo anticipato e cedevole da parte dello Stato, in caso di inadempienza delle Regioni nell'attuazione delle direttive nelle materie di loro competenza.
Ai sensi del comma 7, quanto previsto in via generale al comma 6 per i decreti legislativi di attuazione delle direttive contenute negli allegati A e B si applica anche per i decreti legislativi recanti sanzioni adottati ai sensi dell'articolo 3 del provvedimento


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in esame, sempre che attengano a materie di competenza regionale o delle province autonome.
Il comma 8 prevede l'obbligo per il Ministro per le politiche europee di trasmettere una relazione alle Camere qualora una o più deleghe non risultino esercitate entro il termine previsto, nonché un'informativa periodica (semestrale) sullo stato di attuazione delle direttive da parte delle regioni e province autonome nelle materie di loro competenza, secondo modalità di individuazione delle stesse da definire con accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni (una previsione di questo tenore è stata inserita, per la prima volta, nella legge comunitaria 2007).
Il comma 9 concerne i pareri parlamentari aventi ad oggetto le disposizioni penali introdotte negli schemi di decreti legislativi e prevede che, qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri, debba ritrasmettere alle Camere gli schemi con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Le Commissioni competenti esprimono il parere definitivo entro 20 giorni, decorsi i quali i decreti sono comunque emanati.
L'articolo 2 detta i princìpi ed i criteri direttivi di carattere generale per l'esercizio delle deleghe ai fini dell'attuazione delle direttive comunitarie elencate negli allegati A e B al provvedimento in esame. Si tratta di princìpi e criteri in gran parte conformi a quelli previsti dalle precedenti leggi comunitarie.
L'articolo 3, prevede, analogamente a quanto disposto dalle ultime leggi comunitarie, una delega al Governo per l'introduzione di un trattamento sanzionatorio per le violazioni di obblighi discendenti da direttive attuate, ai sensi delle leggi comunitarie vigenti, in via regolamentare o amministrativa (ossia per via non legislativa) ai sensi delle leggi comunitarie vigenti; o da regolamenti comunitari già pubblicati alla data di entrata in vigore della legge comunitaria per i quali però non siano già previste sanzioni penali o amministrative.
La necessità della disposizione risiede nel fatto che, sia nel caso dell'attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa, sia nel caso di regolamenti comunitari (che, come è noto, non necessitano di leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell'ordinamento nazionale), è necessaria una fonte normativa di rango primario per introdurre nell'ordinamento nazionale norme sanzionatorie di natura amministrativa o penale; in quest'ultimo caso la fonte deve altresì essere statale, essendo quella penale una materia di competenza statale esclusiva.
La finalità dell'articolo è pertanto quella di consentire al Governo di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative comunitarie, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni comunitarie vengono trasposte nell'ordinamento interno.
Un'altra delega è prevista all'articolo 5 per l'adozione entro 24 mesi di testi unici o codici di settore delle disposizioni dettate in attuazione delle deleghe conferite dal disegno di legge in esame per il recepimento di direttive comunitarie. La delega serva a coordinare tali disposizioni con quelle vigenti nelle stesse materie. Disposizioni analoghe sono contenute nelle precedenti leggi comunitarie.
I decreti legislativi di riordino sono adottati secondo le modalità e in conformità ai principi e criteri direttivi posti dall'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, il quale reca una pluralità di princìpi e criteri direttivi volti a conformare l'opera del legislatore delegato alla razionalizzazione normativa, in aggiunta ai princìpi e criteri previsti dalle singole leggi annuali di semplificazione.
È previsto che gli schemi di decreto legislativo siano sottoposti al parere della Conferenza Stato-regioni e della Commissione parlamentare per le questioni regionali qualora la relativa disciplina riguardi la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente tra Stato e regioni (ai sensi del terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione) o, più generalmente, «altre materie di interesse delle regioni».


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Peraltro, con riferimento all'espressione «altre materie di interesse delle regioni» già impiegata nel disegno di legge comunitaria 2009 (ora articolo 5 della legge comunitaria 2009), va ricordato che questa commissione, nel suo parere, aveva sottolineato la genericità dell'espressione «altre materie di interesse delle regioni». Va detto, inoltre, che l'articolo 20 della legge n. 59 del 1997, al quale il comma in esame come si è detto fa rinvio prevede, al comma 5, l'acquisizione del parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali su tutti gli schemi dei decreti legislativi adottati ai sensi dell'articolo 20 medesimo.
Il comma 2 dell'articolo 5 stabilisce che i testi unici e i codici di settore debbano riguardare materie o settori omogenei. Inoltre, il secondo periodo precisa che le disposizioni contenute nei predetti provvedimenti di riordino possono essere oggetto di interventi di abrogazione, deroga, sospensione o modificazione solo in via esplicita e con indicazione puntuale della disposizione su cui si interviene.
L'articolo 9, non modificato nel corso dell'esame al Senato, riconosce al territorio di «Roma Capitale» la qualifica di livello NUTS 2, nell'ambito della nomenclatura europea delle unità territoriali per la statistica. Con l'acronimo NUTS viene indicata la classificazione statistica comune delle unità territoriali, istituita dal regolamento 26 maggio 2003, n. 1059/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, al fine di consentire la raccolta, la compilazione e la diffusione di statistiche regionali armonizzate nella Comunità. La classificazione NUTS suddivide il territorio economico degli Stati membri in unità territoriali. Essa attribuisce a ogni unità territoriale un nome ed un codice specifici. La classificazione NUTS è gerarchica. Ogni Stato membro è suddiviso in unità territoriali di livello NUTS 1, ognuna delle quali è suddivisa in unità territoriali di livello NUTS 2, a loro volta suddivise in unità territoriali di livello NUTS 3.
La relazione illustrativa al provvedimento evidenzia che «l'assegnazione all'ente «Roma Capitale» della qualifica di territorio europeo NUTS 2 consente di realizzare, anche con risorse di fonte comunitaria, le maggiori funzioni attribuite al comune di Roma, in attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, ai sensi dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione.
Roma capitale dovrebbe, quindi - secondo quanto afferma la relazione illustrativa - «comparire nella macro-area «Italia centro», immediatamente dopo la regione Lazio, con il titolo «Roma Capitale» ed il codice ITE5. Poiché attualmente in tale lista compare soltanto la provincia di Roma a titolo di area NUTS 3, l'articolo in questione ha lo scopo di sottrarre il territorio di Roma Capitale dalla suddetta qualifica e di elevarlo ad area da comprendere nell'Obiettivo 1».
La norma - conclude la relazione - non comporta alcun effetto sulla finanza pubblica, in quanto tende ad utilizzare esclusivamente le risorse finanziarie di fonte comunitaria.
Per quanto riguarda la relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, il 5 agosto 2010 il Governo ha presentato al Parlamento quella relativa all'anno 2009. Tale relazione - che peraltro risulta a questo punto in gran parte superata - è strutturata in tre parti, ognuna delle quali espone distintamente un consuntivo degli interventi e delle politiche varate nel 2009 dall'UE e dall'Italia e gli orientamenti del Governo per il 2010.
La prima parte tratta del processo di integrazione europea e degli orientamenti generali delle politiche dell'Unione: nella prima sezione si sviluppano i temi istituzionali, nella seconda la risposta dell'Unione alla crisi mondiale, nella terza i temi dell'energia e dell'ambiente.
La seconda parte dà conto della partecipazione dell'Italia al processo di integrazione europea e del recepimento del diritto dell'Unione nell'ordinamento analizzando in tre distinte sezioni: i profili generali di tale partecipazione, quelli legati alle singole politiche comuni, quelli volti alla dimensione esterna dell'Unione, ivi incluse la politica estera comune e quella di sicurezza e difesa.


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La terza parte riguarda le politiche di coesione e l'andamento dei flussi finanziari verso l'Italia e la loro utilizzazione.
Per quanto riguarda i temi di interesse della Commissione affari costituzionali, la relazione riferisce dell'operato del Governo in sede europea con riferimento alla promozione della parti opportunità, all'immigrazione e al diritto d'asilo e alla cooperazione di polizia.

Donato BRUNO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.55.

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

Martedì 15 febbraio 2011. - Presidenza del presidente Donato BRUNO.

La seduta comincia alle 14.55.

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle modalità di controllo delle attività di Europol da parte del Parlamento europeo in associazione con i parlamenti nazionali.
(COM(2010)776 definitivo).
(Esame, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del regolamento, e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Donato BRUNO, presidente, comunica che è stata avanzata la richiesta che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.

Jole SANTELLI (PdL), relatore, ricorda che quello in esame è un documento della massima importanza politica, destinato ad avviare formalmente il dibattito su uno degli aspetti più innovativi contenuti nel Trattato di Lisbona.
Il rafforzamento del ruolo affidato ai Parlamenti in questa materia risponde all'obiettivo di potenziare le garanzie democratiche in un settore, quello della cooperazione di polizia, in cui occorre procedere con la massima attenzione in modo da bilanciare l'esigenza di un'azione energica ed efficace nel contrasto alle gravi forme di criminalità transfrontaliera e la necessità di preservare la più ampia tutela dei diritti fondamentali.
Istituito nel 1995 per migliorare la cooperazione di polizia nel contrasto alla criminalità organizzata, al terrorismo e ad altre gravi forme di criminalità transfrontaliera, dal 1o gennaio 2010, Europol è divenuto un'Agenzia dell'Unione europea, stabilmente finanziata mediante contribuzione a carico del bilancio generale dell'Unione.
Ciò ha comportato un rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo, in ragione delle competenze da questo acquisite in materia di bilancio, nei confronti di Europol. Il Parlamento europeo si trova ora nella condizione di esercitare un'influenza diretta sulle attività dell'Agenzia.
È stato inoltre rafforzato il meccanismo di scambio di informazioni, prevedendo un ampliamento dell'elenco dei documenti che Europol è tenuta a presentare annualmente al Consiglio, per approvazione, e al Parlamento europeo, per informazione.
La comunicazione della Commissione europea ricorda che, in genere, i Parlamenti nazionali già esercitano una vigilanza sulle attività di Europol tramite il controllo sui rispettivi governi e, in particolare, sui ministri degli affari interni e della giustizia.
Si tratta ora di valutare attraverso quali modalità e con quali procedure si possa svolgere un controllo sulle attività di Europol da parte del Parlamento europeo in associazione ai Parlamenti nazionali.
A tal fine la comunicazione propone l'istituzione di un forum misto o interparlamentare permanente.
Secondo la Commissione, il forum interparlamentare potrebbe essere composto


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dai membri delle Commissioni dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo competenti in materia di polizia.
La Commissione ritiene che tale organo misto potrebbe riunirsi a intervalli regolari e invitare il direttore di Europol a discutere su questioni attinenti all'operato dell'agenzia, nonché istituire un sottogruppo speciale incaricato, ad esempio, di garantire un contatto diretto con Europol.
Parallelamente alla creazione del forum, la Commissione suggerisce anche una nuova strategia di comunicazione con il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali.
La Commissione europea ritiene che, per consentire al Parlamento europeo di contribuire alla definizione delle linee strategiche e delle priorità di azione dell'agenzia, sarebbe utile avviare un dibattito in seno alla commissione LIBE sulla strategia pluriennale di Europol e sul suo programma di lavoro annuale. L'agenzia potrebbe inoltre trasmettere sistematicamente al Parlamento europeo e, tramite punti di contatto designati, anche ai parlamenti nazionali, sia informazioni periodicamente aggiornate sui risultati delle sue operazioni, sia i risultati del sondaggio degli utenti che misuri il livello di soddisfazione per le prestazioni generali di Europol e per prodotti e servizi specifici, inviato ogni due anni per via elettronica a determinati utenti negli Stati membri e ad altri partner.
La Commissione ritiene inoltre che, al fine di consolidare la comunicazione tra il futuro forum interparlamentare e gli organi direttivi di Europol, si potrebbe prevedere anche uno scambio periodico di opinioni in occasione della presentazione dei documenti strategici di Europol o delle suddette relazioni da parte del direttore e del presidente del consiglio di amministrazione. Secondo la Commissione, la rete del forum interparlamentare potrebbe inoltre servire come canale di informazione, trasmettendo documenti inerenti a Europol direttamente ai parlamenti nazionali.
Le proposte della Commissione appaiono in larga parte condivisibili. Occorre tuttavia verificarne la piena compatibilità con le pronunce già adottate in sede parlamentare in proposito.
Merita al riguardo segnalare che la riflessione sulle modalità con cui organizzare il controllo parlamentare sullo Spazio di libertà sicurezza e giustizia è stata oggetto di attenzione della Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell'Unione europea da ultimo, in occasione della Conferenza di Stoccolma del 15 maggio 2010.
In quella occasione, il Presidente della Camera dei deputati, in qualità di relatore su tale materia, ha sottolineato che il rilievo delle tematiche comprese nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, con importanti riflessi sui fondamenti costituzionali degli Stati membri dell'Unione, giustifica pienamente il maggiore coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nei meccanismi di valutazione sulle politiche dell'Unione, come previsto dal Trattato di Lisbona. Al fine di definire le modalità di tale coinvolgimento, anche con riferimento alla valutazione delle attività di Europol, il Presidente ha auspicato la presentazione da parte della Commissione europea di uno specifico documento di consultazione prima della predisposizione dei provvedimenti attuativi delle disposizioni previste in materia dal Trattato di Lisbona.
Per quanto riguarda le sedi e le modalità di dialogo e confronto tra Parlamenti (europeo e nazionali), il Presidente ha suggerito, piuttosto che la creazione di nuove sedi ad hoc, l'attivazione del circuito delle riunioni interparlamentare delle Commissioni competenti in materia di giustizia e affari interni, da stabilizzare con cadenza semestrale.
Questa ipotesi si fondava su due motivazioni: per un verso, l'opportunità di valorizzare le competenze acquisite nel corso degli anni dagli organismi parlamentari già operanti; per altro verso, la necessità di evitare la moltiplicazione di sedi e strutture di cooperazione interparlamentare da cui possono derivare soltanto incertezze, confusione e nuove spese.
Nelle conclusioni della Conferenza, i Presidenti dei Parlamenti dell'Unione europea hanno chiesto alla presidenza entrante


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della Conferenza del Presidenti di valutare in maniera più approfondita la proposta di organizzare con regolare cadenza, in cooperazione con il Parlamento europeo, conferenze delle commissioni parlamentari che si occupano di giustizia e di affari interni.
Considerata l'importanza della materia, è auspicabile che sulla comunicazione si svolga in questa Commissione un approfondita discussione da cui far discendere una valutazione, auspicabilmente condivisa da maggioranza e opposizioni, da sottoporre alle competenti autorità dell'Unione europea e al confronto tra Parlamenti.

Donato BRUNO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.

ATTI DEL GOVERNO

Martedì 15 febbraio 2011. - Presidenza del presidente Donato BRUNO.

La seduta comincia alle 15.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2008/114/CE relativa all'individuazione e alla designazione delle infrastrutture critiche europee e alla valutazione della necessità di migliorarne la protezione.
Atto n. 319.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 9 febbraio 2011.

Donato BRUNO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.05.

SEDE CONSULTIVA

Martedì 15 febbraio 2011. - Presidenza del presidente Donato BRUNO.

La seduta comincia alle 15.05.

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento.
Testo base C. 2350, approvato in un testo unificato dal Senato, ed abb.
(Parere alla XII Commissione).
(Seguito dell'esame e conclusione - Parere favorevole con condizione e osservazione).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 9 febbraio 2011.

Donato BRUNO, presidente, avverte che la relatrice ha presentato una proposta di parere favorevole con una condizione e un'osservazione (vedi allegato 1) e che proposte di parere alternativo sono state presentate dal gruppo del Partito democratico (vedi allegato 2) e, a titolo personale, dal deputato Calderisi (vedi allegato 3).

Isabella BERTOLINI (PdL), relatore, illustra la sua proposta di parere.

Gianclaudio BRESSA (PD), intervenendo per dichiarazione di voto contrario sulla proposta di parere della relatrice e per illustrare la proposta alternativa del suo gruppo, ricorda che quello in esame non è un provvedimento qualsiasi, ma una legge che solleva questioni etiche, culturali e costituzionali fondamentali. Se, quasi due secoli fa, Savigny poteva sostenere che la morte, come la nascita, è un evento naturale talmente semplice che non è necessario darne una disciplina giuridica, oggi la prospettiva è completamente mutata.
Quando si parla delle questioni legate alla fine della vita dal punto di vista


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giuridico, si fa riferimento soprattutto ai profili penalistici o civilistici. Se però si affronta il tema dal punto di vista del diritto costituzionale, si pone - parafrasando Heidegger - il problema del ruolo del diritto nell'età della tecnica: un'età nella quale, mentre le nuove conoscenze mettono a disposizione dell'uomo enormi potenzialità, si produce nel contempo la fine delle grandi narrazione morali e lo sgretolamento delle comunità monoetiche, ossia quelle nelle quali esisteva una sola idea di bene riconosciuta da tutti.
Poiché la quasi onnipotenza tecnica dell'uomo moderno non può convivere con la quasi totale mancanza di limiti, spetta al diritto porre tali limiti, ma il diritto deve fare attenzione a evitare la giuridificazione dell'intera esistenza dell'uomo. Al diritto l'uomo contemporaneo dovrebbe chiedere di garantirgli spazi di autonomia; in altre parole, dal diritto l'uomo contemporaneo dovrebbe chiedere una prestazione tesa tra autorità e libertà. Questo però impone nuovi e complessi bilanciamenti tra il diritto alla salute e quello alla vita, sulla base del principio che la libertà di curarsi e di non curarsi è una specificazione della libertà di autodeterminazione del soggetto rispetto al proprio corpo.
Ma proprio per questo il testamento biologico diventa una questione di diritto costituzionale. La disciplina delle dichiarazione anticipate di trattamento deve tendere a garantire l'effettività del principio di cui all'articolo 32 della Costituzione, secondo il quale nessuno può essere sottoposto al trattamento sanitario contro la propria volontà. Tale disciplina, pur attuativa di un principio costituzionale non ha un contenuto costituzionalmente vincolato: al legislatore, in altre parole, è riconosciuto un certo margine di discrezionalità. Quindi, se è fisiologico cercare nella Costituzione il fondamento delle proprio posizioni, diventa patologico farlo a scapito della Costituzione stessa. Piegare il testo costituzionale a mero alibi nella lotta per un valore, non riconoscere che alla Costituzione alcun ruolo di limite significa privarla della sua unità di senso. E in questo testo questo rischio è concreto.
Quali che siano poi i margini di discrezionalità riconosciuti al legislatore, questo è tenuto a rispettare il vincolo generale di ragionevolezza delle leggi ed è tenuto quindi ad adottare discipline internamente coerenti. Il giudizio di ragionevolezza deve penetrare il merito delle scelte politiche proprio perché si tratta di controllare queste ultime alla luce delle norme costituzionali che fungono da parametro e dei relativi contesti applicativi. Fare una buona legge sul testamento biologico è un compito arduo innanzitutto perché il testamento biologico è un istituto nuovo che proietta l'autonomia del soggetto sulla sua sfera personale, e non più soltanto su quella patrimoniale; inoltre perché è formalmente rivolto alla autoregolazione, per il tempo della sopravvenuta incapacità, di propri diritti e interessi fondamentali. Per questo il primo degli errori da evitare - cosa che questa legge non ha saputo fare - è quello di legare il destino normativo del testamento biologico alle certezze o ai dubbi della scienza medica sull'individuazione dei parametri vitali di una persona. Il testamento biologico non deve servire a dire cosa sia la vita dal punto di vista del medico, bensì cosa sia per il paziente.
Per questo la dichiarazione anticipata di trattamento è cruciale: perché la manifestazione della propria volontà è il veicolo attraverso il quale il soggetto non solo pianifica le proprie cure, ma rende noto quale sia l'insieme dei suoi valori, delle sue convinzioni etiche e morali, delle sue idee filosofiche, del suo credo religioso: insomma la sua personale concezione dell'identità e della dignità umana rispetto alla vita nella malattia e nell'incoscienza.
Non si tratta di scegliere un diritto a morire con dignità, bensì il suo esatto contrario, il diritto di poter scegliere la vita che si vuole continuare a vivere quando ci si dovesse trovare in uno stato di incapacità. Il diritto è a una vita degna, anche quando si è incapaci. Per questo è terribile l'accostamento strumentale fatto


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nel testo delle dichiarazioni anticipate di trattamento all'eutanasia: è terribile e pericoloso, perché potrebbe essere foriero di tragiche interpretazioni, stante la fumosità e indeterminatezza del contenuto della norma.
Mentre la maggioranza si occupa impropriamente di eutanasia, lascia irrisolte cruciali questioni riferibili alla volontà anticipata: il fatto per esempio che essa è inattuale, non sempre pienamente formata e consapevole, non più confermabile proprio nel momento in cui diviene produttiva di effetti; elude inoltre il principio dell'alleanza terapeutica, non estendendolo al fiduciario. La maggioranza è insomma incapace di comprendere che il problema etico-giuridico non sta nel merito della scelta, ma negli strumenti per garantire che essa sia libera e attuale.
Con questa legge si pongono questioni costituzionali fondamentali, che la maggioranza elude per incapacità di ammettere il significato dell'articolo 32 della Costituzione, che, introducendo il principio della volontarietà nei trattamenti sanitari, stabilisce il passaggio dalla fase della «paternalismo» medico di origine ippocratica a quello dell'autonomia e dell'alleanza terapeutica medico-malato.
Nel principio della volontarietà di trattamenti sanitari si riflette però l'intero sistema dei valori a cui la Costituzione è ispirata: il principio personalista, il principio pluralista, l'inviolabilità della libertà personale, il rispetto della dignità umana, la capacità di autodeterminarsi, relativamente alla propria dimensione esistenziale.
Il contenuto della dignità di una persona sta nelle sue convinzioni, nella sua cultura, nella sua fede e quindi, quando la Costituzione pone come limite il rispetto della persona umana, non c'è volontà parlamentare, anche se unanime, che possa sostituirsi alla volontà del singolo.
Nella difficoltà di dare una definizione della morte e del suo significato, la vita si può definire come un'esperienza che non può ridursi solo alla alimentazione e all'idratazione, essendo invece una dimensione nella quale hanno un ruolo fondamentale i sentimenti, gli affetti e l'amore condivisi e vissuti insieme.
La decisione di come vivere la propria fine della vita spetta alla persona, ai suoi cari, alla famiglia assieme al medico, e non può mai appartenere allo Stato. Questa libertà della persona non è arbitrio, non è relativismo etico, è rispetto del patrimonio più geloso e autentico della persona, costituito dai suoi convincimenti, dai suoi valori, dalla sua fede, dalla sua dignità di persona. Poiché la proposta in esame va ad incidere su questa delicata dimensione, occorre riflettere attentamente sul contenuto delle disposizioni che essa reca e sul rischio che l'irragionevolezza che connota molte di esse possa aggravare i problemi anziché risolverli. Non si tratta di una legge qualsiasi. È una legge che impone a tutti di interrogarsi sul significato ultimo della sofferenza e del vivere.
Si tratta di questioni che non possono essere decise a colpi di maggioranza e sulle quali auspica che possa esservi una riflessione attenta e responsabile da parte di tutte le forze politiche.

Giuseppe CALDERISI (PdL) chiarisce che la sua proposta di parere alternativa riproduce nella sostanza l'intervento da lui svolto nella seduta del 1o febbraio scorso. Dichiara quindi di apprezzare che la relatrice abbia fatto riferimento, nella sua proposta di parere, anche se solo con un'osservazione, alla necessità di introdurre una definizione legislativa di eutanasia, in mancanza della quale il mero rinvio alle disposizioni del codice penale che puniscono l'omicidio, l'omicidio del consenziente e l'aiuto al suicidio non consente di determinare la fattispecie penale con la dovuta precisione. Il testo in esame si pone, in tal modo, in contrasto con l'articolo 25, secondo comma, della Costituzione, che prevede una riserva assoluta di legge in materia penale, da cui discendono i principi di sufficiente determinatezza e di tassatività delle fattispecie penali. Personalmente è favorevole a vietare l'eutanasia, ma ritiene necessario, nel momento in cui si prevede una pena per


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l'eutanasia, fornirne una definizione, anche perché la mancata definizione, oltre a contrastare con la Costituzione, comporta un effetto contrario a quello perseguito dai proponenti, ossia quello di incrementare la deriva giudiziaria su questa materia.
Ribadisce quindi la sua convinzione che nel testo in esame il bilanciamento tra i diversi beni e interessi costituzionali in gioco - da una parte il diritto alla vita, il diritto alla salute e il dovere del medico di curare e, dall'altra parte, il diritto all'autodeterminazione individuale, la dignità personale, il rispetto della persona umana e il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari non voluti: tutti beni ed interessi che trovano fondamento negli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione - non sia soddisfacente, in quanto rischia di annullare alcuni diritti. Per questa ragione teme che la Corte costituzionale, cui il testo sarà certamente sottoposto, annullerà alcune disposizioni, determinando una trasformazione normativa imprevedibile.
Per questa ragione la sua proposta di parere chiede che la Commissione di merito, se non è in grado di trovare un bilanciamento convincente dei valori in gioco, si limiti a stabilire divieto di eutanasia e di accanimento terapeutico, dandone una definizione, senza prevedere la dichiarazione anticipata di trattamento, lasciando quindi la «zona grigia» più delicata alla sapiente cura e decisione del medico, della persona interessata e dei suoi familiari.

Mario TASSONE (UdC) ricorda che la posizione del suo gruppo è stata enunciata con chiarezza dalla deputata Binetti nella seduta del 9 febbraio scorso. Prende atto che il dibattito nel paese e nel Parlamento è acceso, ma ritiene necessario stabilire un quadro di regole certe per garantire il rispetto della vita umana e della libertà in ogni frangente. Il Parlamento è chiamato, a suo avviso, a riaffermare il valore della vita, che qualcuno vorrebbe diminuire. Per questo motivo preannuncia il voto favorevole del suo gruppo sulla proposta di parere della relatrice, purché la condizione sia riformulata nel senso di sopprimere soltanto il terzo periodo del comma 3 dell'articolo 7, e non l'intero comma.

Isabella BERTOLINI (PdL), relatore, accoglie la richiesta del deputato Tassone, riformulando la sua proposta di parere (vedi allegato 4).

Donato BRUNO, presidente, avverte che porrà in votazione per prima la proposta di parere della relatrice. In caso di sua approvazione, le proposte alternative si intenderanno precluse e non saranno poste in votazione.

La Commissione approva la proposta di parere della relatrice.

La seduta termina alle 15.35.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Martedì 15 febbraio 2011. - Presidenza del presidente Isabella BERTOLINI.

La seduta comincia alle 15.35.

Modifica all'articolo 442 del codice di procedura penale. Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo.
Emendamenti C. 668 Lussana e C. 657 D'Antona.
(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione - Parere).

Il Comitato inizia l'esame degli emendamenti.

Isabella BERTOLINI, presidente e relatore, rileva che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 3 non presentano profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione e propone pertanto di esprimere su di essi il parere di nulla osta.

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del presidente.


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Disposizioni in favore dei territori di montagna.
Emendamenti C. 41-320-321-605-2007-2115-2932-A.
(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione - Parere).

Il Comitato inizia l'esame degli emendamenti.

Maria Piera PASTORE (LNP), relatore, rileva che né gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 né gli emendamenti della Commissione 1.100 e 3.100 presentano profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione e propone pertanto di esprimere su di essi il parere di nulla osta.

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Istituzione della Soprintendenza del mare e delle acque interne e organizzazione del settore del patrimonio storico-culturale sommerso nell'ambito del Ministero per i beni e le attività culturali.
Nuovo testo C. 2302 Granata.
(Parere alla VII Commissione).
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 9 febbraio 2011.

Maria Elena STASI (PdL), relatore, si riserva di presentare una proposta di parere nella seduta di domani, dopo aver svolto ulteriori approfondimenti. Ricorda infatti che il provvedimento in esame interviene con norma di legge su una materia - quella dell'organizzazione interna del Ministero per i beni e le attività culturali - che è stata delegificata in quanto la sua disciplina è stata rimessa all'autonomia del Governo.

Isabella BERTOLINI, presidente, concorda sull'opportunità di svolgere i necessari approfondimenti. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.40.

COMITATO RISTRETTO

Martedì 15 febbraio 2011.

Istituzione della Giornata della memoria per le vittime della mafia.
C. 656 D'Antona, C. 833 Angela Napoli, C. 1925 Granata e C. 3179 Santelli.

Il Comitato si è riunito dalle 15.40 alle 15.45.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori.
Emendamenti C. 52-1814-2011-A.

I Commissione - Martedì 15 febbraio 2011


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ALLEGATO 1

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. (Testo base C. 2350, approvato in un testo unificato dal Senato, ed abb.).

PROPOSTA DI PARERE DEL RELATORE

La I Commissione,
esaminato il nuovo testo della proposta di legge C. 2350, approvata in un testo unificato dal Senato, recante «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento»,
considerato che le disposizioni da esso recate sono fondamentalmente riconducibili alle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato «ordinamento civile» e «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (articolo 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione);
rilevato che:
l'articolo 1, comma 1, lettera b), vieta «ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del codice penale ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio», senza tuttavia fornire una definizione di «eutanasia»;
se la volontà della Commissione di merito è di introdurre nell'ordinamento una nuova fattispecie penale in relazione all'eutanasia, appare opportuno - alla luce del principio costituzionale di tassatività della fattispecie penale, il quale impone al legislatore di definire con chiarezza e univocità la condotta per la quale prevede una pena e vieta al giudice di estendere in via analogica l'ambito applicativo della norma incriminatrice - che questa nuova fattispecie sia determinata in modo chiaro e univoco, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero rinvio alle citate disposizioni del codice penale (gli articoli 575, 579 e 580, che prevedono pene diverse per l'omicidio, l'omicidio del consenziente e l'istigazione o aiuto al suicidio); in alternativa, si potrebbe sopprimere la lettera c) del comma 1 dell'articolo 1;
rilevato che:
l'articolo 7, comma 3, del testo in esame - in quanto prevede che, in caso di controversia tra il medico curante e il fiduciario in merito al seguito da dare alle volontà espresse dal paziente nella sua dichiarazione anticipata di trattamento, la questione viene sottoposta alla valutazione di un collegio di medici, il cui parere è vincolante per il medico curante, fermo il diritto di quest'ultimo all'obiezione di coscienza - pone di fatto il medico curante sullo stesso piano del fiduciario, in contrasto con la giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha spesso richiamato il principio secondo il quale «in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere l'autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali» (sentenze n. 338 del 2003; n. 282 del 2002; n. 151 del 2009);
sotto il profilo del coordinamento interno del testo, va tenuto altresì presente che il comma 1 del medesimo articolo 7 - disponendo che le volontà espresse dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento sono prese in considerazione dal medico curante, che, sentito il


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fiduciario, annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle o meno - affida ogni scelta al medico, obbligandolo soltanto a sentire il fiduciario; per quest'ultimo, tra l'altro, non è richiesta alcuna particolare qualifica professionale;
rilevato, ancora, che:
la Costituzione sancisce il diritto della persona a scegliere le cure cui sottoporsi, stabilendo che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, fermo restando che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana;
il diritto della persona all'autodeterminazione non può, tuttavia, estendersi fino a disporre di valori indisponibili come la tutela della vita;
occorre pertanto trovare il miglior bilanciamento tra il diritto di rifiutare i trattamenti non desiderati e il dovere alla tutela della salute e della propria vita, che è un bene per la stessa società;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente condizione:
1) all'articolo 7, si sopprima il comma 3;
e con la seguente osservazione:
a) all'articolo 1, valuti la Commissione di merito l'opportunità di definire in modo chiaro e univoco la fattispecie penale dell'eutanasia e la relativa pena.


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ALLEGATO 2

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. (Testo base C. 2350, approvato in un testo unificato dal Senato, ed abb.).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL GRUPPO DEL PARTITO DEMOCRATICO

La I Commissione,
riunita in sede consultiva per l'espressione del parere sul nuovo testo della proposta di legge C. 2350, recante «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento»,
considerato che:
1. L'adozione di una disciplina delle dichiarazioni anticipate di trattamento è una fra le modalità possibili per garantire l'esercizio del diritto alla salute di cui all'articolo 32 della Costituzione. Tale disciplina, pur essendo una disciplina attuativa di un principio costituzionale, non ha un contenuto costituzionalmente vincolato: al legislatore è cioè riconosciuto un certo margine di discrezionalità. Tuttavia, quali che siano i contenuti di tale discrezionalità, il legislatore è comunque tenuto a rispettare il vincolo generale di ragionevolezza delle leggi ed è tenuto ad adottare una disciplina internamente coerente. Pertanto, se sono ammissibili - dal punto di vista costituzionale - più soluzioni normative, è comunque irragionevole prevedere l'istituto delle dichiarazioni anticipate di trattamento e al tempo stesso attribuire a dette dichiarazioni una efficacia pressoché nulla. Secondo il testo attuale del disegno di legge,mediante le direttive è possibile esprimere un mero «orientamento» (articolo 3, comma 1) ed esso ha valore puramente indicativo per il medico, il quale è unicamente tenuto a «prenderle in considerazione» (articolo 7, comma 1), annotando se del caso nella cartella clinica le «motivazioni per le quali intende seguirle o meno». In tal modo, si configurano le DAT come uno strumento inutile e contraddittorio: questa parte della disciplina è viziata da intrinseca irragionevolezza (e viola pertanto l'articolo 3, comma 1, della Costituzione).
2. La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 282 del 2002 ha affermato in maniera esplicita il principio del bilanciamento tra due diritti fondamentali: il diritto alla salute (articolo 32, primo comma, della Costituzione) e quello all'autodeterminazione e alla libertà della scelta terapeutica (articolo 32, secondo comma, della Costituzione). Essendo entrambi principi e valori costituzionali, essi non solo vanno letti contestualmente ma devono formare oggetto di un'accorta opera di bilanciamento, rispetto alla quale l'attività del legislatore deve essere molto prudente.
3. Il diritto alla salute, garantito dall'articolo 32 della Costituzione, include il diritto a che siano alleviate le sofferenze del malato in tutti i casi in cui ciò sia possibile. Il concetto di salute, infatti, va inteso come riferito al benessere psico-fisico della persona e non meramente alla preservazione della sua sussistenza fisica, pure rilevante. In quest'ottica, le cure palliative rappresentano ormai un contenuto implicito del diritto alla salute. Ciò è a maggior ragione vero nella prospettiva di uno sviluppo graduale dei valori costituzionali, i quali si inverano


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gradualmente e progressivamente nell'ordinamento giuridico, finendo per cristallizzarsi attorno al nucleo duro della disposizione costituzionale cui afferiscono. Se il disegno di legge in questione finalizza l'attività medica, fra l'altro, all'»alleviamento della sofferenza» (articolo 1, comma 1, lettera c)) e prevede un vero e proprio diritto dei pazienti terminali o in condizione di morte prevista come imminente «a essere assistiti con una adeguata terapia contro il dolore secondo quanto previsto dai protocolli delle cure palliative ai sensi della normativa vigente in materia» (articolo 1, comma 3), esso non può poi limitare i trattamenti in questione - che costituiscono il contenuto di un diritto costituzionalmente garantito - con riferimento ad una particolare categoria di malati. È peraltro proprio questa la scelta singolarmente compiuta dall'articolo 2, comma 8 (»Per tutti i soggetti minori, interdetti, inabilitati o altrimenti incapaci il personale sanitario è comunque tenuto, in assenza di una dichiarazione anticipata di trattamento, ad operare sempre avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute del paziente») che non prevede, fra le finalità che il personale sanitario è tenuto a perseguire, l'«alleviamento della sofferenza».
4. Mentre l'articolo 2, comma 1, stabilisce come regola generale che «ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole», l'articolo 2, comma 9, stabilisce che non sia necessario richiedere il consenso informato per somministrare un trattamento sanitario quando la persona incapace di intendere o volere «sia in pericolo per il verificarsi di una grave complicanza o di un evento acuto». La formulazione di questa seconda disposizione sembra comportare che il medico non è tenuto a richiedere il consenso tutte le volte in cui una terapia si dimostra necessaria e ciò indipendentemente dal fatto ad esempio che il verificarsi delle complicazioni e dell'acutizzarsi delle patologie fosse ampiamente prevedibile. Anche in questo caso ci si trova dunque di fronte alla previsione di una regola ed al suo successivo sostanziale svuotamento. Anche per questo profilo, pertanto, il disegno di legge in questione si rivela viziato da irragionevolezza e dunque costituzionalmente illegittimo.
5. L'articolo 3, comma 6, si rivela particolarmente generico e potenzialmente contraddittorio. Anzitutto risulta poco chiaro il concetto di «incapacità permanente» che viene utilizzato in tale disposizione. Inoltre, in tale (non chiara) ipotesi, risultano a rischio di esclusione sia le direttive anticipate di trattamento, sia le opinioni dei familiari (o delle figure di sostegno). Per questo punto, come per molti altri, il disegno di legge sembra ispirato ad una logica che mette al centro le opinioni del personale medico, dando considerazione pressoché nulla ai diretti interessati, il che risulta a sua volta contraddittorio con la ratio intrinseca di un disegno di legge ispirato alla finalità di valorizzare la volontà dei pazienti e l'alleanza terapeutica con il medico, mediante l'istituto delle direttive anticipate.
6. L'articolo 3, comma 5, prevede che l'idratazione e l'alimentazione, nelle loro diverse forme, debbano essere mantenute fino alla fine della vita. Tali trattamenti sanitari non possono pertanto formare oggetto di disposizioni anticipate di trattamento. A questa opzione si possono opporre due obiezioni, la prima di irragionevolezza interna, la seconda di contrasto con l'articolo 32, secondo comma, della Costituzione.
Per il primo profilo va notato che il divieto non si riferisce solo al caso degli stati vegetativi persistenti, in relazione ai quali esso potrebbe essere dotato di una sua ratio, ma, poiché nella norma viene ad assumere una validità generale, risulta irragionevole rispetto alla possibilità di esplicare a pieno titolo la propria personale concezione della identità e della di


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gnità umana, con l'aggravante anche dalla indeterminatezza della previsione su chi sia il soggetto responsabile della definizione dell'eccezione prevista dalla norma.
Anche in relazione agli stati vegetativi persistenti, un limite di questo tipo può costituire violazione dell'articolo 32 della Costituzione, il quale prevede non solo che nessun trattamento sanitario può essere reso obbligatorio se non per disposizione di legge, ma anche che la legge in nessun caso può «violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
esprime

PARERE CONTRARIO

Bressa, Amici, Bordo, D'Antona, Ferrari, Fontanelli, Giachetti, Giovanelli, Lo Moro, Minniti, Naccarato, Pollastrini, Maurizio Turco, Vassallo, Zaccaria.


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ALLEGATO 3

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. (Testo base C. 2350, approvato in un testo unificato dal Senato, ed abb.).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL DEPUTATO CALDERISI

La Commissione Affari costituzionali,
esaminato il nuovo testo della proposta di legge C. 2350, approvata in un testo unificato dal Senato, recante «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento»,
considerato che:
A) il progetto di legge, nel disciplinare la delicatissima questione del fine-vita, dovrebbe realizzare un ragionevole bilanciamento tra i beni e gli interessi costituzionali in gioco, ossia il diritto alla vita, il diritto alla salute ed il dovere del medico di curare, da una parte, e il diritto all'autodeterminazione individuale, la dignità personale, il rispetto della persona umana ed il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari non voluti, dall'altra, beni ed interessi che trovano fondamento negli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione;
come riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale, infatti, «la pratica terapeutica si pone [...] all'incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell'arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrità fisica e psichica, diritto questo che l'articolo 32, secondo comma, secondo periodo, della Costituzione pone come limite invalicabile anche ai trattamenti sanitari che possono essere imposti per legge come obbligatori a tutela della salute pubblica» (sentenza della Corte costituzionale n. 282 del 2002). C'è naturalmente ampia discrezionalità legislativa nel trovare il migliore bilanciamento tra questi beni e diritti costituzionali, ma questa discrezionalità non può spingersi fino ad azzerare, in determinate fattispecie, uno dei beni o diritti in considerazione. Il bilanciamento deve esser reale e, in qualche misura, non può che presentarsi come il frutto di compromessi realistici e ragionevoli;
il progetto di legge in esame, invece, da un lato, riconosce principi fondamentali a livello costituzionale, quali il principio della dignità della persona, che prevale rispetto all'interesse della società e alle applicazioni della scienza, il principio dell'alleanza terapeutica tra medico e paziente, il principio del consenso informato, dall'altra pone tali e tante limitazioni ai predetti principi da svuotarli sostanzialmente; un progetto di legge che interviene per disciplinare le «dichiarazioni anticipate di trattamento», come indicato nel titolo, e contemporaneamente prevede limiti assoluti al contenuto di tali dichiarazioni, con particolare riguardo alle più cruciali scelte di fine vita (articolo 3, comma 4), è in sé contraddittorio e denota un'irrazionalità intrinseca della normativa;
B) il progetto di legge non dà una definizione legale di eutanasia; viene infatti vietata «ogni forma di eutanasia» attraverso il richiamo a fattispecie penali (articolo 575 codice penale - «Omicidio», articolo 579 codice penale - «Omicidio del consenziente», e articolo 580 codice


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penale - «Istigazione o aiuto al suicidio») in realtà ben distinguibili dal concetto di eutanasia, in quanto relative a situazioni estranee alle problematiche di fine vita, che il provvedimento in esame intende disciplinare; non viene pertanto risolto il problema della definizione legislativa di eutanasia, cioè dei comportamenti che si intendono vietare sotto il duplice aspetto attivo e «passivo», in relazione al consenso del malato o alla sua assenza, dal punto di vista del malato e dell'agente; vengono invece introdotte previsioni penali irragionevoli e prive di determinatezza, in contrasto con l'articolo 25, secondo comma, della Costituzione, che prevede una riserva assoluta di legge in materia penale, da cui discendono i principi di sufficiente determinatezza e di tassatività delle fattispecie penali, volti ad impedire qualunque attività di integrazione o di creazione di illeciti penali da parte dei giudici e degli interpreti; la vaghezza dei riferimenti a tre diverse norme penali, che prevedono fattispecie penali assai distinte tra loro, punite con pene diverse nel quantum, e comunque difficilmente trasponibili alle problematiche di fine vita, rende possibili interpretazioni giudiziarie assai divergenti e addirittura creative, in contraddizione frontale con uno degli scopi della legge, cioè proprio quello di impedire derive giudiziarie in questo settore;
C) il progetto di legge, inoltre, non riguarda solo i casi di malati in stato di incapacità di intendere e di volere, come ad esempio i soggetti in stato vegetativo permanente o persistente, ma è applicabile anche ai soggetti pienamente capaci di intendere e di volere; in particolare, per quanto riguarda l'articolo 1 («Tutela della vita e della salute») la cui sfera di efficacia non è circoscrivibile alle situazioni di pazienti non coscienti:
C. 1) l'affermazione di principio iniziale contenuta nell'articolo 1, comma 1, lettera a) (la vita è diritto «indisponibile»), che per la prima volta viene introdotta nell'ordinamento, appare opportuna e condivisibile a condizione, però, che non pregiudichi il necessario bilanciamento che il legislatore è tenuto ad effettuare con altri beni e interessi costituzionalmente tutelati. Nel caso del progetto di legge in esame occorre evitare che tale affermazione di principio entri in contraddizione con il diritto individuale a rifiutare in piena coscienza e attualità di consenso alcuni trattamenti sanitari, anche laddove da questo rifiuto possa discenderne la morte. Ciò sembra confermato dall'inciso «anche» previsto nell'articolo 1, comma 1, lettera a) («diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell'esistenza e nell'ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e volere»); il che significa, se i termini usati hanno un senso, che il diritto è indisponibile anche prima della fase terminale e non solo nell'ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e volere;
C.2) all'articolo 1, comma 1, lettera c), vi è il chiaro riferimento a un divieto - ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 codice penale - di «ogni forma di eutanasia, e ogni forma di assistenza o aiuto al suicidio, considerando l'attività medica e quella di assistenza alle persone esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute nonché all'alleviamento della sofferenza». Non sembra che questa disposizione possa riferirsi esclusivamente alla condizione di soggetti in stato vegetativo permanente o persistente, ma emerge che essa possa estendere la sua efficacia anche a situazioni di pazienti pienamente coscienti. L'aggiunta - all'articolo 1, comma 1, lettera d) - dell'obbligo del medico di informare anche sul divieto di qualunque forma di eutanasia, rafforza questa valutazione; inoltre, lo stesso riferimento preciso alle finalità dell'attività medica sembra deporre nella medesima direzione, addirittura qualificando l'attività del medico che segua le indicazioni esplicite ed attuali del paziente con il riferimento a fattispecie penali gravissime;
C.3) di conseguenza, il riferimento - che pure è contenuto nell'articolo 1, comma 1, lettera e) - al principio per cui nessuno può essere obbligato ad un determinato


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trattamento sanitario, se non per disposizione di legge e con i limiti imposti dal rispetto della persona umana, sembra rimodellato nel modo che segue: l'autodeterminazione trova un limite legale, e questo limite è dato anche e proprio dalla normativa in esame, che avverte che il limite dell'autodeterminazione è situato nell'impossibilità di chiedere al medico «qualunque forma» di eutanasia. In tal modo, il problema del rispetto del diritto all'autodeterminazione garantito dall'articolo 32 della Costituzione è solo spostato verso le «forme» che l'eutanasia può assumere, che restano indistinte: se (in piena coscienza) si chiede al medico di non porre in atto un trattamento sanitario, che in base alle conoscenze mediche è il solo che può salvare la vita, vi è il rischio che tale richiesta urti contro i principi contenuti nell'articolo 1, comma 1, lettere c) e d). Ciò ripropone fortemente l'esigenza di chiarire cosa si intenda per eutanasia (attiva e passiva), in modo preciso e determinato ai sensi dell'articolo 25 della Costituzione;
D) sotto altro profilo, il bilanciamento legislativo non appare soddisfacente nemmeno in riferimento alla efficacia delle dichiarazioni anticipate di trattamento, quindi con riferimento alla forza della volontà espressa «allora» da un paziente «ora» in condizioni di incoscienza. Ciò risulta con evidenza in riferimento all'articolo 7 della proposta di legge, nella parte in cui si afferma che il medico è legittimato a non porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico, contrastando così le decisioni non solo del dichiarante, ma anche del fiduciario e addirittura dell'eventuale collegio medico. Qui è di tutta evidenza che la volontà espressa dal dichiarante, tutelata dall'articolo 32, comma secondo, della Costituzione, non è bilanciata affatto, ma assolutamente azzerata dalla prevalente volontà del medico. Il problema non pare affatto risolto dal comma 3 dell'articolo 7. Qui si prevede che in caso di controversia fra fiduciario e medico curante, la questione è sottoposta alla valutazione di un collegio di medici e che «il parere espresso dal collegio medico è vincolante per il medico curante, il quale non è comunque tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di carattere scientifico e deontologico. Resta comunque sempre valido il principio della inviolabilità e della indisponibilità della vita umana». Tale formulazione appare priva di senso giuridico: da una parte, si afferma la vincolatività, per il medico, del parere collegiale; dall'altra, però, il medico non è comunque tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni, non solo scientifiche, ma anche deontologiche; ciò, in buona sostanza, significa dire che il parere collegiale non obbliga il medico, proprio nei casi critici o eticamente cruciali. Tale soluzione può essere accettabile alla sola condizione che la stessa struttura di ricovero ovvero l'azienda sanitaria sia tenuta a individuare al suo interno altro medico disponibile a mettere in atto le indicazioni collegiali, con l'eventuale precisazione che, se tale medico non si trovi, onde evitare che al fiduciario e ai familiari del paziente non autosufficiente sia imposto di spostarsi in altro luogo di ricovero, debba prevedersi una procedura di assegnazione temporanea di un medico esterno disponibile (in caso di aziende sanitarie «pubbliche» o accreditate);
E) l'articolo 3, comma 5, sancisce l'obbligo di mantenere l'alimentazione e l'idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle, fino al termine della vita e dispone che l'alimentazione e l'idratazione non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento; viene dunque esclusa in assoluto la natura di trattamento sanitario dell'alimentazione e dell'idratazione forzata, anche se vi sono casi, ben noti alla pratica medica, in cui di trattamenti sanitari sicuramente si tratta, ed anche particolarmente invasivi, invadendo la sfera della scienza medica e sovrapponendo ad essa definizioni assolute. L'eccezione «del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni essenziali


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del corpo» costituisce solo una invasione ulteriore della sfera della scienza medica, giacché è ovvio per qualunque medico che un trattamento inefficace va evitato; se si vuole dire che è vietato l'accanimento, la disposizione è superflua, essendo già prevista dall'articolo 1, comma 1, lettera f). In questi termini, a seguito dell'esclusione in assoluto della natura di trattamento sanitario, il paziente non ha diritto di rifiutare l'alimentazione e l'idratazione forzata, in contrasto con gli articoli 32, secondo comma, e 13 della Costituzione,
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
1) sia introdotta una definizione legislativa di eutanasia, sotto il duplice aspetto attivo e «passivo», in relazione al consenso del malato o alla sua assenza, dal punto di vista del malato e dell'agente, e siano definite puntualmente le fattispecie penali relative al fine-vita, al fine di garantire il rispetto del principio di legalità in materia penale, di cui all'articolo 25, secondo comma, della Costituzione;
2) sia riformulato il testo alla luce di quanto espresso in premessa, al fine di realizzare un effettivo e ragionevole bilanciamento tra i beni e gli interessi costituzionali in gioco, che trovano fondamento negli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione: il diritto alla vita, il diritto alla salute ed il dovere del medico di curare, da una parte, e il diritto all'autodeterminazione individuale, la dignità personale, il rispetto della persona umana ed il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari non voluti, dall'altra. In particolare:
a) sia chiarito in maniera inequivoca che non è in alcun modo messo in discussione il diritto del paziente cosciente di rifiutare i trattamenti sanitari, incluso il diritto di interrompere i trattamenti sanitari già iniziati, modificando, sulla base dei rilievi contenuti in premessa (lettera C)), le disposizioni dell'articolo 1, comma 1, lettere a), c) ed e);
b) sia riconosciuto il valore della volontà del paziente, come espressa nella dichiarazione anticipata di trattamento, rispetto alle convinzioni del medico (fermo restando per quest'ultimo il diritto all'obiezione di coscienza) e, in caso di rifiuto del medico curante di seguire le indicazioni del collegio di cui all'articolo 7, comma 3, sia comunque garantito il rispetto della volontà del paziente in tempi certi e rapidi e nella stessa struttura di ricovero o, in caso di mancato ricovero, da parte dell'azienda sanitaria di competenza;
c) non sia escluso in assoluto il diritto del paziente di rifiutare l'alimentazione e l'idratazione forzata, sia in condizioni di capacità di intendere e di volere che di incapacità, consentendo, in questo secondo caso, la dichiarazione anticipata di trattamento;
oppure, in alternativa ad un effettivo e ragionevole bilanciamento tra i beni e gli interessi costituzionali in gioco di cui alla condizione 2):
2.1) si limiti l'intervento legislativo al divieto di eutanasia e di accanimento terapeutico, previa loro definizione legislativa, senza introdurre la dichiarazione anticipata di trattamento, lasciando quindi la «zona grigia» più delicata alla sapiente cura e decisione del medico, della persona interessata e dei suoi familiari.
Calderisi.


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ALLEGATO 4

Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. (Testo base C. 2350, approvato in un testo unificato dal Senato, ed abb.).

PARERE APPROVATO

La I Commissione,
esaminato il nuovo testo della proposta di legge C. 2350, approvata in un testo unificato dal Senato, recante «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento»;
considerato che le disposizioni da esso recate sono fondamentalmente riconducibili alle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato «ordinamento civile» e «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (articolo 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione);
rilevato che:
l'articolo 1, comma 1, lettera b), vieta «ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del codice penale ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio», senza tuttavia fornire una definizione di «eutanasia»;
se la volontà della Commissione di merito è di introdurre nell'ordinamento una nuova fattispecie penale in relazione all'eutanasia, appare opportuno - alla luce del principio costituzionale di tassatività della fattispecie penale, il quale impone al legislatore di definire con chiarezza e univocità la condotta per la quale prevede una pena e vieta al giudice di estendere in via analogica l'ambito applicativo della norma incriminatrice - che questa nuova fattispecie sia determinata in modo chiaro e univoco, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero rinvio alle citate disposizioni del codice penale (gli articoli 575, 579 e 580, che prevedono pene diverse per l'omicidio, l'omicidio del consenziente e l'istigazione o aiuto al suicidio); in alternativa, si potrebbe sopprimere la lettera c) del comma 1 dell'articolo 1;
rilevato che:
l'articolo 7, comma 3, del testo in esame - in quanto prevede che, in caso di controversia tra il medico curante e il fiduciario in merito al seguito da dare alle volontà espresse dal paziente nella sua dichiarazione anticipata di trattamento, la questione viene sottoposta alla valutazione di un collegio di medici, il cui parere è vincolante per il medico curante, fermo il diritto di quest'ultimo all'obiezione di coscienza - pone di fatto il medico curante sullo stesso piano del fiduciario, in contrasto con la giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha spesso richiamato il principio secondo il quale «in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere l'autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali» (sentenze n. 338 del 2003; n. 282 del 2002; n. 151 del 2009);
sotto il profilo del coordinamento interno del testo, va tenuto altresì presente che il comma 1 del medesimo articolo 7 - disponendo che le volontà espresse dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento sono prese in considerazione dal medico curante, che, sentito il


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fiduciario, annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle o meno - affida ogni scelta al medico, obbligandolo soltanto a sentire il fiduciario; per quest'ultimo, tra l'altro, non è richiesta alcuna particolare qualifica professionale;
rilevato, ancora, che:
la Costituzione sancisce il diritto della persona a scegliere le cure cui sottoporsi, stabilendo che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, fermo restando che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana;
il diritto della persona all'autodeterminazione non può, tuttavia, estendersi fino a disporre di valori indisponibili come la tutela della vita;
occorre pertanto trovare il miglior bilanciamento tra il diritto di rifiutare i trattamenti non desiderati e il dovere alla tutela della salute e della propria vita, che è un bene per la stessa società;
esprime

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente condizione:
1) all'articolo 7, comma 3, si sopprima il terzo periodo;
e con la seguente osservazione:
a) all'articolo 1, valuti la Commissione di merito l'opportunità di definire in modo chiaro e univoco la fattispecie penale dell'eutanasia e la relativa pena.

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