Sulla pubblicità dei lavori:
Bruno Donato, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DEL DISEGNO DI LEGGE C. 4275 COST. GOVERNO, RECANTE «RIFORMA DEL TITOLO IV DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE» E DELLE ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE C. 199 COST. CIRIELLI, C. 250 COST. BERNARDINI, C. 1039 COST. VILLECCO CALIPARI, C. 1407 COST. NUCARA, C. 1745 COST. PECORELLA, C. 2053 COST. CALDERISI, C. 2088 COST. MANTINI, C. 2161 COST. VITALI, C. 3122 COST. SANTELLI, C. 3278 COST. VERSACE E C. 3829 COST. CONTENTO
Audizione dei professori Gaetano Azzariti, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma, Francesco D'Onofrio, professore senior dell'Università degli studi La Sapienza di Roma e Alfonso Celotto, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi Roma Tre:
Bruno Donato, Presidente ... 3 8
Bongiorno Giulia, Presidente ... 9 13 16 18 21 26
Azzariti Gaetano, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma ... 3 8 21
Bernardini Rita (PD) ... 18
Calderisi Giuseppe (PdL) ... 8 18
Celotto Alfonso, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi Roma Tre ... 13 25
Contento Manlio (PDL) ... 8 19
D'Onofrio Francesco, Professoresenior dell'Università degli studi La Sapienza di Roma ... 9 22
Ferranti Donatella (PD) ... 16
Pecorella Gaetano (PDL) ... 16
Rao Roberto (UdCpTP) ... 20
Rossomando Anna (PD) ... 18
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Italia dei Valori: IdV; Iniziativa Responsabile (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): IR; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
La seduta comincia alle 14,40.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul disegno di legge C. 4275 cost. Governo, recante «Riforma del Titolo IV della Parte II della Costituzione» e delle abbinate proposte di legge C. 199 cost. Cirielli, C. 250 cost. Bernardini, C. 1039 cost. Villecco Calipari, C. 1407 cost. Nucara, C. 1745 cost. Pecorella, C. 2053 cost. Calderisi, C. 2088 cost. Mantini, C. 2161 cost. Vitali, C. 3122 cost. Santelli, C. 3278 cost. Versace e C. 3829 cost. Contento, l'audizione del professor Gaetano Azzariti, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma, del professor Francesco D'Onofrio, professore senior dell'Università degli studi La Sapienza di Roma e del professor Alfonso Celotto, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi Roma Tre.
Saluto i professori presenti, che hanno dato la loro immediata disponibilità a essere auditi su un tema estremamente delicato come quello che oggi stiamo affrontando e li ringrazio a nome mio, del presidente Bongiorno e delle Commissioni riunite affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni, e giustizia.
Avverto che la professoressa Paola Piras, ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi di Cagliari, la cui audizione era prevista per oggi, ha comunicato di essere impossibilitata a presenziare alla seduta odierna. La sua audizione si svolgerà quindi nel corso di un'altra seduta.
Do subito la parola al professor Gaetano Azzariti.
GAETANO AZZARITI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma. Grazie, presidente. Ringrazio anche i deputati presenti per la disponibilità ad ascoltarmi. Mi limiterò a svolgere solo alcune riflessioni su aspetti specifici dell'articolato presentato dal Governo per la riforma del Titolo IV per terminare con due osservazioni di carattere più generale, che ritengo siano da tenere presenti.
La prima notazione che vorrei svolgere è apparentemente marginale e fa riferimento alla denominazione prescelta per il Titolo IV, com'è noto non più «magistratura», bensì «giustizia». A me la ragione
politica e anche il significato simbolico della proposta, quelli di dare risalto al valore costituzionale sotteso e non, invece, all'organo che tale valore deve realizzare, sembrano chiari.
È un fatto noto, però, che la Costituzione vigente adotti una tecnica diversa, quella dell'indicazione degli organi per tutti i titoli di tutte le rubriche della seconda parte della Costituzione. Come sapete, si tratta del Parlamento, del Presidente della Repubblica, del Governo, delle regioni, delle province e via elencando.
Io credo che nella scrittura dei testi costituzionali la coerenza sistemica e formale costituisca un vincolo anche per il revisore. Il termine «giustizia» fa certamente parte di un repertorio retorico legittimo in sede politica, ma il punto di fondo è che in Costituzione il linguaggio deve assumere una coerenza d'insieme e sistemica che impone la concordanza tra le parti di un testo. Sarebbe preferibile adeguarsi al sistema definito in Costituzione perché tale termine non sia estraneo rispetto al contesto, lasciando la dicitura tradizionale di «magistratura» e non di «giustizia».
Veniamo ora ai problemi sostanziali. A me i princìpi ispiratori della riforma sembrano due e tra loro collegati. Il primo è esplicitamente dichiarato dalla relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge del Governo ed è quello di affermare una netta distinzione di ruoli tra giudici e pubblici ministeri.
Il secondo è forse implicito, ma si evidenzia in tutto l'articolato ed è quello di depoliticizzare la funzione giurisdizionale. Esprimo subito qual è il mio maggior timore in relazione a questo disegno di legge. Temo che si possa giungere, da un lato, a un depotenziamento del ruolo complessivo della giurisdizione e, dall'altro, a un'incongrua e contrapposta politicizzazione della magistratura, sebbene evidentemente di segno diverso rispetto a quella denunciata.
Lo spiegherò dettagliamente più avanti, ma in sintesi si passerebbe da una magistratura politicizzata a una politicizzazione della magistratura presidiata dalla politica.
Il mio primo timore, l'indebolimento della giurisdizione nel suo complesso, discenderebbe non tanto dalla volontà di distinguere il ruolo del giudice da quello del pubblico ministero, quanto dal modo in cui in concreto si persegue questo scopo. Infatti, più che le funzioni e le carriere, sono gli universi interi del giudicare, da un lato, e dell'inquisire, dall'altro, a venire divisi, distinti e isolati.
Non si tratta solo dei concorsi separati, né della distinzione dei due organi di autogoverno. Ciò che mi sembra più rilevante è l'attribuzione della giurisdizione in via esclusiva al giudice e non più al pubblico ministero. Come sapete, ciò è indicato espressamente nella proposta di modifica dell'attuale articolo 102 della Costituzione.
Escludere i pubblici ministeri dal ruolo propriamente giurisdizionale a mio avviso rischia di portare ad abbandonare l'idea che anche nella fase istruttoria e di indagine debbano essere assicurate agli indagati le garanzie giurisdizionali, le garanzie processuali, con effetti che ritengo negativi sul piano della cultura garantista, che credo, anzi sono sicuro, intenda invece ispirare tutti e che questo stesso disegno di legge dovrebbe sostenere.
Il processo e le sue garanzie sono, nella logica del disegno di legge del Governo di revisione del Titolo IV, ricondotti esclusivamente alla decisione del giudice. Tutto ciò che fanno i pubblici ministeri è ridotto esclusivamente a un intervento di parte nella logica del sistema proposto.
In tal modo, però, si fa venire meno, citando le parole della Corte costituzionale, «quel rapporto di compenetrazione organica a fini di giustizia» che ha portato la Corte stessa ad affermare che, mentre è ben possibile distinguere già nell'attuale sistema costituzionale - non c'è bisogno di riforma costituzionale - la figura, i poteri e le stesse funzioni del giudice rispetto a quelle del PM, non appare invece opportuno non ricomprendere nel concetto di
giurisdizione anche l'attività di esercizio dell'azione penale che la nostra Costituzione affida ai pubblici ministeri.
È nel processo inteso come procedimento, come decisione ovviamente, ma ancor prima come indagine, come raccolta delle prove, come contraddittorio delle parti, che si realizza la giurisdizione da un lato e si dà corpo anche al principio del giusto processo dall'altro.
D'altronde, se l'unico scopo dei proponenti fosse quello di differenziare le funzioni o, al limite, di distinguere le carriere dei magistrati, francamente non ci sarebbe bisogno di cambiare la Costituzione.
La Corte costituzionale ha affermato in una sentenza relativamente recente, del 2000, che l'unicità dell'ordine attualmente previsto dal 104 vigente «non contiene alcun principio» - sono ancora parole della Corte - «che imponga o, al contrario, precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate o che impedisca di limitare o condizionare più o meno severamente il passaggio dello stesso magistrato nel corso della sua carriera da una funzione all'altra».
È la Corte a precisare che ciò avviene a Costituzione invariata. La riprova di quanto sto affermando è rinvenibile, in fondo, dalle stesse vicende che hanno accompagnato la riforma ordinaria dell'ordinamento giudiziario. Se si ha in mente la previsione contenuta nell'originario decreto legislativo n. 106 del 2006, il cosiddetto decreto Castelli, deve riconoscersi che la sostanziale separazione tra funzioni giudicanti e requirenti era stata conseguita in via ordinaria.
In verità, mi pare che anche nell'attuale normativa, la legge n. 111 del 2007, che può ovviamente essere condivisa o meno, non possa negarsi che certamente si operi una distinzione entro i ruoli della magistratura, regolando passaggi da una funzione all'altra.
Ciò mi porta ad affermare che è altro che si cerca oltre alla distinzione delle carriere e io lo individuo nell'abbandono delle garanzie giurisdizionali nel corso delle indagini. Solo in questo modo si spiega la proposta di modifica dell'articolo 109 della Costituzione. La magistratura non disporrebbe più della Polizia giudiziaria «direttamente», ma secondo le modalità stabilite dalla legge.
Come si specifica nella relazione illustrativa, la disposizione tende ad assegnare alla polizia una piena autonomia nell'attività di preinvestigazione per verificare l'esistenza e l'evoluzione dei fenomeni criminali, che consiste nel ricercare e acquisire liberamente la notizia di reato, mentre all'ufficio del pubblico ministero spetta valutare i risultati dell'investigazione.
L'esclusione della decisiva attività preinvestigativa dal campo stesso dell'attività riservata all'autorità giudiziaria sia figlia, a mio avviso, della convinzione che solo il giudizio vada tutelato, mentre le indagini possono essere affidate a organi per nulla indipendenti e autonomi, quali i corpi di polizia, dipendenti, come è ben noto, sul piano amministrativo dal potere esecutivo.
In questa previsione c'è anche, e a me sembra evidente, la volontà di ridurre il ruolo dei pubblici ministeri, che, come è noto, da parte almeno dei proponenti si ritiene sia stato in questi anni eccessivo. Ovviamente non discuto il punto di merito, perché appartiene al giudizio politico e alla valutazione personale di ciascuno di noi, ma mi chiedo solo se per ridurre il potere dei pubblici ministeri la via idonea da seguire sia quella di attenuare la garanzia, dei pubblici ministeri, così come è nelle previsioni del nuovo articolo 104, il quale sostanzialmente decostituzionalizza la garanzia, trasferendo alla legge ordinaria, quella sull'ordinamento giudiziario, il compito di assicurare l'autonomia e l'indipendenza degli uffici e non invece dei singoli magistrati inquirenti.
Personalmente credo che ridurre il potere dei pubblici ministeri non significhi necessariamente attenuare le garanzie nei loro confronti. Al limite, ciò può richiedere la modifica degli attuali strumenti ordinari di indagine, ma è una questione diversa, che dovrebbe o potrebbe volersi affrontare non modificando la Costituzione, bensì intervenendo sui codici di rito, sugli strumenti processuali ordinari, anche perché la volontà di intervenire a livello
costituzionale per modificare l'equilibrio tra poteri e organi, in sostanza tra politica e magistratura, può produrre non tanto un effetto di equilibrio, quanto uno squilibrio uguale e contrario.
Come accennavo all'inizio, questo è il mio secondo timore. Premetto che anche in questo caso non discuto il giudizio politico che induce la maggioranza di Governo a ritenere che parte della magistratura inquirente sia politicizzata e, in base a questa convinzione, a proporre una neutralizzazione del potere politico dei giudici. Non discuto ciò, perché non spetta ovviamente a me.
Vorrei, invece, rilevare come a me sembri improprio ridurre il tasso di politicità nella magistratura attraendo a sé l'ordine dei giudici e gli uffici del pubblico ministero, cioè passare da una magistratura politicizzata, che si ritiene tale, a una politicizzazione della magistratura. Francamente credo che non sia una soluzione costituzionalmente idonea, non essendo questa prospettiva sorretta da una coerenza complessiva, come ora mi accingerò a dimostrare o comunque ad argomentare.
La tendenza che ho indicato emerge con chiarezza nella proposta di ridefinizione del rapporto tra i componenti laici e togati nei due Consigli superiori, aumentando il numero dei membri di origine politica. Questa misura, da un lato, evidentemente non è in grado di incidere sulla presunta politicizzazione della magistratura e, dall'altro, aumenta certamente l'influenza della politica all'interno dei Consigli.
Ai miei occhi questo aspetto appare tanto più incongruo perché il progetto in discussione, come è ben noto, tende proprio a eliminare tutte le funzioni politiche e paranormative attualmente svolte dal Consiglio superiore della magistratura.
Mi chiedo che senso abbia aumentare la componente politica nei due Consigli, se questi, come indicherebbe espressamente il nuovo articolo 105 al secondo comma, non potranno più adottare gli atti di indirizzo politico e non potranno più esercitare funzioni diverse da quelle previste dal primo comma del 105 di natura squisitamente amministrativa.
Che senso ha la presenza dei politici per assumere, assegnare, trasferire e promuovere i magistrati, cioè intervenire nelle loro carriere? Che senso ha se i Consigli non potranno più adottare quegli atti che oggi sono spesso sotto il fuoco della polemica politica, causa non ultima della revisione proposta?
Anche l'altra misura direttamente finalizzata a contrastare il fenomeno correntizio, ha indicato come lo strumento di politicizzazione della magistratura, non può essere esente da valutazioni e da perplessità. Mi riferisco evidentemente alla previsione del sorteggio preventivo. Esso induce, infatti, un elemento di casualità nell'elettorato passivo che non mi sembra possa essere adottato da un organo il quale, per quanto svolga oggi funzioni espressamente amministrative, continua, però, a esprimere una logica rappresentativa dell'ordine. Sorteggio e rappresentanza non sono compatibili.
A mio modo di vedere, il carattere preventivo del sorteggio, che permette di scegliere i sorteggiati, non vale a ridurre l'incompatibilità di principio tra sorteggio e rappresentanza, perché è sempre possibile, anzi in realtà è probabile, che le persone più rappresentative non vengano sorteggiate.
Anche in questo caso vorrei far presente che l'eventuale esigenza di regolamentare le correnti per ridurne il peso può ben essere soddisfatto con legge ordinaria. In fondo, la legge n. 44 del 2002 ha modificato il precedente assetto e la modalità di scelta tra i togati. Se non si è soddisfatti di questa modifica, si può eventualmente intervenire anche in questo caso a livello ordinario.
Vorrei soffermarmi ancora sulla previsione in base alla quale i Consigli non potranno più adottare atti di indirizzo politico, né esercitare funzioni diverse da quelle previste di natura amministrativa.
Su questo punto mi chiedo se in questa previsione debbano essere ricompresi tutti i pareri e anche le circolari, i regolamenti
e le risoluzioni, cioè tutti gli atti attraverso cui attualmente il Consiglio superiore della magistratura esercita la sua attività cosiddetta paranormativa.
In caso di risposta affermativa, verrebbe meno anche la possibilità da parte dei Consigli di adottare i pareri su richiesta del ministro, compresi i pareri a richiesta sulle questioni più strettamente amministrative, come è attualmente previsto all'articolo 10 della legge n. 195 del 1958.
Io credo che questo sia eccessivo. Se a un organo di rappresentanza della magistratura, per quanto esercitante funzioni esclusivamente amministrative, si nega anche la possibilità di esprimere pareri su richiesta su questioni legate, ad esempio, alla formazione delle tabelle degli uffici giudiziari, mi sembra eccessivo.
Vorrei aggiungere ancora una considerazione su questo punto. Esiste un rischio che può apparire paradossale, e che forse lo è, ma proprio per questo lo richiamo, perché lo credo paradossale, ma non irreale.
Come è noto, gli atti ritenuti politici adottati dal Consiglio superiore della magistratura e più criticati in sede politica sono le cosiddette pratiche a tutela, le quali, però, non sono le forme dei pareri, bensì quelle delle risoluzioni.
Il fatto che queste pratiche a tutela possano definirsi atti di indirizzo politico può essere discusso.
In quanto interferenti con le funzioni più generali di organizzazione della magistratura e, in quanto collegabili a giudizi su assegnazioni, trasferimenti e promozioni, non è detto che non possano rientrare tra gli atti di auto-organizzazione. Se ciò dovesse essere, ci troveremmo in una situazione paradossale, in cui il Consiglio non può esprimere pareri, ma solo difendere la corporazione, provocando anche atti del tipo tanto criticato.
Forse si potrebbe dire che ci troviamo di fronte alla nemesi di questa piccola storia, ma questo effetto si potrebbe anche imputare a un eccesso di zelo nella previsione costituzionale.
Infine, mi chiedo come l'amministrativizzazione dei due Consigli si concili con la natura propria degli organi di rilevanza costituzionale che evidentemente permane nei due Consigli. Da un lato, penso che a nessun organo di rilevanza costituzionale, quali che siano le sue funzioni, possa essere negata la legittimazione a sollevare conflitti innanzi alla Corte costituzionale e che, dunque, a nessuno di tali organi possa essere negato di considerarsi processualmente un potere dello Stato.
Dall'altro lato, però, la volontà di negare l'autonomia del potere della magistratura e probabilmente anche dei Consigli renderebbe meno lineare la possibilità di configurare le decisioni dei due Consigli superiori come espressione della definitiva volontà del potere cui appartengono, che, come sapete, è la formulazione dell'articolo 37 della legge n. 87 del 1953, il quale legittima processualmente gli organi di rilevanza costituzionale o, in questo caso, i Consigli.
La proposta abrogazione del primo comma dell'attuale articolo 104, che attualmente collega l'autonomia degli ordini con il ruolo costituzionale del Consiglio superiore della magistratura, e l'esclusione di ogni riferimento alla magistratura giudicante come potere nel novellando articolo 101, secondo comma del progetto, oltre alla formazione di cui al quarto comma del novellando articolo 104, che è dedicata all'ufficio del pubblico ministero ed evita volontariamente ogni riferimento persino all'ordine che detti uffici vanno a comporre, potrebbero rischiare di confondere il quadro sistematico, il quale richiede, invece, di conservare la configurazione di potere degli ordini anzidetti ai fini di legittimazione processuale.
Tralascio per ragioni di brevità altre considerazioni di natura assolutamente importante sul disegno di legge e, come premesso, concludo con due rapide osservazioni di carattere generale.
Mi sembra che si dia per scontato in sede politica che la presente riforma, se mai sarà approvata, lo sarà solo dall'attuale maggioranza parlamentare. Dati i
reali rapporti di forza attuali tra le forze politiche, non si tratta di una previsione avventata.
Si può aggiungere che questa riforma trae origine da una situazione di forte conflitto tra politica e magistratura, ma anche da una divisione profonda del tessuto sociale. Ovviamente anche in questo caso non sta a me valutare la situazione, che però può essere considerata un dato di fatto.
MANLIO CONTENTO. Allora non lo faccia.
PRESIDENTE. Onorevole Contento, consenta al professore di concludere il suo intervento. Poi, se vuole, potrà porre una domanda.
MANLIO CONTENTO. Presidente, si tratta di una questione troppo delicata..
GAETANO AZZARITI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma. La tensione tra politica e magistratura e la lacerazione del tessuto sociale possono essere considerate un dato di fatto. In ogni caso ciò che a me preme è altro.
So bene che già in passato tanto il centrosinistra con la riforma del Titolo V, quanto il centrodestra con la riforma della seconda parte della Costituzione, hanno approvato leggi costituzionali a stretta maggioranza. Io mi auguro che l'attuale Parlamento non ripercorra questa stessa strada. Osservo solo in proposito che due torti, del centrodestra e del centrosinistra nelle passate esperienze, non fanno una ragione.
In effetti, a me sembrano non illegittime, ma certamente criticabili tutte le riforme che trascinano nell'orbita di una qualunque maggioranza politica un testo, quale la Costituzione, che rappresenta il pactum consociationis che dovrebbe individuare i valori onnicondivisi, i princìpi che uniscono una comunità e non essere il luogo in cui vengono affermate le pur legittime visioni di parte.
GIUSEPPE CALDERISI. Fu attaccata anche la bozza Boato.
GAETANO AZZARITI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma. Onorevole Calderisi, io sono tra coloro che hanno criticato la bozza Boato scientificamente, ma non intendo polemizzare, ed è per questo motivo che mi permetto di richiamare le parole del Presidente Napolitano, il quale ha auspicato un più sereno clima istituzionale, ricordando come le regole fissate dall'articolo 138 della Costituzione siano «ispirate al principio della ricerca di un'ampia condivisione».
Il clima di divisione che si registra tra le forze politiche parlamentari consiglierebbe di soprassedere in questa fase dall'obiettivo di portare avanti un progetto di riforma costituzionale a stretta maggioranza, tanto più se - questa è l'osservazione conclusiva - ci si dovesse convincere che i problemi della giustizia non riguardano solo il piano costituzionale, quanto soprattutto la legislazione ordinaria.
Permettetemi di concludere con un rapido elenco. Si potrebbe intervenire sulla distribuzione territoriale dei tribunali e delle procure modificando l'organizzazione degli uffici giudiziari, si potrebbero modificare i codici di rito al fine di snellire le procedure, superando formalismi ritenuti da tutti ormai paralizzanti, si potrebbero modificare i codici sostanziali depenalizzando fattispecie di limitata pericolosità sociale, si potrebbe introdurre una normativa speciale che favorisca riti abbreviati e alternativi, si potrebbe incoraggiare in campo civile, come questa maggioranza ha meritoriamente cominciato a fare, la composizione extragiudiziaria delle liti - mi riferisco alla conciliazione e ad altre figure analoghe - si potrebbe riprendere la riforma che introduce il cosiddetto processo telematico, che pure questa maggioranza aveva iniziato a curare, si potrebbe pensare a un piano di ammodernamento delle strutture, che certamente richiederebbe un incentivo di spesa,
si potrebbe proporre un piano di riqualificazione del personale specializzato, cancellieri, ausiliari, magistrati, riformando
la scuola e i corsi del Consiglio superiore della magistratura, si dovrebbero incentivare comportamenti rigorosi e professionali dei giudici, eliminando o riducendo la possibilità di incarichi extragiudiziari e frenando la spettacolarizzazione della giustizia, e si dovrebbe, infine, riuscire a razionalizzare la copertura dei ruoli di magistrati, cancellieri e ausiliari con la previsione di un aumento dell'organico, ma anche con una diversa distribuzione nel territorio delle risorse umane esistenti.
Nessuna delle riforme del decalogo che vi ho indicato richiede una riforma del testo costituzionale, ma solo una volontà politica di uscire dalla stretta nella quale ci troviamo. Non sono tanto ingenuo da ritenere che il decalogo di riforme suggerito sia facilmente realizzabile. Ho solo voluto proporlo alla vostra attenzione per segnalare che una profonda riforma ordinaria della giustizia è necessaria, senza perciò dover necessariamente incrinare i complessivi equilibri che il nostro sistema costituzionale pone. Vi ringrazio per l'attenzione.
PRESIDENTE. Do la parola al professor Francesco D'Onofrio, professore senior dell'Università degli studi La Sapienza di Roma.
FRANCESCO D'ONOFRIO, Professore senior dell'Università degli studi La Sapienza di Roma. Ho appena ascoltato il collega Azzariti e, per evitare obiezioni alle osservazioni che sto per svolgere, preciso che ho la piena consapevolezza del fatto di essere stato per un tempo non breve membro del Parlamento e di ricoprire l'incarico di professore di diritto pubblico.
Capisco che è difficile distinguere la politica dal diritto costituzionale e ritengo che in questa sede debba prevalere, dal mio punto di vista, quella che considero una competenza costituzionalistica, immaginando che, se i colleghi delle Commissioni giustizia e affari costituzionali intendessero ulteriormente sentire l'opinione politica del gruppo politico al quale aderisco, lo possano fare sentendo i colleghi. Suppongo che i colleghi sentiranno anche la mia opinione, però in questo momento tenderei a limitare il mio intervento alle pochissime considerazioni che ritengo strettamente costituzionali e ovviamente di rilievo politico.
Uso l'avverbio «ovviamente» perché non vi è alcun dubbio che chiunque si occupi di Costituzione, in questo caso della Repubblica, esprima opinioni politiche. Non esiste un'opinione costituzionalistica priva di contenuto politico e, quindi, nel contesto delle audizioni, le due Commissioni, che ringrazio per l'invito, terranno molto conto del fatto che le opinioni politiche hanno anch'esse bisogno di una cultura costituzionalistica di fondo.
Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge del Governo tale fatto viene espresso in modo molto preciso. Io mi riferirò alle motivazioni indicate nella relazione e a un passaggio soltanto degli articoli per affermare, in sintesi, che, dal punto di vista costituzionalistico, non vedo obiezioni di principio né alla separazione delle carriere dei magistrati in giudici e inquirenti, né alle modalità di attuazione dell'obbligatorietà dell'azione penale, ritenendo che entrambe le questioni siano opinabili, come la storia del pensiero politico indica e come è avvenuto anche in Italia.
Occorre, però, capire, e lo chiedo in premessa, se si intenda mantenere o meno una Costituzione rigida. Quando l'Assemblea costituente eletta nel 1946 dovette decidere di dare vita a una Costituzione, la decisione di fondo che adottò fu quella di passare dal modello di legge ordinaria non costituzionale chiamato Statuto Albertino a un documento dotato di forza maggiore. Questo è il senso della giustizia. Che cosa è la giuridicità superiore della Costituzione, che io in questo testo vedo oscillante, ragion per cui lo chiedo in premessa? Interessa sapere se le due Commissioni e il Parlamento intendano mantenere
il principio della superiorità della Costituzione sulla legge ordinaria o meno o se in tema vogliano mantenere una posizione ambigua.
La rigidità della Costituzione italiana, per come è scritta quella vigente con le sue modifiche, perché la Costituzione vigente ha subìto significative modifiche, non solo del Titolo V, ma anche in riferimento al Senato della Repubblica, è evidente. La Costituzione vigente è stata scritta e pensata nel 1946-1947 come legge superiore, formula tipica del costituzionalismo statunitense.
Legge superiore rispetto a che cosa,? Rispetto alle cosiddette leggi ordinarie. In che modo è garantita tale superiorità? Essa è garantita con uno specifico controllo di costituzionalità, deciso da un organo mai esistito fino ad allora, chiamato Corte costituzionale, di cui questo disegno di legge non parla. Ciò significa che la Corte costituzionale rimane com'è, con i poteri che ha attualmente, con la procedura di investire la Corte o no, con la conseguenza delle sue decisioni, con la specificità della giurisdizione costituzionale rispetto alle diverse cariche politiche?
La giustizia costituzionale non fu decisa nel 1946-1947 come una questione ovvia e tecnica, ma al termine di dibattiti molto seri fra chi riteneva che non fosse possibile a chi non era eletto dal popolo esercitare funzioni di ordine costituzionale, opinione largamente diffusa all'epoca, e chi, invece, riteneva che ci volesse nella Costituzione di modello liberaldemocratico una pluralità di investiture al governo della Costituzione.
È una questione fondamentale. Una pluralità di investiture comporta la garanzia della superiorità della Costituzione. Nella pluralità dell'investitura è preminente quella elettorale, normalmente esercitata dal Governo e dal Parlamento, i quali trovano la legittimazione della propria esistenza normalmente nella procedura elettorale, all'interno degli ordinamenti democratici occidentali.
La magistratura non fa parte di questo tema. La scelta costituzionale non prevede la magistratura elettiva. Si pone, quindi, il problema dell'equilibrio non facile fra legittimazione elettorale e non elettorale.
La Costituzione trova l'equilibrio affermando la Costituzione rigida e disponendo che ciascuna delle funzioni giurisdizionali sia scritta in Costituzione, non nelle leggi. Ogni volta in cui si rinvia alle leggi sorge il problema di come vengono eletti i parlamentari, con sistema proporzionale, maggioritario, a uno o due turni, con o senza premio di maggioranza. Vorrei capire se questo problema è presente al Governo che propone questo disegno di legge oppure no.
Il disegno di legge è in costanza di questo modello elettorale? Tale modello si traduce in una maggioranza parlamentare che prescinde dal voto popolare a maggioranza. Ovviamente un altro conto è affermare la superiorità del Parlamento con un sistema nel quale in esso siedono rappresentanti della maggioranza del popolo. Non è la stessa cosa dal punto di vista costituzionale.
Tale fatto non viene precisato e sarei curioso di sapere se i molti rinvii alle leggi che questo testo prevede sono rinvii alle leggi emanate dal Parlamento eletto con un sistema che tende a essere prevalentemente adatto a favorire la governabilità dell'Italia e non la garanzia della rigidità della Costituzione.
Per questo motivo la domanda iniziale era se la garanzia della Costituzione rimane come fatto costituzionale oppure no. È una premessa di ordine costituzionale, non un fatto tecnico, perché si tratta di stretta decisione politica strategica. Il mio timore è che l'estrema quantità di previsioni legislative sui punti delicati della riforma faccia sorgere la domanda da chi verranno emanate tali leggi sull'indipendenza, sull'autonomia, sull'obbligatorietà dell'azione penale, sul potere disciplinare, sull'atto di indirizzo politico.
Le citate questioni sono rimesse alla legge e si parla di una legge che viene emanata da un soggetto chiamato Parlamento. È rilevante, quindi, capire se c'è o non c'è un'idea di modello elettorale, o almeno se il problema è stato preso in considerazione o meno. Nella relazione non se ne parla.
Si tratta di una perplessità di fondo di ordine costituzionale che prescinde dal ritenere del tutto ragionevoli e prevedibili i singoli istituti. È un problema molto diverso.
Vengo rapidamente alla premessa. La relazione, nell'indicare perché si giunge a una revisione di una parte rilevante della Costituzione, sostiene che lo si fa per tre motivi, che sarebbero i motivi legittimanti la necessità dell'intervento costituzionale.
Non mi è molto chiaro in che senso il riferimento alla giurisprudenza costituzionale avrebbe garantito la superiorità della Costituzione. Si tratta di una giurisprudenza molto varia e la rigidità della Costituzione non è una conseguenza della giurisprudenza della Corte. Essa è uno degli strumenti per garantire la superiorità. Vi chiedo che senso abbia questa motivazione.
Trovo molto interessante la seconda come valutazione politologica, ma non ne capisco il senso costituzionale. Il bipolarismo è un modello di governo politico del Paese che, come tale, può avere le costituzioni più varie, può essere accettato o meno, ma non risulta essere un titolo di legittimazione dell'esercizio delle funzioni legislative. La seconda motivazione è, quindi, di ordine socio-politologico e non costituzionale.
La terza motivazione è più strettamente legata alla Costituzione vigente e fa riferimento all'articolo 111 della Costituzione, modificato a sua volta dal testo del disegno di legge del Governo: si tratta di un mutamento strutturale che interviene rispetto alla Costituzione originaria nel modo di assicurare la giustizia come punto di arrivo di sostanziale eguaglianza di accusa e difesa.
Se questo è il punto centrale, ed è un aspetto che mi sembra molto importante, la riforma deve garantire tale eguaglianza dei punti di partenza, accusa e difesa, in modo più netto di quanto lo non sia in questo testo. L'eguaglianza del giudice è un punto di arrivo che, come tale, è modificato rispetto a quello che la Costituzione prevedeva con la garanzia data dalla magistratura e non dal giudicante soltanto. Si tratta di un mutamento radicale. Noi dovremmo ritenere che la Costituzione avrebbe introdotto una modifica radicale del modo di intendere la giustizia e la magistratura.
È un punto che andrebbe chiarito, non so se a livello di Governo o con il dibattito parlamentare o nelle Commissioni, perché mi sembra un punto dal quale si deve partire se si vuole considerare un intervento costituzionale. Non considero, invece, gli altri due punti qualificanti dal punto di vista di ordine costituzionale.
Nel merito del rinvio alle leggi viene persino il dubbio che si potesse non conoscere la differenza tra riserva di legge assoluta e relativa, anche se la relazione prevede uno specifico caso di riserva che definisce assoluta di legge.
Andando a leggerla nello specifico, però, non si capisce più se tale riserva sia assoluta o no. Mi riferisco a quella che riguarda il potere delicatissimo dell'inamovibilità dei magistrati. Sembra di sentire il discorso dei decreti legge con la previsione di straordinaria necessità e urgenza.
Ovviamente esistono, l'esperienza ci mostra che esistono, ma anche che si è fatto un larghissimo uso diverso del decreto legge rispetto alla straordinaria necessità e urgenza. È questo che si tiene come riferimento, la giurisprudenza della Corte costituzionale che alla fine è giunta ad affermare che esso non può essere più reiterato perché si era verificato un abuso? Che cos'è questa eccezionalità a proposito dell'inamovibilità? Affermata genericamente essa non garantisce l'inamovibilità, perché l'eccezione può diventare la regola.
La questione preliminare è, dunque, se si intenda mantenere o meno la rigidità della Costituzione. Il testo presentato su questo tema fa sorgere il dubbio che si vada verso una Costituzione flessibile e non rigida, al di là delle affermazioni di principio. Mi sembra che i molti rinvii alle leggi sui punti delicati rappresentino un grado di rischio che va oltre le definizioni specifiche.
È ovvio che l'altra questione di fondo riguarda i diversi criteri di legittimazione dell'esercizio del potere. Dobbiamo essere consapevoli - vedo con molto piacere che la relazione parla di autori costituzionalisti antichi e non solo italiani - che vi è una naturale tendenza al potere assoluto dell'investitura parlamentare popolare, la quale tende a diventare investitura legislativa, esecutiva e giurisdizionale.
Vi è una tentazione altrettanto assoluta del potere magistratuale a essere contemporaneamente legislativo, esecutivo e giurisdizionale. La Costituzione del 1947 trovò un suo equilibrio, che può essere cambiato, ma un equilibrio, a mio giudizio, deve esserci. Non vorrei che si passasse da una presunta, negata o affermata, tendenza assolutistica del potere magistratuale a una tendenza assolutistica dell'investitura popolare.
Tra due assolutismi dal punto di vista costituzionale sono necessari punti di equilibrio. Ho l'impressione che questo disegno di legge debba ancora dimostrare il punto di equilibrio sulla rigidità della Costituzione e sul primato delle garanzie costituzionali da parte di organi non legittimati elettoralmente.
Inoltre, non vi è alcun riferimento alle modifiche di ordine costituzionale che vanno sotto il nome generico di federalismo. Mi chiedo se se ne ignori totalmente il significato, se si ritenga che la questione si debba tradurre in un fatto elettorale delle singole regioni, in un fatto di diversa composizione dei Consigli superiori, in diverse modalità di selezione della magistratura e se sia un fatto totalmente irrilevante a livello centrale.
Mi chiedo se si sa che nel Titolo V della Costituzione riformato vigente esiste un articolo, il 116, che non risulta cambiato? Nella riforma costituzionale proposta dal centrodestra era stata prevista l'abrogazione della parte in cui si dispone che su richiesta delle regioni alcune funzioni giurisdizionali, pur molto limitate, possano essere regionalizzate.
Questo fatto è tenuto presente, non è tenuto presente, lo si ignora? Qual è il raccordo tra riforma federalista del sistema e riforma della magistratura e della giustizia? È un accordo necessario; si prende atto del fatto che nel Titolo V la giurisdizione rimane di competenza statale, ma in un contesto diverso, quello del sistema federale? Le competenze legislative attribuite alle regioni modificano radicalmente il senso della giurisdizione o no? Se lo modificano, in che modo lo si percepisce? Poiché tale visibilità non si percepisce, non si vuole che sia percepita, non la si deve percepire? Si va per compartimenti stagni?
La Costituzione originaria aveva una norma fondamentale, l'articolo 138, in base al quale, qualora due terzi di Camera e Senato concorressero sullo stesso testo, non si sarebbe tenuto il referendum popolare. È un radicalissimo principio di accantonamento del corpo elettorale come fatto di decisione sulla Costituzione. Tale maggioranza era di per sé uno strumento di sottrazione del potere decisionale al corpo elettorale.
Questo fatto rimane o no? L'articolo 138 della Costituzione che riguarda il fatto se ci debba essere la larga maggioranza o meno, esprimeva l'idea che sarebbe stata preferibile la larga maggioranza, caso in cui non si sarebbe fatto ricorso al referendum.
Questo principio è disponibile, fa parte della cultura dell'elasticità della Costituzione o no? La ricerca dell'intesa è una norma costituzionale sostanziale o è un fatto puramente casuale? Lo si è ritenuto come un fatto naturalmente conseguente al diverso sistema elettorale nel 2001 e nel 2005, si afferma che così non è, ma occorre capire se l'articolo 138 della Costituzione rimanga, non come norma giuridica, ma come fatto costitutivo della rigidità della Costituzione e del significato delle maggioranze parlamentari.
Altrettanto rilevanti sono le questioni che riguardano le diverse maggioranze previste in questo disegno di legge, le quali richiamano tutte il tipo di mandato elettorale, un'idea di che tipo di legge elettorale si può avere in mente. Questo fatto fa parte delle questioni non di diritto costituzionale positivo, ma di premessa costituzionale
della norma che riguarda il disegno di legge medesimo. Mi sembra che questa premessa sia necessaria.
PRESIDENTE. Do la parola al professor Alfonso Celotto, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma Tre.
ALFONSO CELOTTO, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi Roma Tre. Ringrazio i presidenti dell'opportunità che mi hanno offerto invitandomi. Mi ritengo un privilegiato a parlare per ultimo, in quanto già i precedenti interventi hanno sgombrato il campo da moltissime questioni da affrontare. Sarò, dunque, molto breve nelle mie considerazioni, rinviando ovviamente al testo scritto per considerazioni più puntuali.
Vorrei svolgere solo tre considerazioni di metodo e tre di contenuto.
Sul metodo partiamo dal drafting, quindi dalla confezione normativa di questa riforma costituzionale. Tale riforma decostituzionalizza - mi sia consentito questo termine - la materia, perché su alcuni punti fondamentali non dispone direttamente, non contiene norme prescrittive, ma rinvii alla legge. Non serve ora che io stia a leggere l'articolo 4 sulla separazione delle carriere, l'obbligatorietà dell'azione penale e tutto il resto.
Come, peraltro, è stato già affermato da chi mi ha anticipato, esiste un utilizzo molto ampio di rinvii alla legge e non occorre ricordare ai componenti delle Commissioni la differenza fra riserva di legge e rinvio alla legge. La nostra Costituzione è piena di riserve di legge, strumenti di garanzia che sono serviti storicamente per riservare al Parlamento l'intervento su materie più importanti.
Tuttavia, in presenza di una riserva di legge, c'è anche un'indicazione ben precisa di quale debba essere il senso di intervento della legge. Nel progetto di riforma costituzionale del Governo, invece, noi troviamo soprattutto rinvii alla legge: per esempio, l'ufficio del pubblico ministero, al nuovo articolo 112 della Costituzione, ha l'obbligo di esercitare l'azione penale secondo i criteri stabiliti dalla legge, quindi senza indicazione costituzionale, decostituzionalizzando, abbassando il tono del testo e consentendo alla legge di prendere determinate decisioni.
Come poi vedremo, notiamo ciò anche sulla questione della separazione delle carriere, l'altro grande punto centrale della riforma. Anche attualmente la nostra legislazione prevede una separazione delle funzioni. Probabilmente a Costituzione invariata con leggi ordinarie potremmo riuscire ad avere un risultato di separazione delle carriere quasi analogo a quello che vuole il disegno di legge di riforma costituzionale.
A livello di drafting, quindi, io rilevo una criticità determinata dal fatto che si usa un linguaggio poco adatto alla Costituzione, in quanto in questo modo aumentano a dismisura i rinvii alla legge. Nel nuovo Titolo IV, come modificato, ne conterei addirittura 21.
Inoltre, sempre dal punto di vista redazionale, noto che alcune disposizioni non sono tipicamente di rango e di tono costituzionale.
Porto un solo esempio sul nuovo articolo 105 relativo ai poteri del CSM. Il secondo comma recita «I Consigli superiori non possono adottare atti di indirizzo politico, né esercitare funzioni diverse da quelle previste dalla Costituzione». È una disposizione che non ha tipicamente rango costituzionale, in quanto è ovvio che ciascun potere dello Stato, qualunque ordine o funzione dello Stato non possa invadere funzioni diverse se non i poteri a sé assegnati. La proposta di legge è, quindi, lacunosa mediante i rinvii e inutilmente minuziosa in altri aspetti.
La seconda considerazione è sempre di metodo e riguarda il procedimento. Noi sappiamo che la Costituzione italiana è modificabile e che è stata modificata poco. Possiamo contare 16 revisioni costituzionali approvate negli oltre sessant'anni di vita della Costituzione, un numero basso, come sappiamo tutti, in quanto altre Costituzioni coeve, come quella tedesca, sono state modificate molto di più.
La scelta del legislatore di revisione costituzionale è stata quella di intervenire poco, accogliendo forse un auspicio di Meuccio Ruini nel discorso finale di consegna della Costituzione nel dicembre del 1947, quando affermò che la Costituzione doveva essere solo modificata, rettificata e non stravolta.
Esistono, quindi, queste 16 revisioni costituzionali che hanno sempre toccato uno o due articoli al massimo. L'unica volta in cui si è superato questo tetto nel numero di articoli è stato per il Titolo V, che è stato modificato in due volte, nel 1999 e nel 2001. Ci siamo accorti di come in quel caso l'utilizzo di uno strumento di revisione come l'articolo 138 sia stato improprio, in quanto molto probabilmente revisioni costituzionali ampie possono essere effettuate, ma con strumenti diversi.
Non è un caso che nella nostra storia costituzionale degli ultimi decenni siano stati attivati più volte strumenti appositi, Commissioni bicamerali o Commissioni istruttorie, per avere un procedimento differente e arrivare a una revisione più ampia.
A mio avviso, utilizzare lo strumento dell'articolo 138, lo strumento di revisione, per una riforma più ampia è inadatto dal punto di vista costituzionale. È una questione di opportunità, non di legittimità, perché nulla vieta al legislatore di revisione costituzionale di revisionare formalmente quasi l'intera Costituzione con l'articolo 138, però molto probabilmente la finalità di tale procedimento non è quella di riforme ampie, mentre in questo caso siamo di fronte a una riforma di una quindicina di articoli, ossia proprio a una riforma ampia.
Il terzo punto, sempre di metodo, riprende considerazioni già svolte. La Costituzione italiana è nata come una Costituzione di tutti. È un'annotazione di carattere costituzionale che ovviamente impinge sul terreno anche politico. Sappiamo benissimo che la Costituzione fu formata come un compromesso fra le diverse forze politiche e con un'approvazione a maggioranza molto ampia. Si scrive nei testi di storia costituzionale che probabilmente tale approvazione a maggioranza tanto ampia con compromessi alti fra le diverse forze politiche abbia creato un testo che è riuscito a restare in vigore per sessant'anni in maniera ancora forte e vigente.
Da almeno dieci anni, invece, possiamo assistere a uno svilimento del tono della revisione costituzionale, in quanto, come si può notare almeno a partire dalla XIV legislatura, molto spesso le maggioranze hanno portato la riforma della Costituzione nel proprio programma politico.
In questo modo si abbassa il tono della Costituzione, perché essa non è più la Costituzione di tutti, ma di una parte. È accaduto con la riforma del Titolo V, con la revisione della parte seconda della Costituzione del 2006 e rischierebbe di accadere anche adesso, ove mai una riforma del genere venisse approvata con una maggioranza assoluta e non qualificata.
Probabilmente - è un auspicio - le Costituzioni vanno riformate con un consenso molto ampio, proprio perché bisogna meditarle in maniera ampia. Non è un caso che l'articolo 138 preveda la doppia soglia, auspicando il raggiungimento dei due terzi, in maniera tale che ci sia un consenso parlamentare molto ampio e meditato sulle riforme.
Passiamo al contenuto. Anche in questo caso avevo promesso soltanto tre annotazioni. Sicuramente la giustizia in Italia ha molti problemi, che tutti conosciamo. Sappiamo anche che non spetta alla Costituzione risolvere molti di questi problemi, né il disegno di legge del Governo lo fa. Molti sono problemi pratici e operativi, rimessi alle leggi ordinarie o ai codici.
Molti punti che questo disegno di legge promette di riformare - e sottolineo «promette» - sono rinviati a leggi successive e, quindi, non potremo sapere esattamente come sarà l'obbligatorietà dell'azione penale quando sarà una legge a doverne stabilire le modalità.
Uno dei punti in cui più chiaramente incide il disegno di legge costituzionale è la separazione delle carriere. Sulla separazione delle carriere, a mio avviso, non si può essere favorevoli o contrari, in quanto si tratta della scelta di un possibile modello
di amministrazione della giustizia. È come scegliere fra monocameralismo e bicameralismo. Nei diversi Paesi del mondo ci sono diversi modelli con vantaggi e svantaggi e tutto ciò si può notare anche nei lavori dell'Assemblea costituente.
In Assemblea costituente si discusse lungamente se creare una separazione delle carriere o un ordine della magistratura unitario. La posizione più a favore della separazione probabilmente fu quella di Giovanni Leone, il quale, come già avrete letto e sentito ripetere più volte, auspicava proprio di avere un pubblico ministero alle dipendenze del ministro della giustizia.
Anche bilanciando questa posizione con le diverse posizioni di Togliatti, La Pira e Calamandrei si arrivò al compromesso, voluto dal costituente.
Come ricordato, esiste un'unitarietà della magistratura, ma è possibile una separazione delle funzioni e sappiamo come la legislazione abbia profondamente modificato la separazione delle funzioni anche negli ultimi anni, accrescendola e ponendo vincoli e limitazioni maggiori al passaggio delle funzioni.
Del resto, il modello della separazione a cui si ispira il disegno di legge del Governo è più o meno quello vigente in Francia.
I paragoni di diritto comparato sono sempre molto difficoltosi, perché ogni istituto va sempre collocato nel tessuto storico, culturale e normativo di ciascuna Costituzione, ragion per cui non si può mai sostenere che importiamo il sistema del CSM alla francese tout court così come è, ma ci si può ispirare a un determinato modello.
Possiamo vedere, per ricordarlo, che un sistema di separazione delle carriere è quello attualmente vigente in Francia, dove, per esempio, il Consiglio superiore ha la doppia composizione fra la magistratura du siège, cioè giudicante, e la magistratura du parquet, la magistratura requirente. Anche su questo fronte l'ispirazione è al sistema francese, a conferma che separazione o unitarietà delle funzioni non sono nette scelte politiche, ma modelli istituzionali che possono più o meno servire nell'equilibrio dei poteri.
In merito alla scelta del costituente italiano dell'unitarietà della magistratura probabilmente, quando si leggono in controluce gli atti dell'Assemblea costituente, ci si accorge che essa fu anche un modo per cercare di mantenere un'unitarietà del potere giudiziario in collegamento con il potere politico quanto meno nel CSM e non creare un sistema troppo distinto dei poteri. Le vicende istituzionali sono poi ben note e non spetta a me ricordarle.
Passo a due ultime annotazioni brevissime sulla composizione del CSM, anzi dei CSM, secondo l'auspicio della riforma.
Sappiamo che l'articolo 104 vigente pone la preponderanza della componente togata su quella laica. Voglio ricordare che non è stata una scelta casuale del costituente, in quanto il progetto di Costituzione poneva la parità fra i membri laici e i membri togati e fu un emendamento dell'allora giovanissimo onorevole Scàlfaro a insistere, invece, sulla prevalenza e sul passaggio ai due terzi.
Più volte la Corte costituzionale ha richiamato il principio della preponderanza della componente togata su quella laica proprio per garantire l'indipendenza dei diversi ordini. Cito solo una sentenza della Corte costituzionale, la n. 74 del 2009, che richiama proprio la preponderanza della componente togata su quella laica quale «principio costituzionale comune a tutte le giurisdizioni».
Lo richiama perché il problema era quello se anche negli altri Consigli superiori, negli altri CSM delle magistrature speciali, andasse o meno rispettato il principio della parità o della prevalenza della componente togata. La Corte ha ritenuto un principio costituzionale comune quello della prevalenza per garantire l'autogoverno, perché con la parità l'autogoverno non sarebbe garantito.
È vero tutto ciò? Non è detto, perché spesso il diritto è opinabile. L'organo di autogoverno della magistratura contabile è stato riformato due anni fa ponendo in parità i membri, quattro e quattro, e non
più con la componente prevalente togata, come invece negli altri organi di autogoverno. La Corte costituzionale nella sentenza n. 16 del 2011 ha ritenuto la questione inammissibile, avallando in fondo la scelta del legislatore ordinario di modificare questa composizione. Ci possono essere, dunque, margini alla legislazione ordinaria per modificare la composizione dei Consigli superiori.
L'ultima annotazione riguarda i magistrati onorari. L'articolo 106 della Costituzione ha indicato con sfiducia il ruolo dei magistrati onorari. Si discusse lungamente in Assemblea costituente sulle modalità di reclutamento. Alcune pagine sono famosissime anche nella storia perché, come sapete, si sostenne di dover prevedere anche in Costituzione il divieto che le donne potessero diventare magistrato.
Alla fine la norma venne assorbita nell'articolo 51, ma si discusse sulla modalità di reclutamento, che non doveva essere una modalità elettiva, ma una modalità di concorso, basata sul criterio di una magistratura tecnica, specializzata. L'articolo 106 lascia alla magistratura onoraria solo le cause minori.
Con la modifica dell'articolo 106 si consentirebbe alla magistratura onoraria di accedere a qualunque ufficio giudiziario. È un fenomeno da guardare con preoccupazione, perché sappiamo come molto spesso i magistrati onorari anche negli ultimi anni abbiano dato di sé prova più negativa che positiva.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.
GAETANO PECORELLA. Desidero porre alcune domande al professor Celotto. Ritiene che il modello di processo penale introdotto in Costituzione con l'articolo 111, il modello accusatorio con formazione della prova in contraddittorio, incida o no sulla posizione ordinamentale del pubblico ministero?
Ha portato cambiamenti l'articolo 111, introducendo il principio della terzietà, il principio del giusto processo, anche per quanto riguarda la collocazione istituzionale del pubblico ministero oppure il pubblico ministero non viene toccato da questa riforma?
La seconda domanda riguarda, invece, la questione della decostituzionalizzazione. Vorrei chiedere un contributo al professor Celotto proprio in relazione alla riformulazione dell'articolo 112 della Costituzione.
Noi ci proponiamo di stabilire criteri in base ai quali, dovendo il pubblico ministero per forza compiere scelte di priorità, indicare al pubblico ministero i criteri su cui basarsi. Quale altra formulazione sarebbe stata possibile?
Capisco che sarebbero state possibili soluzioni diverse, vale a dire, per esempio, che tale scelta venga affidata al capo dell'ufficio. Quale altro tipo di formulazione sarebbe stata possibile per individuare un soggetto che stabilisca i criteri di priorità dell'azione penale, posto che comunque i criteri di priorità non possono essere fissi nel tempo, perché può esserci il tempo della mafia, del terrorismo, della corruzione? Le chiedo se ci può suggerire come riformulare una norma con la quale vogliamo stabilire criteri di priorità e individuare il soggetto che stabilirà tali criteri.
Per quanto riguarda, infine, la magistratura onoraria, essa oggi riveste funzioni certamente di rilievo, perché il giudice monocratico è un giudice «pericoloso». Che cosa vede di peggiorativo nel progetto del Governo di riforma costituzionale rispetto alla situazione attuale? Al massimo tale giudice potrà entrare a far parte di collegi.
Inoltre, non le sembra che sia un problema di legge ordinaria, non il fatto di estendere la possibilità di magistratura onoraria, ma di emanare una legge che garantisca un magistrato onorario che abbia le caratteristiche idonee a svolgere tale funzione?
DONATELLA FERRANTI. Mi pare di aver colto da tutti e tre gli interventi dei professori, che ringrazio, il fatto che l'attuazione del principio della separazione
delle carriere non sia fissato in Costituzione. Non è un principio per cui sia quindi necessario emanare una riforma costituzionale.
Peraltro, mi sembra di ricordare che nella prima stesura della riforma dell'ordinamento giudiziario, la prima riforma Castelli, in realtà già si realizzasse la separazione delle carriere, sia pure non con due organi di riferimento, ossia con due CSM diversi.
È molto importante, invece, come principio fondamentale della nostra Carta costituzionale, perché si raccorda, a mio avviso, ma credo di averlo avvertito anche nelle parole dei professori e in merito vorrei conferma da tutti e tre, con princìpi fondamentali del nostro ordinamento, il fatto di garantire l'autonomia e l'indipendenza di tutta la magistratura.
Io ritengo che l'autonomia e l'indipendenza garantita dalla Costituzione al pubblico ministero garantisca anche l'autonomia e l'indipendenza del giudice, perché un giudice, soprattutto un giudice penale, si trova a dover giudicare su ciò che il pubblico ministero, anche separato, porta al suo giudizio.
Mi volevo agganciare anche alla domanda che ha posto il relatore Pecorella. Quale miglioramento può comportare il principio del giusto processo e di un giudice terzo nell'attuazione del principio costituzionale, un'impostazione quale quella che vediamo in questa riforma costituzionale governativa, laddove si garantisce soltanto l'autonomia e l'indipendenza dal punto di vista costituzionale del giudice ed è, invece, rimesso alla legge ordinaria il garantire l'ordinamento dell'ufficio del pubblico ministero, senza la fissazione di criteri che rappresentino i princìpi cardine e guida del legislatore ordinario?
Mi pare di aver sentito da tutti i professori l'affermazione, sotto questo profilo, di una decostituzionalizzazione. Quali ripercussioni può avere una decostituzionalizzazione, un pubblico ministero non effettivamente garantito, proprio sul giusto processo?
Pongo la domanda contraria rispetto a quella dell'onorevole Pecorella. Quali possono essere le ripercussioni nei confronti del ruolo del giudice, anche con riferimento all'altro aspetto della dipendenza funzionale, di cui non ho sentito parlare il professor Celotto e mi pare nemmeno il professore D'Onofrio, con riferimento alla possibilità prevista come principio costituzionale per cui il pubblico ministero ha la disponibilità funzionale e dispone direttamente della Polizia giudiziaria, eseguendo quindi il primo controllo di legalità, esercitando il suo compito nell'ambito di autonomia e di indipendenza e portando di fronte a un giudice, seppure con tutte le problematiche del nostro sistema giudiziario, elementi comunque riscontrabili e verificabili in tutto il suo percorso?
Nelle audizioni svolte questa mattina è stato evidenziato in alcuni interventi come in realtà la garanzia della giurisdizione autonoma e indipendente tutta volta a garantire il momento del dibattimento, vale a dire del processo, rimanga oscurata nella fase delle indagini. Sono princìpi attinenti proprio all'esercizio della giurisdizione.
Come va ciò a rendere attuale il principio del giusto processo? Non è un passo indietro rispetto al sistema vigente, che è sicuramente da migliorare e da verificare? Non ci sono norme processuali penali che possono garantire e dare attuazione concreta al principio del giusto processo e della parità delle parti?
Passo all'ultima domanda. Il professor Celotto ha parlato di separazione delle carriere e dei due CSM, ma non so se sia entrato nel merito delle modalità, non del numero, della loro composizione. Ha parlato della percentuale numerica tra laici e togati, ma non delle modalità di individuazione e definizione della componente togata. È idonea a garantire un organo di autogoverno che sia veramente tale una modalità di elezione attraverso il sorteggio e poi l'elezione del sorteggiato?
Infine, non ho sentito nessuno esprimersi sulla responsabilità del giudice, sull'articolo
113-bis, introdotto nella Costituzione dal disegno di legge del Governo. Se volete accennarvi, ne sarei grata.
RITA BERNARDINI. Io credo che dagli interventi e dalle relazioni che abbiamo ascoltato questo pomeriggio sia finalmente emerso un nodo fondamentale. Il deposito di questo disegno di legge governativo di riforma costituzionale è avvenuto a due anni dalla chiusura della legislatura. La domanda che mi pare sia stata posta è se sia necessario intervenire sull'architettura costituzionale per emanare alcune riforme che, da radicale, ritengo necessarie.
Voglio ricordare che esattamente nel 1999 la Corte costituzionale dichiarò ammissibili tre referendum, proposti evidentemente su legge ordinaria, dal momento che non si può intervenire altrimenti, che riguardavano la responsabilità civile del magistrato, la separazione delle carriere e il sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura. Ve ne erano altri, come quello sugli incarichi extragiudiziari, ma volevo ricordare questi tre.
Anche per le osservazioni importantissime svolte dal professor D'Onofrio sul sistema elettorale attualmente vigente e, in base alle voci che si fanno sempre più pressanti, sulla necessità di cambiarlo, non sarebbe importante da parte di chi ha avanzato queste proposte procedere con via ordinaria? C'è da discutere invece e va sicuramente attuato in modo necessario un intervento incidendo sulla Costituzione sull'obbligatorietà dell'azione penale, una riforma che riteniamo importante.
GIUSEPPE CALDERISI. Bisogna vedere se la Corte le accetta.
PRESIDENTE. Onorevole Calderisi, la prego.
RITA BERNARDINI. Giustamente l'onorevole Calderisi sostiene che la giurisprudenza della Corte, essendo stata ballerina in tutti questi anni, potrebbe non accettare questo tipo di riforme, ritenendole riforme di tipo costituzionale. Io credo che non sia così. Noi stavamo già discutendo in Commissione giustizia la legge sulla responsabilità civile del magistrato e credo che si possa fare altrettanto in merito alla separazione delle carriere e sul sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura. È davvero un intervento costituzionale, invece, quello che riguarda l'obbligatorietà dell'azione penale.
ANNA ROSSOMANDO. Anch'io ringrazio molto per le relazioni, anche perché sono collegate ad alcuni argomenti che abbiamo toccato anche stamattina e che vorrei riprendere.
In particolare, il professor D'Onofrio ha toccato un punto che mi interessava particolarmente e che era stato oggetto di domanda. Mi sembra di capire che anche lui si ponga il problema che, intervenendo in questo modo su questa parte della Costituzione, si interviene anche sull'assetto degli equilibri dei rapporti tra i poteri dello Stato, soprattutto sulla questione istituzionale, in merito alla quale, non a caso, viene citata continuamente la bozza Boato.
Indipendentemente dal merito di quella bozza, sul quale si può concordare o meno, essa prendeva in considerazione tutto l'assetto istituzionale, in particolar modo la forma di governo.
Io credo che ciò sia particolarmente indispensabile e importante proprio nell'ottica di chi dichiaratamente afferma che la necessità di questo intervento di riforma nasca dal rapporto tra politica e giurisdizione. Questo è il punto. Se esso nasce dal rapporto tra politica e giurisdizione, non si può intervenire solo sulla magistratura e non anche sulla parte cosiddetta politica.
Nell'audizione di stamattina io avevo posto una domanda precisa che andava anche al di là del contingente, vale a dire dell'attuale questione e dell'attuale legge elettorale, che è un particolare tipo di maggioritario, spurio e anche molto criticato. In un assetto che sta diventando in concreto sempre di più una bipartizione e non più una tripartizione tra i poteri e comunque in un assetto maggioritario non andrebbe rivisto, proprio nel nome delle
garanzie, l'assetto di quegli organismi di controllo?
Stamattina non avevo sufficientemente completato il mio discorso e forse sono stata male interpretata, ma il richiamo del professor D'Onofrio mi ha di nuovo ricordato la cosiddetta tendenza assolutistica sull'investitura popolare. Mi sembra di capire, e vi chiedo se non sia vero, che ci debba essere un equilibrio tra investitura popolare e organismi che non debbono rispondere a quel tipo di investitura, proprio perché si pone un problema di controllo nel nome anche di tali terzietà.
Ciò vale proprio dove c'è un esecutivo molto forte, perché negli Stati Uniti, dove il presidente è eletto direttamente e c'è un esecutivo fortissimo, l'organismo di controllo è svincolato da quel tipo di elezione politica, in quanto vi è uno sfasamento di tempi, come abbiamo imparato anche da alcuni avvincenti film sull'argomento.
Chiedo, dunque, un ulteriore chiarimento su questo tema, se, come mi pare di capire, ma credo che ciò non possa essere negato neanche dai relatori della proposta di legge, si interviene proprio su un cambiamento dell'equilibrio istituzionale dell'assetto dei poteri.
Passo all'altra domanda. L'onorevole Pecorella ha posto una domanda come sempre molto acuta e intelligente, ma anche pericolosa, dal mio punto di vista. Essa non verte tanto sulla terzietà del giudice, che viene sempre evocata, per esempio dall'Unione delle Camere penali. Si sostiene che non si interviene sul pubblico ministero, ma in realtà si libera il giudice, che deve essere terzo. In questa riforma, invece, si interviene sull'assetto del pubblico ministero.
In realtà, la questione che inevitabilmente si affronta è un assetto, in cui ci si chiede a chi debba rispondere e a quale tipo di controllo. Dico inevitabilmente perché si danno risposte da questo punto di vista. Alcune risposte sono già in campo perché nel disegno di legge Alfano, per esempio, si spiega molto chiaramente qual è l'idea dell'assetto del pubblico ministero.
Faccio mie anche le domande che sono state poste sul fatto se si debba intervenire sulla terzietà del giudice e se non ci sia uno spazio, a Costituzione invariata, per intervenire sulla legge ordinaria, anche se nell'audizione odierna non siamo in presenza di processual-penalisti. Approfondiremo la questione nel corso delle prossime audizioni.
Da questo punto di vista esiste una differenza fondamentale con la situazione in cui venivano posti i tre referendum che sono stati ammessi, di cui parlava la collega Bernardini, perché il presupposto a monte è che quei tre referendum intervenivano in quell'assetto costituzionale, con quel tipo di paletti e indicazioni. Ora, invece, con le leggi costituzionali in bianco, si apre un varco su cui poi si interviene.
L'altra questione che volevo porre è relativa all'articolo 138 della Costituzione, che è stato evocato sia dal professor D'Onofrio, sia dal professor Celotto.
Se ho capito bene, e chiedo conferma, agganciandosi all'articolo 138 e poi rinviando alle legislazioni ordinarie, che ovviamente hanno alla base diverse maggioranze, si teme da parte dei relatori un sovvertimento, perché non è più chiaro se uno dei princìpi cardine della nostra Costituzione, ossia che ci debba essere una condivisione più larga possibile, in realtà finisca per modificare i principi fondanti di questa Costituzione a maggioranza semplice, operando in un'altra ottica diversa, quella della maggioranza, che può essere questa o quella che ci sarà in un altro momento, peraltro eletta con questa legge elettorale, che dà un premio molto accentuato al principio di maggioranza, con cui si viene a cambiare la parte fondamentale della Costituzione. Chiedo se fosse questo il senso della perplessità denunciata. L'impianto di questa proposta in realtà muterebbe profondamente tutta la
Costituzione.
MANLIO CONTENTO. Vorrei chiedere a tutti e tre gli illustri ospiti se il procedimento previsto dall'articolo 138 della nostra Carta costituzionale sia attualmente quello che presiede alle procedure di riforma costituzionale e se, a loro giudizio, quando il legislatore costituzionale affidò
questa stesura, introdusse il limite dei due terzi proprio ai fini di suggerire che sarebbe stato meglio per evitare il referendum che ci fosse un'ampia maggioranza, ma non per questo escludendo l'applicazione dei primi commi, che prevedono la procedura di revisione costituzionale con leggi approvate ovviamente a maggioranza.
La seconda questione, che vorrei porre al professor Azzariti, riguarda la parte in cui fa riferimento alla sentenza della Corte costituzionale che ha citato per quanto concerne la non opportunità di non ricomprendere il pubblico ministero all'interno della giurisdizione. Chiedo se, come immagino, questa sentenza si riferisca allo stato vigente della Costituzione.
È collegata a questa la seconda domanda, allorché il professor Azzariti ha fatto riferimento a un'altra sentenza della Corte costituzionale, dalla quale, se non ho mal compreso, sembrerebbe che non ci sia l'obbligo di procedere con riforma costituzionale per arrivare a una netta separazione delle carriere.
Chiedo se ciò non precluda che il legislatore costituzionale possa affermare in via di principio la separazione delle carriere come elemento anche di principio, che deve essere poi assicurato dal legislatore ordinario, con tutte le conseguenze che da ciò possono naturalmente derivare.
Un'altra questione è quella relativa al sorteggio preventivo e al concetto di rappresentanza. È stato affermato dal professor Azzariti, se ho compreso bene, che si potrebbe a questo punto fare confusione, dal momento che non sempre le persone più rappresentative potrebbero essere sorteggiate.
Non ritiene che proprio per la stessa natura del sorteggio potrebbe accadere anche il contrario, cioè che in caso di sorteggio vengano, guarda caso, sorteggiate le persone forse non più rappresentative, ma che godono di maggiore rappresentatività, che sono anche aspetti diversi?
L'altra questione, collegata alla precedente, è quella della composizione del Consiglio superiore della magistratura. Perché ritiene che una composizione sostanzialmente paritetica, anche se di fatto non lo è, possa limitare attraverso il divieto della norma costituzionale che impone ai Consigli superiori della magistratura di occuparsi esclusivamente delle funzioni loro attribuite, la logica di questa scelta?
Lei, professor Azzariti, ha sostenuto che è piuttosto singolare che si aumenti la rappresentanza di designazione parlamentare in un organismo a cui viene preclusa l'adozione di atti di indirizzo politico. Non ritiene che forse il legislatore costituzionale e il Parlamento si stiano chiedendo se a questo punto non sia meglio fare in modo che tale rappresentanza sia paritetica per evitare gli sconfinamenti sul piano dell'indirizzo politico e per concentrare il ruolo del Consiglio superiore o dei Consigli superiori della magistratura nelle questioni che riguardano esclusivamente la magistratura e la giustizia, peraltro con un coordinamento che verrebbe aumentato e che già esiste, perché i padri costituenti lo ritennero attuabile attraverso la rappresentanza parlamentare dei designati e, quindi, che possa essere un apporto idoneo non ad aumentare il tasso di politicizzazione, che, come lei mi insegna, è già piuttosto alto, ma, come si spera, a
tentare di ridurlo?
ROBERTO RAO. Ringrazio gli auditi di questo pomeriggio. Alla luce di quanto è stato esposto dagli illustri professori e anche da alcuni colleghi, chiedo se a questo punto essi non ritengano preminente l'obiettivo o il risultato, qualora non fosse l'obiettivo, di minare la superiorità costituzionale della nostra Costituzione rispetto alle leggi ordinarie piuttosto che quello di una riforma della giustizia che, a quanto ci hanno riferito anche altri illustri professori intervenuti questa mattina, potrebbe per la maggior parte avvenire in via ordinaria.
Al professor Celotto specificamente chiedo se abbia, oltre alla considerazione di base, altri elementi per avvalorare la tesi che la magistratura onoraria si sia comportata in maniera non eccellente
tanto da determinare un suo giudizio negativo sulla proposta di riforma in oggetto per questa parte.
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.
GAETANO AZZARITI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma. Mi riservo di presentare una memoria più approfondita sulle questioni ascoltate e anche sulle considerazioni che io stesso ho svolto.
Vorrei sottolineare, anche se la domanda non è stata rivolta in particolare a me, ma a tutti noi, quanto hanno affermato sia l'onorevole Bernardini, sia l'onorevole Rao. La mia impressione - ma anche il senso della mia relazione - è la seguente: io ritengo che non sia necessario intervenire sull'architettura costituzionale per conseguire gli scopi auspicati. È ovvio che ogni maggioranza politica ha scopi politici che ritiene legittimi e che possono essere legittimamente perseguiti, ma per ottenere i risultati auspicati non mi sembra necessario operare una trasformazione dei princìpi costituzionali.
Più in generale, io sono convinto, come costituzionalista, ma anche come osservatore delle questioni di giustizia, che ci sia bisogno di un profondo intervento sul sistema giudiziario, di una riforma importante del sistema giudiziario, ma che ciò non debba necessariamente avvenire, e forse non è neppure opportuno, invertendo il piano costituzionale.
Per rispondere alla prima domanda che mi è stata espressamente proposta, dal mio punto di vista è evidente che le riforme costituzionali ai sensi dell'articolo 138 sono legittime, anche se varate a strettissima maggioranza.
Richiamavo nel mio intervento esperienze passate, in particolare quella relativa al Titolo V. Forse nel caso della riforma della seconda parte della Costituzione ci sono stati alcuni voti in più, non ricordo esattamente, ma per il Titolo V furono solo quattro i voti di scarto tra maggioranza e opposizione. È legittimo, quindi, un intervento a strettissima maggioranza ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione.
Ciò premesso, ritengo che, per le ragioni che sono state esposte da me e da altri, essendo la Costituzione un patto consociativo, è del tutto opportuno che si prenda atto della necessità di non seguire più tali precedenti. Per questo, osservando un dato di fatto, ossia che ci si trova in una situazione di evidente lacerazione e di divisione sul merito di questa riforma, può dirsi che essa se avrà un seguito, rischia di essere approvata a stretta maggioranza. È un rischio che io pavento.
Auspicherei, e in merito ho ripreso le parole del Capo dello Stato, che se questa riforma dovesse mai andare avanti, essa fosse una riforma approvata a larghissima maggioranza.
Sul pubblico ministero ribadisco la tesi di fondo: le sentenze che ho richiamato sono tese a sostenere che già a Costituzione vigente è possibile differenziare le funzioni, se non le carriere. Per questo motivo mi pongo la domanda sul perché bisogna allora cambiare la Costituzione. Se l'esigenza politicamente legittima, di separare le carriere volesse essere perseguita, lo si può fare con legge ordinaria. Ancora una volta non vedo perché intervenire sul piano costituzionale, viste le maggiori conseguenze negative.
Sul sorteggio preventivo, su cui mi è stato richiesto di specificare meglio, vorrei dire che due sono le alternative. Da un lato si potrebbe negare, ma mi sembra tecnicamente difficile, che i Consigli superiori, così come configurati dal progetto di riforma, abbiano una funzione di rappresentanza delle due magistrature, nel qual caso il sorteggio va benissimo. L'altra ipotesi, più corretta, è quella che prevede intervenire «solo» sulla struttura, sulle funzioni, sui poteri, delimitando ed eliminando quelli «politici», ma conservando la figura rappresentativa dei due ordini, delle due magistrature. È in questo caso che la riforma si pone in conflitto di principio con la logica del sorteggio, poiché
non permette di scegliere il rappresentante di qualcuno, ma una persona a caso.
Non voglio dilungarmi, ma sappiamo tutti che la democrazia nasce quando si estraggono a sorte le cariche politiche. È un sistema assolutamente nobile, che però non è consono in via di principio a un organo che deve essere, invece, rappresentativo di due magistrature.
Sulla composizione paritaria e la politica svolgo solo un'osservazione. Se questi Consigli superiori della magistratura dovessero svolgere, come si ritiene che debbano fare, soltanto funzioni amministrative, su trasferimenti, assunzioni, promozioni e via elencando, l'intervento dei politici, non credo potrebbe servire a contenere l'esorbitanza della magistratura, come invece rileva l'onorevole Contento.
Il rischio che io vedo nell'ipotesi di riforma è invero un rischio inverso, ossia che si possa assistere a una corporativizzazione dell'organo, perché un organo che ha soltanto la funzione di promuovere e trasferire è un organo corporativo.
Sulla cosiddetta amministrativizzazione del Consiglio ho già espresso alcune perplessità, vorrei aggiungere ora che, semmai, è proprio per evitare il rischio di corporativizzazione che credo ci sarebbe ancora il bisogno di una composizione mista, di una partecipazione di membri del Consiglio di origine politica, dei cosiddetti laici, non però certo di una così esteso numero.
In fondo era una provocazione quella che ho voluto formulare nel mio intervento quando ho invitato a stare attenti - scusate il linguaggio forse troppo diretto - perché, quando si compie il tentativo di evitare l'esorbitanza della magistratura nella politica, ma a tal fine si schiaccia il ruolo costituzionale dei Consigli sul piano della mera gestione della magistratura, non può escludersi poi che il Consiglio superiore della magistratura intervenga a tutela dei magistrati, e allora c'è il rischio che riappaiano le criticate «pratiche a tutela», ma con altri nomi, ma con analogo contenuto «politico».
D'altronde quando c'è un violento contenzioso tra politica e singolo magistrato e quest'ultimo è individuato nominativamente e direttamente criticato perché si ritiene travalichi le sue funzioni, è chiaro che la denuncia effettuata in sede «politica» dovrà poi essere presa in considerazione dal Consiglio superiore della magistratura quando questo soggetto chiederà una promozione. Non credo si possa sfuggire da questa situazione problematica.
Anche per questo motivo insisto e ritengo che forse una situazione più pacata potrebbe migliorare le condizioni per riflettere sulla Costituzione. Al momento in materia giudiziaria, penso si possa intervenire, ma la Costituzione, con gli attuali problemi politici della giustizia, a mio modo di vedere, non c'entra nulla.
FRANCESCO D'ONOFRIO, Professore senior dell'Università degli studi La Sapienza di Roma. Mi riservo di scrivere puntuali risposte, ma ci sono tre questioni sulle quali un tentativo di risposta deve essere svolto.
La prima è la domanda dell'onorevole Contento. Se ho capito bene, la domanda è se l'attuale articolo 138 della Costituzione, il procedimento di revisione, imponga o non imponga l'obbligo dei due terzi, se cioè si sta procedendo nel modo corretto nel senso che anche una maggioranza assoluta, ma non dei due terzi, possa legittimamente modificare ciò che ritiene opportuno modificare o meno.
Per quanto mi riguarda non ho alcun dubbio che si possa operare anche con maggioranza assoluta e non dei due terzi, ma occorre avere presente che l'articolo 138 è stato scritto nella Costituzione - lo preciso perché è un punto di estrema delicatezza e ho il rammarico che la cultura costituzionalistica recente non se ne sia più molto fatta carico - fu scritto quando era previsto in Costituzione che il Senato durasse sei anni e la Camera cinque. Le diverse maggioranze avevano, dunque, attinenza anche al fatto che c'erano procedimenti elettorali non contestuali nelle due Camere.
L'articolo 138 fu scritto prevedendo la garanzia dei due terzi per evitare la possibilità del ricorso elettorale. Essa si riteneva politicamente assicurata da soggetti che nell'Assemblea costituente non avevano nessuno dei due i due terzi da solo. Tali soggetti, pur essendo alternativi dal punto di vista dei programmi - lo sarebbero diventati nel corso del 1947, ma non lo erano nel 1946; mi riferisco al Partito Comunista e al Partito democratico cristiano - ritenevano di essere comunque convergenti, non per consociazione, come affermato nella relazione di accompagnamento, ma per il ragionamento costituzionale politico di essere convergenti in una Costituzione che aveva elementi comuni, al di là delle divergenze di governo, e che le divergenze dovessero trovare nella rigidità della Costituzione e nel procedimento dell'articolo 138 la garanzia che chiunque avesse vinto le elezioni politiche con un sistema elettorale che garantiva di avere la maggioranza
popolare a favore non avrebbe cambiato la Costituzione.
Questo è il problema politico di fondo. Se si ritiene, come si asserisce nella relazione di accompagnamento, che siamo passati a un sistema bipolare, come se prima esso non ci fosse, e che tale sistema bipolare sia costruito ritenendo che vi sia la legittimazione di entrambi i poli, allora ci deve essere una convergenza di entrambi i poli.
Se, invece, si ritiene, come purtroppo si ritiene da qualche tempo, che quello dei due poli, quale che esso sia, che ha la maggioranza popolare possa fare della Costituzione ciò che esso ritiene di fare, si arriva a un processo di decostituzionalizzazione in atto, che questo disegno di legge di fatto comporta.
L'articolo 138 della Costituzione, onorevole Contento, di per sé non impedisce di emanare una legge costituzionale come questa, ma la domanda è se il sistema bipolare al quale si fa riferimento nella legge di accompagnamento presupponga il reciproco riconoscimento o meno.
Se non lo presuppone, ovviamente avviene la decostituzionalizzazione della Costituzione, cioè subentra l'idea che la Costituzione diventa legge ordinaria e che chi ha la maggioranza popolare può farne ciò che vuole.
Ovviamente si può emanare una Costituzione per ogni maggioranza popolare, ma ciò sarebbe la fine del principio della Costituzione rigida. Occorre solo capire se si vuole questo, se questo è l'obiettivo strategico e politico-costituzionale. Di questo si tratta, ossia se esistano regole comuni ai due poli.
Se esistono regole comuni, si specifichi quali sono e in che modo sono garantite anche con la maggioranza dei due terzi. Se non ce ne sono, ovviamente non c'è problema.
Passo al secondo punto posto dall'onorevole Rossomando. Certamente nella nostra Costituzione originaria vi era la cultura della contestualità delle questioni. Non vi è la pretesa che si emani una riforma che riguardi tutta la Costituzione. Si può anche intervenire parte per parte, ma bisogna capire che nella Costituzione vigente la revisione costituzionale è insieme alla Corte costituzionale elemento di garanzia.
La Corte costituzionale fu duramente contrastata come principio di rigidità all'interno dell'Assemblea costituente ed è composta in modo diverso dal Parlamento, non con un sistema elettorale autonomo, non come il Consiglio superiore della magistratura, ma con legittimazioni culturali, politiche ed elettorali diverse l'una dall'altra.
O si accetta la diversità delle legittimazioni - in ciò risiede la garanzia - o non c'è garanzia, qualunque sia il sistema politico. La garanzia era ritenuta sussistente nella pluralità delle legittimazioni.
Una parte della Corte costituzionale, solo un terzo, ricava la legittimazione dal sistema elettorale del Parlamento, peraltro a maggioranza dei due terzi e quindi comunque, mentre gli altri due terzi sono soggetti nominati da un organo di garanzia costituzionale, il Presidente della Repubblica, che non ha alle spalle un sistema elettorale autonomo di alcun tipo. I restanti
sono nominati addirittura dalla magistratura, che non ha per definizione alcun sistema elettorale.
Occorre capire che la garanzia è scritta in Costituzione sul presupposto che esistevano regole comuni che si possono cambiare soltanto se erano d'accordo i soggetti costituenti.
Questa domanda oggi è ancora in vigore, pur essendo cambiati i soggetti costituenti oppure no? Se è in vigore, occorre che l'articolo 138 preveda l'obbligo dell'intesa dei due poli, se il sistema è bipolare. Se, invece, non vi sono regole comuni, vi chiedo veramente quale sia il motivo per il quale si dovrebbe discutere di materia costituzionale.
È stato affermato nel dibattito che del programma della maggioranza fa parte anche la Costituzione. Ciò è conseguenza del fatto che la Costituzione è diventata oggetto di una cultura di parte e non di una cultura comune. Il presente disegno di legge del Governo tende a completare istituzionalmente un itinerario che esclude una garanzia non vissuta dai diversi poli. È un problema molto delicato, al di là delle singole questioni.
Sulle singole questioni, anche le più irte di difficoltà, quali l'obbligatorietà dell'azione penale, la separazione di carriere, l'inamovibilità, non vi sono pregiudiziali di carattere costituzionale, ma vi è la domanda di fondo se si ritiene che su tali questioni ci debba essere o meno un'intesa politica che le riguardi. Questa è la garanzia costituzionale. Se non c'è, è ovvio che la maggioranza è legittimata dall'articolo 138 a varare la riforma costituzionale che vuole.
Come ultima considerazione, la bozza Boato ovviamente faceva parte di una riforma complessiva della Costituzione. Io ero relatore della parte riforma dello Stato ed ero del tutto consapevole che vi erano la giustizia, il Parlamento e il Governo, ed è per questo che ho ritenuto improvvida e impropria la decisione di approvare il Titolo V della Costituzione come fatto autonomo, perché era un fatto assolutamente di pregiudiziale politica e non aveva nulla a che fare con i contenuti.
Ovviamente l'ordinamento federale dello Stato non può avere lo stesso sistema di garanzie: o si va a un sistema elettivo, o a una cogestione, o a una modifica degli organi, ma una soluzione va indicata.
In che modo si traduce la scelta federalistica nell'ordinamento della Repubblica e nella formazione del Parlamento? Sento parlare del Parlamento in seduta comune, ma di quale Parlamento in seduta comune si parla? Non si parla più di Senato federale? Se ne parla ancora, si ritiene che possa esserci. Che cos'è, è un'altra Camera che per puro caso esiste? Occorre capire se chi ha scritto queste parti ritiene che tali vicende non abbiano comunque alcun riflesso sulla giurisdizione o se ne abbiano qualcuno.
In questo senso non mi meraviglio che si affronti solo una parte della riforma costituzionale, ma non si può non avere un'idea di che cosa accada nel resto.
La pregiudiziale dell'articolo 138, onorevole Contento, è fondamentale per il procedimento davanti alle due Commissioni.
La terza questione riguarda l'istituto della garanzia. Vorrei evitare che si continuasse a sostenere che il Presidente degli Stati Uniti è eletto direttamente dal popolo degli Stati Uniti, perché non è così. È il presidente di un sistema federale ed è eletto con un sistema che non prevede il cittadino degli Stati Uniti. Ovviamente il contesto federale diventa tale persino nell'elezione del Presidente degli Stati Uniti, nelle modalità di elezione. Come tutti sappiamo, si diventa presidenti se vi è la maggioranza dei cosiddetti voti presidenziali, che sono una cosa diversa. Non vi è il voto dell'elezione del Presidente da parte dei cittadini degli Stati Uniti alla pari in California o in Nevada.
Occorre capire anche in questo caso che un sistema presidenziale come quello è anche federale, non è casualmente un sistema di decentramento. È un sistema federal-presidenziale e non è lo stesso di un sistema presidenziale senza il contemperamento federale. Ovviamente non è lo stesso, perché una cultura liberaldemocratica di garanzia richiede l'intesa delle
parti, mentre una cultura diversa da quella liberaldemocratica - ve ne sono tante nella storia dell'umanità - si comporta in altro modo. Occorre capire che cosa si vuole.
Il mio timore è che il disegno di legge del Governo lasci indeterminate alcune questioni fondamentali per un giudizio di ordine costituzionale.
ALFONSO CELOTTO, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi Roma Tre. Parto dalle considerazioni sull'utilizzo dell'articolo 138 della Costituzione del relatore Contento e dell'onorevole Rossomando.
È assolutamente legittimo con l'articolo 138 cambiare quasi tutto in Costituzione, tenendo conto dei limiti dell'articolo 139 e degli altri limiti taciti. Il procedimento dell'articolo 138 è assolutamente unitario e, quindi, si raggiunge il medesimo risultato sia che la maggioranza sia assoluta, con o senza referendum, sia che sia qualificata.
La mia era una notazione di prudenza sulle riforme costituzionali, come ci dimostrano le riforme effettuate. Molto spesso, dopo che sono state varate le riforme costituzionali approvate negli ultimi anni, ci si è accorti che forse era addirittura migliore il testo precedente.
Il caso dell'articolo 68 è evidentissimo. Quante volte negli ultimi mesi è stato richiamata la volontà di tornare al vecchio articolo 68? Anche col Titolo V, probabilmente i rapporti tra Stato e regioni erano più chiari prima del 2001 e non dopo. Occorre prudenza, quindi, nel modificare la Costituzione.
Tuttavia, io - è un'opinione personale - sono a favore della modifica costituzionale in generale. L'articolo 138 esiste perché la Costituzione deve essere attualizzata al modificarsi della vita costituzionale. Lo scollamento fra costituzione formale e il testo della Costituzione vigente è molto pericoloso e giustamente bisogna cercare, con la prudenza con cui va modificata, di rendere la Costituzione attuale.
L'altro relatore, l'onorevole Pecorella, mi faceva riflettere sull'articolo 111 della Costituzione. Certamente esso ha cambiato il ruolo del pubblico ministero. D'altra parte, se basta una virgola nel responso della Sibilla a modificare l'intero responso, figuriamoci se la modifica dell'articolo 111 non ha modificato il ruolo di parte del pubblico ministero. Non è un caso che, dopo quella modifica, la separazione delle funzioni sia stata di molto accentuata, proprio per scindere la posizione del pubblico ministero rispetto alla parte processuale.
Sempre l'onorevole Pecorella mi lancia una sfida intellettuale, invitandomi a proporre un testo dell'articolo 112 della Costituzione migliore di quello prospettato nel testo del Governo. Mi faceva venire in mente quando il Presidente Branca, uscito dalla Corte costituzionale, scrisse una nota durissima, Quis adnotabit adnotatores?, per rilevare che è molto più facile scrivere note a sentenza e commentare che non scrivere le sentenze stesse. Per me è molto più facile fare il professore chiamato a criticare il testo da voi scritto che non scrivere il testo in sé.
Al di là della battuta, capisco che si intenda scalfire un principio. In Costituzione oggi è scritto che l'azione penale è obbligatoria, ma sappiamo che di fatto non lo è, perché ci sono direttive dei capi degli uffici che consigliano in materia.
Ovviamente si vuole attualizzare e far venir meno tale principio. Si possono stabilire criteri migliori del semplice rinvio alla legge? Capisco che è molto difficoltoso, ma accetto volentieri la sfida intellettuale e, se riesco ad avanzare una proposta costruttiva, la farò, però il punto è difficile e mi serve un po' più di tempo.
Sulla magistratura onoraria ancora l'onorevole Pecorella e l'onorevole Rao mi chiedevano i motivi del mio scetticismo. Sono fatti di cronaca frequenti e molto spesso i magistrati onorari hanno dato prova di sé peggiore di quelli professionali. Forse andrebbe incentivato l'utilizzo dei magistrati per professione, incentivando le scuole per magistratura e il reclutamento dei professori universitari con l'articolo 106, terzo comma, col passaggio diretto in Cassazione.
L'ultima notazione riguarda il sorteggio o l'elezione. L'onorevole Ferranti e l'onorevole Contento ci chiedevano di rispondere su questo punto. Mi viene in mente lo status dei professori universitari. I concorsi per i professori universitari ondeggiano spesso fra sistemi per elezione e sistemi per sorteggio. Alcune volte si afferma che bisogna preferire la rappresentatività e altre l'oggettività delle Commissioni.
È proprio questo il punto. Se vogliamo creare organi di autogoverno rappresentativi, ci vorranno metodi elettorali. Se inframmezziamo il sorteggio, come per esempio anche per i professori universitari, si creeranno organi forse più oggettivi, ma anche meno rappresentativi e, quindi, forse meno funzionali.
PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,35.