Sulla pubblicità dei lavori:
Gibelli Andrea, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 1741 RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI GESTIONE DELLE CRISI AZIENDALI
Audizione di rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana (ABI):
Gibelli Andrea, Presidente ... 3
Vignali Raffaello, Presidente ... 7 10 12
Abrignani Ignazio (PdL) ... 7
Contento Manlio (PdL) ... 8
Ferranti Donatella (PD) ... 9
Granata Enrico, Responsabile area normativa dell'ABI ... 3 10
Lulli Andrea (PD) ... 9
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: Misto-RRP.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 9,15.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva deliberata dalle Commissioni riunite II e X in relazione all'esame del disegno di legge C. 1741 recante disposizioni in materia di gestione delle crisi aziendali, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana (ABI).
Sono presenti l'avvocato Enrico Granata, responsabile dell'area normativa la dottoressa Federica Legritti del settore legale, e la dottoressa Maria Carla Gallotti, responsabile dell'ufficio relazioni istituzionali Italia.
Do la parola all'avvocato Enrico Granata, ringraziandolo di aver accettato il nostro invito.
ENRICO GRANATA, Responsabile area normativa dell'ABI. Siamo noi che ringraziamo per l'invito e per l'opportunità di esprimere alcune considerazioni su questo disegno di legge, che interviene sostanzialmente su due aspetti, che consideriamo assai rilevanti nei rapporti fra banche e imprese e nella soluzione della crisi delle imprese: l'ammodernamento dell'amministrazione straordinaria e l'intervento in sede di reati penali fallimentari.
Abbiamo predisposto anche un documento scritto, che lasceremo agli atti e a cui rinvierei per gli aspetti di maggiore dettaglio. Ci siamo anche permessi di immaginare alcune proposte emendative, per dare maggiore concretezza alle nostre considerazioni.
L'amministrazione straordinaria è uno strumento senza eguali nel panorama europeo, nella misura in cui affida alla sede amministrativa, nella fattispecie al Ministero dello sviluppo economico, un ruolo di traino e di leader delle procedure, affidando invece alle sedi giudiziarie un ruolo più contenuto rispetto a quanto avviene per la normale procedura fallimentare.
Riteniamo che questa procedura abbia una ragion d'essere nella misura in cui affronta situazioni di crisi e di insolvenza di grandi realtà industriali, ma che proprio per la sua eccezionalità rispetto al percorso ordinario dovrebbe essere riferita a queste grandi realtà, perché devia dai princìpi stabiliti in tema di disciplina del fallimento per quanto riguarda non solo chi conduce la procedura, ma anche i contenuti della stessa.
Nata nel 1979, ha avuto una serie di interventi emendativi e di riforma, per cui oggi si pone innanzitutto una questione affrontata dal disegno di legge delega di unificazione dei vari percorsi che si sono disegnati nel tempo. Nel fare questo, però, è necessario stabilire alcuni princìpi in particolare per quanto riguarda i requisiti dimensionali di accesso e la natura del provvedimento di apertura.
Vorrei segnalare soprattutto l'esigenza di un test per intervenire su un'amministrazione straordinaria, per verificare se i contenuti del disegno di legge assicurino una conformità rispetto ad alcuni paletti e postulati fondamentali della riforma della legge fallimentare che è stata appena conclusa. Non capiamo perché si debbano assumere scelte diverse ad esempio in tema di ruolo dei creditori nella procedura o di revocatorie, che invece oggi, anche alla luce dei princìpi di delega del disegno di legge, non sembrano coerenti con gli obiettivi perseguiti nell'ambito della più ampia riforma della legge fallimentare.
Vorrei quindi individuare alcuni punti che mi sembrano particolarmente importanti. Ci si può chiedere se si ravvisi compatibilità fra gli strumenti di gestione delle crisi, che sono offerti alle imprese dalla legislazione in tema di procedure concorsuali, e l'amministrazione straordinaria, che presuppone l'insolvenza della grande impresa.
La normativa fallimentare ha previsto che in presenza di uno stato di crisi, concetto più ampio dell'insolvenza, che pure include, i percorsi disegnati dalla legge fallimentare ordinaria, quali il nuovo concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione ai sensi dell'articolo 182-bis e i cosiddetti «piani attestati», ovvero gli accordi che si stipulano sul mercato e sono validati dalla dichiarazione dell'esperto, siano utilizzabili anche dalle grandi imprese che vanno in amministrazione straordinaria.
Vorrei sollevare questo tema per dare una risposta positiva. Non mi sembra che ci sia bisogno che la delega indichi alcunché al riguardo, mentre è molto importante condividere la certezza che un'impresa grande, che sia suscettibile di vedersi applicata la procedura di amministrazione straordinaria, possa comunque fruire degli strumenti previsti dalla legislazione fallimentare per tutte le imprese.
Questi strumenti intervengono infatti non necessariamente quando la crisi è molto avanzata, ma quando è opportuno individuare soluzioni che consentano di superare difficoltà, che possano essere rimosse senza necessariamente prospettare una situazione di vera insolvenza. A questo daremmo una risposta positiva, perché il disegno di legge, a meno che non lo voglia esplicitare chiaramente, non incrina la possibilità per qualsiasi impresa anche grande di utilizzare gli strumenti previsti dalla legislazione più generale in tema di fallimento e di crisi.
Consideriamo invece necessario un intervento chiarificatore sul secondo punto, riguardante il ruolo dei creditori. Il disegno di legge C. 1741 in discussione non prevede alcuna disposizione specifica in tema di ruolo dei creditori e oggi l'amministrazione straordinaria assegna ai creditori un ruolo del tutto marginale per il tramite del Consiglio di sorveglianza.
La riforma della legge fallimentare ha invece consolidato il ruolo dei creditori, che oggi si vedono attribuiti un ruolo attivo e importante nell'ambito della procedura, in particolare nella fase in particolare della liquidazione dell'impresa, perché ad esempio autorizzano gli atti di gestione del curatore, approvano il programma di liquidazione dell'attivo. Svolgono quindi un ruolo saliente e funzionale al più efficiente svolgimento della procedura.
Se quindi il legislatore confermasse l'assetto attuale dell'amministrazione straordinaria, in cui i creditori non hanno un ruolo, si creerebbe un disallineamento rispetto alla riforma più generale. Tale disallineamento non è giustificato dal fatto che l'amministrazione straordinaria è una procedura speciale, in cui la sede amministrativa, il Ministero, ha un ruolo saliente di conduzione. In questo senso, consideriamo opportuno inserire nei princìpi di delega una previsione di rafforzamento dei creditori nello svolgimento della procedura, e quindi un superamento della marginalizzazione che i creditori oggi vivono nell'ambito dell'amministrazione straordinaria.
Un altro punto che denota incoerenze fra la riforma più generale e quanto oggi emerge dal disegno di legge delega in discussione è quello delle azioni revocatorie. Le azioni revocatorie sono state
fortemente depotenziate nell'ambito della riforma sia attraverso una significativa riduzione del periodo cosiddetto «sospetto», che andando a ritroso rispetto alla dichiarazione di fallimento viene considerato per verificare se atti e pagamenti siano suscettibili di revocatoria, sia attraverso un'individuazione della casistica in cui la revocatoria può avere luogo.
L'amministrazione straordinaria invece compie una scelta non coerente e il disegno di legge delega su questo è abbastanza generico. Oggi, almeno nel percorso disegnato dalla legge Marzano, nell'amministrazione straordinaria è possibile avviare delle rogatorie anche quando la finalità del piano è la ristrutturazione dell'impresa, quindi è una finalità di conservazione della conduzione dell'impresa in capo all'imprenditore insolvente e non solo, come sarebbe giustificato, nel caso in cui il programma preveda una cessione dell'azienda o di rami d'azienda.
Mentre sembra giustificato immaginare delle revocatorie nella situazione di cessione di'impresa, l'abbinamento revocatorie/ristrutturazione non ha ragion d'essere. In questo senso, si rileva una netta contraddizione fra la scelta dell'attuale amministrazione e la genericità dei principi di delega in tema di revocatoria e invece la filosofia più generale della riforma della legge fallimentare, che potrebbe trovare eco e riflesso nella rivisitazione dell' amministrazione straordinaria.
Un ultimo tema riguarda i requisiti dimensionali dell'impresa ammessa o ammissibile all'amministrazione straordinaria. Il disegno di legge non prevede alcun principio di delega in tema di requisiti dimensionali, ma noi riteniamo che questo meriti una riflessione, perché da una parte dovrebbe essere effettuato un intervento di tipo qualitativo. Oggi, l'amministrazione straordinaria prevede un requisito correlato all'entità dell'indebitamento come condizione necessaria per essere ammessa all'amministrazione straordinaria. La normativa prevede che l'indebitamento debba essere non inferiore a due terzi, sia del totale dell'attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi.
Riteniamo che questo parametro dovrebbe essere rimosso o comunque contenuto, perché imprese con esposizioni più contenute non possono essere ammesse all'amministrazione straordinaria, fatto che non è sempre giustificato. Per altro verso, invece - questa è la parte di intervento qualitativo -, sarebbe necessario attenuare l'entità o le previsioni in tema di entità dell'esposizione debitoria e accrescere le dimensioni dell'azienda. Questa è una procedura speciale, che ha una ragion d'essere anche in una comparazione a livello europeo, se non addirittura mondiale, laddove siano in gioco interessi relativi a imprese di dimensioni rilevanti, non ordinarie.
In caso contrario, si finirebbe per invadere il campo dell'applicazione della normativa fallimentare per creare un percorso non giudiziario, ma dettato da logiche di tipo amministrativo del tutto condivisibili ove siano in gioco interessi di grandissimo spessore, ma che non si vede perché debbano essere rilevanti o predominanti per imprese magari di dimensioni non marginali, ma non grandissime. Sotto questo profilo, consideriamo necessaria una riflessione specificando come il requisito qualitativo dell'esposizione possa essere rivisto verso il basso e come le dimensioni dell'impresa dovrebbero essere invece tendenzialmente alte, alla luce della specialità della procedura.
Un ulteriore aspetto è quello dell'attrazione alla procedura delle società che appartengono al gruppo, tema molto importante. Oggi, l'estensione alle società del gruppo, laddove la capogruppo sia ammessa all'amministrazione straordinaria, è una facoltà, ma consideriamo invece necessario introdurre meccanismi di automatismo. L'esperienza ha infatti dimostrato l'imprescindibile necessità di configurare il gruppo in termini unitari anche ai fini dell'amministrazione straordinaria, laddove la crisi parta dalla capogruppo.
Rinvio alla nota che abbiamo depositato per quanto riguarda ulteriori elementi
di riflessione o di proposta sull'amministrazione straordinaria e mi dichiaro disponibile a rispondere a eventuali domande.
Passando all'altro tema affrontato dal disegno di legge delega vorrei sottolineare che noi consideriamo la questione dei reati fallimentari ugualmente, se non più importante della riforma dell'amministrazione straordinaria. Il legislatore si era posto l'obiettivo di rivisitare i reati fallimentari nel momento in cui è stata intrapresa la riforma della legge fallimentare. Una serie di motivi ha impedito che la riforma fosse completata, per cui rimane incompiuta. L'esigenza di dare completezza alla riforma del fallimentare sotto questo versante è dimostrata anche dalla storia delle iniziative legislative al riguardo negli ultimi anni.
Una riforma è necessaria per due motivi sostanziali: perché c'è incoerenza fra la riforma sostanziale e la disciplina tuttora vigente dei reati fallimentari. Il legislatore si è preoccupato di rendere più percorribili alcuni interventi di soluzione della crisi, apprestando una serie di strumenti e dando protezione alle modalità di soluzione delle crisi che si svolgono sul mercato, quindi i cosiddetti «piani attestati», gli accordi che si perfezionano fra creditori e imprese in crisi in termini di risanamento, di revisione dei termini di pagamento, di scadenzamento.
Il legislatore ordinario della riforma si è quindi preoccupato di dare protezione a queste esperienze, sottraendole all'azione revocatoria e rendendole incontestabili, purché si ravvisino taluni requisiti e ne sia attestata la funzionalità rispetto all'esigenza di assicurare il risanamento e l'equilibrio finanziario. Questo invece non è avvenuto sul piano penale, per cui oggi questi accordi sono salvaguardati sotto il profilo civilistico, ma rischiano di essere sanzionati sotto il profilo penale, perché la normativa fallimentare è rimasta invariata.
Le censure riguardano generalmente la bancarotta semplice, perché si imputa all'imprenditore e ai creditori e quindi alle banche a titolo di concorso di avere strumentalmente ritardato l'emersione del fallimento attraverso la messa in opera di questi piani, bancarotta fraudolenta preferenziale, perché si ritiene che i pagamenti o le garanzie acquisite nell'ambito di questi piani abbiano attribuito una posizione preferenziale ad alcuni creditori.
Si rileva quindi molta difficoltà sul mercato, perché oggi l'impianto penale soprattutto per quanto riguarda i reati di bancarotta fraudolenta e di bancarotta semplice rappresenta una «spada di Damocle» rispetto all'attuazione di questi interventi di soluzione della crisi, dai quali possono derivare conseguenze molto gravi in capo all'imprenditore e agli stessi creditori, quindi alle banche, creditori finanziari che di questi accordi rappresentano sul mercato una parte importante, se non predominante. Nel confronto con gli operatori bancari emerge come questo rappresenti un grosso problema, tanto più oggi che la necessità di assistere le imprese, mantenere le linee di fido, trovare soluzioni per emergere dalla crisi rappresenta un'esigenza particolarmente sentita. Si tratterebbe quindi di sostenere in sede di legge delega l'esigenza di allineare il trattamento penale di alcuni reati quali la bancarotta fraudolenta preferenziale e la
bancarotta semplice con quanto è previsto in sede sostanziale. Quando ci troviamo di fronte a un accordo che ha una protezione sostanziale dalla già assicurata riforma ordinaria, questo deve riflettersi anche in sede penale, purché ci siano i presupposti previsti ai fini di protezione e di salvaguardia ai fini sostanziali.
Una serie di questioni riguardano la fattispecie del reato e quindi si aggiungono alle considerazioni precedenti. La descrizione di questi reati, in primis della bancarotta fraudolenta preferenziale, è tale che qualsiasi pagamento effettuato da un imprenditore, anche se riguarda crediti scaduti, rischia di essere censurabile. Si parla di pagamenti simulati molto ampi, è richiesto semplicemente il dolo generico e non il dolo specifico, per cui è sufficiente la volontà di mettere in essere una simile condotta, ma non ulteriore elemento, che sembrerebbe invece rilevabile dalla legge, ovvero l'intenzione di creare una situazione di disfavore verso alcuni creditori.
A questi si aggiunge infine l'elemento temporale. Oggi per il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale, così come per una serie di reati fallimentari è pressoché irrilevante il tempo in cui è stata attuata la condotta suscettibile di incriminazione. Mentre sul piano civilistico, ai fini della contestabilità di alcuni atti come le rogatorie, si disegna un periodo prossimo al fallimento, nella sede penale, invece, questo collegamento fra tempo e dichiarazione di fallimento appare sostanzialmente irrilevante. Questa questione deve essere sicuramente affrontata.
Per quanto riguarda la bancarotta semplice, a parte le considerazioni in termini di possibile emersione di questo reato in funzione di piani di ristrutturazione che vengono giudicati strumentali, questo può essere prefigurato anche in sede di condotte meramente colpose, di nuovo per condotte molto risalenti nel tempo, e la descrizione della fattispecie è molto generica e si presta quindi a una lettura molto estensiva.
In conclusione, nel ringraziarvi per l'attenzione e il tempo che mi avete concesso, desidero sottolineare come anche per i reati fallimentari si ponga un problema urgente di intervento che, da una parte, è di coordinamento con la riforma della procedura fallimentare sotto il profilo della percorribilità delle soluzioni della crisi, dall'altra, invece riguarda proprio la fattispecie disegnata nel 1942 e che oggi, a tanti anni di distanza, merita un'ulteriore riflessione.
A scanso di equivoci, non sto parlando di pene edittali, giacché non vorrei cimentarmi su questo versante, su cui pochi anni fa si è infranta l'iniziativa parlamentare di riforma dei reati penali, che sembrava avviata a buon fine. Riteniamo quindi che le pene edittali possano rimanere inalterate, ma sia necessario intervenire sulle questioni prima segnalate. Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
IGNAZIO ABRIGNANI. Ringrazio per il documento depositato e per la collaborazione e l'attenzione con cui l'ABI sta seguendo questa legge delega. L'avvocato Granata ha affrontato argomenti sui quali anche precedentemente abbiamo avuto modo di discutere, per cui mi limiterò soltanto a una breve osservazione e a un invito.
L'osservazione riguarda la necessità di contenere al massimo, in relazione alla grandezza delle imprese, la richiesta di amministrazione straordinaria. Devo quindi tornare alla radice di questa legge e alle sue motivazioni. Questa legge, nata probabilmente sull'onda di alcune problematiche esistenti in grandi imprese - è inutile parlare della Parmalat o del caso Alitalia - è stata preceduta da altri interventi quali le cosiddette leggi Prodi e Prodi-bis volte anch'esse a delineare un per a salvare un'azienda.
Il Governo ha deciso di mettere mano a questa vicenda perché nel tempo si sono accumulate tali e tante normative ad hoc da creare una rilevante confusione, per cui appare corretto procedere a questo riordino, sempre in base alla ratio che ha ispirato questa normativa.
Se questa è la finalità principale ossia cercare di salvare i posti di lavoro, un'azienda e ciò che di buono esiste a livello produttivo, è cosa ben diversa dalla ratio della legge fallimentare che, al di là delle benvenute novità in sede fallimentare quali il concordato, è sempre quella della liquidazione. Senza volere esagerare ed includere aziende del settore artigianato, ritengo opportuno uno sforzo per allargare la platea di aziende con dimensioni significative, ma che non sono grandi imprese. Questo è certamente un obiettivo difficile, perché è necessario contemperare anche le esigenze dei creditori e del mercato, trattandosi comunque di una legislazione speciale.
Ritengo che questo sia uno sforzo doveroso, perché può essere fruttuoso per lo sviluppo, ovvero per cercare di mantenere le imprese nel mercato e di salvare i posti lavoro. Mi permetto quindi di sottolineare che al contrario il nostro sforzo dovrebbe
consistere nell'individuare percorsi per salvare un'azienda con un sano prodotto industriale.
Concordo sul discorso della revocatoria giacché, soprattutto laddove l'azienda torni in mano all'imprenditore, sarebbe assurdo concedergli la possibilità di fare la revocatoria di azioni che ha compiuto nel periodo sospetto.
Da un osservatorio privilegiato - giacché collaborando con il ministro seguo anche le amministrazioni - rilevo spesso una difficoltà delle aziende nell'accesso al credito, aspetto particolarmente complesso da far accettare al mondo bancario anche quando le aziende ottengano la garanzia di Stato che viene delibata a Bruxelles, una garanzia di natura amministrativa, che spesso serve a ottenere la liquidità necessaria a mandare la loro attività.
Vorremmo pertanto chiedere all'ABI di capire che, di fronte a queste esigenze, lungaggini burocratiche e azioni di resistenza possono essere letali per l'azienda. Una vostra maggiore collaborazione su questo aspetto per noi e per le aziende sarebbe molto utile grazie.
MANLIO CONTENTO. Desidero porre due questioni, la prima delle quali è relativa all'osservazione rivolta al testo di non prevedere espressamente gli istituti tipici delle procedure concorsuali.
Anch'io francamente ritengo che l'autonomia del piano attribuita al commissario contempli tutte le ipotesi, ma che il suggerimento possa essere accolto magari con un principio di delega, che direttamente o indirettamente le richiami, per evitare eventuali interpretazioni in senso contrario. Si tratta di istituti che sono già entrati nel patrimonio e che recentemente sono stati rafforzati, per cui i piani attestati possono tranquillamente farne parte, ma ben venga una disposizione che renda esplicito anche questo principio.
La seconda questione è più delicata e riguarda i reati di bancarotta, perché abbiamo delicate questioni politiche. È già stato ricordato come interferire con la pena significhi mettere in discussione alcune inchieste sul tappeto, in virtù del principio del favor rei. Questo è purtroppo un elemento che, come l'ombra di Banco nella nota tragedia shakespeariana, è sempre presente e quindi è difficile farvi i conti.
La seconda proposta però non risolve il problema, perché in genere o si prolungano due direttrici per fare applicare una normativa più favorevole o si riducono le pene o si modifica la fattispecie del reato restringendola. La questione delicata riguarda il possibile criterio alternativo rispetto allo stato di crisi o di insolvenza, perché la funzione relativa all'emersione della crisi è fondamentale nell'interesse dell'azienda.
Spesso, chi opera in azienda cerca di trovare strade alternative con l'ausilio delle banche, ma non possiamo svincolare questo principio fondamentale, dando l'irresponsabilità quasi totale a chi si cimenta in strade alternative, perché verrebbe meno la ratio di questa normativa. Mentre in un'azienda di piccole dimensioni è infatti comprensibile che ci si addirittura l'esclusione del fallimento, direzione in cui abbiamo operato, qui siamo alla parte opposta, perché sono in gioco interessi rilevanti come nel caso dell'Alitalia.
Questo è un caso emblematico, in cui un'azienda ha vissuto in stato sostanzialmente perenne di insolvenza per diversi anni, con la complicità del mondo politico, compresa quella del Parlamento.
Se potessimo auspicare una normativa, vorremmo che fosse il contrario, ovvero che nelle grandi imprese le situazioni di crisi e di allarme fossero anticipate. Tanto più viene anticipato il momento di reazione, infatti, tanto più semplice diviene rispondere all'esigenza di mettere in sicurezza chi opera all'interno di un piano di risanamento. Se però la gestione viene affidata completamente alle banche, solitamente creditori delle grandi imprese in crisi, non si può pretendere di avere carta bianca nella gestione di questo periodo e contemporaneamente di essere esenti da responsabilità. Se la crisi emerge, è giusto tutelare, ma, se la crisi non emerge e
diventa una trattativa che riguarda molto spesso alcuni grossi creditori, i rischi si devono correre.
Sarei felice di svolgere una riflessione approfondita su questo, perché siamo alla base delle finalità di questa normativa, di cui in Italia abbiamo realizzato un'applicazione non certo conforme a certi istituti americani, ma esattamente contraria, con l'obiettivo di trascinare più avanti possibile, perché qualcosa succederà o qualcuno interverrà. Ritengo che su questo dovremmo cambiare atteggiamento.
ANDREA LULLI. Anch'io ringrazio della relazione e della documentazione. Su questo ultimo aspetto concordo con l'onorevole Contento. La finalità è quella di salvaguardare una realtà produttiva ed è indubbio che, concordato un piano di risanamento, si possa dare garanzie affinché questo piano non abbia ricadute sotto il profilo dei reati penali.
Non è facile però risolvere il punto, perché probabilmente bisognerebbe riflettere su una normativa che distingua temporalmente gli eventi, ma non so se questo sia possibile. Quando in una grande azienda ma anche in realtà imprenditoriali minori emerge lo stato di crisi, spesso c'è stato un percorso, una contrattazione con il sistema creditizio. Possono quindi prodursi seri problemi.
Le ultime riforme delle leggi fallimentari hanno sostanzialmente mirato a salvaguardare l'impresa. Sul principio siamo unanimemente concordi, ma nella pratica, forse come frutto della particolare situazione economica attuale, si sta spesso verificando, soprattutto quando si arriva a regimi di concordato, che queste situazioni penalizzino tante altre realtà produttive, che hanno lavorato con queste aziende e oggi si trovano a dover accettare magari concordati al 5 per cento, realtà molto diffusa nel Paese. È quindi necessario stare attenti nel fare determinati ragionamenti.
Per quanto riguarda la dimensione di impresa, capisco la ratio con cui è stata formulata questa affermazione, ma mi permetto di osservare che con quella impostazione si potrebbe utilizzare una norma di questo tipo per un grande call center con 5.000 dipendenti e non per un'azienda di 150 dipendenti magari presente in un'importante parte dell'apparato produttivo e con una sufficiente internazionalizzazione del processo produttivo.
Su questo è necessario stare molto attenti, perché nel Paese non mancano realtà produttive di grande importanza generale, che magari non hanno grandissime dimensioni, e del resto non sempre un'azienda di una certa dimensione ha un valore strategico per il Paese. Naturalmente faccio una forzatura, ma sulla questione dei limiti dimensionali sono molto scettico per quanto riguarda non solo questo strumento in particolare, giacché in linea generale lo considero un residuo del passato di cui liberarsi quanto prima.
Capisco che uno strumento speciale non possa essere utilizzato per tutti, ma è necessario capire se l'obiettivo sia quello di salvaguardare aziende che consideriamo un patrimonio importante. È quindi opportuno riflettere più attentamente sui criteri, perché quello dei limiti dimensionali è discutibile, come anche quello del livello di indebitamento. Questo è dunque il tema oggettivamente più complicato, perché, mentre concettualmente può essere reso di più facile comprensione, l'estrinsecazione di una norma scritta appare più complessa. Anche con il contributo della vostra associazione, potremmo fare qualche passo avanti in merito.
DONATELLA FERRANTI. Ringrazio il nostro interlocutore, cui vorrei porre una domanda, in attesa di leggere attentamente il documento presentato.
Con riferimento alla bancarotta preferenziale in particolare, comprendo la necessità di raccordo con la disciplina fallimentare attualmente in vigore e ritengo che alcuni aspetti fossero già impliciti nella nozione del reato, indipendentemente dalle diverse prassi applicative, sulle quali avrete comunque effettuato uno studio. Il reato di bancarotta preferenziale
implica infatti un dolo, per cui mi sembra che qualcosa che viene fatto in esecuzione di un accordo che poi fa parte delle procedure fallimentari non possa rientrare in tale fattispecie. Verificheremo comunque l'eventuale esigenza di esplicitare queste direttive. Grazie per avercelo segnalato.
Per quanto riguarda la procedura prevista da questa legge delega riguardante l'amministrazione straordinaria, vorrei sapere se abbiate verificato la completa o comunque marcata degiurisdizionalizzazione della procedura. Riguardo ai riferimenti comparati europei, la proposta di legge segue un procedimento opposto, in quanto nel procedimento non si vuole un'eccessiva presenza del giudice e quindi anche del confronto tra gli interlocutori che si pongono di fronte al giudice.
Poiché ho visto un riferimento a una maggiore presenza dei creditori, vorrei sapere se questa sia ricollegata anche alla procedura. La fase giurisdizionale qui viene sostanzialmente indebolita, quasi fosse un intralcio, mentre magari alla lunga, come si sta verificando per le procedure fallimentari, questo potrebbe invece ripercuotersi sulla credibilità del sistema.
PRESIDENTE. Desidero aggiungere alcune brevi considerazioni, la prima delle quali riguarda i requisiti dimensionali, sui quali anch'io considero necessario ragionare innanzitutto sul bene da salvaguardare, che in questo caso individuo nella possibilità che un' impresa possa proseguire il proprio lavoro. Sono più radicale rispetto ai colleghi intervenuti prima, perché ritengo che questo dovrebbe valere per tutte, anche per l'impresa artigiana con 10 dipendenti, anche perché oltre al Ministero esiste il Titolo V della nostra Costituzione, che affida una certa competenza alle regioni, e il sistema camerale potrebbe benissimo assolvere a un ruolo di composizione delle situazioni di crisi, giacché ogni impresa rappresenta un valore in sé.
Sono d'accordo sul ruolo dei creditori e credo che, anche rispetto al fallimento, vi sarebbe qualcosa da aggiungere sull'ordine in cui i creditori vengono risarciti proprio in ragione della specificità del nostro sistema produttivo, che è orizzontale, non verticale, per cui la fornitura costituisce una sorta di esternalizzazione del lavoro.
Per quanto riguarda il coinvolgimento nella bancarotta preferenziale, credo che, soprattutto in un momento di crisi come l'attuale, sia un serio fattore di ostacolo alla concessione del credito, perché un'azienda che è sempre stata fiorente e che quest'anno si trova in difficoltà stenta ad ottenere credito perché il direttore della filiale teme il coinvolgimento nel caso l'azienda fallisca.
Oggi, questo è un incentivo serio all'irresponsabilità da parte delle banche nella concessione del credito, come viene segnalato non dai vertici delle banche, ma dai bancari del territorio, perché il direttore di filiale non vuole rischiare apponendo la propria firma.
Do quindi la parola al responsabile dell'area normativa dell'ABI, Enrico Granata, per la replica.
ENRICO GRANATA, Responsabile area normativa dell'ABI. Vi ringrazio delle domande, alle quali cercherò di rispondere. Sono stati evocati temi strutturali e cruciali del ruolo delle procedure di crisi in generale.
Quanto abbiamo esposto in questa sede è stato anche oggetto di riflessione e di dialettica nell'ambito dei lavori che il Ministero dello sviluppo economico sta svolgendo su questo tema.
Il tema della dimensione dell'impresa è quasi fisiologico in questo tipo di vicende. Si è posto nella riforma della legge fallimentare per individuare uno spartiacque fra imprese fallibili e non fallibili, per valutare cosa avvenga al di sotto della fallibilità e quali garanzie e strumenti siano assicurati all'imprenditore non fallibile così come alla famiglia, tema da cui derivano le iniziative parlamentari in tema di sovraindebitamento. Tale questione si ripropone anche in occasione della discussione di queste procedure.
Nessuno immagina che debbano applicarsi procedure che non tengano conto
dell'obiettivo primario di salvaguardare i valori aziendali, di assicurare il posto di lavoro e la tenuta dei rapporti dell'impresa con i propri creditori bancari, finanziari o industriali. Questo è infatti un obiettivo soprastante, che anche la riforma della legge fallimentare ha inserito come paradigma nella propria filosofia. Tale riforma è stata infatti disegnata per dare maggiore evidenza alle finalità di salvaguardia dei valori aziendali e minore evidenza, rispetto al passato, a una finalità meramente liquidatoria e satisfattiva dei creditori, in presenza di una struttura normativa e procedurale che non contentava i creditori, perché la percentuale di soddisfazione era risibile, e pregiudicava la possibilità per l'impresa di essere conservata.
In questo contesto, riteniamo risolvibile il problema attraverso il criterio della dimensione dell'impresa, nonostante appaia effettivamente delicato, laddove però, ritenendo un'impresa importante e degna di una particolare tutela, dobbiamo chiederci quali canoni osservare.
La nostra riflessione nasce dalla convinzione che le finalità di salvaguardia del valore aziendale e di tutti gli stakeholder, siano essi creditori, lavoratori o persone in contatto con l'impresa, siano adeguatamente salvaguardate. Il test pratico, l'esperienza e la messa in opera di queste regole è in corso.
Riteniamo quindi che l'amministrazione straordinaria abbia una sua specificità perché è mossa fisiologicamente da finalità di salvaguardia di alcune valenze di carattere sociale e politico del tutto rispettabili, ma che, nella misura in cui finiscono per assicurare la permanenza sul mercato di imprese che in una logica di mercato non sarebbero tutelabili allo stesso modo, devono essere gestite con parsimonia. Sono infatti rispettabili e del tutto comprensibili, ma in una logica di tipo eccezionale. In questo senso, consideriamo cruciale il problema della dimensione delle imprese ammissibili alla procedura, che mi sembra sia considerato cruciale anche in questa sede.
C'è una questione di collegamento con le altre procedure di crisi, non di insolvenza, quindi è fondamentale che le procedure di crisi, in quanto applicabili anche alle grandi imprese, siano gestite in una logica di intervento tempestivo, mentre per sua natura l'amministrazione straordinaria interviene in una fase di crisi avanzata, perché è una procedura per insolvenza, che interviene in uno stato molto avanzato della difficoltà dell'impresa. Le regole ordinarie conservano quindi una loro «crucialità» in questa vicenda.
Se saremo tutti (anche il sistema bancario) in grado di aggredire in tempo utile la crisi, al di là di considerazioni che spesso per motivazioni sociali e politiche cercano di spostarla in avanti, potremo salvaguardare quei valori aziendali che si ripresentano come predominanti al momento di applicare l'amministrazione straordinaria.
Dobbiamo riconoscere che, se quelle stesse imprese per cui si dovrà applicare questa procedura speciale fossero state gestite con una logica coerente con la riforma, in tempo utile, probabilmente non avrebbero avuto bisogno di essere portate in amministrazione straordinaria.
Prendo atto e faccio tesoro delle considerazioni dell'onorevole Abrignani in merito alle situazioni di difficoltà che possono manifestarsi nel momento della concessione del credito in presenza delle garanzie dello Stato, ma sono certo che la banca debba comunque effettuare una valutazione di viabilità e di merito creditizio d'impresa e che la garanzia dello Stato non possa essere un fattore di compressione della valutazione della situazione dell'impresa che deve essere sostenuta. Siamo ovviamente più che disponibili a dialogare con voi per affrontare il problema e a individuare soluzioni come associazione, pur non avendo poteri coercitivi e non potendo entrare nel merito delle scelte di mercato delle banche.
Nel parlare di reati fallimentari, ci riferiamo a una disciplina che in questo disegno di legge si applica a tutte le imprese. Molto sinteticamente vorrei dire che non si tratta di disegnare un percorso
di eventuale impunità delle banche, che non sarebbe nemmeno configurabile, ma s'intende abbinare una salvaguardia di carattere penale agli interventi oggi effettuati sul mercato, in presenza di taluni connotati e salvaguardie, quali ad esempio la dichiarazione dell'esperto che quel piano ha una funzionalità per risolvere la crisi. Questo è l'obiettivo di questo documento.
Esistono tante esperienze sul mercato, ma è necessario garantire sicurezza almeno alle situazioni ritenute incontestabili sotto il profilo della revocatoria, mentre poi sulle altre si potrà discutere. Questo non significa che non ci sia bisogno comunque di intervenire sui reati. Abbiamo avuto infatti letture differenziate. Così come è scritta, onorevole Ferranti, la bancarotta fraudolenta preferenziale e anche quella semplice può essere letta in vari modi, ma in alcuni casi una lettura da parte della giurisprudenza ha dilatato negativamente la portata della lettera della legge e quindi ha creato una situazione di incertezza operativa sul mercato.
Lei evidenziava come le banche evitino di assumersi la responsabilità, ma questo avviene perché subiscono una sorta di spada di Damocle, laddove è necessario individuare un bilanciamento fra la prospettiva della prigione e quella di sostenere quell'impresa, scelta non banale.
Sono state evidenziate anche situazioni distorsive di concordato preventivo, laddove il livello dei creditori chirografari era eccessivamente modesto, ma gli accordi di ristrutturazione (l'articolo 182-bis della legge fallimentare) e i piani assestati presuppongono che alcuni creditori, solitamente bancari facciano dei sacrifici, perché si possono impegnare nell'accordo, mentre tutti quelli fuori dall'accordo ricevono un pagamento integrale dei loro crediti. Si tratta infatti di piccoli creditori finanziari e fornitori.
Se non proteggiamo questi tipi di accordi, che consentono ai piccoli creditori di essere integralmente soddisfatti, non agevoleremo i rapporti tra banche e imprese e in particolare i rapporti fra imprese e ceto creditorio in senso lato. Grazie.
PRESIDENTE. Nel ringraziare il responsabile dell'area normativa dell'ABI, Enrico Granata, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10,15.