Sulla pubblicità dei lavori:
Colombo Furio, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SU DIRITTI UMANI E DEMOCRAZIA
Audizione del Presidente della Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa, Gianni Buquicchio:
Colombo Furio, Presidente ... 3 7 10 12
Buquicchio Gianni, Presidente della Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa ... 3 8 10 11
Farina Renato (PdL) ... 7
Galli Daniele (FLpTP) ... 7
Tempestini Francesco (PD) ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Democrazia Cristiana): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per
la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 12.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su diritti umani e democrazia, l'audizione del presidente della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto - nota come Commissione di Venezia - del Consiglio d'Europa, Gianni Buquicchio, a cui diamo il benvenuto.
Nel ringraziare il presidente Buquicchio di aver accettato l'invito, ricordo che questa audizione è stata richiesta anche alla luce dell'interesse, o meglio del dovere, del nostro Comitato nel chiarire le complesse vicende costituzionali dell'Ungheria e della Romania.
Successivamente, in Commissione plenaria, il presidente Buquicchio relazionerà sull'attività della Commissione di Venezia per i Paesi del Mediterraneo, altra riflessione estremamente importante e urgente in queste ore.
Do quindi la parola al presidente Buquicchio per la sua relazione.
GIANNI BUQUICCHIO, Presidente della Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa. Grazie, signor presidente, di avermi invitato a questo incontro della Commissione su temi importanti per l'Europa e per la democrazia. Prima di entrare nel merito, vorrei dire due parole sulla Commissione di Venezia che, purtroppo, non tutti conoscono.
La Commissione di Venezia, il cui vero nome è Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto, fu concepita da un italiano, il compianto Antonio La Pergola, quando era al Governo in veste di Ministro delle politiche comunitarie e quindi membro del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa.
La Pergola ebbe l'intuizione della necessità di avere in Europa un organo che si occupasse di democrazia, di costituzioni e di leggi importanti. L'iniziativa non fu facile da realizzare perché fu ostacolata moltissimo da altri Paesi, soprattutto perché all'epoca - parlo del 1989-1990 - toccare il diritto costituzionale, che è il pilastro della sovranità degli Stati, non era possibile a livello internazionale. Tuttavia, il processo fu agevolato dal crollo del muro di Berlino, dopo il quale i governi restii si resero conto che un tale organo avrebbe potuto aiutare in modo consistente i Paesi dell'Est europeo.
Nell'idea di La Pergola, questa Commissione doveva occuparsi non solo dei Paesi dell'Est europeo, ma di tutti gli Stati perché - come sappiamo - la democrazia non è mai compiuta, ma sempre perfettibile, per cui può sempre
progredire. A ogni modo, questa Commissione fu creata, qualche mese dopo il crollo del muro, a Berlino, e subito cominciò a cooperare con la Romania, l'Ungheria, i Paesi baltici e, via via, con molti Paesi europei. In breve, abbiamo contribuito alle stesure costituzionali post-dittatoriali di tutti i Paesi dell'Europa orientale, con un certo successo, considerati che molti di essi sono ormai non solo membri del Consiglio d'Europa, ma anche dell'Unione europea.
L'unico Paese in cui non abbiamo avuto la stessa fortuna è stata la Bielorussia, dove il regime del presidente Lukasenko è ancora - detto francamente - dittatoriale. Speriamo, comunque, che un giorno anche la società bielorussa possa realizzare il suo sogno di democrazia, raggiungendo gli altri Paesi europei.
Per entrare nel merito dell'Ungheria e della Romania, devo dire che si tratta di un caso per certi aspetti eccezionale. Infatti, questi due Paesi si sono dotati di costruzioni democratiche da ormai ventidue anni, per cui non possono essere più considerati «nuove» democrazie. Del resto, sono anche diventati membri dell'Unione europea. Ciò nonostante, c'è stato un problema prima in Ungheria e poi in Romania. Peraltro, le relazioni tra i due Paesi sono spesso tese a causa della presenza di consistenti minoranze ungheresi nei Paesi limitrofi, come la Romania, la Slovacchia e così via.
In Ungheria, due anni fa ci sono state le elezioni, vinte dall'ex opposizione con una maggioranza più che confortevole, superiore ai due terzi. Con una tale maggioranza, il Governo aveva le mani libere per emendare la Costituzione e adottare nuove leggi. In pochi mesi, infatti, ha redatto una nuova Costituzione. È vero che questo era necessario perché l'ultima Costituzione ungherese risaliva al periodo comunista, anche se era stata emendata in diverse riprese. Era, pertanto, necessario avere un nuovo testo costituzionale completamente conforme agli standard europei. Il problema è che, grazie a questa maggioranza esuberante, hanno potuto redigere la nuova Costituzione in pochissimo tempo (solo qualche mese), ma soprattutto senza un vero dialogo con le altre forze politiche e con la società civile.
Insomma, c'è stata poca trasparenza e poca discussione. Invece, soprattutto per una Costituzione, bisogna cercare di raggiungere il più ampio consenso possibile tra le forze politiche, che sono espressione della società e del Paese. Questo è stato il primo difetto che abbiamo criticato.
Vi sono, però, anche altri punti, come la riduzione dei poteri e delle competenze della Corte costituzionale. Infatti, siccome la Corte costituzionale si era espressa su alcune leggi finanziarie e di bilancio in modo non gradito al Governo, hanno tolto dalle competenze della Corte costituzionale i due settori, appunto, della finanza e del bilancio. Inoltre, hanno cominciato a redigere delle cosiddette «leggi cardinali», che sono delle leggi organiche, vale a dire adottate con la maggioranza dei due terzi. Noi pensiamo che queste «leggi cardinali» non fossero necessarie, almeno per alcuni aspetti, visto che una legge organica deve trattare di un tema importante nel quadro della Costituzione ed evitare i dettagli, perché poi per cambiare un dettaglio occorre di nuovo la maggioranza di due terzi.
Il problema ungherese è che ci sono delle cose che sarebbero dovute andare nel testo costituzionale che, invece, sono state messe nelle leggi cardinali, mentre nelle leggi cardinali vi sono dei dettagli che non era necessario inserire. Di queste, sette o otto hanno rilevanza internazionale, nel senso che hanno interessato sia il Consiglio d'Europa e la Commissione di Venezia sia l'Unione europea.
Quella più controversa è stata la legge sul potere giudiziario. In Ungheria, tradizionalmente il Consiglio superiore della magistratura è un organo debole, che non ha molti poteri. Ora, accanto a esso, hanno creato un ufficio nazionale del giudiziario, presieduto da una persona, che attualmente è una signora, nominata dai due terzi dal Parlamento, per un mandato di nove anni. Il presidente dell'ufficio ha nelle sue mani molti poteri, più di quanto accada in altri Paesi in Europa e nel
mondo. Insomma, può fare della magistratura quello che vuole, il che è esagerato. Per esempio, può nominare i presidenti dei tribunali e delle corti più importanti e può trasferire, senza nessuna possibilità di contestazione, i giudici da un tribunale all'altro.
Inoltre, è stato abbassato il limite massimo di età per i giudici da 70 a 62 anni, in controtendenza con l'attuale situazione economica e demografica europea e mondiale, per, secondo l'opposizione, mandare a casa dei giudici che erano presunti essere più vicini alla maggioranza precedente.
Cosa ancora più grave è che il presidente dell'ufficio può trasferire dei procedimenti da un tribunale all'altro, basandosi sulla giustificazione che il tribunale è sovraccarico di lavoro, quindi per accelerare la giustizia. Tuttavia, siccome i tribunali sovraccarichi sono soprattutto quelli di Budapest, dove, peraltro, sono esaminati i casi più sensibili politicamente, economicamente e quant'altro, questo diventa un potere considerevole, che vìola il principio del giudice naturale.
Abbiamo, dunque, emesso delle critiche importanti su questa legge cardinale riguardo al giudiziario. Il Governo ci ha seguito parzialmente, nel senso che ha emendato la legge e sta prendendo delle misure per eliminare il sovraccarico delle corti e dei tribunali di Budapest e di altre regioni del Paese. Inoltre, il limite dei 62 anni è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale, quindi si è tornati a quello più alto.
Per di più, il presidente dell'Ufficio nazionale del giudiziario sarebbe rimasto in carica anche dopo la fine del suo mandato di nove anni se non si fosse riusciti a eleggere un nuovo presidente. Ciò voleva dire che se alle prossime elezioni l'opposizione attuale avesse vinto senza ottenere i due terzi, il presidente sarebbe rimasto al suo posto fino al raggiungimento di un compromesso per una nuova elezione.
Questo aspetto è stato, però, superato. L'attuale presidente, dunque, se ne andrà alla fine dei nove anni, che sono comunque lunghi, e il vicepresidente sostituirà il presidente fino a quando non se ne elegge uno nuovo. Vi sono stati, quindi, dei miglioramenti, ma temo che non saranno considerati positivamente dalla Commissione, che esaminerà questi emendamenti nella seconda metà di ottobre, in seduta plenaria, e renderà un nuovo parere indirizzato al Governo ungherese. Comunque, staremo a vedere quello che succederà a ottobre.
Un'altra legge cardinale importante riguarda le denominazioni religiose; l'Ungheria ne contava 366. Il Parlamento, sulla base di questa nuova legge, le ha ridotte a 34. Ovviamente, si è scatenato un putiferio perché molte di esse volevano conservare la registrazione, soprattutto - diciamolo chiaramente - per i vantaggi finanziari accordati generosamente. Globalmente, questa legge non è criticabile. L'unico aspetto criticabile è che la registrazione o la de-registrazione delle chiese diventa un atto politico perché è votata dal Parlamento, mentre dovrebbe essere una questione tecnica e non politica.
Un altro elemento negativo, che, però, non è così grave, è che si pretende che le chiese che possono essere registrate debbano avere un'esistenza di almeno un secolo, a livello internazionale, o di vent'anni in Ungheria. Questa appare una condizione un po' eccessiva.
Per concludere sull'Ungheria, le altre leggi sulla Corte costituzionale, sulla procuratura e quant'altro sono complessivamente buone, anche se in quella sulla procuratura vi è qualche reminiscenza sovietica. Comunque, tutto sommato, sono globalmente accettabili. Il problema fondamentale rimane che si è congelata una situazione che, a causa della prevista maggioranza dei due terzi, difficilmente potrà essere cambiata in occasione di un'eventuale futura alternanza politica, a meno che la nuova maggioranza non riesca a ottenere di nuovo i due terzi, cosa che mi sembra molto difficile.
Per la Romania il problema che si pone a partire dalla scorsa primavera è il seguente. Ci sono state le elezioni e la nuova maggioranza non era dello stesso colore
politico del Presidente Basescu. La maggioranza ha deciso di avviare la procedura per destituire il Capo dello Stato, cosa possibile secondo la Costituzione rumena, con la giustificazione che egli oltrepassava spesso le sue competenze e i suoi poteri. La Romania ha un regime semipresidenziale, quindi il Presidente ha già molti poteri. Vi è stato inoltre un uso eccessivo dei decreti d'urgenza, anche per destituire alcuni giudici della Corte costituzionale, che era supposta essere filopresidenziale. Ciò non è vero perché è un organo serio, nel quale, tra i giudici, sono rappresentate le diverse forze politiche, per cui si può dire che ormai lavora in modo imparziale e indipendente.
Vi sono stati degli attacchi e delle critiche molto gravi e persino minacce di morte verso un giudice, che mi hanno obbligato a fare due dichiarazioni pubbliche, una a inizio luglio e l'altra ad agosto, e un appello al Governo perché la situazione non cambiava.
Allora, il Segretario generale del Consiglio d'Europa ha chiesto alla Commissione di Venezia di verificare la conformità della situazione costituzionale e legislativa rumena con gli standard dello stato di diritto, cosa che abbiamo cominciato a fare. Una delegazione della Commissione è stata a Bucarest dieci giorni fa e ha incontrato il Presidente Basescu, il Primo Ministro, il Ministro degli affari esteri e altre personalità. Avremmo, quindi, potuto rendere il nostro parere già nella sessione di ottobre, ma ho deciso di riportarlo a quella di dicembre perché in autunno ci saranno le elezioni parlamentari in Romania e temo che, se avessimo prodotto il parere, gli argomenti sarebbero stati utilizzati dalle diverse forze politiche nell'ambito della loro campagna elettorale.
Questa è la situazione in Romania. Credo che il punto comune con l'Ungheria sia una questione di mancanza di cultura e di maturità politica. Ci sono troppe polemiche esagerate, accuse e critiche, anche contro istituzioni pubbliche importanti, come la Corte Costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura, la procuratura e così via. La situazione è facilitata dalla questione delle maggioranze che, come si diceva una volta, fanno «l'asso pigliatutto», nel senso che quando si ha una maggioranza confortevole, si fa quello che si vuole.
Ciò non è opportuno; si deve comunque tenere conto degli interessi di tutta la società, quindi anche del ruolo delle opposizioni e della società civile in genere. Speriamo che la situazione si normalizzi presto. Peraltro, già ci sono dei segni positivi poiché il Ministro degli esteri rumeno Corlatean mi ha riferito che il Governo intende continuare a lavorare in un clima di coabitazione, alla francese, con il Presidente, il quale è disposto a collaborare con il Governo.
D'altra parte il Presidente Basescu ha affermato che la sua destituzione aveva lo scopo di designare un nuovo procuratore generale, che è nominato dal Presidente della Repubblica, perché l'attuale procuratore generale è molto severo in materia di corruzione. A ogni modo, questi sono argomenti di parte. L'importante è che la situazione si è normalizzata un po' e che continui a normalizzarsi anche dopo le elezioni. In ogni caso l'attuale maggioranza ha annunciato che, dopo le elezioni, intende procedere a una nuova revisione costituzionale per evitare il sorgere di questi problemi.
Una questione fondamentale che si è tentato di cambiare con i decreti di urgenza interessa anche l'Italia e riguarda il quorum per i referendum. Infatti, Basescu non è stato destituito perché ha invitato i suoi sostenitori a non partecipare al referendum che, per essere validato, deve avere almeno il 50 per cento di partecipazione, come Italia. Noi, come Commissione di Venezia, siamo contrari ai quorum di partecipazione per i referendum perché, in assenza di quorum, c'è più democrazia. Comunque, in quel caso, il quorum esisteva e non lo si poteva cambiare per una situazione specifica qualche settimana prima del referendum stesso. Pertanto, la Corte costituzionale ha seguito il nostro parere e ha annullato il decreto d'urgenza, per cui l'attuale maggioranza ha perso il referendum e Basescu è rimasto
al potere, almeno per il momento, visto che è la seconda volta che c'è un'iniziativa di destituzione nei suoi confronti. Non è escluso, dunque, che, magari confortati dalle prossime elezioni, possano riaprire la questione.
Sono a vostra disposizione per eventuali chiarimenti e domande. Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
RENATO FARINA. Ringrazio il nostro ospite di questa relazione molto chiarificatrice. Innanzitutto, vorrei dire che quello che sta accadendo in Ungheria sta dimostrando l'efficacia delle istituzioni che fanno capo a questo organismo internazionale, cioè al Consiglio d'Europa, e in particolare alla Commissione di Venezia. Infatti, a quanto mi risulta - lei potrà correggermi - il Segretario del Consiglio d'Europa Jagland, nella riunione del Bureau del Consiglio d'Europa del 4 settembre, ha riconosciuto i grandi progressi e la volontà di miglioramento delle leggi da parte del Governo e del Parlamento ungherese, in particolare sulla materia giudiziaria. Invece, sarebbero in arretrato riguardo ai mass media e alla questione della libertà di opinione. Comunque, evidentemente, esiste un'efficacia della politica dell'inclusione e della franchezza, anche con il rischio di sanzioni,
ai fini del miglioramento dei princìpi giuridici e della vita democratica.
Per quanto riguarda la Romania, mi risulta che il Premier Ponta stia minacciando di partire di nuovo - è una cosa di questi ultimissimi giorni - con l'iniziativa referendaria, per cui c'è una grande agitazione tra i parlamentari rumeni. Colgo l'occasione per informare i colleghi che sulla Romania ci sarà una mozione di tutti i capigruppo del Consiglio d'Europa riguardo al processo democratico, rimandando eventuali iniziative di monitoraggio - che è molto più grave - a dopo le elezioni, se dovessero manifestarsi ancora tendenze «dittatoriali».
Su questi temi, ritengo molto esauriente la sua relazione che mostra l'utilità, sul piano pratico, dell'istituzione che lei presiede. Sperando di non andare fuori tema, vorrei, però, porle una domanda. La Commissione di Venezia non ha affrontato il tema delle pesanti interferenze delle famose trojke finanziarie nella vita democratica dei vari Paesi membri del Consiglio d'Europa, e in particolare dell'Unione europea. Ha qualcosa da dire riguardo a questo tipo di impostazioni, per esempio sulla Grecia? Quanto è salvaguardato lo standard di democrazia nel caso di pesanti e severi interventi sanzionatori nel campo dell'economia da parte di organismi internazionali? La questione è affrontabile da voi?
DANIELE GALLI. Signor presidente, in poche parole ci ha descritto queste situazioni in maniera estremamente realistica. Vorrei approfondire due aspetti della sua relazione. Innanzitutto, vorrei sapere quali garanzie di indipendenza ha la magistratura in questi due Paesi e se sono, in qualche maniera, assimilabili al nostro sistema costituzionale.
In secondo luogo, ho sentito le sue osservazioni riguardo al referendum e all'abolizione del quorum minimo. Non ritiene che, se si dovesse eliminare il quorum di partecipazione, ciò possa determinare, eventualmente, un'estrema invadenza delle scelte referendarie rispetto alla democrazia parlamentare?
PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, vorrei aggiungere un'osservazione. Lei, all'inizio della sua chiusura, nelle frase di conclusione, ma anche di auspicio e di speranza, ha detto che la situazione in entrambi i Paesi, ma soprattutto in Romania, è dovuta al grado molto alto di conflittualità politica interna. Ora, però, osserviamo che Paesi di grande tradizione democratica - pensiamo agli Stati Uniti, in certi momenti - hanno un grado di conflittualità interna altissimo, tuttavia, sotto la sorveglianza dell'opinione pubblica, della Costituzione e della grande stampa, è sempre impossibile scostarsi dai princìpi fondamentali, come l'autonomia della magistratura.
Mi domando, quindi, se l'eccesso di conflittualità, che effettivamente caratterizza la condizione politica del mondo in questo momento, anche nelle grandi democrazie, possa essere di per sé una spiegazione per fatti immensamente anomali come quelli avvenuti nell'Ungheria di Orban e in Romania. Mi chiedo, inoltre, se è nel potere della Commissione di Venezia emettere dei pareri nei quali si mette in luce la distanza fra un evento interno di un Paese europeo e un asse di democrazia media, tollerabile e accettabile, che è, di fatto, patrimonio di tutti i Paesi che si chiamano democratici e che appartengono a questa cultura.
Mi incuriosisce molto questo aspetto. Infatti, il fenomeno si è verificato ed è esploso per primo in Ungheria, ma è rimasto a lungo non notato, almeno per quanto riguarda la grande stampa, ma anche i governi d'Europa, a parte la vostra Commissione. Poi, ha dato l'impressione di contagiare la Romania, cioè di toccare un altro Paese, invogliandolo a spostarsi da parametri democratici tradizionali accettabili. Ecco, se questa tendenza si accentua e si verifica una situazione simile anche in altri Paesi europei di non fortissima storia democratica pregressa, la Commissione potrebbe trovarsi troppo rapidamente con le spalle al muro. Quindi, la domanda è se non esista una strumentazione simile a quella delle medicine - il termometro per la febbre; le analisi per una patologia - per poter dare notizie, ma anche segnali di allarme più certi.
Do la parola al nostro ospite per la replica.
GIANNI BUQUICCHIO, Presidente della Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa. Ringrazio tutti voi, onorevoli. Comincerò con le considerazioni dell'onorevole Farina.
Devo dire che, effettivamente, il Segretario generale è abbastanza soddisfatto dei risultati della sua azione politica nei confronti del Governo ungherese. In effetti, sin dalla primavera scorsa, egli ha preso, a seguito di un nostro parere, l'iniziativa di dialogare con il Governo Orban, spingendolo a emendare queste leggi, soprattutto quella sul sistema giudiziario. Il Segretario, che è un uomo politico, è soddisfatto, anche perché ha ottenuto un certo successo, ma adesso dobbiamo verificare se questa soddisfazione sia completamente giustificata o meno, nel senso che vedremo, su domanda dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, se questi emendamenti sono sufficienti per sanare la situazione del sistema giudiziario in Ungheria.
Questo è importante perché l'Assemblea considera ancora la possibilità di aprire una procedura di monitoraggio sull'Ungheria, qualora si verificasse che la situazione giudiziaria non è ancora conforme agli standard europei, nonostante gli emendamenti. Avrete, quindi, notizie dopo il 15 ottobre.
Per quanto riguarda la trojka finanziaria, il caso greco, spagnolo - si parla anche dell'Italia - e via discorrendo, la questione è senz'altro interessante. La Commissione ha avuto la fortuna di avere uno statuto con competenze vastissime, quindi potremmo anche occuparci di questi problemi che toccano la democrazia; tuttavia, c'è un limite che è sempre esistito: la Commissione non può prendere iniziative di sua sponte, ma deve sempre aspettare che il Paese interessato oppure uno degli organi del Consiglio d'Europa (Assemblea parlamentare, Comitato dei Ministri o Segretario generale) le chieda un parere.
L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa è il miglior cliente della Commissione di Venezia, dopo gli Stati individuali. Del resto, alcuni Stati - tra cui la stessa Romania - hanno volontariamente richiesto dei pareri della Commissione su leggi importanti, su progetti di costituzione e su situazioni particolari, ma altri lo fanno soprattutto perché temono che, invece loro, lo faccia l'Assemblea parlamentare, quindi vogliono fare bella figura. È il caso dell'Ungheria, il cui Governo ha chiesto il parere della Commissione perché sapeva che l'Assemblea parlamentare era pronta a farlo.
Lo stesso è avvenuto con la Russia, che, però, non ha ceduto o non ha fatto in tempo, quindi l'Assemblea è intervenuta e ha chiesto dei pareri su leggi molto importanti, sui servizi segreti - l'ex KGB ora FSB - sul diritto di manifestazione, che è un problema attuale in Russia, sui partiti politici e sull'estremismo. In particolare, la legge sull'estremismo è molto grave perché non si dà una definizione coerente di «estremismo», quindi qualsiasi persona che dice una cosa « storta» può essere accusata di essere estremista, subendo sanzioni pesantissime.
In sostanza, il limite della Commissione è che non possiamo prendere iniziative autonomamente. Nel caso segnalato dall'onorevole Farina, dovrebbe farlo un Paese interessato oppure l'Unione europea. Peraltro, una delle mie priorità è di stringere sempre migliori rapporti con l'Unione europea - anche se sono già ottimi - ed essere a sua disposizione per dare pareri su questo tipo di problematiche.
L'onorevole Galli ha parlato di indipendenza della magistratura e ha ragione perché, in fin dei conti, in questi Paesi cosiddetti «di nuova democrazia», all'inizio, nei primi anni Novanta, la magistratura era disastrata per incompetenza e per mancanza di indipendenza, anche dal punto di vista della mentalità.
Ricordo ancora che quando si andava in questi Paesi e si incontrava il presidente della Corte costituzionale o della Corte suprema, c'erano cinque o sei telefoni, di cui uno era in linea fissa con l'amministrazione presidenziale, che dava gli ordini. Era la famosa «giustizia telefonica». Devo dire, però, che, grazie agli sforzi del Consiglio d'Europa, della Commissione di Venezia, dell'Unione europea - specie con le pressioni economiche, per cui chi vuole diventare membro deve modificare alcuni aspetti - e quant'altro, le cose sono migliorate molto, per cui adesso posso dire, almeno per quanto riguarda questi due Paesi, che la magistratura è indipendente, neutra e imparziale.
Non posso dire lo stesso del sud-est europeo, per esempio del Caucaso del sud. In Georgia e in Armenia la situazione è migliorata, ma in Azerbaijan, purtroppo, non ancora. Occorre, dunque, ancora fare sforzi per quanto riguarda l'indipendenza della magistratura.
Sul referendum, concordo con l'onorevole Galli. Bisogna rispettare il Parlamento, che è l'organo che deve prendere le decisioni, non il popolo in un contesto referendario. Tuttavia, l'«antipatia» della Commissione di Venezia per il quorum discende dal fatto che abbiamo redatto - ma forse non lo sapete - parecchi studi, ancora una volta su richiesta dell'Assemblea parlamentare, in campo elettorale. Abbiamo, quindi, un codice di buone prassi in materia elettorale, in cui c'è la quintessenza degli standard e dei princìpi comuni in Europa per quanto riguarda le elezioni.
Abbiamo fatto la stessa cosa anche per i referendum e dagli studi da parte di tutti i membri della Commissione, tenendo conto delle esperienze di tutti i Paesi europei, è emerso che imporre un quorum in un referendum non è un bene; è meglio non averlo e dare la possibilità al popolo di esprimersi sulle questioni importanti. Per esempio, a parte la questione rumena, ricorderete che per tre anni in Moldavia c'è stata una crisi che alcuni chiamavano costituzionale, altri politica perché era impossibile eleggere il presidente.
Poiché la maggioranza era di pochissimo superiore all'opposizione e non aveva i seggi per poter elegge il presidente - mancavano tre o quattro voti - sono stati costretti a sciogliere il Parlamento per ben due volte, non potendo modificare la Costituzione perché c'era un quorum del 50 per cento della popolazione per il referendum. Pertanto, i moldavi hanno subìto una crisi, con grossissime influenze e conseguenze sul piano sociale ed economico, che è durata per tre anni. Poi, finalmente ci sono stati alcuni fuoriusciti dal Partito comunista moldavo dell'ex presidente Voronin, attualmente opposizione, che hanno permesso di eleggere, anche con l'appoggio del Partito comunista, una personalità neutra, un ex presidente del Consiglio
superiore della magistratura, alla presidenza della Moldavia, quindi finalmente la situazione si è sanata.
Ciò nonostante, ho detto ai moldavi che devono assolutamente cambiare la Costituzione, almeno sul problema dell'elezione presidenziale. Potrebbero fare come l'Italia, là dove è sempre il Parlamento che elegge il Presidente, ma con maggioranze a scalare, quindi se non si raggiunge la prima maggioranza, si scende fino a quando non si riesce a eleggere il presidente. In Italia, per fortuna, non abbiamo mai avuto problemi di questo tipo. A ogni modo, in Moldavia occorre cambiare. Comunque, per queste regioni, abbiamo la propensione per un referendum senza quorum.
Il presidente Colombo ha sollevato una questione interessante, alla quale non ho mai pensato. Effettivamente, c'è tanta conflittualità, soprattutto negli Stati Uniti. Bisogna, però, distinguere tra la conflittualità tra le forze politiche, che sono in conflitto per definizione e insulti o minacce addirittura di morte, che non hanno a che fare con la conflittualità che è nel gioco democratico.
C'è anche da fare un'altra considerazione. Gli Stati Uniti sono una vecchia democrazia. Questi Paesi, che erano «nuove» democrazie, ma che ormai bisognerebbe cominciare a considerare democrazie mature perché è quasi un quarto di secolo che si sono liberati dal gioco comunista e sovietico, non hanno ancora la cultura necessaria per avere una conflittualità sana, per cui subito si scade nell'insulto, nell'ingiuria, nella critica gratuita e si passa addirittura alle pressioni e alle minacce. Peraltro, la minaccia di morte nei confronti di un giudice costituzionale non veniva dal Governo, ma da altri settori, forse legati al Governo. A ogni modo, sono situazioni serie e gravi che non hanno niente a che fare con una sana conflittualità.
Spero di aver risposto alle vostre questioni. Continuo a essere a vostra disposizione per ulteriori domande.
PRESIDENTE. Dal momento che abbiamo ancora qualche minuto, vorrei esprimere un pensiero che forse è condiviso anche da altri colleghi. Se i referendum non hanno quorum, ed è auspicabile che non lo abbiano a un livello così alto come quello che paralizza i referendum in Italia, per esempio, devono avere comunque un numero minimo di partecipanti, altrimenti tre persone si recano a votare, due approvano e il referendum cambia una legge.
Ecco, come avete studiato questo problema? D'altra parte, il quorum è notoriamente e continuamente discusso come meccanismo antidemocratico, infatti i referendum americani non è previsto un quorum elevato e per ogni elezione ci sono decine di referendum che si svolgono nei diversi Stati americani e vengono approvati, ma hanno un minimo di partecipazione richiesta per essere validi. Qual è il pensiero della Commissione di Venezia su questo punto?
GIANNI BUQUICCHIO, Presidente della Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa. Non sono entrato nei dettagli, né voglio farlo adesso. Comunque, un quorum meno pesante del 50 per cento è ammissibile. Vi sono, poi, altre formule, come l'approvazione del tema del referendum davanti a un organo particolare, magari anche il Parlamento, oppure una validazione ex post del risultato del referendum sempre da parte del Parlamento. Insomma, ci sono diverse possibilità e ogni Paese può scegliere quella che vuole. Tuttavia, come lei ha riconosciuto, con il 50 per cento di quorum, salvo casi eccezionali, non si riesce a far passare niente. Vi sono, quindi, delle condizioni da aggiungere in modo da trovare la soluzione migliore, che sia più confacente alla situazione politica e di sviluppo culturale di un Paese.
Un'altra cosa sulla quale la Commissione non è d' accordo è una soglia troppo elevata per l'entrata delle forze politiche in Parlamento. In alcuni Paesi, per esempio in Turchia, mi pare che ci voglia il 12 per cento, il che è un po' esagerato. È vero,
però, che in Turchia i candidati cosiddetti «indipendenti» possono accedere al Parlamento senza bisogno di nessuna soglia. Comunque, noi consideriamo che una soglia non debba tendenzialmente superare il 5 per cento. Poi, può essere il 5, il 4, il 6 in alcuni Paesi; ciò dipende dalla situazione di ciascuno dei nostri Stati membri.
FRANCESCO TEMPESTINI. La Commissione ha avuto modo di occuparsi della situazione dell'Ucraina? Mi riferisco agli ultimi avvenimenti, cioè al fatto che la Tymoshenko è stata avvisata di altri reati e soprattutto al fatto che siamo alla vigilia delle elezioni politiche. Capisco che non entra nel merito del nostro incontro, ma vorrei qualche notizia su questo.
GIANNI BUQUICCHIO, Presidente della Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa. Certo, questa è una buona occasione per trattare - con piacere da parte mia - oltre all'Ungheria e alla Romania la situazione nel resto dell'Europa. L'Ucraina è un vecchio «cliente» della Commissione di Venezia. Da anni, spingiamo le autorità ucraine a modificare la Costituzione, altrimenti il Paese non sarà mai ben governato e governabile. Occorre cambiare, tra l'altro, il sistema della procuratura. Insomma, ci sono tante cose da cambiare. Hanno modificato il sistema elettorale, anche se non nel modo migliore, ma tutte le forze politiche erano contente e noi non possiamo dire di scegliere il proporzionale piuttosto che il maggioritario. Questa è una scelta sovrana di ogni Paese.
Per la Costituzione, da quando Yanukovich, che ho incontrato parecchie volte, è stato eletto, gli ho sempre detto che bisogna cambiare la Costituzione e che siamo a disposizione per aiutarli. All'inizio del suo mandato, mi diceva che non avevano i numeri necessari in Parlamento per far passare una nuova Costituzione, per la quale occorrono i due terzi. Il suo predecessore Juscenko era stato tentato di fa passare una Costituzione attraverso un referendum, ma noi eravamo contrari perché il referendum semmai può venire dopo che il Parlamento ha adottato un testo, non sorpassando il Parlamento stesso.
Adesso, invece, il presidente ha cominciato a dire che è d'accordo con la modifica della Carta costituzionale. D'altra parte, anche in Ucraina il giudiziario deve essere profondamente rimaneggiato perché non c'è indipendenza, prova ne è il caso Timoshenko. Il presidente ha creato una Commissione costituzionale alla quale ha invitato a partecipare tutte le forze politiche, purtroppo, però, gran parte dell'opposizione non vi è entrata perché non ha voluto partecipare a questa Commissione, che è presieduta dall'ex Presidente Kravcuk, in carica negli anni Novanta, prima di Juscenko, che è una persona degna e onesta.
La Commissione ha cominciato a lavorare, ma non ci attendiamo nessun risultato concreto prima delle elezioni. Speriamo, quindi, di poter intervenire subito dopo. Del resto, Yanukovich ha detto che non faranno mai niente senza l'assenso della Commissione di Venezia, il che è incoraggiante, ma spero che sia vero e che mantenga la parola.
FRANCESCO TEMPESTINI. Vorrei porle un'altra domanda sulle attività di monitoraggio, soprattutto di quelle elettorali. Ecco, tecnicamente parlando, lei attribuisce loro un'efficacia o hanno solo una funzione di deterrenza? Ecco, mi chiedo se, oltre alla funzione deterrente, abbiamo un'efficacia concreta; se, cioè, sono strumenti che si sono rivelati utili e hanno prodotto qualche risultato positivo.
GIANNI BUQUICCHIO, Presidente della Commissione di Venezia del Consiglio d'Europa. Ci sono dei risultati positivi, nel senso che l'onestà elettorale sta facendo progressi. Tuttavia, lei ha ragione. Non ho mai approfondito il problema del vero effetto del monitoraggio. La deterrenza lo è senz'altro, ma se si vuole imbrogliare, si imbroglia, come abbiamo visto in Azerbaijan e in Armenia (laddove, peraltro, adesso la situazione è molto migliorata). Vedremo cosa accadrà in Georgia fra qualche settimana, visto che ci saranno le elezioni in ottobre.
Insomma, vi sono passi in avanti, ma il monitoraggio non ha un grandissimo effetto. Certo, ha una sua funzione perché quando gli osservatori - siano essi del Consiglio d'Europa, dell'Unione europea, dell'IFES (International Foundation for Electoral Systems), dell'OSCE e via discorrendo - emettono un rapporto negativo, questo viene divulgato in tutto il mondo, provocando una certa vergogna.
Quando avevo relazioni migliori con l'Azerbaijan, dopo la morte di Haydar Aliyev, avevo molta fiducia nel figlio, Ilham Aliyev, che era un giovane intelligente, parlava le lingue e così via, per cui speravo che facesse progredire il Paese verso una maggiore democrazia. Ricordo che una volta ebbi un incontro personale con lui - eravamo soli nella stanza - e, visto che ci sarebbero state le elezioni qualche settimana dopo, gli dissi che sarebbe stato auspicabile che, per quella volta, non ci fossero tante critiche sulla tenuta delle elezioni. D'altra parte, sarebbe stato comunque eletto, sia che avesse ottenuto il 90 o il 55 per cento.
Ebbene, il presidente disse che non era lui, ma i funzionari elettorali e quant'altro. Ora, può essere anche vero che vi sia un eccesso di zelo di questi personaggi che vogliono fare bella figura con il presidente, il quale, quando vince, dà loro qualcosa. Allora, gli dissi di applicare delle sanzioni per la violazione delle regole elettorali. Mi disse che lo avrebbe fatto. Devo dire che la situazione è cambiata, ma di poco.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Buquicchio della sua disponibilità e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13.