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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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Commissione III
18.
Giovedì 18 giugno 2009
INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:

Colombo Furio, Presidente ... 3

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Audizione del direttore dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali, Morten Kjaerum:

Colombo Furio, Presidente ... 3 7 9 11
Kjaerum Morten, Direttore dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali ... 3 9
Narducci Franco (PD) ... 7
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Movimento per l'Autonomia: Misto-MpA; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Repubblicani; Regionalisti, Popolari: (Misto-RRP).

COMMISSIONE III
AFFARI ESTERI E COMUNITARI
Comitato permanente sui diritti umani

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di giovedì 18 giugno 2009


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FURIO COLOMBO

La seduta comincia alle 9,10.

(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Audizione del direttore dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali, Morten Kjaerum.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, l'audizione del direttore dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali nel mondo, Morten Kjaerum.
Nel dare il benvenuto agli ospiti e ai colleghi intervenuti, invito il direttore a prendere la parola, avvertendo che si soffermerà in particolare sul rapporto annuale sull'antisemitismo in Europa.

MORTEN KJAERUM, Direttore dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali. Signor presidente, grazie per avermi invitato a parlare dinanzi a questa autorevole platea di parlamentari, in questo Comitato. Per me è sempre importante, quando faccio visita agli Stati membri dell'Unione europea in qualità di direttore dell'Agenzia per i diritti fondamentali, avere un dialogo molto ravvicinato con i parlamentari, in quanto essi sono il pilastro di qualunque sistema democratico, in Europa e in tutto il mondo.
Proprio per adempiere al nostro compito all'interno della nostra Agenzia, credo che sia molto importante instaurare un dialogo diretto, aperto e franco, con i Parlamentari non solo all'interno del Parlamento europeo - con cui abbiamo ottimi contatti e ovviamente continui dibattiti all'interno delle varie Commissioni - ma anche a livello dei vari Stati, con i parlamentari che si occupano principalmente delle questioni interne ai Paesi membri e non delle più ampie questioni europee discusse a Bruxelles. Sono molto lieto, dunque, di essere qui.
Accennerò ad alcune questioni, quali l'antisemitismo in Europa, dal punto di vista della nostra Agenzia, e successivamente credo che potremo discutere tematiche più ampie delle quali l'Agenzia si occupa.
Come credo sia riconosciuto da tutti, il razzismo, la xenofobia e l'antisemitismo sono ancora problemi di ogni giorno per molte persone che vivono oggi in Europa. Per questo, nutrire la cultura del ricordo, basata sulla consapevolezza di ciò che è accaduto nel passato, dal nostro punto di vista è un compito molto importante al fine di comprendere perché il regime dei diritti umani, a livello europeo e internazionale, ha l'assetto attuale. Noi tutti conosciamo la Dichiarazione universale del 1948: «mai più, mai più» e come è stato istituito il meccanismo internazionale, dopo la seconda guerra mondiale, affinché tutti potessimo ricordare e potessimo trasmettere alle generazioni future le ragioni più profonde delle minacce per la dignità


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umana. Non dobbiamo ripetere le stesse atrocità e le stesse violazioni, nelle successive generazioni, per il bene di un continente nei confronti dell'altro. Si tratta, quindi, di un insegnamento transcontinentale e non solo generazionale, quando si parla di questioni come questa.
Vorrei sottolineare che questo è il nostro concetto di diritti umani oggi. Si tratta di un'esperienza comune a tutta l'umanità, in merito a ciò che davvero minaccia la dignità umana. Se pensiamo all'Olocausto, possiamo dire che all'inizio gli ebrei si sono visti negare unicamente l'accesso ai diritti sociali ed economici, come li chiamiamo oggi (il linguaggio negli anni Trenta non era certamente questo). Da principio sono stati gradualmente negati alle persone l'accesso alla libertà di scelta del lavoro, il diritto alla proprietà, il diritto all'istruzione; in seguito diritti civili e politici come la libertà di pensiero e di espressione sono stati violati. Sappiamo che, alla fine, gli ebrei hanno pagato con la vita e questa rappresenta la più brutale forma di violazione dei diritti umani.
Questo è solo un quadro della percezione che abbiamo e in base alla quale lavoriamo, in merito all'antisemitismo, su un piano storico. Questa è la nostra prospettiva, all'interno della nostra Agenzia, così come per molti nostri partner in Europa. Se guardiamo, però, all'antisemitismo in quanto tale, se consideriamo il suo profilo, vorrei sottolineare subito che in questo settore, come in molti altri, quando parliamo di diritti fondamentali sappiamo - per essere franchi - davvero poco.
I dati raccolti in merito ad alcune delle principali preoccupazioni in Europa, purtroppo, sono estremamente rudimentali. È un compito dell'Agenzia raccogliere in modo più sistematico dati e produrre dati primari, così da poterli analizzare. Ci sono, naturalmente, limiti in merito alla quantità di dati che possiamo produrre, considerando che abbiamo una struttura piccola, a Vienna. Abbiamo dunque bisogno di rafforzare la collaborazione con gli Stati membri, perché dal nostro punto di vista è loro responsabilità acquisire una maggiore conoscenza circa la situazione al loro interno.
Questo è, in un certo senso, un appello perché si avvii un dibattito su come aumentare le possibilità di raccogliere i dati sull'antisemitismo, sul razzismo e su altre questioni legate ai diritti fondamentali, cosicché voi stessi possiate essere meglio informati e avere dati probatori fondamentali per il processo decisionale e legislativo nell'ambito del vostro Parlamento.
Quello che possiamo dire in merito all'antisemitismo in Europa si basa comunque su diversi elementi. Uno studio molto interessante è stato condotto dalla Lega antidiffamazione su un campione casuale raccolto all'interno di otto Stati membri dell'Europa tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009. Quello che ha colpito è che ben il 40 per cento delle persone intervistate nell'ambito di questo studio ha fornito classiche risposte antisemite, piene di stereotipi: gli ebrei sono più fedeli ad Israele che al loro Paese, gli ebrei hanno troppo potere nel mondo economico, gli ebrei hanno troppo potere sui mercati finanziari internazionali, parlano ancora troppo di quello che è accaduto loro durante l'Olocausto, sono responsabili della morte di Cristo e così via.
Una delle conclusioni, emersa peraltro anche in altri studi e correlata alla crisi economica, è che il settore finanziario e la comunità ebraica sono strettamente connessi. Emerge, quindi, negli altri un certo grado di paura e di aggressività, anche nel linguaggio, rispetto al presunto eccessivo potere degli ebrei.
Questa è una delle dimensioni dell'antisemitismo che ancora si può rilevare in Europa.
Riconosciamo tutti, dunque, che l'antisemitismo è ancora ben radicato, considerando non solo i libri di storia, ma anche la realtà concreta dell'era moderna.
Un altro aspetto, piuttosto nuovo, è stato rilevato in Francia. Se si ritorna alla questione dei dati, Francia, Germania e Svezia sono gli unici tre Paesi in grado di raccogliere dati sistematici all'interno del


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loro sistema giudiziario. Solo all'interno di questi tre Paesi, dunque, è possibile osservare tendenze registrate dalle autorità giudiziarie.
Quello che rileviamo in Francia è che l'antisemitismo aumenta, nelle statistiche giudiziarie, in parallelo con quello che accade in Medio Oriente. In altre parole, quando c'è una crisi in Medio Oriente, si registra una crescita dell'antisemitismo, alla quale seguono dei cali dello stesso. C'è, dunque, un antisemitismo legato ai gruppi di immigrati musulmani. Sebbene non in maniera esclusiva - l'antisemitismo è legato anche ad altri gruppi - la maggioranza dei casi registrati riguarda persone che hanno una provenienza dal Medio Oriente.
Occorre considerare un ulteriore elemento, molto importante quando si parla di antisemitismo. Occorre sempre ricordare che l'antisemitismo, così come ogni altra questione legata alle minoranze, raramente è collegato a dati numerici. Il problema non deriva dal fatto che ci sono molti ebrei in Francia, Germania o Svezia, e non si pensi che per questo vengano raccolti i dati in quei Paesi. Il problema - come ho detto a proposito dei collegamenti con il Medio Oriente - riguarda le percezioni relative agli ebrei.
Negli anni Novanta, subito dopo la caduta del Muro di Berlino, un mio collega polacco, parlando di antisemitismo durante una riunione, tracciò un quadro piuttosto drammatico del fenomeno (evidente, ad esempio, nelle scritte apparse negli stadi) e ci chiese, alla fine del suo intervento, se sapevamo quanti ebrei vivessero in Polonia. Ammetto che, all'epoca, non sapevo quanti fossero: erano 2 mila.
Questo sottolinea un elemento che dovrebbe essere preso sempre in considerazione, quando si parla di minoranze: il problema è la percezione dei fenomeni e il modo in cui le questioni vengono presentate nei dibattiti politici e pubblici e dai media. Tutti noi dobbiamo costantemente insistere sui fatti e sui dati a disposizione.
Faccio ora un breve accenno al ruolo della nostra Agenzia, che è una neonata nella famiglia delle istituzioni che si occupano di diritti umani in Europa. Noi conosciamo il Consiglio d'Europa e le Nazioni Unite, che fissano norme ed effettuano monitoraggi. La nostra Agenzia non redige convenzioni, non stabilisce standard e non controlla i singoli Stati membri. Non sono, dunque, in Italia per preparare una relazione sul vostro Paese, ma sono in visita per parlare della nostra Agenzia, del lavoro che svolge e delle questioni di cui si occupa.
Noi raccogliamo dati, proprio per esaminare in dettaglio le varie questioni. Come Agenzia, appoggiamo e integriamo l'attività del Consiglio d'Europa e delle Nazioni Unite. Possiamo condurre studi, e infatti stiamo preparando per l'anno prossimo uno studio approfondito sull'antisemitismo, basandoci su un lavoro che abbiamo condotto sulle minoranze etniche in Europa. Nell'ambito di tale studio abbiamo intervistato 25 mila persone appartenenti a minoranze etniche in tutti e 27 gli Stati membri, chiedendo quali fossero le esperienze di ciascuna in merito alla discriminazione razziale e se avessero mai vissuto esperienze di discriminazione. In caso di risposta positiva, abbiamo condotto interviste che duravano tra i trenta ai sessanta minuti e raccolto, insieme alla società Gallup, enormi quantità di dati primari e di informazioni.
In questo modo, abbiamo scoperto elementi estremamente interessanti, che vorremmo fossero discussi nei prossimi anni in Europa. Ma vorrei citare qui un elemento emerso che credo verrebbe confermato anche dalla comunità ebraica, sebbene questa non sia stata ancora coinvolta nello studio. Abbiamo rilevato che la maggior parte delle persone che hanno subìto episodi di violenza o di discriminazione fisica non lo hanno denunciato. Per essere più precisi, l'80 per cento delle persone che hanno subito un attacco fisico non lo ha denunciato né alla polizia, né ad organi


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per le pari opportunità, né ad altri organismi. Credo che questo rappresenti un problema.
In un nostro studio sull'omofobia abbiamo rilevato lo stesso modello, per cui le persone che hanno subìto attacchi fisici violenti per il loro orientamento sessuale anche in questo caso non hanno denunciato gli attacchi, rassegnandosi all'idea di avere un orientamento sessuale o un'appartenenza etnica tali per cui fosse quasi inevitabile subire un attacco violento ed essere picchiati di tanto in tanto.
Naturalmente, per qualunque società questa è una realtà molto pericolosa da accettare perché mette in seria discussione la coesione sociale e l'integrazione delle persone che vivono nei nostri Paesi.
Il nostro compito, come dicevo, è raccogliere dati e analizzarli. Inoltre, offriamo consulenza sulla base dei nostri dati, formulando raccomandazioni e consigli alle istituzioni dell'Unione europea e agli Stati membri. Questa è una parte fondamentale del nostro lavoro, che - lo ribadisco - non consiste nel fissare norme o monitorare, ma nel raccogliere dati. Non ci limitiamo soltanto a preparare delle relazioni, ma le trasmettiamo alle istituzioni dell'Unione europea e agli Stati membri, avviando un dialogo sulle azioni da realizzare in futuro.
In merito alle mancate denunce degli atti di violenza, per esempio, una delle nostre prime azioni è stata quella di interpellare gli organi per le pari opportunità di tutta Europa (per l'Italia l'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica, UNAR), e di invitarli a una riunione che si è tenuta a Vienna dove abbiamo avviato un dibattito sulle azioni da intraprendere in futuro, non presentandoci come coloro che avevano la soluzione pronta, ma sottolineando il problema emerso sulla base dei dati raccolti, ovvero che tali organi non sono sufficientemente conosciuti tra le fasce più vulnerabili della società che dunque non possono usufruire pienamente dei loro servizi.
Questa è solamente una delle tante iniziative da noi intraprese per fornire consulenza; le nostre relazioni mirano anche a promuovere azioni politiche a livello nazionale nonché a livello europeo attraverso nuove direttive, uno strumento molto utilizzato dal Consiglio d'Europa nell'espletamento delle sue funzioni. Conduciamo campagne di sensibilizzazione; abbiamo collegamenti con una rete di insegnanti, con la quale abbiamo iniziato a lavorare, ad esempio, sull'Olocausto, proponendo modi di utilizzare l'argomento dell'Olocausto nel contesto contemporaneo.
Per ragioni difficili da comprendere - e devo dire che ciò ancora mi sorprende - il legame tra il contesto dei diritti umani e la comunità ebraica o i luoghi dedicati alla memoria dell'Olocausto non è particolarmente forte; l'Olocausto è stato percepito come un incidente storico, di cui si è parlato moltissimo, ma che spesso non è stato collegato ai diritti umani e ad alcuni dei fenomeni contemporanei.
I giovani di oggi sono però impegnati nel settore dei diritti umani, dunque creare un legame con gli eventi del passato può contribuire a rinnovare l'interesse nell'Olocausto e al contempo, fornire una maggiore comprensione storica anche della profondità delle lezioni apprese dal tragico evento; vi è dunque un interesse reciproco in tale iniziativa. Ci rivolgiamo anche agli studenti, con un'agenda scolastica, una sorta di diario in cui si possano annotare appunti o segnare le letture da svolgere e la cui seconda pagina contiene riferimenti ai diritti umani, all'Olocausto, etc. Questo diario ha riscosso molto successo, infatti lo abbiamo tradotto in sei o sette lingue - non ancora in italiano - ed è uscito in più di mezzo milione di copie, ma non riusciamo a soddisfare tutte le richieste.
Da un paio di anni portiamo avanti un'iniziativa chiamata «Diversity Day», a Vienna: riuniamo un'enorme quantità di organizzazioni non governative, nonché altri rappresentanti e istituzioni della società civile, coinvolgendo tra l'altro le


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scuole di Vienna e dei paesi vicini per affrontare, in una lingua che sia comprensibile, il tema della diversità, con la musica e altri strumenti. L'iniziativa è stata sposata dalla Commissione europea che la estenderà da Vienna ad altre dieci capitali europee, in modo da coinvolgere maggiormente i giovani sul tema della diversità.
Ho citato solo alcune delle iniziative relative all'Olocausto e al suo legame con i diritti umani. Ne abbiamo avviato anche altre, ma voglio fermarmi qui per proseguire il dibattito con le vostre domande.

PRESIDENTE. Nel ringraziarla, dottor Kjaerum, vorrei scusarmi per non aver ricordato inizialmente la presenza della delegazione che l'accompagna. Saluto e ringrazio, pertanto, il dottor Massimo Toschi, il dottor Pier Virgilio Dastoli, la dottoressa Sofia Pain e la dottoressa Elena Montani.
Dal momento che nessuno di voi desidera precisare o aggiungere qualcosa, do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FRANCO NARDUCCI. Signor presidente, pur non facendo parte del Comitato, ho voluto partecipare a questa audizione che ritengo veramente molto importante, essendo qui rappresentata l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali. Ringrazio il dottor Kjaerum per la sua esposizione.
Credo sia tempo che gli Stati facciano di più per contrastare i fenomeni di intolleranza, razzismo, xenofobia e, in particolare, antisemitismo.
In Germania, questa problematica torna continuamente alla luce. Si pensi alle violazioni delle tombe, dei cimiteri, al fenomeno degli skinhead e alla rinascita, anche istituzionale, delle forze politiche che si ispirano a sentimenti di antisemitismo. Credo che tutti i Paesi membri debbano fare di più per combattere principalmente l'antisemitismo. Dal mio punto di vista, il filo della memoria e della storia, purtroppo, non è molto robusto; per questo spesso viene spezzato e nella quotidianità si dimenticano tutte le atrocità che l'uomo ha commesso in passato, non soltanto durante il periodo fascista, non soltanto nei lager tedeschi, ma anche dopo. Abbiamo avuto esempi veramente gravi di criminalità contro la dignità delle persone.
Credo che il ruolo dell'Agenzia, anche e soprattutto tra i giovani e nelle scuole, sia fondamentale. Lo dico da parlamentare eletto all'estero che vive in Svizzera, dove il tema della xenofobia è molto attuale: dapprima si sono tenuti i referendum contro gli italiani, per non parlare di fenomeni xenofobi contro altre etnie. Alcune forme di xenofobia, purtroppo, sono legalizzate. Lo slogan che la Lega italiana ha copiato dalla Lega svizzera sugli indiani, che una volta erano liberi, poi sono stati chiusi nelle riserve, è uno dei tanti slogan xenofobi dell'Unione democratica di centro in Svizzera. Questa è storia; non sto parlando di circostanze sconosciute, ma note, che hanno destato molte preoccupazioni.
In Svizzera, però, ho imparato anche che la legge non lascia impunite queste azioni xenofobe. L'articolo riguardante l'antirazzismo e la xenofobia, infatti, colpisce anche i rappresentanti delle istituzioni parlamentari quando questi utilizzino espressioni xenofobe in sede istituzionale.
Credo che in Italia, da questo punto di vista, dobbiamo fare di più. Nel nostro Parlamento, infatti, spesso si manifestano esplosioni di intolleranza verbale verso gli immigrati contro le quali, a mio parere, chiunque abbia un po' di raziocinio, umanità e rispetto per la dignità delle persone deve lottare.
Si pensi, tra l'altro, alla polemica scoppiata recentemente in Italia sui vescovi lefebvriani. Condivido, inoltre, quanto lei ha detto in relazione al deicidio. Bisogna che una volta per tutte si affrontino storicamente questi problemi. Come non si può fare a meno di curare il malato, allo stesso modo non si può lasciar crescere questo bubbone finché non scoppierà in manifestazioni incontrollabili.


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Nelle società odierne, che diventano sempre più multiculturali, bisogna impegnarsi di più affinché ci sia maggiore tolleranza e la xenofobia venga bandita, soprattutto nelle scuole e nelle istituzioni. Si pensi, al riguardo, al problema del velo - il Kopftuch - oppure alle manifestazioni alle quali assistiamo nel mondo calcistico del nostro Paese, dove, ad esempio, un giocatore italiano di colore è continuamente bersagliato con urla, slogan e striscioni razzisti.
Credo che la legge debba avere un ruolo maggiore da questo punto di vista: non basta emanare le leggi, il problema riguarda l'applicazione. Devo dire che, nei Paesi che storicamente si sono confrontati di più con i problemi del razzismo e, soprattutto, dell'antisemitismo, in questo ambito la legge opera in modo più efficace. Come dicevo prima, infatti, coloro che sono passibili di pena sono effettivamente perseguiti. In Italia, invece, oltre ad elaborare le norme legislative, dobbiamo lavorare di più, sia sul versante dell'antisemitismo, sia dal punto di vista della rinascita, in determinate zone del Paese, di questo fenomeno, e fare in modo che le regole vengano applicate.
Purtroppo, abbiamo assistito alla strumentalizzazione enorme - al riguardo la collega Nirenstein è intervenuta ripetutamente in Parlamento - della conferenza ONU sul razzismo che si è svolta a Ginevra. Credo che sia stata un'occasione persa: se si organizzano conferenze per combattere a livello globale questi fenomeni, bisognerebbe bandire le strumentalizzazioni, altrimenti questi eventi servono a poco.
Sono intervenuto per ringraziarla, più che per porre delle domande, e soprattutto per lanciare un appello a diffondere maggiormente nelle scuole e nella società una cultura contro ogni forma di xenofobia e di razzismo. Abbiamo vissuto atrocità immense - non secoli fa, ma abbastanza recentemente - e credo che la storia ci dovrebbe insegnare che non si possono ripetere.

FIAMMA NIRENSTEIN. Ringrazio anch'io sentitamente il dottor Kjaerum. Mi ha molto interessato il suo intervento, in particolare con riferimento all'articolazione del lavoro della sua organizzazione, anche perché l'assenza dell'Europa sul terreno dell'antisemitismo è spaventosa, se comparata alla grandezza del fenomeno in questo periodo.
Ormai, soprattutto nei Paesi dell'Europa del nord, dove sono presenti gruppi islamici più consistenti, è diventato difficile per un ebreo indossare i segni della sua religione per la strada. Si sono verificati episodi sanguinosi di dimensioni stupefacenti, come la vicenda di Halimi, di cui lei è sicuramente a conoscenza: la tortura inflitta a un ragazzo solo perché ebreo, in un appartamento della banlieue parigina, sotto gli occhi e nelle orecchie di tutti gli abitanti del quartiere, senza che nessuno abbia mosso un dito, mentre la madre del ragazzo era costretta ad ascoltarne le urla. La vittima, infine, è stata abbandonata bruciata viva in una discarica e non è stato possibile salvarla.
Penso, ancora, alla storia del ragazzo musulmano che ha aspettato nel garage il suo coinquilino e, dopo averlo ammazzato, ha affermato: «I've killed my Jew. I'll go to Paradise». Quindi, è andato in giro fino a che non è stato arrestato.
Per non dire, poi, del terribile episodio accaduto in Svezia, dove si è consumato un attacco tremendo durante una partita di tennis nella quale era impegnata una squadra israeliana; peraltro, l'attacco è stato rivolto a uno stadio vuoto, dal momento che era già stata impedita la presenza del pubblico. Nonostante questo, lo stadio è stato attaccato - con una violenza che raramente si vede in Svezia - solo per testimoniare l'odio nei confronti della squadra di ebrei impegnata nella partita.
Cito solamente qualcuno di una miriade di episodi che si sono verificati e lo faccio non per il gusto dell'orrido, ma perché si capisca a che punto siamo arrivati: non si tratta più «soltanto» di tombe dissacrate, di scritte sui muri o di attacchi a squadre di calcio; si tratta di


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omicidi, di ragazze con la stella di David assaltate nella metropolitana eccetera. Insomma, la situazione richiede un atteggiamento emergenziale.
Credo che questo quadro sia particolarmente toccante, per la nostra coscienza di europei, in primo luogo perché l'Europa è la culla di un altro tipo di antisemitismo - quello che lei ha definito «antisemitismo tradizionale» - che purtroppo, come lei stesso ha detto, è ancora ben presente e radicato. In Europa, tuttavia, aveva perso le sue caratteristiche genocide, proprio perché un genocidio l'aveva già compiuto. Attualmente, però, con i discorsi di Ahmadinejad anche nelle sedi più autorevoli (ad esempio, le Nazioni Unite), la componente genocida è tornata, purtroppo, ad essere linguaggio politico corrente.
L'idea della possibilità di distruggere la sede del popolo ebraico in quanto nazione - lo Stato di Israele - sfortunatamente è discorso corrente. Sembra incredibile, ma l'idea del genocidio totale degli ebrei (tramite la bomba atomica, questa volta) si è diffusa nuovamente. L'incitamento al genocidio, naturalmente, diventa istigazione all'omicidio.
L'atteggiamento antisemita e antiisraeliano - di cui lei ha parlato e che il nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sottolineato con grande competenza e profondità di argomentazioni - ha due caratteristiche che lo rendono immediatamente individuabile e sulle quali, a mio parere, bisognerebbe lavorare. Si tratta di caratteristiche proprie dell'antisemitismo classico: il blood libel e la teoria della cospirazione, due stilemi incontrovertibili ed evidenti di quello che è stato nei secoli l'antisemitismo.
Israele è visto - parlo ora del blood libel - come uccisore di bambini, come feroce Stato alla ricerca del sangue del suo antagonista. Non mi dilungo, perché lei conosce benissimo la problematica e, purtroppo, al riguardo si hanno esperienze ricorrenti.
Mi è capitato di partecipare, in quanto componente dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, a una seduta sulla guerra di Gaza che, da questo punto di vista, definirei stupefacente. Il blood libel è stato praticato dai civilissimi membri del Consiglio d'Europa: un monitoraggio di questi episodi sarebbe necessario, molto più che chiedere alla gente se pensa che gli ebrei siano più fedeli a Israele o ai loro Paesi d'origine, una domanda che, secondo me, non ha alcun significato allo stato attuale. Bisognerebbe, piuttosto, chiedere alla gente se crede che davvero Israele compia stragi di bambini intenzionalmente; questa, sì, sarebbe una domanda interessante, dal momento che proverebbe di nuovo l'esistenza del blood libel.
Quanto alla diffusissima teoria della cospirazione - il piccolo Satana cospirerebbe insieme al grande Satana per dominare il mondo - cito ad esempio il libro di Walt e Mearsheimer, che lei sicuramente conosce, e purtroppo anche il libro di Jimmy Carter, nel quale il termine apartheid non viene usato casualmente, ma in maniera funzionale a una completa delegittimazione.
Dottor Kjaerum, invito la sua organizzazione a occuparsi di queste forme più moderne di antisemitismo, perché è lì che si annida il pregiudizio contemporaneo. Naturalmente il nostro Comitato sui diritti umani, presieduto dall'onorevole Colombo in maniera eccellente, è a vostra disposizione per approfondire questi problemi.
Per quanto ancora presente, l'antica forma del pregiudizio - naturalmente altri colleghi avranno un parere diverso dal mio - è molto meno attiva. Gli uccisori di Halimi, del resto, avevano un tipo di pregiudizio legato al blood libel e alla teoria della cospirazione, proprio della visione contemporanea dell'antisemitismo.

PRESIDENTE. Domando al dottor Kjaerum se vuole aggiungere qualcosa, più che in forma di risposta, non essendo state formulate domande, in forma di riflessione.

MORTEN KJAERUM, Direttore dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali.


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Grazie per tutti gli interventi, che sono stati per me fonte di ispirazione e di riflessione.
Quello che ritengo importante, in questo momento, in qualunque Stato europeo, in stretta collaborazione con l'Unione europea, è anzitutto creare un quadro giuridico. Sappiamo che esistono diverse direttive della Commissione. Penso, ad esempio, alla direttiva del 2000 contro la discriminazione e alla recente proposta di direttiva che è stata elaborata per colmare i vuoti lasciati dalle precedenti direttive.
Tali direttive creeranno un quadro giuridico europeo solido per combattere il razzismo, l'antisemitismo e altre forme di discriminazione, che dovrà essere definito anche a livello nazionale. È altresì importante avere istituzioni che a livello nazionale possano occuparsi di tali questioni, avviare il dialogo con i governi, con i parlamenti, con la società civile, aprire un dibattito nazionale per ottenere ispirazione anche da altri Paesi sui vari approcci, anche educativi, in merito ai diritti umani: per esempio, come ho già detto, su come sia possibile legare il concetto dell'Olocausto all'istruzione in tema di diritti umani.
È qui che entrano in gioco gli organi per le pari opportunità menzionati nella direttiva antidiscriminazione, così come le istituzioni nazionali per i diritti umani in molti altri Paesi europei.
La presenza di strutture formali ci consente di passare alla fase successiva, che è la più difficile: come creare una cultura dei diritti umani in tutte le istituzioni e gli organismi che incontrano la gente comune, dunque non solo a livello di istituzioni competenti, ma anche a livello di forze di polizia, di scuole, eccetera.
Credo che, in tutta Europa, sia una sfida estremamente impegnativa per tutti noi quella di creare una cultura dei diritti umani a livello di istituzioni, in modo che qualunque forma di discriminazione o di dichiarazione offensiva possa essere denunciata. Trasformare le forze di polizia in un servizio di polizia, ad esempio, è una delle conseguenze che si determinano nel momento in cui si crea una cultura dei diritti umani. Inoltre, come abbiamo visto dai nostri studi, attualmente nei nostri servizi sanitari nazionali le minoranze etniche, gli omosessuali e altri non sentono di essere trattati in maniera adeguata. Di quanti dati o riscontri disponiamo nei servizi sanitari su questioni così importanti? Purtroppo molto pochi; siamo a conoscenza di interessanti iniziative sperimentate da alcuni Stati membri ma sono ancora nella fase iniziale. Ci si dovrebbe chiedere, tra l'altro, come agire per affrontare il problema dell'antisemitismo, per esempio all'interno del settore sanitario. Questi, in sostanza, sono i passi da compiere.
A mio parere, ciò che è fonte di ispirazione per i diritti umani è l'evoluzione riscontrata rispetto agli anni Ottanta, quando, ad esempio, in relazione a Cina, Sudafrica e altri Paesi remoti, questo ambito era di pertinenza della politica estera e non una questione di cui parlare a livello nazionale o di politica interna in Europa. Oggi, invece, i diritti umani sono divenuti oggetto di dibattito a livello nazionale, nei Parlamenti, nei tribunali e in ogni settore della società. Bisognerà, dunque, passare al livello delle regioni e dei paesi, dove abita la gente comune, per iniziare a inserire il tema dei diritti umani all'interno delle attività delle istituzioni che sono in prima linea, proprio perché hanno un contatto continuo e costante con i cittadini in tutta Europa. Questa è parte del lavoro che ci attenderà.
Per quanto riguarda i reati citati dall'onorevole Nirenstein, a mio parere, una delle istituzioni che abbiamo nei nostri Stati democratici, che ha la capacità di mandare segnali in merito a ciò che può essere tollerato o meno, è il tribunale. Credo che la maggior parte dei codici penali in Europa considerino una circostanza aggravante l'eventualità che un attacco violento abbia uno sfondo razziale, antisemita. Ma ditemi quanti giudici, in Italia, Austria, Danimarca o Francia utilizzerebbero questa aggravante prevista dai nostri codici penali, sicuramente pochi.


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Sanno che questa possibilità esiste, essendo preparatissimi, quando si deve valutare l'entità di un reato di un caso specifico di violenza; ma quando si tratta di considerare concretamente l'aggravante della violenza a sfondo razziale, che comporterebbe più anni di reclusione, si tirano indietro perché avvertono che è un percorso difficile e incerto. Capisco, umanamente, che scelgano di percorrere la strada più sicura, evitando di prendere in considerazione le motivazioni razziali o antisemitiche che potrebbero aver causato la violenza; così facendo, tuttavia, perdono l'opportunità di utilizzare le aule giudiziarie come luoghi da cui è possibile lanciare un segnale forte - che verrebbe riportato anche dai giornali - all'opinione pubblica su queste circostanze aggravanti.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Kjaerum, a nome di questo Comitato.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,55.

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