Sulla pubblicità dei lavori:
Stefani Stefano, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI NEL MONDO
Audizione di Marco Pannella, presidente del «Senato» del Partito Radicale non violento transnazionale e transpartito:
Stefani Stefano, Presidente ... 3 4 5 6 8 11
Colombo Furio (PD) ... 4 10
Corsini Paolo (PD) ... 8 9
Farina Renato (PdL) ... 9
Mecacci Matteo (PD) ... 8
Nirenstein Fiamma (PdL) ... 5 10 11
Pannella Marco, Presidente del «Senato» del Partito Radicale non violento transnazionale e transpartito ... 3 6 9 11
Touadi Jean Leonard (PD) ... 10
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro: UdC; Futuro e Libertà per l’Italia: FLI; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l’Italia: Misto-ApI; Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia, I Popolari di Italia Domani: Misto-Noi Sud-PID; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling.; Misto-Repubblicani, Azionisti. Alleanza di Centro: Misto-RAAdC.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 9,30.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente)
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, l'audizione di Marco Pannella, presidente del «Senato» del Partito radicale non violento transnazionale e transpartito.
Nel ringraziare Marco Pannella per la cortese disponibilità a interloquire con questa Commissione, desidero sottolineare l'unanimità con cui l'Ufficio di Presidenza ha inteso rivolgere l'invito oggi, in un momento in cui la campagna italiana per la moratoria universale della pena di morte è messa in discussione della condanna inflitta all'ex vicepresidente iracheno Tareq Aziz.
Alcuni di voi mi hanno telefonato ed è stata una telefonata gradita su un argomento per me molto sentito, anche perché il personaggio che ascolteremo merita tutta la nostra attenzione.
Quali siano i sentimenti di questo Parlamento è del resto stato chiaramente espresso ieri dalla mozione promossa dall'onorevole Mecacci e sottoscritta da tutti i capigruppo, che l'Assemblea ha votato ieri sera per impegnare il Governo a un intervento di urgenza nei confronti delle autorità irachene.
Credo non possa sfuggire a nessuno la stretta connessione fra rifiuto della pena capitale e affermazione dello stato di diritto a ogni latitudine del pianeta.
In questo spirito lascio quindi la parola a Marco Pannella, che con tutta la sua vita e la sua esperienza ha sempre testimoniato i valori della libertà e della democrazia oggi in gioco e le cui battaglie - con cui si può essere d'accordo o no - sin da quando ero molto più giovane hanno meritato l'attenzione e il rispetto di tutti.
MARCO PANNELLA, Presidente del «Senato» del Partito Radicale non violento transnazionale e transpartito. La ringrazio, presidente, dell'onore che mi viene da lei fatto, che credo sia anche una dimostrazione dell'onore di questo Parlamento, di questa Camera, che è testimoniato dal fatto di saper conferire, al di là delle polemiche politiche, onorificenze come quella di queste parole a qualcuno che a ottantun anni è fermo al grado di Cavaliere della Repubblica, e forse nemmeno quello, e di soldato semplice.
Il ringraziamento è quindi anche formale, e in questo senso posso rivendicare che quando un partito prese l'iniziativa di creare, politicamente e non istituzionalmente, un Parlamento - non so bene se del nord o del sud - salutai quella scelta, cui concorremmo come radicali, che sottolineammo
essere politica e non di carattere istituzionale.
Abbiamo distribuito la documentazione sull'iniziativa radicale inaugurata nel 2008, ma considero importante rivendicare che 429 parlamentari, deputati e senatori della Repubblica italiana, combatterono già con noi questa battaglia per sottrarre a una situazione pericolosissima Tareq Aziz, di cui non parlava più nessuno. Avemmo il sospetto che si potesse avere solo l'improvviso annuncio della sua morte, magari anche senza processo, e ci muovemmo come siamo soliti.
Vorrei sottolineare quindi che inizio anche la forma non violenta di lotta per l'obiettivo, per far emergere la verità della situazione di questo uomo, rispetto al quale, come rispetto al suo leader, non ho mai avuto i dubbi sollevati dai pacifisti, laddove ritenni necessario - purtroppo non fu sufficiente - per una volta rischiare e andare a un minuto dalla dialisi per lo sciopero della sete nel tentativo di ottenere la non esecuzione della condanna a morte di Saddam Hussein, come a maggior ragione ritengo adesso.
Vorrei però che fosse chiaro che trovammo subito eco nel Parlamento italiano, che il 19 febbraio 2003 aveva avuto il merito storico di essere il primo Parlamento democratico a votare una mozione, con il gradimento del Governo di allora, dichiarando di perseguire l'obiettivo di un Iraq libero, cioè l'esilio di Saddam Hussein come soluzione nello stesso tempo per la libertà e la pace.
In linea con questo, vorrei in questa occasione divulgare attraverso la stampa e i mass media come nel 2008 quasi la maggioranza dei parlamentari italiani (ben 429) abbia fatto propria questa battaglia.
Sono quindi qui, signor presidente, semplicemente per ristabilire questa verità, rendendola nota invece che ignota, come spesso accade da noi, quando qualcosa che è estremamente chiaro e magari anche efficace diventa clandestino, mentre invece qualcosa che dovrebbe essere visibile solo attraverso i buchi della serratura viene imposto per mesi a tutti noi e anche alle istituzioni.
Abbiamo cercato di mettere a disposizione della Commissione la nostra documentazione sul caso di Tareq Aziz e sul contesto nel quale questa situazione è venuta a manifestarsi e a incardinarsi, un contesto che ha visto l'esecuzione di Saddam Hussein e di altri.
Vorrei quindi muovermi a partire da domande sull'una o sull'altra.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Marco Pannella, che sollecita nostre domande possibilmente provocatorie. Non pongo una domanda, ma esprimo una constatazione per quanto riguarda la pena di morte.
Come ho detto in poche parole in Aula in occasione della mozione sulla pena di morte, spesso, soprattutto quando si è più giovani e impulsivi, di fronte a efferati delitti viene spontaneo ipotizzare l'opportunità di utilizzarla.
La ringrazio dunque per quanto sta facendo, perché sta mettendo i cittadini e non solo i parlamentari di fronte a questo grande problema, che ci induce a concludere che nessuno ha il diritto di uccidere un altro essere umano.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
FURIO COLOMBO. Grazie, presidente, per la tempestività con cui ha aderito alla richiesta di questa audizione, rendendola immediatamente possibile. Ringrazio Marco Pannella, che con la sua presenza oggi ci consente di ampliare l'orizzonte del lavoro sul terreno internazionale, che spesso è impedito dall'angustia delle finestre aperte dal Governo in questa Commissione.
Poiché tutti i presenti in quest'Aula non sono stati sostenitori o entusiasti della guerra, ma si dividono tra coloro che la vedevano come necessaria, impellente e importante e coloro che ritenevano invece che si dovesse evitare perché avrebbe portato disgrazie e guai molto peggiori, vorrei chiederle di aiutarci a ricordare due aspetti soprattutto per coloro che non hanno seguito attentamente questo percorso.
Esistono infatti due modi di antagonizzare una guerra: uno generale, morale e cosiddetto «pacifista», che non stiamo discutendo qui adesso, e uno logico, politico e persino tecnico, secondo cui una guerra si può evitare a certe condizioni.
Il Partito radicale e il suo leader Pannella hanno avvertito il mondo in modo molto chiaro, esplicito e netto che la guerra in Iraq si sarebbe potuta evitare «a condizione che» e hanno messo in moto una macchina di azione politico-diplomatica che stava portando a evitarla.
Questo è così evidente - il fatto non c'è, ma l'atmosfera c'è - nel film americano di grande valore documentario, Fair game, in cui si vede la meraviglia degli esperti nel momento in cui il Presidente Bush compare improvvisamente e in anticipo rispetto alle attese sugli schermi televisivi e annuncia una guerra, che era prevista e discussa, ma che viene drasticamente e drammaticamente anticipata dando l'impressione che si stia schiacciando qualcosa.
Di questo qualcosa schiacciato si accenna anche nel film, ma poi questo insegue il rapporto fra alcuni americani e il loro Governo e abbandona questo aspetto che invece interessa il mondo.
Credo che sarebbe interessante se Marco Pannella potesse ricostruire in quest'aula i passi, i momenti, gli aspetti salienti dell'azione politica, diplomatica e organizzativa che era stata messa in moto e che avrebbe potuto evitare quella guerra spaventosa, con i dati di vittime civili e militari diffusi in questi giorni da Wikileaks.
Vorrei quindi chiederle di illustrare questo percorso nel modo più chiaro e utile, perché come sappiamo i media ne hanno discusso poco, la realtà è stata prevalentemente sepolta e siamo arrivati alla guerra come se fosse una delle classiche guerre del passato con una causa immediata, una causa remota e le necessità internazionali che hanno sempre giustificato i conflitti.
Anche per la memoria che questo incontro e questa testimonianza di Marco Pannella lasceranno alla Commissione esteri della Camera è bene che rimanga traccia del percorso diverso con cui si è arrivati a questa guerra.
PRESIDENTE. D'accordo con Marco Pannella, cui ho detto di scegliere se rispondere di volta in volta o sentire anche gli altri, darei adesso la parola a un membro della maggioranza, l'onorevole Nirenstein.
FIAMMA NIRENSTEIN. Come vicepresidente della Commissione, sono molto contenta di vedere Marco Pannella in audizione da noi. Lo ringrazio sentitamente non solo per la tempestività, ma anche per la passione e la buona volontà dimostrata nel corso di un digiuno così oneroso per lui, in quanto divenuto anche digiuno della sete.
I sacrifici personali cui Marco Pannella si sottopone in queste situazioni sono da anni per l'Italia una testimonianza di battaglia piena e di estrema buona fede giocata sul proprio corpo, per cui come Commissione dobbiamo dare un segno di apprezzamento per questa passione e questa sincerità rare in un Paese turbato da tanti eventi e intrecci politici.
Ringrazio molto Marco Pannella per essere qui a rafforzare la nostra battaglia contro la pena di morte, cui sono sempre stata contraria per motivi che ho dichiarato e scritto, che tutti condividiamo, che non intendo reiterare e che Pannella esprime meglio di tutti noi.
La mia onestà mi impone anche di differenziare le ragioni del mio gradimento nei confronti della sua presenza da quelle dell'onorevole Furio Colombo. Non intendo infatti trasformare questa nostra audizione in un processo alla guerra in Iraq e, mentre ringrazio Marco per aver tentato di evitare quella guerra, cosa di cui tutti possiamo dargli atto, non credo affatto che dall'altra parte ci siano stati inganni, sotterfugi o atteggiamenti di malafede perché ci sarebbe una parte che preferisce la pace e una che preferisce la guerra.
Esistono invece situazioni - aspetto legato all'interlocuzione fra tra le parti in
causa - in cui la guerra appare inevitabile per motivi legati non alla propria malevolenza, ma all'antagonista.
Non devo ricordare chi è stato Saddam Hussein né chi era Tareq Aziz perché sappiamo quanto appassionatamente Tareq Aziz abbia difeso Saddam Hussein a parole e nei fatti, quanto lo abbia aiutato nella sua attività di assassino seriale e di gassatore di curdi, ma ciò non toglie che siamo tutti qui oggi per testimoniare che non vogliamo che venga impiccato.
Credo che in questo risieda il valore la nostra testimonianza e non certo in un'accusa agli Stati Uniti (sono contraria a questo punto di vista) o a Tony Blair. Sono ovviamente in grado di entrare nel merito degli argomenti relativi a questa disputa, ma non mi sembra il caso di farlo.
Considero invece opportuno ribadire, come Marco Pannella ha fatto in tutti questi anni, l'acceso sentimento di battaglia contro la pena di morte, che lo ha caratterizzato e credo caratterizzi tutti noi. Terrei fermo l'accento su questo aspetto.
Questo è il mio punto di vista e intendo sottolinearlo proprio a fronte dell'interesse da parte di altri onorevoli colleghi a sottolineare invece l'altro aspetto della discussione che non considero attinente al tema di questa riunione.
PRESIDENTE. Dopo questi due interventi di rilievo do la parola all'onorevole Pannella perché risponda a questa prima parte.
MARCO PANNELLA, Presidente del «Senato» del Partito Radicale non violento transnazionale e transpartito. Grazie, presidente. L'onorevole Nirenstein ha centrato subito il vero problema, proponendo di parlare della pena di morte e non del contesto in cui emerge.
Credo però che, se non avessimo per decenni approfondito il contesto culturale e antropologico, il riflesso citato dal Presidente per cui quando appare qualcosa di bestiale nella cronaca umana si ipotizza l'utilizzo della pena di morte, se non avessimo maturato la conoscenza di come si creano alcuni meccanismi, non saremmo riusciti a ottenere all'Assemblea generale dell'ONU un invito ufficiale alla moratoria sulla pena di morte.
Stiamo parlando di un futuro giustiziato, se non riusciamo a impedirlo, ma in realtà solo in questo processo si tratta di sei condannati a morte. Le notizie che finalmente cominciano a filtrare ci dicono che in questi anni, solo considerando Baghdad, vi sono state esecuzioni settimanalmente.
Non ci sono equivoci: diversamente da molte altre voci che pure concorrono con noi a perseguire lo stesso risultato, noi dicemmo «Nessuno tocchi Caino», eco biblico, e «Nessuno tocchi Saddam». Non era facile: facemmo tutto il possibile prima del primo processo, dopo l'appello e fino all'ultimo secondo anche per ritardare l'esecuzione fatta in grande fretta, suscitando la rivolta dell'opinione pubblica nel mondo, sebbene non si fosse certo convinti che Saddam fosse dalla parte del giusto.
Nessuno quindi tocchi oggi Tareq Aziz: su questo ci siamo tutti mobilitati. Con la grande maggioranza dei parlamentari facemmo questa battaglia non a caso taciuta anche dai massimi organi di stampa.
Questo secondo documento è la testimonianza che abbiamo acceso una scintilla, ma che subito dopo a livello di Parlamento europeo e nostro questa battaglia è stata vinta.
Poiché da tempo chiedevo che fine avesse fatto, l'avvocato Lana che faceva parte del collegio di difesa di questi processi ci confermò che la situazione era pericolosa, perché nulla impediva che ne apprendessimo la morte dopo un processo clandestino durato magari ventiquattro ore.
Tre giorni fa, alcune persone molto bene introdotte ritenevano che la conquistata, relativa tranquillità non fosse davvero giustificata, per cui abbiamo subito lanciato l'allarme. Sappiamo che ha già avuto una condanna a sette anni, una a quindici e resta la terza. Le usanze a Baghdad sono strane, perché questa Corte è stata costituita dagli americani in un momento in cui Bremer, la prima autorità
successiva alla conclusione della guerra, aveva proclamato subito, nell'atmosfera di allora, la moratoria delle esecuzioni di pena di morte.
Accade spesso però che ai vinti si assegnino anche le funzioni sporche, il che non è un granché ma così è accaduto. Adesso emergono le realtà della guerra - chi pensa alle guerre pulite è ora che stia zitto -, le torture inflitte, i fatti di guerra subumani ma pur sempre antropologicamente umani che in questi giorni stiamo leggendo, cose vergognose note anche su Guantanamo (è la scoperta dell'acqua calda perché purtroppo queste sono le guerre e le degenerazioni sono elementi fisiologici: la patologia è la guerra). A un certo punto si è affidato formalmente agli iracheni il compito di fare giustizia, quindi ad Al Maliki che rappresentava una possibile componente anti-Saddam e che in occasione del processo Saddam ha dimostrato la fretta, la sicurezza, la necessità di ucciderlo.
Saddam è stato assassinato a mio avviso perché a un certo punto la sua anima, il suo comportamento si è trasferito in noi, Occidente, e lui ha fatto una scelta di semplice convenienza umana: ha pensato che l'esilio protetto fosse meglio che rischiare la sua morte e quella dei suoi figli.
Questa iniziativa non è solamente extraparlamentare, anche se dopo trenta anni non sono più nemmeno parlamentare europeo e sembra che questo sia un momento di liberazione dalla gerontocrazia della quale manifestamente faccio parte. Dobbiamo pur permettere a qualche ultrasessantenne di prestigio, artista popolare, di dimostrare che perfino dopo i sessanta anni si può non capire nulla (nessuna allusione all'amico Grillo).
Il problema è che non si riesce a salvare l'Iraq da questa realtà, da esecuzioni probabilmente settimanali.
Purtroppo, non vedo spesso ricordato che il Parlamento italiano, la Camera dei deputati italiana fu la prima e poi a lungo l'unica espressione parlamentare democratica in Occidente a porre il problema. Dinanzi a masse esultanti nel mondo per difendere Saddam contro l'assassino Bush, è ovvio che Saddam come tanti dittatori con l'aiuto pacifista, anche negli anni Trenta e Quaranta, fosse indotto a dire «hic manebo optime» vedendo come tutto il mondo gli manifestasse solidarietà contro il suo assassino.
Noi invece facemmo l'opposto: ci ricordammo del presupposto delle convinzioni laiche e non violente ovvero di come in qualsiasi rappresentante della specie umana vi sia un qualcosa di positivo. Non violenza significa rivolgersi al potere, che a volte si ritiene abitato solo dal male, e dire di non essere un nemico e di mostrare emblematicamente la magrezza per trasferire dentro di lui la forza per sostenere la parte che vuole rispettare la parola data, la legge che tante volte si dispera di fare.
Il Partito radicale è fiero di essere nato in Italia e che il Parlamento italiano abbia accolto e a fatto propria questa posizione, che però oggi deve fare i conti con una realtà. Sono infatti accadute cose tremende, ma ciò che ci terrorizza è che non si riesca ad alzare il lenzuolo sotto il quale è stata sepolta la loro conoscenza. Più grave del fatto pure estremamente grave è non riuscire in questo.
Vi sono infinitamente grato di questa audizione perché non siamo mai stati extraparlamentari, abbiamo sempre lottato sperando che l'obiettivo venisse recepito e onorato dalla legge, e vogliamo che venga fuori anche da noi questa iniziale oncia di verità su quanto è successo, che è estremamente semplice ed è in parte raccontato qui, ma da cinque anni lo sottolineiamo senza essere onorati da nessuna contestazione. Adriano Sofri ha laicizzato il problema dichiarando che forse i radicali si sbagliavano nel ritenere che Saddam Hussein avesse già assunto, per convenienza, quella posizione.
Proponemmo un Iraq libero come unica alternativa alla guerra per non assumere la posizione pacifista per cui nel 1938-1939 fra Germania e Francia si fu neutrali perché erano due Paesi capitalisti. Poiché non si era permesso alla Francia di ultimare la linea Maginot, l'esercito tedesco arrivò dal Belgio sino a Parigi.
Per convenienza Saddam aveva ormai sostanzialmente accettato questa proposta, che girava, scompariva e riemergeva nel mondo sin dal settembre dell'anno precedente, e a proposito della quale abbiamo atti ufficiali anche in una parte di relazioni non secretate di Manning a Blair.
Abbiamo un'altra dimostrazione di questo da un documento desecretato da Zapatero. Il 23 febbraio nel corso di un incontro a Crawford tra Bush e Aznar, che tra gli interlocutori di Bush in quel periodo era quello che mostrava più preoccupazione e resistenza rispetto al corso delle cose, Aznar chiese a Bush come procedesse la faccenda dell'esilio e lui rispose che Berlusconi gli aveva fatto sapere che Gheddafi, da lui incaricato di esplorare la cosa, riteneva Saddam ormai convinto.
Qualche mese fa Hans Blix, l'incaricato ONU per le ispezioni (c'erano due aspetti, le armi segrete e l'accordo con Al Qaeda, e sulle armi segrete era già stata espressa una serie di dubbi) alla Commissione di inchiesta a Londra sulla guerra in Iraq ha sottolineato che dall'inizio di febbraio del 2003 chi doveva effettuare le ispezioni per trovare le armi si è trovato dinanzi a un capovolgimento da parte dell'Iraq e a partire dalla seconda settimana dovunque chiedesse di andare aveva la consapevolezza di trovare le porte aperte.
PRESIDENTE. Chiedo scusa, ma tre colleghi desiderano intervenire. So che rimarremmo qui volentieri per ore, ma vi pregherei di essere concisi.
MATTEO MECACCI. Vorrei brevemente sottolineare un aspetto. Oggi, partendo dalla vicenda di Tareq Aziz, ci occupiamo della questione della pena di morte, ma evidentemente il contesto politico in cui questa iniziativa si colloca riguarda anche il ruolo da lui svolto all'interno del regime iracheno, perché proprio nei mesi precedenti al conflitto, in cui Marco Pannella e i radicali conducevano questa campagna alternativa alla guerra, Tareq Aziz era l'interlocutore dell'Italia e del mondo occidentale per evitarne lo scoppio.
Il fatto che oggi sia condannato a morte è dunque una questione pienamente politica, non solo umanitaria, che richiede una riflessione anche su quanto è accaduto in quegli anni, perché, come la collega Nirenstein sa, sia il Congresso americano che il Parlamento inglese hanno costituito Commissioni d'inchiesta sul conflitto iracheno, il nostro Parlamento non ancora - chiederei a Marco Pannella una valutazione sul lavoro di queste Commissioni - ma, se queste Commissioni avessero potuto sentire la voce di Tareq Aziz, interlocutore di tutto il mondo occidentale prima dello scoppio del conflitto, avremmo avuto ulteriori elementi per l'accertamento della verità.
Questa campagna per salvare la vita di Tareq Aziz mira evidentemente anche a ricostruire quanto è avvenuto in modo che ciascuno si faccia una propria opinione anche sulla base della testimonianza di chi è stato protagonista in quegli anni. Credo quindi che non sia improprio parlare anche dello scoppio del conflitto iracheno mentre si tenta di salvare la vita di questo personaggio.
PAOLO CORSINI. Sono grato a Marco Pannella per questa suo intervento, perché spesso, pur trovandomi a non condividere per intero le sue battaglie, ho riconosciuto come la presenza sua e dei radicali nel nostro Paese costituisca uno stimolante e provocatorio segno di contraddizione più che di contrapposizione, funzione che considero assolutamente positiva, e perché avevo condiviso al tempo la battaglia radicale «Nessuno tocchi Saddam», al di là del giudizio politico e oggi storico che si può dare su Saddam, come estensione di un principio generale bene evocato dalla dizione «Nessuno tocchi Caino», battaglia che mi vede partecipe.
Vorrei però esprimere alcune considerazioni sulle ragioni per perseguire con coerenza l'obiettivo di impedire che Tareq Aziz venga giustiziato, ferma restando l'esigenza di fissare la nostra attenzione su chi egli sia stato, perché la legittima, doverosa e necessaria battaglia contro la sua uccisione non può offuscare il giudizio
sul ruolo che ha avuto e sulle responsabilità che ha condiviso quando il mondo ha conosciuto una dittatura sanguinaria quale quella di Saddam Hussein.
MARCO PANNELLA, Presidente del «Senato» del Partito Radicale non violento transnazionale e transpartito. È Caino anche lui.
PAOLO CORSINI. È Caino anche lui. Basterebbe ricordare le responsabilità che si è assunto negli anni Ottanta nella campagna contro gli sciiti filoiraniani, i massacri dei curdi prima richiamati dall'onorevole Nirenstein o l'utilizzazione promossa da Tareq Aziz della sua identità di cristiano caldeo, che gli è servita per guadagnarsi una sorta di accreditamento presso l'opinione pubblica occidentale, fino a essere ricevuto dal Pontefice.
Considero l'utilizzo di questa sua identità una sorta di aggravante, perché essere cristiano caldeo è del tutto contraddittorio, per quanto mi riguarda, con l'essere corresponsabile di massacri.
Credo che faremmo un cattivo servizio alla causa promossa in modo assolutamente corale e condiviso dal Parlamento italiano, che ne guadagna in prestigio presso l'opinione pubblica internazionale in un tempo di caduta di autorevolezza, se legassimo il tema della salvaguardia della vita di Caino-Tareq al tema di una riapertura della querelle sulla guerra, ovvero se veicolassimo una sorta di parallelo tra la guerra «ingiusta» e un Tareq Aziz vittima da salvare.
Ho infatti condiviso la battaglia radicale secondo cui allora l'alternativa non andava giocata fra guerra e pace ma fra la guerra, i diritti e la democrazia - la vostra battaglia era assolutamente condivisibile in via di principio e di fatto - e in secondo luogo, al di là del giudizio politico e storico su quella guerra, rifiuto la categoria dalla guerra «ingiusta» e quindi della guerra «giusta». Anche la teologia cattolica oggi ha delegittimato la teoria della guerra giusta, perché non esistono le guerre giuste nel tempo contemporaneo.
In nome del rifiuto della guerra in linea di principio e di fatto, considero inutile porre un'equazione secondo cui la guerra è ingiusta quindi Tareq è una vittima, perché si tratta di una personalità responsabile di gravissimi delitti e iniquità.
Nonostante questo, noi ribadiamo la fondatezza del nostro convincimento che nessuno tocchi Caino quindi nessuno tocchi Tareq in nome di un radicale e fondamentale principio umanitario, che tuttavia lascia aperta la possibilità di stigmatizzazione e la condanna delle responsabilità assunte da Tareq.
Deve essere evidenziato un parallelo tra la vicenda di Saddam e quella di Tareq: l'uccisione di Saddam ha estremizzato il conflitto, non è servita a una rimozione delle ragioni della sua estremizzazione, e questo avverrebbe anche con l'uccisione di Tareq, che deve essere mantenuto in vita, oltre che per una ragione di principio, anche per le conseguenze di questo fatto, perché significa dare continuità alla testimonianza vivente di un regime sanguinario.
Tareq è l'icona di un regime sanguinario, per cui non sopprimendolo si tiene in vita la memoria di un regime oppressivo e sanguinario.
RENATO FARINA. Sceglierò tra le molte cose dette alcuni dettagli perché occorrerebbe veramente fare una sessione di giorni su questi temi.
È interessante constatare la mancanza di una divisione ideologica nei giudizi formulati in questa sede. Ciascuno di noi solleva alcuni aspetti perché quanto è successo ha toccato ciò che ci rende uomini e ci fa esprimere giudizi perché si tratta di cose che toccano l'essenza della vita.
A quel tempo, essendo non deputato ma vicedirettore di Libero, sottoscrissi l'appello di Marco Pannella. In questo momento considero fuorviante e sbagliato, come hanno detto il colleghi Nirenstein e Corsini, usare questo spazio per realizzare una sorta di processo all'America e a quello che si poteva fare e non è stato fatto.
Ci sarà forse l'opportunità di approfondire il tema e considero importante e
giusto farlo, ma credo che l'errore di Bush sia stato un eccesso di idealismo, che l'ha indotto a ritenere che, come esponente della più grande democrazia del mondo, la più forte dal punto di vista militare ed economico, la storia fosse una facile equazione in cui non si deve fare i conti con fattori misteriosi quali la libertà e l'impossibilità di ingabbiarla nel proprio schema di giusto o sbagliato.
Per questo allora mi opposi, nei limiti delle mie possibilità, a un giudizio favorevole alla guerra, e credo che anche il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si sia mosso in questo senso, come credo dimostri il dossier dei colleghi radicali.
La figura di Tareq Aziz non è controversa, perché questa definizione potrebbe indurre a dubitare che sia stato complice di un grande tiranno, ma al di là della sua figura morale era oggettivamente espressione dei cristiani dell'Iraq che - questa è una loro colpa - lo hanno sempre riconosciuto come leader.
Non ci sono dubbi su questo, perché nel 1991, subito dopo la guerra, quando ho girato l'Iraq, così come ho fatto poi nel 1999, ho parlato con l'attuale patriarca Delly che allora era il suo vescovo ma è stato anche suo parroco e a suo tempo con il patriarca Bidawid, figura non del livello di Delly, ed è emerso come comunque la presenza di Tareq Aziz, complice di atrocità, garantisse una libertà religiosa straordinaria nei Paesi mediorientali.
Fatto salvo il giudizio che sottoscrivo sui crimini pronunciato dall'onorevole Nirenstein, credo che adesso si debba pensare al presente dell'Iraq e constatare la clamorosa e gravissima emarginazione della minoranza cristiana, che è sottoposta a un genocidio culturale se non fisico.
La condanna di Tareq Aziz funge anche da giustificazione del carico inflitto a questa minoranza, per cui credo che il nostro il nostro Parlamento debba dire qualcosa su questo, così come anche Marco Pannella, che della libertà religiosa è sempre stato un inflessibile sostenitore.
JEAN LEONARD TOUADI. Cercherò di essere breve. Ringrazio Marco Pannella per la sua presenza. Anche attraverso questo sciopero della fame e della sete, la sua continua a essere una testimonianza del corpo e della mente a beneficio di una provocazione del Parlamento, delle forze politiche e dell'opinione pubblica.
Condivido le considerazioni dell'onorevole Mecacci secondo cui non possiamo scrivere il testo di questa battaglia contro la pena di morte, contro la probabile impiccagione di Tareq Aziz dimenticando il contesto in cui sono maturati i fatti.
La mia domanda sarà molto breve e riguarda la figura di Gheddafi. Prima lei ha dichiarato che il Presidente Berlusconi ha testimoniato che Gheddafi avrebbe riferito che Saddam era sostanzialmente d'accordo per l'esilio protetto, ma sappiamo anche di quel drammatico vertice di Sharm El-Sheikh, in cui il ruolo di Gheddafi fu esattamente opposto.
Si ricorda in diretta televisiva il duro scambio tra lui e il principe saudita Abdullah che ha vanificato il ruolo che la Lega araba avrebbe potuto svolgere per la soluzione dell'esilio protetto. Vorrei conoscere l'opinione di Pannella su questo personaggio che ritroviamo spesso nelle vicende del nostro Paese.
FURIO COLOMBO. Poiché l'onorevole Nirenstein chiama in causa il rapporto con gli Stati Uniti ovvero fra essere proamericani o antiamericani a seconda che si approvi o si disapprovi la guerra, vorrei far notare che invece le due posizioni chiamate in causa sono quelle dell'ex Presidente degli Stati Uniti George Bush o, nel mio caso, del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Ho espresso un pensiero su quella guerra analogo a quello che è stato al base della campagna elettorale vincente del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama.
Uno di noi è quindi legato a un'America del passato ormai finita, mentre un altro di noi è legato al presente.
FIAMMA NIRENSTEIN. Questo è pazzesco...
PRESIDENTE. Mi sembra che un'audizione di questa importanza non possa scadere a questo livello.
FIAMMA NIRENSTEIN. Non intendo utilizzare il tempo dell'audizione, ma desidero respingere nella maniera più assoluta accuse che non si riferiscono alle mie parole, ma sono dovute a una fantasia dell'onorevole Colombo, perché non ho usato le definizioni proamericano o antiamericano, non ho citato il Presidente Bush né il Presidente Obama. Accusare uno di noi di essere a favore di Bush o di Obama è una cosa ridicola rispetto a questa discussione che tratta di tutt'altro.
Al contrario dell'onorevole Colombo, che mi stupisco abbia usato un tono di questo genere, mi rifiuto di entrare in questa discussione.
PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.
MARCO PANNELLA, Presidente del «Senato» del Partito Radicale non violento transnazionale e transpartito. Visto che questo fa parte del dibattito, mi si consenta di onorare un'imputazione che mi è stata fatta per tutta la mia vita dall'università ad oggi. Ho spesso preso la parola al Parlamento europeo e in quello italiano per dichiarare in esordio e guardando alla mia sinistra di essere americano, israeliano, della CIA e del Mossad.
Ho quindi sempre temuto che le due organizzazioni mi querelassero per diffamazione, ma, poiché per tutta la vita ho dovuto fare i conti con questa nomina, dichiaro di essere qui come cittadino veramente americano e veramente israeliano, perché lo sono stato per convinzione, per lealtà.
Qui c'è dunque la difesa anche di quei miei Paesi che sono stati coinvolti in una vicenda che ha toccato la loro la legalità, il giuramento alla bandiera, il giuramento di fedeltà, che è stato tradito a mio avviso dal Presidente americano e dal Premier inglese.
Tanto dovevo perché esistono parzialità che sono garanzie di rispetto delle verità. Qui siamo per Satyagraha: al di là delle opportunità, la forza della verità deve essere disvelata. Solo per questo considero interessante fare emergere la verità storica, che ha segnato un prima e un dopo in seguito al crollo del mito della democrazia del nostro occidente, vicenda che rischia di proseguire.
Poiché conosco i tempi parlamentari, mi auguro che in questa sede sia possibile analizzare quanto è stato possibile valutare a più riprese nel Parlamento americano e come tuttora avviene nel Parlamento britannico, perché come Italia, a partire da quel voto del Parlamento italiano che prima rivendicavo, siamo in causa perché il Governo aveva fatto propria quella delibera.
Spero quindi che il Satyagraha ricongiunga altre componenti culturali che sostenevano che la verità è rivoluzionaria essendo loro a favore della rivoluzione, mentre altri di noi ritengono che la verità debba essere conservata perché è preziosa per l'avvenire.
Con il formale auspicio di poter illustrare discutendo il documento che abbiamo depositato, ringrazio ancora il Presidente.
PRESIDENTE. A chiusura di questo importante e opportuno incontro, non vorrei che sembrasse emergere una divisione tra antiamericani e filoamericani.
Dovevamo parlare di pena di morte, ma trascinati dalla foga e dall'entusiasmo siamo andati verso altri temi. Siamo tutti consci dell'importanza di questo argomento, come dimostra chiaramente il voto espresso ieri in Parlamento.
Nel ringraziare Marco Pannella per il piacere e l'onore di averlo avuto con noi, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10,35.