Sulla pubblicità dei lavori:
Occhiuto Roberto, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA PER IL 2012 E RELATIVI ALLEGATI (COM(2011)815 DEFINITIVO)
Audizione del Presidente della Svimez, Adriano Giannola:
Occhiuto Roberto, Presidente ... 3 8 9 11
Cambursano Renato (Misto) ... 9
Commercio Roberto Mario Sergio (Misto-MpA-Sud) ... 9
Giannola Adriano, Presidente della Svimez ... 3 9 11
La Malfa Giorgio (Misto-LD-MAIE) ... 8
Vico Ludovico (PD) ... 8
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare:
Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 8,35.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione - Analisi annuale della crescita per il 2012 e relativi allegati (COM(2011)815 definitivo), l'audizione del Presidente della Svimez, professor Adriano Giannola.
Accompagnano il professor Giannola il dottor Riccardo Padovani e il dottor Luca Bianchi, rispettivamente direttore e vicedirettore della Svimez, che ringrazio di essere intervenuti.
Ricordo che abbiamo inviato agli auditi un questionario in ordine agli ambiti oggetto di nostro particolare interesse.
Do la parola al professor Giannola per lo svolgimento della relazione.
ADRIANO GIANNOLA, Presidente della Svimez. Buongiorno a tutti e grazie per averci convocato.
Abbiamo ricevuto un questionario, alle cui domande cercherò di dare alcune sintetiche risposte e di fare alcuni commenti altrettanto sintetici. In seguito, il direttore Padovani e il vicedirettore Bianchi potranno fare alcune integrazioni.
Per quanto riguarda il primo quesito, concernente il metodo per conseguire il pareggio di bilancio nel 2013, concordo con la Commissione europea sull'opportunità di conseguire la stabilizzazione e il rientro, verso l'obiettivo del pareggio del bilancio, con riduzioni della spesa piuttosto che con aumento delle entrate. Questo è un eufemismo per dire di non infierire sull'economia, com'è invece stato fatto per mezzo delle ultime quattro o cinque manovre.
Vorrei ricordare, anzitutto, che l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 è un obiettivo molto ambizioso e potrebbe essere difficile da conseguire, se il sistema non manifesta una reattività adeguata in termini di crescita. Su quest'argomento faremo delle considerazioni, in quanto abbiamo simulato le dinamiche del prodotto interno lordo e dell'occupazione per il 2011 e per il 2012 - abbiamo già delle stime abbastanza consolidate -, e non ci sembra che il cammino sia di convergenza tra le aree. Soprattutto, all'interno del Paese, non ci pare che il Mezzogiorno abbia un impatto particolarmente pesante in questa situazione.
Voglio ricordare - lo lascio come notazione - che il conseguimento del pareggio di bilancio, gli avanzi primari necessari per il pareggio del bilancio (che sono percentuali incredibili rispetto alla norma con riferimento al PIL) hanno, dal punto
di vista italiano - in un sistema dualistico - una forte conseguenza redistributiva che penalizza proprio le aree più deboli. Dico questo per raccomandare politiche di compensazione. A prescindere da tutto, la situazione di una previsione di lungo periodo di forti avanzi primari equivale a dire che ci sarà una redistribuzione finanziaria dal sud verso il nord, molto rilevante, tanto più rilevante quanto più il debito italiano sarà in mano ai residenti.
Ovviamente, questo ci alleggerisce con riferimento a molti rischi, ad esempio riguardo alla redistribuzione che dall'Italia viene fatta verso il resto del mondo dal punto di vista finanziario con il rientro, ma all'interno dell'Italia vuol dire accentuare una penalizzazione dei residenti meridionali, e, più esattamente, dei residenti che hanno meno titoli pubblici in portafoglio, rispetto a chi ne ha di più, in questo caso banche e residenti nel centro-nord, che per il 90 per cento hanno tale forma di ricchezza, laddove nel Mezzogiorno questa è molto meno rilevante. Tale semplice fatto, che non viene mai contabilizzato, dovrebbe esserlo per capire la dimensione di politiche di compensazione di questo aspetto che potremmo definire «meccanico».
Illustro ora lo scenario che si sta delineando e che abbiamo verificato con il modello econometrico Svimez relativo, da un lato alla valutazione dell'esperienza di questi ultimi anni - a partire dalla crisi del 2008 fino al 2011 - e dall'altro alla proiezione, alla luce delle manovre del 2011 e, in particolare dell'ultima approvata, in termini di sviluppo dell'economia e quindi di crescita del nord e del sud del Paese. Sappiamo che nel 2008 e nel 2009 il Mezzogiorno ha avuto una caduta del prodotto interno lordo del 6 per cento circa, sostanzialmente in linea con quella del centro-nord. Il riscontro più rilevante da questo punto di vista è che nel 2010, primo anno in cui c'è stata una ripresa dell'economia, il nord approfitta di questa ripresa in modo abbastanza consistente, con 1,7 per cento di aumento del PIL, mentre il Mezzogiorno rimane allo 0,2 per cento.
Per il 2011 le previsioni a livello nazionale, a consuntivo, sono dello 0,5-0,6 per cento, il che conferma un ritardo di crescita rispetto a Paesi come la Germania, la Francia e la Spagna: si conferma ancora una differenza tra il Mezzogiorno - che rimane allo 0,1 per cento di crescita del PIL - e il nord che, rispetto all'1,7 per cento del 2010, rallenta allo 0,8 per cento nel 2011.
Per il 2012 le previsioni sono di una flessione generalizzata del PIL dell'1,5 per cento che si aggiunge al 6 per cento circa dei due anni di crisi più intensa, e con un centro-nord anch'esso in flessione dell'1,3 per cento. I divari si accentuano, dunque, sia in crescita sia in riduzione.
Ipotizzando che il commercio internazionale abbia un rallentamento nel 2012 - e l'eurozona, in particolare, ha una difficoltà di crescita relativamente più forte, rispetto alle altre parti del mondo - si prevede che questo rallentamento abbia delle conseguenze all'interno del sistema italiano; e se il Mezzogiorno (lo ipotizziamo come esercizio puramente matematico) continua, all'interno del sistema, a registrare variazioni di questo genere, potrebbe raggiungere i livelli del 2007 tra trenta o quarant'anni. È una situazione chiaramente insostenibile. Il sistema italiano, invece, li raggiungerebbe in sette o otto anni. La situazione, a livello complessivo, è quindi altrettanto insostenibile, anche al centro-nord.
Quella che emerge è, dunque, una forte debolezza del sistema italiano - al nord come al sud - che si sta aggravando nel senso di un deterioramento delle parti più deboli del sistema, ma che lo coinvolge nel suo insieme. L'idea, che tuttora circola, che il nord sia relativamente forte e viva una crisi per così dire «congiunturale», mentre il sud sia debole e abbia problemi strutturali, è un'idea estremamente pericolosa. Il nord e il sud hanno, invece, entrambi una forte crisi strutturale e c'è un'esigenza di riposizionamento, sotto vari aspetti, di tutto il sistema, sebbene si manifesti con dinamiche differenziate.
Passando ai quesiti successivi, abbiamo sempre sostenuto che da anni l'approccio
di politica economica di intervento e di cosiddetto rilancio della crescita è estremamente debole e inefficace. Nello specifico, l'approccio al «problema Mezzogiorno», che è tornato a essere un problema degno di considerazione, rispetto a qualche anno fa - quando, di fatto, era confinato in un limbo assicurato dall'esistenza dei fondi europei - e che oggi avrebbe senso discutere, è un approccio radicalmente diverso da quello degli ultimi anni, ma ancora non sta emergendo in modo chiaro. Bisogna considerare, cioè, quali siano gli elementi che possono rendere il Mezzogiorno - che, a parole, è riconosciuto come il comparto dell'economia che ha più potenzialità di crescita - un attore della ripresa, della crescita a livello nazionale.
Questo non avviene spontaneamente. A nostro avviso, tutte le misure che passano sotto l'etichetta di «liberalizzazioni» sono genericamente coerenti con una razionalizzazione del contesto e quindi, indirettamente, sono elementi promotori di una potenziale accelerazione della crescita, ma, certamente, non inducono la stessa e, soprattutto, non rimuovono quei fattori strutturali che bloccano il sistema almeno da quindici anni. Non è facendo una bella cornice che il quadro cambia: occorre cambiare il quadro.
È necessaria, dunque, una sollecitazione a identificare forti elementi di potenzialità di crescita sui quali puntare, per passare, poi, alla seconda fase di cui si parla: il rilancio della crescita del sistema Italia. Peraltro, il famoso pareggio di bilancio sarà veramente complicato da raggiungere - soprattutto senza, per così dire, «ammazzare» l'economia - se la crescita non riprende.
Questi sono i termini conflittuali dell'attuale ricetta: stabilizzazione, pareggio di bilancio e crescita. In questo momento, a queste condizioni, con questo motore che l'Italia riesce a mettere in campo, questi sono obiettivi incompatibili. Dunque, non garantire una ripresa della crescita comporta il fallimento o l'insistenza su politiche restrittive, su manovre che penalizzano ulteriormente le potenzialità di crescita.
Con riferimento al quesito concernente il metodo per incrementare la produttività del lavoro, su tale argomento noi stiamo curando - anche con la professoressa Salvemini, vicepresidente della Svimez, che non è oggi qui presente - un'analisi abbastanza dettagliata del ritardo generale, a livello territoriale, della produttività del lavoro in Italia, che comporta che, con i salari più bassi d'Europa, rispetto ai partner comparabili, noi abbiamo il costo del lavoro per unità di prodotto più alto d'Europa, con una dinamica crescente, quindi abbiamo una difficoltà crescente di competizione sui mercati globali. All'interno di questo ragionamento troviamo che il nord e il sud patiscono la stessa dinamica. Non è solo il sud a non avere una crescita adeguata, il che porta l'Italia a un peggioramento delle condizioni di competitività, ma il problema riguarda sia l'attività manifatturiera del nord sia quella del
sud, in forme sostanzialmente parallele.
Ovviamente, per quando riguarda la produttività del lavoro (e la sua dinamica molto lenta in Italia) e tutto ciò che è ad essa correlato, molto è legato a un aspetto strutturale, cioè la specializzazione italiana e meridionale, che è particolarmente sfavorevole alla dinamica della produttività nel Mezzogiorno. Dunque, occorre puntare su settori nuovi, maggiormente capaci di produrre una dinamica di competitività nel complesso favorevole. Contemporaneamente, dobbiamo tener conto del fatto che non è vero che politiche di flessibilizzazione del mercato del lavoro non ci sono state; oggi abbiamo un mercato del lavoro flessibile, che si dice che sia patologico, ma le leggi che lo hanno indotto (a partire dal 1998, in seguito con la legge Biagi e così via) sono state fatte per garantire una maggiore flessibilità di quel mercato del lavoro. Tuttavia, la scelta di rincorrere il recupero di
produttività con quei metodi non ha dato risultati, se non quello di far emergere una componente dell'economia sommersa, che necessariamente
porta a contenere la dinamica della produttività. È emerso, infatti, quello che prima non compariva, cioè che parte di quel prodotto, in realtà, era realizzato da un'economia formalmente inesistente, o perlomeno non perfettamente considerata nelle statistiche ufficiali.
Questo grande problema della produttività italiana ci riporta alla specializzazione del nostro Paese, che quando emerge in modo coerente ci fa capire il vero livello della dinamica della produttività e spiega anche questa dinamica particolarmente stagnante di un fenomeno importante, con livelli salariali che sono tra i più bassi d'Europa e con un costo del lavoro per unità di prodotto che, piuttosto che essere contenuto, tende ad aumentare e quindi a spiazzarci, specie in una situazione in cui l'Europa non è più un mercato protetto, ma è un mercato all'interno di un mercato globale, in cui valgono i termini della competizione di prezzo, di prodotto e così via.
Questo quadro e la prospettiva appena esposta di un'ulteriore caduta del prodotto interno lordo, più intensa nelle aree più deboli del Paese, in una prospettiva di manovre necessarie per raggiungere nel 2013 (o anche nel 2014) un pareggio di bilancio, legittimano la preoccupazione che ci sia una rapida identificazione di una strategia per la crescita molto significativa e non affidata a forze cosiddette «spontanee» del mercato, che solo nel lungo periodo potranno eventualmente contribuire a questo obiettivo. Occorre, a nostro avviso, avere alcune idee strategiche sulle quali puntare.
Come ho già accennato, il Mezzogiorno è in prima fila per essere protagonista di questa svolta strategica, sia direttamente - con gli operatori locali, come ci auguriamo - sia, soprattutto, come responsabilità di un Esecutivo che dovrebbe dare queste indicazioni.
Dobbiamo tener conto del fatto che, nel frattempo, il mercato del lavoro al sud, gli ammortizzatori sociali e così via, segnalano delle situazioni ormai al limite della tenuta. Nella documentazione che abbiamo consegnato sono riportati una serie di dati: ad esempio, la previsione del 2012, per quello che riguarda il PIL, è, come accennato, di una diminuzione del 2 per cento nel Mezzogiorno, dell'1,3 per cento al centro-nord, e dell'1,5 per cento per l'intera Italia; le unità di lavoro evidenziano un'ulteriore caduta, con una flessione pari all'1,6 per cento al sud, allo 0,7 per cento al centro-nord, quindi di nuovo una caduta quasi doppia del sud e allo 0,5 per cento nell'intero Paese; gli investimenti segnalano una previsione di caduta dell'8 per cento al sud e del 6 per cento in media in Italia. Teniamo conto che si tratta di investimenti fissi lordi, il che vuol dire che il sistema sta «decumulando» capitale ben al di là dell'8 per
cento, perché gli investimenti netti, cioè l'incremento di capitale, sarebbero negativi di ben più dell'8 per cento o del 6 per cento citati.
È un sistema bloccato - sono note le considerazioni sul mercato del lavoro - in cui, su circa 600 mila posti di lavoro persi tra il 2008 e il 2010, oltre il 50 per cento sono unità di lavoro perse nel Mezzogiorno, il quale contribuisce al totale dell'occupazione nazionale con meno del 30 per cento. Stiamo intaccando, quindi, la parte più debole del Paese, con conseguenze facilmente comprensibili, anche in termini di equilibri sociali che si stanno deteriorando.
Abbiamo riportato anche dati regionali sulla variazione degli occupati: nei primi tre trimestri del 2011 abbiamo l'evidenza che non solo la ripresa non c'è ma anche che quasi tutte le regioni del sud - tranne l'Abruzzo - presentano dati significativamente negativi. Il Mezzogiorno ha un incremento dello 0,4 per cento, il nord dello 0,6 per cento e l'Italia si ferma allo 0,5 per cento. Dal punto di vista settoriale, nel terzo trimestre del 2011 abbiamo evidenza della crisi drammatica, sia al centro-nord, sia nel sud per quanto riguarda il comparto delle costruzioni, il quale è condizionato anche dal blocco della spesa pubblica nel settore.
Facendo un computo della disoccupazione esplicita, ossia di quella rilevata formalmente dall'ISTAT, dei disoccupati impliciti, cioè quelli che non si presentano
per l'effetto scoraggiamento, e di quelli in cassa integrazione guadagni, nel Mezzogiorno raggiungiamo tassi di disoccupazione del 25-26 per cento, mentre il medesimo tasso nel centro-nord è del 10 per cento circa. A livello femminile, giovanile e così via, questi tassi sono molto diversificati tra nord e sud, con cifre negative estremamente più rilevanti nel Mezzogiorno.
Va considerato - e questo ha a che fare con le politiche di welfare - che la copertura del disagio e degli effetti della disoccupazione o della crisi è più forte nel centro-nord, ove si usa la cassa integrazione in misura tripla rispetto all'attuale utilizzo che se ne fa nel Mezzogiorno; pertanto, quella disoccupazione ha un significato diverso, o, perlomeno, è meno attutita al sud rispetto al fatto che, comunque, stia crescendo anche nel centro-nord.
Nelle tabelle consegnate troverete una serie di numeri impressionanti sulla disoccupazione giovanile e femminile, e su quelli che oggi vengono definiti lavoratori non occupati, non in formazione e non in education, cioè in apprendimento. Tali dati sono estremamente rilevanti sia al sud che al nord, con un Mezzogiorno sempre più penalizzato, ma in questo caso il dato è molto forte anche per il centro-nord.
Questo ci porta a considerare la necessità di soluzioni innovative, di nuove aziende, di nuovi prodotti, di un nuovo stimolo, di una «frustata» all'economia che non sia - non può esserlo, date le condizioni della finanza pubblica - un'iniezione di pura spesa pubblica, ma la visione di una strategia che nel medio periodo riporti il sistema alla crescita.
Da tempo abbiamo dato alcune indicazioni - già da due anni, l'anno scorso nel nostro rapporto annuale, e, recentemente, le abbiamo comunicate al Ministro dello sviluppo economico e al Ministro per la coesione territoriale - che vanno al di là delle politiche di contesto, che pure sono fondamentali, riguardando l'azione pubblica ordinaria da tarare in modo adeguato. Occorrerebbero interventi che aprano a una strategia mirante ad alcuni grandi obiettivi che non possono essere conseguiti nell'immediato, ma che darebbero una prospettiva di modifica della debolezza italiana da un punto di vista strutturale.
Riteniamo che ci sia un'urgenza e un'ampia possibilità di avere risposte positive dal sistema sul terreno del contenimento dei costi dell'energia e quindi dell'avvio di un comparto produttivo nuovo e rilevante, che, se presente, curiosamente è più presente al sud che al centro-nord; sul tema della gestione delle risorse naturali, a partire dall'acqua, che è un altro grande tema di valorizzazione e di gestione di una risorsa che comporta investimenti, razionalizzazioni ed effetti sulla produttività, sul reddito a livello locale e così via; infine, è necessaria una razionale politica logistica del sistema, partendo dalla premessa che l'Italia dovrebbe essere il nucleo più rilevante, all'interno dell'Unione europea, di una politica rivolta al Mediterraneo, nel senso ampio, dalla Turchia al nord Africa.
Sono tutti capitoli molto carenti dal punto di vista dell'attuale e delle passate gestioni degli interventi. Parliamo delle energie rinnovabili, per le quali - soprattutto dopo l'esito del recente referendum sul nucleare, che ha cancellato il precedente obiettivo del 25 per cento di energia prodotta da fonte nucleare - oggi c'è un vuoto che non è stato ancora colmato da un'ipotesi di una qualche strategia.
Guardando anche a competitori come la Germania, che già producono il 40 per cento della loro energia attraverso fonti rinnovabili e che stanno abbandonando anche loro il settore energetico nucleare, noi abbiamo un ampio spazio di intervento in questo campo, e questo ampio spazio fisicamente si colloca in tutto il Mezzogiorno continentale, soprattutto nella parte tirrenica, che implica interventi in tecnologia, investimenti, ricerca di attrazione di capitali, tutte cose che possono essere - queste sì - abbastanza rapidamente messe in atto.
Occorrono, però, politiche attive: tali energie rinnovabili non partono da sole o hanno grosse difficoltà a partire da sole, sebbene già ora il sud sia il produttore più
rilevante di energie rinnovabili. Si pensi, in particolare alla valorizzazione della fonte geotermica, di cui l'Italia in Europa e, probabilmente, nel mondo è il più grande reservoir non sfruttato, tenendo conto che al nord e al sud il costo dell'energia per le imprese è di oltre il 30 per cento superiore ai competitori stranieri.
La Sardegna vede una deindustrializzazione nel settore dell'alluminio, proprio perché tali industrie sono ad alta intensità energetica. Dovremmo cominciare a dare risposte.
La logistica comporta un ragionamento su aspetti esistenti da razionalizzare, che facciano sistema, e, chiaramente, occorre avere delle priorità. Se la priorità è la proiezione sul Mediterraneo e non verso l'est Europa o verso l'est, ma in modo nuovo, il Mezzogiorno diventa centrale.
La strategia di crescita che riteniamo si debba attivare con urgenza rivedrebbe protagonista l'area più debole del Paese, ovviamente non spontaneamente, ma con politiche capaci di rimettere in moto questo protagonismo.
Questa è una conclusione che sottolineiamo da almeno due o tre anni, rispetto alla quale non ci sono state, finora, grandi risposte, se non quella di rifare una cornice senza intervenire sul quadro. È il momento di intervenire su questo quadro.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente della Svimez Giannola per il suo contributo molto interessante.
Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
GIORGIO LA MALFA. La relazione mi sembra molto puntuale, le risposte della Svimez alle domande della Commissione bilancio sono tanto puntuali quanto preoccupanti. Il giudizio che emerge, molto netto, è che le misure di risanamento sono inevitabili con le loro conseguenze negative, le misure di liberalizzazione sono estremamente positive, ma i loro effetti saranno di contesto, cioè di medio periodo, per cui rimane il problema di cosa fare nel periodo in mezzo.
In questo lasso di tempo la Svimez sostiene che bisogna fare alcune politiche che hanno a che fare con l'energia, la gestione dell'acqua e delle risorse, e con la logistica. Tutto questo, però, richiede anche degli investimenti pubblici. Il punto è, quindi, dove trovare questi soldi e, se ciò è indispensabile, bisognerebbe quantificare almeno la quantità minima di risorse pubbliche necessarie per far partire tutto quanto è stato esposto, per poi chiedere al Governo che almeno questa piccola quota di investimenti pubblici venga finanziata con il primo risultato della lotta all'evasione fiscale o con ciò che voglia il Governo.
Forse bisognerebbe dire molto apertamente che non si può ripartire se non con questo quantum minimo di pubblici investimenti. Se è così, vorrei sapere se la Svimez può stimare tale quantum.
Vorrei chiederle, inoltre, che impressione abbia avuto nei colloqui con il Ministro dell'economia e delle finanze e con quello per la coesione territoriale, e se abbia riscontrato una sensibilità diversa rispetto a quella constatata negli ultimi due o tre anni, di cui ha parlato molto francamente.
Vorrei sapere, infine, presidente, se sentiremo il Ministro per la coesione territoriale nel corso di questa indagine conoscitiva.
PRESIDENTE. Abbiamo già sentito recentemente il Ministro Barca.
GIORGIO LA MALFA. Lo abbiamo già sentito in audizioni di carattere generale.
LUDOVICO VICO. Rispetto alle filiere territoriali logistiche, mi chiedevo come mai, con riferimento alle piattaforme, si prescinda dai porti cosiddetti hub, che sono tutti e tre allocati nel Mezzogiorno, e che rappresentano la dimensione del sistema relazionale dell'Italia verso il Mediterraneo e nel Mediterraneo. Questo aspetto potrebbe essere maggiormente oggetto dell'importante lavoro svolto sempre dalla Svimez.
Sempre per quanto riguarda le filiere territoriali logistiche, in ordine al finanziamento richiamato dall'onorevole La Malfa, vorrei sapere se riteniate che ciò possa essere - nel vostro schema di proposta - insieme ai distretti industriali, una delle quote che si somma alla riduzione del cofinanziamento dei fondi strutturali, che, come indirizzo, ora si «ripiega» sulle reti ferroviarie principali. Lì si pone, infatti, una delle questioni fondamentali.
Per quanto riguarda la politica industriale, si dice sempre poco della situazione del Mezzogiorno, per cui meno male che c'è la Svimez per tale aspetto.
Rilevo, inoltre, che c'è un effetto - per così dire - «Finmeccanica» nel Mezzogiorno, che non è assolutamente secondario, non solo in ordine alle premesse su come attraversare la recessione del corrente anno 2012, un effetto le cui dimensioni sono visibili su più versanti, dall'avionica, a Ansaldo, al sistema difesa e agli strumenti d'arma, che forse andrebbero esaminati con riferimento alle vicende di Finmeccanica.
RENATO CAMBURSANO. In questa situazione di evoluzione o, se si preferisce, di involuzione del sistema Paese, c'è chi dà letture diverse di quanto è accaduto nelle varie macroaree dello stesso.
Un noto professore torinese, Luca Ricolfi, sostiene, ad esempio, che in questi anni di crisi l'area che ha meno sofferto, dato il punto di partenza più basso rispetto al centro-nord, sia stata proprio quella del Mezzogiorno, e ne formula una sua lettura, se vuole anche provocatoria, ma suggestiva, secondo la quale la pressione fiscale sta «ammazzando» l'economia del nord, pur con tutte le sue problematiche anche di evasione.
Sta di fatto che l'evasione fiscale, il lavoro nero e certi poteri che sappiamo essere l'anti-Stato la fanno - per così dire - da padrone in ampie regioni del sud. Luca Ricolfi afferma che alla fine, forse, la situazione non sarebbe così drammatica se - e questo è un «se» pesante - riuscissimo a debellare quei tre grandi macigni che pesano sul sud. Vorrei conoscere la sua opinione su tali aspetti.
ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Fra le cose interessanti che ho ascoltato e che ho potuto leggere, individuo il vostro approfondimento sulle sette aree vaste all'interno del territorio meridionale, cioè su queste filiere logistiche che mirano all'internazionalizzazione della produzione e all'apertura a nuovi, potenziali mercati.
Voi individuate anche gli strumenti di partenariato e delle agevolazioni attivabili. Vorrei sapere se ci sia una quantificazione in termini di investimenti, per avere un ritorno che faccia ripartire il prodotto interno lordo nel Mezzogiorno e, quindi, nel sistema Paese.
PRESIDENTE. Un'ultima domanda: nella vostra relazione, come al solito puntuale, non ho sentito, però invero, alcunché in ordine alla fiscalità di sviluppo, alla possibilità di puntare a favore del Mezzogiorno anche su strumenti di tale genere.
Ieri, in un'audizione nell'ambito della medesima indagine conoscitiva, Confindustria ha segnalato che la possibilità di intervenire nell'infrastrutturazione del Mezzogiorno, attraverso i project bond, è velleitaria, se si considera ciò che sta avvenendo dove questo strumento è stato utilizzato.
Rispetto alle indicazioni che voi date, cui faceva riferimento l'onorevole La Malfa, vorrei sapere quale valore possa sviluppare - secondo le analisi della Svimez - sulla crescita del PIL del Mezzogiorno, l'investimento, per esempio, nel settore geotermico, nell'ambiente, nel turismo, così come avete segnalato in questa audizione e anche nel vostro rapporto.
Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.
ADRIANO GIANNOLA, Presidente della Svimez. Proverò a dare alcune risposte, chiedendo, poi, al dottor Padovani e al dottor Bianchi eventualmente di integrare.
Come evidenziava l'onorevole La Malfa, il quadro descritto, le priorità e, soprattutto,
l'individuazione di una strategia comportano - ne siamo convinti - interventi pubblici, perché gli interventi necessari non partono da soli, per cui ci si è interrogati sulle risorse. Ovviamente, questo è un terreno su cui noi come Svimez ci stiamo confrontando, perché c'è prima di tutto un'esigenza di analisi.
Cito l'esempio del geotermico, una sorta di convitato di pietra, valorizzato in America latina, negli Stati Uniti, ma non in Italia, curiosamente, nonostante l'Italia sia un grande produttore di energia geotermica. Ci sono quindi problemi evidentemente complessi da affrontare.
Sulle risorse abbiamo nei nostri atti prospettato un'analisi sulla gestione delle acque. Su indicazione dell'Unione europea l'Italia ha organizzato una rivisitazione della gestione delle acque in due grandi comprensori, nord e Mezzogiorno continentale. Anche in virtù del passato ruolo che la Cassa del Mezzogiorno ha avuto proprio in questo settore, il Mezzogiorno ha pronti progetti estremamente articolati, con costi ben definiti, immediatamente attivabili, a condizione che le regioni del sud con le risorse dei fondi strutturali si diano da fare in questa direzione.
Anche per la geotermia vale la stessa cosa: le risorse ci sono, manca uno schema di programmazione, non indicativa in questo caso in quanto si tratta di risorse pubbliche, su cui occorre riparametrare le priorità e le esigenze e calibrare l'intensità di questi interventi. Il precedente Esecutivo aveva cominciato ad aderire a tale obiettivo, ma in un'ottica di rapporti bilaterali, con il contratto istituzionale, e cose del genere, che è invero un passo avanti. A mio avviso, i rapporti non devono essere più bilaterali, ma il Mezzogiorno deve essere visto come una macroregione, smettendo quindi di pensare alla virtù di tanti poli, ognuno dei quali si muove per fatti suoi e con le sue priorità, ma guardando al sistema Italia come sistema di macroregioni in cui occorre trovare le complementarità. Ce ne sono tante, molto più degli aspetti conflittuali o dei malintesi come quelli dei dati quantitativi, che il professor
Ricolfi con una contabilità un po' fantasiosa mette in campo. Potremmo mettere in campo dati meno fantasiosi e molto più realistici, per esempio calcolando la redistribuzione finanziaria in atto dal 1998, con l'ingresso dell'Italia nell'euro e con il controllo della finanza pubblica. Quella è un'operazione essenziale e necessaria, che comporta costi redistributivi fortissimi a danno del Mezzogiorno. Altro che i 50 miliardi di euro di cui parla il professor Ricolfi! Ogni anno potremmo considerare quanti miliardi di redistribuzione automatica ci sono per conseguire il risultato prefissato.
Se parliamo del pareggio di bilancio, lo sforzo richiesto è enorme, perché sono da attivare politiche che dovrebbero durare, se tutto va bene, almeno venti o trenta anni per rientrare da un debito del 120 per cento.
Per quanto riguarda il tema delle risorse, per acque ed energia c'è una risposta. Non è risolutiva ma, se si mette in moto la valorizzazione del geotermico, non ci sarà necessità di finanziamenti statali dopo aver concesso le autorizzazioni e fissato i regolamenti, condizioni assolutamente assenti in questo momento.
La regione Campania è - per così dire - hub di questa questione, ma non c'è un regolamento, ci sono richieste di autorizzazione mai evase da anni e il capitale finanziario di tutto il mondo è perfettamente disponibile a entrare in un business di quel genere a certe condizioni, con certi regolamenti, per dare una risposta. Le risorse si attraggono, oltre a quelle che si mettono a disposizione come risorse pubbliche.
La fiscalità di sviluppo è il complemento di queste cose. È interessante notare che oggi sarebbe il momento - ironia della sorte - in cui un Governo guidato da un tecnico, che ha sempre duramente negato ogni forma di fiscalità differenziata a favore del Mezzogiorno quando era alla Commissione europea, differenzia l'applicazione dell'imposta IRAP, differenziando questo da quello, e, quindi, abbandonando una posizione che è stato il credo che per anni ha penalizzato il sud, con l'inconsistente argomento che vi fosse una violazione
dalla concorrenza, quando, essendo noi in un'Unione monetaria dove abbiamo politiche fiscali diverse, non c'è violazione della concorrenza che tenga!
Questo purtroppo è un peso che ci siamo portati appresso anche culturalmente, che è stato accettato ritengo per interessi interni al sistema italiano, e che oggi, forse, sarebbe il momento di smantellare.
Non è fiscalità differenziata: a mio avviso, oggi, data la condizione delle finanze pubbliche, si deve fare una fiscalità di attrazione, del tipo irlandese dei tempi d'oro, cioè il greenfield, nuovi investimenti, zero tasse, in cui non si perde nulla, ma si guadagna in prospettiva, quindi quel tipo di vantaggio fiscale non è un costo per le finanze pubbliche.
Faccio presente che nella legge finanziaria del 2010 ci sono due disposizioni che prevedono che chi fa investimenti (curiosamente aziende che vengono dall'estero) possa scegliere il regime fiscale che considera più appropriato nell'ambito dell'intera Unione europea. Opportunamente, è stato detto che occorre un regolamento, perché ciò sarebbe micidiale. Questo evidenzia come oggi il principio della fiscalità di vantaggio si possa declinare in molti modi.
Diciamo sempre le stesse cose, ma, oggi, è il momento di verificarle e applicarle, di avere il coraggio di esplicitarle come importanti. Con riferimento ai territori...
PRESIDENTE. Mi scusi, siccome dobbiamo procedere con altri punti all'ordine del giorno, vi chiederemmo di fornire alla Commissione, nei prossimi giorni, un documento in risposta alle sollecitazioni venute dai commissari.
ADRIANO GIANNOLA, Presidente della Svimez. Va bene, lavoreremo su questo.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente della Svimez Adriano Giannola per il suo pregevole contributo, e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 9,25.