Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA PER IL 2012 E RELATIVI ALLEGATI (COM(2011)815 DEFINITIVO)
Audizione di rappresentanti dell'Alleanza delle cooperative italiane (AGCI, Confcooperative e Legacoop):
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 2 6 10 12
Baretta Pier Paolo (PD) ... 10
Busacca Bruno, Responsabile dell'ufficio relazioni istituzionali di Legacoop ... 10
De Micheli Paola (PD) ... 6
Nannicini Rolando (PD) ... 8
Ottolini Maurizio, Vicepresidente di Confcooperative ... 2 11
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze
linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 12,40.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione - Analisi annuale della crescita per il 2012 e relativi allegati (COM(2011)815 definitivo), l'audizione di rappresentanti dell'Alleanza delle cooperative italiane (AGCI, Confcooperative e Legacoop).
Sono presenti il dottor Maurizio Ottolini, vicepresidente di Confcooperative, il dottor Bruno Busacca, responsabile dell'ufficio relazioni istituzionali di Legacoop, il dottor Mirko Medini, funzionario dell'ufficio revisioni dell'AGCI, e il dottor Matteo Bettoli, funzionario della segreteria generale di Confcooperative.
Do la parola al dottor Maurizio Ottolini, vicepresidente di Confcooperative.
MAURIZIO OTTOLINI, Vicepresidente di Confcooperative. Prendo la parola in nome dell'Alleanza delle cooperative italiane, che abbiamo costituito un paio d'anni fa e che sta diventando operativa anche nello sforzo di razionalizzare la rappresentanza. Crediamo, infatti, che vi sia un'ampia esigenza di razionalizzare la rappresentanza nel nostro Paese. A ogni modo, apprezziamo che l'Unione europea coinvolga gli Stati membri nell'analisi annuale della crescita, cercando di individuare indirizzi che interessino tutti gli Stati membri in modo da dare una risposta collettiva alle esigenze non soltanto del nostro Paese, che, peraltro, stiamo affrontando, ma anche degli altri Stati membri della zona euro.
In merito alle domande contenute nel questionario che ci avete trasmesso con riferimento alla Comunicazione e che abbiamo opportunamente approfondito, vorrei riassumere alcune questioni fondamentali. Nella mia riflessione non richiamerò spesso le imprese cooperative; tuttavia, debbo dire, in premessa, che una delle risposte più positive alla crisi che sta attraversando il mondo occidentale, ma in particolare l'Europa e il nostro Paese, è stata data proprio dalle imprese cooperative. Non tutti sanno che in questi ormai quattro anni di crisi profonda le imprese cooperative, nel loro complesso, hanno salvaguardato l'occupazione, con incrementi annui che vanno dal 3 al 5 per cento, stabilizzandosi soltanto nel 2011 nel numero di 1.200.000 addetti, e consolidato il fatturato, cresciuto in termini percentuali rispetto al prodotto interno lordo, cosa che, essendo accaduta in una fase di ristagno dell'economia, aumenta la sua quota, che è oramai attorno
all'8 per cento. Infine, questo è il sistema di imprese
che meno di tutti - in percentuale, rispetto al numero delle imprese e degli addetti - si è avvalso degli ammortizzatori sociali sia ordinari che in deroga. Dico questo come premessa perché se è vero quel che si dice, vale a dire che le cooperative si consolidano nei momenti di difficoltà, è anche vero che occorre tenerne conto proprio per questa ragione.
In merito al documento, abbiamo enucleato alcuni punti. Il primo riguarda i flussi di credito. Come tutte le altre imprese, anche le cooperative hanno bisogno di credito, pur avendo mantenuto l'occupazione e consolidato i fatturati. Infatti, anche noi abbiamo stretto la cinghia, visto che abbiamo mantenuto l'occupazione in quanto società di persone con particolare attenzione al lavoro e alle persone, riducendo, però, gli utili delle imprese. Purtroppo, sotto questo aspetto, la situazione - non c'è bisogno che la spieghi ai membri di questa Commissione - è tale per cui gli istituti non stanno manifestando grandi disponibilità di credito.
In realtà, non mostravano questa inclinazione neppure in passato, per effetto della lunga storia che ha visto investire malamente le risorse anche dei propri clienti, e non la manifestano adesso, pure se sono alimentati dalla Banca centrale europea. Difatti, la prima tranche di finanziamento incamerata dagli istituti di credito non ha avuto nessuna ricaduta sulle imprese. Riteniamo, però, che a questa debba seguire una fase nella quale gli istituti di credito decidano di sostenere le imprese nel nostro Paese. Su questo punto chiediamo un impegno forte da parte del Governo e del Parlamento.
Un altro tema caldo per noi, e in particolare per tutte le imprese che operano nei confronti della pubblica amministrazione, concerne la regolarizzazione dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione stessa. È intollerabile il doppio metro che essa usa: quando è creditrice, si avvale della mannaia delle sanzioni e dell'applicazione degli interessi di mora in maniera drastica e perentoria; quando, invece, è debitrice si guarda bene dall'essere coerente con le proprie azioni. È insopportabile che nel settore dei servizi alla persona, laddove operano le imprese cooperative più meritorie, che si dedicano alle persone svantaggiate, le nostre imprese facciano da banca agli enti pubblici.
Un'altra questione riguarda lo sviluppo delle reti di impresa. Anche in questo ambito, le cooperazioni sono portatrici di un modello, quello dei consorzi di cooperative, già operativo, che dà risposte in termini di emancipazione dei lavoratori, i quali, attraverso la cooperativa, diventano imprenditori di loro stessi e dei loro prodotti, raggiungendo, attraverso i consorzi, segmenti della filiera che diversamente non potrebbero raggiungere. Crediamo, pertanto, che questo modello debba essere consolidato.
A questo riguardo, in particolare sulla questione delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni, ci sentiamo di proporre un modello presente in altri grandi Paesi sviluppati come gli Stati Uniti, quello delle grandi cooperative di utenti. Riteniamo, infatti, che queste possano assolvere alla fase di privatizzazione in quanto private, potendo, al contempo, garantire la democrazia e la pubblicità del servizio proprio perché le reti e i servizi andrebbero in mano a utenti che ne diventerebbero protagonisti. Nel nostro Paese, questo modello è scarsamente praticato. Tuttavia, proprio nei giorni scorsi, in occasione di una discussione nell'ambito di una commissione consiliare della regione Lombardia, a fronte di una proposta di legge sui temi dell'occupazione e dello sviluppo, suggerivo di provare a promuovere, come prima regione in Italia, le grandi cooperative di utenti, come quelle degli Stati Uniti d'America, che, pur privatizzando le reti e i servizi,
garantiscono, allo stesso tempo, la partecipazione e la democrazia.
Vorrei aggiungere qualche osservazione in materia di fiscalità. In forza dell'articolo 45 della Costituzione, siamo tra coloro che godono - ormai in termini risibili rispetto al passato - di un beneficio fiscale. In generale, crediamo che le tasse possano e debbano essere pagate da tutti. Tuttavia, per chiarire meglio quello che ci aspettiamo, cito un esempio che riguarda
il settore primario. In questi giorni, il settore dell'agricoltura si sta lamentando a più voci per essere stato coinvolto nel pagamento dell'IMU, visto che i fabbricati strumentali agricoli sono stati sempre esentati dal pagamento di analoghe imposte. Ecco, pensiamo che le tasse debbano essere pagate anche dagli agricoltori, ma riteniamo anche che le istituzioni e la politica debbano offrire ciò che non danno, ovvero politiche di sostegno al reddito e alle imprese. Cito il settore primario perché da oltre 20-30 anni è privo di qualsiasi politica di sviluppo e di tutela. Non si tiene conto, infatti, che è il settore maggiormente soggetto a grandi cambiamenti.
Non so se la Commissione ha avuto occasione di mettere a confronto i dati del censimento di dieci anni fa con quello pubblicato alla fine del 2011. Ebbene, negli ultimi dieci anni il settore primario ha visto la chiusura di oltre 700.000 aziende. Dal momento che in Italia la media di superficie aziendale è, per il 51 per cento delle imprese, inferiore ai 2 ettari e, per il 34 per cento delle stesse, tra i 2 e i 5 ettari, è ipotizzabile che nei prossimi dieci anni altre 700 o 800 mila aziende chiudano. Ora, credo che questo settore, che ormai da lustri non vede una politica di tutela delle produzioni d'origine, che pure ci vedono al primo posto in Europa, né un sostegno coerente e serio all'esportazione del prodotto italiano, debba pagare le tasse, ma anche pretendere la definizione di politiche di sostegno alle attività.
Cito il settore primario perché è stato quello più abbandonato, ma ciò vale anche per altri ambiti. Da quanto tempo il Parlamento e il Governo non si occupano di una politica industriale complessiva nel nostro Paese, che pure è il terzo Paese manifatturiero d'Europa? Perché, per esempio, il documento della Commissione europea, oltre al questionario trasmesso dalla Commissione, non chiede perché il nostro Paese ha tanto delocalizzato ed è così poco appetibile per gli investitori esteri?
Nell'autunno scorso, un articolo in prima pagina del Corriere della sera, che si occupava d'altro, in particolare dei rapporti tra un partito politico e gli imprenditori nel nord-est, cominciava testualmente: «Dall'inizio del 2011 - eravamo nel mese di settembre o di ottobre - ben 720 aziende del nord-est hanno chiuso i battenti in Italia e li hanno aperti all'estero». Pensavo allora a quante migliaia di imprese italiane hanno chiuso i battenti in Italia, dai tempi mitici di Timisoara, esportando lavoro, occupazione e capitali all'estero. Non confondiamo, peraltro, la delocalizzazione di siti produttivi con l'internazionalizzazione delle imprese perché sono profondamente diverse; un conto è fare una piattaforma per vendere il prodotto italiano all'estero; un altro è andare a produrre in Cina o a Taiwan, come fanno le griffe della moda, per poi rivendere in Italia i prodotti ai costi di prima.
Se non siamo competitivi sul costo del lavoro, occorre inventare qualcosa che renda competitivo il nostro Paese per far sì che possa mantenere le imprese italiane e, semmai, attirare qualche investitore straniero. Questo è un tema che non ho ancora sentito affrontare dalla politica italiana. Nel frattempo, però, continuiamo a delocalizzare. Ieri sera in televisione ho visto un servizio su una fabbrica di calze, in Umbria o nelle Marche, con i lavoratori per strada - peraltro, erano tutte donne, oggi che è la loro festa - perché tale azienda ha chiuso. Essendo mantovano, posso dire che ormai gli impianti di produzione delle calze sono tutti all'estero, dalla Serbia alla Cina. Ecco, qualche cosa bisognerà pur fare.
Personalmente, mi son posto il problema di un governo del territorio diverso da quello che viene attuato oggi. Mi sono chiesto perché coloro che redigono i piani del governo del territorio nel nostro Paese non tengono conto delle realtà nelle quali sviluppano le previsioni urbanistiche. Gli ingegneri e gli architetti danno sfoggio di cultura, inserendo nella stragrande maggioranza dei comuni italiani, che hanno storia e peculiarità diverse, gli stessi parametri e vincoli che introducono a Milano, a Roma o nelle grandi città metropolitane. Sotto questo aspetto, abbiamo
migliaia e migliaia di strumenti di programmazione del territorio ridicoli, che prevedono aree industriali in tutti i piccoli comuni delle periferie del nostro territorio rurale o zone direzionali e commerciali, quando le esigenze per il mantenimento e il sostegno delle imprese artigianali richiedono zone miste, dove l'artigiano possa costruire il capannone e l'abitazione. Questo non si fa, però, perché rappresenterebbe una sottocultura urbanistica.
Credo che dobbiamo cominciare da questo per chiederci perché si delocalizza e nessuno viene in questo Paese. Che cosa abbiamo fatto? Quali territori abbiamo messo a disposizione? Visto che sul costo del lavoro non saremo mai competitivi con la Cina o con la Serbia - a questo proposito l'imprenditore delle calze diceva che in Serbia con il costo di una lavoratrice italiana ne paga cinque -, bisogna trovare altri strumenti.
Riguardo al lavoro, che pure è un tema che avete affrontato nelle vostre domande e che oggi è nell'agenda del Governo, che parla di riforma del mercato del lavoro, penso che ci sia anche un'altra esigenza, quella di recuperare il controllo sul lavoro, che oggi in Italia non c'è. Essendo mantovano e presidente di Confcooperative Lombardia, posso dire che anche nel nord crescono quotidianamente i fenomeni di caporalato e di sfruttamento dell'occupazione e del lavoro. Ciò vuol dire che lo Stato non solo ha perso il controllo di larga parte del territorio nel Mezzogiorno, ma anche quello del lavoro nel nord del Paese. Ci sono infiltrazioni di malavita organizzata in questo settore, anche nel settentrione. Del resto, basta guardare i giornali del nord.
Pertanto, occorre recuperare il controllo sul lavoro. Voi parlate molto opportunamente della questione culturale, che pure va recuperata. Da cooperatori, siamo fiduciosi che ci sarà la ripresa economica e produttiva, ma, oggi come oggi, creeremo occupazione in larga misura per lavoratori extracomunitari. Nelle fabbriche del nord-est, a raccogliere la frutta o nell'edilizia ci sono solo lavoratori extracomunitari. Quando si atterra in un aeroporto, se si guarda coloro che aspettano il parcheggio dell'aereo, ci si accorge che su otto persone - chi porta la rampa; chi mette i cunei sotto le ruote e così via - ce ne sono sette di colore.
Pur essendo favorevole rispetto a un'occupazione regolare di cittadini extracomunitari, mi chiedo se il nostro Paese sarà in grado di assorbire nel terziario, nel settore bancario o negli uffici, quelle decine di migliaia di laureati e diplomati che sfornano le nostre scuole. Ormai, oggi i ragazzi preferiscono aspettare fino a quarant'anni, occupando un posto in un call center per dar fastidio alla gente, senza porsi il problema di cercare un lavoro da muratore o nel settore dell'agricoltura. Insomma, va riscoperta una cultura del lavoro che, per ragioni di sviluppo e sociali, abbiamo accantonato.
Su questi temi l'agenda della politica deve mettere un occhio, altrimenti quando ci sarà la ripresa e si tornerà alla produzione, che fu accantonata ai tempi della new economy e della finanza «per la finanza», mentre, oggi, per fortuna, si sta riparlando di questo, l'occupazione rischia di non investire i giovani italiani, che ritengono un lavoro da muratore inferiore, in termini etici o sociali, rispetto a un impiego in banca o in un ufficio.
La questione del controllo del territorio e del contrasto al lavoro irregolare è cruciale. D'altra parte, ciò rimanda alla discussione sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che trovo stucchevole, essendo esso nato nella stagione degli anni Settanta nella quale il problema del lavoro non esisteva, visto che eravamo in fase di crescita e di boom economico. Viceversa, oggi, il problema esiste perché non c'è lavoro. Gli ammortizzatori che il Governo andrà a definire, nel confronto con le parti sociali, lasceranno la gente senza lavoro, se non ci sarà una ripresa economica vera. Trovo la discussione stucchevole perché, prima di tutto, la mia pretesa sarebbe che lo Stato si occupasse nuovamente e seriamente del territorio e di lavoro, crescendo in termini di governo di questi ambiti.
Oggi non è così; non si opera sui pilastri su cui si fonderà la nostra ripresa economica.
Rispetto alla questione dei servizi alla persona, credo che il processo di privatizzazione debba andare avanti. I comuni devono fare i comuni; le province - finché ci saranno - devono fare le province; le regioni devono fare le regioni, ma è opportuno che i servizi li offrano altri soggetti. Anche in questo caso, siamo portatori di un esempio emblematico e positivo, rappresentato dalle cooperative sociali.
Racconto sempre che negli anni Ottanta, quando - purtroppo o per fortuna - la famiglia si è disgregata e le donne sono andate a lavorare, le fasce più deboli della società - i bambini, gli anziani, gli ammalati, i disabili - sono rimasti senza protezioni. Lo Stato non è stato in grado di assorbire il colpo di un cambiamento sociale ed epocale come la destrutturazione delle famiglie. Sono nate, quindi, spontaneamente decine di migliaia di imprese semi-volontaristiche - le cooperative sociali applicano i contratti di lavoro più bassi nel nostro Paese - che hanno risposto alle nuove esigenze. Questo è un modello positivo, che deve essere sostenuto e incentivato dalle regioni, dalle province e dai comuni, anziché gestire direttamente, con costi complessivi molto superiori, questi servizi. Ecco, credo che su questi temi i provvedimenti che andremo ad assumere potranno essere positivi.
Rispetto all'evasione fiscale, siamo agli albori di un cambio di rotta evidente, che sicuramente darà buoni frutti. Personalmente, ritengo che l'incrocio dei dati delle banche dati gestite dallo Stato poteva essere fatto vent'anni fa, quando tutto è stato informatizzato. Per esempio, il confronto tra le banche dati del Pubblico registro automobilistico o di quello navale con le denunce dei redditi poteva essere fatto prima. Anche i blitz che vengono effettuati, sono importanti, esemplari, educativi, ma tutto ciò non basta. Penso, per esempio, a un coinvolgimento degli enti locali. Tutti gli agenti di polizia giudiziaria del nostro Paese potrebbero essere impiegati per chiedere lo scontrino all'uscita di un negozio di barbiere, di una lavanderia o di un ambulatorio medico. Ecco, al di là del risultato, questo potrebbe essere formativo, educativo e rappresentare un disincentivo forte. Se l'artigiano, il barbiere, la parrucchiera o il medico
dovessero sapere che anche il vigile urbano può fermare chi esce dal proprio esercizio per controllare lo scontrino, credo che faremmo un passo avanti enorme in termini formativi, prima ancora che di risultato pratico. Basterebbe coinvolgere le migliaia di agenti di pubblica sicurezza che spesso stanno a un incrocio, in piedi, a far nulla.
Quanto al riutilizzo di queste risorse, come rappresentante di un sistema di imprese sarei portato a dire di cominciare a ridurre il cuneo fiscale, ma come cittadino direi di riparametrare la contingenza al costo della vita per i pensionati, visto che non esiste al mondo che si blocchi l'importo della pensione, mentre cresce l'inflazione. Successivamente, una volta che avremo un allargamento del numero di coloro che pagano le tasse, pensiamo a una riduzione delle aliquote fiscali, che nel nostro Paese sono decisamente significative.
Ho concluso. Non avendo la presunzione di aver detto tutto, forse i colleghi vorranno integrare il mio intervento. Resto, ovviamente, a vostra disposizione per eventuali richieste di chiarimento. Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che vogliano porre domande o formulare osservazioni.
PAOLA DE MICHELI. Ringraziandovi del vostro contributo, dichiaro in anticipo il mio conflitto di interessi in questa audizione. Infatti, sono una cooperatrice, per la precisione un agricoltore, e sono anche dipendente - attualmente in aspettativa - di una grande cooperativa italiana del settore agroalimentare. Insomma, vi è un conflitto di interesse, ma anche la consapevolezza che le premesse del dottor Ottolini sono assolutamente veritiere. In questo momento il sistema cooperativo sta svolgendo un ruolo sicuramente decisivo per la tenuta complessiva di una parte
importante delle filiere produttive tradizionali italiane. Venendo dall'Emilia-Romagna, posso testimoniare che in alcuni settori manifatturieri straordinariamente importanti, come la ceramica, abbiamo assistito alla tenuta di questo sistema, peraltro molto internazionalizzato, grazie alle caratteristiche fondanti delle cooperative.
Aggiungo - e vengo alla prima domanda - che anche il sistema del credito cooperativo si è caratterizzato e distinto in questa fase della crisi, sempre e comunque in funzione di supportare le imprese italiane, assumendosi responsabilità, in certi casi, non propriamente semplici e correndo il rischio di qualche piccolo declassamento interno al sistema del credito italiano sulla base dei macroindicatori di qualità.
Ora, al netto degli interventi sul piano delle riforme rispetto al credito e all'accesso al credito - penso al potenziamento dei consorzi fidi e al ruolo che le cooperative devono svolgere anche nella loro patrimonializzazione, tema sul quale ho anche presentato un emendamento; all'istituzione di fondi rotativi che molte realtà cooperative territoriali hanno chiesto anche alla regione Lazio, come ho avuto modo di vedere assistendo a un convegno sul tema, alla presenza di alcuni rappresentanti di Legacoop; nonché ai meccanismi di moral suasion affinché i 140 miliardi di euro erogati recentemente dalla BCE arrivino alle imprese -, ho una battaglia in corso e spero che a breve il Governo risponda alle interrogazioni che ho presentato in Parlamento. Credo, infatti, che, sul piano europeo, una delle priorità debba essere la richiesta forte al Comitato di Basilea di introdurre un fattore correttivo, il cosiddetto «PMI supporting
factor».
Vorrei, pertanto, sapere se le imprese che lo hanno promosso - non è, infatti, di iniziativa parlamentare - ritengono che questa sia una delle priorità sul piano dei rapporti europei e che rientri nelle forme di sostegno che il nostro Governo deve dare a questo tipo di attività. È vero che siamo nel pieno della stretta del credito, ma è anche vero che «eppur si muove» - come diceva Galileo - poiché credo che nemmeno per le banche ci sia più interesse a tenere alto questo livello nella stretta del credito. D'altra parte, non possiamo neppure rischiare di ritrovarci fra sei mesi o un anno a ricadere, per meccanismi legati al calcolo del rating e per la nostra struttura imprenditoriale, oggettivamente diversa rispetto al resto d'Europa, in una condizione caratterizzata dalla stretta del credito, magari proprio mentre stiamo uscendo faticosamente da questa condizione di crisi e di recessione.
Sui pagamenti non intervengo, perché in questi quattro anni in Parlamento abbiamo tentato in ogni modo di sbloccare la situazione. La sofferenza più grande è proprio legata alle cooperative di servizi. In quell'ambito, credo vi sia anche il meccanismo più distorsivo in assoluto, perché le cooperative di servizi labour intensive ricevono, di fatto, il pagamento del 90 per cento dei costi a 30 giorni dall'erogazione del servizio. Non so, però, in certe situazioni, soprattutto nel centro-sud, come questo sistema possa reggere - penso, in particolare, ai contratti di servizio nella sanità -, quindi sono sinceramente preoccupata. Il rischio è che cooperative che sono nella piena legalità debbano scivolare in meccanismi di illegalità per poter continuare a esistere e contenere l'impatto di quasi 200-300 giorni di ritardo nei pagamenti. Insomma, è una situazione drammatica. Il Governo ha
più volte dichiarato di voler risolvere il problema, ma il tempo, in questo caso, non è una variabile indipendente.
Vorrei sapere qualche dettaglio in più sulle grandi cooperative di utenti, che confesso di conoscere poco, perché penso possa essere un'opzione, al di là degli aspetti istituzionali, straordinariamente interessante per i meccanismi che si stanno realizzando sul piano locale. Infatti, anche se non si va nella direzione di una normativa di privatizzazione stringente, sicuramente vi sono degli incentivi e disincentivi - come il patto di stabilità interno o il taglio delle risorse - che porteranno soprattutto gli enti locali verso questa
soluzione. Questo modello potrebbe essere, quindi, interessante anche sul piano territoriale per cooperative di medie dimensioni.
Sull'IMU agricola, credo ci sia un impegno da parte del Ministro Catania a risolvere la questione. Durante l'esame parlamentare della manovra del dicembre scorso, è stato presentato un emendamento su tale argomento, che è stato accantonato anche per questioni di tempo e di rapporti non ancora chiariti con la Ragioneria generale dello Stato. Tuttavia, questa è una battaglia che ha il pieno sostegno del Parlamento. Peraltro, è un interesse trasversale, quindi è bene che anche l'Alleanza delle cooperative italiane sia consapevole di questo.
Essendo una sostenitrice del modello manifatturiero italiano in termini «prodiani», sono convintissima che senza il settore manifatturiero non ci sarà una ripresa dello sviluppo e della crescita in questo Paese. Ho anche criticato ripetutamente la parte politica nella quale mi colloco perché, forse, nel passato recente c'è stata poca promozione o rivalutazione sociale dello straordinario ruolo del lavoro manuale. Ammesso e non concesso che il Parlamento e la politica possano fare qualcosa di più, se ci sono indicazioni in merito, penso che oggi ci sia la sensibilità per ritornare a ragionare sul ruolo del lavoro manuale come fattore strategico per il Paese, come strumento di realizzazione per i soggetti che lo svolgono e come esperienza altamente formativa, visto che la qualità della formazione necessaria per quest'attività è molto più elevata rispetto a quindici anni fa.
A questo proposito, vorrei conoscere la vostra opinione su un progetto di legge di cui, peraltro, il primo firmatario è il mio capogruppo in Commissione, l'onorevole Baretta, relativa alla maggior partecipazione dei lavoratori alle attività di impresa. Questa proposta non si è realizzata negli anni Settanta perché il sindacato non era unitariamente convinto. Tuttavia, oggi ci potrebbe essere bisogno di questa soluzione, sulla quale, avendo già esperienza con le cooperative di lavoro, potete dare un'indicazione in più rispetto a un percorso normativo che ritengo, comunque, molto interessante.
Finisco con una battuta cattiva, per l'amicizia che mi lega a Maurizio Ottolini, che mi ha conosciuto quando, venticinquenne, facevo parte dell'Assemblea nazionale di Confcooperative. L'affermazione che la famiglia si è disgregata perché le donne sono andate a lavorare non mi è piaciuta. La famiglia non si è disgregata, ma ha assunto un nuovo modello organizzativo. So che - per giunta nel giorno della festa delle donne - non era un giudizio di valore. Sapevo, peraltro, che avrebbe avuto il sostegno del presidente Giorgetti. A ogni modo, la famiglia - ripeto - ha cambiato modello organizzativo. È una fortuna che le donne siano andate a lavorare; speriamo che lavorino di più perché più donne lavorano, più creiamo imprese e sviluppo. Grazie.
ROLANDO NANNICINI. Anch'io ringrazio il vicepresidente per la sua relazione. Rimango su alcuni temi che lei ha posto. Il rapporto tra territorio e impresa mi sembra l'elemento essenziale e su questo vorrei porre una domanda. Noi abbiamo fatto di tutto perché la DIA (denuncia di inizio attività), la SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) e anche il problema dello sportello unico non fossero trattati nello stesso modo nelle grandi, nelle medie e nelle piccole città. Le posso portare degli esempi in questo senso. Peraltro, sarebbe interessante che anche voi trovaste, sul territorio, degli esempi pratici perché lo sportello unico per l'ampliamento di impresa in Italia viene visto negativamente dalle strutture territoriali. Difatti, le strutture tecniche rinviano alla famosa variante complessiva per esigenza dell'impresa.
Personalmente, sono in grado di portare sei-sette esempi relativi a una realtà come la Toscana, molto attenta alla dinamica del rapporto territoriale. Tuttavia, si inizia a essere molto insoddisfatti perché alcune procedure non sono messe in moto, anche se ci sono sentenze chiare. D'altra parte, se si ha un'impresa e un terreno
adiacente da acquisire, si promuove la conferenza di servizi in 30 giorni. In questo caso, l'ente locale deve necessariamente agire perché ci sono strumenti legislativi che, attuando lo sportello unico, non servono solo affinché gli enti si parlino tra di loro per via telematica, ma rappresentano la sostanza e la possibilità di ampliamento dell'impresa nei momenti decisori. Vi chiedo, quindi, se avete degli esempi o se indagate in questo senso, perché c'è molto ritardo nell'attuazione dello sportello unico per l'ampliamento d'impresa sul piano territoriale.
Riguardo ai pagamenti, provengo dall'esperienza amministrativa di sindaco e ho fatto troppe volte il rappresentante del sindacato dei comuni. In questo caso, cerco di stimolare una riflessione in tutti i modi. Il comune sa che la sua spesa corrente, ovvero la sua spesa per investimenti, non è uguale al bilancio di previsione. Infatti, nella maggior parte dei casi, il bilancio di previsione va bene o è in pareggio; tuttavia, sarebbe interessante vedere, in alcune realtà, se siamo anche fuori bilancio in relazione al ritardo dei pagamenti. A ogni modo, riconosciamo l'onestà a tutti gli enti territoriali di rispettare al 100 per cento il bilancio di previsione.
Ora, il patto di stabilità per il 2012 vincola la cassa nella misura del 15,6 per cento della media degli anni 2006, 2007 e 2008, per un importo pari a 6,4 miliardi di euro. Praticamente, nell'anno solare 2012 l'ente non può effettuare investimenti e altro (non voglio fare il ragioniere). Inoltre, a seguito dei tagli, la riduzione della spesa di competenza è stata pari al 2,5-3,5 per cento, a seconda delle condizioni. In sostanza, si ha già un accumulo di 2,9 miliardi di euro in termini di cassa nel 2012. Allora, in attesa della soluzione, gli enti locali devono far prevalere il valore della cassa in relazione ad alcuni servizi perché sanno che non possono pagare e, pertanto, devono allineare il loro flusso finanziario verso i fornitori - essenzialmente le cooperative di servizi. Bisogna iniziare a pretendere questo. Difatti, con la finzione dello slittamento dei pagamenti, si può dire che nel bilancio ho risorse per sei bicchieri,
per poi pagarne quattro.
A questo proposito vi chiedo se sareste disposti, invece di aspettare tanto, a riscuotere al 90 per cento quello che manca della vostra quota. In altre parole, si tratterebbe di iniziare a trattare questa somma non come debito pregresso, ma come ritardato pagamento, ovviamente nel caso il bilancio sia in ordine. Non dico di traslare all'istituto bancario, altrimenti può divenire un debito nascosto e quindi far saltare il bilancio, ma di fare un accordo con l'ente locale in cui si prevede di pagare a una certa data, per esempio, un anno dopo la prestazione. Occorre, poi, trovare un meccanismo per cui, essendo il termine certo, si può sostituire un soggetto che paga il 95 per cento per cento, mettendo in attesa l'impresa che dovrà ricevere il 97 per cento del pagamento da parte dell'ente locale. Bisogna, però, vincolare a una data il meccanismo dei sei bicchieri in bilancio e dei quattro da pagare. Ecco, questo dipende da noi. Difatti, dobbiamo in
tutti i modi interrompere il rapporto tra competenza e cassa che si scarica sulle imprese in un modo maledetto, sia sui servizi che sui prezzi.
Condivido, quindi, il vostro appello, ma sarebbe meglio che con la vostra forza, anche per un coordinamento, promuoveste, al di là della nostra politica - visto che noi presentiamo le proposte emendative e poi non vengono approvate -, un accordo fra imprese italiane, strutture associative dei comuni e istituti bancari per trovare delle formule, trattando, però, le somme come ritardato pagamento e non come debito pregresso perché, in quest'ultimo caso, salta tutto, mentre se è un ritardato pagamento va bene. Questo vale in attesa di una norma che sarebbe l'ora di discutere. Infatti, tutti i soggetti si stracciano le vesti perché dicono di avere i soldi e non poter pagare, ma non è così.
Riguardo all'IMU sui fabbricati rurali, ci sono sentenze chiare della Corte di Cassazione secondo le quali, se si classifica il proprio immobile agricolo entro il 31 marzo nella categoria catastale D/10, l'imposta
non è dovuta. Quali esperienze avete in questo senso? Condivido appieno quello che ha detto sul fatto che non c'è stimolo e attenzione verso il mondo agricolo. Insomma, dovremmo fare di più su questo aspetto. Del resto, anche l'introduzione dell'IMU nel settore agricolo è troppo sottovalutata in questo periodo.
PIER PAOLO BARETTA. Vorrei dire che sui pagamenti dovremmo cambiare strategia. Mi associo, quindi, ad alcune osservazioni dell'onorevole Nannicini. Per esempio, al di là dei giudizi di merito, il fatto che il Governo abbia accentrato la tesoreria unica è un'ulteriore dimostrazione delle difficoltà obiettive. Come ricordava la collega De Micheli, abbiamo alle spalle quattro anni di battaglie, che hanno sortito scarsi risultati non solo dal punto di vista dell'opposizione, ma di tutti. A questo punto, bisognerebbe - e voi dovreste collaborare con noi - immaginare una strategia di mediazioni progressive. Occorre, insomma, costruire dei percorsi che prevedano compensazioni, confidi «alla rovescia», crediti agevolati e che consentano, in via transitoria, un punto d'incontro, perché con il solo braccio di ferro non ne usciamo. Vorrei, dunque, proporre di svolgere un lavoro
condiviso.
La seconda osservazione è che c'è un equivoco nel dibattito generale. Sotto questo aspetto, voi rappresentate un punto nodale. Si crede, infatti, che siamo in una situazione di crisi, quindi la domanda di welfare si può ridurre, ma questo non è possibile perché, secondo i dati demografici e quant'altro, non può che aumentare la domanda. Si può razionalizzare e suddividere diversamente, ma certamente crescerà. Ora, le vostre imprese sono al centro di questa discussione perché sono molto addentro al sistema di gestione del welfare territoriale e locale, coprendo anche dei settori delicatissimi.
Vengo alla domanda, che, anche in questo caso, contiene una proposta. Bisognerebbe che il mondo cooperativo prendesse in mano non solo la pratica che state facendo, ma anche un'idea di sistema. Personalmente, non ho niente contro il libero mercato; tuttavia, tenderei a distinguere tra il libero mercato manifatturiero e quello per l'assistenza, per esempio, nell'ultima fase della vita. Da questo punto di vista, mi pare necessario un salto di qualità che chiederei di compiere alle cooperative come soggetti protagonisti di questa discussione.
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri auditi per la replica.
BRUNO BUSACCA, Responsabile dell'ufficio relazioni istituzionali di Legacoop. In merito ai ritardi di pagamento, è difficile rispondere a nome di tutti. Tuttavia, se ci fosse davvero un percorso che prevedesse il pagamento del 97 per cento subito, credo che il 99,9 per cento delle imprese sarebbe d'accordo. Bisogna, però, individuare un soggetto. In passato, si era pensato alla Cassa depositi e prestiti, poiché quando ci si finanzia per coprire i ritardi di pagamento - tra l'altro, già si comincia a non trovare più le banche disponibili - i tassi di interesse sono più alti, per cui rinunziare oggi a un credito per avere subito il pagamento è, paradossalmente, un vantaggio.
Onorevole De Micheli, non siamo del tutto scontenti del suo conflitto di interessi, quindi non glielo contesteremo. Delle politiche per il lavoro e della partecipazione dei lavoratori si era parlato anche in fasi precedenti. Peraltro, proprio la struttura della cooperazione di lavoro è un caso classico di positività della partecipazione dei lavoratori. Occorre, però, chiarire un punto: la partecipazione non è solo agli utili, ma anche ai processi decisionali. Questo è il problema tedesco. È chiaro che nelle cooperative c'è un'originalità che non esiste nell'impresa privata. Tuttavia, la vera partecipazione non è solo a valle, ma funziona se riguarda anche i processi decisionali.
Il mondo cooperativo - scusate lo spot - è un esempio che questo modello funziona. Per esempio, il collega Ottolini diceva che nella fase di crisi il fatto stesso di consociare i lavoratori porta a evitare il più possibile le espulsioni o altro. Certo,
non pensiamo affatto di trasformare un'impresa mitica come la FIAT in una cooperativa. Si pensò a questo nel primo dopoguerra, ma non andò a buon fine. C'è, però, un problema di partecipazione, che è un aspetto straordinariamente efficiente di funzionamento dell'impresa. Nonostante ciò, devo dire che quando si cominciò, proprio in questa legislatura, ad affrontare questa partita, sotto l'egida dell'ex Ministro Sacconi, i due nodi più problematici furono la CGIL e Confindustria. Bisogna essere onesti fino in fondo su questo. Certo, sarebbe un bene per l'intero sistema. D'altronde, il sistema economico funzionerebbe meglio anche con un'alta quota di occupazione femminile, anche a livello di management.
Rispetto al sistema del credito cooperativo, vorrei dire che, in alcuni momenti, ha rischiato di svenarsi proprio per il rapporto fecondo e serio con la struttura produttiva territoriale della piccola e media impresa, che conosce, apprezza e sostiene. Credo che il sistema delle banche di credito cooperativo sia stato un elemento virtuoso in tutta questa fase della crisi. L'onorevole De Micheli parlava giustamente di moral suasion. In effetti, piange il cuore al pensare che nel sistema bancario arrivano oltre 100 miliardi di euro ad un tasso dell'1 per cento, di cui non è possibile fruire. Non è un problema di cattiveria - certo, in qualche caso, c'è anche una questione di egoismo da parte degli istituti bancari -, ma è la regolamentazione che non è favorevole a un sistema, come quello italiano, fatto di piccole e medie imprese. L'accordo «Basilea 3», ma anche i temi che sta affrontando l'Autorità bancaria
europea, trattati così, sono una penalizzazione per un Paese che, con tutti i problemi, ha avuto un sistema bancario che ha retto meglio di altri perché è sicuramente meno esposto sul piano dei titoli cosiddetti tossici.
In merito al tema sollevato dall'onorevole Baretta, vorrei dire che stiamo facendo dei passi che sviluppano l'esperienza straordinaria della cooperazione sociale degli anni Ottanta, Novanta e Duemila. Per esempio, stiamo procedendo in tutte le organizzazioni cooperative a una maggiore integrazione tra sanità e assistenza, cioè tra prestazioni sanitarie e prestazioni di assistenza. Questo è un modello fondamentale per risparmiare soldi e non tagliare le prestazioni offerte. Tuttavia, anche in questo caso, il nostro interlocutore pubblico ci danneggia con i ritardi di pagamento. Sotto questo aspetto, le stiamo tentando tutte, ma il rischio è reale. Alcune delle cooperative rischiano veramente di scivolare in una zona grigia. Peraltro, questo non è solo un problema di rapporto economico. Il rischio di un fase prolungata di ritardi di pagamento è che alla fine restano in piedi le imprese pirata. Insomma, è davvero un
dramma.
Cedo, ora, la parola al vicepresidente Ottolini che vorrei rispondesse su aspetti che conosce meglio. Grazie.
MAURIZIO OTTOLINI, Vicepresidente di Confcooperative. Sulle ragioni per le quali l'ente locale, nelle materie di sua competenza, non ci favorisce, ho dei miei convincimenti, avendo anche fatto l'amministratore locale per tanti anni nella «prima Repubblica». Quindi, accolgo favorevolmente la disposizione a indagare. C'è una sorta di sudditanza culturale nei confronti di coloro che, viceversa, utilizzano, per esempio la strumentazione urbanistica, come uno strumento di interessi o di potere.
Vorrei fare un accenno, che non ho fatto prima, alla semplificazione. Non devo parlare a voi della delegificazione. Già vent'anni fa Sabino Cassese diceva che avevamo oltre 100.000 leggi contro le 3.000 della Francia. Tuttavia, se una cooperativa sociale di tipo B, operante nell'inserimento dei disabili, sta perdendo i finanziamenti da parte della regione Lombardia perché la prefettura di Mantova - non quella di Palermo - da quattro mesi non le consegna il certificato antimafia, bisogna solo rivolgersi al prefetto, perché, con sette ragazzi, che fanno pure volontariato, non si può perdere un contributo che dà ossigeno. Porto questo esempio per dire che occorre una maggiore integrazione nella relazione tra gli enti e nella vigilanza,
che è del tutto insufficiente, nelle relazioni tra l'INPS, l'ispettorato del lavoro, la direzione provinciale del lavoro e quant'altro.
Ecco, questi sono i temi che potrebbero aiutare la ripresa economica nel nostro Paese. Grazie.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri auditi del contributo e della documentazione che è stata depositata.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 13,30.