Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - ANALISI ANNUALE DELLA CRESCITA PER IL 2012 E RELATIVI ALLEGATI (COM(2011)815 DEFINITIVO)
Audizione del Direttore di area del mercato italiano della Ferrero Spa, Marco Capurso:
Giorgetti Giancarlo, Presidente ... 3 4 8 11 13 14 17
Cambursano Renato (Misto) ... 13
Capurso Marco, Direttore di area del mercato italiano della Ferrero Spa ... 3 4 8 14
De Micheli Paola (PD) ... 11
Duilio Lino (PD) ... 13
Moroni Chiara (FLpTP) ... 12
Nannicini Rolando (PD) ... 14
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, La Discussione): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Noi per il Partito del Sud Lega Sud Ausonia: Misto-NPSud; Misto-Fareitalia per la Costituente
Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA.
Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,05.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della comunicazione della Commissione - Analisi annuale della crescita per il 2012 e relativi allegati (COM(2011)815 definitivo), l'audizione del Direttore di area del mercato italiano della Ferrero Spa, Marco Capurso.
Il dottor Capurso è accompagnato dal dottor Pietro Maria Brunetti, direttore delle relazioni esterne e istituzionali. Ringrazio entrambi per aver accettato il nostro invito a testimoniare l'esperienza della società che rappresentano.
La nostra indagine conoscitiva prosegue - ricordo che domani avremo l'ultima audizione con il professor Grilli - con una delle realtà più importanti e incredibili dell'industria italiana, la Ferrero.
Do la parola al dottor Capurso, ringraziandolo nuovamente.
MARCO CAPURSO, Direttore di area del mercato italiano della Ferrero Spa. Grazie, signor presidente. Buongiorno, signori deputati. Sono onorato di rappresentare la Ferrero presso la vostra Commissione. Noi non siamo esperti di macroeconomia, ragion per cui proviamo a rispondere al vostro invito portando un contributo che spero sia utile. Naturalmente partiamo dall'esperienza della nostra azienda, che è quella che conosciamo, e da ciò che sappiamo fare.
Come sapete, la Ferrero è un'azienda al 100 per cento italiana, un'azienda che fattura 7 miliardi di euro e dà lavoro nel mondo a 22.000 dipendenti. È presente in un'area geografica larga, con 18 stabilimenti, 40 sedi e presidi operativi in diversi Paesi, è leader nel settore del cioccolato e affini in Europa ed è al quarto posto nel mondo.
Come azienda siamo in crescita. Anche noi abbiamo un esercizio che termina ad agosto. I dodici mesi terminati con lo scorso mese di agosto hanno registrato una crescita di circa il 9 per cento, una crescita che noi abbiamo ottenuto in misura maggioritaria dai Paesi extraeuropei, i quali hanno vissuto una crescita molto importante, in particolare la Russia, gli Stati Uniti, il Brasile e i Paesi dell'Asia. Siamo stati capaci, però, di essere positivi anche in Europa, dove abbiamo avuto una crescita intorno al 5 per cento.
In Italia fatturiamo 2,5 miliardi e abbiamo 6.000 dipendenti, ragion per cui, oltre a essere un'azienda effettivamente grande nel mondo, siamo anche una grande azienda italiana. Fatturiamo appunto 2,5 miliardi, di cui un miliardo è legato all'esportazione. L'Italia, oltre a essere
un mercato domestico, come lo chiamiamo noi, cioè un mercato di produzione e di vendita, è anche un mercato di produzione per l'estero in maniera estremamente importante.
In Italia siamo in 6.000 e anche nel nostro Paese fino all'anno scorso siamo riusciti a essere in crescita, perché abbiamo avuto un fatturato in crescita del 3 per cento. Purtroppo non posso affermare che quest'anno gli affari vadano ugualmente bene, perché, come ben sapete, vediamo che le famiglie del nostro Paese hanno difficoltà nuove e fanno più fatica a consumare in generale, ivi compresi i nostri prodotti.
Quando mi è stato chiesto di riassumere quali sono gli elementi che spiegano il successo eccezionale della Ferrero, ho pensato che ve ne sono fondamentalmente sei, che molto rapidamente cercherò di riassumere.
Il primo è il prodotto. Noi siamo un'azienda che parla sempre di prodotto. Il prodotto è sempre al centro delle nostre attenzioni e per noi significa creare prodotti in grado di soddisfare un bisogno in un modo unico. Capisco che ciò può sembrare astratto, però la quotidianità del nostro lavoro ci consente di individuare bisogni molto precisi e di cercare di soddisfarli con un prodotto che li incontri in un modo perfetto.
La seconda caratteristica è che noi vogliamo che i nostri prodotti abbiano una superiorità organolettica imbattibile. Spero che anche voi lo condividiate. Nutella, Rocher e i prodotti Kinder sono stati studiati, oltre che per soddisfare molto bene alcuni bisogni, anche per essere i più buoni possibili.
PRESIDENTE. Ho notato che, quando parla di Nutella, comincia a suscitare l'attenzione dei deputati.
MARCO CAPURSO, Direttore di area del mercato italiano della Ferrero Spa. Non voglio essere divergente rispetto all'oggetto dell'audizione, però io godo di un privilegio eccezionale. Quando affermo che lavoro per la Ferrero e per la Nutella, vedo immediatamente che la gente mi sorride. Penso che le aziende che offrono questo privilegio siano pochissime ultimamente. Oserei dire che la Ferrero è forse l'unica, ragion per cui mi ritengo particolarmente fortunato.
Noi diamo corpo a questo aspetto. Riassumo la questione con due aneddoti per dare corpo alla nostra attitudine. I nostri imprenditori si ricordano sempre che il consumatore è il re, colui che ci giudica, e che la nostra amministratrice delegata è la consumatrice. Nel momento in cui lei non ci privilegia più, a quel punto l'azienda non c'è più, come non c'è più lo sviluppo.
Il primo punto cui noi dedichiamo il massimo dell'energia e dello sforzo è realizzare un prodotto superiore, che risolva bisogni che noi individuiamo in un modo perfetto. Il secondo aspetto è la ricerca. Anche in questo ambito porteremo alcuni modesti suggerimenti.
Il prodotto deriva dalla ricerca e dall'innovazione, in cui io penso che la Ferrero, avendo imprenditori particolarmente creativi e portati a questo aspetto, abbia ottenuto risultati eccezionali. Tutti i nostri prodotti sono invenzioni italiane create da una grande famiglia di imprenditori italiani.
Noi destiniamo il 3 per cento del fatturato all'innovazione, sia essa ricerca di base o sperimentazione, ma soprattutto ciò che fa la differenza rispetto all'unica altra esperienza lavorativa che ho avuto è che gli imprenditori Ferrero dedicano il 100 per cento del loro tempo alla ricerca.
Il signor Michele Ferrero tutti i giorni, sette giorni alla settimana, lavora su nuovi prodotti e sulla ricerca, dalla mattina alla sera. Il signor Giovanni Ferrero a sua volta lavora sette giorni su sette alla settimana, con una concentrazione assoluta all'innovazione, alla novità, a creare nuovi prodotti e promuovere la ricerca.
Una volta che un'idea emerge, viene realizzata su piccoli impianti pilota per averne una concretizzazione, viene messa in vendita in punti vendita veri e acquistata o non acquistata da consumatori in una situazione reale. Noi siamo estremamente
attenti a questo feedback, che sappiamo interpretare pienamente. Siamo capaci di migliorare il prodotto per moltissimi anni - abbiamo testato prodotti anche per vent'anni - nonché di non lanciare prodotti se i consumatori non ci accordano il loro favore. Produciamo, dunque, su piccoli impianti le idee che vengono ai nostri imprenditori e le mettiamo in vendita in negozi veri per avere il vero ritorno dei consumatori.
Una volta che si decide di lanciare il prodotto, progettiamo internamente le linee industriali. Le progettiamo noi perché cerchiamo con le linee industriali di realizzare un prodotto più simile possibile a quello che viene realizzato nei laboratori. Per questo motivo abbiamo bisogno di progettare noi le linee. Non è solo per una volontà di confidenzialità; noi cerchiamo di creare linee che non esistono sul mercato e tali da riprodurre il più fedelmente possibile il prodotto elaborato nei laboratori di pasticceria.
Per questo motivo ne scaturisce un prodotto come Rocher, un prodotto impossibile da realizzare industrialmente. Se lo aprite e guardate dentro, vedete che all'interno ci sono una nocciola intera, una crema di nocciola, un wafer coperto di cioccolato e coperto ulteriormente dalle nocciole. Una linea industriale che si trova sul mercato non può realizzare un prodotto di questo tipo. Le linee devono replicare ciò che fanno i lavoratori di pasticceria e questo aspetto ci offre una barriera competitiva che si dimostra molto forte ed efficace.
Anticipo un punto che magari riprenderò in seguito. Tutti gli aiuti che possono essere legati all'innovazione sono elementi decisivi per la crescita. Io non sono un esperto di macroeconomia, ma so che quanto più si può aiutare l'investimento in innovazione, tanto più ciò rappresenta una premessa futura per generare crescita.
La crescita della Ferrero, le dimensioni e i risultati derivano dal fatto che noi siamo molto concentrati sull'innovazione e io sono certo, visto che gli italiani sono noti per essere adatti a innovare, che tutte le altre aziende italiane potrebbero beneficiare tanto quanto abbiamo beneficiato noi di aiuti che possano riguardare la ricerca.
Dopo prodotto e ricerca la terza caratteristica della Ferrero è l'ossessione per la qualità. Ci sono due aspetti che vorrei sottolineare in merito. Prima di tutto abbiamo relazioni di filiera molto forti. Conosciamo veramente i nostri fornitori e intratteniamo rapporti di collaborazione stretta con loro. Noi la chiamiamo internamente «la politica del sacco conosciuto». Non guardiamo troppo qual è la migliore offerta sul mercato, ma cerchiamo il fornitore che può procurarci materie prime con le caratteristiche migliori possibili. Quando è il caso, con loro lavoriamo per migliorare ulteriormente la materia prima che alimenta i nostri prodotti.
Un'altra questione poco nota, che però mi ha molto impressionato, è la logistica. Per noi la logistica non è arrivare al costo più basso o il più lontano possibile, ma arrivare il più in fretta possibile. Tutti i nostri prodotti sono migliori quanto più in fretta sono consumati e, ragion per cui la vocazione della nostra logistica, la sua missione, è quella di agire in fretta. Ciò non riguarda solo la logistica, ma anche la parte commerciale. Noi siamo tutti incentivati sui tempi rapidi di consumazione del prodotto, su quanto riusciamo a portarlo fresco al consumo.
Su questo punto naturalmente andiamo a guardare tutti gli elementi logistici, dall'uscita dalle linee fino al momento del consumo, per cercare di renderli i più rapidi possibili. Per questo motivo apriamo anche stabilimenti nei Paesi in cui ci rechiamo, perché spesso abbiamo bisogno di avere stabilimenti vicini a dove avverrà il consumo. Non riusciamo a esportare tutto dall'Italia. Esportiamo tanto dall'Italia, però non riusciamo a farlo anche per i Paesi più lontani, ragion per cui, come accennavo all'inizio, abbiamo 18 unità produttive nel mondo.
Smettiamo di vendere i nostri prodotti più delicati d'estate, perché, dal momento che il caldo rovina un po' la loro qualità, preferiamo non venderli piuttosto che
cambiare le dosi e renderli resistenti al calore. In estate dunque non li vendiamo. È una politica che attuiamo in tutto il mondo e che, la prima volta in cui ci si confronta con essa, richiede un po' di tempo per essere capita. Lo facciamo anche nei Paesi freddi, anche se forse con un eccesso di integralismo.
Ho provato a raccontare la cura della qualità che poniamo, il terzo fattore, dopo il prodotto e la ricerca, che, secondo noi, spiega il successo molto bello che la Ferrero riesce a conseguire.
La quarta è una caratteristica che spero sia a sua volta interessante per voi, ossia la capacità di investire nel lungo termine. Io ho lavorato in due aziende nella mia vita, quindici anni nella Ferrero e prima per un'azienda a cui sono tuttora molto riconoscente, un'azienda americana nella quale, però, non tornerei mai. La differenza enorme che la Ferrero ha rispetto a moltissime aziende è che noi investiamo per il lungo termine, sappiamo che ci vuole tempo per realizzare i prodotti. La finalità di generare sviluppo economico non è un'operazione che si compie in fretta.
Noi abbiamo una forte condizione abilitante in questo senso: la stragrande maggioranza dei nostri investimenti, che l'anno scorso sono stati di 400 milioni di euro, sono finanziati attraverso mezzi propri. Gli utili che l'attività economica genera spiegano la stragrande maggioranza degli investimenti per lo sviluppo. È chiaro che si tratta di una condizione che libera noi, che amministriamo, dalla necessità di agire in fretta. Non siamo indebitati, non utilizziamo la leva finanziaria e questo ci offre una libertà e una capacità di gestire il tempo che nessun altro concorrente ha. La maggior parte, il che io trovo molto rispettabile, ha la necessità di ricorrere al credito per finanziare la propria crescita e, di conseguenza, subisce tempi imposti dalla restituzione del credito che sono spesso incompatibili con l'attività economica.
Non posso non compiere un parallelo con la situazione del nostro debito come Paese. Il debito impone ritmi e scadenze che ogni tanto guidano anche i risultati che sono fattibili e possibili. Noi abbiamo una libertà formidabile. Essendo praticamente del tutto autofinanziati, non abbiamo fretta, abbiamo il tempo per realizzare i nostri prodotti e non siamo scanditi da questo aspetto. Ciò ci permette di compiere anche investimenti non strettamente aderenti ai nostri prodotti, tra cui, per esempio, importanti investimenti per l'ambiente.
In merito non mi dilungherò, però sappiate, perché è interessante, che esiste una società di proprietà della Ferrero, che si chiama Energhe, con cui forniamo e produciamo energia in modo sinergico con la nostra produzione industriale. Ciò permetterà alla Ferrero, dal 2013 al più tardi, non di essere totalmente autonoma, ma di avere un saldo zero dal punto di vista energetico. Saremo in grado di produrre tanto quanto consumiamo.
Sottolineo questo punto perché gli aspetti ambientali ed energetici sono un problema importante per il nostro Paese e forse il tessuto industriale può permettere, attraverso un possibile aiuto di carattere legislativo, di spingere chi produce a produrre anche energia, perché chi produce consuma energia, ma, producendo, ne produce a sua volta. Noi siamo riusciti, integrando la nostra attività industriale con alcuni investimenti, a ottenere un buon risultato anche in quest'ambito.
Accenno soltanto a un altro aspetto. Noi siamo forti investitori in pubblicità, come sapete, perché la pubblicità per noi è un investimento. Abbiamo una forte regolarità negli investimenti un po' in tutti i Paesi in cui operiamo. È un investimento perché i consumatori consumano molto raramente i nostri prodotti. Le frequenze d'acquisto dei nostri prodotti anche in Italia sono di un paio di volte all'anno, se guardiamo la media della popolazione. I nostri sono tra i rari prodotti che si pensa di consumare di più di quanto non si faccia effettivamente, semplicemente perché sono prodotti del tutto superflui.
Non si possono intervistare i giovani, ma anche tra i giovani, per i quali abbiamo statistiche molto affidabili, i consumi
dei nostri prodotti sono molto più bassi di quanto si crede, perché sono consumi molto amministrati. In particolare, chi ha figli sa che questi non hanno accesso ai prodotti alimentari in modo libero. I miei figli li consumano in modo assolutamente guidato dai genitori.
L'investimento in pubblicità serve per mantenere vivo il ricordo dei nostri prodotti, perché strutturalmente queste categorie hanno consumi più piccoli di quanto normalmente si pensa e che noto che anche voi pensate.
Abbiamo parlato del prodotto, della ricerca, della qualità, della capacità di investire nel lungo termine. Il penultimo punto è la vocazione internazionale.
La Ferrero ha la caratteristica di concepire prodotti che nascono con un'idea mondiale. Noi siamo presenti in vari Paesi, abbiamo la presenza che vi ho illustrato, e fatturiamo 7 miliardi, i tre quarti fuori dall'Italia, ma sempre con gli stessi prodotti. Il nostro portafoglio prodotti è il medesimo nel mondo, perché i prodotti sono concepiti con vocazione internazionale.
La Ferrero ha iniziato subito ad andare nel mondo. Un aspetto che trovo eccezionale di questa azienda è che in Germania, a Stadtallendorf, la fabbrica Ferrero è stata aperta nel 1956. Io non ero nato, però non credo che nel 1956 per un italiano aprire una fabbrica in Germania fosse l'operazione più semplice del mondo. La Ferrero l'ha compiuta. La prima unità produttiva in Europa, la più grossa, è in Germania, a Stadtallendorf. È stata aperta nel 1956 e il secondo Paese del mondo per il nostro fatturato oggi è la Germania, dopo l'Italia. I prodotti che sono stati realizzati in tal sede sono sempre quelli che ci hanno portato nel mondo. Oggi contiamo presenze in moltissimi Paesi.
Il sesto punto e, secondo me, l'ultimo sono i valori dell'azienda. La Ferrero nasce per le caratteristiche dei suoi imprenditori con una profonda e, io credo, unica considerazione della responsabilità sociale dell'azienda. Non sono in grado di riassumere il percorso, perché è un'esperienza molto individuale dei signori Ferrero. Non so spiegare il motivo, però la concezione che la famiglia Ferrero ha dell'azienda è una concezione unica.
Cerco di concretizzarla con alcuni esempi. Prima di tutto, quando ci si è installati ad Alba, all'avvio dell'azienda, si è subito cercato un modo di far convivere il lavoro che le persone svolgevano nei campi - molti nelle Langhe avevano il loro appezzamento di terreno, il loro piccolo noccioleto o un'altra attività - con il lavoro operaio. Si è sempre cercato di adeguare il lavoro nell'impresa con la vita e con il rispetto per l'individualità dei dipendenti, il che vale tuttora, dopo tanti anni, con 22.000 persone.
Per esempio, per noi è normale avere, laddove siamo più presenti, in Italia e in Francia, asili-nido cui hanno accesso i figli dei nostri dipendenti per cercare di rendere un po' meno difficile l'impiego delle donne. Purtroppo è ingiusto, ma oggi le donne assorbono in tutti i Paesi europei molto più che gli uomini il carico delle famiglie. Un'azienda può far finta di non accorgersene, oppure può provare a offrire servizi ai dipendenti, di cui beneficiano di più le nostre dipendenti, cercando di rendere meno complicato per una donna gestire quello di cui purtroppo già si occupa, ossia il carico del lavoro familiare. Noi abbiamo asili e garderie ovunque, riusciamo ad aprirli proprio con questa vocazione. Abbiamo antenne di servizio che hanno la vocazione di erogare servizi ai nostri dipendenti per rendere il più possibile agevole la conciliazione tra vita lavorativa e vita privata.
In Italia, per citare alcuni esempi, abbiamo un part-time a favore di padri e madri, anche se è utilizzato più dalle madri che dai padri, fino ai tre anni di vita del bambino. Abbiamo cellule sociali attive in tutti i Paesi, che hanno il semplice compito di raccogliere le preoccupazioni del nostro dipendente. Noi facciamo ciò che possiamo per risolverle, perché non siamo capaci di separare la parte dell'individuo che lavora da quella dell'individuo in quanto tale. È un tutt'uno, ragion per
cui troviamo giusto che l'azienda abbia un orecchio anche per il dipendente come individuo.
Esiste una fondazione Ferrero che svolge molte attività, ma quella che sottolineo è svolta per impiegare, tenere attivi e occuparsi dei pensionati. È molto grande, molto frequentata e presente in molti Paesi del mondo. I pensionati sono per definizione coloro che non lavoreranno mai più da noi. Non c'è alcun interesse diretto, dunque, se non un senso di rispetto e di riconoscenza nei confronti delle persone che ci hanno accompagnato in un percorso tanto formidabile.
La Fondazione ha la sede centrale ad Alba ed è presieduta dalla signora Ferrero, ma ha sede anche in molti altri Paesi. Svolge anche molte e belle attività di carattere culturale, però io trovo molto significativo il fatto che si costruisca un'iniziativa per mantenere un contatto con qualcuno che naturalmente non lavorerà mai più con noi.
Esistono nel mondo tre imprese sociali, che sono state installate in luoghi disagiati semplicemente perché sono disagiati e non coincidono particolarmente con nostre presenze commerciali forti - si trovano in Camerun, in India e in Sudafrica - studiate per portare lavoro laddove ce n'è più bisogno. Oggi nelle imprese sociali Ferrero lavorano 1.500 persone. Abbiamo aperto tali imprese sociali perché riteniamo di dover ridare alla società ciò che la società ci ha dato attraverso il successo che riusciamo a ottenere.
L'insieme di queste attività genera uno spirito di appartenenza da parte di chi lavora nella Ferrero che è unico al mondo. Noi abbiamo l'impressione di lavorare per una realtà veramente magnifica, utile, che ha un interesse che va molto al di là del risultato economico. Siamo tutti profondamente convinti di questo fatto, il che ci porta ad avere una relazione con l'azienda che, con tutto il rispetto per le altre, è impossibile avere - scusatemi per la caricatura - nei confronti di un'azienda che ha un azionariato americano immateriale.
Noi pensiamo di lavorare per una realtà formidabile e utile e ciò ci infonde una motivazione fortissima. Penso che questo sistema di valori molto forte e caratterizzante sia, insieme agli altri fattori che ho citato, ossia la vocazione internazionale dei nostri prodotti, la capacità di investimento nel tempo, l'ossessione per la qualità, la ricerca e i prodotti, alla base del successo della Ferrero.
Signor presidente, lascerei a lei la gestione dei tempi. Naturalmente potrei continuare. Abbiamo provato a compiere un parallelo con l'Italia, però non vorrei sforare i tempi.
PRESIDENTE. Le concedo al massimo dieci minuti per lasciarne poi venti per le domande e le risposte.
MARCO CAPURSO, Direttore di area del mercato italiano della Ferrero Spa. Alla Ferrero noi ci sentiamo forti e competenti in ciò che facciamo. Quando si guarda pensando all'Italia e cercando di interpretare le richieste che erano insite nei vostri quesiti, mi perdonerete, ma lo facciamo con molta umiltà, perché siamo forti nel cioccolato, nella Nutella e nelle nocciole. Siamo fortissimi in tali ambiti, ma, quando cominciamo a guardare agli argomenti che concernono il nostro Paese, proviamo sommessamente a svolgere un ragionamento partendo dagli elementi che hanno assicurato il successo alla Ferrero. Abbiamo provato, dunque, a compiere un parallelo.
Pensando al «prodotto Italia», noi individueremmo con i nostri criteri cinque questioni. L'Italia è dotata di risorse naturali eccezionalmente uniche, nonché di risorse storico-culturali e di un patrimonio artistico e culturale unico. Siamo capaci di creare molto più che altri Paesi e siamo capaci di trasformare. Noi siamo bravissimi pasticcieri e, prima ancora di essere bravissimi industriali, siamo anche capaci come Paese di produrre artigianato di qualità unica al mondo.
Quando si parla dell'Italia all'estero - io ho lavorato a lungo fuori dall'Italia - essa viene accolta un po' come la Nutella, con un sorriso. È bella la reazione quando si parla dell'Italia. Quando si è in Italia e
si parla del nostro Paese, si diventa subito un po' mogi, ma, quando si è all'estero e si parla dell'Italia, essa è vissuta come la Nutella, con un sorriso. Noi lo riscontriamo, andando nel mondo.
Ragionando su questi cinque aspetti dell'Italia abbiamo provato a pensare dove iscrivere le priorità. La prima è naturalmente l'ambiente, ossia cercare di mantenere al meglio possibile l'ambiente che abbiamo.
Noi abbiamo un patrimonio immobiliare formidabile ed è necessario che ci sia la capacità e la possibilità di trasformarlo e di rispettarlo in un'ottica ambientale. Girare per le nostre città è bellissimo. Io ho vissuto in molti Paesi d'Europa e ho visto che non esiste un Paese bello come il nostro. In qualunque città si vada in Italia, ci sono spettacoli magnifici, dal Nord al Sud. In Francia, dove io ho vissuto, così come in Belgio e in Lussemburgo, ci sono posti di una tristezza spaventosa. L'Italia non è così. Noi pensiamo che l'Italia ha un patrimonio che potremmo valorizzare.
A noi viene spontaneo pensare alle colture nobili. Noi utilizziamo molto la nocciola, siamo esperti di noccioli e di colture nobili. L'Italia è uno dei pochi Paesi al mondo che si presta proprio dal punto di vista del territorio alle colture nobili. Le nocciole non crescono in tutti i Paesi del mondo. Noi siamo più esperti di nocciole che di olive, però sappiamo che non si possono produrre olive in tutti i Paesi del mondo. Incentivare le colture nobili, pensando particolarmente al Sud Italia, è un'iniziativa che a noi, forse in modo un po' semplicistico, viene spontaneo pensare come a un'area di sviluppo importante.
È importante anche l'investimento sulla cultura e, di conseguenza, sul turismo. Vi illustro un aspetto che ci ha molto colpito. È vero che noi abbiamo un impatto sul prodotto interno lordo del turismo che è più alto di molti altri Paesi. È vero anche, però, se abbiamo consultato buone fonti, che abbiamo perso quote di mercato molto rapidamente nel corso degli ultimi anni, passando dal 6 al 4,5 per cento.
Lavorando con i colleghi e con gli imprenditori per preparare questo incontro, ci è capitato in mano un dato che ci ha veramente stupefatto e che io porterei alla vostra attenzione. Voi trovate possibile che il Colosseo e i Fori imperiali attirino la metà dei visitatori di Disneyland Parigi? Che Pompei attiri un quarto dei predetti visitatori?
Con tutto rispetto per Topolino, molti di noi conoscono Disneyland e non la riteniamo minimamente paragonabile a ciò che noi potremmo offrire turisticamente. È impensabile che, se i consumatori reagiscono con tanto favore, con 12 milioni di visitatori, a Disneyland, noi non riusciamo a valorizzare il Colosseo e i Fori imperiali almeno allo stesso modo. Perché l'Italia, fatta come è fatta, dovrebbe perdere un punto e mezzo su sei di quote di mercato nel turismo? Non penso che ci manchi la possibilità di riprenderlo.
In più, non esiste un Paese al mondo dove è altrettanto facile viaggiare per le famiglie. In Italia tutto è vicino: il mare, le montagne, i luoghi d'interesse. Chiunque ha figli piccoli sa che portare i figli in macchina è una pena infinita. Non c'è un posto migliore dell'Italia per portare il turismo. Perché dovremmo perdere un punto e mezzo di quote di mercato?
Abbiamo visto che la creatività è una delle caratteristiche degli italiani. Come ho anticipato, incentivare gli investimenti in ricerca è una condizione per avere crescita nel futuro. Noi pensiamo, modestamente, che non usciremo dalle difficoltà nelle quali ci troviamo, se non riusciremo ad allargare un po' la torta, e non solo perché siamo pasticcieri.
Occorre aiutare le aziende italiane ad andare nel mondo. Noi siamo riusciti a farlo perché abbiamo un imprenditore formidabile, che ha avuto questa visione, però abbiamo anche noi molto beneficiato dell'aiuto delle ambasciate. Speriamo che il nuovo ICE (Istituto per il commercio estero) possa aiutare. I prodotti italiani nel mondo, quando vi arrivano, hanno successo. Noi siamo riusciti ad arrivarci perché abbiamo un imprenditore visionario
molto forte, però aiutare le aziende ad andare nel mondo penso sia un ruolo che voi possiate svolgere.
Noi abbiamo due fabbriche nel Sud Italia, che facciamo funzionare molto bene e volentieri. Realizzano prodotti per noi importanti, in una situazione che non presenta alcun tipo di rischio, ma non posso non sottolineare che è più difficile lavorare al Sud che al Nord. È un gap che noi dobbiamo riuscire a superare dal punto di vista infrastrutturale, dei servizi alle aziende, dell'accesso al credito, della certezza del diritto. Sono le condizioni di cui le aziende hanno bisogno.
Quando noi andiamo all'estero, guardiamo prima di tutto la natalità - se posso, tornerò sul punto -, la disponibilità di personale qualificato e la certezza del quadro amministrativo, giuridico e dei servizi alle aziende. Guardiamo queste tre questioni.
Noi siamo italiani e tali resteremo sempre, però, quando guardiamo l'Italia come se non ci fossimo, purtroppo non è una delle prospettive più invoglianti, almeno per i criteri che utilizziamo noi, che, lo ripeto, sono la natalità, ossia sapere se ci sarà un consumo strutturalmente crescente nel tempo, il che è legato all'aspetto demografico, la presenza delle qualificazioni che ci servono per far funzionare la nostra azienda, che sono legate al mondo dell'istruzione, e l'assicurazione da parte del territorio della certezza del diritto e di tutti i supporti logistici e infrastrutturali che permettano all'azienda di funzionare. Stiamo attualmente costruendo una fabbrica in Turchia. La scelta è stata compiuta, non solo perché non possiamo esportare in Turchia dall'Italia, altrimenti lo faremmo volentieri, ma anche perché abbiamo trovato condizioni favorevoli rispetto a questi criteri.
Quanto al sostegno della domanda interna, sappiate che anche la Ferrero risente in questo periodo delle difficoltà che accusano le famiglie italiane in Italia. Per sostenere la domanda c'è un punto che ci ha molto colpito e che ci ha fatto anche un po' male, per la verità. Esiste una stranissima illogicità, se confrontiamo, per esempio, l'Italia con la Francia.
Come sapete, la Francia è il Paese che ha il tasso di natalità più alto d'Europa e ha un tasso d'impiego femminile molto più alto dell'Italia. Il fatto di agevolare il lavoro femminile è un elemento per sostenere la domanda interna, perché, quando le famiglie hanno due entrate anziché una, è più semplice far fronte ai momenti che saranno naturalmente difficili. Non è impossibile conciliare il fatto di essere donna e mamma con il fatto di lavorare. Non c'è alcun motivo per non farlo, ma è una questione di volontà.
Questo è uno dei motivi che ci spinge a istituire un sistema di welfare aziendale. Per noi è utilissimo poter avere un bacino di talenti anche di genere femminile che possa accompagnare la carriera. È chiaro che, se la nostra ricerca si rivolge al 50 per cento della popolazione, avremo una determinata qualità, mentre, se riusciamo a raddoppiare il bacino di scelta, avremo una qualità delle persone che lavorano da noi più alta.
Perché non dovremmo riuscire a impiegare le donne tanto quanto gli uomini? Perché non dobbiamo riuscire a erogare servizi che concilino il fatto che le donne generano figli? Non è una situazione che abbiamo il diritto di scoprire come una verità rivelata, c'è bisogno anche di un po' di volontà. Noi cerchiamo di interpretarla con il welfare aziendale che ho sommariamente illustrato. Prevedere aiuti alle aziende per istituire un sistema di welfare aziendale potrebbe essere un'idea che semplifichi l'accesso al lavoro delle donne e consenta di avere un po' più di natalità. Se le aziende fossero aiutate a costituire asili, ci sarebbe più facilità per aprire tali asili, i cui orari potrebbero coincidere un po' di più con quelli lavorativi.
Forse non sono stato abbastanza chiaro, però, quando abbiamo confrontato la Francia e l'Italia, questo è un aspetto che ci ha colpito.
Nella nostra attività utilizziamo molto i contratti di apprendistato. Il fatto di avere flessibilità contrattuale è una questione
che ci aiuta. Avere una contrattualistica che utilizziamo per accogliere chi comincia a lavorare è un'operazione che compiamo volentieri e che, se agevolata, diventa più semplice. Quanto più noi agevoliamo l'impiego dei giovani, tanto più faremo del bene al nostro futuro, in particolare quando vediamo i dati di questi giorni, per i quali ormai un giovane su due non trova lavoro. È un problema che noi abbiamo l'obbligo di risolvere, oppure non ci sarà futuro per noi tutti.
Credo di dovermi fermare.
PRESIDENTE. Grazie. Alla Ferrero tutto funziona, dunque, alla perfezione.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
PAOLA DE MICHELI. Intervengo anche perché l'opportunità è «ghiotta». Confermo ciò che lei affermava in apertura rispetto alla sua bravura, nonché alla fortuna di lavorare per la Ferrero. Io vengo dal settore dell'agroalimentare e per noi piccoli manager il sogno è sempre stato quello di lavorare in un'azienda come la Ferrero, che è difficile da trovare, o di approdare prima o poi proprio ad Alba. Conosco bene il senso di ciò che lei ha cercato di illustrarci rispetto al rapporto di lavoro che intercorre tra un collaboratore e un'azienda come la Ferrero.
Ci sono tre punti che mi hanno maggiormente colpito della relazione, che è ampia e molto interessante su tutti gli aspetti. La questione della velocità della consegna dei prodotti assume una grande rilevanza sul piano competitivo per consentire che il must dell'«iper-qualità» venga mantenuto anche nella fase di consumo e non rimanga soltanto in potenza, nel momento in cui il prodotto sta dentro lo stabilimento. Un'attività produttiva di questo tipo, però, ha bisogno di infrastrutture.
Sul Sud ha svolto un accenno un po' rapido. Noi siamo in un momento nel quale l'Italia forse ha bisogno di infrastrutture per aiutare gli imprenditori, ma anche per rilanciare alcuni pezzi delle filiere di impresa, che sono filiere importanti. Vorrei una puntualizzazione sulla questione delle infrastrutture collegate anche alla vostra esperienza sulla «fretta», intesa nel senso positivo della parola.
Con riferimento all'internazionalizzazione, il posto più sperduto in cui io sono stata a lavorare per la grande azienda agroalimentare cui ho accennato, che è un po' più piccola della vostra, ma molto importante in questo Paese, è Urumchi, nella regione cinese dello Xinjiang. C'eravate solo voi e la Illy, quest'ultima solo con i suoi prodotti. Ci sono andata la prima volta nel periodo in cui voi avevate in corso la causa sulla Ferrero Rocher con i cinesi. Anche sui giornali in Cina si parlava tanto di voi.
Sulla questione dell'internazionalizzazione voi avete affermato che un'azienda come la vostra ha avuto bisogno dello Stato, nel senso che vi siete appoggiati ad ambasciate e ai luoghi che istituzionalmente all'estero sono deputati per assistere gli imprenditori. Io ho trovato, in realtà, almeno nei Paesi extracomunitari, in Asia e in Africa, grosse difficoltà in termini di sostegno, nonostante l'impresa che rappresentavo fosse e sia tuttora una grande azienda.
Secondo me, il modello organizzativo al quale ci siamo un po' affidati in questi anni è troppo estemporaneo, poco organizzato e poco «di sistema», nel senso che abbiamo la necessità di esportare l'Italia prima ancora di internazionalizzare marchi e filiere produttive. Vorrei un approfondimento anche su questo tema.
L'ultima domanda riguarda gli effetti sulla produttività dell'alto tasso di welfare aziendale che voi ormai da anni state sperimentando ad Alba. Prima, quando lei sosteneva di non sapere che parole usare per veicolare il senso di che cosa sia la responsabilità aziendale per la Ferrero, io ho pensato che basta fare una passeggiata ad Alba, come è capitato a molti di noi, per capire che cosa sia la responsabilità aziendale.
Mi sembra di comprendere, però, che essa abbia un effetto diretto su quell'indicatore che ormai tutti gli osservatori
internazionali ci riferiscono essere il punto debole del nostro sistema Paese, ossia la produttività, la quale determina di fatto, in maniera non unica, ma come una delle componenti fondamentali, la competitività del sistema. Quali effetti ci sono stati rispetto a questo parametro?
CHIARA MORONI. Immagino che alcune riflessioni e richieste di approfondimento coincideranno con le mie, ragion per cui sarò sintetica.
Vorrei ringraziare in maniera non formale il dottor Capurso per l'immagine che ci ha illustrato di una grande azienda d'eccezione e anche di elezione italiana, forse una delle immagini più qualificanti dell'imprenditoria italiana, sia perché si tratta di una grande azienda in termini di numeri, di fatturato, di estensione e di internazionalizzazione, sia perché ha avuto la capacità di mantenere alcune caratteristiche dell'imprenditoria italiana che hanno resa grande, negli scorsi decenni e forse anche secoli, l'imprenditoria italiana stessa.
La Ferrero dimostra che ottenere tale obiettivo non è impossibile, cioè che l'aumento delle dimensioni, l'internazionalizzazione e la possibilità di diventare, di fatto, una multinazionale non necessariamente passa attraverso l'abdicare ad alcuni tratti caratteristici del nostro Paese. Credo che il dibattito oggi sia molto incentrato su questo tema.
La Ferrero, da quanto lei ci ha riferito, ci dimostra che le aziende italiane possono sostenere la competizione internazionale e vincere probabilmente, se si mantengono alcune caratteristiche. Se si gioca la competizione su ciò che è caratteristico dell'imprenditoria italiana, si può avere una chance di vincere. Se si gioca, invece, sul terreno in cui altri sono molto più competitivi, è evidente che il disastro è suppergiù annunciato.
Mi dilungo un po' perché mi piacerebbe avere un approfondimento da lei, se ho interpretato correttamente un aspetto. Mi ha colpito molto il fatto che lei abbia riferito che la Ferrero nasce con un'integrazione profondissima con il territorio. Si tratta di un altro aspetto di grande attualità nel dibattito. C'è un'integrazione profondissima con il territorio, ma anche con le persone che lavorano nella Ferrero.
Mi corregga se sbaglio, però la Ferrero ha un atteggiamento nei confronti del lavoro e del lavoratore che la porta a non competere con altri Paesi emergenti sul costo del lavoro. È una filosofia che, come traspare dalle mie parole, io condivido molto e che credo che possa essere vincente. Il lavoro non è una merce. Il lavoratore è una parte dell'azienda. Non solo questo aspetto è nelle mie corde e, quindi, lo apprezzo particolarmente, ma la Ferrero dimostra anche che la competizione sul lavoro non necessariamente si esercita riducendo i diritti o il costo del lavoro, bensì valorizzando il lavoro in termini di partecipazione.
Probabilmente si tratta del punto che sosteneva la collega De Micheli: quanto costa tutto ciò? Ci può riferire un dato? Quanto costa, ma anche quanto produce tutto ciò in termini di capacità competitiva di un'azienda? Il sistema Italia non può e non deve competere con la Cina in termini di costo del lavoro, ma di capacità di creare, di trasformare, di inventare e anche di esportare alcuni valori dell'Italia, anche in termini di atteggiamento nei confronti del lavoro.
Le pongo altre due domande. Una è sul welfare aziendale. Le risulterà chiaro che in Commissione bilancio siamo poche donne, ma molto attente. Il tema principe oggi nelle disparità di genere è quello del lavoro. Per rispondere alle considerazioni in merito all'aumento dell'occupazione femminile, che ormai non è solo un tema legato alle pari opportunità ma che riguarda anche il PIL, il tema è quello della conciliazione.
Voi siete un'azienda, mi pare, molto impegnata su questo tema, e di cui si occupa dall'interno. Giustamente lei ci parlava di welfare aziendale e di incentivi che si possono fornire alle aziende per sviluppare tale welfare. Mi piacerebbe che approfondisse la questione.
L'ultimo tema, che condivido con l'onorevole De Micheli, riguarda le questioni
infrastrutturali. Qualcuno l'ha scritto sui giornali anche l'altro giorno: il tema vero delle aziende in Italia e delle grandi multinazionali che non investono in Italia è il gap infrastrutturale. Le chiedo se è vero, quanto è vero e quanto limita le aziende?
Permettetemi un'ultimissima annotazione, in maniera provocatoria: quanto ciò è più vero e incide di più dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori? Quanto è vero che le grandi aziende multinazionali non investono in Italia per via della burocrazia, della giustizia civile e del gap infrastrutturale invece che a causa del fatto che il 5 per cento dei lavoratori viene reintegrato con l'articolo 18?
PRESIDENTE. Invito i tre colleghi che devono intervenire a contenere i tempi o non potremo ascoltare la replica.
LINO DUILIO. Mi compiaccio anch'io della sua relazione.
Le pongo una prima domanda: secondo lei, quanto si può fare di più e di meglio sul fronte internazionale, dal momento che avete parlato di una strategia di internazionalizzazione del vostro prodotto, alla luce della situazione in essere e dell'opportunità di incrementare la quantità di prodotti da collocare sui mercati? Si può fare di più e di meglio come istituzioni e in merito ha suggerimenti da portarci?
Passo alla seconda domanda. Lei ha parlato della pubblicità come di un cespite fondamentale nella vostra strategia aziendale. La mia è una semplice curiosità. All'interno di questo cespite, di cui vorrei conoscere le dimensioni, se possibile, nel bilancio, vi è una stratificazione rispetto a un target che - lo immagino, è una curiosità - si differenzia tra bambini, clienti potenziali che poi inducono evidentemente i consumi, e adulti, nel senso che sono gli adulti ad acquistare? Ci sono strategie di persuasione all'acquisto e di comunicazione pubblicitaria, vi è una differenziazione qualitativa nelle vostre strategie?
Arrivo all'ultima questione. Considerato che operate su una platea internazionale, vorrei sapere se esiste, se non esiste e se può essere interessante per voi il mondo del commercio equo e solidale. Poiché i prodotti con i quali avete a che fare - non ne avete parlato, però - vengono da Paesi in cui questo discorso è rilevante e io credo che noi dobbiamo cercare di disciplinarlo anche nel nostro Paese, vorrei sapere di più su questo versante. Grazie.
RENATO CAMBURSANO. È ovvio che la Ferrero è ben nota in Piemonte, come in tutta Italia. Un'altra grande azienda piemontese aveva la stessa filosofia, forse attivata alcuni anni prima. Si chiamava Olivetti, ma parlo dell'Olivetti di Adriano, che aveva fatto un tutt'uno tra azienda, territorio e comunità. Non a caso, aveva chiamato «Comunità» anche la sua iniziativa politica.
Ferrero è riuscito a compiere la stessa impresa ancora più in grande, con un approccio che credo dovrebbe essere la motivazione di fondo forte, ossia l'entusiasmo di realizzare prodotti che in fondo sono spendibili e vendibili.
Ho due domande. Lei ha riferito che il prodotto non è venduto nei mesi estivi. Come viene distribuita la produzione? Se due più due fa quattro, se ne deduce che per sei mesi all'anno non producete, ma ovviamente non è così. Ci saranno sicuramente mesi in cui c'è una maggior richiesta. Come viene accolta questa maggior richiesta di tempo/lavoro dalle maestranze? Stiamo parlando dell'Italia.
A proposito dell'Italia, come è vissuto dall'azienda, dal datore di lavoro, il rapporto tra costo del lavoro e impresa rispetto a quanto percepiscono le maestranze e i dipendenti?
La terza domanda riguarda l'internazionalizzazione, ma con una visione diversa. Spesso e volentieri si afferma che in Italia la produttività sia inferiore rispetto a quella di altri Paesi della Comunità europea. La vostra presenza in tanti Paesi in termini di produzione, oltre che di commercio, conferma questa tesi? È vero che in Italia siamo il fanalino di coda rispetto alla produttività sia nel raffronto con i Paesi dell'Europa, i nostri più diretti
competitor - lei ha citato la Germania e, quindi, evidentemente potrà parlarcene - sia rispetto ai Paesi extra Unione europea?
ROLANDO NANNICINI. La ringrazio, dottor Capurso. Se dovessi sintetizzare velocemente il suo intervento, riassumerei in questo modo. Lei ci ha presentato alcune performance, cioè alcuni aspetti della sua azienda, tra cui la destinazione del 3 per cento del fatturato alla ricerca e all'innovazione, le diciotto unità produttive nel mondo, asserendo che l'azienda va nel mondo non solo per competere con la produzione italiana, ma anche per stare vicino al mercato che va conquistando, una situazione che si sta realizzando in diverse imprese che hanno questa dimensione mondiale. Ci ha poi riferito la capacità di investimento a lungo termine, ossia 400 milioni di euro di investimenti nel 2011, il fatturato, la vocazione internazionale e altri aspetti, come gli investimenti in Germania, la Fondazione e l'elemento più fondamentale, quello dell'aspetto sociale, che ha presentato come
Fondazione e come azienda.
Ha svolto poi due interventi sul fatto che ci siano metà dei visitatori rispetto a Disneyland al Colosseo e un quarto a Pompei. Si arrabbia su questo punto, perché la nostra quota a livello mondiale nel settore del turismo è scesa dal 6 al 4,5 per cento. Si arrabbia con felicità, per adottare questa dizione, però ci ha fornito alcuni spunti, come il tema delle colture nobili, su cui noi dobbiamo insistere, specialmente nella redazione del documento finale.
Questi, insieme al fatto di investire nella natalità e di avere certezza del futuro, sono elementi concreti che ci ha riferito, così come il lavoro femminile e il reddito familiare. Sono tutti aspetti che ci dovranno stimolare, però vi è una recessione strutturale che investe l'Europa e l'area in cui voi investite maggiormente, perché la struttura è recessiva, cioè c'è una perdita di prodotto interno e, quindi, anche di domanda: non siamo tutti un'isola felice.
Voi avete dati strutturali buoni, ma come incide tutto ciò nei vostri programmi del futuro? Abbiamo apprezzato l'illustrazione positiva, ma abbiamo bisogno anche di un suggerimento su quali siano le prospettive per il futuro per le imprese che si sono veramente strutturate in un prodotto e nel mercato internazionale.
PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.
MARCO CAPURSO, Direttore di area del mercato italiano della Ferrero Spa. Provo a svolgere questo esercizio di rispondere, per me un po' complesso. Comincerei dall'onorevole De Micheli.
La prima questione era relativa al tema della velocità. Per noi è un fatto prioritario. È chiaro che le difficoltà infrastrutturali del Sud Italia per noi sono un problema molto importante. Noi operiamo al meglio che possiamo, però nelle condizioni esistenti.
La debolezza infrastrutturale del Sud Italia è un limite insuperabile e per noi è un problema maggiore. Compiere 100 chilometri nel Sud Italia è molto più costoso che nel Nord. I camion sono gli stessi e i prodotti anche, ma tutto il resto è diverso e per noi è un problema grosso.
Quando guardiamo il mercato del trasporto in Italia, vediamo un mercato estremamente atomizzato e molto poco efficiente. Quando guardiamo altri mercati, li troviamo, viceversa, molto concentrati e più efficienti. Se operiamo un confronto, magari si potrebbe svolgere un ragionamento in merito. Ho in mente la Francia e la Germania, che sono Paesi molto diversi dal punto di vista morfologico. Non si può risolvere tutto, però si può migliorare.
Noi notiamo che in tutti gli altri Paesi europei c'è un mercato del trasporto concentrato in pochi operatori che investono molto e che sono in grado di lavorare con efficienza. In Italia non troviamo questo, in particolare nel Sud, dove il problema dei trasporti è molto importante.
Passando alla sua seconda domanda, cui mi ricollego, non esiste un'azienda
italiana che non abbia la massima considerazione del Sud, per motivi, se vogliamo, di appartenenza al nostro Paese - noi abbiamo due stabilimenti di cui siamo fieri e che cerchiamo di far funzionare al meglio che possiamo nel Sud Italia - ma anche per un fatto di mercato. Esiste un mercato importante nel Sud che noi vogliamo andare a frequentare tanto bene quanto nel Nord.
Non scoprirò nulla di diverso. Il Sud Italia non è uguale al Nord Italia e non lo è per condizioni oggettive che sono molto più difficili al Sud che al Nord, quali la certezza del diritto, la legalità e, ancora una volta, le infrastrutture. Stiamo parlando di due realtà disomogenee, che, per noi che abbiamo ottime performance nel Sud Italia, costituiscono un ostacolo da superare. Se non ci fosse l'ostacolo, sarebbe molto meglio.
Sull'internazionalizzazione, che ricorre nella sua terza domanda, ci sono due aspetti che noi abbiamo verificato, andando all'estero. Lei ha assolutamente ragione: si esporta l'Italia. Quando si va all'estero e si parla dell'Italia, l'ingresso nella trattativa imprenditoriale e commerciale di sviluppo è molto positivo. L'Italia porta con sé, nei Paesi che ci accolgono, un'immagine molto potente, sulla quale si può fare sicuramente leva.
Noi abbiamo avuto un imprenditore che ci ha reso forti rispetto ai Paesi che non conosciamo. Collettivamente si potrebbe rendere forte la struttura industriale italiana, che, come sappiamo bene, è composta da molte aziende piccole. Ci sono comprensori e bacini di specializzazione che si potrebbero federare e andare all'estero insieme.
Andare all'estero è complicato, difendere i prodotti è complicato. Lei ricordava che abbiamo combattuto una battaglia in Cina per difendere il nostro diritto a non farci copiare i prodotti, che peraltro vengono copiati molto male, il che rappresenta un danno diretto molto grave. Abbiamo impiegato anni e tanti investimenti per riuscire a sviluppare il nostro mercato.
Per esempio, la difesa della proprietà intellettuale e della creazione, per un Paese di artigiani come il nostro, è un punto importante rispetto all'internazionalizzazione. Le grandi aziende riescono a supportare e ad affrontare la copia cinese, ma immaginate come si possa comportare un'azienda di un comprensorio artigianale. Se un cinese la copia, subisce la situazione. In questo senso io credo che la politica possa fare molto per aiutare l'internazionalizzazione dell'Italia.
Procedo un po' velocemente perché sono intimidito dal tempo. Scusate.
A proposito degli effetti della produttività sul welfare, mi perdoni, onorevole, ma penso che sia un tema mal posto, se posso permettermi. La produttività è un tema molto complesso. C'era anche una domanda sul confronto internazionale della produttività.
Noi possiamo guardare alla nostra esperienza. Molta produttività è generata dal capitale. Se si ha una linea industriale molto moderna ed efficiente, si può avere una produttività molto elevata. Se, viceversa, si ha una linea molto vecchia, magari totalmente ammortizzata, la produttività è bassa.
Svolgo una considerazione molto banale, certamente a voi ben nota. Quando guardiamo l'aspetto della produttività, l'elemento del costo del lavoro è un elemento, ma non quello che spiega tutte le produttività del mondo. La produttività si genera con la qualità del capitale e credo che l'esempio della Germania sia molto attinente.
È nota la differenza tra il costo del lavoro in Germania e in Italia, ma non mi pare che la Germania abbia un problema di produttività. Comunque non l'ha da noi e questo perché sono capaci di produrre linee industriali moderne e potenti, dove l'impatto del costo del lavoro sul prodotto finito esiste, ma non è l'elemento che guida le decisioni.
Non so misurare l'impatto del welfare sulla produttività e non ci è mai neanche venuto in mente di misurarlo. È giusto prevedere un sistema di welfare aziendale. È giusto e normale lavorare con persone che si sentono bene in azienda. Non ho mai sentito in azienda affermare che lo
facciamo perché poi la gente lavorerà di più. È normale, io credo, per un'azienda che impiega tanta gente, cercare di creare le condizioni di lavoro migliori possibili. Che poi esse generino un effetto positivo è sicuramente vero, ma non ci è mai neanche venuto in mente di misurarlo. Il sistema di welfare è applicato perché è giusto e normale.
Vorrei fornire due indicazioni concrete. Noi abbiamo un basso tasso di turnover, il che è un fatto positivo. La gente da noi tende a restare e, quindi, riusciamo ad accumulare esperienza. Abbiamo tanta gente che resta con noi per tutta la sua carriera lavorativa e penso che ciò sia anche merito del welfare aziendale, oltre al fatto che, grazie a Dio, abbiamo un'azienda che va bene e che riusciamo a tenere tutti con noi.
Quando si svolgono inchieste per misurare il clima aziendale, normalmente la gente che lavora alla Ferrero spiega che è fiera di lavorare per noi. C'è un fatto di cui io sono particolarmente contento. In Francia - i francesi sono abbastanza sciovinisti - l'ottava azienda in cui si lavora meglio è la Ferrero. Il welfare non è soltanto un fatto italiano, ma è un modo che noi abbiamo di operare un po' dappertutto.
Passerei alle questioni poste dall'onorevole Moroni. Esprimo la mia opinione personale. Io credo che non si possa essere ciò che non si è e che non si possa fare ciò che non si sa fare. Penso che, se gli italiani giocano la partita nella logica dell'efficienza, perderemo sempre. Sulla logica dell'efficacia, invece, siamo fortissimi. In più, la mia opinione è che in fondo l'efficienza sia una conseguenza dell'efficacia e non il contrario.
Quando lei afferma che la Ferrero è stata capace di mantenere alcune caratteristiche dovute al fatto di essere un'azienda italiana e di avere successo nel mondo, io ritengo che lei abbia profondamente ragione. Quello che ci ha sempre guidato è l'efficacia e l'obiettivo di cercare di lavorare bene. Il resto segue, l'efficienza viene dopo.
Porto un esempio concreto. Se non avessimo un prodotto eccezionale come Rocher, non potremmo avere bisogno di tutti i volumi che i mercati ci chiedono e non potremmo avere linee industriali tanto grandi ed efficienti come abbiamo per effetto di tali volumi. La sintassi è, dunque, dall'efficacia all'efficienza e non il contrario.
Io credo che l'Italia sia così: quando c'è un problema, facciamo un po' di «casino», ma alla fine andiamo a risolverlo e ci focalizziamo tutti sul problema. Siamo poco efficienti, però, rispetto agli altri popoli che ho avuto occasione di conoscere, siamo molto efficaci.
Credo che sia una nostra caratteristica, con tutti i limiti delle generalizzazioni, e che riconosco nell'azienda nella quale ho la fortuna sfacciata di lavorare. Quando mi hanno chiamato, ho avuto l'impressione di essere stato chiamato a giocare in nazionale. È stato come trovare un quadrifoglio.
Noi abbiamo mantenuto alcune caratteristiche italiane e alcune della famiglia. Io credo che una determinata imprenditorialità familiare, se animata da valori potenti e positivi, sia un elemento di cui si possa andare fieri. Non vedo perché si debba avere il complesso del capitalismo familiare e non quello del «capitalismo borsistico», soprattutto ultimamente. Preferisco lavorare per una famiglia che ha i valori della famiglia Ferrero, piuttosto che per una rispettabilissima pensionata che non conosco in una spiaggia della California. Lo penso profondamente.
Sull'internazionalizzazione spero di aver risposto prima. Il punto è che è difficile andare all'estero, se si hanno pochi mezzi. L'Italia è composta da tante piccole realtà molto potenti, che vanno accompagnate. La difficoltà è individuare dove andare e come avviare l'azienda. Sono difficoltà di ordine pratico. Per questo motivo noi abbiamo avuto, in alcuni casi, aiuto dalle ambasciate e ho in mente il nuovo ICE, perché le difficoltà sono di ordine molto pratico.
La pubblicità è un tema molto interessante. Noi non ragioniamo tanto in termini
di target, quanto di occasioni di consumo. Abbiamo prodotti che si vendono nei supermercati e che vengono comprati da chi nella famiglia fa la spesa. Rivolgiamo, dunque, la nostra pubblicità e la nostra programmazione in un modo molto chiaro. Siamo molto poco presenti nelle trasmissioni viste dai bambini, non perché i bambini non consumino i nostri prodotti, ma perché ci rivolgiamo all'adulto acquirente, che è quello che porta il prodotto in casa. Su quest'ultimo concentriamo tutta la nostra attenzione.
Per esempio, fenomeni come la sollecitazione dei bambini nelle famiglie che determinano l'acquisto valgono pochissimo per un prodotto, non sono importanti, ragion per cui non vale la pena sollecitarli. Noi non lo facciamo anche per motivi etici, per essere sinceri. Il nostro punto di ingresso è il fatto di rivolgerci a chi porta il prodotto in casa, perché, se il prodotto non è in casa, anche se si ha voglia di consumarlo, non si riesce a farlo. Indirizziamo, pertanto, la nostra pubblicità alla responsabile o al responsabile dell'acquisto.
Quanto al commercio equo e solidale, ci vorrebbe un po' di tempo per spiegare la questione, tempo che non ho. Noi pubblichiamo un Rapporto CSR (Corporate social responsibility report), in cui è descritta la nostra attività in tale ambito. Ve lo possiamo mandare molto volentieri. Abbiamo un obiettivo sul cacao da raggiungere entro il 2020 con le caratteristiche del commercio equo e solidale. È una bellissima questione, che però non sono capace di riassumere nel tempo che mi resta.
Il parallelo con Adriano Olivetti mi fa particolarmente piacere e lo riporterò, perché per noi è particolarmente importante.
Per la produzione noi siamo capaci di fermare le linee ogni tanto, se necessario, per non avere stock molto alti. Quando esportiamo, non tutti i Paesi hanno la stagione estiva nello stesso periodo e ciò ci aiuta un po' a differenziare. Effettivamente, però, ci sono linee che fermiamo, perché lavoriamo in base agli stock, proprio per rispettare il principio di rapidità, che per noi è la chiave per consegnare prodotti di elevata qualità.
Sul costo del lavoro ho risposto. Sappiamo che i contributi in Italia sono più alti che in tutti i Paesi d'Europa, ma è un punto che non ci dissuade dall'essere in Italia. Certamente il costo del lavoro ha un suo peso, però le linee industriali e la qualità delle stesse impattano sulla produttività molto di più del costo del lavoro.
Certamente registriamo una difficoltà della produttività, quando le infrastrutture sono deboli. È un fatto che subiamo. Non so quotare quanto il costo del lavoro dipenda dalle infrastrutture, ma in molti casi penso che le seconde contino più del primo.
Un punto riguardava il parallelo con la Francia e Disneyland. È un'osservazione che noi svolgiamo. Abbiamo una superiorità eccezionale, possiamo offrire servizi formidabili. Quando collettivamente, nel preparare questo importante incontro, abbiamo visto che Disneyland Parigi attirava il doppio dei visitatori del Colosseo e dei Fori imperiali e il quadruplo di quelli di Pompei, è stata una constatazione che ci ha amareggiato.
Noi crediamo che il turismo sia un settore di sviluppo, che richiede alcuni investimenti. Anche favorire l'accoglienza delle famiglie italiane è una possibilità della quale abbiamo discusso. Molte famiglie italiane sono proprietarie di case e sono notoriamente molto accoglienti. Creando un minimo network tra le famiglie stesse, si potrebbe aiutare più gente a venire a visitare il nostro Paese, perché, come si osservava, la riduzione della nostra quota nel settore del turismo dal 6 al 4,5 per cento è un fatto rilevante che noi abbiamo notato.
Scusate la rapidità nelle risposte.
PRESIDENTE. La rapidità è apprezzata. Ringrazio veramente il dottor Capurso e il dottor Brunetti per il contributo che hanno portato ai nostri lavori. Continuo a ribadire: mi sembra che le audizioni che abbiamo voluto tenere sull'Analisi annuale della crescita, portando un po' di
aria fresca dal mondo che si trova fuori, siano estremamente utili per avere spunti, che spero il relatore La Malfa riesca a sintetizzare in modo puntuale ed efficace come suggerimenti al Governo per la redazione dei documenti da presentare in Europa.
Grazie ancora. Ricordo che domani alle 15 chiuderemo questo ciclo di audizioni con il Viceministro dell'economia e delle finanze, professor Grilli.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,15.