Sulla pubblicità dei lavori:
Conte Gianfranco, Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA: UNA TABELLA DI MARCIA VERSO L'UNIONE BANCARIA (COM(2012) 510 FINAL), DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO CHE ATTRIBUISCE ALLA BCE COMPITI SPECIFICI IN MERITO ALLE POLITICHE IN MATERIA DI VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI (COM(2012) 511 FINAL) E DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO RECANTE MODIFICA DEL REGOLAMENTO (UE) N. 1093/2010 CHE ISTITUISCE L'AUTORITÀ EUROPEA DI VIGILANZA (AUTORITÀ BANCARIA EUROPEA) PER QUANTO RIGUARDA L'INTERAZIONE DI DETTO REGOLAMENTO CON IL REGOLAMENTO CHE ATTRIBUISCE ALLA BCE COMPITI SPECIFICI IN MERITO ALLE POLITICHE IN MATERIA DI VIGILANZA PRUDENZIALE DEGLI ENTI CREDITIZI (COM(2012) 512 FINAL), E DELLA PROPOSTA DI DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO CHE ISTITUISCE UN QUADRO DI RISANAMENTO E DI RISOLUZIONE DELLE CRISI DEGLI ENTI CREDITIZI E DELLE IMPRESE DI INVESTIMENTO E CHE MODIFICA LE DIRETTIVE DEL CONSIGLIO 77/91/CEE E 82/891/CE, LE DIRETTIVE 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE E 2011/35/UE E IL REGOLAMENTO (UE) N. 1093/2010 (COM(2012) FINAL)
Audizione del Presidente di Federcasse, Alessandro Azzi:
Conte Gianfranco, Presidente ... 3 9 11 15
Azzi Alessandro, Presidente di Federcasse ... 3 9 11
Barbato Francesco (IdV) ... 9
Causi Marco (PD) ... 11
Cornelli Federico, Direttore operativo di Federcasse ... 8 14
Fogliardi Giampaolo (PD) ... 10
Fugatti Maurizio (LNP) ... 9
Gatti Sergio, Direttore generale di Federcasse ... 7 13
Pagano Alessandro (PdL) ... 15
Audizione del Presidente dell'Associazione bancaria italiana, Giuseppe Mussari:
Conte Gianfranco, Presidente ... 15 19 24 27 28 29
Barbato Francesco (IdV) ... 21
Causi Marco (PD) ... 20
Fugatti Maurizio (LNP) ... 27
Mussari Giuseppe, Presidente dell'Associazione bancaria italiana ... 16 19 20 21 25 27
28
Pagano Alessandro (PdL) ... 19
Zani Ezio (PD) ... 23 24
ALLEGATI: Allegato 1: Documentazione consegnata dal Presidente di Federcasse ... 30
Allegato 2: Documentazione consegnata dal Presidente dell'Associazione bancaria italiana ... 63
Sigle dei gruppi parlamentari: Popolo della Libertà: PdL; Partito Democratico: PD; Lega Nord Padania: LNP; Unione di Centro per il Terzo Polo: UdCpTP; Futuro e Libertà per il Terzo Polo: FLpTP; Popolo e Territorio (Noi Sud-Libertà ed Autonomia, Popolari d'Italia Domani-PID, Movimento di Responsabilità Nazionale-MRN, Azione Popolare, Alleanza di Centro-AdC, Intesa Popolare): PT; Italia dei Valori: IdV; Misto: Misto; Misto-Alleanza per l'Italia: Misto-ApI; Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud: Misto-MpA-Sud; Misto-Liberal Democratici-MAIE: Misto-LD-MAIE; Misto-Minoranze linguistiche: Misto-Min.ling; Misto-Repubblicani-Azionisti: Misto-R-A; Misto-Autonomia Sud - Lega Sud Ausonia -
Popoli Sovrani d'Europa: Misto-ASud; Misto-Fareitalia per la Costituente Popolare: Misto-FCP; Misto-Liberali per l'Italia-PLI: Misto-LI-PLI; Misto-Grande Sud-PPA: Misto-G.Sud-PPA; Misto-Iniziativa Liberale: Misto-IL; Misto-Diritti e Libertà: Misto-DL.
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Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 12,25.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Comunicazione della Commissione europea: Una tabella di marcia verso l'Unione bancaria (COM(2012) 510 final), sulla Proposta di regolamento che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (COM(2012) 511 final), sulla Proposta di regolamento recante modifica del regolamento (UE) n. 1093/2010 che istituisce l'Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea) per quanto riguarda l'interazione di detto regolamento con il regolamento che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (COM(2012) 512 final), e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di
investimento e che modifica le direttive del Consiglio 77/91/CEE e 82/891/CE, le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE e 2011/35/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010 (COM(2012) 280 final), l'audizione del Presidente di Federcasse, Alessandro Azzi.
Ringraziamo il presidente di Federcasse, Alessandro Azzi, il quale ci offre l'opportunità di ascoltare le sue considerazioni in tema di vigilanza prudenziale degli enti creditizi, nonché sul quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi. Abbiamo deliberato l'indagine conoscitiva perché sui predetti programmi di carattere generale, riguardanti l'Unione europea, la Commissione dovrà pronunciarsi a breve.
L'avvocato Azzi è accompagnato dal dottor Federico Cornelli e dal dottor Sergio Gatti.
Do la parola al presidente Azzi per lo svolgimento della relazione.
ALESSANDRO AZZI, Presidente di Federcasse. Signor presidente, ringrazio lei e la Commissione per l'attenzione che ci dedicate. Sui temi oggetto dell'audizione abbiamo predisposto un documento, che è stato consegnato e, immagino, messo a disposizione dei presenti. Quella che oggi si presenta è un'opportunità che il credito cooperativo coglie con estremo piacere, per fornire un contributo alla riflessione che il Parlamento della Repubblica sta conducendo in merito al progetto di costituzione di un'unione bancaria in Europa.
Recentemente, il 27 novembre, Augusto Dell'Erba, presidente nel nostro Fondo di
garanzia dei depositanti, è stato ascoltato dalla Commissione finanze e tesoro del Senato.
Noi abbiamo ben presente che l'unione bancaria intende mettere a fattore comune le risorse dei diversi soggetti, per esaltare i loro rispettivi punti di forza, ponendo, nel contempo, un argine alle debolezze dei singoli. In altri termini, attraverso regole armonizzate, la supervisione accentrata di tutti gli intermediari creditizi in capo alla BCE rappresenta un'unica rete di sicurezza per il sistema bancario. Il progetto intende garantire la stabilità monetaria nell'area dell'euro e preservare l'integrità del mercato unico.
Noi tendiamo a sottolineare che nel mercato unico non operano soggetti isomorfi, quanto a profilo giuridico istituzionale, modello di business e dimensione aziendale, e che il mercato unico, bene inteso, deve dare diritto di cittadinanza, sin dalla sua architettura fondamentale, al pluralismo e alla diversità dei soggetti bancari che vi operano.
Proporremo alcune considerazioni su quelle che, a nostro giudizio, sono le criticità della costruzione in atto proprio dal punto di vista del pluralismo e della biodiversità, diciamo così, che riteniamo da tutelare.
Il documento è suddiviso in tre capitoli: il primo è dedicato a un breve profilo del sistema del credito cooperativo italiano; il secondo al punto chiave, ovvero l'accentramento della vigilanza presso la BCE nel meccanismo unico europeo; il terzo alla riforma del regime di protezione dei depositi e all'introduzione di un quadro unitario per la risoluzione delle crisi bancarie.
Sul primo punto sarò rapido e parlerò a braccio.
Penso che conosciate il credito cooperativo. L'aggiornamento della situazione vede operare in Italia 400 banche di credito cooperativo, con 4.440 sportelli. Oltre il 13 per cento degli sportelli bancari aperti e operanti in Italia è di credito cooperativo. Abbiamo circa 1.100.000 soci e operiamo, di fatto, su tutto il territorio nazionale, soprattutto nei centri di piccola dimensione.
I dipendenti del sistema del credito cooperativo, tra quelli delle BCC-CR e delle strutture di categoria, che per noi sono fondamentali proprio per supplire ai limiti della piccola dimensione, sono circa 36.000-37.000. È da evidenziare che le dinamiche occupazionali del credito cooperativo sono in controtendenza rispetto al resto dell'industria bancaria. Negli ultimi anni, c'è stata una crescita continua, peraltro un po' rallentata ultimamente.
Oggi, di fatto, le BCC-CR rappresentano, in Italia, la stragrande maggioranza delle banche a vocazione locale non appartenenti a gruppi bancari tecnicamente intesi. Le nostre banche si caratterizzano per una specializzazione nell'attività di intermediazione tradizionale, ossia di raccolta e impiego di danaro, e su relazioni durature di natura fiduciaria.
Dalla metà degli anni Novanta a oggi, dall'introduzione del testo unico bancario, c'è stata una lunga fase di crescita delle quote di mercato della nostra categoria, che ha riguardato soprattutto la clientela di elezione, ovvero le imprese piccole e minori e le famiglie.
A giugno 2012, abbiamo in essere 150 miliardi di euro di finanziamenti. Di questi, 102 sono erogati a imprese. Più del 12 per cento di tutte le imprese bancarie italiane affidate dal sistema bancario ha ottenuto un finanziamento da una BCC-CR. La percentuale cresce sensibilmente se riferita ad aziende di piccola dimensione, non di capitale, con meno di 20 dipendenti.
La quota dei prestiti a queste imprese, che costituiscono la gran parte delle imprese del nostro Paese, è salita dall'11 al 19 per cento. Eroghiamo il 22 per cento dei crediti alle imprese artigiane.
Questo percorso è stato sviluppato mantenendo una specificità, uno spazio, un ambito operativo, perché l'originalità della nostra missione è probabilmente il segreto della nostra permanenza e, forse, anche del nostro successo.
I fattori alla base di un periodo di espansione così protratto sono numerosi, ma sono costituiti, a mio giudizio, dai vantaggi correlati alla capacità di fornire credito, ovvero dalla conoscenza del territorio e dei sistemi economici locali, dalla valutazione diretta della qualità delle iniziative dei piccoli imprenditori, dalla struttura organizzativa in grado di rispondere in tempi rapidi, e in forme non burocratiche, alle esigenze delle comunità.
Il percorso di crescita negli ultimi mesi, nel momento della crisi, si è ridotto. La scarsità delle risorse da destinare all'autofinanziamento, dovuta principalmente alle svalutazioni sui crediti, che hanno fortemente compresso i nostri margini reddituali, e alle difficoltà nella raccolta dei fondi, dovute alla crisi del debito sovrano e alla maggiore concorrenza da parte delle grandi banche, che hanno più difficoltà a trovare credito sui mercati internazionali, ha indebolito anche i fattori alla base della crescita del sistema del credito cooperativo.
Fortunatamente, possiamo contare su dati patrimoniali di assoluta rilevanza. Il patrimonio consolidato di sistema era, a giugno, di quasi 20 miliardi di euro, il tier 1 è del 14,3 per cento e il total capital ratio è pari, mediamente, al 15,3 per cento. Conoscete i dati medi dell'industria bancaria. La raccolta è di circa 179 miliardi di euro e ha continuato progredire anche negli ultimi tre o quattro anni di crisi.
Le caratteristiche fondamentali delle banche di credito cooperativo ne definiscono un ruolo di uniche banche cooperative a mutualità prevalente: il reclutamento della compagine sociale avviene nell'ambito del territorio definito dallo statuto; la partecipazione al capitale sociale non può avere un valore nominale superiore a 50.000 euro; il diritto di voto è capitario; c'è un vincolo all'operatività con i soci, per cui almeno il 50 per cento dell'attività di impiego deve essere realizzata a favore dei soci; ci sono alcuni limiti alla competenza territoriale e all'operatività fuori zona, oltre a un obbligo di destinazione degli utili e della distribuzione degli stessi, per cui almeno il 70 per cento deve essere destinato a riserva legale.
Con le ultime modifiche allo statuto tipo - perché tutte le 400 BCC-CR italiane hanno lo stesso statuto - abbiamo apportato una rigorosa divisione tra impegno politico e amministrativo. L'impegno politico è, peraltro, una questione lodevole di per sé, ma comunque incompatibile con l'attività della gestione della banca.
Noi abbiamo forme di garanzia originali, peculiari: dei fondi di garanzia. Innanzitutto, il Fondo di garanzia dei depositanti, di cui non si legge nel documento, è quello obbligatorio per legge, e prevede 100.000 euro. Il nostro è autonomo e diverso rispetto a quello interbancario.
Abbiamo creato, inoltre, un Fondo di garanzia istituzionale che ha finalità importanti, le quali riguardano, in parte, proprio la materia oggetto della normativa comunitaria all'esame della Commissione. Si tratta di una forma di autoregolamentazione originale, che non ha precedenti, se non in Germania e in Austria, suppergiù analoghi al nostro caso, che consentirà una maggiore tutela dei soci e dei clienti, tutelando le banche di credito cooperativo.
Abbiamo, poi, il Fondo di garanzia degli obbligazionisti, che garantisce, oltre ai 100.00 euro di garanzia, come tutte le banche, anche altri 100.000 euro di obbligazioni per i sottoscrittori di obbligazioni presso le banche di credito cooperativo. Attualmente, le BCC-CR emettono circa 40 miliardi di euro di obbligazioni e, quindi, stiamo parlando di cifre consistenti.
In una famiglia di 400 soggetti, inevitabilmente, le crisi ci sono state, e ci sono anche in questa fase. Tengo a sottolineare, però, che il credito cooperativo non ha mai richiesto fondi pubblici o aiuti di Stato per risolvere le crisi delle proprie banche. Abbiamo sempre saputo gestire al nostro interno anche i momenti complessi.
Da ultimo, tengo a sottolineare che non sono da confondere, quando si parla di banche locali, le banche come quelle di credito cooperativo italiane, e probabilmente anche le altre banche cooperative,
con le Landesbanken tedesche, di cui ultimamente si è sentito e letto parecchio, non in termini positivi, in relazione agli aiuti di Stato che sono intervenuti e che, purtroppo, hanno in parte creato un'immagine non troppo positiva della banca locale. In realtà, ci teniamo a distinguere il nostro impegno, il nostro ruolo e la nostra separatezza rispetto alla gestione amministrativa locale, difformemente da un altro caso, su cui peraltro non mi dilungo.
Il cuore dell'intervento è il secondo capitolo, ovvero l'accentramento della vigilanza bancaria. Se il presidente lo consente, svolgerei una rapida lettura delle due pagine relative a tale tema. Successivamente, cederei la parola ai miei collaboratori per sintetizzare la terza e ultima parte del documento.
Sul futuro accentramento della vigilanza in capo alla BCE non vi è dubbio che il punto di maggiore criticità sia costituito dal ruolo delle autorità nazionali in relazione alle banche di rilevanza non sistemica, la cui operatività non esce dai confini nazionali, o anche provinciali o comunali, come accade per molte BCC-CR.
In Italia, nel quadro fissato dal testo unico bancario, l'Autorità di vigilanza ha sviluppato uno stile e una cultura di vigilanza fondati su un confronto dialettico tra vigilante e vigilato, in un rigoroso rispetto dei ruoli. Ciò ha consentito un'articolazione del sistema bancario rispettosa della diversità degli intermediari e più aderente all'articolazione e alle necessità del sistema economico del Paese.
In tale contesto, il credito cooperativo si è affermato come segmento del sistema bancario al servizio delle piccole comunità ed economie locali. Allo stato attuale delle discussioni sulla supervisione unica in capo alla BCE, non emergono ancora con nettezza i meccanismi giuridici che garantiscono la responsabilità ultima della BCE e il pieno coinvolgimento delle autorità nazionali per quanto attiene alla vigilanza sulle banche locali nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.
Non è chiaro, dunque, il modello della relazione tra vigilante e vigilato all'interno del quale le banche della nostra categoria potranno continuare la propria missione nelle economie locali. Più in generale, non è chiaro come questa riforma impatterà sull'industria bancaria italiana. Potrà rappresentare un passo in avanti in termini di maggiore omogeneità nell'interpretazione e nell'applicazione delle regole, ma non è esente da rischi, soprattutto per le banche di piccola dimensione e per le banche cooperative.
Cinque, in particolare, sembrano i principali pericoli.
Il primo è la non adeguata considerazione delle peculiarità del modello societario cooperativo. Nello specifico, c'è il rischio che nel nuovo scenario non si abbia una piena comprensione dell'importanza decisiva della rete orizzontale nei sistemi bancari cooperativi. Banche locali e banche di secondo livello svolgono ruoli complementari e indispensabilmente connessi, dalla gestione della liquidità agli interventi istituzionali finalizzati alla stabilità del network e altro ancora.
Il secondo punto è il rischio di omologazione dei modelli di business derivante dall'omogeneità delle regole.
Il terzo è il rischio di un'omologazione della supervisione che non consideri i diversi profili di rischiosità all'interno del sistema bancario.
Il quarto è il rischio di perdita di efficacia ed efficienza se l'implementazione del meccanismo di vigilanza non fosse sufficientemente informata ai principi di sussidiarietà e proporzionalità.
Il quinto e ultimo è il rischio di introduzione di nuove e ulteriori regole. Noi auspichiamo che la supervisione unica europea ventura non disattenda un principio di proporzionalità che tenga conto della dimensione e dei modelli di business degli intermediari, né rappresenti un nuovo e insostenibile costo, per esempio se si dovessero introdurre ulteriori obblighi informativi.
È bene osservare che il credito cooperativo non è pregiudizialmente contrario alle nuove regole; anzi, il più delle volte le ha auspicate e appoggiate, perché opportune, graduali e proporzionate, ma l'ondata
di nuove regole ha travolto con la propria forza d'urto soprattutto le piccole banche e ha finito per danneggiare soprattutto l'economia reale.
Gli adempimenti normativi e i costi che generano hanno raggiunto e oltrepassato la soglia della sostenibilità nell'effetto congiunto di CRD-IV/CRR, MiIFID/MiFIR, EMIR, direttiva sui mutui residenziali, DGS, BRR e via elencando.
Quando un'azienda non è più in grado di sostenere economicamente i costi, muore. In questo caso, si tratta di costi per adempimenti normativi ipertrofici. In effetti, di ipertrofia normativa le nostre piccole banche potrebbero morire, con gravi conseguenze per la biodiversità e la concorrenza del mercato europeo.
Come constata, in una dichiarazione del 29 ottobre 2010, lo stesso de Larosière, al cui studio sulle cause della crisi finanziaria si sono ispirate tutte le riforme più recenti, a partire da Basilea 3, la crudele ironia è che il modello bancario che favorisce la stabilità finanziaria e la crescita economica potrebbe essere la vittima principale del nuovo quadro normativo, mentre il modello che ha causato la crisi verrebbe lasciato in pace, almeno in parte.
Il credito cooperativo propone, pertanto, che nel single rulebook, il cosiddetto testo unico bancario europeo, un ambito specifico sia dedicato alle banche cooperative, come già avviene in quello nazionale, e agli intermediari di piccola dimensione, o addirittura propone che venga stabilito un double rulebook, costituito di due documenti, uno dei quali dedicato alle banche cooperative, e che l'attività di supervisione, in ossequio a un principio di sussidiarietà, si esplichi con gradi diversi di decentramento, a seconda che l'intermediario operi soltanto a livello regionale e nazionale o anche transnazionale. Riscontriamo con piacere importanti convergenze su questo punto.
La considerazione e l'applicazione del principio di sussidiarietà comportano anche che siano valorizzate le migliori esperienze che già esistono nelle culture e negli stili di vigilanza. Il grado di assistenza alla BCE da parte delle autorità nazionali potrebbe, quindi, essere molto maggiore nel caso delle piccole banche locali, garantendo, nel contempo, il costante confronto fra vigilanze nazionali, per favorire la coerenza nell'applicazione delle regole rivolte a medesime tipologie di intermediari.
Inoltre, il credito cooperativo propone l'istituzione di uno Small Business Act per le piccole banche, che, senza alcuna forzatura, sono le PMI nel settore del credito.
SERGIO GATTI, Direttore generale di Federcasse. In un rapido passaggio - siamo a pagina 11 della nostra memoria -, non possiamo non leggere criticamente l'unione bancaria, in prospettiva, senza citare le due direttive cui si fa riferimento, cioè la DGS, la Deposit Guarantee Scheme, che ha come obiettivo la riforma del regime di protezione dei depositi, e la BRR, la Bank Recovery and Resolution, che, come vi è noto, ha per obiettivo l'introduzione di un quadro unitario per la risoluzione delle crisi bancarie.
Svolgo due concetti molto rapidi, proprio per essere veloci e consentire, così, un intervento integrativo da parte del mio collega, il dottor Cornelli, e soprattutto un dibattito con voi, se lo riterrete opportuno.
Le due direttive, che costituiscono insieme il terzo pilastro del progetto di unione bancaria, sono nate in due momenti diversi e disciplinano fasi diverse delle situazioni di crisi. Possiamo immaginare tre momenti particolari: quello della prevenzione, quello del risanamento e quello della risoluzione.
La risoluzione prospetta un bivio: o al termine del processo di risanamento la banca torna in bonis, oppure si va verso la liquidazione, punto in cui scatta la disciplina prevista dalla DGS, cioè il rimborso ai depositanti.
La cronologia recente della produzione normativa in Europa ha fatto sì che nascesse prima la DGS, e che si arrivasse anche a un punto di mediazione piuttosto rilevante, maturo e avanzato, che ci soddisfa, per un motivo che tra poco sintetizzerò, mentre la BRR, che disciplina le fasi a monte, è un po' più indietro e ci
preoccupa per almeno due aspetti, che il dottor Cornelli cercherà di illustrare sinteticamente.
Sulla DGS, in particolare, noi riteniamo che, grazie anche a un'azione condivisa con l'Associazione delle banche cooperative europee e con l'attenzione particolare del Parlamento europeo, si possa arrivare al superamento della legislazione d'emergenza che adesso porta l'unione bancaria alla voce, per quanto in via eccezionale, del Parlamento europeo. Riteniamo questo un fatto gravissimo, che non soltanto indebolisce il processo di identificazione dei cittadini sul tema complicato e antipatico della riforma del sistema bancario a livello europeo, ma conferma anche come il dialogo con i rappresentanti dei territori, cioè i parlamentari, a livello sia nazionale, sia europeo, sia fondamentale per una rappresentazione corretta del modello di sviluppo del nostro continente, che è diverso da quello americano e, a maggior ragione, da quelli asiatici.
La DGS, così com'è andata a maturare, con il compromesso del 16 febbraio 2012, consente e favorisce anche un incentivo ai sistemi virtuosi già citati dal presidente Azzi (per la Germania e l'Austria e, sperabilmente, anche a noi, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi). Il riferimento è ai sistemi bancari, network orizzontali composti da banche cooperative, che si dotano di uno strumento di protezione istituzionale volontario, che ha come obiettivo quello di prevenire la crisi delle banche e non soltanto quello di rimborsare in venti giorni il depositante, quando la crisi è ormai irrecuperabile, anzi è andata a liquidazione.
Il fatto che il percorso della DGS abbia raggiunto, anche grazie al Parlamento, un punto d'intesa che prevede un incentivo o, comunque, un non disincentivo a sistemi orizzontali come il nostro, che si dotano di un fondo di garanzia istituzionale, è già un successo.
Sarebbe un peccato che la procedura semplificata, che è fallita su due punti, richiamati nel documento, ossia la definizione del target level e i tempi dei rimborsi ai depositanti, venisse inglobata in questa fase di legislazione d'emergenza, dimenticando che si era ragionato raggiungendo un punto di convergenza importante.
A questo punto, è utile vedere quali sono le nostre riserve sulla BRR. Essendo essa un pochino più indietro nella fase di maturazione e di dibattito, ma dovendo probabilmente subire un'accelerazione per poter consentire che la vigilanza bancaria accentrata, una volta partita, possa avere anche lo strumento della recovery resolution, occorre che, non essendo prevista legislazione d'emergenza sulla BRR, il Parlamento italiano, e voi in primo luogo, sappiate quali sono i nostri punti di preoccupazione.
FEDERICO CORNELLI, Direttore operativo di Federcasse. Aggiungo un tema alla discussione sulla sulla DGS. Era stata ventilata l'ipotesi, in particolare da alcuni Paesi, tra cui Irlanda e Lussemburgo, di creare un unico sistema, un unico fondo europeo. Si trattava di un'ipotesi avversa a quella di creare network di sistemi di garanzia locali, connessi poi tra di loro con alcune linee.
Il rischio era particolarmente elevato per il nostro Paese sulla base della motivazione che Paesi come Irlanda e Lussemburgo hanno una finanziarizzazione delle loro banche molto elevata, di otto o dieci volte il loro PIL, mentre, in base ai dati ABI, noi e i tedeschi siamo a un livello di una o al massimo due volte il nostro PIL.
I Paesi manifatturieri, tra cui noi italiani, correrebbero, dunque, il rischio di mettere la gran parte dei soldi nel DGS unico europeo. Se, domani, ci fosse una perdita in quelle banche, che già hanno dimostrato di essere molto speculative, la pagheremmo noi, perché le nostre banche lavorano con il vecchio, caro deposito di conto corrente.
Sulla base di questa considerazione, per fortuna, l'attuale bozza di DGS vede tanti DGS locali nazionali, di cui due in Italia e cinque in Germania e in altri Paesi, poi connessi tra di loro con canali di cofinanziamento. Credo che questa sia l'unica soluzione possibile; altrimenti, prima o poi, il nostro sistema finanziario
pagherebbe un'altra volta, e stavolta a chiamata diretta, senza una vostra negoziazione politica, le crisi di altri Stati.
La BRR, invece, è particolarmente importante. Noi crediamo che ci sia la necessità di un framework europeo, ma lasciando magari alla Banca d'Italia il potere della resolution authority nazionale, con un fondo di resolution, di risoluzione delle crisi, che possa, anche in questo caso, essere suddiviso in due: uno per tutte le banche e uno come quello che abbiamo noi, già finanziato e da centotrent'anni capace di non chiedere fondi al contribuente (potrebbe trattarsi o del nostro Fondo di garanzia dei depositanti o, un domani, del Fondo di garanzia istituzionale).
Anche in questo caso, evidenzio a voi tutti, come cittadino, il rischio che un fondo unico di resolution europeo sia finanziato da chi ha attivi bancari buoni, mentre i Paesi che tengono comportamenti bancari molto più speculativi potrebbero socializzare le perdite a livello europeo.
ALESSANDRO AZZI, Presidente di Federcasse. Ringrazio il dottor Gatti e il dottor Cornelli.
Alle pagine 14 e 15 del documento che ho consegnato alla Commissione è rappresentato, in sette punti, il fulcro delle nostre osservazioni relativamente a questi temi. Li richiamiamo alla vostra attenzione per non abusare del vostro tempo e per lasciare spazio al dibattito, se ci saranno interventi.
La sintesi della nostra posizione è, quindi, che il processo di unione bancaria debba certamente tendere a uniformare regole e pratiche di vigilanza, ma salvaguardando la diversità in termini di dimensione, di modelli di business e di governo delle banche che compongono il sistema bancario europeo. Questo aspetto è, infatti, ampiamente riconosciuto come un elemento che accresce la stabilità sistemica del mercato bancario, che è l'obiettivo cui tutti vogliamo tendere.
PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MAURIZIO FUGATTI. Grazie, signor presidente.
Io provengo da una realtà, quella trentina, dove il credito cooperativo è il principale soggetto tra gli intermediari creditizi presenti sul mercato. Tutte le peculiarità che noi abbiamo letto nella relazione del dottor Azzi sono reali. Si è visto proprio sul campo che, di fronte alla crisi economica, i soggetti creditizi che hanno saputo rispondere meglio alle esigenze delle piccole e medie imprese e delle famiglie sono quelli locali, in questo caso quelli cooperativi o, in altri casi, anche le banche popolari.
È indubbia la criticità relativa ai rischi dell'accentramento della vigilanza europea per quanto riguarda questi istituti di credito. Il rischio è che chi ha saputo reagire al meglio, pur nelle difficoltà, perché indubbiamente ci sono difficoltà nella risposta alle piccole imprese e alle famiglie nei periodi di crisi, veda compromessa la sua attività da queste regole europee, che dovrebbero essere introdotte per facilitare la risoluzione della crisi e, invece, vanno a favore delle banche che non hanno saputo rispondere al meglio, loro malgrado, ai momenti di crisi.
Noi crediamo di dover fare nostre le istanze rappresentate nel vostro documento, presidente, per quanto di nostra competenza, e farle presenti al Governo. Saremmo, altrimenti, di fronte a qualcosa di paradossale: le regole verrebbero introdotte per facilitare determinati sistemi, ma poi a essere penalizzati sarebbero proprio coloro che meglio hanno risposto alla crisi e anche alle cause della crisi.
Trovando abbastanza esaustivo il documento, pongo una domanda su un tema che in esso è stato poco affrontato: come si incrocia Basilea 3 con queste problematiche? Sappiamo che c'è stata una presa di posizione forte da parte delle rappresentanze creditizie. Vorrei sapere se le criticità segnalate sono condivise anche da voi.
FRANCESCO BARBATO. Voglio subito ringraziare, a nome mio personale e del gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori,
l'avvocato Azzi, il dottor Gatti e il dottor Cornelli.
Leggendo la relazione che ci hanno consegnato i nostri ospiti, ho notato aspetti molto intriganti, che apprezzo moltissimo. La cooperazione orizzontale, che, sulla falsariga della politica orizzontale che sto auspicando, il liquid feedback, la democrazia liquida, mi piace moltissimo. Ad essa si aggiunge anche la vostra tipicità a vocazione locale, perché non appartenete a gruppi bancari e, soprattutto nelle zone del Sud, a me tanto care, siete le uniche banche locali presenti. In 549 comuni d'Italia siete, infatti, gli unici sportelli. Grazie per il lavoro importante e prezioso che svolgete.
Passo alla prima domanda. Vedo che dalle diverse combinazioni sta derivando un'eccessiva frammentazione della funzione di vigilanza: dalla BCE, all'EBA, alla vigilanza nazionale. Non pensate che questa frammentazione, se così possiamo chiamarla, vi renderà la vita ancora più difficile, atteso che voi - apprezzo anche quest'altro aspetto - avete evidenziato che non avete mai utilizzato, come BCC-CR, fondi pubblici o aiuti di Stato? Complimenti anche per questo! Abbiamo visto, invece, la voracità dei grandi istituti, che hanno fatto man bassa di fondi pubblici, di Tremonti bond e di tutti gli strumenti che sono stati inventati per sostenerli. Non ho capito, però, se il dottor Gatti abbia chiesto uno strumento di protezione istituzionale.
Poiché ho visto che proprio ieri c'è stato il flop dell'Ecofin, pongo un'altra domanda. Pare che la Germania abbia bloccato l'operazione. Il punto qual è? Non so se, in questo momento, la Germania abbia agito bene, ma il punto è molto semplice: secondo la Germania, la Banca centrale europea può avere la supervisione non su tutte le banche, bensì soltanto su quelle principali. In tal modo, verrebbero esentati gli istituti regionali tedeschi, il che significherebbe accettare l'impostazione del Ministro delle finanze tedesco, Wolfang Schäuble, il quale sostiene di non avere fretta, evidentemente proprio per salvaguardare i predetti istituti regionali.
Venendo a un'ulteriore domanda, noi siamo rappresentati da un Governo in cui sono presenti grandi banchieri, da Monti a Passera. Orbene, la posizione di questo Governo non potrebbe confliggere con gli interessi delle BCC-CR? Secondo voi, potrebbe emergere, in sede Ecofin, una posizione del nostro Governo contraria agli interessi degli istituti bancari territoriali, diversamente da quella assunta dal Ministro delle finanze tedesco? Mi farebbe piacere avere una risposta, soprattutto se era a questo strumento di protezione istituzionale che faceva riferimento il dottor Gatti.
GIAMPAOLO FOGLIARDI. Ringrazio l'avvocato Azzi e i dirigenti che lo accompagnano.
Vorrei porre una domanda semplice, fuori dai soliti stereotipi tecnicistici, partendo dall'ultima riflessione svolta dal dottor Cornelli in merito al pericolo derivante dall'istituzione di un fondo unico di resolution: alla fine, è questo l'aspetto che preoccupa molto anche noi e che, quindi, è stato uno dei principali argomenti di riflessione.
Conoscendo la meticolosa e ricca presenza delle BCC-CR sul territorio, proprio in termini concreti, credo che il Governo italiano vi dovrebbe essere veramente riconoscente: mai come in questi ultimi tempi, siete riusciti a intervenire soprattutto nel credito alle piccole e medie imprese, laddove altri istituti si sono tirati indietro. Rappresentate veramente un perno essenziale e importante della nostra economia. Operando nel Nord Italia, nella provincia di Verona, a cavallo delle province di Brescia e di Mantova, posso constatare molto spesso quanto sia stato ampio e prezioso lo spazio occupato dalle banche di credito cooperativo nell'enormità degli abissi lasciati dalle banche popolari: è inutile nasconderlo.
Ciò premesso, le domande che pongo, e che formula l'uomo della strada sono le seguenti: c'è bisogno di tutto questo? Ne sentite l'esigenza, o vi dovete adeguare,
perché si tratta di una cordata da cui non vi potete separare, in quanto anche il nostro Paese è coinvolto?
Quando mi trovo di fronte a determinate situazioni, mi chiedo come mai l'Italia debba sempre adeguarsi a tante normative europee, le quali sono spesso - non possiamo nascondercelo - la causa di enormi difficoltà e appesantimenti, non solo per gli istituti bancari, ma anche per le attività produttive, e si traducono in maggiori costi sulle piccole e medie imprese, influenzando negativamente, quindi, l'andamento dell'economia. Non mi riferisco soltanto alla normativa in materia creditizia, ma anche a quella sulla sicurezza sul lavoro, alle normative fiscali e a quelle tecniche. Invece, se ci si reca all'estero, ci si accorge che determinate questioni non sembrano nemmeno porsi.
Ho partecipato, di recente, a una cena di rappresentanza all'estero organizzata da un gruppo aeroportuale. Sono stato portato a cena in un ristorante in cui, se fosse scoppiato un incendio, non si sarebbe salvato nessuno! Seduto al mio fianco c'era un ingegnere dei Vigili del fuoco, al quale ho rivolto la seguente domanda: «Si rende conto che, se una cosa simile avvenisse in Italia, si dovrebbe chiudere tutto e non si potrebbe più lavorare?».
Concludendo, capisco che i grandi istituti dovranno avere determinate garanzie e determinati circuiti, e che il discorso interessi inevitabilmente anche voi, perché la vostra presenza è massiccia, ricca, importante e puntuale. Tuttavia, proprio perché finora avete potuto fare a meno di aiuti o di garanzie - mi pare di capire che il fondo già esistente abbia sempre fatto fronte ai problemi da più di un centinaio d'anni a questa parte -, mi chiedo se, a un certo punto, no si possa anche affermare: «Ma a noi chi ce lo fa fare?».
MARCO CAUSI. Considerato che, per via di quello che è successo ieri all'Ecofin, il vostro sistema di banche locali viene talvolta accostato ai sistemi di banche regionali tedesche o austriache, ci potete spiegare quali sono le differenze fra i sistemi italiani di banche locali come il vostro e i sistemi di banche regionali tedesche? Mi risulta che esistano alcune differenze. Forse, ce le potete illustrare con maggiore chiarezza.
PRESIDENTE. Mi sembra che la vostra relazione, presidente, si sia concentrata sulla non omogeneità, almeno sotto il profilo della tempistica, delle direttive DGS e BRR. Non crede che, prima di accedere a questi sistemi, sia importante, invece, stabilire un level playing field e alcune regole, valide per l'intero sistema bancario, per arrivare alla risoluzione delle crisi?
Non credo si possa giocare una partita - di calcio, ad esempio - senza che prima siano fissate le regole. Si può giocare in serie A, in serie B o nell'Interregionale, ma ciò che conta, alla fine, è avere un quadro stabile di regole valide per l'intero settore. Elaborare il single rulebook non è, forse, più importante che emanare direttive relative ad aspetti che potrebbero essere considerati in seguito?
Do la parola ai nostri ospiti per la replica.
ALESSANDRO AZZI, Presidente di Federcasse. Innanzitutto, vi ringrazio, perché tutti gli interventi hanno confermato la vostra condivisione sul ruolo del credito cooperativo, tanto più in tempi difficili come questi.
In virtù di cosa siamo riusciti a rimanere e addirittura ad accrescere la nostra presenza nei tempi della crisi? Ci siamo riusciti grazie alla consapevolezza delle nostre peculiarità e di cosa le comunità e le persone chiedono alle banche di territorio, cooperative mutualistiche: un servizio e un accompagnamento nel tempo, che sono ancora più attuali, e quanto mai necessari, in momenti come quelli che stiamo vivendo.
Noi siamo le piccole e medie imprese, anzi le micro, piccole e, forse, medie imprese dell'industria bancaria italiana. Per tanti aspetti, infatti, risentiamo delle problematiche delle micro e piccole imprese italiane. Abbiamo potuto reggere e
crescere anche perché ci siamo dotati di originali sistemi di garanzia, solidaristici e anticipatori rispetto alle crisi.
Non è vero che non ci siano state crisi di banche di credito cooperativo. In una famiglia di 400 soggetti, l'infermeria è sempre aperta e c'è sempre qualcuno che vi è ricoverato. Ovviamente, però, tutti sanno che è meglio prevenire le crisi, come le malattie, piuttosto che arrivare a cose fatte.
Lo spirito con cui affrontiamo queste tematiche è quello di condividere un'esigenza di uniformità normativa e di omogeneità di criteri di intervento in tutta l'Europa, anche perché le regole che la Banca d'Italia ha imposto alle banche sono, in Italia, piuttosto rigorose, come hanno sostenuto, del resto, personaggi più autorevoli di me. Da questo punto di vista, noi siamo penalizzati, o avvantaggiati, a seconda del punto di vista.
Noi chiediamo che il processo di accentramento, tra i cui presupposti vi è certamente la migliore definizione di regole stabili e uniformi, non sia condizionato, magari in conseguenza di un'accelerazione determinata dal progredire, anziché dall'arretrare della crisi, da una logica di approssimazione che faccia perdere di vista determinate caratteristiche, da un processo di omologazione che inevitabilmente vedrebbe le regole e i sistemi di intervento improntati al modello della banca capitalistica di grandi dimensioni, magari operante a livello internazionale.
A conclusione del mio intervento precedente, ho richiamato il vantaggio che il cittadino cliente ricava dal pluralismo bancario, che si manifesta in forme differenti: un sistema bancario avanzato si articola meglio se l'offerta è più ampia.
Immagino, quindi, che le grandi banche si struttureranno per offrire prodotti e servizi standardizzati, con la logica di realizzare grandi economie di scala, mentre, scendendo sempre più di livello, le piccole banche lavoreranno soprattutto sul sostegno alla famiglia e alla piccola impresa e, possibilmente, anche sulla relazione e sulla conoscenza personale, nell'uno e nell'altro caso enfatizzando i fattori di vantaggio e cercando di minimizzare quelli di svantaggio.
Per noi, un fattore di svantaggio consiste proprio nella difficoltà di attuare economie di scala: 400 soggetti, con masse analoghe a quella del terzo player bancario italiano, hanno, potenzialmente, dispersioni di costi che dobbiamo attenuare, ma non eliminare, in quanto eliminandole andremmo a creare un aggregato unico, disperdendo la nostra peculiarità e smarrendo il senso della nostra presenza.
Scendendo più nello specifico, per quanto riguarda Basilea 3, la nostra preoccupazione è che, per esempio, non ci sia un adeguato sostegno del supporting factor. È evidente che chi opera facendo banca in Italia - la considerazione riguarda anche la grande banca e non solo le BCC-CR - opera nei confronti di interlocutori frazionati. È necessario, pertanto, che gli appostamenti di capitale per questi soggetti siano meno impegnativi di quelli sulle grandi concentrazioni di credito.
Chiederemmo e vorremmo, quindi, che il Parlamento, il Governo e anche la Banca d'Italia si ponessero con ancora maggiore determinazione su questo fronte, perché ciò è fondamentale non soltanto per le banche piccole, ma per tutte le banche che vogliono svolgere attività di intermediazione classica in un Paese nel quale i soggetti imprenditoriali sono frazionati.
Altra questione è affermare che si debba indurre tali soggetti a mettersi in rete o ad accrescere le proprie dimensioni: sono buone cose, ma non si ottengono a bastonate sulla testa, riducendo il credito o rendendolo più difficile. Si può intervenire su questo aspetto in tante altre forme, ma occorre il tempo necessario. Conosciamo il DNA del nostro imprenditore e non possiamo snaturarlo.
Ci interessano - e non sono retorici, ma devono essere declinati - i principi di proporzionalità, di sussidiarietà, di non duplicazione. Nel momento in cui si va verso un percorso di unificazione e di supervisione bancaria, non deve capitare che si dimentichi la proporzionalità. Non
si può chiedere a una banca con 20 o 30 addetti - ci sono anche quelle: nel Trentino, ad esempio, sono tante - di sottostare alle stesse regole valide per una banca che ha 50.000 dipendenti, perché esse hanno esigenze diverse. Occorrono, quindi, proporzionalità e sussidiarietà.
La logica della sussidiarietà suggerisce che, anche in un sistema di unione bancaria europea, ci siano funzioni delegate a chi gestirà la supervisione in Italia, secondo regole comuni. Le funzioni decentrate e delegate consentiranno di mantenere un dialogo aperto con l'autorità di vigilanza del proprio Paese, in un contesto di regole uguali per tutti. Questa è una garanzia di stabilità, perché le crisi sono sistemiche e anche la piccola banca può subire danni da una crisi che parte da lontano (come, peraltro, è già avvenuto).
Abbiamo problemi di ipertrofia normativa. Com'è stato rilevato, sono gli stessi problemi che gravano sul piccolo imprenditore e sul piccolo esercente italiano, anche perché, purtroppo, non sempre a buone regole corrispondono buona pratica e buona attuazione, anche per quanto riguarda il soggetto che deve garantirne l'applicazione.
Sono convinto che qualsiasi Governo del nostro Paese debba tener conto delle esigenze connaturate al nostro sistema industriale. Noi ci battiamo affinché ciò sia considerato e valorizzato in maniera particolare.
Mi rendo conto di avere risposto un po' disordinatamente. Sulle caratteristiche dei nostri fondi e sull'impatto derivante dalle proposte normative in esame lascio la parola ai direttori.
SERGIO GATTI, Direttore generale di Federcasse. Rapidamente, se il presidente lo consente, affronterei quattro punti.
Per quanto riguarda il primo, fornisco alcuni dati. Ottanta banche europee gestiscono il 90 per cento degli asset. Ciò significa che, se una normativa deve immediatamente attenuare i rischi sistemici, o possibilmente eliminarli, essa deve concentrarsi sulle banche con un determinato modello di business, certe dimensioni e una logica transnazionale, ovviamente quotate.
Come secondo elemento, l'87 per cento delle imprese europee - parliamo di area monetaria omogenea - fa riferimento, per il proprio finanziamento e per la propria attività, sia di investimento sia quotidiana, al sistema bancario, il che le distingue, per esempio, dalle imprese americane, dove soltanto il 27 per cento si rivolge alle banche. Questo aspetto deve essere considerato quando il Comitato di Basilea emana raccomandazioni e l'Europa vuole fare la prima della classe applicandole a tutti. Vi ricordo che Bernanke ha affermato in due occasioni, quest'anno, che Basilea 3 sarebbe stata applicata soltanto a 24 banche, cioè a quelle grandi, e, poche settimane dopo, che non sarà applicata a nessuno. Non può esserci cecità da parte del legislatore europeo!
È fondamentale l'osservazione del presidente Conte. Si parte dal testo unico bancario europeo, che però si sta scrivendo in maniera frammentata. L'Euro-TUB, definiamolo così, sta nascendo e deve nascere, ma è il modo in cui nasce che è preoccupante, sia perché il parto segue logiche d'emergenza, con una visione culturale e prospettica non lucida e non neutrale, sia perché si cerca di attribuire una parvenza di omogeneità a ciò che omogeneo non è.
Il prossimo anno poiché il single rulebook non esiste, proporremo provocatoriamente un double rulebook, composto di due documenti: uno per le grandissime banche e l'altro per le piccole banche cooperative. Si tratta di una provocazione, che ha, però, un significato sottostante.
Il single rulebook è in fase di elaborazione. L'EBA stabilirà i technical standard e la BCE eserciterà la vigilanza: direttamente, su un dato numero di banche e indirettamente, tramite l'autorità nazionale, come la Banca d'Italia, su un numero più ampio di banche, che sono in tutto 6.000. Come lo farà? Mettendo insieme un po' di single rulebook, un po' di direttive, i technical standard dell'EBA da Londra e l'ordinamento nazionale, che non sarà
scardinato. Non possiamo illuderci che ci sia omogeneità. Sostenerlo sarebbe un po' propagandistico.
Noi siamo d'accordo che ci debba essere un'unione bancaria. Il problema non riguarda il «se», ma il «come». Il profilo fa la differenza: l'Europa ha una storia che è diversa sia da quella dell'Asia, sia da quella degli Stati Uniti.
Come terzo punto, c'è la posizione dei Governi. Non dimentichiamo che, come afferma la Commissione europea nella proposta di regolamento, sono stati bruciati 4.500 miliardi di euro per salvare alcune banche: 900 miliardi di euro anche dal Governo britannico e 350 anche dal Governo tedesco. Per questo motivo il Governo tedesco ha interesse a che una parte delle banche ancora pubbliche già salvate non sia subito sottoposta alla vigilanza comune. Noi chiediamo, invece, regole uguali per tutti, purché proporzionate e applicate a livello nazionale in maniera omogenea; in caso contrario, ci saranno sempre differenze.
Quarto punto: Fondo di garanzia istituzionale - è bene chiarirlo - non significa Fondo di garanzia pubblico, ma volontario e totalmente privato (Federico Cornelli ne è il direttore).
Un'ultima questione sulla quale volevo soffermarmi riguarda la non neutralità dei Governi. Il problema è che il Governo tedesco, quando parla in un certo modo della Grecia, cura gli interessi di una parte consistente sia delle grandissime banche, sia delle banche pubbliche locali.
Noi non siamo assimilabili - mi rivolgo soprattutto all'onorevole Causi - né alla Sparkasse, né alla Landesbank. L'unica cosa che apparentemente ci accomuna è il fatto di essere banche territoriali, ma quelle tedesche sono banche pubbliche, già salvate una volta, nei cui consigli di amministrazione siedono rappresentanti degli enti pubblici. Questa è una situazione che noi, dopo i casi famosi dell'anno scorso e di quest'anno, abbiamo radicalmente eliminato. Con tutto il rispetto per la sede più nobile della rappresentanza politica, noi evitiamo che ci siano rappresentanti politici eletti nei nostri consigli d'amministrazione. È brutto doverlo fare, ma ciò è inevitabile per far sì che non ci siano assolutamente rischi di confusione.
Le Volksbanken e le Raiffeisen tedesche sono locali e cooperative, ma private, e non hanno mai avuto un euro o un marco. Sono, dunque, omologhe rispetto alle banche popolari e alle BCC-CR.
L'onorevole Fogliardi ci chiedeva chi ce lo faccia fare. Noi dobbiamo combattere per l'unione dell'Europa, che senza l'unione bancaria resterebbe un'anatra zoppa: oltre a quella della moneta unica, ci deve essere anche la seconda zampa. Il problema è «come» nascerà l'unione bancaria e quale profilo avrà. Non è scontato che sarà come la stanno disegnando.
FEDERICO CORNELLI, Direttore operativo di Federcasse. Chi, come noi, viene da una valle del Trentino o da un paese del Sud, può ben capire l'errore che sta commettendo l'Unione europea nel considerare che esiste solo un unico mercato finanziario europeo: quello della Borsa e delle grandi banche quotate. Esistono, invece, e devono rimanere, diversi mercati finanziari locali. Le BCC-CR, ai sensi del testo unico bancario, raccolgono a Folgaria o nel Molise, e devono reinvestire il 95 per cento minimo delle loro risorse nel piccolo territorio. Ciò significa che non c'è raccolta in Sicilia e impiego in Baviera. Ciò aiuta il piccolo o chi è in ritardo nelle economie locali.
Se poi prendete un'indagine dell'Antitrust, la n. 36 del 2009, vedrete che, alla fine del documento, c'è un capitolo dedicato a noi. In esso l'Antitrust ammette, e ne siamo soddisfatti, che il 98 per cento dei nostri utili sono indirizzati a capitale per le prossime generazioni. Siamo l'unico esempio di pensiero rivolto da una generazione a quelle successive e, quindi, siamo lontani da alcuni problemi tipici di altre realtà, come dividendi straordinari e bonus in Borsa, che poi paga il consumatore.
Cosa abbiamo pensato? Questo è il punto. Che cos'è un Fondo di garanzia istituzionale? Noi abbiamo 400 banche, 400 piccole imprese che si controgarantiscono
tra loro con uno strumento legalmente binding, il quale le obbliga a salvarsi l'un l'altra.
Immaginate se ci fosse un simile rapporto fra Unicredit, Intesa, Commerzbank, Santander, Barclays e via elencando. Non ci potrebbe mai essere, perché sono azionisti diversi, banche quotate, concorrenti.
Anche noi siamo in concorrenza, ma abbiamo uno spirito mutualistico cooperativo: se volete, un sogno. Questo sogno spinge a far sì che i cooperatori di Trento siano pronti a salvare quelli della Sicilia, o viceversa, se si verifica un problema.
Perché si deve legare Trento alla Sicilia, e viceversa? Perché noi poniamo regole comuni, che sono da non sottovalutare: facciamo da soli un'autovigilanza, senza farla pagare al contribuente. Non c'è nemmeno il costo della Banca d'Italia. Noi regaliamo ai nostri soci, ai nostri territori, di fatto, un credit default swap di copertura sulle nostre banche. Se la banca ha un problema, le 399 consorelle la aiutano. Il mio cliente, il mio taxpayer, non paga nulla.
Si tratta di un sistema basato su un sogno diverso, quello mutualistico. Esso ci consente di affermare che una parte importante (come ricordava il presidente, circa il 10 per cento del nostro sistema bancario), si autotutela, si autoblinda, con costi totalmente a proprio carico. Di questo la normativa europea deve tener conto.
ALESSANDRO PAGANO. Sento il dovere di ringraziare Federcasse, perché, secondo il mio modesto parere - ma mi pare di interpretare il pensiero di tutti i gruppi, la sua posizione è quella del sistema Paese.
Vi ringrazio veramente, perché siete stati illuminanti e, soprattutto, avete espresso bene il nostro modo, secondo me, di concepire la finanza.
PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti, autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione da essi consegnata (vedi allegato 1) e dichiaro conclusa l'audizione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Comunicazione della Commissione europea: Una tabella di marcia verso l'Unione bancaria (COM(2012) 510 final), sulla Proposta di regolamento che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (COM(2012) 511 final), sulla Proposta di regolamento recante modifica del regolamento (UE) n. 1093/2010 che istituisce l'Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea) per quanto riguarda l'interazione di detto regolamento con il regolamento che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (COM(2012) 512 final), e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese
di investimento e che modifica le direttive del Consiglio 77/91/CEE e 82/891/CE, le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE e 2011/35/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010 (COM(2012) 280 final), l'audizione del presidente dell'Associazione bancaria italiana, Giuseppe Mussari.
L'avvocato Giuseppe Mussari è accompagnato da dirigenti e funzionari dell'Associazione bancaria italiana noti alla Commissione: il dottor Giovanni Sabatini, direttore generale, la dottoressa Laura Zaccaria, responsabile della direzione norme e tributi, dal dottor Carlo Capoccioni, responsabile dell'ufficio relazioni istituzionali, e la dottoressa Ildegarda Ferraro, dell'ufficio stampa.
Concluso il ciclo di audizioni, la Commissione approverà un documento finale nel quale esprimerà le proprie valutazioni sugli importanti provvedimenti in titolo.
Purtroppo, i lavori della Commissione si sono protratti più a lungo e abbiamo cominciato in ritardo le audizioni.
Do senz'altro la parola all'avvocato Mussari, affinché ci faccia conoscere la posizione dell'ABI in merito alle questioni che stiamo trattando.
GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'Associazione bancaria italiana. Signor presidente, la ringrazio, innanzitutto, dell'opportunità che viene offerta all'ABI. Consegnerò un documento che non tenterei neanche di riassumere, per non sottrarre tempo ai lavori pomeridiani della Commissione. Esso illustra, in maniera completa, la posizione dell'Associazione bancaria italiana, che ha avuto modo di discutere più volte i temi oggetto dell'audizione. Non vi troverete argomenti molto diversi da quelli già esposti dal Presidente Azzi, sia pure da un angolo di visuale specificamente rivolto alle BCC-CR.
Credo che bisognerebbe inquadrare il tema in senso generale: non per sfuggire alle problematiche tecniche, che pure sono insidiose quando vengono in considerazione siffatti provvedimenti, bensì per cercare di inserire in un quadro corretto la posizione dell'Associazione rispetto alle proposte presentate dalla Commissione europea.
È del tutto evidente che i limiti di una comunità economica vengono alla luce nel momento stesso in cui l'andamento del ciclo economico non è particolarmente favorevole, o è addirittura particolarmente sfavorevole per alcuni membri e relativamente favorevole per altri.
In quel momento, la dimensione della moneta unica presenta i suoi elementi più problematici, perché, a fronte di essa, riscontriamo andamenti economici reali assai diversi tra loro, con evidenti benefici e penalizzazioni che non vale la pena di sottolineare davanti alle Signorie vostre.
Dentro questo quadro, tutto quanto rappresenta un modello di maggiore integrazione, economica e politica, tende a risolvere alla radice il problema, cercando di costruire per tempo, e preventivamente, tutti gli anticorpi utili a non perpetuare nel tempo gli squilibri provocati, i quali, se ragionevolmente quantificabili dal punto di vista economico, possono avere un precipitato politico molto grave e preoccupante nella relazione fra i Paesi e fra i popoli.
In questo contesto s'inseriscono le proposte della Commissione europea. L'unione bancaria rappresenta un punto di arrivo di una dinamica che ha attraversato le competenze europee rispetto alle regole delle banche e, nello stesso tempo, un punto di partenza per andare a risolvere parte delle questioni cui accennavo in precedenza. È un punto d'arrivo, perché è da tempo, ormai, che la legislazione prudenziale delle banche ha, per noi, una matrice non nazionale ma comunitaria, mentre, in realtà, la matrice dovrebbe essere globale.
Oggi, le difficoltà riguardanti le regole di Basilea 3 non sono relative solo al loro contenuto o ai tempi di attuazione, ma stanno nel fatto che una parte del mondo ha deciso, per il momento, di non applicarle, né ci ha indicato una possibile data di applicazione.
I fatti che si sono succeduti in questi anni hanno dimostrato, però, che un'unica normativa, per quanto assai ampia e pervasiva come quella di Basilea 2, non riduce le differenze nella disciplina dei singoli Stati rispetto agli intermediari creditizi.
Questo è un tema particolarmente delicato sia in momenti positivi del ciclo, sia in momenti negativi, perché la differenza delle prassi applicative, e quindi delle istruzioni di vigilanza, rispetto ai singoli intermediari determina, innanzitutto, posizioni di disparità in termini concorrenziali, non tanto e non solo per le banche, quanto per le economie dei Paesi in cui le banche operano.
Vi basti un esempio. Se si ha la ventura di erogare un mutuo edilizio in un paese frontaliero della Francia, e lo si rapporta con un analogo mutuo su un paese frontaliero dell'Italia, il risultato, se guardiamo all'assorbimento patrimoniale della banca, sarà molto diverso per due immobili sostanzialmente identici, in quanto i criteri prudenziali di assorbimento di capitale rispetto a questi impieghi sono diversi e meno rigorosi per la Francia rispetto a quelli previsti per l'Italia. Ciò determina
non solo che la banca francese potrà erogare più mutui con la stessa dotazione patrimoniale di una banca italiana, ma anche che l'economia legata all'edilizia del paese in oggetto avrà sicuramente più opportunità di sviluppo.
Se analizziamo la questione dal punto di vista dei rischi, com'è giusto fare, ci saranno intermediari con quantificazioni di rischi diversi e con possibili esiti oggettivamente diversi. Immaginare che, al di là delle regole comuni, vi sia un comune regolatore, un comune applicatore di regole, un comune verificatore e un comune ispettore rappresenta un passo ulteriore verso l'integrazione europea, verso un'armonizzazione reale delle regole, verso la sconfitta del differenziale normativo che ha determinato per lungo tempo e che determina anche oggi, all'interno della medesima Comunità, vantaggi competitivi dell'uno nei confronti dell'altro.
L'Unione europea ha regolato molto e agisce molto, e giustamente, rispetto agli aiuti di Stato, intesi come dazioni di denaro o vantaggi fiscali verso imprese o settori di imprese. Probabilmente, se analizzassimo i vantaggi competitivi determinati dall'applicazione concreta delle medesime direttive europee, troveremmo materiale significativo su cui lavorare.
Da questo punto di vista, la posizione dell'Associazione bancaria italiana è favorevole all'unione bancaria, purché ci siano alcuni chiari punti fermi.
Il Presidente Azzi vi avrà parlato del principio di proporzionalità. Non si può pensare di regolare con gli stessi adempimenti formali una banca di credito cooperativo e un grande gruppo transfrontaliero. L'ABI è favorevole, ma con la ferma posizione secondo la quale gli oneri burocratici, pur doverosi e dovuti in relazione alla verifica e al controllo, non possano duplicarsi. Non possiamo costituire due autorità di vigilanza, altrimenti, oggettivamente, non se ne viene fuori. A fronte di questa chiara determinazione, e del fatto che il piano di gioco deve essere uguale per tutti in sede anche applicativa e non solo normativa, noi non possiamo non concordare.
Consentitemi - non andrò fuori dal seminato - di portarvi un altro esempio di come le prassi applicative rischino di essere molto penalizzanti per il nostro Paese.
L'anno prossimo, ma i lavori sono già iniziati - immagino che ne abbiate già incontrato i rappresentanti -, il Fondo monetario internazionale fotograferà la stabilità finanziaria ed economica del Paese. In questa fotografia avranno un posto rilevante le conclusioni rispetto alla stabilità dell'industria bancaria.
Oggi, l'attenzione degli osservatori e dello stesso mondo è legata alla qualità del credito che è presente nei bilanci delle banche, non solo italiane. È un'attenzione giustificata, visto l'andamento del ciclo economico. Come si traduce, numericamente, quest'attenzione, e come viene fuori la fotografia rispetto a queste analisi?
Nella grande famiglia dei crediti deteriorati, le istruzioni della Banca d'Italia, giustamente - e sottolineo «giustamente» - impongono alle banche italiane di inserire, senza alcuna possibilità di deroga, le sofferenze, i crediti incagliati, i crediti ristrutturati e i crediti in ritardo per un numero di giorni superiore a novanta. Tutte queste categorie entrano a far parte della grande famiglia dei crediti problematici. Fatto uguale a 100 tale numero, lo si rapporta alle coperture, ragion per cui, se le coperture sono di 40, avremo una copertura del 40 per cento. Mi pare una regola aurea.
Quando, però, andiamo a valutare questa giusta disposizione, e la matrice dei nostri numeri, con le matrici di Paesi europei, scopriamo che il denominatore, cioè l'ammontare dei crediti problematici, non è identico: alcuni non vi includono parte dei ristrutturati, altri parte degli incagliati, altri ancora i crediti in ritardo.
Qual è il risultato numerico? Ovviamente, se il denominatore diminuisce, le coperture appaiono più alte, con la conseguenza che io, che includo tutto, appaio in più debole, mentre un altro, che include di meno, appare più forte. Noi siamo molto preoccupati per questo aspetto.
L'unione bancaria servirebbe sicuramente ad armonizzare anche questo dato, ma siamo preoccupati perché non vogliamo che l'immagine della stabilità del Paese venga, in termini relativi, influenzata da errori sulle matrici.
Su questo punto stiamo reagendo. Abbiamo commissionato un lavoro a un soggetto autonomo e indipendente per rieseguire i conti secondo le nostre e secondo le loro regole, per avere un raffronto che parta da dati omogenei.
Dovremmo aggiungere, in più, che in questo calcolo pesa non poco l'ammontare delle garanzie. Se io ho un credito di 100 con una garanzia che vale 80, e il presidente ha un credito di 100 con una garanzia che pesa 60, se lui apposta 20, siamo alla pari: non ha 20 di accantonamento più di me, che ho zero.
Come vedete, il tema delle regole, e di chi le amministra, ha riflessi profondi rispetto all'idea della stabilità del Paese, al costo del rischio del Paese e, in una parola, alla competitività del Paese.
Tutto ciò che va verso la direzione dell'armonizzazione applicativa delle regole non può, dal nostro punto di vista, che essere benvenuto, perché criteri più rigorosi dei nostri in Europa non esistono. Da un punto di vista relativo, avremmo solo da migliorare rispetto ai nostri competitori transnazionali.
Passo alla seconda questione.
È evidente che il meccanismo di risoluzione delle crisi, per svolgere adeguatamente il proprio ruolo, deve avere una matrice europea, autonoma rispetto a chi svolgerà la vigilanza. La BCE guarda con favore al modello statunitense, che include la risoluzione della crisi in senso dinamico, nel senso di recuperare dagli asset del soggetto in crisi le risorse necessarie per adempiere le obbligazioni dello stesso. Anche da questo punto di vista, il nostro giudizio non può che essere positivo.
Compiendo un passo indietro, e senza addentrarci in tematiche tecniche, va segnalata una questione: esiste un potenziale conflitto d'interessi fra chi governa la moneta e chi governa le regole rispetto agli intermediari. Si tratta di una questione che necessariamente andrà regolata con attenzione, forse - aggiungiamo noi nel nostro documento - anche distinguendo il luogo in cui le due parti di autorità risiedono.
Noi avanziamo la proposta che l'Autorità di vigilanza abbia sede a Roma e non a Francoforte, anche per riconoscere la qualità del lavoro della nostra Autorità di vigilanza. Si deve trattare sempre della BCE, non di un altro soggetto, ma anche la distanza fisica può meglio rappresentare la dovuta separatezza fra i due ruoli.
La terza questione, riguardante il Fondo di garanzia dei depositi, è assai delicata.
Esiste una proposta di direttiva, che è incagliata perché non c'è consenso fra la Commissione e i Governi dei Paesi. Noi abbiamo, in Italia, un'esperienza di garanzia ex post che ha sempre perfettamente funzionato. A questo schema siamo ovviamente affezionati. Si avanza, ora, una proposta di garanzia ex ante, con il versamento immediato, da parte delle banche, per la costituzione del Fondo di garanzia. La garanzia ex ante si autoriproduce, perché, nel momento in cui mai ce ne fosse bisogno, occorrerebbe ovviamente ricostituirla.
Nutriamo severe perplessità su questo meccanismo, che costerebbe alle banche italiane circa 20 miliardi di euro. Non si capisce bene se siano 20 miliardi di ricavi o di patrimonio, come verrebbero remunerati e chi gestirebbe questa ingentissima liquidità. Se eseguiamo un calcolo patrimoniale approssimativo, si tratta di circa 200 miliardi di euro di impieghi. In questa fase, voi capite che tutto ci serve tranne questo.
Noi rimaniamo affezionati al nostro modello, che ha funzionato in quanto modello dinamico, che tende a far garantire alle banche i depositi fino a 100.000 euro, ma consente anche alla Banca d'Italia, ai liquidatori e al Fondo centrale di garanzia di gestire dinamicamente gli asset del soggetto in crisi e, quindi, di recuperare parte delle risorse che le banche vanno a versare.
Una mediazione possibile, inserita nel nostro documento, è che i denari da versare ex ante non siano liquidità, ma titoli di Stato posti a garanzia dell'impegno, ossia titoli immediatamente liquidabili, in modo da non determinare un deficit patrimoniale o una riduzione patrimoniale per i soggetti bancari che sarebbero chiamati a costituire il fondo medesimo.
Io credo che quella assunta dal nostro Paese sull'unione bancaria, attraverso il Governo, sia stata una posizione assai coerente. Essa non distingue tra soggetti intermediari, eppure prevede specificità per cui si sarebbe potuto compiere una differenziazione, non ultima quella per le banche di credito cooperativo.
Altri Paesi più virtuosi continuano a chiedere una diversificazione rispetto ai soggetti giuridici. Badate bene che operare distinzioni da questo punto di vista significa continuare a distorcere la concorrenza e favorire alcune economie europee rispetto ad altre. Se unione deve essere, non può avere eccezioni. Se unione deve essere, deve avere regole comuni e prassi applicative comuni. Se, oltre a permettere ad alcuni di mantenere un livello di banche pubbliche significativo in rapporto all'economia reale, dovessimo anche consentire regole specifiche per il funzionamento delle stesse, saremmo fortemente svantaggiati, com'è facile comprendere, dal punto di vista competitivo, nel rapporto complicato fra banca e impresa.
PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ALESSANDRO PAGANO. Presidente, la sua relazione mi ha convinto moltissimo. Noi eravamo già abbondantemente orientati in una certa direzione, ma avere il conforto dell'ABI ci rende più persuasi della correttezza delle nostre opinioni.
Alla luce di quanto sta accadendo anche in queste ore (le notizie su Il Sole 24 Ore di oggi sono piuttosto chiare), come inquadra la strategia dell'ABI - che coincide, di fatto, con quella di questa Commissione - a supporto del Governo?
Il termometro, a questo punto, segna una temperatura alta: si va verso un braccio di ferro.
Vorrei capire se, a suo avviso, ci siano le condizioni per raggiungere l'obiettivo cui miriamo, anche attraverso un ragionevole compromesso.
GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'Associazione bancaria italiana. Onorevole Pagano, la ringrazio. La sua domanda è molto complessa. Avevo cercato di eludere il tema, ma lei, giustamente e saggiamente, mi riporta all'attualità.
C'è una dichiarazione del Ministro Grilli di ieri che è sicuramente ottimistica. È difficile fare previsioni. Si gioca una partita legata alla competitività dei sistemi economici: dobbiamo rilevarlo. Non è un tema solo di architettura istituzionale. Il tema vero è se vogliamo compiere un passo verso un'integrazione economica e politica vera, mettendo in comune alcune cose e rinunciando ad alcuni privilegi, ancora oggi esistenti e pesanti, oppure se vogliamo far vincere la teoria egoistica, che vuole mantenere i privilegi senza mettere in comune le cose.
Da questo punto di vista - mi spingo su un terreno che oggettivamente non è mio, ma più politico - questo è un banco di prova decisivo per la politica dell'Unione europea.
Se guardiamo al passato recente, vediamo che i provvedimenti decisivi rispetto a una situazione oggettivamente instabile, adottati non esclusivamente in relazione alle condizioni dei Paesi, sono stati posti in essere da un ente tecnico, la BCE. Il Piano di rifinanziamento a lungo termine (LTRO) e il Fondo di garanzia per gli Stati sicuramente avranno avuto un consenso informale politico - non lo so, non è materia mia -, ma sono due scelte che hanno un imprimatur chiaro, una decisione chiara ed evidente.
Purtroppo, non possiamo annoverare scelte della Commissione europea o del Parlamento europeo altrettanto profonde. La prima sarebbe questa, sulla quale si gioca, probabilmente, il futuro politico ed economico della comunità, proprio nel
senso di stabilire se stiamo insieme e, quindi, condividiamo oneri e onori, o creiamo un modo di stare insieme in cui, in realtà, le differenze determinano vantaggi competitivi ineguali. È una partita importante.
Il Ministro Grilli ha dichiarato testualmente: «Le posizioni stanno convergendo, anche se non sono ancora completamente chiarite le divergenze di opinione, ma credo che sui grandi temi stiamo facendo progressi notevoli». Non è un caso che tra i Paesi più aperti a questa soluzione vi sia l'Italia e che quelli che avanzano maggiori perplessità siano i Paesi che sono a voi ben noti, perché conosciuti alle cronache.
MARCO CAUSI. Può spiegarci, presidente, come questo aspetto si interconnette con l'attuale funzionamento provvisorio e con il futuro funzionamento definitivo dell'ESM e dell'EFSF per la ricapitalizzazione delle banche?
Il mio pensiero riposto - non so se mi inganno - è il seguente: siamo in una fase transitoria che durerà chissà quanto, ma a regime, con la possibilità di usare quello strumento, forse anche alcuni appesantimenti sulla parte relativa alla regolamentazione e alla risoluzione delle crisi potranno essere visti in un'altra ottica.
GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'Associazione bancaria italiana. Se immaginiamo il sistema completo, nei suoi tre pilastri, abbiamo un ridisegno complessivo di questi strumenti. Questo punto è chiaro. Il Fondo di risoluzione delle crisi sarà il luogo, con la necessaria separatezza e con l'operatività che noi auspichiamo debba avere, in cui la crisi si risolverà, in termini sia di liquidazione, sia di supporto eventuale al soggetto che fosse ancora nella condizione di continuare l'attività.
Dobbiamo considerare anche un altro fattore. Se i meccanismi transitori hanno mostrato un limite, esso sta innanzitutto nella loro transitorietà, ma anche in un'operatività difficile da individuare dall'esterno. Un meccanismo di risoluzione delle crisi funziona quando non deve funzionare mai, cioè quando la sua presenza, in termini di garanzia ultima, accompagnata, ovviamente, a un'attività di vigilanza di alta qualità, evita fenomeni violenti e, quindi, si pone davanti a chi avesse in mente di porli in essere, strumentalmente o no, come un ostacolo sostanzialmente invalicabile. Questa è la forza dell'architettura complessiva.
Per questo motivo, è forse un po' miope, oggi, discutere con grande attenzione di chi ci mette le risorse, in che proporzione e a che punto. Temo che nella discussione si sminuiscano il valore dissuasivo e la forza di uno strumento operativo rispetto a logiche di mercato che spesso, in assenza di questi strumenti, trovano varchi per moltiplicare possibili situazioni di difficoltà.
Non so se ho risposto.
MARCO CAUSI. Si capisce chiaramente che, nel vertice di ieri, è rimasta aperta la questione relativa a cosa fa direttamente la BCE e a cosa, invece, è delegato alle autorità di vigilanza nazionali. La questione, se capisco bene, è legata alla definizione di banca sistemica. A tale proposito le pongo, presidente, una domanda dovuta a mia ignoranza: dobbiamo per forza attenerci a una definizione di banca sistemica come banca transnazionale? Non potrebbero essere considerate sistemiche anche le banche locali molto grandi, come alcune banche regionali presenti in Germania? Un punto della trattativa potrebbe essere anche l'introduzione di una soglia, in termini di fatturato e di volume d'affari, sopra la quale una banca è comunque vigilata, anche se locale? Quali altre proposte potrebbero entrare nella trattativa che, se capisco bene dai giornali, si svolgerà dal prossimo mese?
GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'Associazione bancaria italiana. Noi abbiamo una posizione un po' diversa: pensiamo, cioè, che la vigilanza debba essere unica e uguale per tutti, sistemici e non sistemici. Verifichiamo pure l'aspetto delle deleghe interne fra BCE e banche nazionali, ma l'importante, lo ripeto, è che il set di applicazione delle regole sia identico,
perché quella è la vera garanzia di stabilità, oltre che di equità. Se cominciamo a introdurre distinzioni, l'individuazione delle cosiddette asticelle potrebbe rispondere non a criteri oggettivi, ma a scelte politiche di inclusione o di esclusione Dal punto di vista dei mercati sarebbe difficile comprenderlo.
Ci sono, in Europa, in Italia, in Francia o in Germania, banche che hanno certe dimensioni, le quali meritano un'attenzione diretta, ma questo è un altro piano. Piuttosto - forse, questa potrebbe essere un'altra giusta considerazione, non esplicitata nella relazione, da aggiungere al nostro ragionamento -, una vigilanza unitaria impedirebbe, un domani, che la liquidità di soggetti francesi, italiani o spagnoli in controllate operanti in Paesi diversi dall'Italia, dalla Francia e dalla Spagna non possa transitare verso l'Italia, la Francia e la Spagna.
Oggi, in un mercato comune in cui devono circolare liberamente merci, beni e servizi, succede questo. Non credo che esista pratica più distorsiva della concorrenza e della libertà economica dentro una comunità come la nostra. Eppure, questo è ciò che succede oggi: ne troviamo esplicita notizia sui giornali.
FRANCESCO BARBATO. Ringrazio l'ABI anche a nome del gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori.
Pochi minuti fa, in occasione dello svolgimento in Commissione di un'interrogazione a risposta immediata, da me rivolta al Ministro dell'economia e delle finanze a proposito dell'offerta pubblica iniziale dei titoli SEA, ho avuto modo di sottolineare come al fallimento di tale operazione sia sotteso un giudizio negativo della Borsa nei confronti non tanto della società, quanto della politica. È fin troppo evidente che la Borsa e, quindi, l'economia vera del Paese non vogliono avere come soci il sindaco di Milano o l'assessore Tabacci, non vogliono entrare nei «carrozzoni», o nei «baracconi», delle società municipalizzate, che possono diventare mostri se quotate in Borsa.
Non a caso, anche le fondazioni bancarie non hanno ancora diluito, per così dire, il controllo che esercitano sulle banche. Probabilmente, si vuole ancora conservare una gestione politica delle banche, piuttosto che rifarsi a metodi e criteri industriali e imprenditoriali. L'esempio più clamoroso è rappresentato, da questo punto di vista, dalla Banca Monte dei Paschi di Siena, la cui capitalizzazione in Borsa è addirittura inferiore all'ammontare dei suoi «Tremonti bond».
Fino a quando vigerà questa impostazione, questa ingerenza della politica (un esempio clamoroso è quello che vede una fondazione corrispondere sostanzialmente a un partito)?
I suoi colleghi delle BCC-CR hanno affermato, nell'audizione precedente, che occorrerà evitare di avere rappresentanti politici nei consigli di amministrazioni delle banche.
Non deve esserci più questo tipo d'ingerenza, perché fa solo del male. La Borsa, il mercato vero, l'economia libera vogliono progetti di sviluppo, imprese con cui interloquire e da valutare. Probabilmente, il titolo Monte dei Paschi di Siena sta subendo un crollo in Borsa proprio perché non si vede un progetto, ma soltanto troppa ingerenza, troppa banca-partito.
Non pensa, presidente, che la prospettata frammentazione del sistema europeo di vigilanza bancaria, peraltro piuttosto barocca, potrà addirittura favorire l'ingerenza dei partiti e della politica nell'attività bancaria e danneggiare ancora di più il profilo del sistema bancario italiano?
Lo chiedo a lei, avvocato Mussari, nella sua qualità di presidente dell'ABI, senza alcun riferimento alla sua precedente attività. Absit iniuria verbis per quanto riguarda il resto.
GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'Associazione bancaria italiana. Della SEA so molto poco, ragion per cui, se me lo consente, mi asterrei da commenti. Ho letto sui giornali che c'è un'opinione diversa fra i soci, ma partirei dall'ultima parte del suo intervento, onorevole Barbato, per poi ritornare alla prima.
Lei pone l'attenzione su una questione molto seria. I Paesi europei sono 27, ma quelli che hanno l'euro sono di meno. Noi abbiamo l'EBA, Autorità di recente costituita, che avrebbe dovuto armonizzare le regole e le norme tecniche di applicazione delle regole medesime. Andiamo, ora, verso una vigilanza unica della Banca centrale europea, che, per alcuni versi, dovrà utilizzare le autorità di vigilanza nazionali, sia pure rispondendo direttamente - la questione è determinante - dell'attività di vigilanza complessiva.
Lei chiede se tutto ciò non rischi di risultare molto barocco e come ci si debba comportare con i Paesi che sono fuori dall'euro rispetto a quelli che hanno adottato la moneta unica.
Stiamo realizzando, forse, il primo piano di una costruzione complessa. Il fatto stesso di avere una comunità economica in cui una parte dei Paesi ha un'unica moneta e una parte ha addirittura diverse monete segna una differenza significativa. Si tratta di una complessità rilevante, a fronte della quale abbiamo la possibilità di assumere due atteggiamenti.
In primo luogo, possiamo ritenerla un dato da accettare così com'è e, quindi, provare a conviverci. Se poi, in Europa, si delocalizza verso alcuni Paesi, perché le condizioni sono migliori, o apparentemente migliori, per l'impresa o per l'imprenditore, ciò comporta l'immediato impoverimento per il Paese di cui le condizioni sono o appaiono peggiori. Tutto quanto porta a integrare e a unificare ha eminentemente un rilievo politico, ma anche un risvolto economico estremamente significativo. Sotto quest'ultimo profilo, noi siamo fortemente penalizzati in questo momento, per limiti intrinseci del nostro sistema economico, ma anche per questa complessità, che nessuno al momento ha ancora affrontato realmente.
La vigilanza comune sulle banche rappresenta il punto di partenza. Si tratta di ridurre e rendere più ragionevole la complessità. Poniamo il caso che la Commissione europea e i Governi decidano secondo l'indirizzo di codesta Commissione, che mi pare coincidente con quello dell'Associazione, e che sarebbe il massimo risultato possibile oggi auspicabile. Neanche in questo caso potremmo pensare che, il giorno dopo, avremmo risolto il problema: avremmo soltanto iniziato a risolverlo.
Mi scuserà, signor presidente, se porterò via un po' di tempo, ma la domanda dell'onorevole Barbato richiede riflessioni più profonde, che vanno al di là della questione tecnica. Mi auguro di essere capace di dare una risposta.
Il processo di costruzione di un Paese richiede, tra le prime operazioni, la creazione di una comunità economica, che in seguito si dota di una moneta. Se andiamo a rivedere la storia dei grandi Paesi europei, non ultima l'Italia, vediamo che la moneta è arrivata sempre in un secondo momento. I Paesi europei sono stati fondati su identità culturali, politiche e territoriali, su un comune sentire, che a volte ha impiegato secoli per determinarsi in maniera concreta. L'Italia è, in questo senso, un esempio emblematico.
Noi abbiamo capovolto il processo storico e l'abbiamo inserito in una sorta di acceleratore di particelle, immaginando che avesse la potenza di indurre altri fenomeni, che sono culturali, sociali e politici.
Quando siamo andati a cozzare? Nel momento in cui le condizioni economiche sono diventate palesemente dispari. Da ciò è venuto il rigurgito nazionalista. È evidente che, quando sono molto diverse le condizioni delle persone che vivono in uno stesso luogo fisico, che definiamo Paese, si determinano tensioni, che vanno via via aumentando.
Qual è l'unica strada che possiamo percorrere, a mio modesto parere, per risalire questa china complicata? Sicuramente, dobbiamo lavorare dal punto di vista culturale e politico, ma dobbiamo anche dotarci, in misura sempre maggiore, di strumenti comuni, per disegnare destini comuni. Fino a quando qualcuno potrà pensare di avere un destino proprio che prescinde dalle sorti dell'altro, continueremo ad avere una comunità parziale.
Non credo, dunque, che questo meccanismo possa favorire fenomeni come quelli che lei denunciava, onorevole Barbato. È evidente che una cosa è la politica, un'altra cosa è l'azienda, con la sua amministrazione. Non ci sono dubbi su questo.
Tuttavia, onorevole, la invito a riflettere su una considerazione. Se dimentichiamo la distinzione - necessaria - fra proprietà e amministrazione, rischiamo di compiere un percorso dannoso per il Paese.
Oggi, l'Italia possiede il 30 per cento dell'ENI e il 30 per cento dell'ENEL. Le possiede il Paese: il Governo le amministra pro tempore, ma è il Paese che ne è proprietario.
Diffiderei profondamente di chi mi proponesse di cedere queste partecipazioni. Chiederei al Governo e alla politica di distinguere sempre di più il loro ruolo di proprietario dal ruolo di amministratore, e di scegliere gli amministratori migliori, ma non di cedere la sovranità su asset strategici, perché non l'ha fatto nessuno in Europa.
Se c'incamminassimo sulla strada della cessione degli asset strategici, secondo la logica che lei esprimeva, onorevole Barbato - e che sicuramente può trovare consensi, non sul fine ultimo, ma sulla distinzione, sulla separazione, sulla maggiore managerialità, sul buon funzionamento, sulla verifica e sul controllo -, rischieremmo di perdere sovranità.
Se, per andare nel concreto, perdessimo la sovranità sugli approvvigionamenti energetici e si verificassero situazioni come quelle che abbiamo vissuto un paio di inverni fa, con la rarefazione, reale o virtuale, dell'offerta di gas, lei pensa che il fondo di Singapore, o il fondo XY, titolare di una quota di controllo rilevante sull'ENI, si occuperebbe del gas da fare arrivare in Italia?
Occorrono efficienza, distinzione, qualità: d'accordo, ma mi guarderei bene dal mettere in discussione gli asset strategici, tra i quali includo anche le banche.
EZIO ZANI. Pur non facendo parte della Commissione finanze - sono, infatti, un componente della Commissione politiche dell'Unione europea -, ero molto interessato all'audizione, e ho apprezzato la sua relazione, presidente, soprattutto per la chiarezza con cui ha sviluppato alcune riflessioni. Per noi, si tratta di stimoli precisi, che incrociano e interrogano la funzione e il compito del Parlamento nei confronti di un sistema produttivo come quello bancario, che, come lei giustamente sostiene, è il più adatto a descrivere la competitività di un sistema economico.
Condivido quanto ha affermato riguardo alle disparità della disciplina su alcuni temi, quali le coperture, gli accantonamenti e le garanzie, i quali si traducono in una grave disparità di trattamento e di concorrenzialità tra diversi istituti, atteso che quello su cui si gioca, come lei ha ricordato, è un terreno internazionale, o quantomeno europeo, se non addirittura globale.
Il collega Barbato ha rilevato, sia pure pervenendo a conclusioni che non sottoscriverei, quantomeno non interamente, come le tematiche di interesse del sistema bancario, che in questi giorni il Parlamento è chiamato ad affrontare, anche in vista di scadenze prossime, riguardino essenzialmente la disciplina e l'ammontare dei bond che il Governo riconoscerà alle banche.
A tale proposito, anche con riferimento ad alcuni atti su cui il Governo sarà chiamato a rispondere nei prossimi giorni, introdurrei nella discussione la questione della ristrutturazione che taluni istituti bancari stanno mettendo in campo.
Non stenterà, presidente, a riconoscere che entrambe i temi evocati riguardano i destini di un istituto a lei molto caro, verso il quale anch'io ho ragioni di attenzione e affetto, se non altro perché sono stato amministratore di una banca del gruppo, fino a quando non ho assunto, la scorsa estate, il mandato parlamentare.
Mi sia consentita una breve notazione riguardo all'intervento del collega che mi ha preceduto. Parlo per me stesso, e la mia affermazione può lasciare il tempo che trova, ma preferisco che l'amministratore
di una banca risponda a una comunità, anziché a un gruppo assicurativo, magari straniero, a un fondo d'investimento, magari straniero, o a gruppi finanziari che non si sa da quali leve siano mossi.
Svolgo attività amministrativa nella mia città e sono stato amministratore di una banca, incarico al quale sono arrivato attraverso un meccanismo che ha avuto il suo centro propulsore nelle comunità. La gente sa dove abito e come mi chiamo.
Rispetto alle scelte o ai fatti cui si riferiva il collega Barbato, se le vicende degli istituti fossero dipese da personaggi tenuti a rispondere non alla comunità che li abbia espressi, per il tramite della politica, ma ad altre logiche, come quelle che ho ricordato, non credo - e penso che il presidente Mussari concordi - che la situazione sarebbe preferibile a quella attuale.
M'interessava, presidente, quanto da lei riferito in merito alla competitività del sistema delle banche, proprio perché, per la sua specificità, come ho già ricordato, e come lei ha sostenuto, esso è il più adatto a descrivere la competitività di un intero sistema economico.
Cercando, a mia volta, di essere piuttosto diretto, penso alle notizie pubblicate dalla stampa, anche molto circostanziate, sulle posizioni assunte dall'Associazione che lei presiede riguardo a un recupero di competitività da ottenere tramite una drastica riduzione del costo del lavoro.
Più specificamente, è apparsa su alcuni quotidiani, nei giorni scorsi, la notizia secondo la quale il Comitato esecutivo dell'ABI avrebbe licenziato un protocollo che pone come primo punto, al fine del superamento della crisi e del recupero di competitività dell'intero sistema, la drastica riduzione del costo del lavoro, da attuare tramite cassa integrazione guadagni, prepensionamenti obbligatori o un nuovo contratto di lavoro ispirato al modello agenziale, con una parte del salario costituita da provvigioni.
Lei ci ha offerto alcuni stimoli, che io condivido, presidente. Mi riferisco, in particolare, alla possibilità che la disciplina cui soggiacciono gli istituti bancari di questo Paese sia differente e più pesante rispetto a quella di istituti con cui ci si confronta anche quotidianamente sul mercato. Ha fatto l'esempio di un mutuo edilizio erogato in Italia e in Francia per due immobili sostanzialmente identici, evidenziando come la banca francese, potendo effettuare minori accantonamenti, ha la possibilità, attraverso il denaro che raccoglie, di erogare più mutui rispetto a una banca italiana.
Le sue riflessioni sono sicuramente stimolanti, presidente, e potrebbero, per il tramite della funzione parlamentare, tradursi in una nuova normativa, volta a rendere il sistema bancario italiano più capace di competere e di confrontarsi sui mercati.
Lei ritiene davvero che il recupero di competitività del sistema bancario italiano passi necessariamente attraverso una drastica riduzione del costo del personale, così come ci è parso di capire leggendo gli articoli di cui ho detto? Vorrei sapere se questa impostazione corrisponda alla sua opinione e a quella dell'Associazione bancaria italiana.
Sono persuaso, invece, - e proprio questo ho colto nelle sue stimolanti riflessioni - che il sistema bancario italiano, proprio per il tramite di una rivisitazione basata sull'evoluzione molto veloce e profonda avuta negli anni, possa recuperare la propria competitività senza dover scaricare il costo della crisi, come spesso avviene anche per problematiche diverse, sull'ultimo anello della catena produttiva, cioè sul personale dipendente, sugli occupati e, in definitiva, sui cittadini, causando, in tal modo, un ulteriore aggravio per le finanze dello Stato, il quale sarebbe chiamato a sopperire a crisi occupazionali che si ripercuoterebbero negativamente sulla qualità della vita della nostra comunità.
PRESIDENTE. Onorevole Zani, lei comprenderà che il tema era un altro. Le abbiamo concesso la possibilità di svolgere il suo intervento per un fatto di cortesia.
EZIO ZANI. Si potrebbe sostenere che il tema è un altro anche quando il presidente
Mussari ci ricorda la diversità di disciplina tra le banche francesi e quelle italiane. Eppure, il tema è interessante.
GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'Associazione bancaria italiana Non ho alcuna difficoltà a rispondere. Ringrazio il presidente per consentirmi di rispondere, ma prima vorrei svolgere una precisazione.
Quando parlavo di disciplina francese e italiana, il tema non era un altro, perché l'armonizzazione dell'unione bancaria dovrebbe tendere alla medesima disciplina, ma venivano in considerazione assorbimenti patrimoniali, non accantonamenti. Se la banca di Lissone ha lo stesso immobile di una banca di Ventimiglia, ma a Lissone assorbe 3 e a Ventimiglia 5 o 6, Lissone può erogare il doppio dei mutui che eroga Ventimiglia. A entrambe si applica Basilea 2, ma le norme di interpretazione e di applicazione della Banque de France e della Banca d'Italia sono diverse. L'unione bancaria dovrebbe risolvere questo divario competitivo. A mio parere, la considerazione era, dunque, in tema.
Lei ha parlato di aggravio per le finanze dello Stato. A oggi, l'industria bancaria versa l'indennità di disoccupazione, ma non l'ha mai utilizzata, ed è, anzi, l'unico comparto produttivo in attivo rispetto a questo versamento. Non ha mai utilizzato la cassa integrazione, ed ha sempre pagato con le proprie risorse il fondo esuberi, che ha accompagnato alla pensione molti dipendenti bancari negli anni passati.
Lei mi ha chiesto se, a mio avviso, la competitività del sistema bancario possa essere recuperata esclusivamente attraverso la drastica riduzione dei costi del personale. La risposta è no. La competitività del sistema bancario italiano è condizionata, oggi, da una serie di fattori. Se mi consente, le porto l'esempio che può essere, forse, il più chiaro. L'impiego più certo dal punto di vista del rischio è, per una banca italiana, un mutuo a una famiglia, perché si tratta della classe di impieghi che segnala meno sofferenze. Se una banca avesse erogato un mutuo retail quattro o cinque anni fa, avrebbe erogato un mutuo al tasso Euribor più 1,50 punti base: era il tasso medio, senza alcun trattamento né penalizzante, né di favore. Oggi, quel tasso è esattamente dell'1,67 per cento. Per rifinanziare quel mutuo, la banca italiana spende un multiplo e, quindi, ci perde,
perché, nel differenziale del margine di interesse, spende più per rifinanziare il mutuo di quanto incassa. Ciò non dipende da alcuna banca italiana, bensì dalla congiuntura in cui ci troviamo, legata, in questo caso, al percepito aumento di rischio del Paese e del suo debito pubblico.
Sono molti i fattori che incidono sulla competitività dell'industria. Prendiamone un altro: il rapporto tra transazioni fisiche e non fisiche. Se ha la pazienza di guardare i dati della Banca d'Italia, vedrà che, negli ultimi anni, le transazioni remote si moltiplicano per fattori annuali sempre maggiori. Un'impresa piccola, media, minuscola, grande non si reca più in banca per compiere transazioni. Da quando il modello F24 può essere compilato e inviato telematicamente, non si va più in banca per consegnarlo. Si tratta di un altro fattore di sviluppo per il Paese e di un altro problema di competitività da risolvere.
Guardiamo la questione da un altro punto di vista ancora, ossia dal punto di vista degli impieghi. Abbiamo avuto, e ancora abbiamo, banche che, fortunatamente, si caratterizzano per prestare soldi a imprese e famiglie. Il 70 per cento dei loro attivi è costituito da tale attività. Negli anni, abbiamo accumulato uno sbilancio fra raccolta delle banche e impieghi di circa 250 miliardi di euro, che oggi è molto complicato rifinanziare, per i motivi di cui ho già detto. Dobbiamo chiederci, quindi, se sarà possibile mantenerlo in futuro, a quali condizioni andremo a rifinanziarlo e anche quanto di quel credito dovrà essere non più intermediato dalle banche. Provvedimenti che anche voi avete approvato, come i bond delle imprese, mirano a questo risultato, ma ciò determina, probabilmente per alcuni, maggiori commissioni
legate al collocamento dei bond e, sicuramente per tutti, un minor margine di interesse.
Vogliamo cambiare natura genetica? No: vogliamo continuare ad avere banche e intermediari nel senso classico del termine, che non è una brutta parola. Dentro questo sistema, c'è da realizzare un recupero di efficienza complessiva, e non possiamo pensare di farlo solo attraverso i ricavi.
Sarebbe semplice, per me, comunicarvi che dobbiamo recuperare maggiore flessibilità sui ricavi e citarvi l'elenco dei 500 provvedimenti, non tutti legislativi, ma anche amministrativi, che hanno interessato l'attività delle banche italiane negli ultimi due anni. Abbiamo avuto una pressione seria sui ricavi, ma non possiamo guardare solo a quella parte del conto economico. Dobbiamo guardare anche a quella parte, ma dobbiamo farlo in termini di trasparenza, di maggiore efficienza e di migliore qualità dei servizi.
Si pone, poi, un problema di costi, di struttura, ossia amministrativi generali, e di personale. Tutti questi costi vanno affrontati. Anche sul costo del personale, potrei nascondermi dietro una considerazione che il Governatore della Banca d'Italia ha svolto nelle sue considerazioni finali, il 31 maggio di quest'anno. In particolare, egli ha affermato chiaramente che, avendo riguardo all'andamento prospettico dei nostri conti economici, non saremo in grado di sostenere il costo del personale attuale. Me la caverei, forse, in maniera brillante, ma non è questo lo spirito della discussione che lei, onorevole Zani, ha voluto impostare.
Noi abbiamo la necessità di intervenire anche sui costi del personale, e lo stiamo facendo. L'ha fatto Banca Intesa, che ha concluso un accordo importante; lo stanno facendo importanti banche popolari; lo farà, spero, la banca cui lei faceva riferimento, all'interno di una logica negoziale, concordando il da farsi con il sindacato.
Le banche hanno stipulato un contratto collettivo nazionale «unico» nella sua natura, per unanime riconoscimento, tanto nostro, quanto dei sindacati di categoria, confederali e autonomi. Per la prima volta, gli aumenti salariali sono stati legati non esclusivamente all'andamento prospettico del ciclo inflattivo, ma anche a recuperi oggettivi di produttività. L'accordo da ultimo stipulato s'inserisce in questo contesto. Se pensassimo di risolvere il problema della competitività tagliando - mi esprimo in maniera brutale - esclusivamente le spese del personale, non avremmo risolto il nostro problema. In futuro, avremo bisogno, probabilmente, anche di un diverso personale. Tale esigenza apre uno spazio alla formazione continua del personale esistente e all'arrivo di personale nuovo.
Se eseguiamo meno transazioni e dobbiamo avere più relazioni, la qualità e il lavoro quotidiano del dipendente di banca inevitabilmente cambiano. Bisogna capire quanto siamo adeguati, quanto dobbiamo investire per adeguarci, quanto turnover serve per essere pronti.
Le ricostruzioni che lei ha letto, onorevole, e che ho letto anch'io, sono assolutamente legittime - perché la stampa, giustamente, svolge il suo lavoro -, ma presentano un limite di fondo: non colgono la complessità del problema e della nostra discussione. Quando, nelle aziende, è iniziata questa fase di discussione, abbiamo avuto momenti di sospensione dell'attività lavorativa cui non si assisteva da anni. A mano a mano che la discussione è proseguita, questi momenti di sospensione, che possiamo definire più sinteticamente «scioperi», non si sono più ripetuti. Mi auguro che possa continuare a manifestarsi la capacità di riuscire a risolvere il problema in maniera ragionata e senza alcun aggravio per le tasche pubbliche, che le banche e l'ABI hanno tradizionalmente avuto.
Certamente, non possiamo immaginare un'industria bancaria che non sia in grado di remunerare il costo del suo capitale per molto tempo, perché ne va della sua natura e della sua qualità. Oggi, il ritorno sul capitale delle banche è molto inferiore al costo del capitale. È vero che il costo del capitale delle banche è influenzato di nuovo dal cosiddetto rischio Paese e dalla
condizione del ciclo economico e finanziario, ma tutti dobbiamo spingere per una maggiore efficienza, cui tutti dobbiamo contribuire.
Non è un caso se il Governatore della Banca d'Italia, nel suo ultimo intervento, dopo averci comunque sollecitati a una maggiore attenzione sugli stipendi dei manager, ha affermato che le prime cinque banche li hanno ridotti, nell'ultimo anno, del 25 per cento. Lo stesso Governatore ci ha invitato più volte anche a ridurre l'articolazione societaria all'interno dei gruppi.
Si tratta di osservazioni che l'Associazione condivide pienamente e sulle quali cerca di fornire il suo sostegno morale agli associati, considerando sempre che non siamo una holding di partecipazioni, ma un'associazione rappresentativa.
Spero di aver fornito una risposta compiuta.
PRESIDENTE. Mi sembrava di sentire nell'aria le note di una sinfonia. Ascoltare le sue parole, presidente, ci rincuora, perché tante volte abbiamo ripetuto che il ritorno al territorio è la strada giusta: abbiamo speso in tal senso una parte importante della nostra attività politica.
MAURIZIO FUGATTI. Rincuora anche noi, signor presidente, sentire che non si vogliono capitali di Singapore nelle nostre banche. Il presidente ha fatto riferimento all'ENI e all'ENEL: la sua posizione è analoga a quella che abbiamo polemicamente assunto a proposito dell'ingresso di alcuni fondi sovrani in Unicredit. Questo ci fa piacere.
Al di là di ciò, parlando di armonizzazione, il cosiddetto rapporto Liikanen ha fornito alcune raccomandazioni, una delle quali riguarda la separazione dell'attività di deposito degli intermediari creditizi da quelle di trading ad alto rischio. Dall'analisi del rapporto vediamo che proprio le banche italiane sono quelle che operano di più nell'erogazione di finanziamenti a imprese e famiglie di tipo tradizionale, tra cui anche il Monte dei Paschi di Siena.
In un'ottica più europea, questa particolarità dei nostri istituti di credito, secondo l'ABI, deve rimanere? Da qualche mese a questa parte, la domanda sembra banale. Prima, invece, era più naïf occuparsi di altro. Nei rapporti con l'Europa, ritenete che questo aspetto debba essere sottolineato? Soprattutto, i nostri istituti di credito devono continuare su questa linea, oppure c'è il rischio che essa venga messa in discussione?
GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'Associazione bancaria italiana. La ringrazio della domanda, tutt'altro che banale. In realtà, lei ha toccato il cuore vero del problema anche rispetto alla discussione sull'unione bancaria.
L'opposizione dell'Associazione, da questo punto di vista, è determinata: le banche italiane non devono perdere il loro codice genetico. Siamo stati derisi per anni. Poi, arriva il Governatore della Banca centrale della Norvegia e redige un utile rapporto, dal quale emerge che le banche prime nelle classifiche migliori e ultime nelle classifiche peggiori - rispettivamente, credito a imprese e famiglie e attività di finanza per la finanza - sono le banche italiane, tutte.
Se, però, consideriamo questo un valore competitivo - secondo me, è anche un valore in sé, sociale, politico e culturale -, dobbiamo avere anche la forza di difenderlo quando si emanano regole come quelle di Basilea 3, che penalizzano il credito alle piccole e medie imprese. Sapete già che abbiamo proposto un PMI supporting factor e, quindi, non voglio ripetere considerazioni che abbiamo già svolto.
La linea cui lei faceva riferimento, onorevole, va difesa quando si crea l'unione bancaria europea, quando si istituisce il Fondo di garanzia di tutela dei depositi e quando ci interroghiamo, come faceva il suo collega, sulla competitività. Noi possiamo essere affezionati a un modello, ma esso deve stare sul mercato: abbiamo deciso di privatizzare con l'obiettivo di far stare le banche sul mercato, non per far diventare ricchi i banchieri.
Per troppo tempo, abbiamo immaginato che fosse giusto penalizzare chi siede
da questa parte del tavolo per gli errori commessi. In realtà, secondo me, abbiamo commesso alcuni sbagli, che andavano penalizzati, ma senza coinvolgere quel modello di azienda.
Porto un solo esempio. Dalle sue parti, in Trentino, qual è l'attività manifatturiera più importante? Prendiamo il vino. Un'azienda vinicola ha come costi industriali della sua produzione l'acquisto di bottiglie di vetro. Alla fine dell'anno, detrae dal suo reddito il costo delle bottiglie di vetro. Non potrebbe essere diversamente.
Le banche hanno come attività caratteristica quella di erogare credito. Alla fine dell'anno, non possono detrarre dal proprio reddito le perdite su crediti. Non mi sto lamentando dell'aliquota fiscale, che è uguale a quella dell'azienda vinicola del Trentino. È alta, ma sappiamo quali sono le condizioni. Mi sto lamentando del fatto che non posso dedurre dal reddito i costi industriali dell'impresa.
Le banche devono compiere molti sforzi, che stiamo compiendo, in termini di trasparenza e di remunerazioni, nonché di semplificazione della loro organizzazione societaria. Siamo convinti che lo faranno, e siamo disposti a misurarci e a confrontarci, su questo fronte, con questa Commissione e con chiunque altro lo desideri.
Tuttavia, se arriviamo, e siamo arrivati, e ne sono felice, alla conclusione che questo è il modello che avvantaggia la competitività del sistema, dobbiamo chiedere a tale modello di essere efficiente e di compiere tutti gli sforzi necessari; nello stesso tempo, però, dobbiamo cercare, alla luce delle possibilità delle finanze pubbliche, di non penalizzarlo troppo.
Non so se sono riuscito a rispondere alla sua domanda.
PRESIDENTE. Posso rivolgerle una domanda anch'io? Alcune settimane fa, abbiamo ospitato i nostri colleghi del Bundestag. Poiché volevano sapere come andranno le prossime elezioni, qualcuno ha opportunamente risposto che forse avrebbero fatto meglio a pensare alle loro, anche perché hanno già avuto una grande influenza sulle loro decisioni, non ultima quella che riguarda l'unione bancaria.
Lei ha svolto una riflessione, quando ha fatto riferimento al Fondo monetario internazionale, che trovo assolutamente condivisibile: ogni volta che vado a rivedere lo schema degli aiuti di Stato concessi alle banche da ciascuno Stato membro, mi si drizzano i capelli. Mi irrita vedere che la nostra quota, nella cifra complessiva di 4.506 miliardi di euro nel triennio, è di appena 20 miliardi di euro, pari all'1,3 per cento del PIL, mentre i tedeschi, ad esempio, hanno fornito garanzie per 450 miliardi e 110 miliardi di ricapitalizzazioni, pari al 24 per cento del loro PIL, e i tanto solerti finlandesi, tra ricapitalizzazioni e garanzie, hanno raggiunto una percentuale del 30 per cento del loro PIL.
Quando si discute di sistema bancario europeo, come sono considerati questi dati? Chi stabilisce quali sono le regole che dovrebbero governare anche queste situazioni? Se i tedeschi si permettono di stanziare 450 miliardi di garanzie per le loro banche, e noi neanche un euro, una disfunzione nel sistema complessivo esiste. Cosa ne pensa?
GIUSEPPE MUSSARI, Presidente dell'Associazione bancaria italiana. Sono d'accordo con lei. È evidente che siamo di fronte a un'ennesima prova di distorsione della concorrenza. Quelli sono i risultati degli effetti del 2008, accumulati nel triennio. Il 2008 è lo spartiacque. Sono tutte attività finanziarie che non avevano più mercato e che avevano garantito a quegli intermediari importanti risultati di conto economico dai primi anni del Duemila fino al 2007.
Se si va a verificare quali erano le cifre sul ritorno del capitale di quelle banche, si vede che erano a due cifre e che la prima cifra era un 2. La prospettiva di qualcuno era che la prima cifra diventasse un 3, su un numero a due cifre. Noi siamo stati e stiamo da un'altra parte.
Occorre aggiungere una considerazione. Quello che abbiamo garantito è relativo alla liquidità della BCE, al Piano di rifinanziamento
a lungo termine (LTRO), mentre le emissioni dei cosiddetti «Tremonti bond» e «Monti bond» sono dovute, quasi esclusivamente, all'esercizio dell'EBA e alla caduta del valore dei titoli di Stato italiani: questo e null'altro che questo. Nessuna banca italiana ha chiesto aiuti di Stato perché aveva comprato il titolo esotico «Pinco Pallo».
Oggi, il confronto con il Fondo monetario internazionale, che lei richiamava, signor presidente, è finalizzato a prevenire. Non vogliamo che si scateni, sui crediti privati, una dinamica che potrebbe diventare molto complicata, per le banche ma ancora di più per il Paese.
Vogliamo essere confrontati, come accennavo, su basi omogenee. Vogliamo che le garanzie abbiano un peso laddove ci sono, e che ogni tipo di classifica ne tenga conto. Se non si segue tale criterio, si rischiano figure poco brillanti. L'ultima tabella del Fondo monetario internazionale, divulgata a Tokyo, prevedeva per la Spagna una percentuale di crediti problematici dell'8 per cento. Peccato che la Banca centrale spagnola, alcuni giorni prima, avesse reso pubblico un rapporto di Oliver Wyman che portava quella percentuale al 25 per cento...
Il perseguimento del suddetto obiettivo non coinvolge soltanto l'interesse delle banche, ma - e questo aspetto lei l'ha colto perfettamente, signor presidente - anche quello di un Paese che si chiama Italia.
PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, ringraziamo il presidente dell'ABI e i suoi collaboratori, che hanno partecipato a quest'audizione.
Autorizzo la pubblicazione della documentazione consegnata dal presidente dell'ABI in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2) e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14,40.
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